Linee Guida per Sarcomi dei tessuti molli e GIST

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Linee guida
TUMORI DEL RENE
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Coordinatore: Giacomo Cartenì
Segretario Scientifico: Mimma Rizzo
Estensori:
Sergio Bracarda,
Giuseppe Di Lorenzo,
Cristina Masini,
Cinzia Ortega,
Rodolfo Passalacqua,
Camillo Porta,
Giuseppe Procopio
Referee AIOM
Referee AURO
con la collaborazione del Dott. Giovanni Pappagallo
2
Sandro Pignata
Michele Guida
Giario Conti
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Indice
1.
2.
Epidemiologia e fattori patogenetici ............................................................................................. 4
Diagnosi e stadiazione .................................................................................................................. 5
2.1 Diagnosi .................................................................................................................................. 5
2.2 Stadiazione TNM .................................................................................................................... 6
3. Fattori prognostici e predittivi ...................................................................................................... 8
4. Trattamento chirurgico................................................................................................................ 13
4.1 Trattamento chirurgico della malattia localizzata ................................................................. 13
4.2 Ruolo della chirurgia nella malattia metastatica ................................................................... 17
4.3 Follow-up dopo chirurgia radicale ........................................................................................ 21
5. Terapia adiuvante e neoadiuvante alla chirurgia ........................................................................ 23
5.1 Terapia adiuvante .................................................................................................................. 23
5.2 Terapia neoadiuvante ............................................................................................................ 26
6. Trattamento medico della malatia avanzata ................................................................................ 29
6.1 Opzioni terapeutiche di prima linea ...................................................................................... 29
6.2 Opzioni terapeutiche di seconda linea .................................................................................. 32
6.3 Algoritmo terapeutico riassuntivo......................................................................................... 36
7. Gestione del paziente fragile ....................................................................................................... 37
7.1 Trattamento del paziente con insufficienza renale................................................................ 37
7.2 Trattamento del paziente anziano ......................................................................................... 40
8. Gestione delle tossicità associate ai farmaci biologici ................................................................ 44
9. Livello di evidenza e grado di raccomandazione ........................................................................ 50
10. Algoritmi ..................................................................................................................................... 51
11. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE ............................................................... 57
3
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
1.
Epidemiologia e fattori patogenetici
Il carcinoma renale (renal cell carcinoma, RCC) rappresenta in Europa il 3% di tutte le neoplasie dell’adulto
con una più alta incidenza nelle nazioni occidentali. In Europa si registra un incremento generale
dell’incidenza pari al 2% per decade ed ascrivibile principalmente alla diagnosi delle neoplasie di piccole
dimensioni ottenuta grazie all’utilizzo dell’ecografia e della tomografia assiale computerizzata (TC). Il picco
di incidenza occorre tra i 60-70 anni con una rapporto uomo-donna di 2:1 (1).
Le stime per l’Italia si assestano, nell’ambito di questo range, tra i valori più alti: il tumore del rene
rappresenta il 2.9% del totale delle diagnosi tumorali, con il 3.5% nei maschi e il 2.3% nelle femmine; in
termini di mortalità rappresenta il 2,5% del totale dei decessi per neoplasia nei maschi e l’1,8% nelle
femmine. L’incidenza del tumore del rene è in crescita nel corso del tempo, mentre la mortalità è in
riduzione (Associazione italiana dei registri tumori, AIRTUM) (2).
I principali fattori di rischio sono il fumo, l’obesità, l’ipertensione e la malattia cistica renale (1).
Le neoplasie renali possono insorgere nel 50-80% dei soggetti affetti dalla sindrome di von HippelLindeau (malattia autosomica dominante). La lesione molecolare associata a tale sindrome interessa il
gene oncosoppressore, VHL, che risulta inattivato in uno degli alleli. La neoplasia renale insorge in caso
di inattivazione dell’altro allele per mutazione somatica, è generalmente precoce e multifocale.
L’inattivazione del gene oncosoppressore VHL viene riscontrata anche nei tumori renali sporadici; in tal
caso l’inattivazione del gene è il risultato di mutazioni somatiche in grado di inattivare entrambi gli
alleli e la neoplasia tende ad essere unifocale. Le forme associate alla sindrome di von Hippel -Lindeau
rivelano una delezione del braccio corto del cromosoma 3 (regione 3p14); nelle forme sporadiche sono
state rilevate alterazioni singole o multiple a carico del braccio corto del cromosoma 3 ed a carico dei
cromosomi 11, 13, 17 (specie nei carcinomi cromofobi). L’oncosoppressore VHL codifica per una
proteina coinvolta nella degradazione della subunità α del fattore-1 inducibile dall’ipossia (hypoxiainducible factor-alpha, HIF-1α), un fattore trascrizionale eterodimerico che regola un programma
d’espressione genica volto a favorire l’adattamento dei tessuti in condizioni ipossiche. Dissimilmente da
quanto accade in assenza di mutazioni, le cellule, sprovviste del gene VHL, accumulano HIF -1α anche
in condizione di normale ossigenazione e ciò si traduce in un’inappropriata iperespressione dei geni
HIF-regolati e nella conseguente iperproduzione di fattori pro-angiogenici, come il vascular endothelial
growth factor (VEGF), il platelet-derived growth factor-β (PDGF-β) ed il trasforming growth factor-α
(TGF-α) [3].
Lo studio del gene oncosoppressore VHL e di una serie di meccanismi attivati a cascata dalla sua
inattivazione ha rappresentato il primum movens per la conoscenza di alcune proteine cruciali nella
crescita del tumore e nel processo di metastatizzazione, oggi bersaglio con successo della tera pia
farmacologica definita “targeted therapy” (Figura 1).
BEVACIZUMAB
VEGF Trap
HIF
VEGF
PDGF
VEGFR
SORAFENIB,
SUNITINIB, AXITINIB,
PAZOPANIB, CEDIRANIB
PDGFR
TEMSiROLIMUS
EVEROLIMUS
EGF
EGFR
SORAFENIB,
SUNITINIB, AXITINIB,
PAZOPANIB, IMATINIB
ERLOTINIB, GEFITINIB
LAPATINIB
Figura 1 - Pathways molecolari implicati nel carcinoma renale e potenziali targets dei farmaci biologici
4
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Sintesi




Il carcinoma renale rappresenta il 3% di tutte le neoplasie dell’adulto
I principali fattori di rischio sono il fumo, l’obesità, l’ipertensione e la malattia cistica renale
Le neoplasie renali possono insorgere nel 50-80% dei soggetti affetti da sindrome di von Hippel-Lindau
Una migliorata conoscenza della biologia molecolare del carcinoma renale ha rappresentato il
primum movens per l’individuazione di rilevanti target terapeutici
Bibliografia
1.
2.
3.
2.
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Porta C, Imarisio I, Paglino C, et al. Targeting angiogenesis in renal cell carcinoma: the present role of
sorafenib and sunitinib. Adv Oncol 2007; 2:8-12.
urinarie.
Diagnosi e stadiazione
2.1 Diagnosi
La diagnosi di carcinoma renale è principalmente basata su metodiche diagnostiche di imaging.
Il carcinoma renale si presenta alla diagnosi come confinato al rene nel 55% dei casi, localmente avanzato
nel 19% dei casi, con metastasi sincrone nel 20% dei casi. Il 30% circa dei pazienti trattati radicalmente per
una neoplasia confinata, svilupperanno comunque metastasi metacrone nel corso della loro vita. Le
dimensioni della neoplasia primitiva non correlano con il rischio di metastatizzazione extra-renale 1.
Il 60% circa delle neoplasie renali sono diagnosticate casualmente, come diretta conseguenza dell’uso,
sempre più estensivo, di diagnostiche per immagini addominali in pazienti non sospetti in senso oncologico.
Per tale motivo, la classica triade composta da ematuria, dolore lombare e presenza di una massa palpabile a
tale livello, appare assai meno frequente che nel recente passato.
Il carcinoma renale può inoltre essere associato a tutta una serie di sindromi paraneoplastiche, peraltro
usualmente aspecifiche, comprendenti: alterazioni della funzionalità epatica (non correlate alla presenza di
metastasi in tale sede e tipicamente spontaneamente reversibili dopo nefrectomia, note anche come sindrome
di Stauffer), ipertensione, poliglobulia, sindrome anoressia/cachessia, ecc 2.
Ad oggi, non esistono markers tumorali di una qualsivoglia utilità per il carcinoma renale. Tuttavia, vale la
pena ricordare che esistono delle alterazioni ematochimiche relativamente comuni ma drammaticamente
aspecifiche, di origine paraneoplastica, relativamente frequenti in caso di carcinoma renale avanzato; tra
queste vanno ricordate l’anemia o, al contrario, l’eritrocitosi, l’ipercalcemia, l’ipoalbuminemia, la
trombocitosi, piuttosto che l’elevazione di indici di fase acuta quali la VES e la PCR.
L’esame strumentale attraverso il quale viene più frequentemente diagnosticata una neoplasia renale, è
l’ecografia. Ovviamente, lesioni ecograficamente sospette in senso oncologico possono essere meglio
caratterizzate mediante il ricorso alla tomografia computerizzata (TC) o alla risonanza magnetica nucleare
(RMN).
La TC ha dimostrato di possedere, anche nei tumori di piccole dimensioni, la sensibilità più elevata, con
valori compresi tra 94% e 100%. La TC rappresenta la miglior indagine disponibile per il planning
preoperatorio e la stadiazione del carcinoma renale poiché consente oltre alla valutazione della lesione renale
anche la valutazione dello spazio peri- e pararenale contiguo, delle strutture adiacenti (muscolo psoas e
quadrato dei lombi, parete addominale laterale e posteriore, fegato, surreni, milza, pancreas ed intestino),
delle strutture vasali (vena renale e vena cava inferiore), dei linfonodi periaortocavali e di eventuali
localizzazioni secondarie a distanza [3, 4].
La risonanza magnetica si pone come valida alternativa alla suddetta tecnica nei pazienti con allergia al
mezzo di contrasto, nelle stato di gravidanza e per la caratterizzazione delle lesioni complesse [4]. In
particolar modo, la risonanza magnetica è utile nel caratterizzare le lesioni a contenuto emorragico non
5
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
recente (non definibile con la TC) e nel definire la resecabilità di una neoplasia del polo renale superiore nei
confronti del fegato o della milza [4].
Metodiche di indagine facoltative possono comprendere l’urografia, l’arteriografia renale piuttosto che la
cavografia, da effettuarsi nel caso di una trombosi neoplastica della vena renale estesa alla cava. La
scintigrafia ossea dovrebbe essere eseguita in caso di segni o sintomi suggestivi di metastatizzazione ossea,
ma non dovrebbe essere considerata un esame di routine. Similarmente, una TC dell’encefalo dovrebbe
essere riservata solo a pazienti con sintomatologia neurologica suggestiva 5.
Per quanto riguarda la PET con fluoro-desossi-glucosio (18FDG-PET), la scarsa avidità del carcinoma renale
a cellule chiare per il glucosio, la rende una metodica non standard associata ad un rischio elevato di falsi
negativi 6. L’esecuzione di una biopsia renale eco-guidata o TC-guidata è oggi considerata una procedura
diagnostica di routine nella caratterizzazione delle masse renali di dubbia natura; il timore di un aumentato
rischio di complicazioni emorragiche o di colonizzazione neoplastica lungo il tratto bioptico appartengono
oramai al passato 7.
Sintesi



L’esame strumentale attraverso il quale viene più frequentemente diagnosticata una neoplasia renale, è
l’ecografia
Lesioni ecograficamente sospette in senso oncologico possono essere meglio caratterizzate mediante il
ricorso a TC o RMN
La TC rappresenta la miglior indagine disponibile per il planning preoperatorio e la stadiazione del
carcinoma renale
2.2 Stadiazione TNM
Nel 2010 è entrata in vigore la settima edizione della classificazione TNM (Tabella 1) [8].
Stadiazione TNM
T: Tumore primario
Tx
Tumore primario non valutabile
T0
Nessuna evidenza di tumore primario
T1
Tumore ≤ 7 cm nella dimensione massima, confinato al rene
T1a Tumore con diametro maggiore ≤ 4 cm, confinato al rene
T1b Tumore con diametro maggiore compreso tra 4 e 7 cm, confinato al rene
T2
Tumore ˃ 7 cm nella dimensione massima, confinato al rene
T2a Tumore con diametro maggiore compreso tra 7 e 10 cm
T2b Tumore con diametro maggiore > 10 cm
T3
Tumore che si estende nelle vene maggiori o nei tessuti perirenali, ma non attraversa la fascia del
Gerota e non invade la ghiandola surrenale ipsilaterale
T3a Tumore che si estende macroscopicamente nella vena renale o interessa le succursali o invade il
tessuto adiposo perirenale e/o del seno renale, ma non supera la fascia di Gerota
T3b Tumore che si estende macroscopicamente nella vena cava al di sotto del diaframma
T3c Tumore che si estende macroscopicamente nella vena cava al di sopra del diaframma o invade la
parete della vena cava
T4
Tumore che si estende oltre la fascia del Gerota (inclusa l’estensione nella ghiandola surrenale
ipsilaterale)
6
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Stadiazione TNM
N: Linfonodi regionali
Nx
I linfonodi regionali non possono essere individuati
N0
Nessuna metastasi nei linfonodi regionali
N1
Metastasi in un singolo linfonodo regionale
N2
Metastasi in più di un linfonodo regionale
M: Metastasi a distanza
Mx
Le metastasi a distanza non possono essere valutate
M0
Nessuna evidenza di metastasi a distanza
M1
Metastasi a distanza
Stadio I
T1
N0
M0
Stadio II
T2
N0
M0
Stadio III
T3
T1, T2, T3
N0
N1
M0
M0
Stadio IV
T4
Ogni T
Ogni T
Ogni N
N2
Ogni N
M0
M0
M1
Tabella 1 – Sistema di classificazione TNM, aggiornato nel 2009.
Alcuni ricercatori della Mayo Clinic di Rochester ne hanno valutato l'abilità predittiva rispetto alla
precedente versione del 2002 utilizzando il registro delle nefrectomie del loro istituto e riesaminando
retrospettivamente le cartelle cliniche di 3996 pazienti con carcinoma renale unilaterale o bilaterale sincrono
trattati con nefrectomia radicale o nephron-sparing. La stima della percentuale di sopravvivenza cancrospecifica a 10 anni è stata del 96%, 80%, 66%, 55%, 36%, 26%, 25% e 12% per i pazienti stadiati
rispettivamente come pT1a, pT1b, pT2a, pT2b, pT3a, pT3b, pT3c e pT4 secondo la recente classificazione
[9]. Gli autori dello studio asseriscono che la nuova classificazione ha apportato un miglioramento, seppur
modesto, dell’abilità predittiva cancro-specifica rispetto alla precedente classificazione del 2002
suddividendo le lesioni pT2 in pT2a e pT2b, riclassificando il coinvolgimento surrenale omolaterale come
pT4 e il coinvolgimento della vena renale come pT3a [9].
Bibliografia
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LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
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Fattori prognostici e predittivi
Caratteristiche istologiche
Le caratteristiche istologiche a cui può essere attribuito un valore prognostico sono: il grado nucleare di
Fuhrman, i sottotipi istologici, la presenza di una componente sarcomatoide, l’invasione microvascolare, la
presenza di necrosi tumorale e l’interessamento del sistema collettore. Tra questi, il grado di Fuhrman rimane
il fattore prognostico accreditato di maggior rilevanza [1] [2].
Per quanto concerne il valore prognostico dell’istotipo i principali sottotipi di RCC, in grado di rappresentare
la quasi totalità di neoplasie renali maligne, sono quello a cellule chiare, il papillare ed il cromofobo. Molti
studi hanno confermato come l’istologia mantenga una validità prognostica in modelli univariati,
descrivendo il carcinoma a cellule chiare come sottotipo maggiormente aggressivo, seguito dal papillare e
dal cromofobo. D’altra parte, nei modelli multivariati, la significatività prognostica dell’istologia viene
persa, suggerendo che stadio e grading del tumore abbiano un maggiore impatto sulla prognosi rispetto alle
caratteristiche istotipiche [3].
Caratteristiche cliniche
Tra le caratteristiche cliniche rilevanti da un punto di vista prognostico il primo da citare è il Performance
Status (PS), che può essere classificato secondo due modelli, quello ideato dall’Eastern Cooperative
Oncology Group (ECOG), e quello di Karnofsky. Entrambi sono sistemi di classificazione dello stato clinico
del paziente e quindi dell’impatto della malattia sulla sua salute generale. Si basano entrambi sulla
stratificazione dei pazienti in relazione alla loro disabilità funzionale.
Altri fattori clinici che possono essere usati per la loro valenza prognostica sono rappresentati
dall’asportazione o meno del tumore primario e dai precedenti eventuali trattamenti. Anche alcuni parametri
di laboratorio (anemia, ridotta conta dei neutrofili, riscontro di trombocitosi) sono stati correlati ad un
peggioramento dell’outcome clinico. Infine, è stato dimostrato che pazienti con sintomi di cachessia (calo
ponderale, anoressia, astenia, ipoalbuminemia) presentano tassi di sopravvivenza peggiori [4].
Caratteristiche molecolari
Nell’ultimo decennio gli sforzi della ricerca si sono concentrati soprattutto nell’approfondimento della
conoscenza dei meccanismi molecolari implicati nella patogenesi dell’RCC ed hanno consentito di delineare
con maggiore chiarezza il profilo biologico di questa neoplasia. Molte di queste scoperte potrebbero tradursi
concretamente anche in un miglioramento della pratica clinica.
8
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
L’analisi dei markers molecolari, interpretati in relazione al loro valore predittivo di risposta ad un dato
trattamento, potrà infine trovare utilità nella selezione dei pazienti in grado di trarre i maggiori benefici
clinici dalle terapie mirate.
Numerosi sono i markers attualmente in fase di validazione per la loro possibile correlazione con l’outcome
clinico. Tra questi si annoverano: l’anidrasi carbonica IX (CaIX), il vascolar endothelial growth factor
(VEGF), il fattore inducibile dall’ipossia (HIF), Ki67, p53, PTEN, E-caderina, CD44 [5,6].
Motzer e Coll. hanno recentemente pubblicato i risultati di un’analisi dell’espressione e dei livelli plasmatici
di VEGF e di VEGFR in pazienti in trattamento con sunitinib: nei 63 pazienti valutati, l’andamento dei
livelli circolanti di VEGF, VEGFR-2 e VEGFR-3 nel corso del trattamento era correlato significativamente
alla risposta obiettiva [7].
Infine, la recente mappatura dell’espressione genica ha identificato 259 geni che potrebbero essere utili per
predire la sopravvivenza nell’RCC, indipendentemente dai fattori prognostici clinici tradizionali;
l’applicabilità di un simile approccio alla pratica clinica è tuttavia ancora lontano dall’essere confermato.
Sistemi prognostici e nomogrammi
Nel passato i sistemi prognostici per l’RCC si sono basati quasi esclusivamente sulla valutazione di
parametri clinici ed istopatologici come la classificazione TNM, il performance status, il grado di Fuhrman
etc.
In un’analisi multivariata retrospettiva su oltre 600 pazienti affetti da carcinoma renale metastatico ed
arruolati in numerosi trials condotti negli anni ’80, Elson e Coll. hanno identificato 5 indicatori di
sopravvivenza: l’ECOG PS, il periodo di tempo intercorso tra la diagnosi ed il primo trattamento sistemico,
il numero delle sedi metastatiche, le precedenti chemioterapie citotossiche ed il calo ponderale; In relazione a
questi fattori, gli autori hanno stratificato i pazienti in 5 gruppi caratterizzati da sopravvivenze molto diverse
[8]. Successivamente sono stati delineati numerosi modelli integrati volti ad analizzare nella loro globalità
fattori clinici, patologici e dati di laboratorio al fine di predire la sopravvivenza in modo più accurato ed
identificare i pazienti con un rischio maggiore di ricorrenza della malattia. Tra questi, i due più diffusamente
utilizzati nella pratica clinica e nelle sperimentazioni sono il MSKCC (Memorial Sloan Kettering Cancer
Center) e l’UISS (University of California at Los Angeles Integrated Staging System).
I criteri del Memorial Sloan Kettering Center o criteri di Motzer
Motzer e Coll., valutando 670 pazienti affetti da RCC in fase avanzata e trattati con immunoterapia o
chemioterapia, hanno individuato 5 fattori pre-trattamento significativamente correlati con una
sopravvivenza più breve: un Karnofsky PS basso (<80%), alti livelli di LDH (>1,5 x ULN), bassi livelli di
emoglobina, elevata calcemia corretta (>10 mg/dl) e l’assenza di nefrectomia [9]. Utilizzando queste
variabili, hanno stratificato i pazienti in tre gruppi (gruppi di rischio favorevole, intermedio e sfavorevole)
con differente prognosi ; la sopravvivenza variava da 20 mesi, per il gruppo a prognosi favorevole, a 4 mesi
per quello a prognosi sfavorevole.
Un’analisi simile è stata quindi applicata a 400 pazienti trattati in prima linea con Interferone alfa; tale
restrizione dei criteri d’inclusione ha minimizzato l’eterogeneità determinata dai possibili precedenti
trattamenti. La categorizzazione prognostica non è stato comunque modificato, salvo per la sostituzione del
fattore “assenza di nefrectomia”, con il fattore “periodo di tempo dalla diagnosi al trattamento immunologico
inferiore ad un anno” [9] (Tabelle 2a e 2b).
˂ 80%
Karnofsky PS
˂ limite inferiore della norma
Tasso di emoglobinemia
1,5 x limite superiore della norma
Tasso di lattrato deidrogenasi
˃ 10 mg/dl
Calcio corretto
˂ 1 anno
Periodo dalla diagnosi al trattamento
Tabella 2a – Sistema prognostico MSKCC: fattori prognostici
9
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Prognosi
Numero di fattori
Sopprevvivenza
a 3 anni
45%
17%
2%
Sopravvivenza media
Favorevole
0
Intermedia
1o2
Sfavorevole
3,4 o 5
Tabella 2b – Sistema prognostico MSKCC: Gruppi di rischio
30 mesi
14 mesi
5 mesi
Più recentemente, lo stesso gruppo del MSKCC, ha rivisto i dati clinici e di laboratorio relativi a 137 pazienti
la cui sopravvivenza mediana era risultata pari a 12.9 mesi [10]; parametri predittivi indipendenti di una
prognosi sfavorevole risultavano essere il Karnofsky PS basso (<80%), bassi livelli di emoglobina (≤13 g/dL
nel sesso maschile, e 11.5 g/dL in quello femminile), e l’elevata calcemia corretta (>10 mg/dl). Utilizzando
questo modello i pazienti stratificati nei tre classici gruppi di rischio presentavano tassi di sopravvivenza ad 1
e a 3 anni pari a 76 e 25%, 49 e 11% e 11 e 0%, rispettivamente.
Un successiva validazione del sistema prognostico a cinque parametri di Motzer, condotta da Mekhail e Coll
alla Cleveland Clinic, ha individuato alcuni limiti: la maggior parte dei pazienti rientra nel gruppo di rischio
intermedio e non si tiene conto di due fattori prognostici indipendenti, i precedenti trattamenti radioterapici
ed il numero di siti metastatici. L’aggiunta di questi parametri, consente una ridistribuzione di parte dei
pazienti inizialmente considerati a prognosi intermedia e la classificazione dei medesimi nel gruppo a
prognosi sfavorevole (Tabella 3a e 3b) [11].
Karnofsky PS
˂ 80%
Tasso di emoglobinemia
˂ limite inferiore della norma
Tasso di lattrato deidrogenasi
1,5 x limite superiore della norma
Calcio corretto
˃ 10 mg/dl
Periodo dalla diagnosi al trattamento
˂ 1 anno
N° di siti metastatici
˃1
Precedente radioterapia
Si
Tabella 3a– Sistema prognostico di Mekhail e Coll.
Prognosi
Motzer e Coll.
Mekhail e Coll.
Pazienti (%)
Sopravvivenza (mesi)
Pazienti (%)
Sopravvivenza (mesi)
Favorevole
19
28.6
37
26.0
Intermedia
70
14.6
35
14.4
Sfavorevole
11
4.5
28
7.3
Tabella 3b– Confronto tra il sistema prognostico di Mekhail e Coll. e quello di Motzer e Coll. (353 pazienti).
Dall’analisi dei pazienti arruolati nello studio registrativo del sunitinib [12], Motzer e Coll. hanno infine
sviluppato un nomogramma, presentato per la prima volta all’ASCO 2007 [13], che dovrebbe essere in
grado di predire la probabilità di progressione della malattia a 12 mesi dall’inizio del trattamento; i
parametri utilizzati per costruire il nomogramma (che ha un valore predittivo, non prognostico) sono
un’evoluzione dei criteri prognostici di Motzer (Figura 2).
10
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Figura 2 – Nomogramma di Motzer per i pazienti trattati con Sunitinib
Il Sistema di Stadiazione Integrato dell’UCLA (UISS)
Zisman e Coll. hanno ideato l’UISS, Sistema di Stadiazione Integrato dell’Università della California a Los
Angeles (UCLA), validato sia per pazienti che presentano alla diagnosi un RCC in fase metastatica sia che
per pazienti con tumore localizzato. L’UISS è un modello che integra la stadiazione TNM (nella versione del
1999), l’ECOG PS ed il grado di Fuhrman [14].
In uno studio internazionale multicentrico questo sistema prognostico non si è tuttavia confermato, affidabile
ed accurato nella malattia metastatica; esso pertanto conserva il suo valore prognostico solo nella malattia
localizzata [15] (Tabelle 4a e 4b).
Grado di
Fuhrman
I
I
1,2
I
1,2
I
3,4
II
II
Qualsiasi
III
Qualsiasi
III
1
III
2-4
III
IV
1,2
3,4
IV
IV
1-3
V
IV
4
Tabella 4a – Tumori non metastatici alla diagnosi
UISS
TNM
ECOG PS
0
≥1
Qualsiasi
Qualsiasi
0
≥1
≥1
0
0
≥1
≥1
11
Gruppo di
rischio
Basso
Sopravvivenza
a 5 anni
94%
Intermedio
67%
39%
Elevato
23%
0%
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Grado di
Fuhrman
III
Qualsiasi
II
III
1
III
2-4
III
IV
1,2
3,4
IV
IV
1-3
V
IV
4
Tabella 4b - Tumori metastatici alla diagnosi
UISS
TNM
ECOG PS
0
≥1
≥1
0
0
≥1
≥1
Gruppo di
rischio
Sopravvivenza
a 5 anni
Basso
39%
Intermedio
23%
Elevato
0%
Sintesi




