LA RIFORMA DELLA LEGGE SUL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO TRA NOVITÀ VERE ED APPARENTI* EDITORIALE 4/2005 di Maria Alessandra Sandulli (Professore ordinario di diritto amministrativo, Università Roma Tre, Roma) 24 febbraio 2005 Dopo quattro anni dalla sua prima presentazione, il 25 ottobre 2000 (con il n. 6844-A), e dopo molte, anche sostanziali, modifiche, che ne hanno quasi completamente svuotato il contenuto innovatore, oggetto del resto sin dal suo primo apparire di fortissime critiche, il 25 gennaio 2005 la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge (n. 1281-B), recante “modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990 n.241, concernenti norma generali sull’azione amministrativa”. La lettura comparata delle diverse versioni del d.d.l. - decaduto con la fine della passata legislatura e riapprovato, con modificazioni, dal Consiglio dei Ministri il 7.3.2002 ed assegnato in sede referente alla 1 Commissione Affari costituzionali del Senato il 2.4.2002, per poi iniziare una lunga navetta tra Senato e Camera durata per quasi due anni1 - dimostra come il testo definitivamente approvato sia in realtà frutto di un evidente compromesso tra la 1 Il DDL n. 6844-A, di riforma della legge sul procedimento amministrativo, presentato dal Deputato Prof. VINCENZO CERULLI IRELLI, viene approvato per la prima volta dalla Camera dei Deputati il 25.10.2000, ma decade successivamente a causa dello scadere della legislatura. IL DDL viene quindi ripreso e “ritoccato” ed è approvato dal Consiglio dei Ministri in data 07.03.2002. Il nuovo DDL, n. S. 1281 viene approvato dal Senato il 10.04.2003 e trasmesso alla Camera, che lo modifica nuovamente, in modo sostanziale, e lo approva con modificazioni il 14.10.2004. Questa versione del decreto viene poi nuovamente modificata al Senato, che ne approva un'ennesima versione, il 21.07.2004. Questa versione del DDL è stata infine approvata dalla Camera dei Deputati, in via definitiva, in data 25.01.2005. Sulla penultima versione del DDL e, in genere, sulle problematiche sollevate dalle relative disposizioni, si veda V. PARISIO (a cura di), Vizi formali, procedimento e processo amministrativo, Atti del X Convegno biennale di Diritto Amministrativo, 23 ottobre 2003, Milano, 2004; e Atti del Convegno Frammenti della riforma in itinere della legge sul procedimento amministrativo (L.241/90), tenutosi a Roma, Palazzo Spada, 3 giugno 2004; nonché AA.VV., Commentario alla legge sul procedimento amministrativo, a cura di S. COGLIANI, Padova, CEDAM, 2004. *Introduzione al Commento alla legge di riforma della legge n. 241/1990 (a cura di Vittorio Italia), Milano, Giuffré, 2005, in corso di pubblicazione. federalismi.it numero 4/2005 volontà di concludere comunque l’iter legislativo di un progetto quale tanto si era parlato e l’esigenza di limitarne al massimo l’impatto sul sistema esistente. Scompaiono così previsioni come quella che eliminava il vizio di incompetenza tra i presupposti di illegittimità degli atti amministrativi (contenuta soltanto nella prima versione del disegno legislativo) o quella che affermava la regola dell’azione amministrativa secondo i principi del diritto comune (oggetto di continue modifiche fino a perdere del tutto, nella versione definitiva, ogni profilo innovatore), o ancora quella che negava ogni rilevanza ai vizi c.d. formali e procedurali (ricondotta entro limiti ben più ristretti). Il nuovo testo, pur portatore di alcune novità (per vero non tutte apprezzabili), si segnala dunque essenzialmente per aver esplicitato in forma legislativa, con qualche vantaggio forse soltanto per una maggiore certezza del diritto, alcuni tradizionali principi dell’azione amministrativa (come quello dell’efficacia ed esecutività del provvedimento o della sua revocabilità o quello della possibilità di recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione “nei casi previsti dalla legge o dal contratto”). Se la l. 241 nella sua originaria formulazione toccava soltanto alcuni profili del procedimento, le integrazioni introdotte dalla novella del 2005 valgono invero a trasformarla in una “legge generale sul procedimento”, con tutti i pregi e i difetti di una cristallizzazione di regole comuni a tutta l’attività amministrativa e con alcuni “eccessi di zelo” nell’introduzione di norme assolutamente superflue, quale, come ben osservò