10 aprile 2013 29 Genetica Uguale ma diverso Andrea Bucci L’epigenetica riabilita la teoria lamarckiana evidenziando la grande rilevanza degli adattamenti all’ambiente nel miglioramento genetico moderno. “La selezione naturale agisce esclusivamente tramite la preservazione di variazioni in qualche modo vantaggiose, che, di conseguenza, si perpetuano. Ma siccome, a cagione della tendenza propria di tutti i viventi a moltiplicarsi secondo un andamento fortemente geometrico, tutte le regioni sono già sovraffollate di abitanti, tutte le forme selezionate e favorite cresceranno di numero nella stessa misura in cui le forme meno favorite diminuiranno e diventeranno rare. Come ci insegna la geologia, la rarità precorre l’estinzione”. È forse questo uno dei passaggi più significativi de L’origine delle specie per selezione naturale o la preservazione delle razze nella lotta per la vita, l’opera che Charles Darwin pubblicò in Inghilterra nel 1859 e che spiegava la teoria dell’evoluzione. La teoria, avanzata dal naturalista inglese solo dopo diversi anni di studi e di lunghi viaggi – il più famoso dei quali nell’arcipelago delle Galapagos – attraverso i quali osservò scrupolosamente la complessa relazione ambiente-specie, fu rivoluzionaria con grandi ripercussioni sulla società dell’epoca ed ebbe effetti che andarono ben oltre i confini della scienza. Secondo Darwin, le specie non sono immutabili, anzi le loro caratteristiche sono in equilibrio dinamico con l’ambiente che eserciterebbe una selezione verso quei gruppi che, essendo più capaci di rispondere alle condizioni esterne, risultano più forti e quindi in grado di produrre una prole numerosa. Il concetto chiave è “selezione naturale” e parte dal presupposto che, nell’ambito della stessa specie, tra i singoli individui esistono differenze che possono essere premiate o meno dalle condizioni ambientali. Le specie sarebbero quindi il risultato di un processo molto lungo (speciazione) partito dalle differenze presenti naturalmente negli in- dividui (gli antenati comuni) particolarmente adatti alla vita in un determinato ambiente. La forma della competizione tra specie e individui per l’accesso alle risorse naturali, l’ambiente agirebbe sugli esseri viventi scegliendo (selezionando) solo alcune varianti, per una determinata caratteristica, presenti nelle popolazioni. La teoria porta con sè una straordinaria novità anche da un punto di vista sociale e culturale, soprattutto in relazione al grande seguito che la Chiesa cattolica aveva a quel tempo e a un’interpretazione letterale delle sacre scritture. La teoria, infatti, pone l’accento sull’individualità del singolo affermando il carattere naturale della competizione per la sopravvivenza tra le specie e tra gli individui in apparente contrasto con i principi di uguaglianza e di solidarietà propri del cattolicesimo. Le idee di Darwin, fino a pochi anni fa, erano viste come superamento di una teoria precedente che per prima aveva attribuito un carattere dinamico alla storia naturale in aperto contrasto con il creazionismo: la teoria dell’evoluzione biologica di Jean Baptiste de Lamarck nota anche come teoria dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti. Il naturalista francese, vissuto qualche decennio prima di Darwin, sosteneva che gli esseri viventi, al fine di affrontare le condizioni ambientali, subivano pressioni che modificavano la struttura dei loro organi. Modifiche che gli esseri viventi sarebbero stati in grado di trasferire alle generazioni successive. L’esempio più famoso che Lamarck stesso usava per illustrare la propria teoria è quello degli elefanti la cui proboscide sarebbe il risultato della necessità degli animali di raggiungere le chiome degli alberi per alimentarsi. Generazione dopo generazione, la proboscide si sarebbe allungata sotto la pressione dell’esigenza crescente di raggiungere la vegetazione più tenera. Più la proboscide 1 10 aprile 2013 29 era lunga più l’animale aveva la possibilità di alimentarsi meglio avendo un vantaggio competitivo rispetto