L`UGUAGLIANZA FORMALE.(Giorgia Zemignani)

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TESINA DI DIRITTO.
TEMI GENERALI:
DIRITTI CIVILI E POLITICI (Sara Toffanin)
I diritti civili sono quei diritti di cui godono tutti i cittadini di uno Stato in quanto tali. Sono i
diritti riconosciuti dall’ordinamento giuridico come fondamentali, inviolabili e irrinunciabili, i
quali assicurano all'individuo la possibilità di realizzare pienamente sé stesso. Tra i diritti civili
si collocano le libertà di pensiero, parola, espressione, stampa, associazione, diritto al lavoro e
all'istruzione obbligatoria oltre a diritti propriamente politici quali il diritto di voto e in genere di
elettorato attivo e passivo. I diritti politici sono, infatti, l'insieme dei diritti che rendono possibile
a tutti i cittadini, in posizione paritaria, la partecipazione alla vita politica dello Stato e l'esercizio
di cariche pubbliche nelle forme e attraverso gli istituti predisposti dall'ordinamento giuridico.
DIRITTI UMANI (Francesca Sulin)
I diritti umani fondamentali sono il diritto alla vita e all’integrità fisica e tutti quelli riferiti alla
dignità della persona stessa come il divieto di tortura,il diritto alla salute,l’uguaglianza
formale,la presunzione di innocenza,il diritto di ricorrere in giudizio e il divieto della pena di
morte. Si può dire ,quindi, che i diritti umani sono delle situazioni giuridiche riconosciute
come fondamentali della persona umana,tali che neppure lo Stato può ostacolarne la loro
realizzazione. Essi si distinguono in diritti politici, vale a dire in diritti che rendono possibile a
tutti i cittadini, in posizione paritaria, la partecipazione all’esercizio del potere, e in diritti civili
che assicurano alla persona umana in quanto tale, la possibilità di esprimersi. Gli atti
internazionali più moderni, inoltre, prevedono anche diritti economici, sociali e culturali, come
il diritto al lavoro, alla sicurezza sociale, al riposo, alla tutela sindacale e all’istruzione, alcuni
già compresi nelle due categorie dei diritti politici e civili. Fondamentale citare La
Dichiarazione Universale firmata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre
del 1948, con questo atto,infatti, i diritti umani hanno finalmente assunto una tutela
internazione.
DIRITTI ECONOMICI E TUTELA DELL’AMBIENTE. (Giorgia Zemigani)
Il diritto all’iniziativa economica privata è previsto in riferimento all’articolo 41 della
Costituzione italiana. La legge, inoltre, determina i programmi e i controlli opportuni affinché
l’attività pubblica o privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali. Comunque, il
nostro ordinamento menziona la proprietà pubblica e privata facendo una piccola distinzione:
infatti, la proprietà privata è intesa come un diritto, la proprietà pubblica è espressione di un
dovere, la sua gestione implica quindi l’esercizio di una funzione pubblica. Le norme del
Codice Civile (1942) non trascrivono un preciso contenuto della proprietà pubblica, si limitano
a disciplinare il particolare regime giuridico dei beni appartenenti all’ente pubblico. Inoltre
L’Agenzia del demanio provvede all’amministrazione e gestione dei beni del demanio, con il
compito di razionalizzarne e valorizzarne l’impiego, cercando di utilizzare criteri di mercato e
imprenditoriali che comprendono la vendita, l’acquisizione e infine l’utilizzo. Si ricorda che
con la legge 448 del 1998 è iniziato un processo di privatizzazione dei beni patrimoniali
disponibili e indisponibili affinché si possano realizzare esigenze di carattere finanziario e di
risanamento del debito pubblico. Invece, la tutela del patrimonio artistico e paesaggistico è
disciplinata dall’articolo 9 della Costituzione italiana. Il Codice dei beni culturali e del
paesaggio – d.lgs. n° 42 del 22 gennaio 2004 – è il principale riferimento legislativo che
attribuisce al Ministero per i Beni le Attività Culturali il compito di tutelare, conservare e
valorizzare il patrimonio culturale dell’Italia. Lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le