Hans Kelsen, quella che enumera le ipotesi di nullità.2 Lasciando evidentemente ai rispettivi Autori il commento delle singole disposizioni, merita richiamare sin da ora l’attenzione sugli articoli che hanno formato maggiormente oggetto di dibattito, anticipando alcune prime considerazioni sulle soluzioni da ultimo accolte. Come accennato, uno dei profili che hanno destato più acceso interesse è quello delle modifiche ed integrazioni all’art.1 della l. 241, recante i principi generali che devono informare l’esercizio dell’azione amministrativa. A parte l’espresso riferimento al generale dovere di trasparenza e di osservanza dei principi dell’ordinamento comunitario che deve informare l’operato della p.A. e il richiamo all’obbligo di osservanza dei principi di cui all’art.1 da parte dei privati preposti all’esercizio 2 N. IRTI, Concetto giuridico di “comportamento” e invalidità dell’atto, in Foro Amm-TAR, 2004, 2766. www.federalismi.it 2 di attività amministrative3 (che confermano principi già pacifici nell’attuale ordinamento), la novella in commento introduce un art.1 bis per affermare che “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente”. Nonostante l’apparenza di novità, che ha verosimilmente suggestionato alcuni primi commentatori della norma, già una attenta lettura della stessa, ma soprattutto la relativa disamina comparata con i diversi passaggi della sua evoluzione nel ricordato lungo percorso formativo della legge, dimostrano come, in realtà, ancora una volta, il legislatore abbia semplicemente tradotto in forma scritta principi già insiti nel sistema. Ed invero, come recentemente ricordato dalla Corte Costituzionale nella notissima sentenza 6 luglio 2004 n.204 sul riparto delle giurisdizioni, il normale agire dell’Amministrazione si esplica attraverso atti autoritativi, secondo il tradizionale binomio autorità/potere cui corrisponde un mero interesse legittimo, mentre, quando non esercita alcun potere, l’Amministrazione ha sempre agito attraverso atti di diritto comune, inidonei come tali a degradare eventuali diritti soggettivi, e regolati dal diritto privato. La formula dell’art.1 bis, che per un verso, “capovolgendo” l’ordine propositivo del disegno legislativo originario (che “apriva” la disposizione con il principio che l’amministrazione doveva agire secondo regole di diritto comune), espressamente “riduce” l’applicazione delle norme di diritto privato alle ipotesi in cui l’Amministrazione non agisce nell’esercizio dei suoi poteri e non sia comunque diversamente stabilito dalla legge e per l’altro, sostituendo la formula “diritto privato” a quella, originaria, di “diritto comune”, respinge in radice l’iniziale volontà di affermare l’esistenza di un “diritto comune generale” cui ricondurre anche l’attività amministrativa, deve essere correttamente intesa come una mera norma di apertura di una legge generale sull’attività amministrativa, alla quale non può essere riconosciuto alcun contenuto innovatore. Sotto questo fronte, dunque, sembra proprio utile ricordare la formula gattopardesca, secondo cui “tutto cambia perché tutto resti uguale”. Indubbiamente degna di apprezzamento è invece la precisazione, resa per vero necessaria soltanto da un’erronea lettura del testo originale dell’art.24 della l.241, che il ricorso avverso il silenzio non deve essere preceduto da una diffida all’amministrazione inadempiente, salvo 3 L’estensione deve intendersi all’evidenza riferita limitatamente all’esercizio di tali attività. La considerazione, incontestabile, è confermata da quanto previsto dalle successive disposizioni in tema di accesso su cui v. infra in questa Introduzione. 4 V. da ultimo, in termini giustamente critici, M. OCCHIENA, Diffida e silenzio-rifiuto: il tradimento della teoria di Aldo M. Sandulli, in AA.VV., Aldo M. Sandulli (1915-1984), Attualità del pensiero giuridico del Maestro, Milano, Giuffrè, 2004, 405. www.federalismi.it 3 però l’onere, opportunamente introdotto ad evidenti fini di certezza (purtroppo disillusi dall’incertezza sui criteri di calcolo e sul concetto di “proposizione” del ricorso), di proporlo entro un anno dalla scadenza del termine per provvedere ovvero di riproporre l’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti. Il secondo profilo sul quale il disegno di novella legislativa ha suscitato maggiori discussioni investe la distinzione tra vizi