agli altri erbivori con strutture meno adatte. Gli animali alimentati meglio, inoltre, sarebbero capaci di trasferire la caratteristica favorevole alla numerosa prole. Il lavoro di Lamarck fu molto apprezzato dallo stesso Darwin che condivise il netto distacco dall’approccio creazionista. Tuttavia, fino agli anni settanta del secolo scorso le due teorie furono lette in antitesi e la teoria di Darwin venne ritenuta corretta dalla comunità scientifica internazionale. Con l’affermazione dell’epigenetica – il lavoro del biologo russo Trofim Denisovich Lysenko che provò a dimostrare per assurdo l’influenza esclusiva dell’adattamento all’ambiente – le due teorie iniziarono a essere viste come integrazione una dell’altra. La stessa tendenza, inoltre, sarebbe stata riscontrata da altri esperimenti su animali dove gli effetti sull’espressione genica si sarebbe conservata per 40 generazioni [2]. La letteratura scientifica in materia sembrerebbe indicare che gli adattamenti epigenetici del Dna non producono alcuna modifica della sequenze nucleotidiche anche nelle generazioni successive e che, una volta rimosso lo stimolo iniziale, si assista a una riprogrammazione del gene alla situazione di partenza [3]. Queste scoperte hanno un’eccezionale importanza per la medicina e la genetica tanto che alcuni ritengono l’epigenetica seconda per importanza solo alla comprensione del concetto di gene [4]. Marcus Pembrey, genetista inglese neo-lamarckiano, ipotizza che l’uomo moderno, a causa dei repentini cambiamenti del proprio stile di vita nell’epoca post-industriale, abbia “costretto” il proprio genoma a dare risposte in termini di adattamento all’ambiente molto più rapide rispetto al passato [5]. Le conferme degli effetti duraturi dell’adattamento all’ambiente sarebbero ormai notevoli anche nel campo umano. Il progetto di ricerca Avon longitudinal study of parents and children, condotto all’inizio degli anni novanta del secolo scorso dall’Università di Bristol su oltre 14 mila donne in gestazione ha evidenziato come alcuni fattori quali l’uso di particolari sostanze, il fumo e stati di ansia sarebbero responsabili rispettivamente di allergie, della tendenza all’obesità e di una maggiore predisposizione all’asma dei nascituri. Sebbene fino a oggi gli studi di epigenetica abbiano riguardato soprattutto i mammiferi, anche per la maggiore disponibilità di risorse economiche per l’applicazione dei risultati della ricerca in campo medico, è crescente l’attenzione per il regno vegetale dove i soggetti, a causa dell’immobilità, potrebbero essere interessati ad adattamenti all’ambiente ancora maggiori al punto da essere presi in considerazione come organismi modello [6]. In particolare, la letteratura si è concentrata su piante modello anche di interesse agrario quali Arabidopsis, mais e riso [7,8,9]. L’epigenetica L’epigenetica (dal greco επί, epì = “sopra” e γεννετικός, gennetikòs = “relativo all’eredità familiare”) muove i primi passi negli anni quaranta del secolo scorso e studia quelle diversità osservabili nel fenotipo che non sono spiegabili da differenze nella sequenza del Dna, bensì alla loro sovrapposizione e interazione con “fattori” che influenzano il comportamento funzionale e quindi l’attività dei geni (espressione). L’epigenetica ha come oggetto di lavoro le caratteristiche che sono trasmesse da una generazione a un’altra e che non sono riconducibili ai rispettivi genotipi ma ai meccanismi molecolari attraverso cui l’ambiente altera il grado di attività dei geni senza tuttavia modificare l’informazione al’origine. Come è possibile che due individui identici e quindi con la stessa sequenza nucleotidica presentino fenotipo differente? È come se due gemelli omozigoti presentassero un differente colore degli occhi o dei capelli alla nascita oppure nel corso della vita uno sviluppasse differenti malattie ereditarie rispetto all’altro. È da ricordare che, se da una parte per definizione il fenotipo è il risultato dell’interazione genotipo-ambiente, dall’altra il successo di Darwin aveva spostato l’attenzione sulla prima variabile. Le evidenze scientifiche più certe arriverebbero da uno studio condotto sui topi da laboratorio nel 2003 dove gli effetti di una dieta prenatale ricca di vitamina B (acido folico e vitamina B12) avrebbero avuto conseguenze sull’espressione di alcuni geni coinvolti nell’obesità per ben 13 generazioni [1]. I processi molecolari nelle piante L’espressione genica è un processo complesso che né Darwin né Lamarck conoscevano e che consiste nella conversione in macromolecole, in genere proteine, dell’informazione contenuta nel Dna mediante le sequenze nucleotidiche. 