province e i comuni, così come gli altri soggetti pubblici, assicurano e sostengono la
conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la
valorizzazione, in conformità alla normativa di tutela. Nel 1988, venne istituito il nuovo
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, al fine di estendere le proprie competenze alla
promozione dello sport, di impiantistica sportiva e di attività dello spettacolo (cinema,
teatro…); nel 2013, infine, il governo affida al Ministero anche competenze riguardanti il
turismo, denominandolo Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
L’UGUAGLIANZA FORMALE.(Giorgia Zemignani)
Il principio di uguaglianza sta alla base di ogni costituzione democratica moderna e lo si può
trovare anche nella nostra all’articolo 3, la quale afferma “Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
liberà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese”. Comunque, l’uguaglianza è un diritto che è sempre esistito fin
dall’antichità ma è stato approfondito grazie alla Rivoluzione Francese del 1789, la quale ha
riaffermato i principi di libertà, fratellanza e, appunto, uguaglianza. Difatti, l’articolo primo
della Dichiarazione dei diritti dell’uomo (1789) sancisce che gli uomini muoiono e nascono
liberi ed uguali nei diritti. Si ricorda, inoltre, che questa Dichiarazione sta alla base di tutte le
costituzioni democratiche moderne, le quali si sono ispirate ai principi della Rivoluzione
Francese per fondare uno stato democratico. La nostra costituzione ha, tuttavia, ripreso alcuni
articoli dello Statuto Albertino e più precisamente, l’articolo 24; infatti esso afferma “Tutti i
regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali davanti alla legge” mentre la
costituzione riafferma “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge” non ponendo la distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche,
condizioni personali e sociali, come si aveva precedentemente già accennato. Tuttavia, già dal
1849 si aveva pensato di non porre distinzioni tra gli esseri umani per garantire al meglio
questo principio; ciò è garantito dall’ articolo II della Costituzione della Repubblica Romana
“Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce
titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta” pone quindi come regole fondamentale i tre
principi della rivoluzione del 1789. Comunque, l’uguaglianza in passato era un tema molto
discusso soprattutto se si parla della differenza di sesso in ambito lavorativo. E’ infatti nel
sistema democratico che le donne hanno potuto godere a pieno dei loro diritti, in particolare
all’articolo 37 della costituzione italiana viene affermato che “la donna lavoratrice ha gli
stessi diritti e, parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”. Il diritto
dell’uguaglianza lo si può anche ritrovare anche all’interno della Carta dei Diritti dell’Unione
Europea, precisamente agli articoli 20-21-22-23, che riaffermano in poche parole quanto già
detto precedentemente, aggiungendo il principio di non discriminazione all’articolo 21 “È
vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il
colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la
religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura,
l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o
l’orientamento sessuale. Nell’ambito d’applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni
specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità.”
Infine, si può quindi dire che l’uguaglianza può essere intesa sotto due punti di vista: quello
sociale, che vede tutti gli uomini con pari diritti, e quello politico, dove si assicura che la legge
sia uguale e giusta per tutti i cittadini senza alcun privilegio.
Per quanto riguarda l’uguaglianza sostanziale si può far riferimento a diversi ambiti. In
particolare, sono stati approfonditi: l’uguaglianza in ambito lavorativo, in riferimento alle
donne, alla salute e all’istruzione.
