10 aprile 2013
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Genetica
Uguale ma diverso
Andrea Bucci
L’epigenetica riabilita la teoria
lamarckiana evidenziando la grande
rilevanza degli adattamenti all’ambiente
nel miglioramento genetico moderno.
“La selezione naturale agisce esclusivamente tramite la
preservazione di variazioni in qualche modo vantaggiose, che, di conseguenza, si perpetuano. Ma siccome,
a cagione della tendenza propria di tutti i viventi a
moltiplicarsi secondo un andamento fortemente geometrico, tutte le regioni sono già sovraffollate di abitanti, tutte le forme selezionate e favorite cresceranno
di numero nella stessa misura in cui le forme meno favorite diminuiranno e diventeranno rare. Come ci insegna la geologia, la rarità precorre l’estinzione”.
È forse questo uno dei passaggi più significativi de
L’origine delle specie per selezione naturale o la preservazione delle razze nella lotta per la vita, l’opera che
Charles Darwin pubblicò in Inghilterra nel 1859 e che
spiegava la teoria dell’evoluzione. La teoria, avanzata
dal naturalista inglese solo dopo diversi anni di studi e
di lunghi viaggi – il più famoso dei quali nell’arcipelago
delle Galapagos – attraverso i quali osservò scrupolosamente la complessa relazione ambiente-specie, fu rivoluzionaria con grandi ripercussioni sulla società
dell’epoca ed ebbe effetti che andarono ben oltre i confini della scienza.
Secondo Darwin, le specie non sono immutabili, anzi le
loro caratteristiche sono in equilibrio dinamico con
l’ambiente che eserciterebbe una selezione verso quei
gruppi che, essendo più capaci di rispondere alle condizioni esterne, risultano più forti e quindi in grado di
produrre una prole numerosa. Il concetto chiave è “selezione naturale” e parte dal presupposto che, nell’ambito della stessa specie, tra i singoli individui esistono differenze che possono essere premiate o meno
dalle condizioni ambientali. Le specie sarebbero quindi
il risultato di un processo molto lungo (speciazione)
partito dalle differenze presenti naturalmente negli in-
dividui (gli antenati comuni) particolarmente adatti alla
vita in un determinato ambiente. La forma della competizione tra specie e individui per l’accesso alle risorse
naturali, l’ambiente agirebbe sugli esseri viventi scegliendo (selezionando) solo alcune varianti, per una determinata caratteristica, presenti nelle popolazioni.
La teoria porta con sè una straordinaria novità anche da
un punto di vista sociale e culturale, soprattutto in relazione al grande seguito che la Chiesa cattolica aveva a
quel tempo e a un’interpretazione letterale delle sacre
scritture. La teoria, infatti, pone l’accento sull’individualità del singolo affermando il carattere naturale della competizione per la sopravvivenza tra le specie e tra
gli individui in apparente contrasto con i principi di uguaglianza e di solidarietà propri del cattolicesimo. Le
idee di Darwin, fino a pochi anni fa, erano viste come
superamento di una teoria precedente che per prima
aveva attribuito un carattere dinamico alla storia naturale in aperto contrasto con il creazionismo: la teoria
dell’evoluzione biologica di Jean Baptiste de Lamarck
nota anche come teoria dell’ereditarietà dei caratteri
acquisiti. Il naturalista francese, vissuto qualche decennio prima di Darwin, sosteneva che gli esseri viventi, al
fine di affrontare le condizioni ambientali, subivano
pressioni che modificavano la struttura dei loro organi.
