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Nota biografica su Danilo Dolci
di Chiara Mazzoleni
Intellettuale triestino, nato a Sesana nel 1924, all’inizio degli anni ‘50 si stabilisce nella Sicilia più
misera, dopo l’esperienza presso la comunità di Nomadelfia, a fianco di don Zeno. Nell’area dei
comuni che si affacciano sul Golfo di Castellammare, vicino a Palermo, nel corso degli anni ‘50 e
‘60, svolge un’attiva opera di intervento sociale per il riscatto delle società locali dalle condizioni di
miseria e l’avvio di un’esperienza di sviluppo endogeno orientata verso forme di autoorganizzazione. I principi che informano la sua azione sono sostanzialmente quello della
nonviolenza attiva - digiuni, scioperi alla rovescia, “pressioni” sociali etc. - e quello educativo, teso
a innalzare il tenore di vita della comunità e a favorire lo sviluppo della cooperazione e di azioni
solidaristiche, attraverso la ricerca di un dialogo costante con la società locale.
I suoi metodi di lotta nonviolenta, contrassegnati da approdi concreti, diventano ben presto famosi:
dal primo digiuno sul letto di un bambino morto di fame (ottobre 1952), al digiuno “dei mille” di
Trappeto (nel 1956), che prelude allo sciopero alla rovescia intrapreso per rendere transitabile una
trazzera locale, al conseguente primo arresto che mobiliterà i maggiori intellettuali di sinistra in sua
difesa.
L’esperienza del Centro per la piena occupazione (poi Centro studi e iniziative) di Partinico, che
Dolci fonda con l’aiuto di collaboratori volontari giunti da varie parti d’Italia e dall’estero, è
sicuramente una tra quelle più rilevanti di sviluppo di comunità (insieme alle esperienze attivate dal
Movimento di Comunità, promosso da Adriano Olivetti) sviluppatesi in Italia nell’immediato
dopoguerra. Alla costruzione del progetto comunitario e di pianificazione organica fondata sulla
partecipazione e promozione sociale, iniziati da Dolci nel corso degli anni ‘50, collaborano
attivamente esponenti di diverse discipline (urbanisti-architetti, sociologi, agronomi, economisti
etc.), tra i quali Ludovico Quaroni, Carlo Doglio, Bruno Zevi, Edoardo Caracciolo, Giovanni
Michelucci, Lamberto Borghi, Paolo Sylos Labini, Sergio Steve, Giorgio Fuà, Giovanni
Haussmann, Carlo Levi, Georges Friedmann, Alfred Sauvy.
All’interno di questa esperienza assume connotati peculiari sia il processo di pianificazione dal
basso, che si fonda sul lavoro di gruppo e sull’interazione dialogica, sia la traduzione di obiettivi di
sviluppo in concrete azioni, secondo una prospettiva pragmatistica ispirata al pensiero di Dewey.
Tra le azioni intraprese con il concorso della popolazione e costanti pressioni, la più rilevante è la
costruzione della diga sul fiume Jato, opera fondamentale per la valorizzazione delle risorse
agricole locali e di conseguenza per l’avvio del processo di sviluppo dell’area. Parallelamente a
questa azione si svolge anche lo sforzo incessante di indagine sul contesto, teso da un lato a
denunciare le condizioni di vita della popolazione, le situazioni di spreco di risorse (tra le quali
soprattutto lo spreco di risorse umane), le collusioni tra mafia e sistema politico, l’assenza di una
nozione di diritto e di un ambiente realmente democratico, fondamentali per la costruzione di una
società civile, dall’altro a individuare le risorse locali da valorizzare per la promozione di un
processo di sviluppo endogeno dell’area. Questo ampio lavoro di indagine sta alla base della
proposta di pianificazione organica, avanzata dal Centro studi e iniziative, per lo sviluppo dell’area
compresa tra le valli del Belice, dello Jato e del Carboi sconvolta dal terremoto del 1967.