IL LAVORO. (Giorgia Zemignani)
“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” è così che la nostra
Costituzione italiana si apre, riconoscendo al lavoro un ruolo fondamentale e costitutivo
all’interno della nostra società. Infatti questo tema è stato ripreso anche in altri articoli, come ad
esempio all’articolo 3; all’articolo 35, nel quale si afferma che la Repubblica tutela il lavoro
in tutte le sue forme ed applicazioni; all’articolo 36, nel quale viene affermata l’organizzazione
sindacale ed infine all’articolo 40, il quale afferma il diritto allo sciopero. A questo proposito,
si ricorda che la legge del 20 maggio 1970 numero 300 relativa alle “norme sulla tutela
della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento” è, dopo la nostra Costituzione, il riferimento
legislativo più importante in materia di diritto al lavoro e del diritto sindacale. La legge è anche
conosciuta come lo “Statuto dei lavoratori” al fine di regolamentare il potere organizzativo,
direttivo e disciplinare dei datori di lavoro, con lo scopo di consentire la piena tutela nei
riguardi della dignità, della salute, della riservatezza e della professionalità dei lavoratori. Il
diritto sindacale, inoltre, è consolidato in alcune norme all’interno di questa legge, al fine di
poter esercitare questo diritto attraverso le organizzazioni sindacali, il contratto collettivo di
lavoro e lo sciopero.
Sono state proprio le organizzazioni sindacali che hanno ottenuto, dopo anni e anni di proteste,
la tutela del lavoro subordinato e la previdenza e assistenza dei lavoratori. I provvedimenti sono
quindi di natura giuridica (rivolte alle fasce più deboli dei lavoratori) e di natura economica,
ovvero rivolti ad assistere lavoratori nei casi di infortunio, vecchiaia, invalidità… mediante
l’uso delle assicurazioni obbligatorie. L’assicurazione sociale è, inoltre, affidata a due enti
pubblici L’INPS (Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale) e l’INAIL (Istituto Nazionale
per gli Infortuni sul Lavoro). Comunque, i sindacati, si sono occupati anche di tutelare le
lavoratrici madri o padri in difficoltà; il “Testo Unico” (D.lgs. numero 151/2001) raccoglie
tutte le normative a tutela e sostegno della maternità e paternità, comprendendo anche i genitori
di bambini adottivi.
Tuttavia, quando si parla di “fasce deboli” un chiaro riferimento è rivolto anche ai minori, i
quali per via del “lavoro in nero”, presente soprattutto nell’area meridionale dell’Italia, non
sono tutelati come i lavoratori adulti. Era uso comune, in passato, far lavorare i bambini di età
inferiore ai nove anni per far arrotondare il salario in casa; per questo motivo, l’istruzione,
soprattutto per le famiglie non agiate, non era importante, anche perché il più delle volte non
potevano permettersi di far proseguire gli studi ai propri figli. Il lavoro minorile, tuttavia, grazie
al fenomeno dell’industrializzazione si è aggravato e ha visto lavorare bambini nelle fabbriche.
Le prime norme italiane, che riguardano la tutela al lavoro minorile, risalgono solo alla fine
dell’Ottocento, quando nacque la consapevolezza nazionale del problema relativo
all’alfabetizzazione, alla salute e all’età dei lavoratori minori. Il problema dell’età minima
all’ingresso del lavoro fu affrontato in diverse conferenze internazionali tenutesi prima della
Grande Guerra. Ciononostante, solo dopo la Seconda Guerra Mondiale e al boom economico,
si è pensato di attuare una nuova legge per ridurre al minimo le categorie dei minori, fissando
l’età minima ai quindici anni, anche se per lavori di natura agricola o per servizi familiari e
lavori leggeri, l’età minima era di quattordici anni.
Nel 1989 con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea si garantì al minore
“condizioni di lavoro appropriate alla loro età” e la protezione “dallo sfruttamento
economico o contro ogni lavoro che ne possa minare la sicurezza, la salute, lo sviluppo
fisico, mentale, morale o sociale”. La nostra Costituzione, inoltre, ha disciplinato il divieto
dell’ammissione al lavoro prima che il minore abbia concluso il periodo di istruzione
obbligatoria, ovvero quindici anni compiuti. In riferimento a questo, si ricorda infine, che una
specifica disciplina è prevista per l’orario di lavoro che non può superare le otto ore giornaliere
e le quaranta settimanali, anche in caso di apprendistato.