Il grado di Fuhrman rimane il fattore prognostico di maggior rilevanza fra le caratteristiche istologiche
L’istologia a cellule chiare rappresenta l’istotipo più aggressivo, seguito dal papillare e dal cromofobo
Tra le caratteristiche cliniche il performance status è il principale fattore prognostico
I due modelli prognostici più diffusamente utilizzati sono il MSKCC (Memorial Sloan Kettering Cancer
Center) per la malattia metastatica e l’UISS (University of California at Los Angeles Integrated Staging
System) per la malattia localizzata.
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12
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
4.
Trattamento chirurgico
4.1 Trattamento chirurgico della malattia localizzata
(vedi algoritmi 1 e 2)
Questo capitolo è stato scritto utilizzando i dati di letteratura, le linee guida già disponibili nella pratica
clinica e le reviews più importanti sull’argomento. In letteratura ci sono pochi studi randomizzati con elevati
livelli di evidenza e la maggior parte degli studi sono di tipo retrospettivo o non randomizzato, quindi con
bassi livelli di evidenza.
L’exeresi chirurgica della neoplasia è a tutt’oggi il trattamento curativo principale del tumore del rene
localizzato. La nefrectomia radicale (radical nephrectomy-RN), trattamento standard comprendente la
rimozione dell’organo con la fascia del Gerota, l’asportazione del surrene omolaterale e dei linfonodi
regionali, è stata fino ad oggi un trattamento chirurgico efficace [1] ed è il “gold standard” con cui tutti gli
altri trattamenti devono confrontarsi. I pazienti con carcinoma renale hanno una sopravvivenza cancrospecifica (CSS) del 97% (T1a), l’ 87% (T1b) e solo il 20% per i tumori T4 [2].
La conservazione d’organo è l’obiettivo della chirurgia attuale, tramite l’utilizzo di diverse metodiche
“nephron-sparing”, (nephron-sparing surgery–NSS) non solo in situazioni particolari (pazienti con
funzionalità renale compromessa, monorene o con tumori bilaterali). I buoni risultati oncologici e la ridotta
morbilità hanno contribuito alla diffusione dell’utilizzo della nefrectomia parziale (partial nephrectomy– PN)
in numerosi centri di riferimento e le recenti evidenze sulla preservazione della funzionalità renale con
possibile aumento della sopravvivenza globale hanno determinato l’affermarsi di tale intervento nella pratica
clinica quotidiana [3]. La surrenectomia, raccomandata da Robson ed in precedenza sempre eseguita, può
essere evitata se la ghiandola non è interessata dalla neoplasia alla stadiazione preoperatoria [4-7] (livello di
evidenza 3). Alcuni casi specifici però esulano da tale regola e precisamente nel caso in cui la neoplasia sia
localizzata al polo superiore del rene e vi sia il rischio di infiltrazione della ghiandola o nel caso di tumori
con diametro massimo > 7cm in cui il rischio di metastatizzazione alla ghiandola è elevato [8-10] (livello di
evidenza 3).
Attualmente non vi sono dati definitivi che indichino un vantaggio in termini di sopravvivenza ottenuto
dall’esecuzione della linfoadenectomia nella malattia localizzata (non linfonodi alla stadiazione, o metastasi
a distanza). Essa invece riveste un ruolo stadiante nei pazienti con linfoadenomegalie già presenti alla
stadiazione preoperatoria.
Lo studio prospettico di fase III, EORTC 30881, i cui risultati definitivi sono stati recentemente pubblicati
[11, 12], ha randomizzato 772 pazienti con malattia localizzata (N0M0) a ricevere solo nefrectomia radicale
o nefrectomia+linfoadenectomia. Solo nel 4% dei pazienti sottoposti a linfoadenectomia sono state
evidenziate metastasi linfonodali. Non sono state evidenziate differenze significative fra i 2 gruppi in
termini di sopravvivenza globale, tempo alla progressione o complicanze chirurgiche (livello di evidenza
1b).
La presenza all’intervento chirurgico di un trombo cavale, indica una maggiore aggressività della neoplasia
(alto grado e stadio) con aumentato rischio di malattia già metastatica. Tuttavia, la prognosi è maggiormente
influenzata dalla presenza di metastasi linfonodali piuttosto che dall’estensione craniale del trombo cavale, il
quale deve però essere asportato durante la nefrectomia [13-15] (livello di evidenza 3).
Nel caso di ematuria macroscopica o dolore importante può essere indicata l’embolizzazione preoperatoria.
Questa tecnica può essere utilizzata prima del trattamento chirurgico di metastasi ossee altamente
vascolarizzate, invece non vi è alcuna indicazione ad eseguire la procedura di routine prima della
nefrectomia [16-18] (livello di evidenza 3).
13
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Sintesi e grado di raccomandazione (vedi Livello di evidenza e grado di raccomandazione)




La terapia chirurgica è a tutt’oggi l’unico approccio terapeutico curativo del RCC (grado A)
La linfoadenectomia in pazienti N0 alla stadiazione preoperatoria non migliora la sopravvivenza globale
ed ha significato stadiante (grado A)
La surrenectomia può essere evitata se la ghiandola non è interessata dalla neoplasia alla stadiazione
preoperatoria eccetto nel caso in cui la neoplasia sia localizzata al polo superiore del rene e vi sia il
rischio di infiltrazione della ghiandola e nel caso di tumori con diametro massimo > 7cm in cui il rischio
di metastatizzazione alla ghiandola è elevato (grado B)
L’embolizzazione preoperatoria può essere indicata nel caso di ematuria macroscopica o dolore
importante (grado C)
Chirurgia “Nephron-sparing”
La chirurgia nephron-sparing (NSS) ed in modo particolare la partial nephrectomy (PN) ha indicazioni
convenzionalmente divise in categorie e precisamente [19]:
- assolute: paziente già monorene;
- relative: paziente con una situazione clinica che può far prevedere una futura insufficienza d’organo (ad
esempio: paziente con sindromi ereditarie e la possibilità di sviluppare una neoplasia nel rene controlaterale);
- elettive: preservazione del rene in paziente senza patologie renali concomitanti.
Diversi studi non randomizzati hanno confrontato la radical nephrectomy (RN) con la chirurgia nephron
sparing; essa produce risultati, in termini di sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da malattia,
sovrapponibili alla RN nei pazienti con tumori piccoli (<4 cm) [20-27] (livello di evidenza 2a).
La PN quando effettuata con indicazioni assolute presenta un aumentato rischio di complicanze e recidive
locali, probabilmente perché proposta in casi ai limiti dell’indicazione stessa [28]. Inoltre questo tipo di
intervento determina un minor rischio di insufficienza renale cronica successiva [29, 30] rispetto alla RN.
Nello studio retrospettivo di Huang, condotto su 662 pazienti con entrambi i reni funzionanti e normali livelli
di creatinina, all’analisi multivariata la RN è risultata essere un fattore indipendente di rischio di insorgenza
di insufficienza renale cronica con un hazard ratio di 3.82 (95% C.I. 2.75-5.32; p<0.0001) [31] (livello di
evidenza 3).
Nello studio retrospettivo della Mayo Clinic condotto su 648 pazienti con tumori di diametro inferiore a 4
cm, trattati con RN o PN dal 1997 al 2003, è stato evidenziato che la RN rispetto alla PN impatta
negativamente sulla sopravvivenza solo nel sottogruppo di pazienti con età inferiore ai 65 anni (rischio
relativo: 2.34; 95% C.I. 1.17-4.69; p< 0.016) [32] (livello di evidenza 3). Tale dato è stato successivamente
confermato anche su un campione di 7769 pazienti: la PN ha determinato una sopravvivenza a 5 e 10 anni
del 89.3% e del 71.3% vs l’84.4% ed il 68.2% rispettivamente della RN; la differenza assoluta in termini di
sopravvivenza è stata del 4.9% vs 3.1% [33] (livello di evidenza 3).
In conclusione anche se nella popolazione generale, l’insufficienza renale cronica è correlata ad un
aumentato rischio di malattie cardiovascolari e di morte (34), non esistono evidenze sufficienti a supportare
l’ipotesi che la RN aumenti il rischio cardiovascolare e riduca la sopravvivenza globale rispetto alla PN [35]
e la CSS dei pazienti sottoposti a PN per tutti gli stadi a 5 e 10 anni risulta essere rispettivamente del 96% e
del 90% per tumori di diametro < 4 cm [36].
In alcuni studi, condotti in pazienti con tumori di diametro superiore a 7 cm sottoposti a chirurgia nephron
sparing sono stati evidenziati risultati simili alla chirurgia radicale e nel caso di tumori resecati
completamente si è visto che lo spessore del margine chirurgico (>1 mm) non impatta sulla possibile
insorgenza di recidiva locale [37] (livello di evidenza 3).
Inoltre, con l’estensione dell’indicazione alla PN a tumori centrali, la semplice enucleazione potrebbe essere
un’opzione proponibile come alternativa alla RN [38, 39].
14
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Ovviamente la chirurgia nephron sparing in tumori con diametro superiore ai 4 cm dovrebbe essere eseguita
in centri di riferimento su pazienti selezionati e con successiva intensificazione del follow-up; tale metodica
resta comunque il trattamento di scelta per i tumori con diametro fra i 4 e 7 cm [40, 41].
Sintesi e grado di raccomandazione


La chirurgia nephron sparing produce risultati in termini di sopravvivenza globale e sopravvivenza
libera da malattia sovrapponibili alla radical nephrectomy nei pazienti con tumori piccoli (<4 cm) (grado
B)
La chirurgia nephron sparing in tumori con diametro superiore ai 4 cm dovrebbe essere eseguita in centri
di riferimento su pazienti selezionati e con successiva intensificazione del follow-up e resta comunque il
trattamento di scelta per i tumori con diametro fra i 4 e 7 cm (grado B)
Nefrectomia radicale laparoscopica
L’intervento laparoscopico di nefrectomia radicale, sia esso con accesso retro o trans-peritoneale, è diventato
lo standard nei pazienti con tumori renali T1-2 ed ha una morbilità inferiore all’intervento a cielo aperto
(chirurgia “open”) (42). I risultati oncologici a 10 anni sembrano essere sovrapponibili a quelli della tecnica
“open” [43, 44] (livello di evidenza 3)
Sebbene l’approccio laparoscopico sia ormai accettato nella pratica clinica, gli studi disponibili di confronto
con la nefrectomia a cielo aperto non sono randomizzati, sono spesso retrospettivi e con bassi livelli di
evidenza [45-48] (livello di evidenza 2b-3).
L’intervento laparoscopico deve però essere eseguito in centri di riferimento e deve rispettare i principi
oncologici della nefrectomia a cielo aperto. Il potenziale svantaggio della laparoscopia è rappresentato dai
tempi operatori più lunghi (più lungo periodo di ischemia e l’aumento di complicazioni intra e postoperatorie [46, 49, 50] (livello di evidenza 3) a fronte però di un minor dolore postoperatorio, una più rapida
ripresa clinica e un minor tempo di ospedalizzazione. Tre studi randomizzati, seppur con piccoli numeri,
hanno valutato tre diversi approcci laparoscopici: “hand assisted”, transperitoneale e retroperitoneale [51-53]
(livello di evidenza 1b).
Sintesi e grado di raccomandazione



La nefrectomia radicale laparoscopica è diventata lo standard nei pazienti con tumori renali T1-2 ed
ha una morbilità inferiore all’intervento a cielo aperto (“open”) (grado B)
I risultati oncologici a 10 anni della nefrectomia radicale laparoscopica sembrano essere
sovrapponibili a quelli della tecnica “open” (grado B)
L’intervento laparoscopico deve essere eseguito in centri di riferimento e deve rispettare i principi
oncologici della nefrectomia a cielo aperto (grado B)
Nefrectomia parziale laparoscopica.
Diversi studi non randomizzati hanno confrontato la PN “open” vs PN laparoscopica [54-57] (livello di
evidenza 2b).
L’indicazione ottimale a tale procedura é rappresentata dalle neoplasie piccole e periferiche (T1a e T1b).
Sembra che il risultato oncologico sia legato alla negatività dei margini e sia sovrapponibile alla tecnica
“open” [58-60] (livello di evidenza 2b), ma a tutt’oggi non vi sono studi che possano definirne l’equivalenza.
Le complicanze più comuni di tale intervento, che richiedono la conversione in “open”, sono essenzialmente
di tipo urologico: l’emorragia postoperatoria e la fuoriuscita di urina [61].
In mani esperte ed in pazienti selezionati la PN laparoscopica è un’alternativa alla chirurgia “open”.
Recentemente sono in corso studi di confronto fra chirurgia laparoscopica e robotica [62].
La chirurgia robotica è un tecnica relativamente nuova ed in evoluzione e la PN “robot-assisted” sembra
essere sicura ed efficace nella malattia localizzata.
15
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Nonostante i benefici potenziali di tale approccio chirurgico (ridotti tempi di ischemia), le prime esperienze
disponibili in letteratura, non sembrano dimostrare un significativo vantaggio di tale metodica nei confronti
della PN laparoscopica [63, 64] (livello di evidenza 3).
Sintesi e grado di raccomandazione


