Linee guida TUMORI DEL RENE LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Coordinatore: Giacomo Cartenì Segretario Scientifico: Mimma Rizzo Estensori: Sergio Bracarda, Giuseppe Di Lorenzo, Cristina Masini, Cinzia Ortega, Rodolfo Passalacqua, Camillo Porta, Giuseppe Procopio Referee AIOM Referee AURO con la collaborazione del Dott. Giovanni Pappagallo 2 Sandro Pignata Michele Guida Giario Conti LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Indice 1. 2. Epidemiologia e fattori patogenetici ............................................................................................. 4 Diagnosi e stadiazione .................................................................................................................. 5 2.1 Diagnosi .................................................................................................................................. 5 2.2 Stadiazione TNM .................................................................................................................... 6 3. Fattori prognostici e predittivi ...................................................................................................... 8 4. Trattamento chirurgico................................................................................................................ 13 4.1 Trattamento chirurgico della malattia localizzata ................................................................. 13 4.2 Ruolo della chirurgia nella malattia metastatica ................................................................... 17 4.3 Follow-up dopo chirurgia radicale ........................................................................................ 21 5. Terapia adiuvante e neoadiuvante alla chirurgia ........................................................................ 23 5.1 Terapia adiuvante .................................................................................................................. 23 5.2 Terapia neoadiuvante ............................................................................................................ 26 6. Trattamento medico della malatia avanzata ................................................................................ 29 6.1 Opzioni terapeutiche di prima linea ...................................................................................... 29 6.2 Opzioni terapeutiche di seconda linea .................................................................................. 32 6.3 Algoritmo terapeutico riassuntivo......................................................................................... 36 7. Gestione del paziente fragile ....................................................................................................... 37 7.1 Trattamento del paziente con insufficienza renale................................................................ 37 7.2 Trattamento del paziente anziano ......................................................................................... 40 8. Gestione delle tossicità associate ai farmaci biologici ................................................................ 44 9. Livello di evidenza e grado di raccomandazione ........................................................................ 50 10. Algoritmi ..................................................................................................................................... 51 11. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE ............................................................... 57 3 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE 1. Epidemiologia e fattori patogenetici Il carcinoma renale (renal cell carcinoma, RCC) rappresenta in Europa il 3% di tutte le neoplasie dell’adulto con una più alta incidenza nelle nazioni occidentali. In Europa si registra un incremento generale dell’incidenza pari al 2% per decade ed ascrivibile principalmente alla diagnosi delle neoplasie di piccole dimensioni ottenuta grazie all’utilizzo dell’ecografia e della tomografia assiale computerizzata (TC). Il picco di incidenza occorre tra i 60-70 anni con una rapporto uomo-donna di 2:1 (1). Le stime per l’Italia si assestano, nell’ambito di questo range, tra i valori più alti: il tumore del rene rappresenta il 2.9% del totale delle diagnosi tumorali, con il 3.5% nei maschi e il 2.3% nelle femmine; in termini di mortalità rappresenta il 2,5% del totale dei decessi per neoplasia nei maschi e l’1,8% nelle femmine. L’incidenza del tumore del rene è in crescita nel corso del tempo, mentre la mortalità è in riduzione (Associazione italiana dei registri tumori, AIRTUM) (2). I principali fattori di rischio sono il fumo, l’obesità, l’ipertensione e la malattia cistica renale (1). Le neoplasie renali possono insorgere nel 50-80% dei soggetti affetti dalla sindrome di von HippelLindeau (malattia autosomica dominante). La lesione molecolare associata a tale sindrome interessa il gene oncosoppressore, VHL, che risulta inattivato in uno degli alleli. La neoplasia renale insorge in caso di inattivazione dell’altro allele per mutazione somatica, è generalmente precoce e multifocale. L’inattivazione del gene oncosoppressore VHL viene riscontrata anche nei tumori renali sporadici; in tal caso l’inattivazione del gene è il risultato di mutazioni somatiche in grado di inattivare entrambi gli alleli e la neoplasia tende ad essere unifocale. Le forme associate alla sindrome di von Hippel -Lindeau rivelano una delezione del braccio corto del cromosoma 3 (regione 3p14); nelle forme sporadiche sono state rilevate alterazioni singole o multiple a carico del braccio corto del cromosoma 3 ed a carico dei cromosomi 11, 13, 17 (specie nei carcinomi cromofobi). L’oncosoppressore VHL codifica per una proteina coinvolta nella degradazione della subunità α del fattore-1 inducibile dall’ipossia (hypoxiainducible factor-alpha, HIF-1α), un fattore trascrizionale eterodimerico che regola un programma d’espressione genica volto a favorire l’adattamento dei tessuti in condizioni ipossiche. Dissimilmente da quanto accade in assenza di mutazioni, le cellule, sprovviste del gene VHL, accumulano HIF -1α anche in condizione di normale ossigenazione e ciò si traduce in un’inappropriata iperespressione dei geni HIF-regolati e nella conseguente iperproduzione di fattori pro-angiogenici, come il vascular endothelial growth factor (VEGF), il platelet-derived growth factor-β (PDGF-β) ed il trasforming growth factor-α (TGF-α) [3]. Lo studio del gene oncosoppressore VHL e di una serie di meccanismi attivati a cascata dalla sua inattivazione ha rappresentato il primum movens per la conoscenza di alcune proteine cruciali nella crescita del tumore e nel processo di metastatizzazione, oggi bersaglio con successo della tera pia farmacologica definita “targeted therapy” (Figura 1). BEVACIZUMAB VEGF Trap HIF VEGF PDGF VEGFR SORAFENIB, SUNITINIB, AXITINIB, PAZOPANIB, CEDIRANIB PDGFR TEMSiROLIMUS EVEROLIMUS EGF EGFR SORAFENIB, SUNITINIB, AXITINIB, PAZOPANIB, IMATINIB ERLOTINIB, GEFITINIB LAPATINIB Figura 1 - Pathways molecolari implicati nel carcinoma renale e potenziali targets dei farmaci biologici 4 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Sintesi Il carcinoma renale rappresenta il 3% di tutte le neoplasie dell’adulto I principali fattori di rischio sono il fumo, l’obesità, l’ipertensione e la malattia cistica renale Le neoplasie renali possono insorgere nel 50-80% dei soggetti affetti da sindrome di von Hippel-Lindau Una migliorata conoscenza della biologia molecolare del carcinoma renale ha rappresentato il primum movens per l’individuazione di rilevanti target terapeutici Bibliografia 1. 2. 3. 2. Rini BI, Campbell SC, Escudier B. Renal cell carcinoma. Lancet 2009; 373 (9669):1119-32. Associazione italiana dei registri tumori (AIRTUM). Registri Tumori-Tumore delle vie www.registri.tumori.it Porta C, Imarisio I, Paglino C, et al. Targeting angiogenesis in renal cell carcinoma: the present role of sorafenib and sunitinib. Adv Oncol 2007; 2:8-12. urinarie. Diagnosi e stadiazione 2.1 Diagnosi La diagnosi di carcinoma renale è principalmente basata su metodiche diagnostiche di imaging. Il carcinoma renale si presenta alla diagnosi come confinato al rene nel 55% dei casi, localmente avanzato nel 19% dei casi, con metastasi sincrone nel 20% dei casi. Il 30% circa dei pazienti trattati radicalmente per una neoplasia confinata, svilupperanno comunque metastasi metacrone nel corso della loro vita. Le dimensioni della neoplasia primitiva non correlano con il rischio di metastatizzazione extra-renale 1. Il 60% circa delle neoplasie renali sono diagnosticate casualmente, come diretta conseguenza dell’uso, sempre più estensivo, di diagnostiche per immagini addominali in pazienti non sospetti in senso oncologico. Per tale motivo, la classica triade composta da ematuria, dolore lombare e presenza di una massa palpabile a tale livello, appare assai meno frequente che nel recente passato. Il carcinoma renale può inoltre essere associato a tutta una serie di sindromi paraneoplastiche, peraltro usualmente aspecifiche, comprendenti: alterazioni della funzionalità epatica (non correlate alla presenza di metastasi in tale sede e tipicamente spontaneamente reversibili dopo nefrectomia, note anche come sindrome di Stauffer), ipertensione, poliglobulia, sindrome anoressia/cachessia, ecc 2. Ad oggi, non esistono markers tumorali di una qualsivoglia utilità per il carcinoma renale. Tuttavia, vale la pena ricordare che esistono delle alterazioni ematochimiche relativamente comuni ma drammaticamente aspecifiche, di origine paraneoplastica, relativamente frequenti in caso di carcinoma renale avanzato; tra queste vanno ricordate l’anemia o, al contrario, l’eritrocitosi, l’ipercalcemia, l’ipoalbuminemia, la trombocitosi, piuttosto che l’elevazione di indici di fase acuta quali la VES e la PCR. L’esame strumentale attraverso il quale viene più frequentemente diagnosticata una neoplasia renale, è l’ecografia. Ovviamente, lesioni ecograficamente sospette in senso oncologico possono essere meglio caratterizzate mediante il ricorso alla tomografia computerizzata (TC) o alla risonanza magnetica nucleare (RMN). La TC ha dimostrato di possedere, anche nei tumori di piccole dimensioni, la sensibilità più elevata, con valori compresi tra 94% e 100%. La TC rappresenta la miglior indagine disponibile per il planning preoperatorio e la stadiazione del carcinoma renale poiché consente oltre alla valutazione della lesione renale anche la valutazione dello spazio peri- e pararenale contiguo, delle strutture adiacenti (muscolo psoas e quadrato dei lombi, parete addominale laterale e posteriore, fegato, surreni, milza, pancreas ed intestino), delle strutture vasali (vena renale e vena cava inferiore), dei linfonodi periaortocavali e di eventuali localizzazioni secondarie a distanza [3, 4]. La risonanza magnetica si pone come valida alternativa alla suddetta tecnica nei pazienti con allergia al mezzo di contrasto, nelle stato di gravidanza e per la caratterizzazione delle lesioni complesse [4]. In particolar modo, la risonanza magnetica è utile nel caratterizzare le lesioni a contenuto emorragico non 5 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE recente (non definibile con la TC) e nel definire la resecabilità di una neoplasia del polo renale superiore nei confronti del fegato o della milza [4]. Metodiche di indagine facoltative possono comprendere l’urografia, l’arteriografia renale piuttosto che la cavografia, da effettuarsi nel caso di una trombosi neoplastica della vena renale estesa alla cava. La scintigrafia ossea dovrebbe essere eseguita in caso di segni o sintomi suggestivi di metastatizzazione ossea, ma non dovrebbe essere considerata un esame di routine. Similarmente, una TC dell’encefalo dovrebbe essere riservata solo a pazienti con sintomatologia neurologica suggestiva 5. Per quanto riguarda la PET con fluoro-desossi-glucosio (18FDG-PET), la scarsa avidità del carcinoma renale a cellule chiare per il glucosio, la rende una metodica non standard associata ad un rischio elevato di falsi negativi 6. L’esecuzione di una biopsia renale eco-guidata o TC-guidata è oggi considerata una procedura diagnostica di routine nella caratterizzazione delle masse renali di dubbia natura; il timore di un aumentato rischio di complicazioni emorragiche o di colonizzazione neoplastica lungo il tratto bioptico appartengono oramai al passato 7. Sintesi L’esame strumentale attraverso il quale viene più frequentemente diagnosticata una neoplasia renale, è l’ecografia Lesioni ecograficamente sospette in senso oncologico possono essere meglio caratterizzate mediante il ricorso a TC o RMN La TC rappresenta la miglior indagine disponibile per il planning preoperatorio e la stadiazione del carcinoma renale 2.2 Stadiazione TNM Nel 2010 è entrata in vigore la settima edizione della classificazione TNM (Tabella 1) [8]. Stadiazione TNM T: Tumore primario Tx Tumore primario non valutabile T0 Nessuna evidenza di tumore primario T1 Tumore ≤ 7 cm nella dimensione massima, confinato al rene T1a Tumore con diametro maggiore ≤ 4 cm, confinato al rene T1b Tumore con diametro maggiore compreso tra 4 e 7 cm, confinato al rene T2 Tumore ˃ 7 cm nella dimensione massima, confinato al rene T2a Tumore con diametro maggiore compreso tra 7 e 10 cm T2b Tumore con diametro maggiore > 10 cm T3 Tumore che si estende nelle vene maggiori o nei tessuti perirenali, ma non attraversa la fascia del Gerota e non invade la ghiandola surrenale ipsilaterale T3a Tumore che si estende macroscopicamente nella vena renale o interessa le succursali o invade il tessuto adiposo perirenale e/o del seno renale, ma non supera la fascia di Gerota T3b Tumore che si estende macroscopicamente nella vena cava al di sotto del diaframma T3c Tumore che si estende macroscopicamente nella vena cava al di sopra del diaframma o invade la parete della vena cava T4 Tumore che si estende oltre la fascia del Gerota (inclusa l’estensione nella ghiandola surrenale ipsilaterale) 6 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Stadiazione TNM N: Linfonodi regionali Nx I linfonodi regionali non possono essere individuati N0 Nessuna metastasi nei linfonodi regionali N1 Metastasi in un singolo linfonodo regionale N2 Metastasi in più di un linfonodo regionale M: Metastasi a distanza Mx Le metastasi a distanza non possono essere valutate M0 Nessuna evidenza di metastasi a distanza M1 Metastasi a distanza Stadio I T1 N0 M0 Stadio II T2 N0 M0 Stadio III T3 T1, T2, T3 N0 N1 M0 M0 Stadio IV T4 Ogni T Ogni T Ogni N N2 Ogni N M0 M0 M1 Tabella 1 – Sistema di classificazione TNM, aggiornato nel 2009. Alcuni ricercatori della Mayo Clinic di Rochester ne hanno valutato l'abilità predittiva rispetto alla precedente versione del 2002 utilizzando il registro delle nefrectomie del loro istituto e riesaminando retrospettivamente le cartelle cliniche di 3996 pazienti con carcinoma renale unilaterale o bilaterale sincrono trattati con nefrectomia radicale o nephron-sparing. La stima della percentuale di sopravvivenza cancrospecifica a 10 anni è stata del 96%, 80%, 66%, 55%, 36%, 26%, 25% e 12% per i pazienti stadiati rispettivamente come pT1a, pT1b, pT2a, pT2b, pT3a, pT3b, pT3c e pT4 secondo la recente classificazione [9]. Gli autori dello studio asseriscono che la nuova classificazione ha apportato un miglioramento, seppur modesto, dell’abilità predittiva cancro-specifica rispetto alla precedente classificazione del 2002 suddividendo le lesioni pT2 in pT2a e pT2b, riclassificando il coinvolgimento surrenale omolaterale come pT4 e il coinvolgimento della vena renale come pT3a [9]. Bibliografia 1. Klatte T, Patard JJ, de Martino M, Bensalah K, Verhoest G, de la Taille A, Abbou CC, Allhoff EP, Carrieri G, Riggs SB, Kabbinavar FF, Belldegrun AS, Pantuck AJ. Tumor size does not predict risk of metastatic disease or prognosis of small renal cell carcinomas. J Urol 2008;179:1719-26. 7 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 3. de Oliveira Filgueira PH, Vasconcelos LF, da Silva GB, Daher Ede F. Paraneoplastic syndromes and the kidney. Saudi J Kidney Dis Transpl 2010;21:222-31. Pozzi-Mucelli R, Rimondini A, Morra A. Radiologic evaluation in planning surgery of renal tumors. Abdom Imaging 2004; 29(3): 312-9. Reznek RH. CT/MRI in staging renal cell carcinoma. Cancer Imaging 2004; 4 Spec No A:S25-32. Doehn C, Kausch I. Diagnosis of renal cancer. IN Schwab M (Ed.) Encyclopedia of renal cancer. Springer-Verlag (Berlin, Germany) 2009;100-4. Kang DE, White RL Jr, Zuger JH, Sasser HC, Teigland CM. 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Tra questi, il grado di Fuhrman rimane il fattore prognostico accreditato di maggior rilevanza [1] [2]. Per quanto concerne il valore prognostico dell’istotipo i principali sottotipi di RCC, in grado di rappresentare la quasi totalità di neoplasie renali maligne, sono quello a cellule chiare, il papillare ed il cromofobo. Molti studi hanno confermato come l’istologia mantenga una validità prognostica in modelli univariati, descrivendo il carcinoma a cellule chiare come sottotipo maggiormente aggressivo, seguito dal papillare e dal cromofobo. D’altra parte, nei modelli multivariati, la significatività prognostica dell’istologia viene persa, suggerendo che stadio e grading del tumore abbiano un maggiore impatto sulla prognosi rispetto alle caratteristiche istotipiche [3]. Caratteristiche cliniche Tra le caratteristiche cliniche rilevanti da un punto di vista prognostico il primo da citare è il Performance Status (PS), che può essere classificato secondo due modelli, quello ideato dall’Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG), e quello di Karnofsky. Entrambi sono sistemi di classificazione dello stato clinico del paziente e quindi dell’impatto della malattia sulla sua salute generale. Si basano entrambi sulla stratificazione dei pazienti in relazione alla loro disabilità funzionale. Altri fattori clinici che possono essere usati per la loro valenza prognostica sono rappresentati dall’asportazione o meno del tumore primario e dai precedenti eventuali trattamenti. Anche alcuni parametri di laboratorio (anemia, ridotta conta dei neutrofili, riscontro di trombocitosi) sono stati correlati ad un peggioramento dell’outcome clinico. Infine, è stato dimostrato che pazienti con sintomi di cachessia (calo ponderale, anoressia, astenia, ipoalbuminemia) presentano tassi di sopravvivenza peggiori [4]. Caratteristiche molecolari Nell’ultimo decennio gli sforzi della ricerca si sono concentrati soprattutto nell’approfondimento della conoscenza dei meccanismi molecolari implicati nella patogenesi dell’RCC ed hanno consentito di delineare con maggiore chiarezza il profilo biologico di questa neoplasia. Molte di queste scoperte potrebbero tradursi concretamente anche in un miglioramento della pratica clinica. 