2 10 aprile 2013 29 Il processo è modulato in risposta a particolari stimoli esterni che possono anche “accendere” o “spegnere” un gene coinvolto nella risposta a questi ultimi. Ecco perché due soggetti con lo stesso genoma ma sottoposti a stimoli diversi possono presentare fenotipi radicalmente diversi. La modulazione dell’espressione genica sembrerebbe avvenire attraverso specifici meccanismi che nelle piante sarebbero riconducibili prevalentemente a due: la metilazione del Dna e la modifica degli istoni. La metilazione del Dna sarebbe responsabile della mancata espressione dei geni (gene silencing). Il fenomeno consisterebbe nell’aggiunta di un gruppo metile (un atomo di carbonio legato a tre di idrogeno) a siti specifici del dna rendendo così impossibile l’inizio della trascrizione e l’azione degli enzimi coinvolti. Nei mammiferi, la metilazione del Dna avverrebbe solo su siti con sequenza simmetrica (citosina-guanina), contrariamente a quanto avviene nelle piante dove gli eventi si verificherebbero anche su sequenze asimmetriche di tre basi (citosina seguita da una base tra adenina, citosina e tamina e guanina oppure citosina seguita da due basi tra adenina, citosina e tamina). Effetti simili sarebbero provocati anche dalla modificazione degli istoni1 attraverso metilazione, acetilazione (aggiunta del gruppo funzionale acetile -COCH3), fosforilazione (aggiunta di un gruppo fosfato), ubiquitinazione (aggiunta di proteine della classe delle ubiquitine) e biotinilazione (aggiunta di biotina). In genere, processi di acetilazione, ubiquitinazione e fosforilazione incrementano l’espressione dei geni a differenza della demetilazione e della biotinilazione che la sopprimerebbero. Gli istoni del genere H3 e H4 sarebbero maggiormente soggetti a modifiche [6]. Tra i fenomeni epigenetici, la paramutazione è un evento osservato per la prima volta negli anni cinquanta el secolo scorso in alcuni loci coinvolti nella biosintesi delle antocianine, composti che, per esempio, conferiscono il colore alla granella in mais. La paramutazione prevede che un particolare stato epigenetico sia associato a un allele detto paramutagenico che trasferisce a un altro allele, detto paramutabile, le proprietà conferite da quell’adattamento [6,10]. Nelle generazioni successive l’allele si comporta come paramutagenico “contaminando” a sua volta altri alleli paramutabili dando origine a fenotipi con diverse modulazioni (in genere prossime al silenziamento del gene interessato) e portando dunque ben presto l’intera popolazione verso l’adattamento all’ambiente associato all’allele paramutagenico [10]. Alleli con questo comportamento e cioè che conferiscono caratteristiche acquisite indipendentemente dalla sequenza sono chiamati epialleli e sono stati osservati in diverse specie animali e vegetali. Le basi molecolari dei fenomeni epigenetici sono ancora lontani da una chiara spiegazione. Sebbene sia abbastanza probabile il ruolo fondamentale della metilazione del Dna e della modifica della cromatina, gli ultimi lavori ipotizzano che potrebbero esserci dei loci deputati al silenziamento dei geni. L’evoluzione e l’agricoltura Se da un lato riabilitano le osservazioni di Lamarck, dall’altro, le evidenze portate negli ultimi decenni dall’epigenetica non sono in contraddizione con la teoria darwiniana. Piuttosto, i due scienziati hanno osservato due aspetti diversi ma complementari per la comprensione dell’evoluzione delle