Modifiche che gli esseri viventi sarebbero stati in grado
di trasferire alle generazioni successive. L’esempio più
famoso che Lamarck stesso usava per illustrare la propria teoria è quello degli elefanti la cui proboscide sarebbe il risultato della necessità degli animali di raggiungere le chiome degli alberi per alimentarsi. Generazione dopo generazione, la proboscide si sarebbe allungata sotto la pressione dell’esigenza crescente di raggiungere la vegetazione più tenera. Più la proboscide
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era lunga più l’animale aveva la possibilità di alimentarsi meglio avendo un vantaggio competitivo rispetto agli
altri erbivori con strutture meno adatte. Gli animali alimentati meglio, inoltre, sarebbero capaci di trasferire
la caratteristica favorevole alla numerosa prole. Il lavoro di Lamarck fu molto apprezzato dallo stesso Darwin
che condivise il netto distacco dall’approccio creazionista. Tuttavia, fino agli anni settanta del secolo scorso le
due teorie furono lette in antitesi e la teoria di Darwin
venne ritenuta corretta dalla comunità scientifica internazionale. Con l’affermazione dell’epigenetica – il lavoro del biologo russo Trofim Denisovich Lysenko che
provò a dimostrare per assurdo l’influenza esclusiva
dell’adattamento all’ambiente – le due teorie iniziarono
a essere viste come integrazione una dell’altra.
La stessa tendenza, inoltre, sarebbe stata riscontrata da
altri esperimenti su animali dove gli effetti sull’espressione genica si sarebbe conservata per 40 generazioni
[2]. La letteratura scientifica in materia sembrerebbe
indicare che gli adattamenti epigenetici del Dna non
producono alcuna modifica della sequenze nucleotidiche anche nelle generazioni successive e che, una volta
rimosso lo stimolo iniziale, si assista a una riprogrammazione del gene alla situazione di partenza [3].
Queste scoperte hanno un’eccezionale importanza per
la medicina e la genetica tanto che alcuni ritengono
l’epigenetica seconda per importanza solo alla comprensione del concetto di gene [4]. Marcus Pembrey,
genetista inglese neo-lamarckiano, ipotizza che l’uomo
moderno, a causa dei repentini cambiamenti del proprio stile di vita nell’epoca post-industriale, abbia “costretto” il proprio genoma a dare risposte in termini di
adattamento all’ambiente molto più rapide rispetto al
passato [5]. Le conferme degli effetti duraturi
dell’adattamento all’ambiente sarebbero ormai notevoli
anche nel campo umano.
Il progetto di ricerca Avon longitudinal study of parents and children, condotto all’inizio degli anni novanta del secolo scorso dall’Università di Bristol su oltre 14
mila donne in gestazione ha evidenziato come alcuni
fattori quali l’uso di particolari sostanze, il fumo e stati
di ansia sarebbero responsabili rispettivamente di allergie, della tendenza all’obesità e di una maggiore predisposizione all’asma dei nascituri. Sebbene fino a oggi gli
studi di epigenetica abbiano riguardato soprattutto i
mammiferi, anche per la maggiore disponibilità di risorse economiche per l’applicazione dei risultati della
ricerca in campo medico, è crescente l’attenzione per il
regno vegetale dove i soggetti, a causa dell’immobilità,
potrebbero essere interessati ad adattamenti all’ambiente ancora maggiori al punto da essere presi in
considerazione come organismi modello [6]. In particolare, la letteratura si è concentrata su piante modello
anche di interesse agrario quali Arabidopsis, mais e riso
[7,8,9].
L’epigenetica
L’epigenetica (dal greco επί, epì = “sopra” e γεννετικός,
gennetikòs = “relativo all’eredità familiare”) muove i
primi passi negli anni quaranta del secolo scorso e studia quelle diversità osservabili nel fenotipo che non sono spiegabili da differenze nella sequenza del Dna, bensì alla loro sovrapposizione e interazione con “fattori”
che influenzano il comportamento funzionale e quindi
l’attività dei geni (espressione). L’epigenetica ha come
oggetto di lavoro le caratteristiche che sono trasmesse
da una generazione a un’altra e che non sono riconducibili ai rispettivi genotipi ma ai meccanismi molecolari
attraverso cui l’ambiente altera il grado di attività dei
geni senza tuttavia modificare l’informazione al’origine. Come è possibile che due individui identici e
quindi con la stessa sequenza nucleotidica presentino
fenotipo differente?