L’UGUAGLIANZA MORALE DELLA DONNA ( Sara Toffanin )
La Costituzione italiana del 1948, redatta dall’Assemblea Costituente alla cui elezione avevano
partecipato anche le donne, afferma il principio dell’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini,
«senza distinzioni di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali»(articolo 3). La struttura della famiglia, afferma la Costituzione, si fonda
sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, i quali hanno pari dignità e gli stessi diritti e
doveri, primo fra tutti quello di «mantenere, istruire ed educare i figli».Perché si potessero
attuare questi principi era necessaria una riforma radicale del codice civile approvato nel 1942
dal regime fascista e improntato al principio della supremazia del capo famiglia, al quale
soltanto si riconosceva la potestà sui figli. Non fu facile riformare quegli articoli del codice e
bisogna aspettare il 1975 perchè sia fatto valere il principio costituzionale dell’uguaglianza
morale e giuridica dei coniugi. Negli anni Settanta si attuarono altre significative riforme nel
campo dei diritti civili delle donne:
la legge sul divorzio (1970)
la tutela delle lavoratrici madri (1971)
l’istituzione dei consultori familiari (1975)
la legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (1977)
la legge sull’interruzione di gravidanza (1978).
Una volta acquisita sul piano giuridico la parità delle donne, si trattava di garantire che questa
venisse anche praticamente attuata. Le abitudini culturali e i modelli di comportamento in
vigore nella società sono infatti talmente radicati che la parità dichiarata per legge rischiava di
rimanere solo sulla carta. Non basta una legge per superare la tradizionale divisione, basata sul
sesso, sui ruoli e sui compiti all’interno della famiglia, divisione per cui la donna deve
continuare ad occuparsi da sola della casa e dei figli anche quando svolge un’attività lavorativa.
La stessa cosa va detta per quanto riguarda l’ingresso delle donne in attività e carriere
tradizionalmente maschili, si pensi soltanto all’attività politica e al numero ancora molto basso
di donne presenti nei parlamenti e nei governi. La disciplina giuridica del lavoro femminile,
dagli anni Settanta in poi, ha rafforzato la tutela delle donne sotto il profilo della parità dei
diritti rispetto ai lavoratori dell’altro sesso. In conformità ai principi costituzionali sanciti
dall’art. 3 e 37 Cost. e ribaditi dalle norme internazionali come la direttiva 9/2/1976, n. 76/207
(che è stata modificata dalla direttiva Ce 2002/73 del 23/9/2002) e l’art. 141 del trattato di
Roma, è stata emanata la l.903/1977. Tale disciplina rovescia la prospettiva tradizionale della
tutela differenziata del lavoro femminile, prendendo atto del fatto che le norme dirette alla
protezione della donna spesso danno vita a situazioni di svantaggio per la stessa. Infatti, una
tutela molto estesa del lavoro femminile, soprattutto in considerazione della maternità, finisce
come l’aggravare il costo una lavoratrice, disincentivando il datore di lavoro dall’assumere
donne. La l.903/1977 mira a realizzare la parità dei diritti su due piani distinti:
-la retribuzione: la legge dispone il divieto di ogni discriminazione e l’invalidità degli atti
eventualmente contrastanti con il divieto stesso;
-l’occupazione: la legge vieta ogni discriminazione nell’occupazione, sia nel momento
dell’ingresso nel mercato del lavoro, sia successivamente;
-la carriera: la legge vieta che gli uomini vengano preferiti nella progressione di carriera.
Infine, la l.903/1977 tende a parificare il costo del lavoro femminile a quello del lavoro
maschile in quanto estende al padre lavoratore alcuni diritti, come quello di assentarsi per
motivi legati alla prole, tradizionalmente riconosciuta alle madri.
La tutela giuridica della lavoratrice madre, invece, contenuta nella l.30/12/1971, n.1204, si
articola su due piani:
-divieto del licenziamento della donna dalla data di inizio della gravidanza fino al compimento
del primo anno di età del bambino;
-divieto di adibire la donna al lavoro nei due mesi prima del parto e nei 3 mesi successivi alla
nascita del bambino ( astensione obbligatoria ) la donna ha facoltà di decidere di astenersi dal
lavoro un mese prima del parto e quattro mesi dopo la nascita del bambino. La donna ha anche
il diritto ad astenersi dal lavoro per la cura dei figli ( astensione facoltativa ).