8 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE L’analisi dei markers molecolari, interpretati in relazione al loro valore predittivo di risposta ad un dato trattamento, potrà infine trovare utilità nella selezione dei pazienti in grado di trarre i maggiori benefici clinici dalle terapie mirate. Numerosi sono i markers attualmente in fase di validazione per la loro possibile correlazione con l’outcome clinico. Tra questi si annoverano: l’anidrasi carbonica IX (CaIX), il vascolar endothelial growth factor (VEGF), il fattore inducibile dall’ipossia (HIF), Ki67, p53, PTEN, E-caderina, CD44 [5,6]. Motzer e Coll. hanno recentemente pubblicato i risultati di un’analisi dell’espressione e dei livelli plasmatici di VEGF e di VEGFR in pazienti in trattamento con sunitinib: nei 63 pazienti valutati, l’andamento dei livelli circolanti di VEGF, VEGFR-2 e VEGFR-3 nel corso del trattamento era correlato significativamente alla risposta obiettiva [7]. Infine, la recente mappatura dell’espressione genica ha identificato 259 geni che potrebbero essere utili per predire la sopravvivenza nell’RCC, indipendentemente dai fattori prognostici clinici tradizionali; l’applicabilità di un simile approccio alla pratica clinica è tuttavia ancora lontano dall’essere confermato. Sistemi prognostici e nomogrammi Nel passato i sistemi prognostici per l’RCC si sono basati quasi esclusivamente sulla valutazione di parametri clinici ed istopatologici come la classificazione TNM, il performance status, il grado di Fuhrman etc. In un’analisi multivariata retrospettiva su oltre 600 pazienti affetti da carcinoma renale metastatico ed arruolati in numerosi trials condotti negli anni ’80, Elson e Coll. hanno identificato 5 indicatori di sopravvivenza: l’ECOG PS, il periodo di tempo intercorso tra la diagnosi ed il primo trattamento sistemico, il numero delle sedi metastatiche, le precedenti chemioterapie citotossiche ed il calo ponderale; In relazione a questi fattori, gli autori hanno stratificato i pazienti in 5 gruppi caratterizzati da sopravvivenze molto diverse [8]. Successivamente sono stati delineati numerosi modelli integrati volti ad analizzare nella loro globalità fattori clinici, patologici e dati di laboratorio al fine di predire la sopravvivenza in modo più accurato ed identificare i pazienti con un rischio maggiore di ricorrenza della malattia. Tra questi, i due più diffusamente utilizzati nella pratica clinica e nelle sperimentazioni sono il MSKCC (Memorial Sloan Kettering Cancer Center) e l’UISS (University of California at Los Angeles Integrated Staging System). I criteri del Memorial Sloan Kettering Center o criteri di Motzer Motzer e Coll., valutando 670 pazienti affetti da RCC in fase avanzata e trattati con immunoterapia o chemioterapia, hanno individuato 5 fattori pre-trattamento significativamente correlati con una sopravvivenza più breve: un Karnofsky PS basso (<80%), alti livelli di LDH (>1,5 x ULN), bassi livelli di emoglobina, elevata calcemia corretta (>10 mg/dl) e l’assenza di nefrectomia [9]. Utilizzando queste variabili, hanno stratificato i pazienti in tre gruppi (gruppi di rischio favorevole, intermedio e sfavorevole) con differente prognosi ; la sopravvivenza variava da 20 mesi, per il gruppo a prognosi favorevole, a 4 mesi per quello a prognosi sfavorevole. Un’analisi simile è stata quindi applicata a 400 pazienti trattati in prima linea con Interferone alfa; tale restrizione dei criteri d’inclusione ha minimizzato l’eterogeneità determinata dai possibili precedenti trattamenti. La categorizzazione prognostica non è stato comunque modificato, salvo per la sostituzione del fattore “assenza di nefrectomia”, con il fattore “periodo di tempo dalla diagnosi al trattamento immunologico inferiore ad un anno” [9] (Tabelle 2a e 2b). ˂ 80% Karnofsky PS ˂ limite inferiore della norma Tasso di emoglobinemia 1,5 x limite superiore della norma Tasso di lattrato deidrogenasi ˃ 10 mg/dl Calcio corretto ˂ 1 anno Periodo dalla diagnosi al trattamento Tabella 2a – Sistema prognostico MSKCC: fattori prognostici 9 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Prognosi Numero di fattori Sopprevvivenza a 3 anni 45% 17% 2% Sopravvivenza media Favorevole 0 Intermedia 1o2 Sfavorevole 3,4 o 5 Tabella 2b – Sistema prognostico MSKCC: Gruppi di rischio 30 mesi 14 mesi 5 mesi Più recentemente, lo stesso gruppo del MSKCC, ha rivisto i dati clinici e di laboratorio relativi a 137 pazienti la cui sopravvivenza mediana era risultata pari a 12.9 mesi [10]; parametri predittivi indipendenti di una prognosi sfavorevole risultavano essere il Karnofsky PS basso (<80%), bassi livelli di emoglobina (≤13 g/dL nel sesso maschile, e 11.5 g/dL in quello femminile), e l’elevata calcemia corretta (>10 mg/dl). Utilizzando questo modello i pazienti stratificati nei tre classici gruppi di rischio presentavano tassi di sopravvivenza ad 1 e a 3 anni pari a 76 e 25%, 49 e 11% e 11 e 0%, rispettivamente. Un successiva validazione del sistema prognostico a cinque parametri di Motzer, condotta da Mekhail e Coll alla Cleveland Clinic, ha individuato alcuni limiti: la maggior parte dei pazienti rientra nel gruppo di rischio intermedio e non si tiene conto di due fattori prognostici indipendenti, i precedenti trattamenti radioterapici ed il numero di siti metastatici. L’aggiunta di questi parametri, consente una ridistribuzione di parte dei pazienti inizialmente considerati a prognosi intermedia e la classificazione dei medesimi nel gruppo a prognosi sfavorevole (Tabella 3a e 3b) [11]. Karnofsky PS ˂ 80% Tasso di emoglobinemia ˂ limite inferiore della norma Tasso di lattrato deidrogenasi 1,5 x limite superiore della norma Calcio corretto ˃ 10 mg/dl Periodo dalla diagnosi al trattamento ˂ 1 anno N° di siti metastatici ˃1 Precedente radioterapia Si Tabella 3a– Sistema prognostico di Mekhail e Coll. Prognosi Motzer e Coll. Mekhail e Coll. Pazienti (%) Sopravvivenza (mesi) Pazienti (%) Sopravvivenza (mesi) Favorevole 19 28.6 37 26.0 Intermedia 70 14.6 35 14.4 Sfavorevole 11 4.5 28 7.3 Tabella 3b– Confronto tra il sistema prognostico di Mekhail e Coll. e quello di Motzer e Coll. (353 pazienti). Dall’analisi dei pazienti arruolati nello studio registrativo del sunitinib [12], Motzer e Coll. hanno infine sviluppato un nomogramma, presentato per la prima volta all’ASCO 2007 [13], che dovrebbe essere in grado di predire la probabilità di progressione della malattia a 12 mesi dall’inizio del trattamento; i parametri utilizzati per costruire il nomogramma (che ha un valore predittivo, non prognostico) sono un’evoluzione dei criteri prognostici di Motzer (Figura 2). 10 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Figura 2 – Nomogramma di Motzer per i pazienti trattati con Sunitinib Il Sistema di Stadiazione Integrato dell’UCLA (UISS) Zisman e Coll. hanno ideato l’UISS, Sistema di Stadiazione Integrato dell’Università della California a Los Angeles (UCLA), validato sia per pazienti che presentano alla diagnosi un RCC in fase metastatica sia che per pazienti con tumore localizzato. L’UISS è un modello che integra la stadiazione TNM (nella versione del 1999), l’ECOG PS ed il grado di Fuhrman [14]. In uno studio internazionale multicentrico questo sistema prognostico non si è tuttavia confermato, affidabile ed accurato nella malattia metastatica; esso pertanto conserva il suo valore prognostico solo nella malattia localizzata [15] (Tabelle 4a e 4b). Grado di Fuhrman I I 1,2 I 1,2 I 3,4 II II Qualsiasi III Qualsiasi III 1 III 2-4 III IV 1,2 3,4 IV IV 1-3 V IV 4 Tabella 4a – Tumori non metastatici alla diagnosi UISS TNM ECOG PS 0 ≥1 Qualsiasi Qualsiasi 0 ≥1 ≥1 0 0 ≥1 ≥1 11 Gruppo di rischio Basso Sopravvivenza a 5 anni 94% Intermedio 67% 39% Elevato 23% 0% LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Grado di Fuhrman III Qualsiasi II III 1 III 2-4 III IV 1,2 3,4 IV IV 1-3 V IV 4 Tabella 4b - Tumori metastatici alla diagnosi UISS TNM ECOG PS 0 ≥1 ≥1 0 0 ≥1 ≥1 Gruppo di rischio Sopravvivenza a 5 anni Basso 39% Intermedio 23% Elevato 0% Sintesi Il grado di Fuhrman rimane il fattore prognostico di maggior rilevanza fra le caratteristiche istologiche L’istologia a cellule chiare rappresenta l’istotipo più aggressivo, seguito dal papillare e dal cromofobo Tra le caratteristiche cliniche il performance status è il principale fattore prognostico I due modelli prognostici più diffusamente utilizzati sono il MSKCC (Memorial Sloan Kettering Cancer Center) per la malattia metastatica e l’UISS (University of California at Los Angeles Integrated Staging System) per la malattia localizzata. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. Fuhrman SA, Lasky LC, Limas C. Prognostic significance of morphologic parameters in renal cell carcinoma. Am J Surg Pathol. 1982;6:655-63. Rioux-Leclercq N, Karakiewicz PI, Trinh QD, Ficarra V, Cindolo L, de la Taille A, Tostain J, Zigeuner R, Mejean A, Patard JJ. Prognostic ability of simplified nuclear grading of renal cell carcinoma. Cancer. 2007;109:868-74. Patard JJ, Leray E, Rioux-Leclercq N, et al. Prognostic value of histologic subtypes in renal cell carcinoma: a multicenter experience. Clin Oncol. 2005;23:2763-71. Park WH, Eisen T. Prognostic factors in renal cell cancer. BJU International 2007; 99:1277-1281. Lam JS, Shvarts O, Leppert JT, Figlin RA, Belldegrun AS. Renal cell carcinoma 2005: new frontiers in staging, prognostication and targeted molecular therapy. .J Urol 2005;173:1853-62. Patard JJ, Rioux-Leclercq N, Fergelot P.Understanding the importance of smart drugs in renal cell carcinoma. 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Trattamento chirurgico 4.1 Trattamento chirurgico della malattia localizzata (vedi algoritmi 1 e 2) Questo capitolo è stato scritto utilizzando i dati di letteratura, le linee guida già disponibili nella pratica clinica e le reviews più importanti sull’argomento. In letteratura ci sono pochi studi randomizzati con elevati livelli di evidenza e la maggior parte degli studi sono di tipo retrospettivo o non randomizzato, quindi con bassi livelli di evidenza. L’exeresi chirurgica della neoplasia è a tutt’oggi il trattamento curativo principale del tumore del rene localizzato. La nefrectomia radicale (radical nephrectomy-RN), trattamento standard comprendente la rimozione dell’organo con la fascia del Gerota, l’asportazione del surrene omolaterale e dei linfonodi regionali, è stata fino ad oggi un trattamento chirurgico efficace [1] ed è il “gold standard” con cui tutti gli altri trattamenti devono confrontarsi. I pazienti con carcinoma renale hanno una sopravvivenza cancrospecifica (CSS) del 97% (T1a), l’ 87% (T1b) e solo il 20% per i tumori T4 [2]. La conservazione d’organo è l’obiettivo della chirurgia attuale, tramite l’utilizzo di diverse metodiche “nephron-sparing”, (nephron-sparing surgery–NSS) non solo in situazioni particolari (pazienti con funzionalità renale compromessa, monorene o con tumori bilaterali). I buoni risultati oncologici e la ridotta morbilità hanno contribuito alla diffusione dell’utilizzo della nefrectomia parziale (partial nephrectomy– PN) in numerosi centri di riferimento e le recenti evidenze sulla preservazione della funzionalità renale con possibile aumento della sopravvivenza globale hanno determinato l’affermarsi di tale intervento nella pratica clinica quotidiana [3]. La surrenectomia, raccomandata da Robson ed in precedenza sempre eseguita, può essere evitata se la ghiandola non è interessata dalla neoplasia alla stadiazione preoperatoria [4-7] (livello di evidenza 3). Alcuni casi specifici però esulano da tale regola e precisamente nel caso in cui la neoplasia sia localizzata al polo superiore del rene e vi sia il rischio di infiltrazione della ghiandola o nel caso di tumori con diametro massimo > 7cm in cui il rischio di metastatizzazione alla ghiandola è elevato [8-10] (livello di evidenza 3). Attualmente non vi sono dati definitivi che indichino un vantaggio in termini di sopravvivenza ottenuto dall’esecuzione della linfoadenectomia nella malattia localizzata (non linfonodi alla stadiazione, o metastasi a distanza). Essa invece riveste un ruolo stadiante nei pazienti con linfoadenomegalie già presenti alla stadiazione preoperatoria. Lo studio prospettico di fase III, EORTC 30881, i cui risultati definitivi sono stati recentemente pubblicati [11, 12], ha randomizzato 772 pazienti con malattia localizzata (N0M0) a ricevere solo nefrectomia radicale o nefrectomia+linfoadenectomia. Solo nel 4% dei pazienti sottoposti a linfoadenectomia sono state evidenziate metastasi linfonodali. Non sono state evidenziate differenze significative fra i 2 gruppi in termini di sopravvivenza globale, tempo alla progressione o complicanze chirurgiche (livello di evidenza 1b). La presenza all’intervento chirurgico di un trombo cavale, indica una maggiore aggressività della neoplasia (alto grado e stadio) con aumentato rischio di malattia già metastatica. Tuttavia, la prognosi è maggiormente influenzata dalla presenza di metastasi linfonodali piuttosto che dall’estensione craniale del trombo cavale, il quale deve però essere asportato durante la nefrectomia [13-15] (livello di evidenza 3). Nel caso di ematuria macroscopica o dolore importante può essere indicata l’embolizzazione preoperatoria. Questa tecnica può essere utilizzata prima del trattamento chirurgico di metastasi ossee altamente vascolarizzate, invece non vi è alcuna indicazione ad eseguire la procedura di routine prima della nefrectomia [16-18] (livello di evidenza 3). 13 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Sintesi e grado di raccomandazione (vedi Livello di evidenza e grado di raccomandazione) La terapia chirurgica è a tutt’oggi l’unico approccio terapeutico curativo del RCC (grado A) La linfoadenectomia in pazienti N0 alla stadiazione preoperatoria non migliora la sopravvivenza globale ed ha significato stadiante (grado A) La surrenectomia può essere evitata se la ghiandola non è interessata dalla neoplasia alla stadiazione preoperatoria eccetto nel caso in cui la neoplasia sia localizzata al polo superiore del rene e vi sia il rischio di infiltrazione della ghiandola e nel caso di tumori con diametro massimo > 7cm in cui il rischio di metastatizzazione alla ghiandola è elevato (grado B) L’embolizzazione preoperatoria può essere indicata nel caso di ematuria macroscopica o dolore importante (grado C) Chirurgia “Nephron-sparing” La chirurgia nephron-sparing (NSS) ed in modo particolare la partial nephrectomy (PN) ha indicazioni convenzionalmente divise in categorie e precisamente [19]: - assolute: paziente già monorene; - relative: paziente con una situazione clinica che può far prevedere una futura insufficienza d’organo (ad esempio: paziente con sindromi ereditarie e la possibilità di sviluppare una neoplasia nel rene controlaterale); - elettive: preservazione del rene in paziente senza patologie renali concomitanti. Diversi studi non randomizzati hanno confrontato la radical nephrectomy (RN) con la chirurgia nephron sparing; essa produce risultati, in termini di sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da malattia, sovrapponibili alla RN nei pazienti con tumori piccoli (<4 cm) [20-27] (livello di evidenza 2a). La PN quando effettuata con indicazioni assolute presenta un aumentato rischio di complicanze e recidive locali, probabilmente perché proposta in casi ai limiti dell’indicazione stessa [28]. Inoltre questo tipo di intervento determina un minor rischio di insufficienza renale cronica successiva [29, 30] rispetto alla RN. Nello studio retrospettivo di Huang, condotto su 662 pazienti con entrambi i reni funzionanti e normali livelli di creatinina, all’analisi multivariata la RN è risultata essere un fattore indipendente di rischio di insorgenza di insufficienza renale cronica con un hazard ratio di 3.82 (95% C.I. 2.75-5.32; p<0.0001) [31] (livello di evidenza 3). Nello studio retrospettivo della Mayo Clinic condotto su 648 pazienti con tumori di diametro inferiore a 4 cm, trattati con RN o PN dal 1997 al 2003, è stato evidenziato che la RN rispetto alla PN impatta negativamente sulla sopravvivenza solo nel sottogruppo di pazienti con età inferiore ai 65 anni (rischio relativo: 2.34; 95% C.I. 1.17-4.69; p< 0.016) [32] (livello di evidenza 3). Tale dato è stato successivamente confermato anche su un campione di 7769 pazienti: la PN ha determinato una sopravvivenza a 5 e 10 anni del 89.3% e del 71.3% vs l’84.4% ed il 68.2% rispettivamente della RN; la differenza assoluta in termini di sopravvivenza è stata del 4.9% vs 3.1% [33] (livello di evidenza 3). In conclusione anche se nella popolazione generale, l’insufficienza renale cronica è correlata ad un aumentato rischio di malattie cardiovascolari e di morte (34), non esistono evidenze sufficienti a supportare l’ipotesi che la RN aumenti il rischio cardiovascolare e riduca la sopravvivenza globale rispetto alla PN [35] e la CSS dei pazienti sottoposti a PN per tutti gli stadi a 5 e 10 anni risulta essere rispettivamente del 96% e del 90% per tumori di diametro < 4 cm [36]. In alcuni studi, condotti in pazienti con tumori di diametro superiore a 7 cm sottoposti a chirurgia nephron sparing sono stati evidenziati risultati simili alla chirurgia radicale e nel caso di tumori resecati completamente si è visto che lo spessore del margine chirurgico (>1 mm) non impatta sulla possibile insorgenza di recidiva locale [37] (livello di evidenza 3). Inoltre, con l’estensione dell’indicazione alla PN a tumori centrali, la semplice enucleazione potrebbe essere un’opzione proponibile come alternativa alla RN [38, 39]. 14 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Ovviamente la chirurgia nephron sparing in tumori con diametro superiore ai 4 cm dovrebbe essere eseguita in centri di riferimento su pazienti selezionati e con successiva intensificazione del follow-up; tale metodica resta comunque il trattamento di scelta per i tumori con diametro fra i 4 e 7 cm [40, 41]. Sintesi e grado di raccomandazione La chirurgia nephron sparing produce risultati in termini di sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da malattia sovrapponibili alla radical nephrectomy nei pazienti con tumori piccoli (<4 cm) (grado B) La chirurgia nephron sparing in tumori con diametro superiore ai 4 cm dovrebbe essere eseguita in centri di riferimento su pazienti selezionati e con successiva intensificazione del follow-up e resta comunque il trattamento di scelta per i tumori con diametro fra i 4 e 7 cm (grado B) Nefrectomia radicale laparoscopica L’intervento laparoscopico di nefrectomia radicale, sia esso con accesso retro o trans-peritoneale, è diventato lo standard nei pazienti con tumori renali T1-2 ed ha una morbilità inferiore all’intervento a cielo aperto (chirurgia “open”) (42). I risultati oncologici a 10 anni sembrano essere sovrapponibili a quelli della tecnica “open” [43, 44] (livello di evidenza 3) Sebbene l’approccio laparoscopico sia ormai accettato nella pratica clinica, gli studi disponibili di confronto con la nefrectomia a cielo aperto non sono randomizzati, sono spesso retrospettivi e con bassi livelli di evidenza [45-48] (livello di evidenza 2b-3). L’intervento laparoscopico deve però essere eseguito in centri di riferimento e deve rispettare i principi oncologici della nefrectomia a cielo aperto. Il potenziale svantaggio della laparoscopia è rappresentato dai tempi operatori più lunghi (più lungo periodo di ischemia e l’aumento di complicazioni intra e postoperatorie [46, 49, 50] (livello di evidenza 3) a fronte però di un minor dolore postoperatorio, una più rapida ripresa clinica e un minor tempo di ospedalizzazione. Tre studi randomizzati, seppur con piccoli numeri, hanno valutato tre diversi approcci laparoscopici: “hand assisted”, transperitoneale e retroperitoneale [51-53] (livello di evidenza 1b). Sintesi e grado di raccomandazione La nefrectomia radicale laparoscopica è diventata lo standard nei pazienti con tumori renali T1-2 ed ha una morbilità inferiore all’intervento a cielo aperto (“open”) (grado B) I risultati oncologici a 10 anni della nefrectomia radicale laparoscopica sembrano essere sovrapponibili a quelli della tecnica “open” (grado B) L’intervento laparoscopico deve essere eseguito in centri di riferimento e deve rispettare i principi oncologici della nefrectomia a cielo aperto (grado B) Nefrectomia parziale laparoscopica. Diversi studi non randomizzati hanno confrontato la PN “open” vs PN laparoscopica [54-57] (livello di evidenza 2b). L’indicazione ottimale a tale procedura é rappresentata dalle neoplasie piccole e periferiche (T1a e T1b). Sembra che il risultato oncologico sia legato alla negatività dei margini e sia sovrapponibile alla tecnica “open” [58-60] (livello di evidenza 2b), ma a tutt’oggi non vi sono studi che possano definirne l’equivalenza. Le complicanze più comuni di tale intervento, che richiedono la conversione in “open”, sono essenzialmente di tipo urologico: l’emorragia postoperatoria e la fuoriuscita di urina [61]. In mani esperte ed in pazienti selezionati la PN laparoscopica è un’alternativa alla chirurgia “open”. Recentemente sono in corso studi di confronto fra chirurgia laparoscopica e robotica [62]. La chirurgia robotica è un tecnica relativamente nuova ed in evoluzione e la PN “robot-assisted” sembra essere sicura ed efficace nella malattia localizzata. 