È come se due gemelli omozigoti presentassero un differente colore degli occhi o dei capelli alla nascita oppure nel corso della vita uno sviluppasse differenti malattie ereditarie rispetto all’altro. È da ricordare che, se da
una parte per definizione il fenotipo è il risultato
dell’interazione genotipo-ambiente, dall’altra il successo
di Darwin aveva spostato l’attenzione sulla prima variabile.
Le evidenze scientifiche più certe arriverebbero da uno
studio condotto sui topi da laboratorio nel 2003 dove
gli effetti di una dieta prenatale ricca di vitamina B (acido folico e vitamina B12) avrebbero avuto conseguenze
sull’espressione di alcuni geni coinvolti nell’obesità per
ben 13 generazioni [1].
I processi molecolari nelle piante
L’espressione genica è un processo complesso che né
Darwin né Lamarck conoscevano e che consiste nella
conversione in macromolecole, in genere proteine,
dell’informazione contenuta nel Dna mediante le sequenze nucleotidiche.
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Il processo è modulato in risposta a particolari stimoli
esterni che possono anche “accendere” o “spegnere” un
gene coinvolto nella risposta a questi ultimi.
Ecco perché due soggetti con lo stesso genoma ma sottoposti a stimoli diversi possono presentare fenotipi radicalmente diversi. La modulazione dell’espressione genica sembrerebbe avvenire attraverso specifici meccanismi che nelle piante sarebbero riconducibili prevalentemente a due: la metilazione del Dna e la modifica degli istoni. La metilazione del Dna sarebbe responsabile
della mancata espressione dei geni (gene silencing). Il
fenomeno consisterebbe nell’aggiunta di un gruppo metile (un atomo di carbonio legato a tre di idrogeno) a siti
specifici del dna rendendo così impossibile l’inizio della
trascrizione e l’azione degli enzimi coinvolti. Nei mammiferi, la metilazione del Dna avverrebbe solo su siti
con sequenza simmetrica (citosina-guanina), contrariamente a quanto avviene nelle piante dove gli eventi si
verificherebbero anche su sequenze asimmetriche di tre
basi (citosina seguita da una base tra adenina, citosina e
tamina e guanina oppure citosina seguita da due basi
tra adenina, citosina e tamina). Effetti simili sarebbero
provocati anche dalla modificazione degli istoni1 attraverso metilazione, acetilazione (aggiunta del gruppo
funzionale acetile -COCH3), fosforilazione (aggiunta di
un gruppo fosfato), ubiquitinazione (aggiunta di proteine della classe delle ubiquitine) e biotinilazione (aggiunta di biotina). In genere, processi di acetilazione,
ubiquitinazione e fosforilazione incrementano l’espressione dei geni a differenza della demetilazione e della
biotinilazione che la sopprimerebbero. Gli istoni del genere H3 e H4 sarebbero maggiormente soggetti a modifiche [6].
Tra i fenomeni epigenetici, la paramutazione è un evento osservato per la prima volta negli anni cinquanta el
secolo scorso in alcuni loci coinvolti nella biosintesi delle antocianine, composti che, per esempio, conferiscono
il colore alla granella in mais.
La paramutazione prevede che un particolare stato epigenetico sia associato a un allele detto paramutagenico
che trasferisce a un altro allele, detto paramutabile, le
proprietà conferite da quell’adattamento [6,10]. Nelle
generazioni successive l’allele si comporta come paramutagenico “contaminando” a sua volta altri alleli paramutabili dando origine a fenotipi con diverse modulazioni (in genere prossime al silenziamento del gene interessato) e portando dunque ben presto l’intera popolazione verso l’adattamento all’ambiente associato
all’allele paramutagenico [10]. Alleli con questo comportamento e cioè che conferiscono caratteristiche acquisite indipendentemente dalla sequenza sono chiamati epialleli e sono stati osservati in diverse specie animali e vegetali.