specie. Darwin ha teorizzato quella parte del processo di evoluzione delle specie che permette il “rinnovo” del genoma attraverso la selezione di caratteri derivanti da mutazioni spontanee vantaggiose oppure mediante la moltiplicazione di caratteri che prima erano patrimonio di pochi individui. La teoria di Lamarck, invece, descrive la parte “conservatrice” del processo evolutivo in quanto gli adattamenti all’ambiente indispensabili alla sopravvivenza delle specie sono trasmesse alle generazioni successive “mitigando” dunque le differenze genetiche. Le spinte rinnovatrici e conservative del processo di evoluzione vanno comunque collocate in un contesto generale di equilibrio dinamico con l’ambiente e quindi suscettibili di cambiamenti al suo variare. L’affermazione dell’epigenetica conduce a una profonda riflessione sulle prospettive del miglioramento genetico delle piante. Questa branca della genetica offre ormai un’argomentazione sicura e scientificamente supportata sui motivi che fanno delle varietà “locali” quelle più efficienti alla coltivazione nello stesso ambiente. Questo principio torna di grande attualità in quei contesti marginali, anche nell’ambito dei Paesi emersi, dove l’obiettivo non è raggiungere rese di punta (proprie de- 1 Gli istoni sono proteine basiche cariche positivamente associate ai cromosomi degli organismi eucarioti. Gli istoni, grazie all’interazione con il gruppo fosfato del Dna carico negativamente, formano i nucleosomi: unità fondamentale della cromatina, la materia di cui sono fatti i cromosomi. 3 10 aprile 2013 29 gli ibridi e delle sementi commerciali) ma ottenere medie rese con il minimo impiego di mezzi di produzione grazie a varietà rustiche particolarmente tolleranti agli stress propri di quell’ambiente. Quindi, accanto agli ibridi commerciali e alle sementi di pregio altamente produttive, che danno i migliori risultati in condizioni ottimali, popolazioni e linee locali potrebbero trovare una vocazione nel miglioramento del reddito aziendale quando le condizioni stazionalisi allontanano dalla condizione ottimale. Il crescente peso dell’ambiente nella definizione del fenotipo, da una parte, e i bassi costi di sequenziamento del genoma, dall’altra, potrebbero suggerire una crescente attenzione dei programmi di miglioramento genetico nei confronti delle valutazione dei dati fenologici piuttosto che dell’analisi con marcatori molecolari. Infatti, le informazioni fornite dai marcatori molecolari circa il genotipo potrebbero essere sostitute con una completezza maggiore e con un costo conveniente dal sequenziamento del Dna. Il ruolo dell’ambiente dovrebbe probabilmente essere rivalutato nelle prove varietali sia per quanto riguarda la variabilità degli ambienti su cui impostare le parcelle, sia sul numero di anni nei quali effettuare le misure dei caratteri. [6] Chen M., Lv S., Meng Y., 2010. Epigenetic performers in plants. Development, growth and differentiation, 52, 555-566. [7] Zhang X., Yazaki J., Sundaresan A., Cokus S., Chan SW., Chen H., Henderson IR., Shinn P., Pellegrini M., Jacobsen S. E., Ecker J. R., 2006. Genome-wide highresolution mapping and functional analysis of dna methylation in Arabidopsis. Cell, 126, 1189–1201. [8] Wang X., Elling AA., Li X., Li N., Peng Z., He G., Sun H., Qi Y., Liu X S., Deng XW., 2009. Genome-wide and organ-specific landscapes of epigenetic modifications and their relationships to mrna and small rna transcriptomes in maize. Plant cell, 21, 1053–1069. [9] Kapoor M., Arora R., Lama T., Nijhawan A., Khurana JP., Tyagi AK., Kapoor S. 2008. Genome-wide identification, organization and phylogenetic analysis of dicer-like, argonaute and rna-dependent rna polymerase gene families and their expression analysis during reproductive development and stress in rice. Bmc genomics, 9, 451. [10] Martienssen R., 1996. Epigenetic phenomena: Paramutation and gene silencing in plants, Current biology, 7, 810-813. Riferimenti bibliografici [1] Waterland R., Jirde R., 2003. 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