15 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Nonostante i benefici potenziali di tale approccio chirurgico (ridotti tempi di ischemia), le prime esperienze disponibili in letteratura, non sembrano dimostrare un significativo vantaggio di tale metodica nei confronti della PN laparoscopica [63, 64] (livello di evidenza 3). Sintesi e grado di raccomandazione La nefrectomia parziale “open” è attualmente lo standard di cura (grado C) La nefrectomia parziale laparoscopica è indicata nel trattamento chirurgico delle neoplasie piccole e periferiche (T1a e T1b) e deve essere eseguita in centri di riferimento (grado C) Alternative alla chirurgia Recentemente sono state proposte alcune tecniche mini-invasive potenzialmente alternative alla chirurgia: l’ablazione con radiofrequenze (RFA-radiofrequency ablation) [65, 66] (livello di evidenza 2b-3), la crioablazione [67] e l’HIFU (high intensity focused ultrasound ablation) [68]. I possibili vantaggi di tali procedure sono una ridotta morbilità, la possibilità di trattare pazienti non candidabili ad un intervento chirurgico per patologie collaterali ed il fatto che tali trattamenti non richiedono degenza ospedaliera. Una metanalisi recentemente pubblicata comprendente 99 studi clinici, 6741 lesioni renali trattate, 5037 pazienti, ha valutato tutti i trattamenti chirurgici per le piccole masse renali (<4 cm) [69] ed ha messo in evidenza i seguenti dati relativi alle tecniche mininvasive: la percentuale delle recidive locali è stata del 2.6% dopo chirurgia nephron sparing, del 4.6% dopo crioablazione e del 11.7% dopo RFA, mentre le progressioni sistemiche di malattia sono state rispettivamente del 5.6%, 1.2% e 2.3%. Tale dato sottolinea come l’indicazione a trattamenti più aggressivi sia correlata al tipo e all’aggressività della neoplasia. Le indicazioni principali sono infatti il trattamento di piccole neoplasie renali corticali incidentali in pazienti anziani, in pazienti monorene o con neoplasie bilaterali o con predisposizione genetica a tumori multipli. Le controindicazioni includono: un’aspettativa di vita <1 anno, multipli siti metastatici o non fattibilità tecnica per posizione o dimensioni della neoplasia. Generalmente la RFA non è raccomandata per tumori con diametro superiore ai 5 cm o localizzati a livello dell’ilo renale o in prossimità dei dotti collettori [70]. Controindicazioni assolute sono invece la presenza di coagulopatie e condizioni cliniche instabili e severe (sepsi). Le complicanze sono basse ed il risultato oncologico di queste procedure è ancora da definirsi, nonostante i primi incoraggianti risultati [71], per poterle considerare alternative alla chirurgia convenzionale. Lo svantaggio principale è la non completa valutazione istopatologica. Attualmente questi trattamenti mini-invasivi sono considerati ancora in fase di studio e pertanto non possono essere proposti come alternativa al trattamento standard. Non vi sono studi di confronto fra le procedure standardizzate di nefrectomia radicale, parziale siano esse con tecnica “open” o laparoscopica e le tecniche mini invasive. Solo uno studio non randomizzato ha confrontato la PN laparoscopica con la crioablazione laparoscopica [72] (livello di evidenza 3) ed alcuni studi retrospettivi hanno valutato gli outcome perioperatori nei pazienti sottoposti a PN laparoscopica vs la crioablazione percutanea in pazienti con piccole masse renali [73, 74]. Una recente metanalisi, pubblicata nell’ottobre 2011, sul trattamento chirurgico del RCC localizzato (UCAN Systematic Review Reference Group, EAU Guideline Group for renal cell carcinoma) [75], ha valutato circa 40 studi clinici (7 randomizzati e 33 non randomizzati) condotti su circa venticinquemila pazienti ed ha confermato che per il momento, a causa della mancanza di studi randomizzati di confronto, non vi sono le basi per cambiare l’attuale pratica clinica nel trattamento del carcinoma del rene localizzato [76]. Sintesi e grado di raccomandazione I trattamenti alternativi alla chirurgia devono essere riservati a pazienti non suscettibili di altro trattamento chirurgico per performance status scaduto o presenza di comorbidità (grado B) 16 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE 4.2 Ruolo della chirurgia nella malattia metastatica Nefrectomia Citoriduttiva Il trattamento del carcinoma renale metastatico alla diagnosi (circa il 25% dei pazienti) è di tipo multimodale. La nefrectomia citoriduttiva ha un ruolo nella malattia metastatica. Infatti, due studi randomizzati [77, 78] (livello di evidenza 1b) condotti su pazienti con buon performance status, hanno confrontato il trattamento con interferon-alfa e nefrectomia citoriduttiva vs la sola immunoterapia (interferon-alfa) hanno dimostrato un aumento di sopravvivenza globale mediano di 8.1 mesi nei pazienti sottoposti a nefrectomia citoriduttiva. L’analisi combinata dei due studi [79] ha confermato tale dato e ribadito l’ indicazione alla nefrectomia citoriduttiva in pazienti con carcinoma renale metastatico con buon PS, senza multiple comorbidità ed idonei alla chirurgia (livello di Evidenza 1a). In questi è stata registrata una morbidità e mortalità perioperatoria compresa tra 1.4% e 5.2%. Tali valori percentuali sono inferiori rispetto ai controlli storici riportati da diversi studi retrospettivi (livello di evidenza 3) (dal 2% fino al 50%) a conferma dell’importanza della selezione adeguata dei pazienti [80-82]. Attualmente, con l’introduzione delle terapie a bersaglio molecolare nel trattamento del carcinoma renale metastatico, tale posizione è in corso di rivalutazione in considerazione dei buoni risultati in termini di Progression-Free Survival (PFS) ed Overall Survival (OS) ottenuti con tali farmaci. La maggior parte dei pazienti affetti da mRCC ed arruolati negli studi clinici registrativi dei farmaci biologici era stata sottoposta ad intervento chirurgico. Nei pazienti con scarso performance status l’intervento chirurgico non migliora la sopravvivenza, come anche dimostrato nello studio registrativo di temsirolimus (farmaco approvato per i pazienti a cattiva prognosi). In questa sottopopolazione, è preferibile iniziare un trattamento sistemico e rinviare il timing dell’intervento chirurgico. A tale proposito si attendono i risultati dei due studi di fase III, condotti con sunitinib e finalizzati alla valutazione della sopravvivenza globale (CARMENA trial – H. van Poppel, personal communication, ASCO G.U. 2010) e del timing ottimale (EORTC – registrato in ClinicalTrials.gov NCT01099423) dei diversi trattamenti, chirurgico e medico. Sintesi e grado di raccomandazione La nefrectomia citoriduttiva è a tutt’oggi raccomandata nei pazienti sottoposti a terapia con IFNalfa e buon performance status (grado A) La nefrectomia citoriduttiva è raccomandata per i pazienti a buona prognosi sottoposti a terapia biologica mentre è controindicata per i pazienti con scarso performance status (grado A) Resezione delle metastasi La completa rimozione delle lesioni secondarie può contribuire a migliorare la prognosi dei pazienti con carcinoma renale metastatico e la sopravvivenza migliore si è riscontrata nei pazienti con metastasi polmonari sottoposte a resezione [83] (livello di evidenza 2b). Nei pazienti con metastasi polmonare singola resecata è stata riportata una sopravvivenza globale a 5 anni del 50% [84, 85]. In uno studio retrospettivo condotto su 129 pazienti in ripresa di malattia dopo nefrectomia è stato evidenziato il ruolo prognostico della metastasectomia: all’analisi multivariata la procedura è risultata associata ad una migliore sopravvivenza, soprattutto nei pazienti a basso rischio [86]. Diversi studi retrospettivi (livello di evidenza 3) condotti su pazienti con metastasi polmonari asincrone hanno confermato tale dato [87, 88]. 17 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE La metastasectomia è fattore prognostico di sopravvivenza anche nel caso di metastasi sincrone: in uno studio condotto su 99 pazienti trattati con citochine il gruppo di pazienti sottoposto a metastasectomia, anche se incompleta, aveva una sopravvivenza mediana migliore del gruppo non trattato chirurgicamente (27.2 vs 20.6 mesi – p=0.026) [89] (livello di evidenza 3). A risultati simili è giunto uno studio condotto su 64 pazienti con carcinoma renale metastatico selezionati per sede metastatica solo polmonare e possibilità di ottenere un intervento curativo (R0): la sopravvivenza mediana era di 46.6 mesi vs 13.3 mesi per pazienti R0 vs non-R0; i pazienti con metastasi sincrone avevano, dopo metastasectomia, una prognosi significativamente peggiore di quelli con metastasi metacrone [85]. In relazione ai dati disponibili, la metastasectomia dovrebbe essere eseguita anche nei pazienti con metastasi sincrone, purchè selezionati (malattia resecabile completamente e buon PS). Probabilmente la metastasectomia nel paziente con carcinoma renale metastatico, con l’utilizzo delle nuove terapie a bersaglio molecolare, acquisirà un ruolo sempre più importante nell’ integrazione dei trattamenti medico-chirugici. Il timing del trattamento chirurgico, già codificato in altre patologie neoplastiche, per il carcinoma renale è comunque ancora da definirsi. Sintesi e grado di raccomandazione I pazienti con metastasi completamente resecabili (sincrone o metacrone) dovrebbero eseguire la metastasectomia (grado B). La metastasectomia può essere eseguita dopo una buona risposta alla terapia medica con l’obiettivo di raggiungere la radicalità chirurgica (R0) in pazienti con lesioni secondarie residue e resecabili (grado B). Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. Robson CJ, Churchill BM, Anderson W: The results of radical nephrectomy for renal cell carcinoma. 1969. J Urol 167:873-875, 2002. Frank I, Blute ML, Leibovich BC, et al.: Independent validation of the 2002 American Joint Committee on cancer primary tumor classification for renal cell carcinoma using a large, single institution cohort. J Urol 173:1889-1892, 2005. Touijer K, Jacqmin D, Kavoussi LR, et al.: The expanding role of partial nephrectomy: a critical analysis of indications, results, and complications. Eur Urol 57:214-222, 2010. 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Per quanto riguarda il monitoraggio della funzionalità renale a lungo termine, questo è indicato nei pazienti con insufficienza renale già presente al momento dell’intervento chirurgico ed in coloro che nel postintervento hanno evidenziato un aumento dei valori serici di creatinina. In questi ultimi è utile una determinazione dei valori di creatinina già a 4-6 settimane dall’intervento chirurgico [4]. Non ci sono trials prospettici randomizzati in letteratura che indichino con precisione il timing dei controlli da eseguire ed in quali pazienti questi siano indicati. Ci sono per contro dati di follow-up a lungo termine di casistiche numerose che indicano quali pazienti siano a maggior rischio di ricaduta e quindi da sottoporre a protocolli di più stretto monitoraggio in relazione ai fattori prognostici clinici e molecolari identificati al momento della diagnosi [5-12] (livello di evidenza 3). Viene quindi utilizzato un approccio risk-adapted secondo diversi protocolli attualmente comunque non validati da studi clinici con elevati livelli di evidenza e decisi a discrezione dello specialista di riferimento (livello di evidenza 4). 21 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE La maggior parte dei protocolli di follow-up prende in considerazione il rischio di ricaduta determinato in relazione allo stadio iniziale di malattia [3, 13]. Per i pazienti a basso rischio di ricaduta possono essere sufficienti periodici controlli dell’rx torace e dell’ecografia dell’addome, mentre nei pazienti a rischio intermedio - alto di ricaduta l’esame di scelta è la TC torace + addome. In uno studio retrospettivo condotto su 559 pazienti stratificati in relazione al T ed al performance status in tre classi di rischio (basso: T1, G1-2, ECOG0; alto: T3-4, G1-4, ECOG0-3; intermedio: casi rimanenti) sono state prodotte le seguenti raccomandazioni [10] (livello di evidenza 3): - pazienti a basso rischio: visita annuale con esami ematochimici e TC torace, ogni due anni TC addome fino al quinto anno; - pazienti a rischio intermedio: follow-up protratto a 10 anni con visita semestrale, TC torace ogni sei mesi fino al terzo anno poi annuale, TC addome ad un anno e successivamente ogni due anni; - pazienti ad alto rischio: controlli più serrati con visite a controlli TC semestrali fino al terzo anno. Nella pratica clinica è consuetudine, ma non vi sono studi clinici che lo confermino, che venga effettuata nel forte sospetto clinico di ripresa di malattia anche una TC encefalo poiché la presenza di metastasi encefaliche seppur asintomatiche può cambiare il timing del trattamento medico della malattia metastatica (livello di evidenza 4). Anche la durata ottimale del follow-up non è definita da studi clinici randomizzati, ma sembra che questo non sia cost-effective dopo i 5 anni [3, 14] (livello di evidenza 3). Per i pazienti sottoposti a chirurgia nephron-sparing il follow-up previsto è lo stesso adottato nel caso di nefrectomia radicale poiché gli outcomes delle due metodiche chirurgiche sono sovrapponibili. Per quanto concerne le metodiche mini-invasive i dati sono pochi ed i pareri controversi. A tutt’oggi non vi sono indicazioni precise circa il follow-up. RCC ereditario Non vi sono studi in letteratura riguardanti il follow-up dei pazienti con RCC ereditario. I tumori ereditari sembrano avere un basso potenziale metastatico rispetto alle neoplasie sporadiche e sembra che il rischio di metastatizzazione aumenti con le dimensioni della neoplasia (T >3 cm). Su queste basi il follow-up è principalmente basato sulle dimensioni del tumore piuttosto che sull’istologia, localizzazione e multifocalità. [15, 16] (livello di evidenza 3). Tuttavia i pazienti che presentano un fenotipo aggressivo dovrebbero essere sottoposti a stretto controllo con esami strumentali ogni 3-6 mesi. Per contro, i pazienti con basso rischio di progressione o ripresa di malattia potrebbero essere ristudiati con tecniche di imaging ogni 2-3 anni. [15, 16] (livello di evidenza 3). Sintesi e grado di raccomandazione Dai dati sopra riportati, nonostante derivino da studi con bassi livelli di evidenza (livello di evidenza 3) e con grado di raccomandazione B, possono essere riportate le seguenti affermazioni sul follow-up: Per pazienti a basso rischio di ricaduta possono essere sufficienti periodici controlli con radiografia del torace ed ecografia dell’addome. Per i pazienti a rischio intermedio-alto di ricaduta l’esame di scelta è la TC torace + addome Timing dei controlli da eseguire: visita semestrale fino al quinto anno poi visita annuale A seconda del rischio di ricaduta: esami strumentali ogni 6 mesi almeno per i primi 3 anni Ad ogni visita di controllo esami aggiuntivi in relazione alla comparsa di sintomi specifici. Bibliografia 1. Janzen NK, Kim HL, Figlin RA, et al.: Surveillance after radical or partial nephrectomy for localized renal cell carcinoma and management of recurrent disease. Urol Clin North Am 30:843-852, 2003 2. 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Terapia ormonale Nel 1987 Pizzocaro et al. pubblicarono i risultati di un trial italiano multicentrico, randomizzato con medrossiprogesterone acetato somministrato dopo la nefrectomia per RCC vs osservazione. Nel trial, 136 pazienti sono stati randomizzati a ricevere 500 mg di medrossiprogesterone acetato per via orale tre volte la 23 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE settimana contro nessun trattamento. Al follow-up mediano di 3 anni, il 25,8% dei pazienti nel braccio di trattamento ha presentato una recidiva di malattia, rispetto al 23,8% dei pazienti nel gruppo di controllo. Ulteriori tentativi per sviluppare una terapia che si basa sul trattamento ormonale come strategia adiuvante, sono stati abbandonati [1]. Chemioterapia L’RCC è uno dei tumori solidi più resistenti alla chemioterapia. Attualmente non vi sono regimi chemioterapici in fase di valutazione nella terapia adiuvante per i pazienti con RCC ad alto rischio di recidiva. Immunoterapia I trattamenti più ampiamente studiati e utilizzati in terapia adiuvante, comprendono l’interferone alfa (IFNα), l’interleuchina 2 (IL-2), usati singolarmente o in combinazione, e i vaccini. Le citochine aumentano sia l’azione dei linfociti citotossici, che quella delle cellule natural killer (NK). L’IFN-α inoltre modula la crescita e la funzione cellulare, inibendo la proliferazione cellulare, e regolando l’espressione e la differenziazione antigenica sulla superficie cellulare. L’IFN può essere considerato una scelta logica come agente adiuvante per l’RCC perché è uno dei farmaci attivi nella malattia metastatica. Due sono gli studi randomizzati di terapia adiuvante che portano alle stesse conclusioni. Nel 2001 Pizzocaro et al. pubblicarono i risultati di un trial multicentro che coinvolgeva pazienti con RCC in stadio II o III randomizzati fra nefrectomia o nefrectomia più IFN-α. Le recidive furono maggiori nel bracccio dei pazienti trattati con IFN-α: 51 dei 123 pazienti nel braccio di trattamento, confrontati ai 38 dei 124 pazienti nel braccio di controllo, presentavano recidiva di malattia ad un follow-up mediano di 62 mesi [2]. In un altro trial di fase III dell’ECOG (Eastern Cooperative Oncology Group), si giunse a risultati pressoché analoghi con un numero maggiore di recidive nel braccio di trattamento (285 pazienti furono randomizzati all’IFN adiuvante contro osservazione). La sopravvivenza mediana era di 7,4 anni nel braccio di osservazione e solo 5,1 anni nel braccio di trattamento. Nessuna differenza era statisticamente significativa [3]. Sorprende e rimane da capire il motivo per il quale i pazienti trattati abbiano una prognosi peggiore anche se statisticamente la differenza non è significativa. Interleukina-2 L’IL-2 è un fattore di crescita ed attivatore sia di linfociti T che di cellule NK. Essa viene prodotta e rilasciata dalle cellule T attivate. Basandosi su uno studio di 255 pazienti con RCC metastatico trattati con alto dosaggio a bolo di IL-2 (720.000 IU/kg ogni 8 ore), la Food and Drug Administration (FDA) approvò il suo uso per la terapia nel RCC metastatico nel 1992. IL-2 ad alte dosi a bolo è stata testata in un unico studio randomizzato di terapia adiuvante finora pubblicato. In questo trial, 69 pazienti in stadio localmente avanzato dopo nefrectomia (T3b-4 o N1-N3), oppure con un’ unica metastasi resecata chirurgicamente, venivano randomizzati fra osservazione oppure a fare un unico ciclo di IL-2 (600,000 U/kg ogni 8 ore giorni 1-5 e 15-19 per un massimo di 28 dosi). Lo studio fu chiuso prematuramente perché a 2 anni 15 dei 21 pazienti (71%) nel braccio di trattamento con tumore localmente avanzato e 16 dei 23 (69%) nel braccio di osservazione ebbero ricadute, senza alcuna differenza significativa. Anche nei pazienti con malattia metastatica resecata non fu osservata alcuna differenza fra i due bracci [4]. Interleuchina-2 + Interferone alfa Uno studio randomizzato, multicentrico italiano del gruppo GOIRC (Gruppo Oncologico Italiano di Ricerca Clinica), presentato all’ASCO meeting del 2007 ha confrontato la combinazione di basse dosi sottocute di IL-2 + IFN-α vs osservazione [5]. Sono stati inclusi 310 pazienti e l’analisi “intention to treat” ad un followup mediano di 52 mesi non ha evidenziato differenze significative fra i trattati e i controlli. La DFS attuariale a 5 e 10 anni era 73% e 73% nei trattati e 73% e 60% nei controlli (HR 0.84 (95% CI 0.54-1.33 p= 0.47). 