5_Intervista_Colombo

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Nicoletta Colombo
Direttore Programma Ginecologia Oncologica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano
Professore Associato di Ostetricia e Ginecologia, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Membro del Consiglio Direttivo ACTO onlus - Alleanza contro il Tumore Ovarico
Carcinoma ovarico: un tumore subdolo e silente.
Terapie mirate e supporto psicologico per migliorare la qualità di vita
Qual è il percorso che porta alla formulazione della diagnosi di carcinoma ovarico e che ruolo gioca la
diagnosi tempestiva rispetto alla prognosi delle donne colpite da questa patologia?
Il tumore dell’ovaio rappresenta il 30% di tutti i tumori maligni dell’apparato genitale femminile, ma ne
rimane la prima causa di morte. Questa neoplasia si caratterizza sia per essere ancora oggi poco conosciuta
persino dagli stessi medici sia per l’aspecificità della sintomatologia. I pochi segni in qualche modo collegati
all’insorgenza di un carcinoma ovarico, quali gonfiore e dolore addominale e difficoltà ad andare in bagno,
sono campanelli d’allarme che se persistenti dovrebbero indurre la donna a parlarne con il proprio
ginecologo, il quale a sua volta dovrebbe almeno considerare la possibilità di un tumore ovarico e
sottoporre la paziente ad una visita ginecologica accurata e subito dopo ad un’ecografia transvaginale e
addominale. Qualora il dubbio fosse confermato sarà opportuno eseguire una TC e un prelievo di sangue
per il dosaggio di alcuni marcatori tumorali come CA-125. Proprio perché si tratta di un tumore silente e
subdolo, il 75-80% dei carcinomi ovarici quando vengono diagnosticati sono già in fase avanzata di
malattia. La diagnosi, quindi, solitamente è tardiva e arriva quando la malattia determina la comparsa di
ascite ed un aumento repentino del volume dell’addome oppure quasi per caso durante un normale
controllo ginecologico. Ovviamente, una diagnosi tempestiva, quando la malattia è ancora allo stadio
iniziale (I e II), sarebbe fondamentale. Infatti, quando il tumore è limitato ancora all’ovaio la prospettiva di
guarigione cambia completamente e la sopravvivenza a 5 anni è del 70-90%.
Quali obiettivi terapeutici si pone lo specialista per la paziente nell’approccio al tumore ovarico nelle
diverse forme di malattia?
Nel carcinoma ovarico in stadio iniziale (I e II) l’obiettivo dell’approccio terapeutico è la guarigione mentre
nel tumore in stadio avanzato (III e IV) solo un 30% dei casi può guarire; per il restante 70% gli specialisti
devono puntare sulla cronicizzazione, che oggi è possibile grazie alle migliori terapie disponibili. Dopo la
diagnosi è fondamentale che la donna venga seguita da un Centro ad alta competenza per questo tumore.
La prima tappa del percorso di cura è l’intervento chirurgico, che deve ridurre la maggior quantità possibile
di massa tumorale fino al raggiungimento di “tumore residuo assente macroscopicamente”. Il passo
successivo è la chemioterapia di prima linea, che deve essere sempre prescritta. In qualche caso selezionato
la chemioterapia può essere somministrata prima dell’operazione, se il tumore è molto esteso o le
condizioni generale della donna non sono buone; in tal modo il tumore si riduce e l’atto operatorio viene
semplificato.
Dal punto di vista dei trattamenti, l’evento più importante degli ultimi 20 anni è stato senza dubbio l’arrivo
dei nuovi farmaci anti-angiogenici, che hanno colmato un vuoto drammatico durante il quale c’è stata una
totale assenza di novità terapeutiche rilevanti. Gli anti-angiogenici agiscono in modo mirato sul processo di
vascolarizzazione: sappiamo che il tumore per svilupparsi e crescere libera una serie di sostanze, tra cui
fattori di crescita vascolari, che stimolano la neoformazione di vasi. I farmaci anti-angiogenici agiscono in
modo mirato sul fattore che promuove la crescita dei vasi sanguigni, limitando così la crescita del tumore e
la metastatizzazione.
Bevacizumab, il primo di questi farmaci a essere utilizzato contro il tumore ovarico, è in grado di
assicurare tempi più lunghi in assenza di malattia oltre al fatto, fondamentale, di non essere gravato
dagli effetti collaterali peculiari della chemioterapia. Grazie ai progressi della ricerca in ambito
ginecologico, oltre agli anti-angiogenici, per le pazienti affette da tumore ovarico e con mutazione
BRCA1 e 2, sono oggi disponibili anche nuove terapie, come i PARP inibitori, capaci di ridurre
drasticamente la progressione del tumore.
Nell’ambito del percorso diagnostico-terapeutico, come valuta il ruolo del supporto di tipo psicologico
che può essere offerto da progetti come “Sguardi d’energia”?
Accanto alla necessità di progressi terapeutici, la classe medica va prendendo via via sempre più
consapevolezza dell’importanza di offrire a queste donne un supporto psicologico come parte
integrante della cura, tant’è che molti Centri oncologici si avvalgono di figure professionali come gli
psico-oncologi e offrono specifici programmi di sostegno alle pazienti. “Sguardi d’energia” risponde
perfettamente a questa esigenza e nel suo genere è fondamentale perché aiuta le pazienti ad affrontare
con coraggio e forza un percorso di malattia molto duro e faticoso. Sostenere le donne anche
attraverso piccoli gesti quotidiani, stimolarle al sorriso e all’autostima, significa contribuire a
migliorare la loro qualità di vita e di conseguenza la risposta alle cure.
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