formali e vizi sostanziali ai fini della diversa rilevanza che essi assumono ai fini dell’annullamento dell’atto amministrativo5. Il testo originario del progetto prevedeva, come noto, una totale equiparazione tra i vizi formali e i vizi procedurali, per negare ad entrambi (e, in primo tempo, anche all’incompetenza) ogni concreta rilevanza ai fini dell’annullabilità dell’atto che ne fosse affetto. La disposizione veniva giustificata con l’esigenza di evitare l’annullamento di atti sostanzialmente legittimi e, come tali, integralmente rinnovabili, e, al tempo stesso, di imporre al giudice una pronuncia sui vizi sostanziali meglio idonea a “guidare” l’Amministrazione nel suo successivo operato. Premesso che tale ultimo obiettivo, pur pienamente condivisibile, appare in contraddizione con le disposizioni della l.205 del 2000 sulle sentenze in forma semplificata (che espressamente favoriscono una decisione limitata ad alcuni motivi di ricorso, anche non attinenti a vizi sostanziali) e sarebbe quindi più correttamente risolvibile attraverso una norma di diritto processuale che imponesse l’esame di tutti i motivi dedotti in giudizio, in ordine al primo profilo non si può non evidenziare che la rinnovazione di un atto annullato, anche se per vizi meramente formali, potrebbe essere comunque impedita da sopravvenute circostanze di fatto e di diritto o anche da una mera più ponderata riflessione sull’opportunità della relativa adozione, che è all’evidenza cosa affatto diversa dalla natura vincolata dei suoi contenuti. Un aspetto particolarmente dibattuto era stato poi quello dell’equiparabilità dei vizi procedurali a quelli meramente formali e più specificatamente quello della rilevanza del vizio di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento. La partecipazione costituisce invero la problematica centrale di tutto il procedimento amministrativo. Attraverso il momento partecipativo, più che in ogni altro modo, la p.A. è messa effettivamente in condizione di conoscere le diverse circostanze di fatto ed i diversi 5 Sul tema, si rinvia per tutti a D.U. GALETTA, Violazione di norme sul procedimento amministrativo e annullabilità del provvedimento, Milano, 2003. www.federalismi.it 4 interessi da valutare e, dunque, è posta in grado di perseguire in modo più equo, proporzionato e corretto, l'interesse pubblico particolare di cui è portatrice, interesse che, si ricorda, deve in ogni caso "fare i conti" anche con l'interesse pubblico generale al miglior soddisfacimento dell'interesse della collettività. Il principio di buona amministrazione esige invero tradizionalmente che essa deve essere svolta, naturalmente nel rispetto della legge, in vista della soddisfazione dell'esigenza che l'interesse collettivo in generale (interesse pubblico generico) e l'interesse collettivo che sta alla base del particolare compito amministrativo da attuare nel caso specifico (interesse pubblico specifico), abbiano a realizzarsi, in primis, operando il ragionato confronto di tutti gli interessi pubblici compresenti nella vicenda: dove il richiamato interesse pubblico generale non può non coincidere con i valori stessi di un ordinamento giuridico, tra cui in primis l'esigenza di certezza del diritto e il rispetto della massima trasparenza e partecipazione. La funzione della partecipazione al fine di individuare compiutamente gli interessi in gioco per una corretta disciplina degli stessi in vista del raggiungimento dello scopo dell’interesse pubblico che costituisce la funzione irrinunciabile dell’azione amministrativa è stata del resto messa in luce dalla migliore dottrina. Lo scopo del procedimento è infatti quello di far sì che la p.A. possa "decidere meglio" e dunque, prima ancora di prestare tutela agli interessi individuali, di garantire la soddisfazione di quelli pubblici. La giurisprudenza costituzionale, mentre ha tradizionalmente negato che il giusto procedimento assumesse il rango di principio costituzionale, vi ha del resto riconosciuto un criterio di orientamento per il legislatore (cfr. le sentt. 