scarica allegato - spi cgil cagliari

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Care compagne,
Inizio parlando di sentimenti che ci uniscono: l’orgoglio e la
caparbietà. Siamo orgogliose di militare nello Spi e quindi nella CGIL
conosciamo il valore di affrontare i sacrifici pur di impegnarci nella
militanza e consapevoli delle sfide che affrontiamo ogni giorno
Siamo caparbie perché le donne hanno lottato per le donne, per
prendere coscienza di sé, affermare i propri diritti, perseguire
l’uguaglianza prima e la parità dopo. Diceva una nota rivoluzionaria (Tina
Modotti) “Tutto ciò che non mi uccide mi rafforza”
La nostra forza è stata quella di costruire un sindacato paritario, la
caparbietà delle nostre azioni dà i suoi frutti. Con questi valori dobbiamo
lavorare per costruire un Coordinamento forte che sia presente in tutte
le battaglie della Cgil
Noi donne dello Spi
vogliamo e dobbiamo sapere agire, dentro
l’organizzazione sindacale, nel rapporto con la nostra rappresentanza, con
il territorio, per rafforzare la nostra idea di confederalità e per
determinare la realizzazione delle strategie sindacali dello Spi e della
Cgil, sia politiche che organizzative. Questo è lo spirito con il quale
organizzeremo i nostri lavori
L’Assemblea nazionale ha affermato il valore dell’attività dei
coordinamenti donne sull’insieme delle tematiche dello Spi, sottolineando
che non si tratta di un agire separato, bensì di un’azione intrecciata con le
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politiche dell’intera Organizzazione, cui l’ottica di genere conferisce un
valore aggiunto.
Oggi, nella nostra Assemblea dobbiamo riaffermare con forza tale
principio e far ripartire da questo la discussione e le proposte dei gruppi
di lavoro.
“Le donne” – ha dichiarato il presidente dell’Isfol, Sergio Trevisanato
hanno un tetto di cristallo che è posizionato sopra le loro teste. Arrivate
fino ad un certo punto della carriera questa lastra, invisibile ma
persistente, gli impedisce di progredire ulteriormente nel mercato del
lavoro. Ma c’è anche un terreno appiccicoso, che le intrappola dal basso e’
il problema della conciliazione tra vita professionale e vita privata.
attenzione
Il lavoro delle donne è ancora considerato subalterno a quello maschile.
Strette tra il desiderio di realizzarsi nel mondo del lavoro e le esigenze
di cura della casa e dei figli, le donne sono spesso costrette ad
abbandonare il lavoro o a rinunciare alle progressioni di carriera o, ancora,
a scegliere occupazioni dove guadagnano di meno ma che gli danno più
tempo a disposizione. Una piena condivisione del lavoro domestico tra
uomini e donne, d’altro canto, è in Italia ancora un miraggio. In media, una
donna con un figlio di non oltre i 6 anni dedica al bambino circa 5 ore e
mezza al giorno, contro le 3 e mezza del padre, che invece lavora quasi 3
ore di più.
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Discriminare le donne riduce la competitività del Paese. Emerge
quindi la necessità di politiche che da una parte favoriscano la
conciliazione tra lavoro retribuito e non retribuito, allargando l’offerta di
servizi alla famiglia, e dall’altra promuovano un’ effettiva cultura della
parità. Pensiamo alle donne che lavorano stabilmente fuori e dentro casa,
di quelle che cercano lavoro e non lo trovano, delle lavoratrici costrette al
lavoro nero, delle licenziate, delle precarie, delle tante che hanno lasciato
lontano le loro famiglie per occuparsi delle nostre, e delle donne ridotte in
schiavitù.
Vogliamo servizi adeguati per le donne che lavorano, dalla tutela
della maternità agli asili nido
Vogliamo che sia salvaguardata la salute della donna, con il rilancio
dei consultori e della medicina pubblica
Vogliamo norme appropriate per le pari opportunità e che
impediscano il licenziamento “preventivo” : niente più dimissioni in bianco.