La nefrectomia parziale “open” è attualmente lo standard di cura (grado C)
La nefrectomia parziale laparoscopica è indicata nel trattamento chirurgico delle neoplasie piccole e
periferiche (T1a e T1b) e deve essere eseguita in centri di riferimento (grado C)
Alternative alla chirurgia
Recentemente sono state proposte alcune tecniche mini-invasive potenzialmente alternative alla chirurgia:
l’ablazione con radiofrequenze (RFA-radiofrequency ablation) [65, 66] (livello di evidenza 2b-3), la
crioablazione [67] e l’HIFU (high intensity focused ultrasound ablation) [68].
I possibili vantaggi di tali procedure sono una ridotta morbilità, la possibilità di trattare pazienti non
candidabili ad un intervento chirurgico per patologie collaterali ed il fatto che tali trattamenti non richiedono
degenza ospedaliera.
Una metanalisi recentemente pubblicata comprendente 99 studi clinici, 6741 lesioni renali trattate, 5037
pazienti, ha valutato tutti i trattamenti chirurgici per le piccole masse renali (<4 cm) [69] ed ha messo in
evidenza i seguenti dati relativi alle tecniche mininvasive: la percentuale delle recidive locali è stata del 2.6%
dopo chirurgia nephron sparing, del 4.6% dopo crioablazione e del 11.7% dopo RFA, mentre le progressioni
sistemiche di malattia sono state rispettivamente del 5.6%, 1.2% e 2.3%. Tale dato sottolinea come
l’indicazione a trattamenti più aggressivi sia correlata al tipo e all’aggressività della neoplasia.
Le indicazioni principali sono infatti il trattamento di piccole neoplasie renali corticali incidentali in pazienti
anziani, in pazienti monorene o con neoplasie bilaterali o con predisposizione genetica a tumori multipli.
Le controindicazioni includono: un’aspettativa di vita <1 anno, multipli siti metastatici o non fattibilità
tecnica per posizione o dimensioni della neoplasia. Generalmente la RFA non è raccomandata per tumori con
diametro superiore ai 5 cm o localizzati a livello dell’ilo renale o in prossimità dei dotti collettori [70].
Controindicazioni assolute sono invece la presenza di coagulopatie e condizioni cliniche instabili e severe
(sepsi). Le complicanze sono basse ed il risultato oncologico di queste procedure è ancora da definirsi,
nonostante i primi incoraggianti risultati [71], per poterle considerare alternative alla chirurgia
convenzionale. Lo svantaggio principale è la non completa valutazione istopatologica.
Attualmente questi trattamenti mini-invasivi sono considerati ancora in fase di studio e pertanto non possono
essere proposti come alternativa al trattamento standard.
Non vi sono studi di confronto fra le procedure standardizzate di nefrectomia radicale, parziale siano esse
con tecnica “open” o laparoscopica e le tecniche mini invasive.
Solo uno studio non randomizzato ha confrontato la PN laparoscopica con la crioablazione laparoscopica
[72] (livello di evidenza 3) ed alcuni studi retrospettivi hanno valutato gli outcome perioperatori nei pazienti
sottoposti a PN laparoscopica vs la crioablazione percutanea in pazienti con piccole masse renali [73, 74].
Una recente metanalisi, pubblicata nell’ottobre 2011, sul trattamento chirurgico del RCC localizzato (UCAN
Systematic Review Reference Group, EAU Guideline Group for renal cell carcinoma) [75], ha valutato circa
40 studi clinici (7 randomizzati e 33 non randomizzati) condotti su circa venticinquemila pazienti ed ha
confermato che per il momento, a causa della mancanza di studi randomizzati di confronto, non vi sono le
basi per cambiare l’attuale pratica clinica nel trattamento del carcinoma del rene localizzato [76].
Sintesi e grado di raccomandazione

I trattamenti alternativi alla chirurgia devono essere riservati a pazienti non suscettibili di altro
trattamento chirurgico per performance status scaduto o presenza di comorbidità (grado B)
16
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
4.2 Ruolo della chirurgia nella malattia metastatica
Nefrectomia Citoriduttiva
Il trattamento del carcinoma renale metastatico alla diagnosi (circa il 25% dei pazienti) è di tipo
multimodale.
La nefrectomia citoriduttiva ha un ruolo nella malattia metastatica. Infatti, due studi randomizzati [77, 78]
(livello di evidenza 1b) condotti su pazienti con buon performance status, hanno confrontato il trattamento
con interferon-alfa e nefrectomia citoriduttiva vs la sola immunoterapia (interferon-alfa) hanno dimostrato un
aumento di sopravvivenza globale mediano di 8.1 mesi nei pazienti sottoposti a nefrectomia citoriduttiva.
L’analisi combinata dei due studi [79] ha confermato tale dato e ribadito l’ indicazione alla nefrectomia
citoriduttiva in pazienti con carcinoma renale metastatico con buon PS, senza multiple comorbidità ed idonei
alla chirurgia (livello di Evidenza 1a). In questi è stata registrata una morbidità e mortalità perioperatoria
compresa tra 1.4% e 5.2%. Tali valori percentuali sono inferiori rispetto ai controlli storici riportati da diversi
studi retrospettivi (livello di evidenza 3) (dal 2% fino al 50%) a conferma dell’importanza della selezione
adeguata dei pazienti [80-82].
Attualmente, con l’introduzione delle terapie a bersaglio molecolare nel trattamento del carcinoma renale
metastatico, tale posizione è in corso di rivalutazione in considerazione dei buoni risultati in termini di
Progression-Free Survival (PFS) ed Overall Survival (OS) ottenuti con tali farmaci. La maggior parte dei
pazienti affetti da mRCC ed arruolati negli studi clinici registrativi dei farmaci biologici era stata sottoposta
ad intervento chirurgico. Nei pazienti con scarso performance status l’intervento chirurgico non migliora la
sopravvivenza, come anche dimostrato nello studio registrativo di temsirolimus (farmaco approvato per i
pazienti a cattiva prognosi). In questa sottopopolazione, è preferibile iniziare un trattamento sistemico e
rinviare il timing dell’intervento chirurgico.
A tale proposito si attendono i risultati dei due studi di fase III, condotti con sunitinib e finalizzati alla
valutazione della sopravvivenza globale (CARMENA trial – H. van Poppel, personal communication, ASCO
G.U. 2010) e del timing ottimale (EORTC – registrato in ClinicalTrials.gov NCT01099423) dei diversi
trattamenti, chirurgico e medico.
Sintesi e grado di raccomandazione


La nefrectomia citoriduttiva è a tutt’oggi raccomandata nei pazienti sottoposti a terapia con IFNalfa e buon performance status (grado A)
La nefrectomia citoriduttiva è raccomandata per i pazienti a buona prognosi sottoposti a terapia
biologica mentre è controindicata per i pazienti con scarso performance status (grado A)
Resezione delle metastasi
La completa rimozione delle lesioni secondarie può contribuire a migliorare la prognosi dei pazienti con
carcinoma renale metastatico e la sopravvivenza migliore si è riscontrata nei pazienti con metastasi
polmonari sottoposte a resezione [83] (livello di evidenza 2b).
Nei pazienti con metastasi polmonare singola resecata è stata riportata una sopravvivenza globale a 5 anni
del 50% [84, 85].
In uno studio retrospettivo condotto su 129 pazienti in ripresa di malattia dopo nefrectomia è stato
evidenziato il ruolo prognostico della metastasectomia: all’analisi multivariata la procedura è risultata
associata ad una migliore sopravvivenza, soprattutto nei pazienti a basso rischio [86].
Diversi studi retrospettivi (livello di evidenza 3) condotti su pazienti con metastasi polmonari asincrone
hanno confermato tale dato [87, 88].
17
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
La metastasectomia è fattore prognostico di sopravvivenza anche nel caso di metastasi sincrone: in uno
studio condotto su 99 pazienti trattati con citochine il gruppo di pazienti sottoposto a metastasectomia, anche
se incompleta, aveva una sopravvivenza mediana migliore del gruppo non trattato chirurgicamente (27.2 vs
20.6 mesi – p=0.026) [89] (livello di evidenza 3).
A risultati simili è giunto uno studio condotto su 64 pazienti con carcinoma renale metastatico selezionati per
sede metastatica solo polmonare e possibilità di ottenere un intervento curativo (R0): la sopravvivenza
mediana era di 46.6 mesi vs 13.3 mesi per pazienti R0 vs non-R0; i pazienti con metastasi sincrone avevano,
dopo metastasectomia, una prognosi significativamente peggiore di quelli con metastasi metacrone [85].
In relazione ai dati disponibili, la metastasectomia dovrebbe essere eseguita anche nei pazienti con metastasi
sincrone, purchè selezionati (malattia resecabile completamente e buon PS).
Probabilmente la metastasectomia nel paziente con carcinoma renale metastatico, con l’utilizzo delle nuove
terapie a bersaglio molecolare, acquisirà un ruolo sempre più importante nell’ integrazione dei trattamenti
medico-chirugici. Il timing del trattamento chirurgico, già codificato in altre patologie neoplastiche, per il
carcinoma renale è comunque ancora da definirsi.
Sintesi e grado di raccomandazione