24 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE In un’analisi per sottogruppi è stato tuttavia evidenziato un beneficio statisticamente significativo per i pazienti che possedevano almeno 2 delle seguenti caratteristiche: pN0, G1-G2, <60 anni e pT3a. Interleuchina-2 + Interferone + 5Fluorouracile Due studi randomizzati, entrambi europei, sono stati condotti con l’uso di questa combinazione. Il primo è uno studio prospettico randomizzato di fase III, condotto dal German Cooperative Renal Carcinoma Chemoimmunotherapy Group, ed ha investigato la combinazione di chemio-immunoterapia con IL-2, IFN-α, e 5-FU versus osservazione nel trattamento adiuvante di pazienti ad alto rischio di recidiva dopo nefrectomia [6,7]. Sono stati inclusi 203 pazienti e ad un follow-up mediano di 4.3 anni, la sopravvivenza totale era significativamente minore nel gruppo dei trattati rispetto al gruppo di controllo (P = 0.028). Inoltre, la sopravvivenza mediana senza recidive era 2.75 anni nei trattati e 4.25 nel gruppo di controllo. Pertanto questo trattamento ha evidenziato un peggioramento significativo della prognosi nei trattati [6]. L’altro studio è stato condotto dall’EORTC, presentato al meeting ASCO del 2008 e non ancora pubblicato in estenso. Nell’analisi preliminare 147 patienti hanno recidivato e a 3 anni l’intervallo libero di malattia è stato pari al 50% nel braccio di controllo versus 60% nei trattati (HR 0.87, 95% CI 0.63-1.20); la sopravvivenza totale a 5 anni è risultata pari al 60% nei controlli versus 68% nei trattati (HR 0.91, 95% ci 0.60 -1.38) senza alcuna diffferenza statisticamente significativa [7]. Studi in corso e prospettive future Senza dubbio le attese maggiori nel campo della terapia adiuvante del RCC si concentrano ora sui nuovi farmaci a bersaglio molecolare e in particolare su quelli che hanno dimostrato la maggiore efficacia nel setting metastatico: sunitinib e sorafenib. Entrambi i farmaci sono attualmente in studio nel trattamento adiuvante con differenti studi randomizzati di fase III i cui risultati saranno disponibili fra alcuni anni. Un primo studio, che ha per acronimo S-TRAC, ha valutato l'uso di sunitinib con un disegno multicentrico, doppio cieco, randomizzato. Lo studio ha messo a confronto un anno di terapia con sunitinib orale rispetto al placebo in 500 pazienti ad alto rischio di recidiva (in base a criteri UISS) dopo nefrectomia. L'end-point primario dello studio era la sopravvivenza libera da malattia; gli endpoint secondari la sopravvivenza totale e la sicurezza. L’arruolamento dello studio è stato completato ma i risultati non saranno disponibili prima del 2013 (www.clinicaltrials.gov numero di identificazione:NCT00375674). Attualmente risulta in corso lo studio randomizzato di fase III, PROTECT, disegnato per valutare l’efficacia e la tollerabilità del trattamento adiuvante con pazopanib (12 mesi di trattamento) vs placebo nella malattia localmente avanzata sottoposta a nefrectomia. L'end-point primario dello studio è la sopravvivenza libera da malattia; gli endpoint secondari la sopravvivenza totale, la tollerabilità e la qualità della vita (www.clinicaltrials.gov, numero di identificazione: NCT01235962) Un altro studio multicentrico in doppio cieco randomizzato, acronimo ASSURE, prevede l’arruolamento di 1332 pazienti sottoposti a nefrectomia per RCC ed include tutti gli istotipi, con l’eccezione del carcinoma dei dotti collettori, in stadio pT1b, G3-4, pT2-pT4, o con qualsiasi T e con linfonodi positivi. I pazienti saranno stratificati in base al rischio di recidiva e quindi randomizzati fra 1 anno di sorafenib, sunitinib, o placebo. Oltre alla sopravvivenza libera da malattia e globale, lo studio esaminerà come predittori di sopravvivenza e di beneficio terapeutico biomarcatori, mutazioni genetiche, metilazione del DNA. Questo trial è iniziato nel maggio 2006, e la data prevista per la fine dello studio è aprile 2016 (www.clinicaltrials.gov numero di identificazione:NCT00326898). Un quarto studio in corso per la fase adiuvante di malattia ha per acronimo SORCE ed è anch’esso uno studio multicentrico, doppio cieco randomizzato, con una stima di reclutamento di 1656 pazienti affetti da RCC, operati radicalmente e ad alto o intermedio rischio di ricaduta. I pazienti saranno randomizzati a ricevere sorafenib per 1 anno, sorafenib per 3 anni, o placebo. L'end-point primario è la sopravvivenza libera da malattia; obiettivi secondari sono la sopravvivenza globale, rapporto costo-efficacia e tossicità. Il reclutamento è stato avviato nel giugno del 2007 e si stima che sarà completato entro agosto 2012 (www.clinicaltrials.gov numero di identificazione NCT00492258) Infine, l’'uso di anticorpi monoclonali è in corso di valutazione in uno studio randomizzato di fase III di confronto con placebo. Lo studio valuta l’efficacia di cG250 (WX-G250), un anticorpo monoclinale che si 25 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE lega a CAIX sulla superficie dei tumori a cellule chiare ed è in grado di reclutare cellule immuni effettrici e di attivare il complemento risultando nella distruzione cellulare. Questo studio è attualmente in corso e i risultati sono attesi dopo il 2013 (www.clinicaltrials.gov numero di identificazione NCT00087022). 5.2 Terapia neoadiuvante Fino a pochi anni fa la terapia del RCC era basata sull’impiego delle citochine, ma la sua tossicità e soprattutto le scarse risposte del tumore primario hanno limitato lo sviluppo di eventuali studi nell’ambito dl trattamento neoadiuvante. Tuttavia, con l'avvento e il successo dei nuovi farmaci antiangiogenetici e inibitori di tirosino-kinasi nei RCC in stadio avanzato, la prospettiva della loro applicazione nell’ambito di una strategia neoadiuvante è diventata attuale e interessante. Questo approccio riguarda sia i pazienti in stadio localmente avanzato sia quelli con metastasi alla diagnosi (vedi capitolo successivo) nei quali la nefrectomia continua ancora ad essere la terapia standard. Nei tumori in stadio iniziale o in quelli in stadio localmente avanzato, senza metastasi a distanza, i possibili vantaggi teorici della terapia neoadiuvante includono la sotto-stadiazione del tumore, la riduzione di fattori pro-angiogenetici circolanti, la risposta nel tumore primario con maggiore facilità all’exeresi. In letteratura non ci sono studi prospettici randomizzati nel campo della terapia neoadiuvante per il RCC localizzato e ad alto rischio di recidiva. Diversi centri hanno pubblicato case-report o piccole serie di casi dimostrando che il trattamento neoadiuvante con l’uso di sorafenib, sunitinib, bevacizumab o inibitori di mTOR(mammalian Target Of Rapamycin) è fattibile e ha comportato una stabilità o la riduzione delle dimensioni del tumore primario e/o delle linfoadenopatie metastatiche nel 10-20% dei casi, senza complicanze chirurgiche successive (Tabella 7) [8]. Uno studio prospettico di fase II recentemente pubblicato, ha valutato la sicurezza e la fattibilità di sorafenib nel setting neoadiuvante su 30 pazienti con RCC in fase di diagnosi, di cui 17 con malattia localizzata al rene e 13 con metastasi a distanza [9]. Dopo un ciclo di terapia (durata media,: 33 giorni), su 28 pazienti valutabili, 2 pazienti hanno avuto una risposta parziale, 26 hanno presentato una malattia stabile e nessun paziente è andato in progressione. Tutti i pazienti erano in grado di procedere con la nefrectomia senza complicazioni chirurgiche. Sono necessari ulteriori studi per determinare il reale impatto della terapia sistemica preoperatoria, definire i tempi e i modi di questo approccio in rapporto all’intervento e a possibili complicanze legate all’effetto antiangiogentico della terapia stessa e infine capire se essa migliora i risultati in pazienti sottoposti a nefrectomia per carcinoma renale. Terapia neoadiuvante e adiuvante alla metastasectomia Lo scopo dell’intervento chirurgico nei pazienti con carcinoma renale metastatico può essere: 1. resecare il tumore renale primitivo in presenza di una malattia metastatica non resecabile, (prima di iniziare la terapia sistemica, cosiddetta nefrectomia citoriduttiva); 2. resecare sia il tumore primario (se ancora presente) che tutte le metastasi per rendere un paziente clinicamente libero da malattia. 3. resecare solo la/le metastasi in pazienti in cui il tumore primitivo è già stato asportato La mancanza di studi prospettici randomizzati non consente di definire il ruolo attuale della terapia medica neoadiuvante o adiuvante nei pazienti che sono candidati a intervento di metastasectomia con intento di eradicare tutti i focolai neoplastici noti (Tabella 7). Non ci sono studi che avvalorano questo concetto ma solo opinioni di esperti e piccole casistiche in genere mono-istituzionali. 26 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE La terapia neoadiuvante (pre-chirurgica) è una nuova strategia di trattamento per il carcinoma renale localmente avanzato e per quello metastatico, meritevole di ulteriore sviluppo. Le esperienze iniziali suggeriscono che essa è sicura, senza alcun aumento del rischio di morbilità o complicazioni della ferita chirurgica. In futuro gli studi in ambito localmente avanzato dovrebbero concentrarsi sul down-staging del tumore e sugli effetti a lungo termine sulle recidive e sulla sopravvivenza libera da malattia dopo l'intervento. Nel quadro dei tumori metastatici la terapia neoadiuvante, pre-chirurgica, può fungere da cartina di tornasole per riservare l’intervento ai soli pazienti responsivi al trattamento, che non presentano ulteriori distretti metastatici e possono trarre massimo beneficio dalla chirurgia. Tabella 5. Studi completati di terapia adiuvante nel RCC Trattamento N. Autore e anno Risultato Radioterapia loco-regionale vs Osservazione 72 Kjaer 1987 Nessuna differenza significativa, maggior tossicità nei pazienti trattati con radioterapia. Medrossiprogesterone acetato (MPA) vs Osservazione 136 Pizzocaro 1987 Nessuna differenza. Recidive a 5 anni: 32.7% nei trattati vs 33.9% nei controlli Cellule tumorali autologhe + BCG vs Osservazione 120 Galligioni 1996 Nessuna differenza. DFS a 5 anni: 63% nei trattati vs 72% nei controlli (P=NS) IFN-α vs Osservazione 247 Pizzocaro 2001 Nessuna differenza. OS a 5 anni: 56.7% per i trattati vs 67.1% nei controlli (p: 0,86) IFN-a vs Osservazione 283 Messing 2003 Nessuna differenza. Sopravvivenza mediana: 5.1 anni nei trattati vs 7.4 nei controlli (p=0.90) Alte dosi di IL-2 vs Osservazione 69 Clark 2003 Nessuna differenza. Recidive: 76% nei trattati vs 65% nei controlli (P=0.73) Cellule tumorali autologhe criopreservate vs Osservazione 558 Jocham 2004 Incremento significativo PFS a 5 anni: 77.4% nei trattati vs 67.8% nei controlli (P=0.02) IL-2 + IFN-a + 5FU vs Osservazione 203 Atzpodien 2005 Nessuna differenza. DFS a 8 anni: 39% nei trattati vs 49% nei controlli (P=0.23) IL-2 + IFN-a vs Osservazione 310 Passalacqua 2007 Nessuna differenza. DFS a 10 anni 73% nei trattati vs 60% nei controlli (P=0.47) Heat Shock Protein Peptide Complex (HSPPC-96) vs Osservazione 818 Wood 2008 Nessuna differenza. Recidive a 1,9 anni: 136 (37•7%) nel gruppo trattato vs 146 (39•8%) nei controlli (P=0•506). IL-2+IFN-a + 5FU vs Osservazione 309 Aitchison 2008 DFS a 3 anni: 60% nei trattati vs 50% nei controlli (HR 0.87, 95% CI 0.63-1.20). Legenda: BCG: Bacillo di Calmette-Guérin; DFS: Sopravvivenza libera da malattia; OS: Sopravvivenza totale; IFN-a: Interferone alfa; IL-2: Interleuchina 2; PFS: Sopravvivenza libera da progressione; 5FU: 5Fluorouracile 27 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Tabella 6: Carcinoma a cellule renali: livello di evidenza e raccomandazione per tipo di trattamento adiuvante Trattamento adiuvante dopo nefrectomia Livello di evidenza Raccomandazione Radioterapia loco-regionale 2 E - La procedura è sconsigliata Medrossiprogesterone acetato (MPA) 2 D - La procedura non è raccomandata Interferone alfa (IFN-a) 1 D - La procedura non è raccomandata Alte dosi di interleuchina 2 (IL-2) 2 D - La procedura non è raccomandata Cellule tumorali autologhe 2 C - Incertezza a favore o contro IL-2 + IFN-a + 5FU 1 D - La procedura non è raccomandata Basse dosi di IL-2 + IFN-a 2 D - La procedura non è raccomandata* Heat Shock Protein Peptide Complex (HSPPC-96) 2 D - La procedura non è raccomandata* *In questi studi è stato descritto un vantaggio in favore dei trattati con immunoterapia in alcuni sottogruppi di pazienti con stadio più iniziale e/o grading basso (vedi testo per i dettagli) Tabella 7: Carcinoma a cellule renali: livello di evidenza e raccomandazione per tipo di trattamento adiuvante Trattamento adiuvante dopo nefrectomia Trattamento neoadiuvante prima della nefrectomia con farmaci a bersaglio molecolare Trattamento neoadiuvante prima della metastasectomia con farmaci a bersaglio molecolare Trattamento adiuvante dopo la metastasectomia Livello di evidenza Raccomandazione 4 C - Incertezza a favore o contro 4 C - Incertezza a favore o contro 4 C - Incertezza a favore o contro Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. Pizzocaro G, Piva L, Di Fronzo G: Adjuvant medroxyprogesterone acetate to radical nephrectomy in renal cancer: 5-year results of a prospective randomized study. J Urol 138:1379-1381, 1987. Pizzocaro G, Piva L, Colavita M, et al: Interferon adjuvant to radical nephrectomy in Robson stages II and III renal cell carcinoma: A multicentric randomized study. J Clin Oncol 19:425-431, 2001. Messing EM, Manola J, Wilding G, et al: Phase III study of interferon alfa-NL as adjuvant treatment for resectable renal cell carcinoma: An Eastern Cooperative Oncology Group/Intergroup trial. J Clin Oncol 21:1214-1222, 2003. Clark JI, Atkins MB, Urba WJ, et al: Adjuvant high-dose bolus interleukin-2 for patients with high-risk renal cell carcinoma: A Cytokine Working Group randomized trial. J Clin Oncol 21:3133-3140, 2003. Passalacqua R, Buzio C, Buti S, et al: Adjuvant low-dose interleukin-2 (IL2) plus interferone-alpha (IFN) in operable renal cell cancer (RCC). 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Il secondo (negativo) è il relativamente breve follow-up di questi studi che, associato alla scarsa comparabilità delle metodologie e delle popolazioni di pazienti dei vari studi, unitamente all’attuale assenza di risultati di studi comparativi, induce ad una certa cautela nell’espressione di indicazioni terapeutiche “categoriche”. Nel corso di questa trattazione parleremo dei sei farmaci attualmente disponibili in commercio (bevacizumab+interferon-α2a, sunitinib, pazopanib, temsirolimus, sorafenib ed everolimus). Accenneremo, inoltre brevemente anche ad altre due molecole, axitinib, il cui studio registrativo in seconda linea è stato recentemente pubblicato, e tivozanib, i cui dati dello studio registartivo di prima linea sono stati recentemente comunicati al Congresso ASCO 2012. 6.1 Opzioni terapeutiche di prima linea Al momento attuale sono disponibili, e rimborsabili, 4 possibili opzioni terapeutiche di prima linea: sunitinib, pazopanib, bevacizumab+inteferon-α2a e temsirolimus (quest’ultimo, con indicazione ristretta all’uso nei casi definibili poor-risk). Sorafenib, sempre in accordo alla registrazione, può essere impiegato nei pazienti definibili “unsuitable” (cioè non appropriati) per un trattamento con citokine. 1) Sunitinib (Livello di evidenza 1b) è una piccola molecola orale in grado di inibire l’attività tirosinchinasica (Tyrosine-Kinase inhibitor, TKi) del VEGF Receptor 2 (VEGFR-2) e del Platelet Derived Growth Factor Receptor (PDGFR). E’ in grado, inoltre, di inibire altri targets tra cui c-Kit. I primi studi di fase II, effettuati da Motzer nel 2006 su pazienti in progressione dopo citokine, evidenziarono un’elevata attività del farmaco con risposte parziali nel 36-40% dei casi, PFS mediana di 8.1 e 8.7 mesi ed una discreta tollerabilità [1, 2]. Il successivo studio registrativo di fase III (randomizzato prospettico, open label; end point primario PFS), su 750 casi non pretrattati (nefrectomia 88% dei casi, KPS da 80 a 100) ha confrontato sunitinib, alla dose giornaliera di 50 mg per quattro settimane ogni sei, ad interferon-α (IFN-α, 9 MIU tre volte la settimana) [3]. I risultati dello studio hanno dimostrato incrementi significativi della risposta obiettiva (risposte parziali nell’31%/47% dei pazienti trattati in base, rispettivamente, alla valutazione della commissione indipendente o dello sperimentatore, verso il solo 8%/12% ottenuto dall’interferon), del controllo globale di malattia (risposta obiettiva più stazionarietà: 87% dei casi, valutazione dello sperimentatore), della PFS mediana (11 vs 5 mesi) ed un vantaggio ai limiti della significatività statistica per la sopravvivenza (OS =26.4 vs 21.8 mesi, p =0.051, che diventano 26.4 vs 20 mesi, p =0.036, una volta rimossi i 25 casi di crossover verso 29 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE sunitinib) [4]. Dati di attività parzialmente diversi, sono emersi dall’ampio studio internazionale di accesso allargato (EAP, Extended Access Program), che prevedeva tuttavia la possibilità di trattare pazienti in qualsiasi linea di terapia e condizione clinica (metastasi cerebrali comprese) [5]. La tollerabilità del farmaco è stata accettabile con tossicità principali di tipo ematologico, endocrino, gastroenterico (stomatite, diarrea) e cutaneo (hand-foot skin reaction), associate a marcata astenia/fatigue e ad ipertensione. Da notare che i dati relativi alla tossicità cardiaca e tiroidea sono stati oggetto di numerose segnalazioni in letteratura nel corso degli ultimi anni con conseguente rilevante aumento del rischio relativo per questo tipo di tossicità (eventi cardiaci o vascolari, riduzione, spesso transitoria, della frazione di eiezione ventricolare sinistra, ipotiroidismo) [6]. Al momento attuale appare quindi consigliabile effettuare una valutazione cardiologica basale e periodica, comprensiva di ecocardiogramma, nei pazienti da sottoporre a trattamento con sunitinib, soprattutto in presenza di un’anamnesi cardiologica positiva. Utile associare anche un dosaggio basale e periodico del TSH e degli ormoni tiroidei al fine di monitorare la funzione tiroidea. 2) Pazopanib (Livello di evidenza 1b) è un antiangiogenico per uso orale attivo su VEGFR, PDGFR e cKit. I primi studi di fase I/II, presentati nel 2005 e 2008, ne hanno evidenziato attività e tollerabilità in pazienti con mRCC [7, 8]. Lo studio registrativo di fase III (randomizzato prospettico, open label, su pazienti con citokine; end point primario PFS) su 435 casi, in parte naive (54%, 233 casi) e in parte pretrattati (46%, 202 casi), ha confrontato pazopanib, alla dose giornaliera di 800 mg a placebo (randomizzazione 2:1) [9]. I risultati dello studio hanno evidenziato significativi vantaggi in termini di risposta obiettiva (risposte parziali nell’30% vs 3% dei casi, stazionarietà di malattia nel 38 vs 41%) e PFS mediana (9.2 vs 4.2 mesi nella popolazione complessiva e 11.1 vs 2.8 mesi nella popolazione di prima linea). La maggior parte degli effetti collaterali derivanti dal trattamento è stata di grado I/II,; tra gli eventi di grado ≥3 i più frequenti sono stati diarrea, ipertensione, fatigue, iponatremia e, sopratutto, tossicità epatica (vedi tabella II). La probabilità di sviluppare questo tipo di tossicità sembra essere maggiore in pazienti con altre patologie epatiche. NOTA: Al Congresso annuale ASCO del 2012 sono stati comunicati i risultati preliminari dello studio “PISCES” che aveva l’obiettivo di valutare la “patient preference” tra pazopanib e sunitinib nell’ambito di un originale disegno di studio sequenziale legato non alla progressione di malattia ma ad un intervallo di tempo prefissato (10 settimane per farmaco separate da due settimane di wash out). Al Congresso ESMO del 2012 sono stati presentati i risultati dello studio "COMPARZ", uno studio prospettico randomizzato di fase III disegnato per valutare l’efficacia e la sicurezza di pazopanib vs sunitinib in pazienti affetti da mRCC e non precedentemente sottoposti a terapia sistemica. I risultati preliminari dello studio COMPARZ supportano la non inferiorita' di pazopanib rispetto a sunitinib in termini di PFS [PFS 8.4 mesi (LC 95%:8.3-10.9) vs 9.5 mesi (LC 95%:8.3-11.1); HR (LC 95%)=1.047 (0.898-1.220) per un margine predeterminato di non inferiorità di 1.25] ed un diverso quadro di tossicita' attese, incrementando le possibilita' di una scelta terapeutica di prima linea calibrata anche in base alle comorbidita' del paziente. 3) Bevacizumab+inteferon-α2a (Livello di evidenza 1b) è un anticorpo monoclonale, umanizzato in grado di legare direttamente tutte le principali isoforme circolanti di VEGF (VEGF-A, B e C) neutralizzandone la funzione di stimolo sull’angiogenesi. Il primo studio di fase II in pazienti con carcinoma renale è stata effettuata da Yang su 116 pazienti in progressione dopo citokine, randomizzati tra due livelli di dose di bevacizumab (3 o 10 mg/Kg) o placebo. I risultati dello studio hanno evidenziato attività di bevacizumab alla dose di 10mg/kg, con risposte parziali nel 10% dei casi ed una mediana della PFS di 4.8 mesi (3 con la bassa dose, 2.5 con placebo) [10]. I risultati positivi di uno studio di fase II che aveva valutato la possibile sinergia di un combinazione con erlotinib (risposte obiettive nel 25% dei casi) non sono stati confermati da un successivo studio randomizzato [11, 12]. Due successivi studi prospettici randomizzati di fase III hanno confrontato in prima linea, con metodologie diverse, la possibile efficacia di una combinazione di bevacizumab ed IFN-α con il solo IFN-α. Lo studio europeo (“AVOREN”, randomizzato, multicentrico, doppio cieco; end point primario: overall survival, OS), ha dimostrato, su 649 pazienti (tutti nefrectomizzati e con un Karnofsky Performance Status tra 70 e 100) vantaggi significativi della combinazione in termini di risposta obiettiva (31 vs 12%, valutato dagli 30 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE investigatori) e mediana della PFS (10.2 vs 5.4 mesi) [13]. I dati di OS, recentemente pubblicati, non sono tuttavia risultati significativi (23.3 vs 21.3 mesi, HR 0.91, p = 0.33) [14]. Un’analisi dei possibili fattori causali ha analizzato la possibile influenza dei trattamenti successivi,; il 35% circa dei pazienti dello studio, infatti, dopo la progressione e in entrambe le braccia dello studio, ha effettuato un trattamento con TKi. La OS osservata in questi casi è stata di 38.6 vs 33.6 mesi (p = n.s.) [15]. La tollerabilità al trattamento è stata discreta, ma il 40% dei pazienti ha dovuto ridurre i dosaggi di interferon per effetti collaterali ad esso correlati. I risultati finali dello studio americano CALGB 90206 (randomizzato, multicentrico, open label; end point primario OS), in linea di massima confermano, su 732 pazienti, i dati dello studio europeo, ma con risultatai decisamente inferiori (median PFS 8.5 vs 5.2 mesi, p <0.0001; risposte obiettive nel 25.5% vs 13.1%; median OS 18.3 vs 17.4 mesi, p =0.097). Possibili spiegazioni a queste differenze potrebbero essere cercate nella minor familiarità dei clinici americani nella gestione delle tossicità da IFN e nell’assenza della nefrectomia come criterio obbligatorio di inclusione [16]. 