57 e 210 del 1995): criterio che trova a ben vedere le sue origini nella stessa legge di abolizione dei tribunali del contenzioso amministrativo, che già nel 1865 (e dunque circa 140 anni fa), stabiliva che sugli affari non devoluti alla giurisdizione ordinaria, le autorità dovessero provvedere con decreti motivati, ammesse le deduzioni e le osservazioni per iscritto delle parti interessate. Quando l'Autorità amministrativa è chiamata a valutare interessi confliggenti, l'omissione del contraddittorio si traduce invero in un inutile ed irragionevole rischio di "iniqua amministrazione". Il giusto procedimento costituisce del resto un principio di diritto comunitario, affermato non soltanto nella Convenzione dei diritti dell'uomo, ma, ancor più significativamente, nella recentissima Costituzione europea, che, mentre espressamente include lo “Stato di diritto” tra i “valori” dell’Unione, riconosce il diritto dei cittadini europei alla buona amministrazione, di cui è testualmente riconosciuta espressione "il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi www.federalismi.it 5 pregiudizio", mentre il diritto alla trasparenza dell'azione amministrativa è espresso nel diritto di accesso al proprio fascicolo personale e in quello alla motivazione dei provvedimenti amministrativi (art.II-101). La comunicazione di avvio del procedimento, prevista dall’art.7 l. 241, come garanzia di trasparenza e, soprattutto, di partecipazione costruttiva al procedimento amministrativo, costituiva invero sotto questo profilo, il "fiore all'occhiello" o, secondo una visione antitetica, l'"handicap" del modello procedimentale disegnato dalla stessa legge e, di conseguenza, uno dei profili più dibattuti del relativo progetto di riforma. Lo strumento, che non trova corrispondente in alcun altro ordinamento, per quanto garantista, dell’Unione europea, fu infatti accolto, per un verso, con estremo favore da parte di quanti vi hanno giustamente riconosciuto un importante, e come tale non più rinunciabile strumento di garanzia della massima partecipazione e, per l'effetto, di completa rappresentazione degli interessi in gioco e di equo contemperamento degli stessi, e, per l'altro, con estrema preoccupazione da parte di quanti, non senza realismo, vi individuavano uno strumento di appesantimento dell'azione amministrativa. Tale opposto atteggiamento coglieva la contraddizione insita nelle c.d. "due anime" della legge: quella tendente alla semplificazione e accelerazione del procedimento e quella, ad essa per molti aspetti antitetica, diretta a garantirne la massima trasparenza. Se infatti per un verso la l.241 sancisce il principio di speditezza dell'azione amministrativa e istituzionalizza strumenti di composizione unitaria degli interessi in campo, per l'altro, attraverso l'obbligo generalizzato di motivazione, esteso anche ai provvedimenti di contenuto positivo, e le nuove garanzie di partecipazione, costituite dall'obbligo di comunicazione e dalla disciplina in tema da accesso, finisce inevitabilmente per "appesantire" lo stesso procedimento e, di conseguenza, per allungarne i tempi. Così, mentre il legislatore del 1990 ha cercato, in coerenza con i principi di democraticità e di buona amministrazione e con l'esigenza di risolvere gli eventuali conflitti all'interno del procedimento, riducendo in tal modo l'inutile ricorso agli organi di giustizia, di offrire la massima garanzia di contraddittorio all'interno del procedimento, gli operatori e taluni riformisti hanno immediatamente cercato di ridurne la portata: i primi, adoperandosi ad individuarne tutte le possibili eccezioni e i secondi propugnando la teoria della irrilevanza dei c.d. vizi formali ed equiparandovi poi con un'operazione alquanto criticabile quelli c.d. procedimentali. www.federalismi.it 6 Sono però evidenti i pericoli che la negazione di ogni rilevanza alla violazione di espliciti precetti legislativi implica per la certezza del diritto e per l'effettività stessa del sistema. Il ruolo che la partecipazione svolge nel procedimento, apportando un indubbio contributo di utilità e di arricchimento all'azione amministrativa, giustifica per altro verso ampiamente anche alla stregua di un criterio di proporzionalità un eventuale (ma in realtà solo teorico) allungamento dei termini procedimentali, ampiamente compensato da una cura dell'interesse pubblico più consapevole e più coerente con le diverse istanze coinvolte. Recependo in buona parte i rilievi mossi dalla dottrina, il testo legislativo approvato in via definitiva dal Parlamento circoscrive l’irrilevanza dei vizi c.d. formali o procedimentali agli atti a contenuto vincolato e, soprattutto, con specifico riferimento all’omessa