Vogliamo le donne rappresentate, 50 e 50 ovunque si decide.
Vogliamo dire no alla violenza maschile, fisica e psicologica
Lottiamo per un modello positivo e reale della donna, alternativo
all’immagine mediatica che intende il corpo femminile come merce di
scambio nella società e nella politica.
Virginia Wolf cercava di immaginare, negli anni Trenta, come
avrebbe potuto essere una società governata dalle donne, si interrogava
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se fosse possibile una differente modalità di esercizio del potere, meno
aggressiva e meno competitiva, più inclusiva, solidale e creativa che
contribuisse a creare un mondo in pace e non in guerra...a distanza di
quasi un secolo non lo sappiamo ancora.
L'ingresso delle donne nel mondo del lavoro, nella vita politica e
sociale, uscendo da una dimensione prevalentemente familiare, privata, è
stata la vera rivoluzione del novecento, ha cambiato il volto della nostra
società, innescando una serie di mutamenti profondi
Ma questa rivoluzione è ancora incompiuta.
Le donne sono entrate nel mondo del lavoro, un mondo costruito
dagli uomini, per gli uomini su modelli maschili ... sono riuscite a cambiare
il mondo del lavoro?, a trasformare questi modelli,? Credo solo in piccola
parte...ognuna di noi si è adeguata, chi meglio, chi peggio, elaborando una
propria strategia, individuale di adattamento .
Eppure le donne sono un potente motore di cambiamento.. e mai
come adesso questo cambiamento è necessario, per le donne, ma non solo.
La drammatica crisi economica che stiamo attraversando ci impone
delle scelte. E' una crisi , come Cgil lo abbiamo più volte denunciato, ed in
qualche misura lo avevamo anche previsto, che nasce dalle diseguaglianze,
nella distribuzione del reddito, nello sviluppo dei popoli e dei territori,
nella distribuzione dei ruoli.
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E non ne usciremo, o perlomeno non nel senso che noi auspichiamo, se
non metteremo in atto quei cambiamenti che la crisi stessa ci reclama, se
non andremo a riequilibrare quelle diseguaglianze che l'hanno provocata.
A
partire
dalla
diseguaglianza
principale,
quella
di
genere,
dall'enorme potenziale di lavoro, talenti, capacità che ancora non
riusciamo ad utilizzare pienamente. In questa condizione già complicata si
è innestata la fase recessiva, che, per sua natura , non ha gli stessi
effetti su tutti i soggetti, ma tende ad accentuare le disuguaglianze.
Per avere una lettura reale della crisi occorre rideclinarla rispetto
alle differenze di genere, di età, di etnia : non parlare più di un lavoratore
neutro, senza sesso né età, inesistente nella realtà, ma lavoratori e
lavoratrici, giovani e meno giovani, italiani e migranti e così via….
I percorsi di lavoro delle donne sono segnati abitualmente da una
maggiore discontinuità, e oggi le donne che perdono il lavoro, oppure
escono dal mercato del lavoro magari a causa di una maternità hanno
maggiori difficoltà a rientrare
Non è un caso che le lavoratrici siano infatti quasi esclusivamente
titolari di pensioni di vecchiaia: ciò è dovuto al ritardato accesso al
mercato del lavoro, ai lavori saltuari, precari, stagionali, al part-time, alla
frammentazione della vita lavorativa che spesso è piena di buchi per
dedicarsi alla cura dei figli e dei genitori, ai licenziamenti in bianco per
maternità, ecc.; mentre i lavoratori sono soprattutto titolari di pensioni di
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anzianità, vera prerogativa maschile tipica di chi ha iniziato a lavorare
presto con continuità e senza le interruzioni dovute ai problemi familiari
Si stanno creando nuovi esclusi, nuove povertà e moltissimi di questi
sono donne, basti pensare alle famiglie in cui il capofamiglia è donna ed
alle anziane che vivono con una pensione, magari di reversibilità,
insufficiente a coprire anche i bisogni essenziali.
