Lezione n. 6 _ METODI DI RESISTIVITA’ E PI
Nei metodi di resistività la caratteristica fisica d’interesse è appunto la resistività elettrica. La
resistività elettrica dei materiali dipende a sua volta da diverse caratteristiche quali, in primo luogo,
la loro mineralizzazione e il loro contenuto in acqua. I metodi elettrici di resistività, come diversi altri
metodi geofisici, sono nati per la ricerca mineraria ma poi sono stati e sono tuttora ampiamente
utilizzati nelle ricerche d’acquiferi, nella definizione dell’assetto geologico ed idrogeologico, nelle
indagini per scopi ambientali etc…
Nella Table 7.1 e nel grafico Fig. 56 sono riportati i campi indicativi della resistività elettrica per
diverse rocce, minerali e giacimenti.
Come noto, la resistività elettrica è una caratteristica intrinseca (seppure variabile, anche
sensibilmente, nell’ambito di uno stesso volume di materiale), dalla quale (ma non solo) dipende la
resistenza elettrica di un conduttore.
Nella Fig. 55 8 pag. 4) sono mostrati due dispositivi di misura in laboratorio della resistività elettrica
di corpi con diversa geometria. Come si vede, la legge fisica alla base di queste misure è la legge di
Ohm; in particolare, se le misure hanno lo scopo di stimare la resistività elettrica nel sottosuolo, ci
si serve
della legge di Ohm per un semispazio:
Nella figura 62 a pag. 5 sono mostrati diversi dispositivi di misura la cui scelta dipende dalla natura
degli obiettivi; per esempio il quadripolo Schlumberger viene utilizzato essenzialmente (e
correttamente) per lo studio di situazioni monodimensionali, mentre il quadripolo Wenner è utile
per l’individuazione di discontinuità laterali, (p.e. dicchi sub-verticali). Il dispositivo dipolo-dipolo è
tipico della tomografia elettrica.
Quest’ultima modalità applicativa, attualmente molto utilizzata nei campi ambientale,
idrogeologico, geotecnico etc., nei quali gli interessi sono focalizzati sulle prime decine di metri di
profondità, si giova della possibilità di esecuzione automatica delle misure con apparati speciali ma
già molto diffusi (SPIEGARE e mostrare esempi Muravera e SS554)
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IL FENOMENO DELLA POLARIZZAZIONE INDOTTA
Assumiamo un quadripolo di misura, per esempio in configurazione dipolo-dipolo. Quando si fa
passare corrente nel circuito che si chiude sul terreno attraverso i due elettrodi, stabilendo tra essi
un’adeguata differenza di potenziale V (volt) mediante un’opportuna sorgente di forza
elettromotrice (p.e. delle batterie), tra le sonde di potenziale si misura una certa d.d.p. che, a meno
del potenziale spontaneo variabile, resta costante finché persiste l’alimentazione elettrica.
Quando si interrompe l’alimentazione, ovvero quanto la d.d.p. agli elettrodi di corrente va a zero e
non passa più corrente, non sempre la d.d.p. alle sonde si annulla anch’essa, ma invece decade più
o meno lentamente secondo una curva di rilassamento, come mostrato in fig. 73. Questo fenomeno,
che è di carattere capacitivo, è detto “polarizzazione indotta”. Il fenomeno indica che il sottosuolo
presenta caratteristiche di polarizzabilità associabili alla sua costituzione, in particolare presenza di
metalli e o di argilla: nel primo caso di ha una polarizzazione detta “di elettrodo”, nel secondo caso
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si dice polarizzazione “di membrana”. La fig. 74 illustra i due tipi di polarizzazione, e la figura 75
mostra il circuito elettrico equivalente del fenomeno.
La polarizzazione indotta è quindi di grande interesse, soprattutto nella ricerca mineraria, nello
studio dell’inquinamento ambientale per la presenza di metalli nocivi, e nella discriminazione tra
argilla e acqua.
La polarizzazione indotta può essere quantificata in diversi modi:
1) Effetto IP o polarizzazione indotta. È il rapporto tra la d.d.p. alle sonde di potenziale in un
istante immediatamente successivo all’interruzione della corrente (V(t)), e la d.d.p. che si
misurava quando vi era passaggio di corrente (V0) quindi:
IP = V(t)/V0, dove V(t) si esprime in mV (perché è comunque molto piccola), mentre V0 si
esprime di solito in volt: quindi la polarizzazione indotta IP, espressa in questo modo, è un numero
puro (mv/v). È comunque conveniente esprimere entrambi in mV e poi moltiplicare per 100,
ottenendo il cosiddetto effetto IP% (effetto IP percento). Questo modo di esprimere la
polarizzazione indotta non è comunque molto pratico e ha valore essenzialmente concettuale,
perché è problematico misurare la d.d.p. residua “in un istante immediatamente successivo
all’interruzione del circuito di corrente”.