comunicazione di avvio, che opportunamente disciplina in via autonoma, rimette alla stessa Amministrazione, invece che ai giudici, la c.d. "verifica di resistenza dei contenuti del provvedimento". Pur evidentemente migliore rispetto alle precedenti versioni, la norma ne conferma in parte le discrasie. Prima fra tutte la conferma della possibilità di disattendere una prescrizione di legge (violare il dovere di legalità) senza prevedere specifiche conseguenze negative. Seconda, l’intima contraddizione che lo stretto collegamento posto tra partecipazione e discrezionalità presenta rispetto ai nuovi contenuti della comunicazione, che, nel nuovo testo, è diretta a rendere edotti gli interessati di una serie di circostanze (tempi, rimedi, ecc) che prescindono dal contenuto vincolato e discrezionale del provvedimento e la cui omissione non può restare tamquam non esset. Ancora, non ultima, la mancata considerazione della circostanza che un atto, pur vincolato, potrebbe non essere dovuto, con la conseguenza che la partecipazione, ancorché inidonea a modificarne i contenuti in caso di rinnovo, potrebbe più radicalmente determinare l’Amministrazione a non rinnovarlo. L’incerto iter legislativo subito dal testo in commento lascia per vero in dubbio la piena consapevolezza della distinzione tra carattere vincolato e dovuto di un provvedimento. E' invece – contraddittoriamente - scomparsa dal testo definitivo della legge l'esclusione dell'obbligo di comunicazione nel caso in cui i relativi destinatari abbiano comunque avuto conoscenza del procedimento e dei suoi contenuti essenziali. La regola del raggiungimento dello scopo, già applicata dalla giurisprudenza anche in subiecta materia, è infatti presente da tempo nel nostro ordinamento (v. per tutti l’art. 156, 3° comma, c.p.c., il quale stabilisce in generale che la nullità dell’atto non può essere pronunciata se l’atto stesso ha comunque raggiunto lo scopo a cui è destinato) e la sua affermazione anche ai fini di cui trattasi era quindi pienamente condivisibile, consentendo di evitare l’annullamento dell’atto finale nei casi in cui l’interessato che ha denunciato l’omissione della comunicazione di avvio, abbia www.federalismi.it 7 dimostrato, attraverso il proprio comportamento concludente di avere comunque avuto conoscenza dell’inizio del procedimento e “dei suoi contenuti essenziali”. L’attenzione che, nonostante i riferiti temperamenti ai fini dell’annullabilità del provvedimento finale, la novella legislativa comunque dedica alla partecipazione, è inoltre confermata dall’introduzione, nelle versioni finali del testo, di un nuovo art. 10 bis, che significativamente estende l’obbligo di “informazione a fini partecipativi” anche ai procedimenti ad istanza di parte, quando questi ultimi siano destinati a concludersi con provvedimento negativo. Introducendo questa norma, il legislatore sembra quindi avere decisamente optato per la conferma del ruolo sostanziale della trasparenza e del contraddittorio, in evidente contrasto con le pur mitigate disposizioni sulla possibile irrilevanza della violazione delle regole che li tutelano. L'estensione dell'obbligo di comunicazione partecipativa anche ai procedimenti ad istanza di parte segna invero il trionfo della tesi che rinviene una garanzia di buona amministrazione nel corretto svolgimento della sua azione rispetto a talune meno convincenti teorie sulla c.d. amministrazione per meri risultati, disgiunta dalla legalità ed appare perciò scarsamente compatibile con i richiamati principi di irrilevanza dei vizi procedimentali che investono tale obbligo. Analoghe incertezze del testo in commento si riscontrano nelle nuove disposizioni che, in attuazione del principio generale di trasparenza richiamato dal nuovo art.1, riscrivono la disciplina dell’accesso, di cui correttamente l’art.15, sostituendo l’art. 22 l.241, richiama l’attinenza ai “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale a norma dell’art.117, co 2 lett. m Cost.”