I pazienti con metastasi completamente resecabili (sincrone o metacrone) dovrebbero eseguire la
metastasectomia (grado B).
La metastasectomia può essere eseguita dopo una buona risposta alla terapia medica con l’obiettivo
di raggiungere la radicalità chirurgica (R0) in pazienti con lesioni secondarie residue e resecabili
(grado B).
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4.3 Follow-up dopo chirurgia radicale
Il follow-up del carcinoma del rene sottoposto a chirurgia radicale è volto ad identificare la ripresa di
malattia, a monitorare le complicanze postoperatorie e la funzionalità renale. L’importanza del follow-up
dopo chirurgia radicale è determinata dal fatto che circa il 50% dei pazienti avrà una ricaduta di malattia e
circa due terzi di questi entro il primo anno [1, 2].
La ripresa di malattia deve essere identificata precocemente per la possibilità progressivamente ridotta con il
tempo di poter procedere a resezione chirurgica della recidiva o della metastasi soprattutto nel caso di riprese
di malattia in singole sedi (cfr. chirurgia delle metastasi) [3].
Per quanto riguarda il monitoraggio della funzionalità renale a lungo termine, questo è indicato nei pazienti
con insufficienza renale già presente al momento dell’intervento chirurgico ed in coloro che nel postintervento hanno evidenziato un aumento dei valori serici di creatinina. In questi ultimi è utile una
determinazione dei valori di creatinina già a 4-6 settimane dall’intervento chirurgico [4].
Non ci sono trials prospettici randomizzati in letteratura che indichino con precisione il timing dei controlli
da eseguire ed in quali pazienti questi siano indicati. Ci sono per contro dati di follow-up a lungo termine di
casistiche numerose che indicano quali pazienti siano a maggior rischio di ricaduta e quindi da sottoporre a
protocolli di più stretto monitoraggio in relazione ai fattori prognostici clinici e molecolari identificati al
momento della diagnosi [5-12] (livello di evidenza 3).
Viene quindi utilizzato un approccio risk-adapted secondo diversi protocolli attualmente comunque non
validati da studi clinici con elevati livelli di evidenza e decisi a discrezione dello specialista di riferimento
(livello di evidenza 4).
21
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
La maggior parte dei protocolli di follow-up prende in considerazione il rischio di ricaduta determinato in
relazione allo stadio iniziale di malattia [3, 13].
Per i pazienti a basso rischio di ricaduta possono essere sufficienti periodici controlli dell’rx torace e
dell’ecografia dell’addome, mentre nei pazienti a rischio intermedio - alto di ricaduta l’esame di scelta è la
TC torace + addome.
In uno studio retrospettivo condotto su 559 pazienti stratificati in relazione al T ed al performance status in
tre classi di rischio (basso: T1, G1-2, ECOG0; alto: T3-4, G1-4, ECOG0-3; intermedio: casi rimanenti) sono
state prodotte le seguenti raccomandazioni [10] (livello di evidenza 3):
- pazienti a basso rischio: visita annuale con esami ematochimici e TC torace, ogni due anni TC addome fino
al quinto anno;
- pazienti a rischio intermedio: follow-up protratto a 10 anni con visita semestrale, TC torace ogni sei mesi
fino al terzo anno poi annuale, TC addome ad un anno e successivamente ogni due anni;
- pazienti ad alto rischio: controlli più serrati con visite a controlli TC semestrali fino al terzo anno.
Nella pratica clinica è consuetudine, ma non vi sono studi clinici che lo confermino, che venga effettuata nel
forte sospetto clinico di ripresa di malattia anche una TC encefalo poiché la presenza di metastasi encefaliche
seppur asintomatiche può cambiare il timing del trattamento medico della malattia metastatica (livello di
evidenza 4).
Anche la durata ottimale del follow-up non è definita da studi clinici randomizzati, ma sembra che questo
non sia cost-effective dopo i 5 anni [3, 14] (livello di evidenza 3).
Per i pazienti sottoposti a chirurgia nephron-sparing il follow-up previsto è lo stesso adottato nel caso di
nefrectomia radicale poiché gli outcomes delle due metodiche chirurgiche sono sovrapponibili.
Per quanto concerne le metodiche mini-invasive i dati sono pochi ed i pareri controversi. A tutt’oggi non vi
sono indicazioni precise circa il follow-up.
RCC ereditario
Non vi sono studi in letteratura riguardanti il follow-up dei pazienti con RCC ereditario. I tumori ereditari
sembrano avere un basso potenziale metastatico rispetto alle neoplasie sporadiche e sembra che il rischio di
metastatizzazione aumenti con le dimensioni della neoplasia (T >3 cm).
Su queste basi il follow-up è principalmente basato sulle dimensioni del tumore piuttosto che sull’istologia,
localizzazione e multifocalità. [15, 16] (livello di evidenza 3).
Tuttavia i pazienti che presentano un fenotipo aggressivo dovrebbero essere sottoposti a stretto controllo con
esami strumentali ogni 3-6 mesi. Per contro, i pazienti con basso rischio di progressione o ripresa di malattia
potrebbero essere ristudiati con tecniche di imaging ogni 2-3 anni. [15, 16] (livello di evidenza 3).
Sintesi e grado di raccomandazione
Dai dati sopra riportati, nonostante derivino da studi con bassi livelli di evidenza (livello di evidenza 3) e con
grado di raccomandazione B, possono essere riportate le seguenti affermazioni sul follow-up:
 Per pazienti a basso rischio di ricaduta possono essere sufficienti periodici controlli con radiografia
del torace ed ecografia dell’addome.
 Per i pazienti a rischio intermedio-alto di ricaduta l’esame di scelta è la TC torace + addome
 Timing dei controlli da eseguire: visita semestrale fino al quinto anno poi visita annuale
 A seconda del rischio di ricaduta: esami strumentali ogni 6 mesi almeno per i primi 3 anni
 Ad ogni visita di controllo esami aggiuntivi in relazione alla comparsa di sintomi specifici.
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Terapia adiuvante e neoadiuvante alla chirurgia
5.1 Terapia adiuvante
Molti sforzi sono stati fatti negli ultimi 30 anni per sviluppare un’efficace e pragmatica strategia per il
trattamento adiuvante del RCC. Le Tabella 5 e 6 mostra l’elenco completo sia degli studi di terapia
adiuvante completati e di cui sono noti i risultati, sia di quelli in corso i cui risultati non sono ancora
disponibili.
Radioterapia
L’uso della radioterapia nel trattamento adiuvante del carcinoma renale non si è rivelato essere efficace per 2
motivi: in primo luogo il carcinoma renale è scarsamente radiosensibile e in secondo luogo le recidive locoregionali isolate sono rare. Pertanto è improbabile che la radioterapia migliori gli esiti del trattamento nei
pazienti con RCC.
Terapia ormonale
Nel 1987 Pizzocaro et al. pubblicarono i risultati di un trial italiano multicentrico, randomizzato con
medrossiprogesterone acetato somministrato dopo la nefrectomia per RCC vs osservazione. Nel trial, 136
pazienti sono stati randomizzati a ricevere 500 mg di medrossiprogesterone acetato per via orale tre volte la
23
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
settimana contro nessun trattamento. Al follow-up mediano di 3 anni, il 25,8% dei pazienti nel braccio di
trattamento ha presentato una recidiva di malattia, rispetto al 23,8% dei pazienti nel gruppo di controllo.
Ulteriori tentativi per sviluppare una terapia che si basa sul trattamento ormonale come strategia adiuvante,
sono stati abbandonati [1].
Chemioterapia
L’RCC è uno dei tumori solidi più resistenti alla chemioterapia. Attualmente non vi sono regimi
chemioterapici in fase di valutazione nella terapia adiuvante per i pazienti con RCC ad alto rischio di
recidiva.
Immunoterapia
I trattamenti più ampiamente studiati e utilizzati in terapia adiuvante, comprendono l’interferone alfa (IFNα), l’interleuchina 2 (IL-2), usati singolarmente o in combinazione, e i vaccini. Le citochine aumentano sia
l’azione dei linfociti citotossici, che quella delle cellule natural killer (NK). L’IFN-α inoltre modula la
crescita e la funzione cellulare, inibendo la proliferazione cellulare, e regolando l’espressione e la
differenziazione antigenica sulla superficie cellulare.
L’IFN può essere considerato una scelta logica come agente adiuvante per l’RCC perché è uno dei farmaci
attivi nella malattia metastatica. Due sono gli studi randomizzati di terapia adiuvante che portano alle stesse
conclusioni.
Nel 2001 Pizzocaro et al. pubblicarono i risultati di un trial multicentro che coinvolgeva pazienti con RCC in
stadio II o III randomizzati fra nefrectomia o nefrectomia più IFN-α. Le recidive furono maggiori nel
bracccio dei pazienti trattati con IFN-α: 51 dei 123 pazienti nel braccio di trattamento, confrontati ai 38 dei
124 pazienti nel braccio di controllo, presentavano recidiva di malattia ad un follow-up mediano di 62 mesi
[2].
In un altro trial di fase III dell’ECOG (Eastern Cooperative Oncology Group), si giunse a risultati pressoché
analoghi con un numero maggiore di recidive nel braccio di trattamento (285 pazienti furono randomizzati
all’IFN adiuvante contro osservazione). La sopravvivenza mediana era di 7,4 anni nel braccio di
osservazione e solo 5,1 anni nel braccio di trattamento. Nessuna differenza era statisticamente significativa
[3].
Sorprende e rimane da capire il motivo per il quale i pazienti trattati abbiano una prognosi peggiore anche se
statisticamente la differenza non è significativa.
Interleukina-2
L’IL-2 è un fattore di crescita ed attivatore sia di linfociti T che di cellule NK. Essa viene prodotta e
rilasciata dalle cellule T attivate. Basandosi su uno studio di 255 pazienti con RCC metastatico trattati con
alto dosaggio a bolo di IL-2 (720.000 IU/kg ogni 8 ore), la Food and Drug Administration (FDA) approvò il
suo uso per la terapia nel RCC metastatico nel 1992.
IL-2 ad alte dosi a bolo è stata testata in un unico studio randomizzato di terapia adiuvante finora pubblicato.
In questo trial, 69 pazienti in stadio localmente avanzato dopo nefrectomia (T3b-4 o N1-N3), oppure con un’
unica metastasi resecata chirurgicamente, venivano randomizzati fra osservazione oppure a fare un unico
ciclo di IL-2 (600,000 U/kg ogni 8 ore giorni 1-5 e 15-19 per un massimo di 28 dosi). Lo studio fu chiuso
prematuramente perché a 2 anni 15 dei 21 pazienti (71%) nel braccio di trattamento con tumore localmente
avanzato e 16 dei 23 (69%) nel braccio di osservazione ebbero ricadute, senza alcuna differenza
significativa. Anche nei pazienti con malattia metastatica resecata non fu osservata alcuna differenza fra i
due bracci [4].
Interleuchina-2 + Interferone alfa
Uno studio randomizzato, multicentrico italiano del gruppo GOIRC (Gruppo Oncologico Italiano di Ricerca
Clinica), presentato all’ASCO meeting del 2007 ha confrontato la combinazione di basse dosi sottocute di
IL-2 + IFN-α vs osservazione [5]. Sono stati inclusi 310 pazienti e l’analisi “intention to treat” ad un followup mediano di 52 mesi non ha evidenziato differenze significative fra i trattati e i controlli. La DFS attuariale
a 5 e 10 anni era 73% e 73% nei trattati e 73% e 60% nei controlli (HR 0.84 (95% CI 0.54-1.33 p= 0.47).
24
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
In un’analisi per sottogruppi è stato tuttavia evidenziato un beneficio statisticamente significativo per i
pazienti che possedevano almeno 2 delle seguenti caratteristiche: pN0, G1-G2, <60 anni e pT3a.
Interleuchina-2 + Interferone + 5Fluorouracile
Due studi randomizzati, entrambi europei, sono stati condotti con l’uso di questa combinazione. Il primo è
uno studio prospettico randomizzato di fase III, condotto dal German Cooperative Renal Carcinoma
Chemoimmunotherapy Group, ed ha investigato la combinazione di chemio-immunoterapia con IL-2, IFN-α,
e 5-FU versus osservazione nel trattamento adiuvante di pazienti ad alto rischio di recidiva dopo nefrectomia
[6,7].
Sono stati inclusi 203 pazienti e ad un follow-up mediano di 4.3 anni, la sopravvivenza totale era
significativamente minore nel gruppo dei trattati rispetto al gruppo di controllo (P = 0.028). Inoltre, la
sopravvivenza mediana senza recidive era 2.75 anni nei trattati e 4.25 nel gruppo di controllo. Pertanto
questo trattamento ha evidenziato un peggioramento significativo della prognosi nei trattati [6].
L’altro studio è stato condotto dall’EORTC, presentato al meeting ASCO del 2008 e non ancora pubblicato
in estenso. Nell’analisi preliminare 147 patienti hanno recidivato e a 3 anni l’intervallo libero di malattia è
stato pari al 50% nel braccio di controllo versus 60% nei trattati (HR 0.87, 95% CI 0.63-1.20); la
sopravvivenza totale a 5 anni è risultata pari al 60% nei controlli versus 68% nei trattati (HR 0.91, 95% ci
0.60 -1.38) senza alcuna diffferenza statisticamente significativa [7].
Studi in corso e prospettive future
Senza dubbio le attese maggiori nel campo della terapia adiuvante del RCC si concentrano ora sui nuovi
farmaci a bersaglio molecolare e in particolare su quelli che hanno dimostrato la maggiore efficacia nel
setting metastatico: sunitinib e sorafenib. Entrambi i farmaci sono attualmente in studio nel trattamento
adiuvante con differenti studi randomizzati di fase III i cui risultati saranno disponibili fra alcuni anni.
Un primo studio, che ha per acronimo S-TRAC, ha valutato l'uso di sunitinib con un disegno multicentrico,
doppio cieco, randomizzato. Lo studio ha messo a confronto un anno di terapia con sunitinib orale rispetto al
placebo in 500 pazienti ad alto rischio di recidiva (in base a criteri UISS) dopo nefrectomia. L'end-point
primario dello studio era la sopravvivenza libera da malattia; gli endpoint secondari la sopravvivenza totale e
la sicurezza. L’arruolamento dello studio è stato completato ma i risultati non saranno disponibili prima del
2013 (www.clinicaltrials.gov numero di identificazione:NCT00375674).
Attualmente risulta in corso lo studio randomizzato di fase III, PROTECT, disegnato per valutare l’efficacia
e la tollerabilità del trattamento adiuvante con pazopanib (12 mesi di trattamento) vs placebo nella malattia
localmente avanzata sottoposta a nefrectomia. L'end-point primario dello studio è la sopravvivenza libera da
malattia; gli endpoint secondari la sopravvivenza totale, la tollerabilità e la qualità della vita
(www.clinicaltrials.gov, numero di identificazione: NCT01235962)
Un altro studio multicentrico in doppio cieco randomizzato, acronimo ASSURE, prevede l’arruolamento di
1332 pazienti sottoposti a nefrectomia per RCC ed include tutti gli istotipi, con l’eccezione del carcinoma dei
dotti collettori, in stadio pT1b, G3-4, pT2-pT4, o con qualsiasi T e con linfonodi positivi. I pazienti saranno
stratificati in base al rischio di recidiva e quindi randomizzati fra 1 anno di sorafenib, sunitinib, o placebo.
Oltre alla sopravvivenza libera da malattia e globale, lo studio esaminerà come predittori di sopravvivenza e
di beneficio terapeutico biomarcatori, mutazioni genetiche, metilazione del DNA. Questo trial è iniziato nel
maggio 2006, e la data prevista per la fine dello studio è aprile 2016 (www.clinicaltrials.gov numero di
identificazione:NCT00326898).
Un quarto studio in corso per la fase adiuvante di malattia ha per acronimo SORCE ed è anch’esso uno
studio multicentrico, doppio cieco randomizzato, con una stima di reclutamento di 1656 pazienti affetti da
RCC, operati radicalmente e ad alto o intermedio rischio di ricaduta. I pazienti saranno randomizzati a
ricevere sorafenib per 1 anno, sorafenib per 3 anni, o placebo. L'end-point primario è la sopravvivenza libera
da malattia; obiettivi secondari sono la sopravvivenza globale, rapporto costo-efficacia e tossicità. Il
reclutamento è stato avviato nel giugno del 2007 e si stima che sarà completato entro agosto 2012
(www.clinicaltrials.gov numero di identificazione NCT00492258)
Infine, l’'uso di anticorpi monoclonali è in corso di valutazione in uno studio randomizzato di fase III di
confronto con placebo. Lo studio valuta l’efficacia di cG250 (WX-G250), un anticorpo monoclinale che si
25
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
lega a CAIX sulla superficie dei tumori a cellule chiare ed è in grado di reclutare cellule immuni effettrici e
di attivare il complemento risultando nella distruzione cellulare. Questo studio è attualmente in corso e i
risultati sono attesi dopo il 2013 (www.clinicaltrials.gov numero di identificazione NCT00087022).
5.2 Terapia neoadiuvante
Fino a pochi anni fa la terapia del RCC era basata sull’impiego delle citochine, ma la sua tossicità e
soprattutto le scarse risposte del tumore primario hanno limitato lo sviluppo di eventuali studi nell’ambito dl
trattamento neoadiuvante. Tuttavia, con l'avvento e il successo dei nuovi farmaci antiangiogenetici e inibitori
di tirosino-kinasi nei RCC in stadio avanzato, la prospettiva della loro applicazione nell’ambito di una
strategia neoadiuvante è diventata attuale e interessante. Questo approccio riguarda sia i pazienti in stadio
localmente avanzato sia quelli con metastasi alla diagnosi (vedi capitolo successivo) nei quali la nefrectomia
continua ancora ad essere la terapia standard.
Nei tumori in stadio iniziale o in quelli in stadio localmente avanzato, senza metastasi a distanza, i possibili
vantaggi teorici della terapia neoadiuvante includono la sotto-stadiazione del tumore, la riduzione di fattori
pro-angiogenetici circolanti, la risposta nel tumore primario con maggiore facilità all’exeresi.
In letteratura non ci sono studi prospettici randomizzati nel campo della terapia neoadiuvante per il RCC
localizzato e ad alto rischio di recidiva. Diversi centri hanno pubblicato case-report o piccole serie di casi
dimostrando che il trattamento neoadiuvante con l’uso di sorafenib, sunitinib, bevacizumab o inibitori di
mTOR(mammalian Target Of Rapamycin) è fattibile e ha comportato una stabilità o la riduzione delle
dimensioni del tumore primario e/o delle linfoadenopatie metastatiche nel 10-20% dei casi, senza
complicanze chirurgiche successive (Tabella 7) [8].
Uno studio prospettico di fase II recentemente pubblicato, ha valutato la sicurezza e la fattibilità di sorafenib
nel setting neoadiuvante su 30 pazienti con RCC in fase di diagnosi, di cui 17 con malattia localizzata al rene
e 13 con metastasi a distanza [9]. Dopo un ciclo di terapia (durata media,: 33 giorni), su 28 pazienti
valutabili, 2 pazienti hanno avuto una risposta parziale, 26 hanno presentato una malattia stabile e nessun
paziente è andato in progressione. Tutti i pazienti erano in grado di procedere con la nefrectomia senza
complicazioni chirurgiche.
Sono necessari ulteriori studi per determinare il reale impatto della terapia sistemica preoperatoria, definire i
tempi e i modi di questo approccio in rapporto all’intervento e a possibili complicanze legate all’effetto
antiangiogentico della terapia stessa e infine capire se essa migliora i risultati in pazienti sottoposti a
nefrectomia per carcinoma renale.
Terapia neoadiuvante e adiuvante alla metastasectomia
Lo scopo dell’intervento chirurgico nei pazienti con carcinoma renale metastatico può essere:
1. resecare il tumore renale primitivo in presenza di una malattia metastatica non resecabile, (prima di
iniziare la terapia sistemica, cosiddetta nefrectomia citoriduttiva);
2. resecare sia il tumore primario (se ancora presente) che tutte le metastasi per rendere un paziente
clinicamente libero da malattia.
3. resecare solo la/le metastasi in pazienti in cui il tumore primitivo è già stato asportato
La mancanza di studi prospettici randomizzati non consente di definire il ruolo attuale della terapia medica
neoadiuvante o adiuvante nei pazienti che sono candidati a intervento di metastasectomia con intento di
eradicare tutti i focolai neoplastici noti (Tabella 7).
Non ci sono studi che avvalorano questo concetto ma solo opinioni di esperti e piccole casistiche in genere
mono-istituzionali.
26
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
La terapia neoadiuvante (pre-chirurgica) è una nuova strategia di trattamento per il carcinoma renale
localmente avanzato e per quello metastatico, meritevole di ulteriore sviluppo. Le esperienze iniziali
suggeriscono che essa è sicura, senza alcun aumento del rischio di morbilità o complicazioni della ferita
chirurgica. In futuro gli studi in ambito localmente avanzato dovrebbero concentrarsi sul down-staging del
tumore e sugli effetti a lungo termine sulle recidive e sulla sopravvivenza libera da malattia dopo l'intervento.
Nel quadro dei tumori metastatici la terapia neoadiuvante, pre-chirurgica, può fungere da cartina di tornasole
per riservare l’intervento ai soli pazienti responsivi al trattamento, che non presentano ulteriori distretti
metastatici e possono trarre massimo beneficio dalla chirurgia.
Tabella 5. Studi completati di terapia adiuvante nel RCC
Trattamento
N.
Autore e
anno
Risultato
Radioterapia loco-regionale vs
Osservazione
72
Kjaer 1987
Nessuna differenza significativa, maggior tossicità nei
pazienti trattati con radioterapia.
Medrossiprogesterone acetato
(MPA) vs Osservazione
136
Pizzocaro
1987
Nessuna differenza. Recidive a 5 anni: 32.7% nei trattati vs
33.9% nei controlli
Cellule tumorali autologhe +
BCG vs Osservazione
120
Galligioni
1996
Nessuna differenza. DFS a 5 anni: 63% nei trattati vs 72%
nei controlli (P=NS)
IFN-α vs Osservazione
247
Pizzocaro
2001
Nessuna differenza. OS a 5 anni: 56.7% per i trattati vs
67.1% nei controlli (p: 0,86)
IFN-a vs Osservazione
283
Messing 2003
Nessuna differenza. Sopravvivenza mediana: 5.1 anni nei
trattati vs 7.4 nei controlli (p=0.90)
Alte dosi di IL-2 vs
Osservazione
69
Clark 2003
Nessuna differenza. Recidive: 76% nei trattati vs 65% nei
controlli (P=0.73)
Cellule tumorali autologhe
criopreservate vs
Osservazione
558
Jocham 2004
Incremento significativo PFS a 5 anni: 77.4% nei trattati vs
67.8% nei controlli (P=0.02)
IL-2 + IFN-a + 5FU vs
Osservazione
203
Atzpodien
2005
Nessuna differenza. DFS a 8 anni: 39% nei trattati vs 49%
nei controlli (P=0.23)
IL-2 + IFN-a vs Osservazione
310
Passalacqua
2007
Nessuna differenza. DFS a 10 anni 73% nei trattati vs 60%
nei controlli (P=0.47)
Heat Shock Protein Peptide
Complex (HSPPC-96) vs
Osservazione
818
Wood 2008
Nessuna differenza. Recidive a 1,9 anni: 136 (37•7%) nel
gruppo trattato vs 146 (39•8%) nei controlli (P=0•506).
IL-2+IFN-a + 5FU vs
Osservazione
309
Aitchison
2008
DFS a 3 anni: 60% nei trattati vs 50% nei controlli (HR
0.87, 95% CI 0.63-1.20).
Legenda: BCG: Bacillo di Calmette-Guérin; DFS: Sopravvivenza libera da malattia; OS: Sopravvivenza totale; IFN-a: Interferone
alfa; IL-2: Interleuchina 2; PFS: Sopravvivenza libera da progressione; 5FU: 5Fluorouracile
27
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Tabella 6: Carcinoma a cellule renali: livello di evidenza e
raccomandazione per tipo di trattamento adiuvante
Trattamento adiuvante dopo
nefrectomia
Livello di
evidenza
Raccomandazione
Radioterapia loco-regionale
2
E - La procedura è sconsigliata
Medrossiprogesterone acetato (MPA)
2
D - La procedura non è raccomandata
Interferone alfa (IFN-a)
1
D - La procedura non è raccomandata
Alte dosi di interleuchina 2 (IL-2)
2
D - La procedura non è raccomandata
Cellule tumorali autologhe
2
C - Incertezza a favore o contro
IL-2 + IFN-a + 5FU
1
D - La procedura non è raccomandata
Basse dosi di IL-2 + IFN-a
2
D - La procedura non è raccomandata*
Heat Shock Protein Peptide Complex
(HSPPC-96)
2
D - La procedura non è raccomandata*
*In questi studi è stato descritto un vantaggio in favore dei trattati con immunoterapia in alcuni sottogruppi di pazienti con stadio più iniziale e/o
grading basso (vedi testo per i dettagli)
Tabella 7: Carcinoma a cellule renali: livello di evidenza e
raccomandazione per tipo di trattamento adiuvante
Trattamento adiuvante dopo
nefrectomia
Trattamento neoadiuvante prima della
nefrectomia con farmaci a bersaglio
molecolare
Trattamento neoadiuvante prima della
metastasectomia con farmaci a bersaglio
molecolare
Trattamento adiuvante dopo la
metastasectomia
Livello di
evidenza
Raccomandazione
4
C - Incertezza a favore o contro
4
C - Incertezza a favore o contro
4
C - Incertezza a favore o contro
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Trattamento medico della malatia avanzata
Il 25% dei pazienti con neoplasia renale si presenta alla diagnosi con malattia avanzata, mentre un terzo,
circa, dei soggetti operati svilupperà una recidiva a distanza: la scelta della miglior terapia medica possibile è
quindi della massima importanza.
Questa scelta è resa complessa da due ordini di fattori. Il primo (positivo) è il tumultuoso passaggio della
neoplasia renale da un condizione di “malattia orfana” di opzioni terapeutiche a quella di modello di
sviluppo “in vivo” per i farmaci antiangiogenici, con la conseguente attuale molteplicità di possibili scelte
terapeutiche che sta completamente ridisegnando la strategia di trattamento del carcinoma renale avanzato.
Il secondo (negativo) è il relativamente breve follow-up di questi studi che, associato alla scarsa
comparabilità delle metodologie e delle popolazioni di pazienti dei vari studi, unitamente all’attuale assenza
di risultati di studi comparativi, induce ad una certa cautela nell’espressione di indicazioni terapeutiche
“categoriche”.
Nel corso di questa trattazione parleremo dei sei farmaci attualmente disponibili in commercio
(bevacizumab+interferon-α2a, sunitinib, pazopanib, temsirolimus, sorafenib ed everolimus). Accenneremo,
inoltre brevemente anche ad altre due molecole, axitinib, il cui studio registrativo in seconda linea è stato
recentemente pubblicato, e tivozanib, i cui dati dello studio registartivo di prima linea sono stati
recentemente comunicati al Congresso ASCO 2012.
6.1 Opzioni terapeutiche di prima linea
Al momento attuale sono disponibili, e rimborsabili, 4 possibili opzioni terapeutiche di prima linea: sunitinib,
pazopanib, bevacizumab+inteferon-α2a e temsirolimus (quest’ultimo, con indicazione ristretta all’uso nei
casi definibili poor-risk). Sorafenib, sempre in accordo alla registrazione, può essere impiegato nei pazienti
definibili “unsuitable” (cioè non appropriati) per un trattamento con citokine.
1) Sunitinib (Livello di evidenza 1b) è una piccola molecola orale in grado di inibire l’attività tirosinchinasica (Tyrosine-Kinase inhibitor, TKi) del VEGF Receptor 2 (VEGFR-2) e del Platelet Derived Growth
Factor Receptor (PDGFR). E’ in grado, inoltre, di inibire altri targets tra cui c-Kit. I primi studi di fase II,
effettuati da Motzer nel 2006 su pazienti in progressione dopo citokine, evidenziarono un’elevata attività del
farmaco con risposte parziali nel 36-40% dei casi, PFS mediana di 8.1 e 8.7 mesi ed una discreta tollerabilità
[1, 2].
Il successivo studio registrativo di fase III (randomizzato prospettico, open label; end point primario PFS), su
750 casi non pretrattati (nefrectomia 88% dei casi, KPS da 80 a 100) ha confrontato sunitinib, alla dose
giornaliera di 50 mg per quattro settimane ogni sei, ad interferon-α (IFN-α, 9 MIU tre volte la settimana) [3].
I risultati dello studio hanno dimostrato incrementi significativi della risposta obiettiva (risposte parziali
nell’31%/47% dei pazienti trattati in base, rispettivamente, alla valutazione della commissione indipendente
o dello sperimentatore, verso il solo 8%/12% ottenuto dall’interferon), del controllo globale di malattia
(risposta obiettiva più stazionarietà: 87% dei casi, valutazione dello sperimentatore), della PFS mediana (11
vs 5 mesi) ed un vantaggio ai limiti della significatività statistica per la sopravvivenza (OS =26.4 vs 21.8
mesi, p =0.051, che diventano 26.4 vs 20 mesi, p =0.036, una volta rimossi i 25 casi di crossover verso
29
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
sunitinib) [4]. Dati di attività parzialmente diversi, sono emersi dall’ampio studio internazionale di accesso
allargato (EAP, Extended Access Program), che prevedeva tuttavia la possibilità di trattare pazienti in
qualsiasi linea di terapia e condizione clinica (metastasi cerebrali comprese) [5].
La tollerabilità del farmaco è stata accettabile con tossicità principali di tipo ematologico, endocrino,
gastroenterico (stomatite, diarrea) e cutaneo (hand-foot skin reaction), associate a marcata astenia/fatigue e
ad ipertensione. Da notare che i dati relativi alla tossicità cardiaca e tiroidea sono stati oggetto di numerose
segnalazioni in letteratura nel corso degli ultimi anni con conseguente rilevante aumento del rischio relativo
per questo tipo di tossicità (eventi cardiaci o vascolari, riduzione, spesso transitoria, della frazione di
eiezione ventricolare sinistra, ipotiroidismo) [6]. Al momento attuale appare quindi consigliabile effettuare
una valutazione cardiologica basale e periodica, comprensiva di ecocardiogramma, nei pazienti da sottoporre
a trattamento con sunitinib, soprattutto in presenza di un’anamnesi cardiologica positiva. Utile associare
anche un dosaggio basale e periodico del TSH e degli ormoni tiroidei al fine di monitorare la funzione
tiroidea.
2) Pazopanib (Livello di evidenza 1b) è un antiangiogenico per uso orale attivo su VEGFR, PDGFR e cKit. I primi studi di fase I/II, presentati nel 2005 e 2008, ne hanno evidenziato attività e tollerabilità in
pazienti con mRCC [7, 8].
Lo studio registrativo di fase III (randomizzato prospettico, open label, su pazienti con citokine; end point
primario PFS) su 435 casi, in parte naive (54%, 233 casi) e in parte pretrattati (46%, 202 casi), ha
confrontato pazopanib, alla dose giornaliera di 800 mg a placebo (randomizzazione 2:1) [9]. I risultati dello
studio hanno evidenziato significativi vantaggi in termini di risposta obiettiva (risposte parziali nell’30% vs
3% dei casi, stazionarietà di malattia nel 38 vs 41%) e PFS mediana (9.2 vs 4.2 mesi nella popolazione
complessiva e 11.1 vs 2.8 mesi nella popolazione di prima linea). La maggior parte degli effetti collaterali
derivanti dal trattamento è stata di grado I/II,; tra gli eventi di grado ≥3 i più frequenti sono stati diarrea,
ipertensione, fatigue, iponatremia e, sopratutto, tossicità epatica (vedi tabella II). La probabilità di sviluppare
questo tipo di tossicità sembra essere maggiore in pazienti con altre patologie epatiche.
NOTA: Al Congresso annuale ASCO del 2012 sono stati comunicati i risultati preliminari dello studio
“PISCES” che aveva l’obiettivo di valutare la “patient preference” tra pazopanib e sunitinib nell’ambito di
un originale disegno di studio sequenziale legato non alla progressione di malattia ma ad un intervallo di
tempo prefissato (10 settimane per farmaco separate da due settimane di wash out). Al Congresso ESMO del
2012 sono stati presentati i risultati dello studio "COMPARZ", uno studio prospettico randomizzato di fase
III disegnato per valutare l’efficacia e la sicurezza di pazopanib vs sunitinib in pazienti affetti da mRCC e
non precedentemente sottoposti a terapia sistemica. I risultati preliminari dello studio COMPARZ
supportano la non inferiorita' di pazopanib rispetto a sunitinib in termini di PFS [PFS 8.4 mesi (LC
95%:8.3-10.9) vs 9.5 mesi (LC 95%:8.3-11.1); HR (LC 95%)=1.047 (0.898-1.220) per un margine
predeterminato di non inferiorità di 1.25] ed un diverso quadro di tossicita' attese, incrementando le
possibilita' di una scelta terapeutica di prima linea calibrata anche in base alle comorbidita' del paziente.
3) Bevacizumab+inteferon-α2a (Livello di evidenza 1b) è un anticorpo monoclonale, umanizzato in grado
di legare direttamente tutte le principali isoforme circolanti di VEGF (VEGF-A, B e C) neutralizzandone la
funzione di stimolo sull’angiogenesi.
Il primo studio di fase II in pazienti con carcinoma renale è stata effettuata da Yang su 116 pazienti in
progressione dopo citokine, randomizzati tra due livelli di dose di bevacizumab (3 o 10 mg/Kg) o placebo. I
risultati dello studio hanno evidenziato attività di bevacizumab alla dose di 10mg/kg, con risposte parziali nel
10% dei casi ed una mediana della PFS di 4.8 mesi (3 con la bassa dose, 2.5 con placebo) [10]. I risultati
positivi di uno studio di fase II che aveva valutato la possibile sinergia di un combinazione con erlotinib
(risposte obiettive nel 25% dei casi) non sono stati confermati da un successivo studio randomizzato [11, 12].
Due successivi studi prospettici randomizzati di fase III hanno confrontato in prima linea, con metodologie
diverse, la possibile efficacia di una combinazione di bevacizumab ed IFN-α con il solo IFN-α. Lo studio
europeo (“AVOREN”, randomizzato, multicentrico, doppio cieco; end point primario: overall survival, OS),
ha dimostrato, su 649 pazienti (tutti nefrectomizzati e con un Karnofsky Performance Status tra 70 e 100)
vantaggi significativi della combinazione in termini di risposta obiettiva (31 vs 12%, valutato dagli
30
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
investigatori) e mediana della PFS (10.2 vs 5.4 mesi) [13]. I dati di OS, recentemente pubblicati, non sono
tuttavia risultati significativi (23.3 vs 21.3 mesi, HR 0.91, p = 0.33) [14]. Un’analisi dei possibili fattori
causali ha analizzato la possibile influenza dei trattamenti successivi,; il 35% circa dei pazienti dello studio,
infatti, dopo la progressione e in entrambe le braccia dello studio, ha effettuato un trattamento con TKi. La
OS osservata in questi casi è stata di 38.6 vs 33.6 mesi (p = n.s.) [15]. La tollerabilità al trattamento è stata
discreta, ma il 40% dei pazienti ha dovuto ridurre i dosaggi di interferon per effetti collaterali ad esso
correlati.
I risultati finali dello studio americano CALGB 90206 (randomizzato, multicentrico, open label; end point
primario OS), in linea di massima confermano, su 732 pazienti, i dati dello studio europeo, ma con risultatai
decisamente inferiori (median PFS 8.5 vs 5.2 mesi, p <0.0001; risposte obiettive nel 25.5% vs 13.1%;
median OS 18.3 vs 17.4 mesi, p =0.097). Possibili spiegazioni a queste differenze potrebbero essere cercate
nella minor familiarità dei clinici americani nella gestione delle tossicità da IFN e nell’assenza della
nefrectomia come criterio obbligatorio di inclusione [16].
3) Temsirolimus (Livello di evidenza 1b) è un inibitore per uso intravenoso di m-TOR (mammalian Target
of Rapamycin, una serin-treonin-kinasi implicata nei processi di regolazione della trasduzione e degradazione
delle proteine e nell’angiogenesi). Un primo studio randomizzato di fase II, condotto da Atkins su 111
pazienti in progressione dopo citokine o chemioterapia, ha evidenziato risposte parziali o complete e un
controllo di malattia rispettivamente nel 7.2% e 50% dei casi ed una mediana della PFS di 5.8 mesi. Non
essendosi osservate significative differenze di attività fra i tre livelli di dose testati (25, 75, 250 mg) la dose