3) Temsirolimus (Livello di evidenza 1b) è un inibitore per uso intravenoso di m-TOR (mammalian Target of Rapamycin, una serin-treonin-kinasi implicata nei processi di regolazione della trasduzione e degradazione delle proteine e nell’angiogenesi). Un primo studio randomizzato di fase II, condotto da Atkins su 111 pazienti in progressione dopo citokine o chemioterapia, ha evidenziato risposte parziali o complete e un controllo di malattia rispettivamente nel 7.2% e 50% dei casi ed una mediana della PFS di 5.8 mesi. Non essendosi osservate significative differenze di attività fra i tre livelli di dose testati (25, 75, 250 mg) la dose minore (25mg settimanali) è stata quella prescelta per il successivo sviluppo del farmaco, anche alla luce della sua attività immunosoppressiva [17]. L’attività evidenziata anche in pazienti poor risk, secondo la classificazione del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center (MSKCC) [18] ha infine portato a testare il farmaco in prima linea proprio in questa categoria di pazienti. Nello studio registrativo di fase III (randomizzato, prospettico, multicentrico, open label; end point primario: OS), temsirolimus, (25mg iv settimanali), è stato confrontato ad IFN-α (alla criticabile dose di 18 MIU tre volte la settimana) e ad una combinazione di basse dosi di entrambi i farmaci (temsirolimus 15mg ed IFN-α 6 MIU tre volte la settimana). A seguito di uno scarso accrual iniziale lo studio è stato emendato aggiungendo un 6° fattore di rischio (sedi multiple di metastasi) ai cinque del MSKCC, modificando quindi la definizione di poor risk ed aggiungendo allo studio un 26% di casi a prognosi intermedia. A seguito di ciò temsirolimus è stato registrato da EMA ed FDA ed è rimborsato dall’AIFA per l’uso in prima linea in pazienti definibili poor risk in base alla presenza di almeno tre dei sei fattori di rischio riportati, tra i quali un KPS che sia < 80 ma ≥ 60). Temsirolimus ha dimostrato di aumentare in maniera significativa OS (10.9 vs 7.3 mesi di IFN-α, p =0.008), e PFS (5.5 vs 3.1 mesi di IFN-α). Nessun vantaggio sembra invece derivare dalla combinazione dei due farmaci, mentre sono da segnalare la minor efficacia in pazienti con più di 65 anni e la maggior attività in casi (n=73) con istologia non-a cellule chiare. I principali effetti collaterali segnalati, oltre a quelli metabolici attesi (iperglicemia ed iperlipemia) sono stati: anemia, astenia, dispnea, infezioni, tossicità cutanea ed edemi periferici [19]. Sintesi e grado di raccomandazione 1. Sunitinib: grado A per i pazienti a prognosi buona ed intermedia 2. Pazopanib: grado A per i pazienti a prognosi buona ed intermedia 3. Bevacizumab: grado A per i pazienti a buona prognosi ed intermedia 4. Temsirolimus : grado A per i pazienti a cattiva prognosi Nota: Al Congresso ASCO del 2012 sono stati presentati i dati preliminari di tivozanib, un nuovo TKi che nello studio registrativo di fase III vs sorafenib in pazienti non pretrattati (70% circa dei casi) o trattati con sole citokine ha riportato significativi vantaggi in termini di mediana della PFS (11.9 vs 9.1 mesi nella popolazione complessiva, 12.7 vs 9.1 mesi nei casi di prima linea pura). Particolarmente interessante sembra essere la safety di questo farmaco. 31 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE 6.2 Opzioni terapeutiche di seconda linea A) Seconda linea dopo citokine Sorafenib (Livello di evidenza 1b) è un inibitore orale multitarget (PDGFR, c-KIT, RAF kinasi, altro) con verosimile prevalente attività su VEGFR-2. Un primo studio di fase II, condotto da Ratain con la metodologia della “discontinuazione randomizzata” (RDT) verso placebo al dosaggio di 800mg/die (400mg bis in die), su 202 pazienti in progressione dopo terapia con citokine, ha evidenziato un significativo miglioramento della mediana della PFS (24 verso 6 settimane) ed un controllo di malattia nel 78% dei casi con remissioni parziali nel solo 4% dei casi [20]. Il successivo studio registrativo di fase III (randomizzato, multicentrico, doppio cieco verso placebo, endpoint primario: OS) ha confermato, in 903 pazienti in progressione dopo trattamento con citokine, l’attività del farmaco sia in termini di PFS mediana (5.5 vs 2.8 mesi) che di risposta obiettiva (risposte parziali nel 2%/10%, dei casi in base, rispettivamente, alla valutazione della commissione indipendente e dello sperimentatore), con un controllo di malattia nell’80% dei casi. La richiesta di crossover per motivi etici effettuata dall’FDA nel maggio 2005, subito dopo la comunicazione dei risultati dello studio al Meeting ASCO ha reso impossibile un calcolo preciso della OS. I dati definitivi dello studio riportano una prima analisi di OS (17.8 vs 15.2 mesi, p = ns) basata sull’originale analisi intention to-treat (ITT) ed una seconda analisi, che rimuove i casi inizialmente assegnati a placebo e poi passati a sorafenib al momento del crossover (48% dei casi: analisi “censored”; 17.8 vs 14.3 mesi, p = .029). Ovviamente ci sono pro e contro in entrambe le analisi. La tollerabilità del farmaco è discreta con tossicità prevalentemente cutanea e gastroenterica, oltre alla consueta ipertensione. Ancora una volta i dati principali dello studio sono riportati nelle tabelle 1 e 2 [21, 22]. B) Seconda linea dopo inibitori di VEGF/VEGFr Everolimus (Livello di evidenza 1b) è un altro derivato della rapamicina ad attività inibitoria su mTOR (mTOR inhibitor, mTORi), sviluppato a differenza del temsirolimus, come farmaco orale. I primi studi effettuati con everolimus (10 mg/die continuativi) hanno evidenziato una discreta attività del farmaco (risposte obiettive nel 14% dei casi, stazionarietà nel 73%) ed una mediana della PFS di 11.2 mesi [23]. Lo studio registrativo di fase III (randomizzato, multicentrico, doppio cieco vs placebo, end-point primario PFS), effettuato su 416 pazienti pretrattati e in progressione dopo trattamento con uno o due TKi (sorafenib e/o sunitinib, ma erano ammessi anche altri trattamenti precedenti, come bevacizumab), ha dimostrato significativi vantaggi in termini di mediana della PFS (4.9 vs 2.0 mesi, HR 0.30, p < 0.0001), indipendentemente dai trattamenti precedentemente effettuati (sunitinib 46%, sorafenib 28%, entrambi 26% dei casi) e dalla classe di rischio secondo MSKCC. Risposte parziali e stazionarietà si sono osservate rispettivamente nel 1% e 63% dei casi. La sopravvivenza dei pazienti nelle due braccia dello studio è stata simile (14.8 versus 14.4 mesi, p = n.s.), dato tuttavia atteso, anche in considerazione del programmato crossover, che ha interessato ben 112 dei 139 pazienti del braccio di controllo. La tossicità è stata di grado prevalentemente medio-basso; anemia, stomatite, rash cutaneo, fatigue, infezioni (con polmoniti di grado 3 nel 3% dei casi) e dispnea sono stati gli effetti collaterali di maggior rilievo. Bassa incidenza di tossicità di classe quali ipercolesterolemia ed iperglicemia [24]. Nota: Axitinib (Livello di evidenza 1b). Sono stati recenteme pubblicati i risultati dello studio registrativo di fase III “AXIS”(prospettico, randomizzato, open label) che confrontava axitinib (5mg bid) a sorafenib in pazienti in seconda linea dopo citokine (35%), sunitinib (54%), bevacizumab (8%) o temsirolimus (3%). La mediana della PFS dello studio (end point primario) è stata di 6,7 vs 4.7 mesi per axitinib con massimo vantaggio per i casi pretrattati con citokine (12.1 vs 6.5m) (sunitinib: 4.8 vs 3.4m; bevacizumab: 4.2 vs 4,7m; temsirolimus: 10,1 vs 5.3m). Farmaco non ancora disponibile in Italia al momento della stesura di queste linee guida (giugno 2012) [25]. 32 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Altri TKi (livelli di evidenza IIb/III). Alcuni studi hanno valutato la possibile attività terapeutica di sorafenib dopo sunitinib e di sunitinib dopo sorafenib, sulla base di una verosimile non completa crossreattività tra le due molecole. Altri studi hanno valutato l’attività dei TKi dopo trattamento iniziale con bevacizumab. Nessuno di questi studi, quasi rempre retrospettivi, ha raggiunto conclusioni definitive. Si attendono, perciò, i risultati di alcuni importanti studi prospettici randomizzati: sorafenib seguito da sunitinib alla progressione verso sequenza inversa (SWITCH); sorafenib versus temsirolimus in seconda linea (INTORACT); sunitinib seguito da everolimus alla progressione verso sequenza inversa (RECORD-3), per integrare in maniera più completa questo importante paragrafo. Risultati e tossicità principali degli studi registrativi sono riportati nelle tabelle 1 e 2. La tabella 3 riporta invece i risultati dei due programmi di accesso allargato con TKi. Sintesi e grado di raccomandazione 1. Sorafenib: grado A dopo trattamento con citochine e bevacizumab (Axis study). 2. Everolimus: grado A dopo trattamento con inibitori tirosino-chinasi e bevacizumab. 3. Axitinib: grado A dopo trattamento con citokine e sunitinib (Axis study). 4. Sunitinib/bevacizumab/pazopanib: grado B-C dopo precedente trattamento con inibitore tirosinochinasi/bevacizumab. 5. Citochine : grado C dopo tirosino-chinasi/bevacizumab. La scelta del miglior trattamento possibile Al momento attuale in Italia sono registrati e rimborsati per il trattamento del carcinoma renale avanzato sunitinib, sorafenib, pazopanib, bevacizumab+IFN-α, temsirolimus (solo in pazienti definibili poor-risk in accordo alla definizione modificata dello studio registrativo) ed everolimus. La non completa confrontabilità degli studi pubblicati, esemplificata in Tabella 8, e la brevità dei follow up, unitamente alla disponibilità di dati derivanti, in pratica, solo da studi registrativi rende al momento complessa (diversamente da molte altre patologie oncologiche) l’indicazione al miglior trattamento possibile per il singolo paziente. Parametri da considerare a tal fine sono sicuramente la classificazione prognostica (MSKCC e modifiche della stessa: in linea di massima prognosi buona e intermedia versus poor-risk), età, condizioni generali ed eventuali comorbidità del paziente, profili di attività e di tollerabilità dei possibili farmaci, note registrative e di rimborsabilità (prima linea, prima linea poor-risk, seconda linea). L’ esperienza del clinico nella gestione degli effetti collaterali causati da questi farmaci (anche ai fini del mantenimento di un dosaggio potenzialmente efficace) e la valutazione “realistica” del profilo di attività nella realtà clinica quotidiana possono costituire un significativo valore “aggiunto”. A questo proposito sono sicuramente importanti i dati derivanti dai programmi di accesso allargato di sorafenib, sunitinib ed everolimus, comunicati in via preliminare ai principali Meetings Internazionali e poi pubblicati [5, 26-28]. Tali dati, riportati succintamente in Tabella 9, consentono di valutare l’attività e la tollerabilità di questi farmaci su migliaia di pazienti non selezionati. Non esistono, al momento, dati similari per le altre molecole citate. L’eventuale consulto presso centri di riferimento per la patologia renale, può infine essere suggerito sia per casi particolarmente complessi, sia per inserire quanti più casi possibili in studi clinici aventi come obiettivo ulteriori miglioramenti della qualità delle cure. 33 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Sunitinib Bevac.+IFN (AVOREN) Pazopanib Sorafenib Temsirolimus Everolimus Setting dello studio 1° linea 1° linea 1° linea 2° linea 1° linea (poor risk) 2°/3° linea End Point primario PFS OS PFS OS OS PFS N° di pazienti 750 649 435 903 626 416 31% / 39%* 31%* 30% 2% / 10%* 8.6% 1% 79% 77% 69% 80% 32.1% 64% Median PFS 11.1 mesi 10.2 mesi 11.1**/ 9.2 mesi 5.5 mesi 5.5 mesi 4.9 mesi Median OS (mesi) 26.4 mesi 23.3 mesi NR 17.8 mesi 10.9 mesi 14.8 mesi Risposta Obiettiva Controllo di malattia (CR+PR+SD) * Valutazione dello sperimentatore. **nei casi trattati in prima linea (54% dei casi). Tabella 8. Principali risultati clinici degli studi di fase III con farmaci biologici. Sunitinib EAP (n=4371) Sorafenib ARCCS US (n=2502) Sorafenib ARCCS EU (n=1155) Everolimus REACT (n=1367 ) Risposta Obiettiva (CR+PR) 17% (n=3464) 4% 1.8% 1.7% Stazionarietà (SD) 59% (n=3464) 80% 71% 51.6% Controllo di malattia (CR+PR+SD) 76% (n=3464) 84% 73% 53% PFS mediana. *(durata del trattamento per Everolimus) 10.9 mesi (n=4349) 8.2 mesi (NB: solo casi in 1° linea) 6.8 mesi *14 settimane Tabella 9. Principali risultati clinici dei programmi di accesso allargato con TKi e mTORi. Bibliografia 1. 2. 3. 4. Motzer RJ, Michaelson MD, Redman BG, Hudes GR, Wilding G, Figlin RA, Ginsberg MS, Kim ST, Baum CM, DePrimo SE, Li JZ, Bello CL, Theuer CP, George DJ, Rini BI. Activity of SU11248, a multitargeted inhibitor of vascular endothelial growth factor receptor and platelet-derived growth factor receptor, in patients with metastatic renal cell carcinoma. J Clin Oncol. 2006 Jan 1;24(1):16-24. 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Eur J Cancer. 2012 Feb;48(3):324-32. 6.3 Algoritmo terapeutico riassuntivo (vedi algoritmo 3) La definizione dell’algoritmo terapeutico nel carcinoma renale è correlata ai seguenti fattori prognostici: 1) Stadio di malattia 2) Istologia 3) Classe di rischio secondo i criteri MSKCC 4) Precedenti trattamenti Per quanto attiene al punto 1) e’ necessario distinguere la malattia localizzata e localmente avanzata dalla malattia metastatica. In presenza di malattia localizzata, stadio T1-T2/N0 e’ sempre consigliabile la nefrectomia con intento di radicalità. Nella malattia localmente avanzata stadio T3-T4 o N1-N2 la nefrectomia quando fattibile rimane lo standard terapeutico sebbene la prognosi risulti meno favorevole (vedi Algoritmo 1). Al momento un trattamento neoadiuvante citoriduttivo e’ da riservare a trials clinici. In presenza di malattia metastatica l’approccio terapeutico e’ da definire in base all’espressione di altri fattori prognostici: l’istologia (cellule chiare versus non cellule chiare), la classe di rischio di appartenenza secondo i criteri MSKCC e le pregresse terapie eseguite (vedi Algoritmo 3). Va ricordato come anche in presenza di malattia metastatica la nefrectomia deve costituire il primo approccio terapeutico se la chirurgia è tecnicamente fattibile, il volume tumorale metastatico non è massivo e le condizioni generali del paziente sono buone. Nell’istotipo cellule chiare in classe di rischio bassa/intermedia sono oggi disponibili tre diverse opzioni terapeutiche: il sunitinib, la combinazione bevacizumab piu’ interferon-a ed il pazopanib (livello di evidenza 1b per i tre farmaci). Ulteriori opzioni terapeutiche sono costituite da interleuchina 2 ad alte dosi per pazienti selezionati giovani con buon performance status e volume tumorale limitato e sorafenib per pazienti considerati per comorbidità non idonei a ricevere citochine o altri antiangiogenetici (livello di evidenza 2a). In situazioni molto selezionate può essere considerata la strategia osservazionale. Nei pazienti a prognosi sfavorevole il temsirolimus costituisce l’approccio terapeutico di riferimento (livello di evidenza 1b). Un’ulteriore opzione terapeutica in questo setting prognostico è rappresentata da sunitinib (livello di evidenza 2a). 36 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Nel trattamento della malattia refrattaria sorafenib e pazopanib dopo fallimento a citochine ed everolimus dopo fallimento ad anti-VEGF costituiscono i trattamenti di riferimento (livello di evidenza 1b). Non ancora approvato in Italia axitinib (livello di evidenza 1b). La letteratura scientifica segnala l’utilizzo di sorafenib anche dopo sunitinib o bevacizumab+interferon-α (livello di evidenza 2b), di sunitinib dopo citochine (livello di evidenza 2b) e dopo sorafenib o bevacizumab+interferon-α (livello di evidenza 2b). Nelle istologie non a cellule chiare nel sottogruppo a cattiva prognosi il temsirolimus costituisce l’approccio terapeutico con il miglior livello di evidenza (livello di evidenza 2a). La letteratura segnala l’utilizzo di sunitinib e sorafenib limitatamente ai pazienti a rischio favorevole/intermedio (livello di evidenza 2b). Nelle Tabelle 10 e 11 viene sintetizzato l’algoritmo terapeutico attuabile in Italia in funzione delle diverse categorie prognostiche di appartenenza e dell’istotipo. Pazienti Rischio prognostico: Non pretrattati favorevole o intermedio Terapia di prima scelta Opzioni di seconda scelta Sunitinib IL-2 alte dosi Bevacizumab + IFN-alfa Sorafenib Pazopanib Osservazione Temsirolimus Sunitinib Rischio prognostico: sfavorevole Sorafenib con citochine Pazopanib Sunitinib Pretrattati con farmaci anti Everolimus VEGF/VEGFr TKi Tabella 10: Trattamento medico dell’ mRCC-istologia a cellule chiare Pazienti Rischio prognostico: favorevole o intermedio Rischio prognostico: sfavorevole Terapia di prima scelta Trials clinici Temsirolimus Opzioni di seconda scelta Sunitinib Sorafenib Sunitinib Tabella 11: Trattamento medico dell’ mRCC-istologia non a cellule chiare 7. Gestione del paziente fragile 7.1 Trattamento del paziente con insufficienza renale Le alterazioni della funzionalità renale sono un evento che si osserva frequentemente nei pazienti affetti da carcinoma renale (CR) non fosse altro perché la maggior parte di questi è sottoposta a nefrectomia o comunque ad una resezione parziale del rene (nephron sparing surgery). E’ noto come, anche in pazienti non neoplastici, la nefrectomia favorisca un incremento della creatinina sierica pari a circa il 20% [1]. Nei pazienti con carcinoma renale e sottoposti a nefrectomia, è riportato un incremento del glomerular filtration rate (GFR), ad un anno dall’intervento, del 40-50% [2]. E’ quindi evidente la necessità di monitorare la funzionalità renale, almeno attraverso la creatinina sierica, nei pazienti con CR sottoposti 37 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE anche alla sola nefrectomia (livello di evidenza 3). Gli agenti ad attività antiangiogenica oggi più diffusamente impiegati nel trattamento del carcinoma renale avanzato sono gli inibitori tirosin-chinasici (TKi: sunitinib, sorafenib, pazopanib, axitinib). Questi farmaci sono metabolizzati, in gran parte, a livello epatico (metabolismo ossidativo), attraverso il citocromo CYP3A4 22. Solo il 16-19% viene escreto attraverso le urine. Anche per gli inibitori di mTOR (temsirolimus ed everolimus), il metabolismo avviene a livello epatico e rappresenta la principale via di eliminazione. Non esistono, ad oggi, dati pubblicati ricavati da trials clinici di tipo prospettico randomizzato che valutino la fattibilità e l’efficacia di un trattamento con inibitori tirosin-chinasici o di mTOR in pazienti con mRCC e compromissione della funzionalità renale. I dati disponibili, quindi, si riferiscono tutti esclusivamente ad analisi retrospettive condotte su casistiche, in genere, numericamente molto limitate con tutti i conseguenti bias di valutazione. Inibitori tirosin-chinasici ed insufficienza renale La casistica più ampia è stata di recente pubblicata dal gruppo di Cleveland (USA) e riguarda 39 pazienti con mRCC ed insufficienza renale precedente al trattamento o insorta in corso di trattamento con TKi (sunitinib o sorafenib) (creatinina sierica 1.9 mg/dl o clearance della creatinina < 60 ml/min/1.73 m2 per almeno 3 mesi prima del trattamento) [3]. Nei 21 (54%) pazienti con insufficienza renale prima dei TKi, è stato osservato un ulteriore incremento della creatinina nel 57% dei casi ed è stata necessaria una riduzione di dose nel 48% dei casi; nei restanti 18 (46%) pazienti in cui si è sviluppata una insufficienza renale in corso di TKi, è stato osservato un incremento medio della creatinina di 0.8 mg/dl (range 0.3-2.8) ed una riduzione media della clearance della creatinina di 25 ml/min (range 8.54-64.76). L’efficacia del trattamento è rimasta sostanzialmente sovrapponibile a quella osservata nei pazienti con mRCC ma con funzione renale conservata sia per quanto riguarda le risposte (risposte obiettive nel 24% e stabilità di malattia nel 62% dei pazienti) .che la sopravvivenza libera da progressione di malattia .di 8.4 mesi. Anche le tossicità osservate non si discostano significativamente da quelle già note ed in particolare una tossicità G3 è stata osservata solo nel 29% dei casi (hand foot syndrome). In conclusione sembra che i TKi possano essere utilizzati nei pazienti con insufficienza renale se adeguatamente monitorati. I TKi possono essere continuati anche nei pazienti in cui si sviluppi una insufficienza renale in corso di trattamento pur con un adeguamento di dose (livello di evidenza 3). L’efficacia clinica dei TKi non sembra essere compromessa in questa categoria di pazienti. mTOR inibitori ed insufficienza renale Non esistono dati riportati in letteratura sufficienti a poter trarre alcuna conclusione. Pazienti in trattamento dialitico con carcinoma renale avanzato Farmacocinetica dei farmaci a bersaglio molecolare I TKi, utilizzati nel trattamento dei pazienti con mRCC, sono delle “piccole molecole” ed in quanto tali non dializzabili. Per tale motivo la loro assunzione può avvenire indipendentemente dalla procedura dialitica. Sono pochissimi i dati pubblicati in letteratura riferiti alla farmacocinetica dei TKi in corso di dialisi. Il sunitinib, impiegato nella schedula classica (50 mg/die per 4 settimane consecutive ogni sei settimane), in corso di dialisi sembra essere ben tollerato e mostrare dati di farmacocinetica del tutto simili a quelli osservati in pazienti con funzione renale conservata [4]. Il sorafenib, assunto in corso di dialisi al dosaggio di 400 mg/die continuativamente, sembra invece mostrare variazioni nei principali parametri di farmacocinetica. In particolare, sono stati segnalati livelli di C-Max inferiori a quelli dei pazienti con funzione renale conservata. In 9 pazienti si è osservato un aumento dell’incidenza gli eventi avversi di grado elevato [grado 3 in 8/9 (89%)] [5]. Il temsirolimus, somministrato alla dose standard di 25 mg/settimana, non sembra mostrare significative variazioni della farmacocinetica durante il trattamento dialitico [6]. Attività clinica dei farmaci a bersaglio molecolare In merito all’attività clinica dei TKi in pazienti con mRCC in dialisi, la letteratura è costituita esclusivamente da case report o case series. Nella Tabella 12 sono riportati i risultati clinici ottenuti in questo setting di pazienti. Non esistono invece dati sull’efficacia e tollerabilità degli mTORi nei pazienti in corso di dialisi. 