Ciò che distingue maggiormente l’esperienza di Dolci rispetto ad altre di sviluppo di comunità è
l’esperienza educativa, di “valorizzazione sociale” fondata sul metodo maieutico, ossia sul
reciproco scambio, sulla partecipazione attiva del soggetto e sulla vera comunicazione in grado di
aiutare lo stesso - in analogia con l’azione della “levatrice”, alla quale rinvia il termine maieutica - a
ritrovare in se stesso la verità e a farla emergere. Come Dolci afferma «per comunicare è necessario
che ognuno sia creativo nell’ascoltare-interpretare, così come nell’esprimersi, non solo
verbalmente... per questo non può esistere alcuna [vera] comunicazione di massa».
In questa prospettiva assume aspetti peculiari anche il lavoro di indagine, di interpretazione e di
comprensione del contesto locale, che si svolge in particolare attraverso il costante dialogo con la
società nella forma delle storie di vita. E appunto queste ultime costituiscono la parte più rilevante e
significativa delle indagini sul contesto della Sicilia occidentale, raccolte nei libri-inchiesta più noti
di Dolci, i quali avranno un’ampia diffusione anche all’estero. Non solo, il metodo
dell’autobiografia costituirà un’anticipazione importante destinata ad esercitare una significativa
influenza sugli sviluppi della ricerca sociologica in Italia.
Con la creazione del Centro educativo di Mirto, dall’inizio degli anni ‘70, Dolci orienta la propria
azione sulla costruzione di un sistema educativo ispirato ai principi dell’attivismo pedagogico,
alternativo a quello tradizionale e in questa direzione prosegue la propria esperienza di
“valorizzatore” sociale. «Educare un mondo congruo a vivere - come affermerà negli anni ‘80 - in
cui l’umano uno senta necessario scoprire e attuare un’unità più complessa, forse significa formare
laboratori maieutici in cui, valorizzando anche tempi e spazi diversi ognuno possa risultare levatrice
ad ognuno... in cui la struttura ambientale condizioni in modo organicamente liberatorio dalle
diverse forme di oppressione, ignoranza, ansia, paura, attraverso la continua ricerca».
Sull’importanza fondamentale dell’agire comunicativo inteso come il solo ambito nel quale - come
afferma Habermas dialogando con Dolci - «la struttura della nostra personalità, del nostro io, si può
evolvere poiché il nostro io interiore più profondo è il prodotto di strutture comunicative», si
concentra da diversi anni la riflessione e l’impegno di Dolci. Al “manifesto” del comunicare quale
legge per la vita, che Dolci propone nella seconda metà degli anni ‘80, aderiscono studiosi di
diversa formazione tra i quali, oltre ad Habermas, Noam Chomsky, Lamberto Borghi, Paulo Freire,
Johan Galtung, Giovanni Michelucci, Paolo Sylos Labini, Carlo Rubbia, Rita Levi Montalcini.
Breve bibliografia
Tra le opere di Dolci si segnalano in particolare:
Banditi a Partinico, Laterza, Bari 1955;
Inchiesta a Palermo, Einaudi, Torino 1956;
Spreco. Documenti e inchieste su alcuni aspetti dello spreco nella Sicilia Occidentale, Einaudi,
Torino 1960;
Verso un mondo nuovo, Einaudi, Torino 1964;
Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; (a cura di Dolci),
Comunicare quale legge per la vita, Lacaita, Bari, 1995;
La struttura maieutica e l’evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996.
Sull’esperienza di pianificazione organica si veda: M. di Maio, G. Carta, «Il Piano di sviluppo
urbanistico delle valli del Belice, del Carboi e dello Jato», in Urbanistica, n. 56, 1970.
Sull’esperienza di Dolci e del Centro da lui promosso si rinvia a G. Spagnoletti, Conversazioni con
Danilo Dolci, Mondadori, Milano 1977 e C. Mazzoleni, «Un laboratorio di sviluppo comunitario: il
Centro per la piena occupazione di Danilo Dolci a Partinico», in Urbanistica, n. 108, di prossima
pubblicazione.
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