Eppure investire sull'occupazione delle donne è una leva potente per
lo sviluppo economico, il lavoro delle donne lo affermano concordemente
tutti gli economisti è un moltiplicatore, crea nuova occupazione
soprattutto nei servizi, aumenta la capacità di spesa delle famiglie,
accresce la fiducia, la propensione al consumo, incrementa il Pil. Insomma
è una misura anticiclica che non possiamo permetterci in questa fase di
ignorare.
Non è solo una questione di equità , ma di efficienza, non è problema
che riguardi solo le donne ma l'intero sistema.
Ci si interroga su quale modello di società vogliamo dopo la crisi. Se
crediamo in un progetto di società in cui donne e uomini partecipano
pienamente e paritariamente alla vita economica, sociale, politica, in cui
sono entrambi inseriti nel mondo del lavoro, in cui entrambi condividono le
responsabilità familiari con il supporto di un welfare che risponda ai nuovi
bisogni è questo il momento di costruirlo, approfittando anche della crisi
e dei cambiamenti che ogni crisi epocale porta con sé per ridisegnare un
modello di sviluppo in chiave più adeguata.
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Ogni donna è in bilico tra due dimensioni opposte ed egualmente
totalizzanti : un mondo del lavoro che, ancora costruito su modelli maschili
e obsoleti, richiede una presenza ed una disponibilità "ovunque" e "in
qualunque momento" ed i compiti di cura che gravano ancora per il 77%
sulle spalle delle donne, in un deserto di servizi.
Per capire quanto la doppia presenza, il doppio carico di lavoro
condizioni ancora la vita delle donne e il loro inserimento nel mercato del
lavoro basta guardare i dati dell’occupazione correlati al numero di figli.
Il
welfare familista
che scarica
sulla
famiglia, unico
vero
ammortizzatore sociale di questo Paese, le responsabilità del lavoro di
cura è il principale nemico delle donne e della costruzione di un'autentica
parità, la causa strutturale dell'arretratezza del Paese.
Cosa fa il governo? Non mette in atto le necessarie politiche di
contrasto alla crisi…anzi. . A questa visione dobbiamo avere la capacità di
contrapporre un progetto globalmente alternativo. Non sottraendoci alla
sfida di cambiare il mondo del lavoro e della società portando il nostro
punto di vista, il nostro sguardo di donna, la nostra differenza.
Realizzando quelle politiche di conciliazione che non siano più intese
come intervento spot ma sistema integrato che comprenda welfare,
servizi, ma anche mobilità, politiche dei tempi e degli orari, politiche del
benessere, governo del territorio, qualità del lavoro dobbiamo cominciare
a parlare di politiche per l'infanzia a 360°in una logica che accompagna il
bambino dai primi mesi di vita fino all’adolescenza, coniugando la qualità
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dell’offerta pedagogica e formativa con le esigenze di conciliazione di
madri e padri rispetto ai tempi e agli orari di lavoro. E quindi offerta di
asili nido e scuole dell’infanzia, fondamentali per la formazione della
personalità e l’educazione alla socialità, ma anche servizi pre e post
scuola, i centri estivi, e le attività educative extrascolastiche ( ricreative,
ludiche, sportive) che oggi sono in gran parte delegate agli oratori,
all’associazionismo.
Riconoscere dignità e valore al lavoro di cura, e ribadendo il nostro
no all’aumento dell’età pensionabile delle donne.
Riconoscimento di contributi figurativi per il lavoro di cura svolto
nell’ambito della famiglia: (crescita dei figli, cura dei disabili e non
autosufficienti cosi come avviene in alcuni paesi europei.)
Modifica delle regole per la pensione di reversibilità tanto più che
sono frutto di contributi effettivamente versati dai familiari scomparsi,
per cui non dovrebbe essere considerata assistenza.