38 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE La limitata letteratura disponibile sembra supportare l’uso degli inibitori tirosin-chinasici nei pazienti con carcinoma renale avanzato in corso di dialisi anche se sembra esserci un maggiore ricorso a riduzioni di dose in seguito alla comparsa di eventi avversi. I risultati clinici riportati in letteratura sono sovrapponibili a quelli ottenuti nei pazienti con funzione renale nella norma (livello di evidenza 3). Autore Rey PM, 2008 Ruppin S, 2009 Zastrow S, 2009 Ferraris E, 2009 Hilger RA, 2009 Vickers MM, 2009 Reckova M, 2009 Izzedine H, 2009 Castagneto B, Riduzione di Risposta dose (a 3 mesi) no SD 0 SD 0 no PR 0 Non disponibile Sunitinib sì CR Amilasi/Lipasi Non disponibile “ no SD 0 Non disponibile 1 Sorafenib no PR No 8 mesi 1 “ sì SD Astenia, dispnea 4 mesi 2 Sorafenib sì NR NR 1 Sunitinib sì PR 1 “ no SD 1 Sunitinib sì PR Num di pts. TKi 1 Sorafenib 1 Sorafenib 1 Sorafenib 1 1 1 1 Sunitinib Tossicità (G3-4) Ipotiroidismo, astenia Trombocitopenia, ipertesione, EF PFS Non disponibile Non disponibile 8 mesi Non disponibile no SD 0 Non disponibile no NR 0 Non disponibile 1 Sorafenib sì PR 0 Non disponibile Shinsako K, 2010 1 Sorafenib no SD 0 6 mesi Park CY, 2009 1 Sunitinib no CR 0 Non disponibile Sang Hyun Yoon, 1 Sunitinib 2010 1 “ sì PR 0 Park S, 2010 6 Sunitinib sì SD Mucosite, anoressia, astenia Josephs D, 2011 10 Sunitinib sì PR Kennoki T, 2011 10 Sorafenib sì CR, PR, SD 2010 Astenia, stomatite, HFSR, diarrea Emorragia subaracnoidea, Emorragia cerebellare 16 mesi 6 mesi Non disponibile 10.7 mesi 6.3 mesi astenia, nausea, vomito, diarrea, Casper J, 2011 21 Sunitinib sì Sunitinib sì Sorafenib sì CR, PR, SD trombocitopenia ,ipertensione, ipotensione, disfunzione 15 mesi ventricolare sinistra Masini , 2012 24 PR, SD Symptomatic cardiac ischemia, Thrombocytopenia 10.3 mesi Tabella 12. Studi clinici con TKi nei pazienti in dialisi affetti da mRCC Sintesi e grado di raccomandazione Necessità di monitorare la funzionalità renale, almeno attraverso la creatinina sierica, nei pazienti con CR sottoposti anche alla sola nefrectomia (grado C). I TKi possono essere continuati anche nei pazienti in cui si sviluppi una insufficienza renale in corso di trattamento pur con un adeguamento di dose (grado C). I risultati clinici riportati in letteratura sono sovrapponibili a quelli ottenuti nei pazienti con funzione renale nella norma (grado C). 39 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. Najarian JS, Chavers BM, McHugh LE, et al. 20 years or more of follow-up of living kidney donors. Lancet 1992; 340(8823): 8 Shirasaki Y, Tsushima T, Saika T et al. Kidney function after nephrectomy for renal cell carcinoma. Urology 2004; 64(1): 43–4707–810 G. Khan, A. Golshayan, P. Elson et al. Sunitinib and sorafenib in metastatic renal cell carcinoma patients with renal insufficiency. Ann Oncol. 2010 Aug;21(8):1618-22 H. Izzedine, M. C. Etienne-Grimaldi, N. Rene´e et al. Pharmacokinetics of sunitinib in Hemodialysis. Ann Oncol 2009 Jan; 20(1):191 T. Kennoki, T. Kondo, Y. Hashimoto et al. Feasibility and safety of administration of sorafenib in chronic hemodialysis patients with metastatic renal cell carcinoma: Clinical results and pharmacokinetics in a single Japanese center. JCO, 2010. Vol 28, No 15 suppl. Lunardi G, Armirotti A, Nicodemo M et al. Comparison of temsirolimus pharmacokinetics in patients with renal cell carcinoma not receiving dialysis and those receiving hemodialysis: a case series. Clin Ther. 2009 Aug;31(8):1812-9 7.2 Trattamento del paziente anziano Il carcinoma renale (RCC) colpisce principalmente gli individui più anziani: circa la metà delle nuove diagnosi, viene posta in persone di età superiore a 65 anni, in particolare in un 25% dei casi tra i 65 e i 74 anni ed in un altro 25% oltre i 75 anni [1,2]. Per quanto riguarda le modalità di esordio della neoplasia renale in letteratura esistono, dati contrastanti. Gillett e Denzinger hanno dimostrato come, nei pazienti anziani la diagnosi di carcinoma renale avvenga in stadi più avanzati, con grado istologico più elevato e conseguente prognosi peggiore [3, 4]. Di contro Sànchez-Ortiz et al. hanno evidenziato che i pazienti giovani con RCC hanno una istologia più sfavorevole ed una maggiore incidenza di metastasi linfonodali rispetto alla coorte dei pazienti più anziani [5]. Nonostante queste osservazioni in molti studi non sono state trovate differenze statisticamente significative in termini di sopravvivenza globale (OS) tra i pazienti anziani e quelli più giovani [6]. Vanno comunque sempre considerati diversi fattori fisici, patologici, farmacologici, cognitivi e sociali legati all'età del al fine di definire correttamente la strategia terapeutica, a partire dalla chirurgia fino alla terapia medica. Fino a pochi anni fa, le opzioni di trattamento per i pazienti anziani con carcinoma renale erano limitate: l’età avanzata rappresentava infatti un importante criterio prognostico negativo. Oggi invece si rende necessaria una valutazione più generale del paziente anziano che comprenda il Performance Status (PS), la presenza di eventuali comorbidità (ipertensione, diabete, BPCO, malattie cardiovascolari, etc.) per poter definire un adeguato trattamento individualizzato. Chirurgia Sono numerose le analisi retrospettive di casistiche, pubblicate in letteratura, che valutano l’età come fattore di rischio peri ed intraoperatorio. Berdjis et al. [7] affermano in realtà che la morbilità e la mortalità sono correlate con l'aumento del punteggio ASA, ma non con l'età. Con l'emergere di tecniche mini-invasive, anche in ambito urologico, come le radiofrequenze e la crioablazione laparoscopica o percutanea, anche i pazienti anziani possono essere trattati in modo idoneo e sicuro. Nei pazienti anziani, soprattutto in caso di tumori di piccole dimensioni (< 4 cm), la NSS (nephron sparing surgery), ha il grande vantaggio di determinare una minor compromissione della funzione renale globale con un minor rischio di sviluppo di proteinuria e di insufficienza renale [8, 9]. Kader et al. hanno rivisto la loro esperienza di nefrectomia citoriduttiva (nefrectomia in pazienti con carcinoma renale metastatico) nei pazienti anziani al MD Anderson Cancer Center di Huston: sebbene la morbilità e la mortalità risultino aumentate in questi pazienti ad altissimo rischio, vista l’età superiore ai 75 anni, la nefrectomia citoriduttiva si associa ad un potenziale vantaggio in termini di sopravvivenza [10]. 40 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Beisland et al., per contro, in uno studio su 63 pz. hanno evidenziato come, nei pazienti anziani con multiple comorbidità, la sola osservazione possa dare risultati accettabili in termini di tassi di OS e CSS (cancerspecific survival) dopo 5 anni (42.8% e 93.3%). Nei tumori di 4.0 centimetri, solo 1/27 tumori (3.7%) è cresciuto più rapidamente di 1 cm/anno [11]. In conclusione per quanto riguarda l’approccio chirurgico appare evidente l’importanza della corretta selezione dei pazienti anche per quelli con età più avanzata. In questo ambito, la nefrectomia radicale va sempre perseguita nei pazienti con buon PS, assenza di copatologie di rilievo e neoplasia renale di diametro superiore ai 4.0 cm (livello di evidenza 3); nello stesso gruppo di pazienti, ma con neoplasia di piccole dimensioni (< 4.0 cm) la nephron sparing surgery sembra un approccio praticabile (livello di evidenza 3). In pazienti anziani ad elevato rischio di complicanza (età molto avanzata, copatologie di rilievo) l’osservazione, soprattutto nel caso di neoplasie renali di piccole dimensioni (<4 cm) (livello di evidenza 3), può rappresentare una valida alternativa. La nefrectomia citoriduttiva nel paziente anziano, pur essendo associata ad una maggior morbidità e mortalità, sembra essere comunque in grado di determinare un vantaggio in termini di sopravvivenza globale simile a quello osservato nella popolazione generale (livello di evidenza 3). Trattamento farmacologico Per diversi decenni, la terapia sistemica del carcinoma renale metastatico prevedeva l’utilizzo di interferone (IFN) e/o interleuchina-2 (IL-2). L’uso di entrambi gli agenti è associato ad un limitato numero di risposte cliniche (< 15%), che, in una piccola percentuale dei casi trattati con IL-2 sono risultate durevoli [12]. Nella maggioranza dei casi, ed in particolare nei pazienti anziani, le tossicità hanno rappresentato un notevole ostacolo alla somministrazione dell’immunoterapia. Recentemente, le opzioni terapeutiche sono aumentate con l'introduzione dei farmaci a bersaglio molecolare: sorafenib, sunitinib, pazopanib, axitinib, temsirolimus, everolimus e bevacizumab utilizzato in combinazione con IFN-α. Tali farmaci sono stati in grado di migliorare significativamente la sopravvivenza libera da progressione dei pazienti affetti da carcinoma renale metastatico. Nessuno degli studi di fase III, che hanno portato alla registrazione dei suddetti farmaci, prevedeva limiti di età nella popolazione arruolata. Comunque, la popolazione di pazienti anziani in tutti i trials registrativi è risultata poco rappresentata [13]. I motivi di ciò possono essere i più disparati: un supposto maggior rischio di eventi avversi e quindi ridotta tolleranza ai trattamenti, la presenza di comorbidità, un ridotto performance status. Inibitori tirosino chinasici e paziente anziano Sorafenib è stato il primo inibitore multichinasico approvato per il trattamento del carcinoma renale metastatico negli Stati Uniti e in Europa. Nello studio TARGET (Treatment Approaches in Renal Cell Cancer Global Evaluation Trial) di fase III, sorafenib è stato confrontato con il placebo nel trattamento di II linea, in pazienti resistenti alle citochine. Un aumento della sopravvivenza libera da progressione nei pazienti con carcinoma renale in stadio avanzato trattati con sorafenib, indipendentemente dall'età è stato osservato senza che questo fosse associato ad un incremento significativo degli eventi avversi nel paziente anziano. L’impatto del sorafenib sulla qualità della vita è risultato simile nei 2 gruppi (<65 e > 65 anni) [14]. Anche nel EU-ARCCS (European Advanced Renal Cell Carcinoma Sorafenib Exexpanded-access study) il 23% dei pazienti aveva più di 70 anni: il trattamento è risultato ben tollerato e il DCR (disease control rate) a 8 e 12 settimane è risultato simile a quello dei pazienti più giovani [15]. Il farmaco pertanto rappresenta un'importante opzione di trattamento per i pazienti anziani con carcinoma renale avanzato Sunitinib è stato confrontato, in uno studio di Fase III di I linea con l’interferone-alfa in 750 pazienti con carcinoma renale metastatico [16]. In questo studio il 36% della popolazione aveva più di 65 anni, equamente diviso nei due bracci di trattamento. Nei diversi gruppi di età considerati non è stata osservata alcuna differenza per quanto riguarda gli eventi avversi Gli stessi benefici clinici e la stessa percentuale di risposte obiettive nei pazienti trattati con sunitinib sono stati osservati nei due gruppi di età. Anche nel expanded-access program di sunitinib [17] il 32% dei pazienti aveva più di 65 anni: in questo sottogruppo di 41 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE pazienti il tasso di incidenza di eventi avversi G3/4 non differiva dagli altri pazienti, così come il tasso di risposte obiettive, la PFS e OS. Pazopanib è stato confrontato con placebo in uno studio randomizzato in doppio-cieco in pazienti naive o pretrattati con citochine [18]. In questo studio il 35,4% della popolazione aveva più di 65 anni: un migliroamento della PFS e dei tassi di risposte obiettive è stato osservato nei pazienti trattati con pazopanib indipendentemente dall’età. Axitinib è stato confrontato con sorafenib in uno studio di fase III in pazienti che sono progrediti dopo una prima linea contenente bevacizumab+IFN, sunitinib, temsirolimus o citochine. In questo studio la PFS mediana dei pazienti con più di 65 anni trattati con axitinib è risultata maggiore di quelli trattati con sorafenib [10]. L’associazione di bevacizumab ed interferone è stata confrontata con il solo interferone in due studi randomizzati di fase III di I linea. Uno europeo, AVOREN trial, in doppio cieco riguardante 649 pazienti [20] e l’altro americano, CALGB 90206, in aperto su 732 pazienti [21]. Bevacizumab più interferone alfa 2a migliorano significativamente la PFS rispetto all’interfone in entrambi gli studi (10.2 mesi vs 5.4 mesi e 8.5 mesi vs 5.2 mesi, rispettivamente). In entrambi i trial, la sopravvivenza libera da progressione nei pazienti con più di 65 anni è risultata significativamente superiore con bevacizumab ed interferone. Inibitori di mTOR e paziente anziano Temsirolimus è stato confrontato con l’interferone e con la combinazione di temsirolimus ed interferone, in uno studio di fase III di I linea in 626 pazienti con carcinoma renale metastatico a cattiva prognosi secondo i criteri di Motzer [22]. Temsirolimus è stato in grado di determinare un aumento significativo della sopravvivenza globale rispetto agli altri due trattamenti (10.9 mesi vs 8.4 mesi vs 7.3 mesi, rispettivamente). In questo studio, il 30% dei pazienti aveva età superiore ai 65 anni. In questo sottogruppo di pazienti, non è stata rilevata alcuna differenza in termini di OS rispetto al solo IFN (8.6 mesi vs 8.3 mesi) Everolimus è stato confrontato con il placebo, nell’ambito di uno studio di fase III in pazienti resistenti ad almeno un inibitore tirosino-chinasico. Non è stata riscontrata alcuna differenza in termini di PFS, tra i pazienti di età > 65 anni e quelli di età < 65 anni) [23]. I dati relativi all’impiego dei farmaci a bersaglio molecolare nel paziente anziano derivano da analisi, solo in parte pianificate, eseguite sulle casistiche degli studi clinici o degli expanded access program (sorafenib e sunitinib). In particolare, analizzando i pazienti arruolati negli studi clinici di fase III, il sunitinib, il sorafenib, il pazopanib e l’everolimus si dimostrano in grado di aumentare significativamente la sopravvivenza libera da malattia indipendentemente dall’età del paziente (pazienti in I linea, pazienti citokine resistenti o non candidabili a citokine, pazienti resistenti ad almeno un inibitore tirosino chinasico) (livello di evidenza 3). Sintesi e grado di raccomandazione la nefrectomia radicale va sempre perseguita nei pazienti con buon PS, assenza di copatologie di rilievo e neoplasia renale di diametro superiore ai 4.0 cm (grado B). nello stesso gruppo di pazienti, ma con neoplasia di piccole dimensioni (< 4.0 cm) la nephron sparing surgery sembra un approccio praticabile (grado B). In pazienti anziani ad elevato rischio di complicanza (età molto avanzata, copatologie di rilievo) l’osservazione, soprattutto nel caso di neoplasie renali di piccole dimensioni (< 4 cm) può rappresentare una valida alternativa (grado D). La nefrectomia citoriduttiva nel paziente anziano sembra essere comunque in grado di determinare un vantaggio in termini di sopravvivenza globale simile a quello osservato nella popolazione generale (grado B). Sunitinib, sorafenib, pazopanib, everolimus ed axitinib si dimostrano in grado di aumentare significativamente la sopravvivenza libera da malattia indipendentemente dall’età del paziente (pazienti in I linea, pazienti citokine resistenti o non candidabili a citochine, pazienti resistenti ad almeno un inibitore tirosino-chinasico) (grado B). 42 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Bibliografia 1. Enrique Ramos-Barcelo , Jorge Rioja, et al. Is age a prognostic factor for treatment outcome in renal cellcancer—A comprehensive review. Critical Reviews in Oncology/Hematology 72 (2009) 83–89. 2. Edwards BK, Brown ML,Wingo PA, et al. Annual report to the nation on the status of cancer, 1972–2002, featuring population based trends in cancer treatment. J Natl Cancer Inst 2005;97:1407–27. 3. Gillett MD, Cheville JC, Karnes RJ, et al. Comparison of presentation and outcome for patients 18 to 40 and 60 to 70 years old with solid renal masses. J Urol 2005;173:1893–6. 4. Denzinger S, OttoW, Burger M, et al. Sporadic renal cell carcinoma in young and elderly patients: are there different clinicopathological features and disease specific survival rates? World J Surg Oncol 2007;5:16. 5. Sánchez-Ortiz RF, Rosser CJ, Madsen LT, Swanson DA, Wood CG. Young age is an independent prognosis factor for survival of sporadic renal cell carcinoma. J Urol 2004;171:2160–5. 6. Ziya Kirkali. Kidney cancer in the elderly. Urologic Oncology: Seminars and Original Investigations 27 (2009) 673–676. 7. Berdjis N, Hakenberg OW, Novotny V, et al. Treating renal cancer in the elderly. BJU Int 2006;97:703–5. 8. Lau WK, Blute ML, Weaver AL, Torres VE, Zincke H. Matched comparison of radical nephrectomy vs. nephronsparing surgery in patients with unilateral renal cell carcinoma and a normal contralateral kidney. Mayo Clin Proc 2000;75:1236–42. 9. Fergany AF, Saad IR, Woo L, Novick AC. Open partial nephrectomy for tumor in a solitary kidney: experience with 400 cases. J Urol 2006;175:1630–3. 10. Kader AK, Tamboli P, Luongo T, et al. Cytoreductive nephrectomy in the elderly patient: The M. D. Anderson Cancer Center experience. J Urol 2007;177:855– 61. 11. Christian Beisland et al. Observation Should be Considered as an Alternative in Management of Renal Masses in Older and Comorbid Patients. European Urology 55 ( 2 0 0 9 ) 1419–1429. 12. Coppin C, Porzsolt F, Autenrieth M, et al. Immunotherapy for advanced renal cell cancer. Cochrane Database Syst Rev 2004. CD0011425, last updated May 2006. 13. Camillo Porta et al. Treating the individual: The need for a patient-focused approach to the management of renal cell carcinoma. Cancer Treatment Reviews 36 (2010) 16–23. 14. Escudier B, Eisen T, StadlerWM,et al. Sorafenib in advanced clear-cell renal-cell carcinoma. N Engl J Med 2007;356:125–34. 15. J. Beck, G. Procopio, E. Bajetta, et al . Final results of the European Advanced Renal Cell Carcinoma Sorafenib (EU-ARCCS) expanded-access study: a large open-label study in diverse community settings. Annals of Oncology 2011; 22: 1812–1823. 16. Motzer RJ, Hutson TE, Tomczak P, et al. Sunitinib versus interferon alfa in metastatic renal-cell carcinoma. N Engl J Med 2007;356:115–24. 17. Martin E Gore, Cezary Szczylik, Camillo Porta et al. Safety and efficacy of sunitinib for metastatic renal-cell carcinoma: an expanded-access trial. Lancet Oncol 2009; 10: 757–63 18. Cora N. Sternberg, Ian D. Davis, Jozef Mardiak et al. Pazopanib in locally advanced or metastatic renal cell carcinoma: results of a randomized Phase III Trial. J Clin Oncol. 2010 Feb 20;28(6):1061-8. Epub 2010 Jan 25. 19. Rini BI, Escudier B, Tomczak P, et al. Comparative effectiveness of axitinib versus sorafenib in advanced renal cell carcinoma (AXIS): a randomised phase 3 trial. Lancet. 2011 Dec 3;378(9807):1931-9. Epub 2011 Nov 4. 20. Escudier B, Pluzanska A, Koralewski, et al. Bevacizumab plus interferon alfa-2a for treatment of metastatic renal cell carcinoma: a randomised, double-blind phase III trial. Lancet 2007;370:2103–11. 