minore (25mg settimanali) è stata quella prescelta per il successivo sviluppo del farmaco, anche alla luce
della sua attività immunosoppressiva [17]. L’attività evidenziata anche in pazienti poor risk, secondo la
classificazione del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center (MSKCC) [18] ha infine portato a testare il
farmaco in prima linea proprio in questa categoria di pazienti.
Nello studio registrativo di fase III (randomizzato, prospettico, multicentrico, open label; end point primario:
OS), temsirolimus, (25mg iv settimanali), è stato confrontato ad IFN-α (alla criticabile dose di 18 MIU tre
volte la settimana) e ad una combinazione di basse dosi di entrambi i farmaci (temsirolimus 15mg ed IFN-α
6 MIU tre volte la settimana). A seguito di uno scarso accrual iniziale lo studio è stato emendato
aggiungendo un 6° fattore di rischio (sedi multiple di metastasi) ai cinque del MSKCC, modificando quindi
la definizione di poor risk ed aggiungendo allo studio un 26% di casi a prognosi intermedia. A seguito di ciò
temsirolimus è stato registrato da EMA ed FDA ed è rimborsato dall’AIFA per l’uso in prima linea in
pazienti definibili poor risk in base alla presenza di almeno tre dei sei fattori di rischio riportati, tra i quali un
KPS che sia < 80 ma ≥ 60).
Temsirolimus ha dimostrato di aumentare in maniera significativa OS (10.9 vs 7.3 mesi di IFN-α, p =0.008),
e PFS (5.5 vs 3.1 mesi di IFN-α). Nessun vantaggio sembra invece derivare dalla combinazione dei due
farmaci, mentre sono da segnalare la minor efficacia in pazienti con più di 65 anni e la maggior attività in
casi (n=73) con istologia non-a cellule chiare. I principali effetti collaterali segnalati, oltre a quelli metabolici
attesi (iperglicemia ed iperlipemia) sono stati: anemia, astenia, dispnea, infezioni, tossicità cutanea ed edemi
periferici [19].
Sintesi e grado di raccomandazione
1. Sunitinib: grado A per i pazienti a prognosi buona ed intermedia
2. Pazopanib: grado A per i pazienti a prognosi buona ed intermedia
3. Bevacizumab: grado A per i pazienti a buona prognosi ed intermedia
4. Temsirolimus : grado A per i pazienti a cattiva prognosi
Nota: Al Congresso ASCO del 2012 sono stati presentati i dati preliminari di tivozanib, un nuovo TKi che
nello studio registrativo di fase III vs sorafenib in pazienti non pretrattati (70% circa dei casi) o trattati con
sole citokine ha riportato significativi vantaggi in termini di mediana della PFS (11.9 vs 9.1 mesi nella
popolazione complessiva, 12.7 vs 9.1 mesi nei casi di prima linea pura). Particolarmente interessante
sembra essere la safety di questo farmaco.
31
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
6.2 Opzioni terapeutiche di seconda linea
A) Seconda linea dopo citokine
Sorafenib (Livello di evidenza 1b) è un inibitore orale multitarget (PDGFR, c-KIT, RAF kinasi, altro) con
verosimile prevalente attività su VEGFR-2. Un primo studio di fase II, condotto da Ratain con la
metodologia della “discontinuazione randomizzata” (RDT) verso placebo al dosaggio di 800mg/die (400mg
bis in die), su 202 pazienti in progressione dopo terapia con citokine, ha evidenziato un significativo
miglioramento della mediana della PFS (24 verso 6 settimane) ed un controllo di malattia nel 78% dei casi
con remissioni parziali nel solo 4% dei casi [20].
Il successivo studio registrativo di fase III (randomizzato, multicentrico, doppio cieco verso placebo, endpoint primario: OS) ha confermato, in 903 pazienti in progressione dopo trattamento con citokine, l’attività
del farmaco sia in termini di PFS mediana (5.5 vs 2.8 mesi) che di risposta obiettiva (risposte parziali nel
2%/10%, dei casi in base, rispettivamente, alla valutazione della commissione indipendente e dello
sperimentatore), con un controllo di malattia nell’80% dei casi. La richiesta di crossover per motivi etici
effettuata dall’FDA nel maggio 2005, subito dopo la comunicazione dei risultati dello studio al Meeting
ASCO ha reso impossibile un calcolo preciso della OS. I dati definitivi dello studio riportano una prima
analisi di OS (17.8 vs 15.2 mesi, p = ns) basata sull’originale analisi intention to-treat (ITT) ed una seconda
analisi, che rimuove i casi inizialmente assegnati a placebo e poi passati a sorafenib al momento del
crossover (48% dei casi: analisi “censored”; 17.8 vs 14.3 mesi, p = .029). Ovviamente ci sono pro e contro in
entrambe le analisi. La tollerabilità del farmaco è discreta con tossicità prevalentemente cutanea e
gastroenterica, oltre alla consueta ipertensione. Ancora una volta i dati principali dello studio sono riportati
nelle tabelle 1 e 2 [21, 22].
B) Seconda linea dopo inibitori di VEGF/VEGFr
Everolimus (Livello di evidenza 1b) è un altro derivato della rapamicina ad attività inibitoria su mTOR
(mTOR inhibitor, mTORi), sviluppato a differenza del temsirolimus, come farmaco orale.
I primi studi effettuati con everolimus (10 mg/die continuativi) hanno evidenziato una discreta attività del
farmaco (risposte obiettive nel 14% dei casi, stazionarietà nel 73%) ed una mediana della PFS di 11.2 mesi
[23]. Lo studio registrativo di fase III (randomizzato, multicentrico, doppio cieco vs placebo, end-point
primario PFS), effettuato su 416 pazienti pretrattati e in progressione dopo trattamento con uno o due TKi
(sorafenib e/o sunitinib, ma erano ammessi anche altri trattamenti precedenti, come bevacizumab), ha
dimostrato significativi vantaggi in termini di mediana della PFS (4.9 vs 2.0 mesi, HR 0.30, p < 0.0001),
indipendentemente dai trattamenti precedentemente effettuati (sunitinib 46%, sorafenib 28%, entrambi 26%
dei casi) e dalla classe di rischio secondo MSKCC. Risposte parziali e stazionarietà si sono osservate
rispettivamente nel 1% e 63% dei casi. La sopravvivenza dei pazienti nelle due braccia dello studio è stata
simile (14.8 versus 14.4 mesi, p = n.s.), dato tuttavia atteso, anche in considerazione del programmato
crossover, che ha interessato ben 112 dei 139 pazienti del braccio di controllo. La tossicità è stata di grado
prevalentemente medio-basso; anemia, stomatite, rash cutaneo, fatigue, infezioni (con polmoniti di grado 3
nel 3% dei casi) e dispnea sono stati gli effetti collaterali di maggior rilievo. Bassa incidenza di tossicità di
classe quali ipercolesterolemia ed iperglicemia [24].
Nota: Axitinib (Livello di evidenza 1b). Sono stati recenteme pubblicati i risultati dello studio registrativo di
fase III “AXIS”(prospettico, randomizzato, open label) che confrontava axitinib (5mg bid) a sorafenib in
pazienti in seconda linea dopo citokine (35%), sunitinib (54%), bevacizumab (8%) o temsirolimus (3%). La
mediana della PFS dello studio (end point primario) è stata di 6,7 vs 4.7 mesi per axitinib con massimo
vantaggio per i casi pretrattati con citokine (12.1 vs 6.5m) (sunitinib: 4.8 vs 3.4m; bevacizumab: 4.2 vs
4,7m; temsirolimus: 10,1 vs 5.3m). Farmaco non ancora disponibile in Italia al momento della stesura di
queste linee guida (giugno 2012) [25].
32
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Altri TKi (livelli di evidenza IIb/III). Alcuni studi hanno valutato la possibile attività terapeutica di
sorafenib dopo sunitinib e di sunitinib dopo sorafenib, sulla base di una verosimile non completa crossreattività tra le due molecole. Altri studi hanno valutato l’attività dei TKi dopo trattamento iniziale con
bevacizumab. Nessuno di questi studi, quasi rempre retrospettivi, ha raggiunto conclusioni definitive. Si
attendono, perciò, i risultati di alcuni importanti studi prospettici randomizzati: sorafenib seguito da sunitinib
alla progressione verso sequenza inversa (SWITCH); sorafenib versus temsirolimus in seconda linea
(INTORACT); sunitinib seguito da everolimus alla progressione verso sequenza inversa (RECORD-3), per
integrare in maniera più completa questo importante paragrafo.
Risultati e tossicità principali degli studi registrativi sono riportati nelle tabelle 1 e 2. La tabella 3 riporta
invece i risultati dei due programmi di accesso allargato con TKi.
Sintesi e grado di raccomandazione
1. Sorafenib: grado A dopo trattamento con citochine e bevacizumab (Axis study).
2. Everolimus: grado A dopo trattamento con inibitori tirosino-chinasi e bevacizumab.
3. Axitinib: grado A dopo trattamento con citokine e sunitinib (Axis study).
4. Sunitinib/bevacizumab/pazopanib: grado B-C dopo precedente trattamento con inibitore tirosinochinasi/bevacizumab.
5. Citochine : grado C dopo tirosino-chinasi/bevacizumab.
La scelta del miglior trattamento possibile
Al momento attuale in Italia sono registrati e rimborsati per il trattamento del carcinoma renale avanzato
sunitinib, sorafenib, pazopanib, bevacizumab+IFN-α, temsirolimus (solo in pazienti definibili poor-risk in
accordo alla definizione modificata dello studio registrativo) ed everolimus.
La non completa confrontabilità degli studi pubblicati, esemplificata in Tabella 8, e la brevità dei follow up,
unitamente alla disponibilità di dati derivanti, in pratica, solo da studi registrativi rende al momento
complessa (diversamente da molte altre patologie oncologiche) l’indicazione al miglior trattamento possibile
per il singolo paziente. Parametri da considerare a tal fine sono sicuramente la classificazione prognostica
(MSKCC e modifiche della stessa: in linea di massima prognosi buona e intermedia versus poor-risk), età,
condizioni generali ed eventuali comorbidità del paziente, profili di attività e di tollerabilità dei possibili
farmaci, note registrative e di rimborsabilità (prima linea, prima linea poor-risk, seconda linea). L’
esperienza del clinico nella gestione degli effetti collaterali causati da questi farmaci (anche ai fini del
mantenimento di un dosaggio potenzialmente efficace) e la valutazione “realistica” del profilo di attività
nella realtà clinica quotidiana possono costituire un significativo valore “aggiunto”. A questo proposito sono
sicuramente importanti i dati derivanti dai programmi di accesso allargato di sorafenib, sunitinib ed
everolimus, comunicati in via preliminare ai principali Meetings Internazionali e poi pubblicati [5, 26-28].
Tali dati, riportati succintamente in Tabella 9, consentono di valutare l’attività e la tollerabilità di questi
farmaci su migliaia di pazienti non selezionati. Non esistono, al momento, dati similari per le altre molecole
citate.
L’eventuale consulto presso centri di riferimento per la patologia renale, può infine essere suggerito sia per
casi particolarmente complessi, sia per inserire quanti più casi possibili in studi clinici aventi come obiettivo
ulteriori miglioramenti della qualità delle cure.
33
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Sunitinib
Bevac.+IFN
(AVOREN)
Pazopanib
Sorafenib
Temsirolimus Everolimus
Setting dello
studio
1° linea
1° linea
1° linea
2° linea
1° linea
(poor risk)
2°/3° linea
End Point
primario
PFS
OS
PFS
OS
OS
PFS
N° di pazienti
750
649
435
903
626
416
31% / 39%*
31%*
30%
2% / 10%*
8.6%
1%
79%
77%
69%
80%
32.1%
64%
Median PFS
11.1 mesi
10.2 mesi
11.1**/ 9.2
mesi
5.5 mesi
5.5 mesi
4.9 mesi
Median OS
(mesi)
26.4 mesi
23.3 mesi
NR
17.8 mesi
10.9 mesi
14.8 mesi
Risposta
Obiettiva
Controllo di
malattia
(CR+PR+SD)
* Valutazione dello sperimentatore. **nei casi trattati in prima linea (54% dei casi).
Tabella 8. Principali risultati clinici degli studi di fase III con farmaci biologici.
Sunitinib
EAP
(n=4371)
Sorafenib
ARCCS US
(n=2502)
Sorafenib
ARCCS EU
(n=1155)
Everolimus
REACT
(n=1367 )
Risposta Obiettiva
(CR+PR)
17% (n=3464)
4%
1.8%
1.7%
Stazionarietà (SD)
59% (n=3464)
80%
71%
51.6%
Controllo di malattia
(CR+PR+SD)
76% (n=3464)
84%
73%
53%
PFS mediana.
*(durata del trattamento
per Everolimus)
10.9 mesi (n=4349)
8.2 mesi (NB: solo
casi in 1° linea)
6.8 mesi
*14 settimane
Tabella 9. Principali risultati clinici dei programmi di accesso allargato con TKi e mTORi.
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6.3 Algoritmo terapeutico riassuntivo
(vedi algoritmo 3)
La definizione dell’algoritmo terapeutico nel carcinoma renale è correlata ai seguenti fattori prognostici:
1) Stadio di malattia
2) Istologia
3) Classe di rischio secondo i criteri MSKCC
4) Precedenti trattamenti
Per quanto attiene al punto 1) e’ necessario distinguere la malattia localizzata e localmente avanzata dalla
malattia metastatica. In presenza di malattia localizzata, stadio T1-T2/N0 e’ sempre consigliabile la
nefrectomia con intento di radicalità. Nella malattia localmente avanzata stadio T3-T4 o N1-N2 la
nefrectomia quando fattibile rimane lo standard terapeutico sebbene la prognosi risulti meno favorevole (vedi
Algoritmo 1). Al momento un trattamento neoadiuvante citoriduttivo e’ da riservare a trials clinici.
In presenza di malattia metastatica l’approccio terapeutico e’ da definire in base all’espressione di altri fattori
prognostici: l’istologia (cellule chiare versus non cellule chiare), la classe di rischio di appartenenza secondo
i criteri MSKCC e le pregresse terapie eseguite (vedi Algoritmo 3).
Va ricordato come anche in presenza di malattia metastatica la nefrectomia deve costituire il primo approccio
terapeutico se la chirurgia è tecnicamente fattibile, il volume tumorale metastatico non è massivo e le
condizioni generali del paziente sono buone.
Nell’istotipo cellule chiare in classe di rischio bassa/intermedia sono oggi disponibili tre diverse opzioni
terapeutiche: il sunitinib, la combinazione bevacizumab piu’ interferon-a ed il pazopanib (livello di evidenza
1b per i tre farmaci).
Ulteriori opzioni terapeutiche sono costituite da interleuchina 2 ad alte dosi per pazienti selezionati giovani
con buon performance status e volume tumorale limitato e sorafenib per pazienti considerati per comorbidità
non idonei a ricevere citochine o altri antiangiogenetici (livello di evidenza 2a).
In situazioni molto selezionate può essere considerata la strategia osservazionale.
Nei pazienti a prognosi sfavorevole il temsirolimus costituisce l’approccio terapeutico di riferimento (livello
di evidenza 1b). Un’ulteriore opzione terapeutica in questo setting prognostico è rappresentata da sunitinib
(livello di evidenza 2a).
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LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Nel trattamento della malattia refrattaria sorafenib e pazopanib dopo fallimento a citochine ed everolimus
dopo fallimento ad anti-VEGF costituiscono i trattamenti di riferimento (livello di evidenza 1b). Non ancora
approvato in Italia axitinib (livello di evidenza 1b).
La letteratura scientifica segnala l’utilizzo di sorafenib anche dopo sunitinib o bevacizumab+interferon-α
(livello di evidenza 2b), di sunitinib dopo citochine (livello di evidenza 2b) e dopo sorafenib o
bevacizumab+interferon-α (livello di evidenza 2b).
Nelle istologie non a cellule chiare nel sottogruppo a cattiva prognosi il temsirolimus costituisce l’approccio
terapeutico con il miglior livello di evidenza (livello di evidenza 2a). La letteratura segnala l’utilizzo di
sunitinib e sorafenib limitatamente ai pazienti a rischio favorevole/intermedio (livello di evidenza 2b).
Nelle Tabelle 10 e 11 viene sintetizzato l’algoritmo terapeutico attuabile in Italia in funzione delle diverse
categorie prognostiche di appartenenza e dell’istotipo.
Pazienti
Rischio prognostico:
Non
pretrattati
favorevole o intermedio
Terapia di prima scelta
Opzioni di seconda scelta
Sunitinib
IL-2 alte dosi
Bevacizumab + IFN-alfa
Sorafenib
Pazopanib
Osservazione
Temsirolimus
Sunitinib
Rischio prognostico:
sfavorevole
Sorafenib
con citochine
Pazopanib
Sunitinib
Pretrattati
con farmaci anti
Everolimus
VEGF/VEGFr
TKi
Tabella 10: Trattamento medico dell’ mRCC-istologia a cellule chiare
Pazienti
Rischio prognostico:
favorevole o intermedio
Rischio prognostico:
sfavorevole
Terapia di prima scelta
Trials clinici
Temsirolimus
Opzioni di seconda scelta
Sunitinib
Sorafenib
Sunitinib
Tabella 11: Trattamento medico dell’ mRCC-istologia non a cellule chiare
7.
Gestione del paziente fragile
7.1 Trattamento del paziente con insufficienza renale
Le alterazioni della funzionalità renale sono un evento che si osserva frequentemente nei pazienti affetti da
carcinoma renale (CR) non fosse altro perché la maggior parte di questi è sottoposta a nefrectomia o
comunque ad una resezione parziale del rene (nephron sparing surgery). E’ noto come, anche in pazienti non
neoplastici, la nefrectomia favorisca un incremento della creatinina sierica pari a circa il 20% [1].
Nei pazienti con carcinoma renale e sottoposti a nefrectomia, è riportato un incremento del glomerular
filtration rate (GFR), ad un anno dall’intervento, del 40-50% [2]. E’ quindi evidente la necessità di
monitorare la funzionalità renale, almeno attraverso la creatinina sierica, nei pazienti con CR sottoposti
37
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
anche alla sola nefrectomia (livello di evidenza 3).
Gli agenti ad attività antiangiogenica oggi più diffusamente impiegati nel trattamento del carcinoma renale
avanzato sono gli inibitori tirosin-chinasici (TKi: sunitinib, sorafenib, pazopanib, axitinib). Questi farmaci
sono metabolizzati, in gran parte, a livello epatico (metabolismo ossidativo), attraverso il citocromo
CYP3A4 22. Solo il 16-19% viene escreto attraverso le urine. Anche per gli inibitori di mTOR (temsirolimus
ed everolimus), il metabolismo avviene a livello epatico e rappresenta la principale via di eliminazione.
Non esistono, ad oggi, dati pubblicati ricavati da trials clinici di tipo prospettico randomizzato che valutino la
fattibilità e l’efficacia di un trattamento con inibitori tirosin-chinasici o di mTOR in pazienti con mRCC e
compromissione della funzionalità renale.
I dati disponibili, quindi, si riferiscono tutti esclusivamente ad analisi retrospettive condotte su casistiche, in
genere, numericamente molto limitate con tutti i conseguenti bias di valutazione.
Inibitori tirosin-chinasici ed insufficienza renale
La casistica più ampia è stata di recente pubblicata dal gruppo di Cleveland (USA) e riguarda 39 pazienti con
mRCC ed insufficienza renale precedente al trattamento o insorta in corso di trattamento con TKi (sunitinib
o sorafenib) (creatinina sierica  1.9 mg/dl o clearance della creatinina < 60 ml/min/1.73 m2 per almeno 3
mesi prima del trattamento) [3]. Nei 21 (54%) pazienti con insufficienza renale prima dei TKi, è stato
osservato un ulteriore incremento della creatinina nel 57% dei casi ed è stata necessaria una riduzione di
dose nel 48% dei casi; nei restanti 18 (46%) pazienti in cui si è sviluppata una insufficienza renale in corso di
TKi, è stato osservato un incremento medio della creatinina di 0.8 mg/dl (range 0.3-2.8) ed una riduzione
media della clearance della creatinina di 25 ml/min (range 8.54-64.76). L’efficacia del trattamento è rimasta
sostanzialmente sovrapponibile a quella osservata nei pazienti con mRCC ma con funzione renale conservata
sia per quanto riguarda le risposte (risposte obiettive nel 24% e stabilità di malattia nel 62% dei pazienti) .che
la sopravvivenza libera da progressione di malattia .di 8.4 mesi. Anche le tossicità osservate non si
discostano significativamente da quelle già note ed in particolare una tossicità G3 è stata osservata solo nel
29% dei casi (hand foot syndrome).
In conclusione sembra che i TKi possano essere utilizzati nei pazienti con insufficienza renale se
adeguatamente monitorati. I TKi possono essere continuati anche nei pazienti in cui si sviluppi una
insufficienza renale in corso di trattamento pur con un adeguamento di dose (livello di evidenza 3).
L’efficacia clinica dei TKi non sembra essere compromessa in questa categoria di pazienti.
mTOR inibitori ed insufficienza renale
Non esistono dati riportati in letteratura sufficienti a poter trarre alcuna conclusione.
Pazienti in trattamento dialitico con carcinoma renale avanzato
Farmacocinetica dei farmaci a bersaglio molecolare
I TKi, utilizzati nel trattamento dei pazienti con mRCC, sono delle “piccole molecole” ed in quanto tali non
dializzabili. Per tale motivo la loro assunzione può avvenire indipendentemente dalla procedura dialitica.
Sono pochissimi i dati pubblicati in letteratura riferiti alla farmacocinetica dei TKi in corso di dialisi.
Il sunitinib, impiegato nella schedula classica (50 mg/die per 4 settimane consecutive ogni sei settimane), in
corso di dialisi sembra essere ben tollerato e mostrare dati di farmacocinetica del tutto simili a quelli
osservati in pazienti con funzione renale conservata [4].
Il sorafenib, assunto in corso di dialisi al dosaggio di 400 mg/die continuativamente, sembra invece mostrare
variazioni nei principali parametri di farmacocinetica. In particolare, sono stati segnalati livelli di C-Max
inferiori a quelli dei pazienti con funzione renale conservata. In 9 pazienti si è osservato un aumento
dell’incidenza gli eventi avversi di grado elevato [grado  3 in 8/9 (89%)] [5].
Il temsirolimus, somministrato alla dose standard di 25 mg/settimana, non sembra mostrare significative
variazioni della farmacocinetica durante il trattamento dialitico [6].
Attività clinica dei farmaci a bersaglio molecolare
In merito all’attività clinica dei TKi in pazienti con mRCC in dialisi, la letteratura è costituita esclusivamente
da case report o case series. Nella Tabella 12 sono riportati i risultati clinici ottenuti in questo setting di
pazienti. Non esistono invece dati sull’efficacia e tollerabilità degli mTORi nei pazienti in corso di dialisi.
38
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
La limitata letteratura disponibile sembra supportare l’uso degli inibitori tirosin-chinasici nei pazienti con
carcinoma renale avanzato in corso di dialisi anche se sembra esserci un maggiore ricorso a riduzioni di dose
in seguito alla comparsa di eventi avversi. I risultati clinici riportati in letteratura sono sovrapponibili a quelli
ottenuti nei pazienti con funzione renale nella norma (livello di evidenza 3).
Autore
Rey PM, 2008
Ruppin S, 2009
Zastrow S, 2009
Ferraris E, 2009
Hilger RA, 2009
Vickers MM, 2009
Reckova M, 2009
Izzedine H, 2009
Castagneto B,
Riduzione di
Risposta
dose
(a 3 mesi)
no
SD
0
SD
0
no
PR
0
Non disponibile
Sunitinib
sì
CR
Amilasi/Lipasi
Non disponibile
“
no
SD
0
Non disponibile
1
Sorafenib
no
PR
No
8 mesi
1
“
sì
SD
Astenia, dispnea
4 mesi
2
Sorafenib
sì
NR
NR
1
Sunitinib
sì
PR
1
“
no
SD
1
Sunitinib
sì
PR
Num di pts.
TKi
1
Sorafenib
1
Sorafenib
1
Sorafenib
1
1
1
1
Sunitinib
Tossicità (G3-4)
Ipotiroidismo, astenia
Trombocitopenia, ipertesione,
EF
PFS
Non disponibile
Non disponibile
8 mesi
Non disponibile
no
SD
0
Non disponibile
no
NR
0
Non disponibile
1
Sorafenib
sì
PR
0
Non disponibile
Shinsako K, 2010
1
Sorafenib
no
SD
0
6 mesi
Park CY, 2009
1
Sunitinib
no
CR
0
Non disponibile
Sang Hyun Yoon,
1
Sunitinib
2010
1
“
sì
PR
0
Park S, 2010
6
Sunitinib
sì
SD
Mucosite, anoressia, astenia
Josephs D, 2011
10
Sunitinib
sì
PR
Kennoki T, 2011
10
Sorafenib
sì
CR, PR, SD
2010
Astenia, stomatite, HFSR,
diarrea
Emorragia subaracnoidea,
Emorragia cerebellare
16 mesi
6 mesi
Non disponibile
10.7 mesi
6.3 mesi
astenia, nausea, vomito, diarrea,
Casper J, 2011
21
Sunitinib
sì
Sunitinib
sì
Sorafenib
sì
CR, PR, SD
trombocitopenia ,ipertensione,
ipotensione, disfunzione
15 mesi
ventricolare sinistra
Masini , 2012
24
PR, SD
Symptomatic cardiac ischemia,
Thrombocytopenia
10.3 mesi
Tabella 12. Studi clinici con TKi nei pazienti in dialisi affetti da mRCC
Sintesi e grado di raccomandazione
 Necessità di monitorare la funzionalità renale, almeno attraverso la creatinina sierica, nei pazienti con
CR sottoposti anche alla sola nefrectomia (grado C).
 I TKi possono essere continuati anche nei pazienti in cui si sviluppi una insufficienza renale in corso di
trattamento pur con un adeguamento di dose (grado C).
 I risultati clinici riportati in letteratura sono sovrapponibili a quelli ottenuti nei pazienti con funzione
renale nella norma (grado C).
39
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Bibliografia
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7.2 Trattamento del paziente anziano
Il carcinoma renale (RCC) colpisce principalmente gli individui più anziani: circa la metà delle nuove
diagnosi, viene posta in persone di età superiore a 65 anni, in particolare in un 25% dei casi tra i 65 e i 74
anni ed in un altro 25% oltre i 75 anni [1,2].
Per quanto riguarda le modalità di esordio della neoplasia renale in letteratura esistono, dati contrastanti.
Gillett e Denzinger hanno dimostrato come, nei pazienti anziani la diagnosi di carcinoma renale avvenga in
stadi più avanzati, con grado istologico più elevato e conseguente prognosi peggiore [3, 4]. Di contro
Sànchez-Ortiz et al. hanno evidenziato che i pazienti giovani con RCC hanno una istologia più sfavorevole
ed una maggiore incidenza di metastasi linfonodali rispetto alla coorte dei pazienti più anziani [5].
Nonostante queste osservazioni in molti studi non sono state trovate differenze statisticamente significative
in termini di sopravvivenza globale (OS) tra i pazienti anziani e quelli più giovani [6].
Vanno comunque sempre considerati diversi fattori fisici, patologici, farmacologici, cognitivi e sociali legati
all'età del al fine di definire correttamente la strategia terapeutica, a partire dalla chirurgia fino alla terapia
medica.
Fino a pochi anni fa, le opzioni di trattamento per i pazienti anziani con carcinoma renale erano limitate: l’età
avanzata rappresentava infatti un importante criterio prognostico negativo. Oggi invece si rende necessaria
una valutazione più generale del paziente anziano che comprenda il Performance Status (PS), la presenza di
eventuali comorbidità (ipertensione, diabete, BPCO, malattie cardiovascolari, etc.) per poter definire un
adeguato trattamento individualizzato.
Chirurgia
Sono numerose le analisi retrospettive di casistiche, pubblicate in letteratura, che valutano l’età come fattore
di rischio peri ed intraoperatorio. Berdjis et al. [7] affermano in realtà che la morbilità e la mortalità sono
correlate con l'aumento del punteggio ASA, ma non con l'età.
Con l'emergere di tecniche mini-invasive, anche in ambito urologico, come le radiofrequenze e la
crioablazione laparoscopica o percutanea, anche i pazienti anziani possono essere trattati in modo idoneo e
sicuro. Nei pazienti anziani, soprattutto in caso di tumori di piccole dimensioni (< 4 cm), la NSS (nephron
sparing surgery), ha il grande vantaggio di determinare una minor compromissione della funzione renale
globale con un minor rischio di sviluppo di proteinuria e di insufficienza renale [8, 9].
Kader et al. hanno rivisto la loro esperienza di nefrectomia citoriduttiva (nefrectomia in pazienti con
carcinoma renale metastatico) nei pazienti anziani al MD Anderson Cancer Center di Huston: sebbene la
morbilità e la mortalità risultino aumentate in questi pazienti ad altissimo rischio, vista l’età superiore ai 75
anni, la nefrectomia citoriduttiva si associa ad un potenziale vantaggio in termini di sopravvivenza [10].
40
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Beisland et al., per contro, in uno studio su 63 pz. hanno evidenziato come, nei pazienti anziani con multiple
comorbidità, la sola osservazione possa dare risultati accettabili in termini di tassi di OS e CSS (cancerspecific survival) dopo 5 anni (42.8% e 93.3%). Nei tumori di 4.0 centimetri, solo 1/27 tumori (3.7%) è
cresciuto più rapidamente di 1 cm/anno [11].
In conclusione per quanto riguarda l’approccio chirurgico appare evidente l’importanza della corretta
selezione dei pazienti anche per quelli con età più avanzata. In questo ambito, la nefrectomia radicale va
sempre perseguita nei pazienti con buon PS, assenza di copatologie di rilievo e neoplasia renale di diametro
superiore ai 4.0 cm (livello di evidenza 3); nello stesso gruppo di pazienti, ma con neoplasia di piccole
dimensioni (< 4.0 cm) la nephron sparing surgery sembra un approccio praticabile (livello di evidenza 3). In
pazienti anziani ad elevato rischio di complicanza (età molto avanzata, copatologie di rilievo) l’osservazione,
soprattutto nel caso di neoplasie renali di piccole dimensioni (<4 cm) (livello di evidenza 3), può
rappresentare una valida alternativa. La nefrectomia citoriduttiva nel paziente anziano, pur essendo associata
ad una maggior morbidità e mortalità, sembra essere comunque in grado di determinare un vantaggio in
termini di sopravvivenza globale simile a quello osservato nella popolazione generale (livello di evidenza 3).
Trattamento farmacologico
Per diversi decenni, la terapia sistemica del carcinoma renale metastatico prevedeva l’utilizzo di interferone
(IFN) e/o interleuchina-2 (IL-2). L’uso di entrambi gli agenti è associato ad un limitato numero di risposte
cliniche (< 15%), che, in una piccola percentuale dei casi trattati con IL-2 sono risultate durevoli [12]. Nella
maggioranza dei casi, ed in particolare nei pazienti anziani, le tossicità hanno rappresentato un notevole
ostacolo alla somministrazione dell’immunoterapia. Recentemente, le opzioni terapeutiche sono aumentate
con l'introduzione dei farmaci a bersaglio molecolare: sorafenib, sunitinib, pazopanib, axitinib, temsirolimus,
everolimus e bevacizumab utilizzato in combinazione con IFN-α. Tali farmaci sono stati in grado di
migliorare significativamente la sopravvivenza libera da progressione dei pazienti affetti da carcinoma renale
metastatico.
Nessuno degli studi di fase III, che hanno portato alla registrazione dei suddetti farmaci, prevedeva limiti di
età nella popolazione arruolata.
Comunque, la popolazione di pazienti anziani in tutti i trials registrativi è risultata poco rappresentata [13]. I
motivi di ciò possono essere i più disparati: un supposto maggior rischio di eventi avversi e quindi ridotta
tolleranza ai trattamenti, la presenza di comorbidità, un ridotto performance status.
Inibitori tirosino chinasici e paziente anziano
Sorafenib è stato il primo inibitore multichinasico approvato per il trattamento del carcinoma renale
metastatico negli Stati Uniti e in Europa. Nello studio TARGET (Treatment Approaches in Renal Cell
Cancer Global Evaluation Trial) di fase III, sorafenib è stato confrontato con il placebo nel trattamento di II
linea, in pazienti resistenti alle citochine. Un aumento della sopravvivenza libera da progressione nei pazienti
con carcinoma renale in stadio avanzato trattati con sorafenib, indipendentemente dall'età è stato osservato
senza che questo fosse associato ad un incremento significativo degli eventi avversi nel paziente anziano.
L’impatto del sorafenib sulla qualità della vita è risultato simile nei 2 gruppi (<65 e > 65 anni) [14]. Anche
nel EU-ARCCS (European Advanced Renal Cell Carcinoma Sorafenib Exexpanded-access study) il 23% dei
pazienti aveva più di 70 anni: il trattamento è risultato ben tollerato e il DCR (disease control rate) a 8 e 12
settimane è risultato simile a quello dei pazienti più giovani [15]. Il farmaco pertanto rappresenta
un'importante opzione di trattamento per i pazienti anziani con carcinoma renale avanzato
Sunitinib è stato confrontato, in uno studio di Fase III di I linea con l’interferone-alfa in 750 pazienti con
carcinoma renale metastatico [16]. In questo studio il 36% della popolazione aveva più di 65 anni,
equamente diviso nei due bracci di trattamento. Nei diversi gruppi di età considerati non è stata osservata
alcuna differenza per quanto riguarda gli eventi avversi Gli stessi benefici clinici e la stessa percentuale di
risposte obiettive nei pazienti trattati con sunitinib sono stati osservati nei due gruppi di età. Anche nel
expanded-access program di sunitinib [17] il 32% dei pazienti aveva più di 65 anni: in questo sottogruppo di
41
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
pazienti il tasso di incidenza di eventi avversi G3/4 non differiva dagli altri pazienti, così come il tasso di
risposte obiettive, la PFS e OS.
Pazopanib è stato confrontato con placebo in uno studio randomizzato in doppio-cieco in pazienti naive o
pretrattati con citochine [18]. In questo studio il 35,4% della popolazione aveva più di 65 anni: un
migliroamento della PFS e dei tassi di risposte obiettive è stato osservato nei pazienti trattati con pazopanib
indipendentemente dall’età.
Axitinib è stato confrontato con sorafenib in uno studio di fase III in pazienti che sono progrediti dopo una
prima linea contenente bevacizumab+IFN, sunitinib, temsirolimus o citochine. In questo studio la PFS
mediana dei pazienti con più di 65 anni trattati con axitinib è risultata maggiore di quelli trattati con
sorafenib [10].
L’associazione di bevacizumab ed interferone è stata confrontata con il solo interferone in due studi
randomizzati di fase III di I linea. Uno europeo, AVOREN trial, in doppio cieco riguardante 649 pazienti
[20] e l’altro americano, CALGB 90206, in aperto su 732 pazienti [21]. Bevacizumab più interferone alfa 2a
migliorano significativamente la PFS rispetto all’interfone in entrambi gli studi (10.2 mesi vs 5.4 mesi e 8.5
mesi vs 5.2 mesi, rispettivamente). In entrambi i trial, la sopravvivenza libera da progressione nei pazienti
con più di 65 anni è risultata significativamente superiore con bevacizumab ed interferone.
Inibitori di mTOR e paziente anziano
Temsirolimus è stato confrontato con l’interferone e con la combinazione di temsirolimus ed interferone, in
uno studio di fase III di I linea in 626 pazienti con carcinoma renale metastatico a cattiva prognosi secondo i
criteri di Motzer [22]. Temsirolimus è stato in grado di determinare un aumento significativo della
sopravvivenza globale rispetto agli altri due trattamenti (10.9 mesi vs 8.4 mesi vs 7.3 mesi, rispettivamente).
In questo studio, il 30% dei pazienti aveva età superiore ai 65 anni. In questo sottogruppo di pazienti, non è
stata rilevata alcuna differenza in termini di OS rispetto al solo IFN (8.6 mesi vs 8.3 mesi)
Everolimus è stato confrontato con il placebo, nell’ambito di uno studio di fase III in pazienti resistenti ad
almeno un inibitore tirosino-chinasico. Non è stata riscontrata alcuna differenza in termini di PFS, tra i
pazienti di età > 65 anni e quelli di età < 65 anni) [23].
I dati relativi all’impiego dei farmaci a bersaglio molecolare nel paziente anziano derivano da analisi, solo in
parte pianificate, eseguite sulle casistiche degli studi clinici o degli expanded access program (sorafenib e
sunitinib). In particolare, analizzando i pazienti arruolati negli studi clinici di fase III, il sunitinib, il
sorafenib, il pazopanib e l’everolimus si dimostrano in grado di aumentare significativamente la
sopravvivenza libera da malattia indipendentemente dall’età del paziente (pazienti in I linea, pazienti
citokine resistenti o non candidabili a citokine, pazienti resistenti ad almeno un inibitore tirosino chinasico)
(livello di evidenza 3).
Sintesi e grado di raccomandazione