Le basi molecolari dei fenomeni epigenetici sono ancora
lontani da una chiara spiegazione. Sebbene sia abbastanza probabile il ruolo fondamentale della metilazione del Dna e della modifica della cromatina, gli ultimi
lavori ipotizzano che potrebbero esserci dei loci deputati al silenziamento dei geni.
L’evoluzione e l’agricoltura
Se da un lato riabilitano le osservazioni di Lamarck,
dall’altro, le evidenze portate negli ultimi decenni
dall’epigenetica non sono in contraddizione con la teoria darwiniana. Piuttosto, i due scienziati hanno osservato due aspetti diversi ma complementari per la comprensione dell’evoluzione delle specie. Darwin ha teorizzato quella parte del processo di evoluzione delle
specie che permette il “rinnovo” del genoma attraverso
la selezione di caratteri derivanti da mutazioni spontanee vantaggiose oppure mediante la moltiplicazione di
caratteri che prima erano patrimonio di pochi individui.
La teoria di Lamarck, invece, descrive la parte “conservatrice” del processo evolutivo in quanto gli adattamenti all’ambiente indispensabili alla sopravvivenza delle
specie sono trasmesse alle generazioni successive “mitigando” dunque le differenze genetiche. Le spinte rinnovatrici e conservative del processo di evoluzione vanno
comunque collocate in un contesto generale di equilibrio dinamico con l’ambiente e quindi suscettibili di
cambiamenti al suo variare.
L’affermazione dell’epigenetica conduce a una profonda
riflessione sulle prospettive del miglioramento genetico
delle piante. Questa branca della genetica offre ormai
un’argomentazione sicura e scientificamente supportata
sui motivi che fanno delle varietà “locali” quelle più efficienti alla coltivazione nello stesso ambiente. Questo
principio torna di grande attualità in quei contesti marginali, anche nell’ambito dei Paesi emersi, dove
l’obiettivo non è raggiungere rese di punta (proprie de-
1 Gli istoni sono proteine basiche cariche positivamente associate ai cromosomi degli organismi eucarioti. Gli istoni, grazie
all’interazione con il gruppo fosfato del Dna carico negativamente, formano i nucleosomi: unità fondamentale della cromatina, la materia di cui sono fatti i cromosomi.
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gli ibridi e delle sementi commerciali) ma ottenere medie rese con il minimo impiego di mezzi di produzione
grazie a varietà rustiche particolarmente tolleranti agli
stress propri di quell’ambiente. Quindi, accanto agli ibridi commerciali e alle sementi di pregio altamente
produttive, che danno i migliori risultati in condizioni
ottimali, popolazioni e linee locali potrebbero trovare
una vocazione nel miglioramento del reddito aziendale
quando le condizioni stazionalisi allontanano dalla condizione ottimale.
Il crescente peso dell’ambiente nella definizione del fenotipo, da una parte, e i bassi costi di sequenziamento
del genoma, dall’altra, potrebbero suggerire una crescente attenzione dei programmi di miglioramento genetico nei confronti delle valutazione dei dati fenologici
piuttosto che dell’analisi con marcatori molecolari. Infatti, le informazioni fornite dai marcatori molecolari
circa il genotipo potrebbero essere sostitute con una
completezza maggiore e con un costo conveniente dal
sequenziamento del Dna. Il ruolo dell’ambiente dovrebbe probabilmente essere rivalutato nelle prove varietali
sia per quanto riguarda la variabilità degli ambienti su
cui impostare le parcelle, sia sul numero di anni nei
quali effettuare le misure dei caratteri.
[6] Chen M., Lv S., Meng Y., 2010. Epigenetic performers in plants. Development, growth and differentiation,
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Andrea Bucci, dottore agronomo e giornalista pubblicista, è
caporedattore di Intersezioni.
www.intersezioni.eu
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[5] Pembrey M., Bygren L., Pembrey M., Sjostrom M.,
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