21. Rini BI, Halabi S, Rosenberg JE, Phase III Trial of Bevacizumab Plus Interferon Alfa VersusInterferon Alfa Monotherapy in Patients With Metastatic Renal Cell Carcinoma: Final Results of CALGB 90206. J Clin Oncol 2010, 28:2137-2143. 22. Hudes G, Carducci M, Tomczak P, et al. Temsirolimus, interferon alfa, or both for advanced renal-cell carcinoma. N Engl J Med 2007;356:2271–81. 23. Motzer RJ, Escudier B, Oudard S, et al. Efficacy of everolimus in advanced renal cell carcinoma: a double-blind, randomised, placebo-controlled phase III trial. Lancet 2008;372:449-5. 43 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE 8. Gestione delle tossicità associate ai farmaci biologici (vedi algoritmi 4-6) In pochi altri settori dell’oncologia si sono osservati sviluppi così rapidi e profondi grazie a terapie targetspecifiche come è avvenuto, negli ultimi anni, per il trattamento del carcinoma renale metastatico (mRCC). La loro introduzione nell’armamentario terapeutico antitumorale ha ampliato le opportunità terapeutiche disponibili in questo ambito generando nuovi quesiti e campi di ricerca, ma ha anche documentato una serie di effetti collaterali nuovi o inusuali [1,2]. Raramente tali effetti si manifestano con gravità tale da minacciare la vita del paziente; più spesso hanno ripercussioni fisiche, sociali e psicologiche che causano un sostanziale depauperamento della qualità di vita del paziente. Inoltre, la loro persistenza, se pure ad un basso livello di gravità, può richiedere l’interruzione del trattamento, pertanto si rende necessario un controllo proattivo degli effetti collaterali che oltre ad alleviarne il disagio del paziente potrebbe prevenire l’interruzione o la riduzione della dose e, quindi massimizzare l’outcome clinico. Per assicurare la migliore aderenza del paziente con mRCC alla terapia e contrastare la comparsa degli eventi avversi si possono adottare alcune misure preventive. In generale un intervento precoce può ridurre la gravità dei sintomi e massimizzare sia l’efficacia del trattamento sia la qualità di vita [3-5]. In considerazione dei loro specifici bersagli distinguiamo tossicità dei farmaci tirosino-chinasi ed anti-VEGF (effetti collaterali simili) e tossicità dei farmaci inibitori del complesso m-TOR [6-14] (Tabella 13 e 14). Dopo aver descritto le singole tossicità, come riportato dagli studi registrativi, discuteremo della gestione di esse. Le raccomandazioni per il managment degli effetti collaterali sono basate su expert opinion dal momento che i livelli di evidenza sono bassi. Grado 3-4 ≥5% con VEGFR TKi Tutti i gradi >30% con VEGFR TKi Agente Sunitinib Sorafenib Pazopanib Effetto collaterale Diarrea, 61%; fatigue, 54%; nausea, 52%; disgeusia, 46%; anoressia, 34%; dispepsia, 31%; vomito, 31%; ipertensione, 30%; stomatite, 30% Diarrea, 48%; rash o desquamazione, 41%; Sindrome mani-piedi HFS, 33%; alopecia, 31% Diarrea, 52%; Ipertensione, 40%; cambio del colore dei capelli, 38% Anormalità di laboratorio Effetto collaterale Anemia, 79%; leucopenia, 78%; neutropenia, 77%; aumento della creatinina, 70%; trombocitopenia, 68%; aumento lipasi, 56%; aumento AST, 56%; aumento ALT, 51%; aumento della creatina chinasi, 49%; aumento della fosfatasi alcalina, 46%; aumento amilasi, 35%; ipofosfatemia, 31% Non riportate Ipertensione, 12%a; fatigue, 11%; diarrea, 9%a; Syndrome manipiedi, HFS 9%a; astenia, 7%-8%a; nausea, 5%a Aumento ALT and AST, 53%; iperglicemia, 41%; leucopenia, 37%; aumento della bilirubina, 36%; ipofosfatemia, 34%; neutropenia, 34%; ipocalcemia, 33%; trombocitopenia, 32%; Iponatremia, 31%; linfocitopenia, 31% Non riportate a Sindrome manipiedi HFS, 6% Anormalità di laboratorio Neutropenia, 18%a; linfopenia, 18%a; Aumento lipasi, 18%a; Aumento acido urico, 14%a; trombocitopenia, 9%a; leucopenia, 8%a; anemia, 8%; aumento amilasi, 6%; ipofosfatemia, 6%-7% Non riportate Aumento ALT, 12%; Aumento AST, 8%; iponatremia, 5% più commune che con interferone in maniera significativa (p <.05). Abbreviazioni: ALT, aminotransferasi; AST, aspartato aminotransferasi; VEGFR TKi, vascular endothelial growth factor receptor tyrosine kinase inibitore. HFS: sindrome mani-piedi 44 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Tabella 13: Principali effetti collaterali con inibitori tirosino-chinasi negli studi clinici registrativi nel carcinoma renale metastatico Tutti i gradi ≥30% with inibitore di mTOR Grado 3 or 4 ≥5% con inibitore di mTOR Agente Evento avverso Anormalità di laboratorio Evento avverso Temsirolimus Astenia, 51%; rash, 47%; nausea, 37%; anoressia, 32% Stomatite, 44%; infezione, 37%; astenia, 33%; fatigue, 31%; diarrea, 30%; tosse, 30% Anemia, 45% Astenia, 11%; dispnea, 9%; infezione, 5%; dolore, 5% Infezione, 10%; dispnea, 7%; fatigue, 5% Everolimus Anemia, 92%; Aumento del colesterolo, 77%; aumento dei trigliceridi, 57%; riduzione linfociti, 51%; aumento della creatinina, 50%; riduzione dei fosfati, 37% Anormalità di laboratorio Anemia, 20%; Iperglicemia, 11% Riduzione Linfociti, 18%; Riduzione dell’emoglobina, 13%; Aumento del glucosio, 15%-16%; Riduzione dei fosfati, 6% Abbreviation: mTOR, mammalian target of rapamycin. Tabella 14: Principali effetti collaterali con inibitori mTOR negli studi registrativi del carcinoma renale metastatico Cardiotossicità I meccanismi patogenetici implicati nell’ipertensione arteriosa non sono chiarissimi ma sono riconducibili all’inibizione del segnale VEGF-mediato con riduzione del letto vascolare ed aumento delle resistenze periferiche. È stato anche proposto che l’inibizione del segnale VEGF-mediato possa essere responsabile della inibizione della ossido nitrico sintetasi e conseguentemente della produzione di ossido nitrico. L’ossido nitrico gioca un ruolo cruciale nell’omeostasi vascolare sia per il controllo del tono vasomotorio che per il bilancio tra proliferazione ed apoptosi in vasi sia normali che patologici. L’ipertensione è frequente con i farmaci inibitori tirosino-chinasi/anti-VEGF anche se variabile e raramente severa come riportato nella tabella 1 [2,5-7]. Di solito l’ipertensione compare nelle prime 3 settimane ed è gestibile con i comuni farmaci anti-ipertensivi [15]. Per la gestione dell’.ipertensione arteriosa è importante ottimizzare il valore al basale, coinvolgere il paziente con un monitoraggio a casa, controllare i valori pressori regolarmente nelle prime settimane, mantenere uno stretto controllo con valori non superiori a 140 di massima e 90 di minima, aggiungere farmaci antipertensivi quando necessario. Non ci sono evidenze scientifiche su quale farmaco anti-ipertensivo privilegiare. Il messaggio dalla letteratura è di controllare la pressione arteriosa in maniera stretta. Molti pazienti necessitano di più di un farmaco. La scelta del farmaco deve essere mirata per ogni singolo paziente; considerare gli effetti collaterali, terapie concomitanti e compliance del paziente (vedi Algoritmo 4). Tutte le categorie di anti-ipertensivi possono essere utilizzate (calcio antagonisti, beta-bloccanti, aceinibitori). Importante evitare i farmaci anti-aritmici come il verapamil ed il diltiazem perché inibitori del citocromo CYP3A4 e pertanto possono interagire con il farmaco biologico utilizzato. Recenti dati della letteratura ipotizzano che l’ipertensione arteriosa possa essere un marker di efficacia dal momento che si è visto che i pazienti in trattamento con sunitinib e bevacizumab e che sviluppavano ipertesione avevano una sopravvivenza superiore a quelli che non sviluppavano ipertensione [16]. Per quanto riguarda l’insufficienza cardiaca congestizia sono riportate in letteratura incidenze inferiori al 10%. Si assiste a riduzione della frazione d’eiezione, possibili disturbi della conduzione e raramente a scompenso cardiaco congestizio. Di solito l’insufficienza cardiaca congestizia è conseguenza di una ipertensione arteriosa mal curata. Rari sono i casi riportati di incidenti cerebro-vascolari ed infarto del miocardio. Di norma la tossicità cardiaca, sia prima dell’inizio del trattamento sia durante il trattamento, può essere gestita mediante la seguente strategia: Valutazione e monitoraggio pre-trattamento e durante il trattamento; Interruzione o riduzione della dose se la frazione di eiezione del ventricolo sinistro si riduce a <50% o mostra riduzioni >20% rispetto alla situazione basale; 45 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Sospensione della terapia in presenza di manifestazioni cliniche di insufficienza cardiaca congestizia. Prima di prescrivere farmaci biologici nei pazienti con storia di eventi cardiovascolari nei 12 mesi precedenti la terapia, il medico deve valutare attentamente i benefici e i potenziali rischi del trattamento. Appartengono a questa categoria ad alto rischio i pazienti con infarto miocardico, angina instabile, scompenso cardiaco cronico, attacco ischemico transitorio ed embolia polmonare, nonché i pazienti che sono stati sottoposti a impianto di bypass aortocoronarico (vedi Algoritmo 5). Sintesi e livello di evidenza Monitoraggio della pressione arteriosa in basale e nelle settimane di trattamento (livello di evidenza 4) Valutazione della frazione d’eiezione in basale (livello di evidenza 3) Aggiungere farmaci anti-ipertensivi se pressione arteriosa non controllata (livello di evidenza 4) Sospendere il trattamento in presenza di manifestazioni cliniche di insufficienza cardiaca congestizia (livello di evidenza 3) Fatigue La fatigue è una sensazione soggettiva, penosa, persistente di stanchezza o esaurimento relativa al cancro o al trattamento che interferisce con le usuali attività quotidiane [4]. I farmaci a bersaglio molecolare contribuiscono fortemente alla comparsa della fatigue che appare pertanto determinata dalla presenza di più fattori: dolore, stress emotivo, anemia, alterazioni del sonno, alterazioni della nutrizione associate alla presenza di mucosite, disgeusia, diarrea e talvolta all’ipotiroidismo. Nei trials clinici la fatigue di tutti i gradi è stata rilevata con frequenza del 40-50% nei pazienti con carcinoma renale metastatico rispettivamente naive o refrattari alle citochine e trattati poi con target-therapy. Compare in genere in seconda e terza settimana e nell’11-12% dei pazienti raggiunge il 3° e 4° grado. La maggior parte dei pazienti può continuare a svolgere le normali attività giornaliere con modeste variazioni. In alcuni pazienti la fatigue migliora nel momento in cui la terapia della patologia di base si accompagna ad un miglioramento del quadro sintomatologico. Gestione della fatigue Informare i pazienti sulla possibilità di comparsa della fatigue Valutare e trattare, secondo la pratica medica standard, la possibile presenza di fattori causali sottostanti: depressione, stress emotivo, disturbi del sonno, ipotiroidismo, anemia Fornire consigli di supporto se necessario Nei cicli 1–3, monitorare regolarmente i pazienti in merito all’impatto della fatigue sulla QoL ed incoraggiare i pazienti a monitorare il proprio stato di salute. Sintesi e livello di evidenza Informare i pazienti sulla fatigue Valutare la presenza dei fattori sottostanti e curare essi (livello di evidenza 4) Disfunzioni tiroidee Sunitinib così come Sorafenib sono stati variabilmente associati all’insorgenza di sintomi riconducibili a differenti gradi di disfunzione tiroidea, dall’ipotiroidismo subclinico all’ipotiroidismo conclamato [17]. La prevalenza di ipotiroidismo da sunitinib varia nelle diverse casistiche dal 53-85% degli studi retrospettivi al 36-46% di quelli prospettici. Nel 18% dei pazienti affetti da carcinoma renale trattati con sorafenib è stata segnalata una condizione di ipotiroidismo. Il pazopanib sembrerebbe indurre un’ alterazione della tiroide in percentuale minore (10%) rispetto al sunitinib ed al sorafenib. È importante controllare la funzionalità tiroidea sia al basale sia durante la terapia. 46 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Un eventuale ipotiroidismo sub-clinico deve essere gestito con una terapia di sostituzione dell’ormone tiroideo partendo dal dosaggio più basso. Eventuale aggiustamento della dose, in senso di aumento della levotiroxina, se il valore del TSH continua ad aumentare. L’ipotiroidismo può peggiorare la fatigue del paziente (vedi Algoritmo 6). Sintesi e livello di evidenza L’ ipotiroidismo è un effetto collaterale riscontrato con gli inibitori tirosino-chinasi Esso richiede il pronto intervento con terapia di sostituzione (livello di evidenza 4) Alterazioni cutanee e degli annessi L’elevata concentrazione di EGFR a livello della cute è responsabile della tossicità cutanea di molti farmaci a bersaglio molecolare dal momento che essi agiscono attraverso l’inibizione di questo recettore [4]. Il trattamento con TKi ed in particolar modo con sunitinib e sorafenib è caratterizzato dalla comparsa di tossicità cutanea sottoforma di cute secca con prurito, follicoliti, depigmentazione con assottigliamento dei capelli, colorazione giallo-verdastra della cute, rash cutaneo, con desquamazione fino alla comparsa di handfoot syndrome (HFS, sindrome mani-piedi). Nei trials clinici la tossicità cutanea indotta da sunitinib e sorafenib è comparsa nel 25% dei pazienti con grado 1-2 e solo nel 5% dei pazienti è stata di grado 3. Tale condizione può essere stressante e particolarmente dolorosa al punto da interferire con le attività quotidiane del paziente [3-4]. Negli studi clinici con inibitori tirosino-chinasi, una sindrome mani-piedi di grado 1–4 e di grado 3–4 si è verificata rispettivamente nel 25,6% e nel 8,1% dei pazienti. Una corretta istruzione del paziente prima dell’inizio del trattamento, un esame clinico accurato e l’adozione di misure profilattiche (per es. manicure, pedicure) possono aiutare a controllare la tossicità cutanea. Numerose strategie per la gestione della sindrome mano-piede possono essere adottate durante il trattamento tra cui l’impiego di bendaggi idrocolloidali, l’uso di calzature con suole spesse e l’applicazione di creme topiche emollienti, la rimozione delle vesciche (Tabella 15). Sintesi e livello di evidenza La tossicità cutanea è tipica con gli inibitori tirosino-chinasi La sindrome mani-piedi necessita di uno corretto trattamento (livello di evidenza 4) GRADO 1: Mantenere la dose in corso; monitorare variazioni di gravità Evitare l’acqua troppo calda; utilizzare creme idratanti che diano sollievo; indossare guanti e/o calze in cotone spesso; usare creme contenenti urea al 20–40% Se i sintomi peggiorano dopo 2 settimane dalla valutazione, passare allo step seguente GRADO 2: Ridurre la dose del 50% per 7–28 giorni Trattare come per la tossicità di grado 1, con l’aggiunta di clobetasone e lidocaina, codeina o pregabalin per il dolore Se i sintomi peggiorano dopo 2 settimane dalla valutazione, passare allo step seguente GRADO 3: Interrompere il trattamento per 7 giorni e fino a un ritorno a un grado≤1 Trattare come per i gradi 1 e 2 Iniziare modificazioni della dose Tabella 15. Algoritmo per la gestione della sindrome mano-piede associata 47 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Tossicità gastroenterica La tossicità gastroenterica comprende la diarrea, la nausea ed il vomito [3-4]. Tali effetti collaterali sono raramente severi e frequenti con gli inibitori tirosino-chinasi. La stomatite invece si manifesta nel 20% e nel 40% dei pazienti trattati con temsirolimus ed everolimus rispettivamente. La diarrea è raramente severa e richiede trattamento standard: dieta, idratazione e loperamide. Solo nei casi severi viene utilizzato l’octreotide. Anche per la nausea ed il vomito sono utili i comuni presidi anti-emetici. Prima di iniziare il trattamento si devono implementare alcuni accorgimenti utili a gestire una eventuale stomatite: fondamentali sono l’istruzione del paziente all’individuazione dei sintomi precoci di stomatite, le modificazioni alimentari e l’igiene orale. Le modificazioni a carico del cavo orale associate sono di norma reversibili e possono generalmente essere gestite con terapie topiche locali senza la necessità di sospendere la terapia. Sintesi La diarrea è raramente severa e richiede i comuni presidi terapeutici (livello di evidenza 4). La stomatite è frequente con everolimus e di norma reversibile. Neutropenia Allo scopo di prevenire/gestire la comparsa eventuale di neutropenia associata ai trattamenti andrebbero adottate alcune misure profilattiche [3-4]. Informare il paziente su come ridurre il rischio di infezione e sulle norme igieniche da seguire rappresentano le strategie profilattiche più importanti. Inoltre sia prima di incominciare il trattamento che periodicamente durante il trattamento, deve essere eseguito un emocromo completo e, in caso di neutropenia, essa andrà gestita secondo la pratica medica standard. Non sono necessarie modificazioni della dose dei singoli farmaci tranne in caso di neutropenia di grado 3–4 o qualora ad essa si associno sintomi di febbre o infezione. Trombocitopenia Allo scopo di gestire la comparsa eventuale di trombocitopenia associata alle targeted therapy, prima di iniziare il trattamento andrebbero adottate alcune strategie appropriate per ridurre il rischio di sanguinamenti. Come nel caso della neutropenia, il rischio di trombocitopenia andrà monitorato nel tempo mediante un emocromo. L’eventuale trombocitopenia può essere gestita con l’applicazione di pratiche mediche standard, mentre modificazioni della dose non sono generalmente necessarie, tranne che per trombocitopenie di grado 3 o qualora essa persista per più di 5 giorni [3-4]. Tossicità da inibitori di m-TOR: Temsirolimus ed Everolimus Il profilo di tossicità di Temsirolimus e di Everolimus è risultato differente se confrontato con gli inibitori tirosin-chinasici [8,14]. Alcuni effetti collaterali, tipici delle altre categorie utilizzate nel carcinoma renale, sono rarissimi (ipotiroidismo, ipertensione arteriosa ed insufficienza cardiaca congestizia) mentre altri sono tipici di tale classe, rari ma meritevoli di attenzione (stomatite, polmonite). I principali effetti collaterali descritti con inibitori di m-TOR comprendono: rash cutaneo (25-47%), stomatite (20-40%), diarrea (1727%), infezioni (10-27%), edemi periferici (temsirolimus: 27%), polmonite non infettiva ( everolimus: 14%), alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico. In particolare sono stati riportati rari casi di polmonite grado 3 che richiedono la pronta interruzione del farmaco, ossigenoterapia e cortisonici [14] (Tabella 16). 48 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Evento avverso Polmonite non infettiva Stomatite Infezione Grado 1 Grado 2 Grado 3 Grado 4 Management Non specifica terapia; continuare everolimus Basato sui sintomi, considerare la riduzione/interruzione di dose, valutazione pneumologica, escludere polmonite infettiva corticosteroidi Interrompere everolimus,valutazione pneumologica, escludere una polmonite infettiva cortisonici Stesso come grado 3 Modificazione di dose Non prevista rinviare l’inizio del farmaco fino a tossicità grado 1 o meno; poi iniziare a dosi ridotte (5 mg/day) Interrompere l’everolimus Management Colluttorio non alcolico, bicarbonato (più volte nella giornata) Rinviare l’inizio del farmaco fino al grado 1. Iniziare a dose ridotta. Se non c’e’ recupero a grado 1 o meno non riprendere il trattamento analgesici topici, cortisonici topici Evitare derivati alcolici Modificazione di dose Non prevista Modificazione di dose Non prevista Non iniziare la terapia fino al ritorno ad un grado 1 o meno; eventualmente ridurre la dose Non iniziare la terapia fino al ritorno ad un grado 1 o meno; eventualmente ridurre la dose Non iniziare la terapia fino al ritorno ad un grado 1 o meno; ridurre la dose Non iniziare la terapia fino al ritorno ad un grado 1 o meno; ridurre la dose; sospendere se il ritardo è stato superiore a 21 giorni Evitare antifungini ed antivirali a meno che non sia diagnosticata un’infezione; in caso di infezione micotica usare antimicotici topici Discontinuare everolimus Abbreviazioni: RECORD-1, Renal Cell Cancer Treatment con Oral RAD001. Tabella 16. Raccomadazioni degli eventi avversi e management nei pazienti trattati con everolimus per il carcinoma renale basato sullo studio RECORD-1 Bibliografia 1. Ravaud A, Wallerand H, Culine S, Bernhard JC, Fergelot P, Bensalah K, PatardJJ. Update on the medical treatment of metastatic renal cell carcinoma. Eur Urol 2008; 54:315-25. 2. Di Lorenzo G, Autorino R and Sternberg CN. Metastatic Renal Cell Carcinoma: Recent Advances in the Targeted Therapy Era. Eur Urol 2009. 3. Bohjani N, Jeldres C, Patard JJ et al. Toxicities associated with the administration of sorafenib, sunitinib, and temsirolimus and their management in patients with metastatic renal cell carcinoma. Eur Urol 2008; 53 (5): 917-30. 