la nefrectomia radicale va sempre perseguita nei pazienti con buon PS, assenza di copatologie di
rilievo e neoplasia renale di diametro superiore ai 4.0 cm (grado B).
nello stesso gruppo di pazienti, ma con neoplasia di piccole dimensioni (< 4.0 cm) la nephron
sparing surgery sembra un approccio praticabile (grado B).
In pazienti anziani ad elevato rischio di complicanza (età molto avanzata, copatologie di rilievo)
l’osservazione, soprattutto nel caso di neoplasie renali di piccole dimensioni (< 4 cm) può
rappresentare una valida alternativa (grado D).
La nefrectomia citoriduttiva nel paziente anziano sembra essere comunque in grado di determinare
un vantaggio in termini di sopravvivenza globale simile a quello osservato nella popolazione
generale (grado B).
Sunitinib, sorafenib, pazopanib, everolimus ed axitinib si dimostrano in grado di aumentare
significativamente la sopravvivenza libera da malattia indipendentemente dall’età del paziente
(pazienti in I linea, pazienti citokine resistenti o non candidabili a citochine, pazienti resistenti ad
almeno un inibitore tirosino-chinasico) (grado B).
42
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
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43
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
8.
Gestione delle tossicità associate ai farmaci biologici
(vedi algoritmi 4-6)
In pochi altri settori dell’oncologia si sono osservati sviluppi così rapidi e profondi grazie a terapie targetspecifiche come è avvenuto, negli ultimi anni, per il trattamento del carcinoma renale metastatico (mRCC).
La loro introduzione nell’armamentario terapeutico antitumorale ha ampliato le opportunità terapeutiche
disponibili in questo ambito generando nuovi quesiti e campi di ricerca, ma ha anche documentato una serie
di effetti collaterali nuovi o inusuali [1,2].
Raramente tali effetti si manifestano con gravità tale da minacciare la vita del paziente; più spesso hanno
ripercussioni fisiche, sociali e psicologiche che causano un sostanziale depauperamento della qualità di vita
del paziente. Inoltre, la loro persistenza, se pure ad un basso livello di gravità, può richiedere l’interruzione
del trattamento, pertanto si rende necessario un controllo proattivo degli effetti collaterali che oltre ad
alleviarne il disagio del paziente potrebbe prevenire l’interruzione o la riduzione della dose e, quindi
massimizzare l’outcome clinico.
Per assicurare la migliore aderenza del paziente con mRCC alla terapia e contrastare la comparsa degli eventi
avversi si possono adottare alcune misure preventive. In generale un intervento precoce può ridurre la gravità
dei sintomi e massimizzare sia l’efficacia del trattamento sia la qualità di vita [3-5].
In considerazione dei loro specifici bersagli distinguiamo tossicità dei farmaci tirosino-chinasi ed anti-VEGF
(effetti collaterali simili) e tossicità dei farmaci inibitori del complesso m-TOR [6-14] (Tabella 13 e 14).
Dopo aver descritto le singole tossicità, come riportato dagli studi registrativi, discuteremo della gestione di
esse. Le raccomandazioni per il managment degli effetti collaterali sono basate su expert opinion dal
momento che i livelli di evidenza sono bassi.
Grado 3-4 ≥5% con VEGFR TKi
Tutti i gradi >30% con VEGFR TKi
Agente
Sunitinib
Sorafenib
Pazopanib
Effetto
collaterale
Diarrea, 61%;
fatigue, 54%;
nausea, 52%;
disgeusia, 46%;
anoressia, 34%;
dispepsia, 31%;
vomito, 31%;
ipertensione,
30%; stomatite,
30%
Diarrea, 48%;
rash o
desquamazione,
41%; Sindrome
mani-piedi HFS,
33%; alopecia,
31%
Diarrea, 52%;
Ipertensione,
40%; cambio del
colore dei capelli,
38%
Anormalità di laboratorio
Effetto collaterale
Anemia, 79%; leucopenia, 78%;
neutropenia, 77%; aumento della
creatinina, 70%;
trombocitopenia, 68%; aumento
lipasi, 56%; aumento AST, 56%;
aumento ALT, 51%; aumento
della creatina chinasi, 49%;
aumento della fosfatasi alcalina,
46%; aumento amilasi, 35%;
ipofosfatemia, 31%
Non riportate
Ipertensione, 12%a;
fatigue, 11%;
diarrea, 9%a;
Syndrome manipiedi, HFS 9%a;
astenia, 7%-8%a;
nausea, 5%a
Aumento ALT and AST, 53%;
iperglicemia, 41%; leucopenia,
37%;
aumento della bilirubina, 36%;
ipofosfatemia, 34%;
neutropenia, 34%; ipocalcemia,
33%; trombocitopenia, 32%;
Iponatremia, 31%;
linfocitopenia, 31%
Non riportate
a
Sindrome manipiedi HFS, 6%
Anormalità di
laboratorio
Neutropenia, 18%a;
linfopenia, 18%a;
Aumento lipasi, 18%a;
Aumento acido urico,
14%a; trombocitopenia,
9%a; leucopenia, 8%a;
anemia, 8%;
aumento amilasi, 6%;
ipofosfatemia,
6%-7%
Non riportate
Aumento ALT, 12%;
Aumento AST, 8%;
iponatremia, 5%
più commune che con interferone in maniera significativa (p <.05).
Abbreviazioni: ALT, aminotransferasi; AST, aspartato aminotransferasi; VEGFR TKi, vascular endothelial growth factor receptor tyrosine
kinase inibitore. HFS: sindrome mani-piedi
44
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Tabella 13: Principali effetti collaterali con inibitori tirosino-chinasi negli studi clinici registrativi nel carcinoma
renale metastatico
Tutti i gradi ≥30% with inibitore di mTOR
Grado 3 or 4 ≥5% con inibitore di mTOR
Agente
Evento avverso
Anormalità di laboratorio
Evento avverso
Temsirolimus
Astenia, 51%;
rash, 47%;
nausea, 37%;
anoressia, 32%
Stomatite, 44%;
infezione, 37%;
astenia, 33%;
fatigue, 31%;
diarrea, 30%;
tosse, 30%
Anemia, 45%
Astenia, 11%;
dispnea, 9%;
infezione, 5%;
dolore, 5%
Infezione, 10%;
dispnea, 7%;
fatigue, 5%
Everolimus
Anemia, 92%;
Aumento del colesterolo, 77%;
aumento dei trigliceridi, 57%;
riduzione linfociti, 51%;
aumento della creatinina, 50%;
riduzione dei fosfati, 37%
Anormalità di
laboratorio
Anemia, 20%;
Iperglicemia, 11%
Riduzione Linfociti, 18%;
Riduzione
dell’emoglobina, 13%;
Aumento del glucosio,
15%-16%;
Riduzione dei fosfati, 6%
Abbreviation: mTOR, mammalian target of rapamycin.
Tabella 14: Principali effetti collaterali con inibitori mTOR negli studi registrativi del carcinoma renale metastatico
Cardiotossicità
I meccanismi patogenetici implicati nell’ipertensione arteriosa non sono chiarissimi ma sono riconducibili
all’inibizione del segnale VEGF-mediato con riduzione del letto vascolare ed aumento delle resistenze
periferiche. È stato anche proposto che l’inibizione del segnale VEGF-mediato possa essere responsabile
della inibizione della ossido nitrico sintetasi e conseguentemente della produzione di ossido nitrico. L’ossido
nitrico gioca un ruolo cruciale nell’omeostasi vascolare sia per il controllo del tono vasomotorio che per il
bilancio tra proliferazione ed apoptosi in vasi sia normali che patologici. L’ipertensione è frequente con i
farmaci inibitori tirosino-chinasi/anti-VEGF anche se variabile e raramente severa come riportato nella
tabella 1 [2,5-7]. Di solito l’ipertensione compare nelle prime 3 settimane ed è gestibile con i comuni farmaci
anti-ipertensivi [15]. Per la gestione dell’.ipertensione arteriosa è importante ottimizzare il valore al basale,
coinvolgere il paziente con un monitoraggio a casa, controllare i valori pressori regolarmente nelle prime
settimane, mantenere uno stretto controllo con valori non superiori a 140 di massima e 90 di minima,
aggiungere farmaci antipertensivi quando necessario.
Non ci sono evidenze scientifiche su quale farmaco anti-ipertensivo privilegiare. Il messaggio dalla
letteratura è di controllare la pressione arteriosa in maniera stretta.
Molti pazienti necessitano di più di un farmaco. La scelta del farmaco deve essere mirata per ogni singolo
paziente; considerare gli effetti collaterali, terapie concomitanti e compliance del paziente (vedi Algoritmo
4).
Tutte le categorie di anti-ipertensivi possono essere utilizzate (calcio antagonisti, beta-bloccanti, aceinibitori). Importante evitare i farmaci anti-aritmici come il verapamil ed il diltiazem perché inibitori del
citocromo CYP3A4 e pertanto possono interagire con il farmaco biologico utilizzato.
Recenti dati della letteratura ipotizzano che l’ipertensione arteriosa possa essere un marker di efficacia dal
momento che si è visto che i pazienti in trattamento con sunitinib e bevacizumab e che sviluppavano
ipertesione avevano una sopravvivenza superiore a quelli che non sviluppavano ipertensione [16].
Per quanto riguarda l’insufficienza cardiaca congestizia sono riportate in letteratura incidenze inferiori al
10%. Si assiste a riduzione della frazione d’eiezione, possibili disturbi della conduzione e raramente a
scompenso cardiaco congestizio.
Di solito l’insufficienza cardiaca congestizia è conseguenza di una ipertensione arteriosa mal curata.
Rari sono i casi riportati di incidenti cerebro-vascolari ed infarto del miocardio.
Di norma la tossicità cardiaca, sia prima dell’inizio del trattamento sia durante il trattamento, può essere
gestita mediante la seguente strategia:
 Valutazione e monitoraggio pre-trattamento e durante il trattamento;
 Interruzione o riduzione della dose se la frazione di eiezione del ventricolo sinistro si riduce a <50%
o mostra riduzioni >20% rispetto alla situazione basale;
45
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
 Sospensione della terapia in presenza di manifestazioni cliniche di insufficienza cardiaca congestizia.
Prima di prescrivere farmaci biologici nei pazienti con storia di eventi cardiovascolari nei 12 mesi precedenti
la terapia, il medico deve valutare attentamente i benefici e i potenziali rischi del trattamento.
Appartengono a questa categoria ad alto rischio i pazienti con infarto miocardico, angina instabile,
scompenso cardiaco cronico, attacco ischemico transitorio ed embolia polmonare, nonché i pazienti che sono
stati sottoposti a impianto di bypass aortocoronarico (vedi Algoritmo 5).
Sintesi e livello di evidenza