2) Integrale-tempo normalizzato. Più accessibile e comunemente usata è la misura dell’area
sottesa dalla curva di rilassamento della d.d.p., ovvero l’integrazione dalla curva di scarica;
naturalmente, per uniformare misura fatte con apparati diversi e con uso di diverse tensioni
d’alimentazione, il risultato dell’integrazione (fatta secondo criteri standard) deve essere
normalizzato dividendolo per V0 : si ha così il cosiddetto integrale tempo normalizzato le cui
dimensioni sono (mV x s)/V (millivolt per secondo su volt): in sostanza, la misura della
polarizzazione indotta mediante questo parametro ha le dimensioni di un tempo e quindi si
esprime in secondi.
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3) Caricabilità. Il concetto di “caricabilità” quale misura della polarizzazione indotta fu
introdotto da Seigel nel 1959. La caricabilità m fu definita come:
m = (V0 – Vi) /V0
dove Vi è la d.d.p. nell’istante di interruzione del passaggio di corrente e V0 è la d.d.p. che
si misurava quando la corrente fluiva. In pratica, come già detto, non è possibile
determinare Vi ma solo la d.d.p. residua V(t) dopo un tempo molto piccolo
dall’interruzione; in termini pratici si ha:
m = (V0 – V(t)) /V0
Come si vede, la caricabilità m risulta:
m = 1 – (V(t)/V0) dove V(t)/V0 è il già visto effetto IP
quindi si può anche esprimere m= 1-( IP%/100).
Descrizione di due meccanismi del fenomeno IP
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Tutto quanto visto fino a questo punto, riguarda il fenomeno della polarizzazione
indotta nel dominio del tempo: TD IP (time –domain Induced Polarization).
Il fenomeno della polarizzazione indotta può essere osservato convenientemente
anche nel dominio della frequenza (FD IP). Infatti, come visto, un terreno polarizzabile si
comporta, in parte, come una capacità (v. circuito elettrico equivalente).
Ora sappiamo che un condensatore sottoposto a una corrente continua si comporta come un
isolante, nel senso che si carica istantaneamente e non fa passare corrente; viceversa, una corrente
alternata può fluire attraverso un condensatore, e può farlo tanto meglio quanto maggiore è la
frequenza della corrente alternata. Quindi se applichiamo al terreno correnti con frequenze via via
crescenti, se il sottosuolo è un resistivo puro (cioè non si verificano in esso fenomeni di tipo
capacitivo) esso reagisce nello stesso modo a tutte le correnti con diverse frequenze; viceversa se
nel sottosuolo si verificano fenomeni capacitivi, le basse frequenze lasciano fluire la corrente meno
facilmente rispetto alle alte frequenze: in termini più concreti e tornando al quadripolo di misura,
in un terreno non capacitivo la resistività non varia al variare della frequenza, mentre in un terreno
in cui si verificano fenomeni capacitivi la resistività diminuisce al crescere della frequenza.
Quindi facendo le misure con frequenze diverse si può costruire un grafico che ha in ascisse le
frequenze della corrente eccitante e in ordinate le resistività misurate alle diverse frequenze: se lo
spettro è piatto, ovvero se la resistività resta costante, il significato è che non vi sono fenomeni
capacitivi; viceversa, se la resistività diminuisce con l’aumentare della frequenza vi è polarizzazione
indotta. Questo grafico è uno spettro che contiene le stesse informazioni della curva di rilassamento
osservabile nel dominio del tempo: infatti si dimostra (ma è anche intuitivo) che esso spettro è la
trasformata di Fourier della curva di rilassamento.
Nella FD IP, l’indice di riferimento è il cosiddetto “effetto frequenza”
f.e. , definito come segue:
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f.e. = (ρdc –ρac) / ρac
dove
ρdc
e
ρac
sono le resistività misurate rispettivamente in corrente continua e in corrente
alternata.
Nella pratica le due correnti sono una a frequenza bassa, p.e. 0,1 Hz, e l’altra a frequenza
relativamente alta, p.e. 10 Hz.
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IL METODO DEI POTENZIALI SPONTANEI
Consiste nella semplice misura, in superficie, dell’andamento del potenziale spontaneo in una data
area. Di norma si procede misurando il potenziale lungo profili per poi trarre un profilo di potenziale
oppure una mappa, lavorando su diversi profili paralleli. Il metodo è nato, come diversi altri, per la
ricerca mineraria, ma può essere applicato anche nel campo ambientale (p.e. individuazione di
vecchie discariche di rifiuti).
Dato un corpo sepolto con conducibilità anomala (p.e. un ammasso mineralizzato a solfuri), se esso
è parzialmente sommerso nella falda si creano due zone: quella sommersa è la zona di riduzione e
quella non sommersa è la zona di ossidazione. Si crea così una pila di ossido-riduzione che dà luogo
a potenziali anomali. Le misure vengono di norma fatte con la tecnica del dipolo-dipolo, o anche con
la tecnica del monopolo, tenendo una dei due poli di misura fisso e molto distante dall’area, e il
secondo mobile. Il metodo è prevalentemente qualitativo e può essere utile in fase ricognitiva.
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