4. Guevremont C, Alasker A and Karakiewicz PL. Management of sorafenib, sunitinib, and temsirolimus toxicity in metastatic renal cell carcinoma. Curr Opin Support Palliat Care. 2009 Sep;3(3):170-9. 5. Ljungberg B, Hanbury DC, Kuczyk MA, et al. Guidelines on Renal Cell Carcinoma. 2009, EAU guidelines (ISBN 978-90-79754-09-0), available to all members of the European Association of Urology at their website http://www.uroweb.org. 6. Motzer RJ, Hutson TE, Tomczak P, et al. Sunitinib versus interferon alfa in metastatic renal-cell carcinoma. New Engl J Med 2007;356: 115–24. 7. Escudier B, Pluzanska A, Koralewski P, et al. Bevacizumab plus interferon alfa-2a for treatment of metastatic renal cell carcinoma: a randomised, double-blind phase III trial. Lancet 2007; 370: 2103–11. 8. Escudier B, Bellmunt J, Négrier S, et al. Phase III trial of bevacizumab plus interferon alfa-2a in patients with metastatic renal cell carcinoma (AVOREN): final analysis of overall survival. J Clin Oncol 2010; 28: 2144-50 9. Rini BI, Halabi S, Rosenberg JE, et al. Phase III trial of bevacizumab plus interferon alfa versus interferon alfa monotherapy in patients with metastatic renal cell carcinoma: final results of CALGB 90206. J Clin Oncol 2010; 28: 2137-43. 10. Hudes G, Carducci M, Tomczak P, et al. Temsirolimus, interferon alfa, or both for advanced renal-cell carcinoma. New Engl J Med 2007;356:2271–81. 11. Sternberg CN, Davis ID, Mardiak J, et al. Pazopanib in locally advanced or metastatic renal cell carcinoma: results of a randomized phase III trial. J Clin Oncol. 2010; 28: 1061-8. 49 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE 12. Escudier B, Eisen T, Stadler WM, et al. Sorafenib in advanced clear-cell renal-cell carcinoma. New Engl J Med 2007;356:125–34. 13. Escudier B, Eisen T, Stadler WM, et al. Sorafenib for treatment of renal cell carcinoma: Final efficacy and safety results of the phase III treatment approaches in renal cancer global evaluation trial. J Clin Oncol. 2009; 27: 3312-8. 14. Motzer R, Escudier B, Oudard S, et al. Efficacy of everolimus in advanced renal cell carcinoma: a double-blind, randomised, placebo-controlled phase III trial. Lancet 2008 372:449-56. 15. Di Lorenzo G, Autorino R, Bruni G, et al. Cardiovascular toxicity following sunitinib therapy in metastatic renal cell carcinoma: a multicenter analysis. Ann Oncol 2009; 20: 1535-42. 16. Rini BI, Cohen DP, Lu D, et al. Hypertension (HTN) as a biomarker of efficacy in patients (pts) with metastatic renal cell carcinoma (mRCC) treated with sunitinib. Proceedings from 2010 ASCO Genitourinary Cancers Symposium, San Francisco, US, March 2010. Abstract n. 312. 17. Torino F, Corsello SM, Longo R et al. Hypothyroidism related to tyrosine kinase inhibitors: an emerging toxic effect of targeted therapy. Nat Rev Clin Oncol 2009; 6 (4): 219-28. 9. Livello di evidenza e grado di raccomandazione Bibliografia US Department of Health and Human Services, Public Health Service, Agency for Health Care Policy and Research, 1992,pp.115-127. http://www.ahcpr.gov/ 50 51 (T3-T4) N0M0 T N1-2M0 M1 Malattia metastatica (T1-T2) N0M0 Malattia localmente avanzata Malattia localizzata Se: PS 0-1 No comorbidità Posssibile R0 Biopsia Terapia ablativa • • Nefrectomia riduttiva Resezione delle metastasi Chirurgia Terapia sistemica Biopsia Terapia sistemica Nefrectomia radicale Nefrectomia e tecniche «NEPHRON SPARING»: • Nefrectomia parziale • Resezione polare • Eminefrectomia • Enucleoresezione • Enucleazione Inoperabile (comorbidità, tecnica) Chirurgia Biopsia “Wait and see” Chirurgia dell’RCC: Tecniche di resezione ↑ rischio chirurgico) Chirurgia ( Se: Paziente monorene Insufficienza renale Paziente “unfit” Algoritmo 1: Trattamento chirurgico LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE 10. Algoritmi Neoplasia del rene Localizzazione centrale/ T3-T4 Localizzazione periferica / T1-T2 52 Nefrectomia radicale “open” o Laparoscopia - Massa esofitica - No comorbilità - Paziente giovane - Massa endofitica - Comorbidità - Paziente anziano - Paziente con IR Nefrectomia parziale laparoscopica Tecniche ablative percutanee/ laparoscopiche Algoritmo 2: Indicazioni al tipo di chirurgia in relazione a T, localizzazione neoplasia e caratteristiche del paziente LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Pazienti pre-trattati Pazienti Naïve 53 con agenti antiVEGF/VEGFr Trattamento I linea Everolimus Pazopanib Sorafenib Temsirolimus Rischio sfavorevole con citochine Farmaci Sunitinib Bevacizumab+IFN-α Pazopanib Categoria di rischio Rischio favorevole/intermedio Algoritmo 3. Algoritmo terapeutico per il trattamento medico dell’mRCC-istotipo cellule chiare LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE Misura della pressione arteriosa (BP) in basale 54 Fattori di rischio cardiovascolare Iniziare la terapia con AI e monitoraggio BP No Si Monitoraggio BP durante la terapia con AI ogni settimana per le prime 8 settimane e per i cicli successivi Iniziare con un farmaco antipertensivo (es. CCB, ACE-inibitore) seguito da altro farmaco antipertensivo se necessario, 3-7 giorni prima della terapia oncologica. BP ˂ 130/80 mmHg BP ≥ 140/90 mmHg Crisi ipertensiva No Continuare AI Rinforzare la terapia antipertensiva e continuare con il farmaco oncologico Interrompere la terapia con AI Rinforzare la terapia antipertensiva Abbreviazioni: BP- Pressione arteriosa; AI- Inibitore dell’Angiogenesi; CCB- Calcio Antagonista; HT- Ipertensione Normale BP ˂ 120/80 mmHg BP: 120-140/80-90 mmHg Stadio 1 HT 140-160/90-100 mmHg Stadio 2 HT ˃ 160/100 mmHg Algoritmo 4: Management dell’ipertensione indotta dai farmaci biologici LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE • • • • • • • 55 Malattia coronarica instabile Ipertensione non controllata Insufficienza cardiaca congestizia Aritmia Embolia polmonare Diabete Nefropatia Prima di iniziare la terapia oncologica valutare il rischio cardiovascolare in basale Anormale Normale • • Anormale Ripetere la visita per il follow-up cardiologico Esame clinico che include il monitoraggio della pressione arteriosa, ECG, Holter, Ecocardiogramma, Troponina Afferire ad un cardiologo per: • Monitoraggio cardio-vascolare • Identificazione e management delle precedenti malattie cardiache • Discutere i rischi ed i benefici della terapia oncologica. Iniziare la terapia oncologica (TKI) Algoritmo 5: Management cardiologico dei pazienti in trattamento con farmaci biologici LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE 56 • • Valutare la storia medica completa, esame fisico. Valutare il TSH e T4 prima di iniziare il sunitinib In caso di una precedente alterazione della funzione tiroidea è necessario un consulto endocrinologico prima di iniziare il sunitinib. Iniziare il sunitinib se la funzione tiroidea è normale o farmacologicamente controllata In caso di conclamato ipotiroidismo definito come basso FT3 o FT4 ed alto TSH, o TSH ˃ 10 mlU/l e sintomi di ipotiroidismo, iniziare la terapia sostitutiva con tiroxina Valutare il TSH il giorno 1 e prima di iniziare il ciclo successivo per i primi 4 cicli Se li TSH è normale per i primi 4 cicli, il livello di TSH può essere può essere misurato ogni 2 cicli Se i livelli di TSH sono alti senza sintomi di ipotiroidismo (ipotiroidismo subclinico), continuare a controllare il TSH (giorno 1 e prima del ciclo successivo) ma comunque consigliata terapia tiroxina Algoritmo 6: Management e screening dell’ipotiroidismo indotto da sunitinib LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE 11. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE QUESITO 1.1: Quale è il ruolo di sunitinib nella prima linea di trattamento medico dei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC? QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: MODERATA COMMENTO: la qualità globale delle evidenze è stata considerata MODERATA (downgrade complessivo di un punto) in quanto la valutazione completa degli esiti è stata fatta dagli sperimentatori (treating physicians) che non erano in cieco rispetto agli effetti trattamentospecifici; non viene inoltre descritta la modalità di nascondimento della lista di allocazione al trattamento (allocation concealment). VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO Favorevole Incerto Sfavorevole 0 8 0 MOTIVAZIONI/COMMENTI: Il trattamento con sunitinib ha mostrato un miglioramento sulla PFS di 6 mesi (11 vs 5) e un miglioramento della sopravvivenza globale di poco inferiore alla significatività statistica (26,4 vs 21,8 mesi) rispetto ai pazienti trattati con IFN. Gli eventi avversi di grado 3-4 correlati al trattamento sono caratterizzati da diarrea, vomito e hand-foot sindrome, mai eccedenti il 5% di incidenza. VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE FORTE a FAVORE DEBOLE a FAVORE DEBOLE a SFAVORE FORTE a SFAVORE 8 0 0 0 RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC, sunitinib rappresenta l’opzione di 1a linea terapeutica di prima scelta in sostituzione della terapia convenzionale con interferone alfa. FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: FORTE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità moderata e rapporto beneficio/danno favorevole Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib, temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012." 57 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE QUESITO 1.2: Quale è il ruolo di pazopanib nella prima linea di trattamento medico dei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC? QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: BASSA COMMENTO: la qualità globale delle evidenze è stata giudicata dal panel BASSA in quanto le informazioni derivano da un unico studio di fase 3, di piccola dimensione, in cui pazopanib è stato confrontato con placebo, pur in presenza di alternative terapeutiche efficaci. Si evidenzia pertanto un problema di adeguatezza del comparator utilizzato e di trasferibilità alla pratica clinica poiché il confronto con placebo non consente di collocare il farmaco nell’ambito di una strategia terapeutica. VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO Favorevole Incerto Sfavorevole 7 1 0 MOTIVAZIONI/COMMENTI: Lo studio registrativo ha confrontato pazopanib con placebo, pur in presenza di alternative terapeutiche efficaci, mostrando un aumento della PFS nel braccio di trattamento di 5 mesi sull’intera popolazione e di circa 8 mesi nel sottogruppo dei pazienti naïve. I dati sulla OS, esito secondario, non erano disponibili al momento del cut off dello studio. Gli eventi avversi più comuni sono stati diarrea, ipertensione, modifiche della pigmentazione dei capelli, nausea, anoressia e vomito. L’analisi della qualità della vita non ha evidenziato differenze dei punteggi tra i pazienti trattati con pazopanib e quelli sottoposti a placebo. VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE FORTE a FAVORE DEBOLE a FAVORE DEBOLE a SFAVORE FORTE a SFAVORE 1 6 1 0 RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC, pazopanib può essere considerato come prima opzione terapeutica, consapevoli però di avere a disposizione alternative che a seconda dei casi potrebbero offrire analoghi o più idonei benefici. FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: DEBOLE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità bassa e rapporto beneficio/danno incerto Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib, temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012." 58 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE QUESITO 1.3: Quale è il ruolo di bevacizumab+IFNα nella prima linea di trattamento medico dei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC? QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: BASSA COMMENTO: la qualità globale delle evidenze è stata giudicata dal panel BASSA in quanto: a) l’endpoint primario è stato modificato nel corso dello studio da OS a PFS e i risultati sulla sopravvivenza globale derivano da una interim analysis e pertanto a rischio di una possibile sovrastima dell’effetto (Escudier, 2007); b) il trial non è in cieco per la PFS e non vi è stata una valutazione indipendente delle indagini radiologiche (Rini, 2008). VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO Favorevole Incerto Sfavorevole 5 3 0 MOTIVAZIONI/COMMENTI: Nei due studi disponibili l’aggiunta di bevacizumab ad IFN ha determinato, rispetto al solo IFN, un miglioramento della PFS (4,8 e 3,3 mesi rispettivamente). Tali valutazioni, però, sono state effettuate non in cieco e a tale incremento non consegue un miglioramento statisticamente significativo della sopravvivenza globale (OS). L’anti-VEGF comporta un aumento di tossicità specifica, in particolare di tipo cardiovascolare, che si va ad associare alle già note tossicità da citochine. VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE FORTE a FAVORE DEBOLE a FAVORE DEBOLE a SFAVORE FORTE a SFAVORE 1 5 2 0 RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC, bevacizumab+IFNα può essere considerato come prima opzione terapeutica, consapevoli però di avere a disposizione alternative che a seconda dei casi potrebbero offrire analoghi o più idonei benefici. FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: DEBOLE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità bassa e rapporto beneficio/danno incerto Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib, temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012." 59 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE QUESITO 1.4: Quale è il ruolo di temsirolimus nella prima linea di trattamento medico dei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, a cattiva prognosi sec. MSKCC? QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: MODERATA COMMENTO: la qualità globale delle evidenze è stata giudicata dal panel MODERATA in quanto: a) si è avuta una perdita delle valutazioni indipendenti sulle immagini radiografiche per la PFS (34% di immagini in meno rispetto alle valutazioni degli sperimentatori); b) riguardo al comparator utilizzato nello studio, il dosaggio dell’interferone (fino a 18 MUI somministrato tre volte a settimana), risulta essere gravato da tossicità elevata e non rappresenta la scelta ottimale nella normale pratica clinica. VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO Favorevole Incerto Sfavorevole 3 4 1 MOTIVAZIONI/COMMENTI: Il trattamento con temsirolimus rispetto al braccio standard con IFN ha mostrato un miglioramento in sopravvivenza globale di 3,6 mesi (10,9 vs 7,3) con una PFS rispettivamente di 3,8 mesi vs 1,9 mesi. Il braccio sperimentale è stato gravato da un aumento di tossicità farmaco correlata. VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE FORTE a FAVORE DEBOLE a FAVORE DEBOLE a SFAVORE FORTE a SFAVORE 1 5 2 0 RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, a cattiva prognosi sec. MSKCC, temsirolimus può essere considerato come prima opzione terapeutica, consapevoli però di avere a disposizione alternative che a seconda dei casi potrebbero offrire analoghi o più idonei benefici. FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: DEBOLE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità moderata e rapporto beneficio/danno incerto Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib, temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012." 60 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE QUESITO 1.5: Quale è il ruolo di sorafenib nella prima linea di trattamento medico dei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevoleintermedio sec. MSKCC? QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: BASSA COMMENTO: Il trial è stato interrotto prima del previsto “for benefit” e il dato di PFS è derivato da una analisi ad interim. Il dato di OS raggiunge la significatività statistica quando nell’analisi vengono esclusi i pazienti passati da placebo a sorafenib (possibile bias di popolazione). Si evidenzia un problema di trasferibilità del risultato alla pratica clinica rispetto al quesito posto (terapia di prima linea), in quanto lo studio disponibile si riferisce a pazienti che hanno fallito un precedente trattamento con citochine o radioterapia. VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO Favorevole Incerto Sfavorevole 6 0 2 MOTIVAZIONI/COMMENTI: L’endpoint primario (OS) non è raggiunto pur confrontandosi con placebo (crossover confounding?). Nello studio il farmaco sperimentale, anche se complessivamente ben tollerato, determina un incremento di eventi avversi, in particolare cardiovascolari (ipertensione ed ischemia cardiaca), hand-foot sindrome, diarrea e dispnea. VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE FORTE a FAVORE DEBOLE a FAVORE DEBOLE a SFAVORE FORTE a SFAVORE 0 1 6 1 RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC, l’utilizzo di sorafenib dovrebbe essere riservato solo a casi selezionati, comportamento clinico che dovrebbe essere accompagnato da un’informazione approfondita data al paziente per coinvolgerlo consapevolmente nel percorso terapeutico. FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: DEBOLE A SFAVORE, formulata su evidenze di qualità bassa e rapporto beneficio/danno incerto Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib, temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012." 61 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE QUESITO 2.1: Quale è il ruolo di sorafenib nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC dopo una prima linea di trattamento sistemico con un inibitore VEGF/VEGFR? QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: BASSA COMMENTO: Il trial è stato interrotto prima del previsto “for benefit” e il dato di PFS è derivato da una analisi ad interim. Il dato di OS raggiunge la significatività statistica quando nell’analisi vengono esclusi i pazienti passati da placebo a sorafenib (possibile bias di popolazione). La popolazione inclusa nello studio (la maggioranza dei pazienti ha effettuato una prima linea di terapia con citochine) non rappresenta la popolazione di attuale riscontro nella pratica clinica. VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO Favorevole Incerto Sfavorevole 5 3 0 MOTIVAZIONI/COMMENTI: L’endpoint primario (OS) non è raggiunto pur confrontandosi con placebo (crossover confounding?). Nello studio il farmaco sperimentale, anche se complessivamente ben tollerato, determina un incremento di eventi avversi, in particolare cardiovascolari (ipertensione ed ischemia cardiaca), hand-foot sindrome, diarrea e dispnea. VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE FORTE a FAVORE DEBOLE a FAVORE DEBOLE a SFAVORE FORTE a SFAVORE 0 6 2 0 RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC dopo una prima linea di trattamento sistemico con un inibitore VEGF/VEGFR, sorafenib può essere considerato come prima opzione terapeutica, consapevoli però di avere a disposizione alternative che a seconda dei casi potrebbero offrire analoghi o più idonei benefici. FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: DEBOLE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità bassa e rapporto beneficio/danno incerto Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib, temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012." 62 LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE QUESITO 2.2: Quale è il ruolo di everolimus nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC dopo una prima linea di trattamento sistemico con un inibitore VEGF/VEGFR? QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: MODERATA COMMENTO: Ai pazienti trattati con placebo era concesso il trattamento sperimentale dopo progressione. Gli outcome misurati dopo crossover non sono in cieco e sono in parte compromessi dalla somministrazione del trattamento sperimentale anche nel braccio di controllo VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO Favorevole Incerto Sfavorevole 1 7 0 MOTIVAZIONI/COMMENTI: Everolimus ha ottenuto, in pazienti pretrattati, un miglioramento della PFS di 2.1 mesi, valutazione pianificata ad interim dopo il 60% di eventi osservati. Il trattamento sperimentale non sembra incidere sulla qualità di vita, anche se gli eventi avversi di grado 3-4 sono statisticamente maggiori tra i pazienti trattati con everolimus. VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE FORTE a FAVORE DEBOLE a FAVORE DEBOLE a SFAVORE FORTE a SFAVORE 5 3 0 0 RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC, everolimus rappresenta l’opzione di prima scelta dopo una prima linea di trattamento sistemico con un inibitore VEGF/VEGFR. FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: FORTE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità moderata e rapporto beneficio/danno favorevole Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib, temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012." 63