Monitoraggio della pressione arteriosa in basale e nelle settimane di trattamento (livello di evidenza
4)
Valutazione della frazione d’eiezione in basale (livello di evidenza 3)
Aggiungere farmaci anti-ipertensivi se pressione arteriosa non controllata (livello di evidenza 4)
Sospendere il trattamento in presenza di manifestazioni cliniche di insufficienza cardiaca congestizia
(livello di evidenza 3)
Fatigue
La fatigue è una sensazione soggettiva, penosa, persistente di stanchezza o esaurimento relativa al cancro o
al trattamento che interferisce con le usuali attività quotidiane [4].
I farmaci a bersaglio molecolare contribuiscono fortemente alla comparsa della fatigue che appare pertanto
determinata dalla presenza di più fattori: dolore, stress emotivo, anemia, alterazioni del sonno, alterazioni
della nutrizione associate alla presenza di mucosite, disgeusia, diarrea e talvolta all’ipotiroidismo. Nei trials
clinici la fatigue di tutti i gradi è stata rilevata con frequenza del 40-50% nei pazienti con carcinoma renale
metastatico rispettivamente naive o refrattari alle citochine e trattati poi con target-therapy.
Compare in genere in seconda e terza settimana e nell’11-12% dei pazienti raggiunge il 3° e 4° grado. La
maggior parte dei pazienti può continuare a svolgere le normali attività giornaliere con modeste variazioni.
In alcuni pazienti la fatigue migliora nel momento in cui la terapia della patologia di base si accompagna ad
un miglioramento del quadro sintomatologico.
Gestione della fatigue