. Nel rinviare allo specifico commento, non si può non sottolineare che la novella legislativa delimita l’accesso, anche nei confronti dei soggetti pubblici, in termini oggettivi, “all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”. Per un verso, quindi, il legislatore rinnega il percorso compiuto dalla giurisprudenza verso l’accesso agli atti di diritto privato delle pubbliche Amministrazioni e, per l’altro, nega la garanzia della trasparenza alle attività disciplinate dal diritto regionale o locale. Un’evidente “svista” nella redazione del nuovo testo dell’art.25 sembra poi consentire la notifica dell’istanza per l’accesso in pendenza di ricorso in via alternativa all’Amministrazione o ai controinteressati. Il fatto che un testo normativo ripetutamente passato all’esame dei due rami del Parlamento presenta una tale gravissima imperfezione non può che costituire un chiaro indice della scarsa www.federalismi.it 8 ponderazione con la quale, incuranti dei rilievi critici mossi dalla prevalente dottrina, si è giunti alla sua definitiva approvazione. Un’importante novità introdotta dalla legge in commento è la possibilità generalizzata di concludere accordi sostitutivi del provvedimento anche in difetto di specifiche previsioni di legge. Il discorso si sposta sugli effetti concreti dell’attenzione dedicata dalle leggi più recenti, tra cui quella sul procedimento, ai c.d. nuovi diritti dei cittadini, riscontrati da alcuni Autori nella “fuga” dell’Amministrazione dalle complessità del procedimento, alla ricerca di strumenti alternativi di composizione degli interessi, implicando così in ultima analisi il "declino" del procedimento. Il risultato di questo fenomeno, definito come “rivoluzione dei diritti” non mi sembra però negativo: non si è passati invero dall’autorità ai diritti, bensì, e soprattutto, da un’amministrazione autoritaria ad un'amministrazione democratica, nel senso di amministrazione trasparente e partecipata e come tale più giusta perché meglio rispondente agli interessi dell'intera collettività, di fronte alle quale il titolare di posizioni giuridiche soggettive già strutturate è coerentemente titolare di appositi interessi legittimi. In quest’ottica, la scelta di moduli di gestione partecipata alternativi al procedimento non può essere vista come risultato negativo o contraddittorio: tutto tende ad una migliore gestione degli interessi pubblici e privati ed ad un miglior rapporto tra Amministrazione e cittadini e la strada per raggiungere questo obiettivo è assolutamente indifferente. Del resto le garanzie del procedimento non sono necessarie ex se, ma lo sono soltanto perché in esso la p A agisce in veste autoritativa, per evitare appunto che, quando esercita un potere, non lo faccia in modo arbitrario ed ingiusto. Quando mancano tali condizioni, quando manca l'esercizio di una potestà e l'A. agisce in posizione paritaria, non si pone neppure un problema di garanzia del privato, che ne diventa coautore. L’Amministrazione per accordi non è che un nuovo più democratico modello di pubblica Amministrazione, che, come è stato da più parti sottolineato ha ormai tra i suoi tratti fondamentali il ricorso privilegiato a moduli consensuali e negoziali, sia rispetto agli interlocutori privati e pubblici esterni, sia rispetto alla propria comunità e ai propri componenti, anche quali normali esiti della partecipazione: come quest’ultima, l’accordo, oltre a costituire uno strumento estremamente efficace per il sicuro raggiungimento dei risultati, ha infatti il merito di consentire l’eliminazione preventiva della conflittualità e la connessa realizzazione del valore pace, anch’esso inerente all’idea stessa di amministrazione (V.E.Orlando). www.federalismi.it 9 Sia che agisca per accordi che per provvedimenti, l’amministrazione non può tuttavia prescindere dal rispetto dei nuovi principi partecipativi, la cui osservanza costituisce a sua volta il migliore risultato di un’amministrazione democratica. Mentre non è senza significato che la sentenza 204 del 2004 della Corte costituzionale abbia espressamente fatto salva la giurisdizione amministrativa anche su tali atti. Il riferimento all’amministrazione per accordi sposta se mai a questo punto l’accento sugli eventuali controinteressati, e cioè sui soggetti che dal provvedimento potrebbero subire un pregiudizio, ai quali comunque deve essere coerentemente data la comunicazione di avvio del procedimento, a nulla rilevando la possibilità di una sua definizione consensuale. Analogamente il problema si potrebbe porre per le attività poste in esse da privati in base ai principi di sussidiarietà orizzontale. Per gli accordi, la questione dovrebbe essere comunque risolta dalla previsione, nel nuovo co. 4 bis dell’art.11 l.241, introdotto dall’art.7 