In conformità al principio di parità, anche il padre può avvalersi, alternativamente alla madre,
dell’estensione facoltativa del lavoro nei primi 8 anni di vita del bambino ( congedo parentale ).
Lo scopo di realizzare una maggiore tutela paritaria della donna lavoratrice è alla base della
l.10/4/1991, n.125, che intende garantire alle donne pari opportunità di accesso nel mercato del
lavoro. Questo scopo viene perseguito attraverso lo strumento delle azioni positive che,
consiste nei programmi diretti a consentire alle donne di garantire effettivamente delle
opportunità. Lo scopo è quello di incrementare la presenza delle donne soprattutto negli ambiti
lavorativi di più elevata responsabilità.
Riconoscendo la pari dignità sociale e l’uguaglianza davanti alla legge a tutti i cittadini (art. 3),
la parità tra donne e uomini in ambito lavorativo (art.4 e 37), l’uguaglianza morale e giuridica
dei coniugi all’interno del matrimonio (art.29) e la parità di accesso agli uffici pubblici e alle
cariche elettive in condizioni di eguaglianza (art. 51), la Costituzione pone punti di riferimento
importanti per lo sviluppo della normativa futura. L’azione professionale per le donne,
stabilisce norme nella gestione del personale che tengano conto delle esigenze delle donne (part
time, orario flessibile, ecc.), promuovere l’attivazione di strutture particolari (asili nido, scuole
materne ecc.).
Fonte: http://www.edscuola.it/archivio/antologia/donna/legge.htm
Libri di testo, scienze sociali il diritto e l’economia 2
DIRITTO ALLA SALUTE (Francesca Sulin)
La salute è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come “una
condizione di pieno benessere fisico, psichico e sociale, e non solo come assenza di malattia o di
infermità»,essa si trova in una posizione centrale nel sistema dei diritti fondamentali riconosciuti
all’individuo,contribuendo a far in modo che ognuno possa essere libero di fare le sue scelte.
Così recita l’articolo 32 della Costituzione italiana: “La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite
agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non
per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto
della persona umana.” Questo articolo ha subito una lenta evoluzione e in esso è presente una
molteplicità di contenuti e di concetti riguardanti il diritto all’integrità psico-fisica,a vivere in un
ambiente salubre e ad avere diritto a cure sanitarie. Il diritto alla salute è
inalienabile,intrasmissibile,irrinunciabile e in certi casi anche indisponibile, inoltre è l’unico
diritto ad essere definito “inviolabile” dalla Costituzione. Per quanto riguarda il primo comma,si
può dire che la Repubblica considera la salute come un diritto importante non solo per singolo
ma anche per tutta la società,infatti si garantiscono le cure mediche ai cittadini che non hanno
possibilità economiche, anche se non è sempre stato così. Per quanto riguarda il
commento,invece,relativo al secondo e al terzo comma si può dire che la nostra Costituzione
dispone il divieto di imporre contro la volontà dell’individuo,un determinato trattamento
sanitario, se non nei casi previsti dalla legge, escludendo così l’obbligo a curarsi ma affermando
il diritto a non essersi curati, ogni decisione deve essere presa naturalmente nel rispetto della
legge. Ci sono alcuni casi in cui è obbligatorio per legge sottoporsi a determinate cure sanitarie
come per esempio le vaccinazioni con lo scopo di prevenire malattie infettive oppure i
provvedimenti di cura o anche di isolamento per chi è portatore di malattie contagiose.