A questo proposito, voglio ricordavi della nostra iniziativa (raccolta
firme per portare la reversibilità al 100% laddove risultasse l’unico
reddito del coniuge superstite) ed è stata depositata al parlamento con
una proposta di legge presentata dalla ns deputata Amalia Schirru.
Parliamo del lavoro di cura che tradizionalmente la donna ha
dedicato
e
dedica
all’interno
della
famiglia,
a
quei
soggetti
temporaneamente o stabilmente più deboli o più fragili.
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Ha subito un’accelerata negli ultimi 15-20 anni, sia per l’allungamento
della vita (certamente un bene in sé), sia per il progresso rapido nel
campo della medicina, che ha visto sopravvivere sempre più persone di
tutte le età e, conseguentemente il crescere numerico di persone non
autosufficienti e delle problematiche collegate.
Questa situazione ha determinato la crescita della domanda di
servizi e di interventi appropriati per affrontarla, ma il servizio pubblico
non è stato in grado, spesso, di dare una risposta esaustiva ai bisogni,
lasciando in molti casi le famiglie da sole.
La ricerca di risposte ha incrociato, verso la metà degli anni novanta,
una grande offerta di manodopera a basso costo, rappresentata da donne
immigrate, che si offrivano ad esercitare quel lavoro di cura, che non
poteva più essere svolto dalle nostre donne, a causa del cambiamento del
modello di famiglia patriarcale e del loro ingresso nel mondo del lavoro.
La non autosufficienza racchiude in sé un insieme ampio di disagi,
che investono non solo la sfera individuale di chi ne è portatore, ma anche,
e soprattutto, quella familiare e sociale, e la parte più numerosa dei non
autosufficienti sono le persone anziane.
E’ evidente che c’è la necessità di dare risposte differenziate.
Risposte che possono e devono essere diversificate, dopo un’accurata
analisi sia del grado della non autosufficienza, sia del contesto familiare e
sociale.
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Parliamo anche dei Consultori che
hanno perso, negli anni, quella
specificità di servizio per le donne, in cui la prevenzione rivestiva un
carattere importante (educazione sessuale nelle scuole, incontri con la
cittadinanza, ecc.) per assumere sempre di più un ruolo di mero
ambulatorio ginecologico. Questa situazione è determinata in gran parte
dalla carenza di personale che crea disservizi, con perdita della qualità
e/o scelta di privilegiare alcune attività rispetto ad altre. Inoltre spesso
c'è carenza di integrazione tra ospedale e consultorio con interruzione
della continuità assistenziale. E’ necessaria una maggiore informazione fra
i cittadini e una maggiore omogeneità fra i vari consultori e le varie ASL
Sarebbe importante conoscere se nei consultori c’è stato negli anni
un aumento nell’accesso di donne immigrate e per quali problematiche.
Per quanto riguarda l’informazione potrebbe essere utile proporre
“incontri fra generazioni” e cioè incontri di donne/uomini anziane/i
(creare dei gruppi formati per questo) con i giovani delle scuole medie
superiori, sull’importanza dei consultori e della prevenzione, anche per
recuperare e salvaguardare la memoria sulle lotte per la conquista di
diritti fondamentali, quali la maternità e paternità responsabili, l’aborto, il
divorzio, ecc.
Il problema della medicina di genere nasce dal fatto che gli studi di
nuovi farmaci, di nuove terapie e dell’andamento delle malattie sono
sempre
stati
condotti
considerando
come
fruitori
i
maschi.
Di
conseguenza le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un
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vizio di fondo: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle
ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una
prospettiva maschile che sottovaluta le peculiarità femminili.
Sempre più spesso si sente parlare di come donne e uomini debbano
essere uguali anche nel diritto alla salute e di fronte ai servizi socio
sanitari.