della legge in commento, della necessità che l’accordo sia preceduto da una determinazione dell’organo competente all’adozione del provvedimento. Di questo procedimento prodromico si dovrà quindi sicuramente notiziari i controinteressati. Un segno dell’attenzione rivolta dal legislatore verso questi ultimi è del resto rinvenibile nelle nuove disposizioni sull’annullamento d’ufficio, che, nel generalizzare i principi giurisprudenziali sull’obbligo di motivazione dell’interesse pubblico attuale alla caducazione dell’atto, significativamente ne legano la decisione alla valutazione delle posizioni degli interessati e dei controinteressati. Importanti anche le modifiche che la novella legislativa introduce in ordine alla conferenza di servizi, riscrivendo per l’ennesima volta il travagliato testo dell’art.14 della l.241 alla luce anche della riforma del titolo V della Costituzione e prevedendo nuovi strumenti di “chiusura” di un procedimento che rischiava di tradursi in un aggravio dell’azione amministrativa. L’esigenza di continue modifiche legislative alla disciplina dello strumento dovrebbe peraltro far riflettere sulla sua concreta possibilità di funzionare Il riferimento alle nuove competenze delle regioni e degli enti locali spinge da ultimo ad una brevissima riflessione sulla vincolatività delle norme statali sul procedimento nei confronti di tali soggetti. Se è vero, come è vero, che le garanzie del procedimento costituiscono livelli essenziali delle prestazioni attinenti ai diritti civili e sociali, ed anche alla luce dell'orientamento "centralista" mostrato dalla Corte costituzionale, sembra corretto ricondurle alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. www.federalismi.it 10 Il diritto ad una buona amministrazione costituisce un valore primario dell’ordinamento costituzionale e comunitario, un <<nuovo diritto sociale>> che deve essere garantito in modo unitario su tutto il territorio nazionale: e il soggetto depositario di tale onere non può che essere lo Stato, al quale appunto la citata disposizione costituzionale, ma soprattutto incontestabili regole di civiltà giuridica, impongono di riservare tale potere – dovere, che, non altrimenti dalla disciplina dei diritti di libertà (cui peraltro è strumentale), incide sulla stessa essenza della democrazia e dunque sulla forma stessa dello Stato. Una conferma, neppure tanto indiretta del potere statale di che trattasi si può inoltre ricavare dall’art. 120 del nuovo testo costituzionale, che prevede un generale potere di intervento sostitutivo del Governo a tutela dei principi di unità dell’ordinamento giuridico, di garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali e di rispetto delle norme internazionali e comunitarie. La previsione di un potere sostitutivo centrale in nome del principio di unità dell’ordinamento ha come logico e coerente presupposto che la pubblica Amministrazione agisca secondo regole – base unitarie e dunque che il procedimento amministrativo sia, per lo meno a grandi linee, disciplinato da una legge generale dello Stato (il principio di unità, combinato con quello di legalità, dovrebbero perciò, come già accennato all’inizio, chiudere il sistema). Regioni ed enti locali, nelle forme normative ad essi rispettivamente consentite, potranno poi evidentemente integrare la suddetta legge base per disciplinare i propri procedimenti amministrativi, ma non potranno mai rinunciare del tutto ad una tutela delle nuove istanze partecipative nei livelli minimi identificati dall'ordinamento generale; e ciò anche in considerazione del ruolo di garanzia che lo Stato necessariamente e costituzionalmente assume rispetto alla normativa comunitaria che, come si è visto, è a sua volta attenta a tali istanze.6 La novella del 2005 dispone infatti in tal senso in ordine all’accesso. Il nuovo art. 29, co.2, nel rimettere alle regioni e agli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, la disciplina delle materie regolate dalla stessa legge, li vincola poi coerentemente al rispetto del sistema costituzionale e “delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come – appunto – definite dai principi fissati dalla medesima fonte statale”. 6 Per maggiori approfondimenti di queste tematiche mi sia consentito di rinviare a M.A. SANDULLI, Partecipazione e autonomie locali, in Dir. amm., 2002, 555 ss.. www.federalismi.it 11