Il diritto alla salute ha subito una lunga evoluzione nella storia. Possono essere individuate tre
diverse fasi: fase pionieristica dove la salute era considerata solo una questione di ordine
pubblico; fase intermedia dove il diritto alla salute era considerato come un diritto sociale;
invece, oggi la salute è un vero e proprio diritto soggettivo del cittadino. Importante specificare
come si è arrivati ad assicurare cure gratuite agli indigenti( comma 1 art.32),aspetto che ha
trovato vera attuazione solo nel 1978 con l’emanazione della legge 883 istitutiva del Servizio
Sanitario Nazionale definito come il complesso delle funzioni,dei servizi e delle attività
destinate alla promozione,al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la
popolazione senza alcuna distinzione. L’ SSN (Servizio Sanitario Nazionale) è stato
successivamente modificato con il D.Lgs 502 del 1992 di “riordino in materia di sanità”ed il
D.Lgs 299 del 1999 relativo alla “razionalizzazione del SSN”(riforma Bindi). Precedentemente
l’assistenza sanitaria era garantita da enti mutualistici ciascuno competente per una specifica
categoria di lavoratori,che dovevano essere necessariamente iscritti per poter avere cure
mediche finanziate con i contributi versati dai lavoratori stessi e dai datori di lavoro. I principi
fondamentali su cui si basa il Servizio Sanitario Nazionale,ad oggi, sono: la responsabilità
pubblica della tutela della salute,l’universalità e l’equità di accesso ai servizi sanitari,la
globalità di copertura in base alle necessità di assistenza di ognuno,il finanziamento pubblico
con la fiscalità generale e la “portabilità” dei diritti in tutto il territorio nazionale e reciproca
assistenza con le altre regioni. Per concludere, l’attuazione del SSN secondo la legge 833/78
competeva allo stato,alle regioni e agli enti locali mentre dalla legge 502/92 essa compete solo
a stato e regioni.
FONTI
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www.treccani.it
www.ildirittoamministrativo.it
www.collegiocavalieri.it
www.brocardi.it
Costituzione italiana (art 32)
ISTRUZIONE (Gianmaria Zecchin)
Parlando dei DIRITTI CHE LO STATO SOCIALE ASSICURA AI Più DEBOLI con l’art.34
della Costituzione italiana si capisce come L’ISTRUZIONE rientri tra “le fondamentali” da
garantirsi al cittadino.
Tuttavia va anticipato come nell’ordinamento normativo italiano vige una distinzione tra quello
che viene comunemente chiamato DIRITTO ALLO STUDIO e il DIRITTO
ALL’ISTRUZIONE. Con il primo si intende quel canale formativo che il cittadino può
intraprendere successivamente il percorso scolastico obbligatorio; è poi compito dello Stato
garantirgli,se non ne ha i mezzi ma le capacità,il proseguimento negli studi.
Con il secondo non si indica altro che il diritto sancito nei primi due commi dell’art.34 della
Costituzione italiana,per i quali…
“LA SCUOLA è APERTA A TUTTI. L’ISTRUZIONE INFERIORE,IMPARTITA PER
ALMENO 8 ANNI,è OBBLIGATORIA E GRATUITA” art.34
Si può dunque evidenziare come l’OBBLIGATORIETà del percorso scolastico costituisca il
principio fondamentale per la piena attuazione del diritto in sé.
L’OBBLIGATORIETà è a sua volta insita nel DIRITTO-DOVERE all’istruzione,il quale è
stato ampliato nel nostro ordinamento dalla legge 53/03 e dalla LEGGE MORATTI
(ART.2,primo comma) e dai successivi decreti legislativi (76/05 e 226/05).
“È assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o,
comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età;
l’attuazione di tale diritto si realizza nel sistema di istruzione e in quello di istruzione e
formazione professionale, secondo livello essenziali di prestazione definiti su base nazionale
a norma dell’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione (…). La fruizione
dell’offerta di istruzione e formazione costituisce un dovere legislativamente sanzionato” (L.
53/2003, art. 2, c. 1, lettera c).
Legge 40/07 prevede le deleghe legislative per il riordino del sistema d’istruzione e
formazione.
Attraverso tali normative è stata anche superata la “cesura” che ha sempre caratterizzato il
nostro sistema scolastico tra l’istruzione a vocazione e caratterizzazione culturale ed educativa
e la formazione professionale finalizzata all’apprendimento da parte dell’apprendista delle
tecniche lavorative (in funzione al proprio inserimento nel mondo lavorativo).