Informare i pazienti sulla possibilità di comparsa della fatigue

Valutare e trattare, secondo la pratica medica standard, la possibile presenza di fattori causali
sottostanti: depressione, stress emotivo, disturbi del sonno, ipotiroidismo, anemia

Fornire consigli di supporto se necessario

Nei cicli 1–3, monitorare regolarmente i pazienti in merito all’impatto della fatigue sulla QoL ed
incoraggiare i pazienti a monitorare il proprio stato di salute.
Sintesi e livello di evidenza

Informare i pazienti sulla fatigue

Valutare la presenza dei fattori sottostanti e curare essi (livello di evidenza 4)
Disfunzioni tiroidee
Sunitinib così come Sorafenib sono stati variabilmente associati all’insorgenza di sintomi riconducibili a
differenti gradi di disfunzione tiroidea, dall’ipotiroidismo subclinico all’ipotiroidismo conclamato [17].
La prevalenza di ipotiroidismo da sunitinib varia nelle diverse casistiche dal 53-85% degli studi retrospettivi
al 36-46% di quelli prospettici. Nel 18% dei pazienti affetti da carcinoma renale trattati con sorafenib è stata
segnalata una condizione di ipotiroidismo.
Il pazopanib sembrerebbe indurre un’ alterazione della tiroide in percentuale minore (10%) rispetto al
sunitinib ed al sorafenib.
È importante controllare la funzionalità tiroidea sia al basale sia durante la terapia.
46
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Un eventuale ipotiroidismo sub-clinico deve essere gestito con una terapia di sostituzione dell’ormone
tiroideo partendo dal dosaggio più basso.
Eventuale aggiustamento della dose, in senso di aumento della levotiroxina, se il valore del TSH continua ad
aumentare. L’ipotiroidismo può peggiorare la fatigue del paziente (vedi Algoritmo 6).
Sintesi e livello di evidenza
 L’ ipotiroidismo è un effetto collaterale riscontrato con gli inibitori tirosino-chinasi
 Esso richiede il pronto intervento con terapia di sostituzione (livello di evidenza 4)
Alterazioni cutanee e degli annessi
L’elevata concentrazione di EGFR a livello della cute è responsabile della tossicità cutanea di molti farmaci
a bersaglio molecolare dal momento che essi agiscono attraverso l’inibizione di questo recettore [4].
Il trattamento con TKi ed in particolar modo con sunitinib e sorafenib è caratterizzato dalla comparsa di
tossicità cutanea sottoforma di cute secca con prurito, follicoliti, depigmentazione con assottigliamento dei
capelli, colorazione giallo-verdastra della cute, rash cutaneo, con desquamazione fino alla comparsa di handfoot syndrome (HFS, sindrome mani-piedi).
Nei trials clinici la tossicità cutanea indotta da sunitinib e sorafenib è comparsa nel 25% dei pazienti con
grado 1-2 e solo nel 5% dei pazienti è stata di grado 3. Tale condizione può essere stressante e
particolarmente dolorosa al punto da interferire con le attività quotidiane del paziente [3-4].
Negli studi clinici con inibitori tirosino-chinasi, una sindrome mani-piedi di grado 1–4 e di grado 3–4 si è
verificata rispettivamente nel 25,6% e nel 8,1% dei pazienti.
Una corretta istruzione del paziente prima dell’inizio del trattamento, un esame clinico accurato e l’adozione
di misure profilattiche (per es. manicure, pedicure) possono aiutare a controllare la tossicità cutanea.
Numerose strategie per la gestione della sindrome mano-piede possono essere adottate durante il trattamento
tra cui l’impiego di bendaggi idrocolloidali, l’uso di calzature con suole spesse e l’applicazione di creme
topiche emollienti, la rimozione delle vesciche (Tabella 15).
Sintesi e livello di evidenza
 La tossicità cutanea è tipica con gli inibitori tirosino-chinasi
 La sindrome mani-piedi necessita di uno corretto trattamento (livello di evidenza 4)
GRADO 1:
 Mantenere la dose in corso; monitorare variazioni di gravità
 Evitare l’acqua troppo calda; utilizzare creme idratanti che diano sollievo; indossare guanti
e/o calze in cotone spesso; usare creme contenenti urea al 20–40%
 Se i sintomi peggiorano dopo 2 settimane dalla valutazione, passare allo step seguente
GRADO 2:
 Ridurre la dose del 50% per 7–28 giorni
 Trattare come per la tossicità di grado 1, con l’aggiunta di clobetasone e lidocaina, codeina o
pregabalin per il dolore
 Se i sintomi peggiorano dopo 2 settimane dalla valutazione, passare allo step seguente
GRADO 3:
 Interrompere il trattamento per 7 giorni e fino a un ritorno a un grado≤1
 Trattare come per i gradi 1 e 2
 Iniziare modificazioni della dose
Tabella 15. Algoritmo per la gestione della sindrome mano-piede associata
47
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Tossicità gastroenterica
La tossicità gastroenterica comprende la diarrea, la nausea ed il vomito [3-4].
Tali effetti collaterali sono raramente severi e frequenti con gli inibitori tirosino-chinasi.
La stomatite invece si manifesta nel 20% e nel 40% dei pazienti trattati con temsirolimus ed everolimus
rispettivamente.
La diarrea è raramente severa e richiede trattamento standard: dieta, idratazione e loperamide. Solo nei casi
severi viene utilizzato l’octreotide.
Anche per la nausea ed il vomito sono utili i comuni presidi anti-emetici.
Prima di iniziare il trattamento si devono implementare alcuni accorgimenti utili a gestire una eventuale
stomatite: fondamentali sono l’istruzione del paziente all’individuazione dei sintomi precoci di stomatite, le
modificazioni alimentari e l’igiene orale.
Le modificazioni a carico del cavo orale associate sono di norma reversibili e possono generalmente essere
gestite con terapie topiche locali senza la necessità di sospendere la terapia.
Sintesi
 La diarrea è raramente severa e richiede i comuni presidi terapeutici (livello di evidenza 4).
 La stomatite è frequente con everolimus e di norma reversibile.
Neutropenia
Allo scopo di prevenire/gestire la comparsa eventuale di neutropenia associata ai trattamenti andrebbero
adottate alcune misure profilattiche [3-4]. Informare il paziente su come ridurre il rischio di infezione e sulle
norme igieniche da seguire rappresentano le strategie profilattiche più importanti. Inoltre sia prima di
incominciare il trattamento che periodicamente durante il trattamento, deve essere eseguito un emocromo
completo e, in caso di neutropenia, essa andrà gestita secondo la pratica medica standard. Non sono
necessarie modificazioni della dose dei singoli farmaci tranne in caso di neutropenia di grado 3–4 o qualora
ad essa si associno sintomi di febbre o infezione.
Trombocitopenia
Allo scopo di gestire la comparsa eventuale di trombocitopenia associata alle targeted therapy, prima di
iniziare il trattamento andrebbero adottate alcune strategie appropriate per ridurre il rischio di sanguinamenti.
Come nel caso della neutropenia, il rischio di trombocitopenia andrà monitorato nel tempo mediante un
emocromo. L’eventuale trombocitopenia può essere gestita con l’applicazione di pratiche mediche standard,
mentre modificazioni della dose non sono generalmente necessarie, tranne che per trombocitopenie di grado
3 o qualora essa persista per più di 5 giorni [3-4].
Tossicità da inibitori di m-TOR: Temsirolimus ed Everolimus
Il profilo di tossicità di Temsirolimus e di Everolimus è risultato differente se confrontato con gli inibitori
tirosin-chinasici [8,14]. Alcuni effetti collaterali, tipici delle altre categorie utilizzate nel carcinoma renale,
sono rarissimi (ipotiroidismo, ipertensione arteriosa ed insufficienza cardiaca congestizia) mentre altri sono
tipici di tale classe, rari ma meritevoli di attenzione (stomatite, polmonite). I principali effetti collaterali
descritti con inibitori di m-TOR comprendono: rash cutaneo (25-47%), stomatite (20-40%), diarrea (1727%), infezioni (10-27%), edemi periferici (temsirolimus: 27%), polmonite non infettiva ( everolimus: 14%),
alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico. In particolare sono stati riportati rari casi di polmonite
grado 3 che richiedono la pronta interruzione del farmaco, ossigenoterapia e cortisonici [14] (Tabella 16).
48
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Evento avverso
Polmonite non
infettiva
Stomatite
Infezione
Grado 1
Grado 2
Grado 3
Grado 4
Management
Non specifica
terapia; continuare
everolimus
Basato sui sintomi,
considerare la
riduzione/interruzione di
dose, valutazione
pneumologica, escludere
polmonite infettiva
corticosteroidi
Interrompere
everolimus,valutazione
pneumologica,
escludere una
polmonite infettiva
cortisonici
Stesso come grado 3
Modificazione
di dose
Non prevista
rinviare l’inizio del
farmaco fino a tossicità
grado 1 o meno; poi
iniziare a dosi ridotte (5
mg/day)
Interrompere
l’everolimus
Management
Colluttorio non
alcolico,
bicarbonato (più
volte nella
giornata)
Rinviare l’inizio del
farmaco fino al grado 1.
Iniziare a dose ridotta. Se
non c’e’ recupero a grado 1
o meno non riprendere il
trattamento
analgesici topici,
cortisonici topici
Evitare derivati alcolici
Modificazione
di dose
Non prevista
Modificazione
di dose
Non prevista
Non iniziare la terapia fino
al ritorno ad un grado 1 o
meno; eventualmente
ridurre la dose
Non iniziare la terapia fino
al ritorno ad un grado 1 o
meno; eventualmente
ridurre la dose
Non iniziare la terapia
fino al ritorno ad un
grado 1 o meno; ridurre
la dose
Non iniziare la terapia
fino al ritorno ad un
grado 1 o meno; ridurre
la dose; sospendere se il
ritardo è stato superiore
a 21 giorni
Evitare antifungini
ed antivirali a meno
che non sia
diagnosticata
un’infezione; in caso
di infezione micotica
usare antimicotici
topici
Discontinuare
everolimus
Abbreviazioni: RECORD-1, Renal Cell Cancer Treatment con Oral RAD001.
Tabella 16. Raccomadazioni degli eventi avversi e management nei pazienti trattati con everolimus per il carcinoma
renale basato sullo studio RECORD-1
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50
51
(T3-T4) N0M0
T N1-2M0
M1
Malattia
metastatica
(T1-T2) N0M0
Malattia
localmente
avanzata
Malattia
localizzata
Se:
 PS 0-1
 No comorbidità
 Posssibile R0
Biopsia
Terapia ablativa
•
•
Nefrectomia riduttiva
Resezione delle metastasi
Chirurgia
Terapia
sistemica
Biopsia
Terapia
sistemica
Nefrectomia radicale
Nefrectomia e tecniche «NEPHRON SPARING»:
• Nefrectomia parziale
• Resezione polare
• Eminefrectomia
• Enucleoresezione
• Enucleazione
Inoperabile
(comorbidità, tecnica)
Chirurgia
Biopsia
“Wait and see”
Chirurgia dell’RCC: Tecniche di resezione
↑ rischio chirurgico)
Chirurgia
(
Se:
 Paziente monorene
 Insufficienza renale
 Paziente “unfit”
Algoritmo 1: Trattamento chirurgico
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
10. Algoritmi
Neoplasia
del rene
Localizzazione
centrale/ T3-T4
Localizzazione
periferica / T1-T2
52
Nefrectomia radicale
“open” o
Laparoscopia
- Massa esofitica
- No comorbilità
- Paziente giovane
- Massa endofitica
- Comorbidità
- Paziente anziano
- Paziente con IR
Nefrectomia parziale
laparoscopica
Tecniche ablative
percutanee/
laparoscopiche
Algoritmo 2: Indicazioni al tipo di chirurgia in relazione a T,
localizzazione neoplasia e caratteristiche del paziente
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Pazienti
pre-trattati
Pazienti
Naïve
53
con agenti antiVEGF/VEGFr
Trattamento I linea
Everolimus
Pazopanib
Sorafenib
Temsirolimus
Rischio
sfavorevole
con citochine
Farmaci
Sunitinib
Bevacizumab+IFN-α
Pazopanib
Categoria di rischio
Rischio
favorevole/intermedio
Algoritmo 3. Algoritmo terapeutico per il trattamento medico
dell’mRCC-istotipo cellule chiare
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
Misura della
pressione arteriosa
(BP) in basale
54
Fattori di
rischio cardiovascolare
Iniziare la
terapia con AI e
monitoraggio BP
No
Si
Monitoraggio BP
durante la
terapia con AI
ogni settimana
per le prime 8
settimane e per i
cicli successivi
Iniziare con un farmaco
antipertensivo (es.
CCB, ACE-inibitore)
seguito da altro
farmaco antipertensivo
se necessario, 3-7
giorni prima della
terapia oncologica.
BP ˂ 130/80
mmHg
BP ≥ 140/90
mmHg
Crisi
ipertensiva
No
Continuare AI
Rinforzare la terapia
antipertensiva e
continuare con il
farmaco oncologico
Interrompere la
terapia con AI
Rinforzare la terapia
antipertensiva
Abbreviazioni: BP- Pressione arteriosa; AI- Inibitore dell’Angiogenesi; CCB- Calcio Antagonista; HT- Ipertensione
Normale BP
˂ 120/80 mmHg
BP:
120-140/80-90 mmHg
Stadio 1 HT
140-160/90-100 mmHg
Stadio 2 HT
˃ 160/100 mmHg
Algoritmo 4: Management dell’ipertensione indotta dai farmaci biologici
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
•
•
•
•
•
•
•
55
Malattia coronarica instabile
Ipertensione non controllata
Insufficienza cardiaca congestizia
Aritmia
Embolia polmonare
Diabete
Nefropatia
Prima di iniziare la terapia
oncologica valutare il rischio
cardiovascolare in basale
Anormale
Normale
•
•
Anormale
Ripetere la visita per il follow-up cardiologico
Esame clinico che include il monitoraggio della
pressione arteriosa, ECG, Holter,
Ecocardiogramma, Troponina
Afferire ad un cardiologo per:
• Monitoraggio cardio-vascolare
• Identificazione e management delle precedenti
malattie cardiache
• Discutere i rischi ed i benefici della terapia
oncologica.
Iniziare la terapia
oncologica (TKI)
Algoritmo 5: Management cardiologico dei pazienti in trattamento con farmaci biologici
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
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•
•
Valutare la storia medica
completa, esame fisico.
Valutare il TSH e T4 prima di
iniziare il sunitinib
In caso di una precedente
alterazione della funzione
tiroidea è necessario un consulto
endocrinologico prima di iniziare
il sunitinib. Iniziare il sunitinib se
la funzione tiroidea è normale o
farmacologicamente controllata
In caso di conclamato
ipotiroidismo definito come
basso FT3 o FT4 ed alto TSH,
o TSH ˃ 10 mlU/l e sintomi di
ipotiroidismo, iniziare la
terapia sostitutiva con tiroxina
Valutare il TSH il giorno 1 e
prima di iniziare il ciclo
successivo per i primi 4 cicli
Se li TSH è normale per i primi 4
cicli, il livello di TSH può essere
può essere misurato ogni 2 cicli
Se i livelli di TSH sono alti
senza sintomi di ipotiroidismo
(ipotiroidismo subclinico),
continuare a controllare il
TSH (giorno 1 e prima del
ciclo successivo) ma
comunque consigliata terapia
tiroxina
Algoritmo 6: Management e screening dell’ipotiroidismo indotto da sunitinib
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
11. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE
QUESITO 1.1: Quale è il ruolo di sunitinib nella prima linea di trattamento medico dei pazienti con
carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec.
MSKCC?
QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: MODERATA
COMMENTO: la qualità globale delle evidenze è stata considerata MODERATA (downgrade
complessivo di un punto) in quanto la valutazione completa degli esiti è stata fatta dagli
sperimentatori (treating physicians) che non erano in cieco rispetto agli effetti trattamentospecifici; non viene inoltre descritta la modalità di nascondimento della lista di allocazione al
trattamento (allocation concealment).
VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO
Favorevole
Incerto
Sfavorevole
0
8
0
MOTIVAZIONI/COMMENTI: Il trattamento con sunitinib ha mostrato un miglioramento
sulla PFS di 6 mesi (11 vs 5) e un miglioramento della sopravvivenza globale di poco inferiore
alla significatività statistica (26,4 vs 21,8 mesi) rispetto ai pazienti trattati con IFN. Gli eventi
avversi di grado 3-4 correlati al trattamento sono caratterizzati da diarrea, vomito e hand-foot
sindrome, mai eccedenti il 5% di incidenza.
VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE
FORTE a FAVORE
DEBOLE a FAVORE
DEBOLE a SFAVORE
FORTE a SFAVORE
8
0
0
0
RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a
cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC, sunitinib rappresenta l’opzione di
1a linea terapeutica di prima scelta in sostituzione della terapia convenzionale con interferone
alfa.
FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: FORTE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità
moderata e rapporto beneficio/danno favorevole
Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il
trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib,
temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle
Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012."
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LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
QUESITO 1.2: Quale è il ruolo di pazopanib nella prima linea di trattamento medico dei pazienti con
carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec.
MSKCC?
QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: BASSA
COMMENTO: la qualità globale delle evidenze è stata giudicata dal panel BASSA in quanto
le informazioni derivano da un unico studio di fase 3, di piccola dimensione, in cui pazopanib è
stato confrontato con placebo, pur in presenza di alternative terapeutiche efficaci. Si evidenzia
pertanto un problema di adeguatezza del comparator utilizzato e di trasferibilità alla pratica
clinica poiché il confronto con placebo non consente di collocare il farmaco nell’ambito di una
strategia terapeutica.
VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO
Favorevole
Incerto
Sfavorevole
7
1
0
MOTIVAZIONI/COMMENTI: Lo studio registrativo ha confrontato pazopanib con placebo,
pur in presenza di alternative terapeutiche efficaci, mostrando un aumento della PFS nel
braccio di trattamento di 5 mesi sull’intera popolazione e di circa 8 mesi nel sottogruppo dei
pazienti naïve. I dati sulla OS, esito secondario, non erano disponibili al momento del cut off
dello studio. Gli eventi avversi più comuni sono stati diarrea, ipertensione, modifiche della
pigmentazione dei capelli, nausea, anoressia e vomito. L’analisi della qualità della vita non ha
evidenziato differenze dei punteggi tra i pazienti trattati con pazopanib e quelli sottoposti a
placebo.
VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE
FORTE a FAVORE
DEBOLE a FAVORE
DEBOLE a SFAVORE
FORTE a SFAVORE
1
6
1
0
RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a
cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC, pazopanib può essere considerato
come prima opzione terapeutica, consapevoli però di avere a disposizione alternative che a
seconda dei casi potrebbero offrire analoghi o più idonei benefici.
FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: DEBOLE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità
bassa e rapporto beneficio/danno incerto
Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il
trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib,
temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle
Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012."
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LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
QUESITO 1.3: Quale è il ruolo di bevacizumab+IFNα nella prima linea di trattamento medico
dei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio
favorevole-intermedio sec. MSKCC?
QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: BASSA
COMMENTO: la qualità globale delle evidenze è stata giudicata dal panel BASSA in quanto:
a) l’endpoint primario è stato modificato nel corso dello studio da OS a PFS e i risultati sulla
sopravvivenza globale derivano da una interim analysis e pertanto a rischio di una possibile
sovrastima dell’effetto (Escudier, 2007); b) il trial non è in cieco per la PFS e non vi è stata una
valutazione indipendente delle indagini radiologiche (Rini, 2008).
VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO
Favorevole
Incerto
Sfavorevole
5
3
0
MOTIVAZIONI/COMMENTI: Nei due studi disponibili l’aggiunta di bevacizumab ad IFN
ha determinato, rispetto al solo IFN, un miglioramento della PFS (4,8 e 3,3 mesi
rispettivamente). Tali valutazioni, però, sono state effettuate non in cieco e a tale incremento
non consegue un miglioramento statisticamente significativo della sopravvivenza globale (OS).
L’anti-VEGF comporta un aumento di tossicità specifica, in particolare di tipo cardiovascolare,
che si va ad associare alle già note tossicità da citochine.
VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE
FORTE a FAVORE
DEBOLE a FAVORE
DEBOLE a SFAVORE
FORTE a SFAVORE
1
5
2
0
RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a
cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC, bevacizumab+IFNα può essere
considerato come prima opzione terapeutica, consapevoli però di avere a disposizione
alternative che a seconda dei casi potrebbero offrire analoghi o più idonei benefici.
FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: DEBOLE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità
bassa e rapporto beneficio/danno incerto
Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il
trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib,
temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle
Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012."
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LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
QUESITO 1.4: Quale è il ruolo di temsirolimus nella prima linea di trattamento medico dei
pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, a cattiva prognosi
sec. MSKCC?
QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: MODERATA
COMMENTO: la qualità globale delle evidenze è stata giudicata dal panel MODERATA in
quanto: a) si è avuta una perdita delle valutazioni indipendenti sulle immagini radiografiche per
la PFS (34% di immagini in meno rispetto alle valutazioni degli sperimentatori); b) riguardo al
comparator utilizzato nello studio, il dosaggio dell’interferone (fino a 18 MUI somministrato
tre volte a settimana), risulta essere gravato da tossicità elevata e non rappresenta la scelta
ottimale nella normale pratica clinica.
VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO
Favorevole
Incerto
Sfavorevole
3
4
1
MOTIVAZIONI/COMMENTI: Il trattamento con temsirolimus rispetto al braccio standard
con IFN ha mostrato un miglioramento in sopravvivenza globale di 3,6 mesi (10,9 vs 7,3) con
una PFS rispettivamente di 3,8 mesi vs 1,9 mesi. Il braccio sperimentale è stato gravato da un
aumento di tossicità farmaco correlata.
VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE
FORTE a FAVORE
DEBOLE a FAVORE
DEBOLE a SFAVORE
FORTE a SFAVORE
1
5
2
0
RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a
cellule chiare, a cattiva prognosi sec. MSKCC, temsirolimus può essere considerato come
prima opzione terapeutica, consapevoli però di avere a disposizione alternative che a seconda
dei casi potrebbero offrire analoghi o più idonei benefici.
FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: DEBOLE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità
moderata e rapporto beneficio/danno incerto
Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il
trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib,
temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle
Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012."
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LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
QUESITO 1.5: Quale è il ruolo di sorafenib nella prima linea di trattamento medico dei pazienti
con carcinoma renale metastatico variante istologica a cellule chiare, rischio favorevoleintermedio sec. MSKCC?
QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: BASSA
COMMENTO: Il trial è stato interrotto prima del previsto “for benefit” e il dato di PFS è
derivato da una analisi ad interim. Il dato di OS raggiunge la significatività statistica quando
nell’analisi vengono esclusi i pazienti passati da placebo a sorafenib (possibile bias di
popolazione). Si evidenzia un problema di trasferibilità del risultato alla pratica clinica rispetto
al quesito posto (terapia di prima linea), in quanto lo studio disponibile si riferisce a pazienti
che hanno fallito un precedente trattamento con citochine o radioterapia.
VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO
Favorevole
Incerto
Sfavorevole
6
0
2
MOTIVAZIONI/COMMENTI: L’endpoint primario (OS) non è raggiunto pur
confrontandosi con placebo (crossover confounding?). Nello studio il farmaco sperimentale,
anche se complessivamente ben tollerato, determina un incremento di eventi avversi, in
particolare cardiovascolari (ipertensione ed ischemia cardiaca), hand-foot sindrome, diarrea e
dispnea.
VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE
FORTE a FAVORE
DEBOLE a FAVORE
DEBOLE a SFAVORE
FORTE a SFAVORE
0
1
6
1
RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a
cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC, l’utilizzo di sorafenib dovrebbe
essere riservato solo a casi selezionati, comportamento clinico che dovrebbe essere
accompagnato da un’informazione approfondita data al paziente per coinvolgerlo
consapevolmente nel percorso terapeutico.
FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: DEBOLE A SFAVORE, formulata su evidenze di qualità
bassa e rapporto beneficio/danno incerto
Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il
trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib,
temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle
Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012."
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LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
QUESITO 2.1: Quale è il ruolo di sorafenib nei pazienti con carcinoma renale metastatico
variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC dopo una prima
linea di trattamento sistemico con un inibitore VEGF/VEGFR?
QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: BASSA
COMMENTO: Il trial è stato interrotto prima del previsto “for benefit” e il dato di PFS è
derivato da una analisi ad interim. Il dato di OS raggiunge la significatività statistica quando
nell’analisi vengono esclusi i pazienti passati da placebo a sorafenib (possibile bias di
popolazione). La popolazione inclusa nello studio (la maggioranza dei pazienti ha effettuato
una prima linea di terapia con citochine) non rappresenta la popolazione di attuale riscontro
nella pratica clinica.
VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO
Favorevole
Incerto
Sfavorevole
5
3
0
MOTIVAZIONI/COMMENTI: L’endpoint primario (OS) non è raggiunto pur
confrontandosi con placebo (crossover confounding?). Nello studio il farmaco sperimentale,
anche se complessivamente ben tollerato, determina un incremento di eventi avversi, in
particolare cardiovascolari (ipertensione ed ischemia cardiaca), hand-foot sindrome, diarrea e
dispnea.
VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE
FORTE a FAVORE
DEBOLE a FAVORE
DEBOLE a SFAVORE
FORTE a SFAVORE
0
6
2
0
RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a
cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC dopo una prima linea di trattamento
sistemico con un inibitore VEGF/VEGFR, sorafenib può essere considerato come prima
opzione terapeutica, consapevoli però di avere a disposizione alternative che a seconda dei casi
potrebbero offrire analoghi o più idonei benefici.
FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: DEBOLE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità
bassa e rapporto beneficio/danno incerto
Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il
trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib,
temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle
Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012."
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LINEE GUIDA TUMORI DEL RENE
QUESITO 2.2: Quale è il ruolo di everolimus nei pazienti con carcinoma renale metastatico
variante istologica a cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC dopo una prima
linea di trattamento sistemico con un inibitore VEGF/VEGFR?
QUALITA’ GLOBALE DELLE EVIDENZE DISPONIBILI: MODERATA
COMMENTO: Ai pazienti trattati con placebo era concesso il trattamento sperimentale dopo
progressione. Gli outcome misurati dopo crossover non sono in cieco e sono in parte
compromessi dalla somministrazione del trattamento sperimentale anche nel braccio di
controllo
VOTAZIONE BILANCIO BENEFICIO/DANNO
Favorevole
Incerto
Sfavorevole
1
7
0
MOTIVAZIONI/COMMENTI: Everolimus ha ottenuto, in pazienti pretrattati, un
miglioramento della PFS di 2.1 mesi, valutazione pianificata ad interim dopo il 60% di eventi
osservati. Il trattamento sperimentale non sembra incidere sulla qualità di vita, anche se gli
eventi avversi di grado 3-4 sono statisticamente maggiori tra i pazienti trattati con everolimus.
VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE
FORTE a FAVORE
DEBOLE a FAVORE
DEBOLE a SFAVORE
FORTE a SFAVORE
5
3
0
0
RACCOMANDAZIONE: Nei pazienti con carcinoma renale metastatico variante istologica a
cellule chiare, rischio favorevole-intermedio sec. MSKCC, everolimus rappresenta l’opzione di
prima scelta dopo una prima linea di trattamento sistemico con un inibitore VEGF/VEGFR.
FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: FORTE A FAVORE, formulata su evidenze di qualità
moderata e rapporto beneficio/danno favorevole
Per la qualità delle evidenze vedi "Gruppo regionale farmaci oncologici (GReFO). Farmaci biologici per il
trattamento del tumore renale metastatico o non operabile in tutte le linee di terapia: sunitinib,
temsirolimus, bevacizumab, pazopanib, sorafenib ed everolimus. Direzione Generale alla Sanità e alle
Politiche Sociali, Aggiornamento Gennaio 2012."
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