Sempre più si sente parlare di salute della donna o di salute
dell’uomo, che vuol dire focalizzare l’attenzione sulle malattie che
colpiscono prevalentemente l’uomo e la donna. Oggi invece abbiamo
bisogno e urgenza di parlare di medicina di genere che non si identifica
con le malattie delle donne e degli uomini, ma cerca di capire come curare,
diagnosticare e prevenire le malattie comuni ai due sessi, e che incidono
diversamente su uomo e donna per la differenza di genere
Bisogna convincersi che la medicina di genere é imprescindibile sia
nella ricerca, che nella clinica medica, innanzitutto perché le donne si
ammalano di più. Le donne vivono più a lungo, ma si ammalano di più ed
usano di più i servizi sanitari
La medicina di genere permette di evidenziare anche nel campo della
ricerca farmacologica le diverse risposte all’assunzione dei farmaci da
parte dell’organismo maschile rispetto a quello delle donne che sembrano
essere più soggette a reazioni avverse. Tale studio si impone in tempi
ravvicinati, in quanto il consumo dei farmaci da parte delle donne è
percentualmente più elevato rispetto a quello degli uomini.
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Senza un orientamento di genere, la politica della salute risulta
metodologicamente
scorretta,
oltre
che
discriminatoria
e
le
disuguaglianze possono aggravarsi per la necessità di una forza lavoro più
mobile e flessibile.
Per questo motivo la medicina di genere è ormai una realtà dalla
quale non si può prescindere!
Vorrei parlarvi anche del Bilancio di Genere (Gender Budget) che
nasce in Australia e in Sudafrica nella metà degli anni 80, quando i governi
sperimentano l’impostazione dei propri bilanci utilizzando degli indicatori
di genere. E’ grazie al consolidamento della sperimentazione del Bilancio
di Genere e alla diffusa pratica di partecipazione di cittadine e cittadini,
nelle scelte delle amministrazioni pubbliche, che si raggiungerà un
effettivo benessere sociale ed economico dell’intera collettività.
Il Bilancio di Genere non è tuttavia da considerarsi un semplice
dispositivo economico, ma uno strumento chiave con cui le autorità
pubbliche, a qualsiasi livello, effettuano delle scelte politiche, che
definiscono il modello di sviluppo socio-economico, i criteri e le priorità di
intervento, rispetto
alle politiche e ai bisogni dei propri cittadini,
producendo un impatto e degli effetti diversi a seconda che siano uomini o
donne.
Se non si utilizza un’ottica di genere nella costruzione del bilancio
pubblico, si riprodurranno le disuguaglianze socio economiche presenti e
radicate nella comunità. Se è vero che diversi sono gli stili di vita, le
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responsabilità, i livelli di reddito, i gusti e le preferenze, i bisogni, i diritti
e i doveri è altrettanto vero che l’azione politica di un ente, rivolta a
tutta la cittadinanza, ha in realtà ricadute diverse su uomini e donne.
Per tutto questo il Coordinamento Donne dovrebbe attivarsi per
impegnarsi affinché lo SPI CGIL metta in bilancio più risorse mirate a
percorsi di informazione/formazione per le donne.
E
anche
molto
importante
attrezzare
culturalmente
e
psicologicamente le compagne ad affrontare l’ampia e articolata
problematica sindacale. E ovvio che la formazione deve essere una nostra
assoluta priorità
Invito le compagne a un confronto di opinioni, relativo all’iscrizione
allo Spi delle donne casalinghe che da quest’ anno andranno in pensione di
vecchiaia a 62 anni fino ad arrivare nel 2018 a 65 anni di età.
La presenza di punti di riferimento femminili nelle Leghe, come le
Leghe a direzione femminile o come i Coordinamenti donne, risponde
anche all’esigenza di un proselitismo di genere, per avvicinare le donne al
sindacato e per farle restare nel sindacato, in quanto trovano una realtà
che sa affrontare i loro problemi, sa dare risposte ai loro bisogni,
attrattiva per il modo di lavorare, di discutere e che sa sviluppare anche
iniziative culturali e relazioni amicali.
Il forte cambiamento della società italiana arriverà dalle donne?
Credo che tale cambiamento o, arriva dalle donne, o non ci sarà
Enza tartaglione
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