Riprendendo la Costituzione si capisce come questa attraverso l’art.33 e 34 anticipi in un certo
senso la carta dei DIRITTI UNIVERSALI DELL’UOMO delle Organizzazioni unite.
I questi articoli infatti si parla, riprendendo quanto già detto, di una scuola aperta a tutti
obbligatoria e gratuita da impartirsi per almeno 8 anni; tuttavia si può anche dedurre come
l’obbligatorietà e la gratuità non riguardi l’istruzione superiore e universitaria.
Per i gradi d’istruzione più elevati infatti…
« I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti
degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre
provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. » art.34
L’istruzione,in sostanza,non è altro che un servizio pubblico ,necessario, volto ad assicurare il
pieno
sviluppo della persona anche a dispetto di una possibile condizione di partenza sfavorevole.
Se passiamo sul” piano internazionale”nel 1948 nella DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI
DIRITTI UMANI UN all’art.26 si afferma che il diritto all’istruzione deve essere garantito e
per renderlo effettivo si consiglia la gratuità e l’obbligatorietà dei livelli fondamentali e
l’accesso su base di merito ai livelli superiore; si parla inoltre della qualità dell’istruzione,e il
rispetto per i diritti umani al fine di evitare forme di indottrinamento tipiche dei regimi
totalitari.
L’art 26 recita:
1. “Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per
quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L’istruzione elementare deve
essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata
di tutti e l’istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del
merito.
2. L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al
rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve
promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi
razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento
della pace.
3. I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai
loro figli.”
Tornando per un momento a parlare dell’istituzione scolastica,nel senso fisico del
termine,capiamo come il servizio scolastico sia un obbligo costituzionale.
Infatti L’art.33 della Costituzione sancisce come sia obbligo della Repubblica istituire le scuole
statali di ogni ordine e grado.
Lo stesso articolo però recita anche “enti privati hanno il diritto di istituire scuole senza oneri
per lo stato” (senza oneri = senza impegno finanziario dello Stato).Dunque ancora una volta si
capisce come lo stato debba garantire una eguale istruzione sia a quelli che scelgano l’uno o
l’altro percorso formativo. In questo modo è garantita la libertà di scelta educativa delle
famiglie
Il percorso che portò ad un ordinamento normativo che parla in favore dell’uguaglianza nello
studio ecc. fu molto lungo e tortuoso.
Si passò infatti da una scuola d’elite ad una più democratica attraverso determinate tappe
storiche ognuna delle quali è riassumibile facendo riferimento alle leggi che nella storia
entrarono in vigore:
Si comincia con la LEGGE CASATI del 1859,la prima a definire il nostro sistema scolastico.
Questa prevedeva oltre al percorso elementare obbligatorio due percorsi: la variante umanistica
o scientifica che preparava all’università e una variante più tecnica che permetteva ai giovani di
entrare nel mondo del lavoro.
Nel 1923 la RIFORMA GENTILE vide la
nascita oltre al solito percorso elementare obbligatorio,del liceo classico,scientifico,dell’istituto
magistrale,tecnico e infine della scuola complementare. Tale riforma però aumentò il carattere
classista della scuola italiana. Con la LEGGE BOTAI del 38’ si vide l’introduzione di un
percorso intermediario tra elementari e superiori,nacquero le scuole medie alle quali si entrava
mediante esame.la scuola media così come esiste oggi venne introdotta con una legge del 1962.
Tutte le riforme in senso egualitario risalgono agli anni 60’: nel 62’ venne istituita la scuola
media unica e venne eliminata la distinzione tra la scuola media e l’avviamento professionale.
Infine con la legge dell’11/12/1969 ( figlia dei movimenti studenteschi) venne consentito a tutti
i diplomati di iscriversi all’università.
Con i decreti delegati del 1974 vennero introdotte forme di partecipazione studentesca e di
democrazia attraverso le istituzioni degli organi collegiali della scuola.
Tesina di :
Sulin Francesca
Toffanin Sara
Zecchin Gianmaria
Zemignani Giorgia
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