Essere dono
per l’altro
«Beati i poveri in spirito»
(Mt 5,3)
Lettera pastorale 2013 - 2014
Piccola Casa della Divina Provvidenza
Nel film su Papa Giovanni vi è una scena che
mi colpì in modo particolare. In un momento di
necessità o carestia della popolazione della Bulgaria, il Nunzio Roncalli andò per la strada con un
carico di pane distribuendolo alla gente che ben
volentieri lo riceveva. La scena fa vedere una reazione sdegnata di un rappresentante della Chiesa
ortodossa che inveiva contro questa carità papale,
nella quale egli vedeva un modo per attirare la
gente alla Chiesa cattolica. Non ricordo esattamente le parole del Nunzio, ma egli fece capire
che nel suo gesto non vi era niente se non la carità
di Cristo, il suo dono gratuito senza altre finalità.
La risposta della gente che aveva capito il dono
sincero e disinteressato del Nunzio Roncalli, non
solo in quella occasione, ma in tutta la sua permanenza in Bulgaria, viene poi messa in evidenza
nella scena della partenza del Nunzio da Sofia.
Una grande folla lungo la strada saluta il Nunzio
con le candeline tipiche degli ortodossi in mano,
accese, come quando nella liturgia ortodossa si
saluta il passaggio di Cristo, rappresentato dalla icona o da qualche altro simbolo liturgico. La
gente di Sofia aveva capito che il Nunzio Roncalli
era stato un dono per loro ed esprimeva semplicemente la sua riconoscenza nel momento in cui
egli lasciava la Bulgaria.
Qualche anno fa a Sofia, con una certa emozione, ho visitato la Nunziatura, dove ancora
1
oggi si conservano ricordi personali del Nunzio
Roncalli, divenuto poi Papa Giovanni XXIII, oggi
beato e prossimamente santo.
Ebbene tutti noi siamo chiamati a essere dono
l’uno per l’altro e questo avviene quando si vive
con gli altri rendendosi totalmente disponibili
verso di loro, senza nulla in cambio.
Una suora cottolenghina, morta ancora in giovane età dopo una malattia abbastanza lunga, di
fronte alla mia meraviglia che non avesse ricevuto
la visita di qualche persona che, a mio giudizio,
sarebbe stato normale che fosse andata a trovarla,
mi rispose: “Mia mamma mi ha insegnato che non
bisogna mai aspettarsi niente dagli altri!”.
È proprio così. Per essere dono dobbiamo essere disponibili verso gli altri, senza riserve, anche
con il sacrificio della vita, senza aspettarsi niente.
Il noto priore di Bose, Enzo Bianchi, in un
articolo su La Stampa circa un anno fa scriveva:
«Esiste ancora il dono, oggi? In una società segnata
da un accentuato individualismo, con i tratti di…
egoismo, egolatria che la caratterizzano, c’è ancora
posto per l’arte del donare?
Da una lettura sommaria e superficiale – continua il priore – si può concludere che oggi non c’è più
posto per il dono, ma solo per il mercato, lo scambio
utilitaristico, addirittura possiamo dire che il dono
è solo un modo per simulare gratuità e disinteresse
2
là dove regna invece la legge del tornaconto. In un’epoca di abbondanza e di opulenza si può addirittura praticare l’atto del dono per comprare l’altro, per
neutralizzarlo e togliergli la sua piena libertà» (E.
Bianchi, Il vero dono non vuole niente in cambio,
La Stampa, del 16 settembre 2012).
Non può essere così per il cristiano e per il
discepolo/a di san Giuseppe Cottolengo.
Non è stato Gesù, infatti, a darci per primo
l’esempio di una spoliazione estrema, Lui che
«da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché
voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà»
(2 Cor 8,9)? Cristo ha spinto il dono di sé fino
al vertice del sacrificio sulla Croce (cf Fil 2,5 ss)
e ciò ha fatto «quando eravamo ancora deboli»
(Rm 5,6). Sul Calvario ci è offerta una testimonianza assoluta di che cosa significhi “essere per” gli
altri, in obbedienza amorosa alla volontà di Dio.
La carità del cristiano ha il modello sul quale
costantemente misurarsi; lì ha pure la sorgente a
cui attingere l’energia necessaria per esprimersi
con slancio sempre rinnovato. Davanti a Cristo
che «non cercò di piacere a se stesso» (Rm 15,3),
ma «ha dato se stesso per i nostri peccati» (Gal
1,4), il cristiano impara a «non cercare l’interesse
proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4), impara a distogliere lo sguardo da sé per volgerlo
sull’altro. E giunge così, forse per la prima volta,
a prendere piena coscienza dell’esistenza dell’altro
3
con i suoi problemi, con le sue necessità, con la
sua solitudine (cf Giovanni Paolo II, alla Piccola
Casa, 1980).
Il decreto sull’eroicità di virtù del beato Francesco Paleari inizia con le parole di san Paolo: «Mi
sono fatto tutto a tutti» (1Cor 9,22). Questa frase
esprime veramente la realtà del dono vicendevole
che Cristo si attende da noi.
Consapevoli che la fede cresce quando «è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e
di gioia» (Porta Fidei 7), diventiamo autentici
testimoni nella misura in cui facciamo della nostra vita un dono. Questa è la via evangelica che
Gesù ci insegna per giungere alla vera beatitudine.
Donare è un’arte che è sempre stata difficile:
l’essere umano ne è capace perché è capace di rapporto con l’altro, ma resta vero che questo “donare
se stessi” – perché di questo si tratta, non solo di
dare ciò che si ha, ciò che si possiede, ma di dare ciò
che si è – richiede una convinzione profonda nei
confronti dell’altro. E la convinzione è quella che
ha insegnato Cristo: «l’avete fatto a me» (Mt 25,41).
L’altro non è un estraneo, un avversario, un
antagonista, l’altro è Gesù Cristo. Quindi il dono
di sé all’altro postula da parte nostra l’esigenza
ascetica del distacco, della povertà, anche radicale.
È quanto il Papa Giovanni Paolo II ha spiegato
4
chiaramente nel suo discorso nella Piccola Casa
nel 1980. Vale la pena riascoltare le sue parole: «…
la disponibilità totale alle esigenze dell’amore verso
le sofferenze dell’uomo, che il Cottolengo attuò nella
sua vita, non fu il frutto di un sentimentalismo
vago. Essa aveva alla base un atteggiamento di
povertà radicale, di pieno distacco cioè da sé e
dalle proprie cose, che rendeva possibile un’apertura
senza riserve alle interpellazioni della grazia di Dio
ed a quelle della miseria umana. Qui sta il segreto
di tutto. ... È questa povertà interiore che ci libera
da noi stessi e ci rende disponibili agli appelli che il
prossimo ci dirige in ogni momento. Ecco: bisogna
scendere a questa profondità per cogliere l’anima
dell’azione caritativa… di san Giuseppe Benedetto Cottolengo… Colui che si è distaccato da tutto,
ha rinunciato anche a far calcoli sulle cose che ha
o che non ha, quando si tratta di venire incontro
alle necessità del prossimo. È perfettamente libero,
perché è totalmente povero. Ed è proprio in una
simile povertà, nella quale sono caduti i limiti posti
dalla, “prudenza della carne”, che la potenza di
Dio può manifestarsi anche nella libera gratuità
del miracolo».
La nostra tentazione è quella di dare, piuttosto
che se stessi, altre cose a lui estranee: è la logica dei
sacrifici offerti a Dio... Ma quello non è un dono,
ed è significativo che nel cristianesimo la sola offerta possibile sia quella di se stessi, del proprio
5
corpo, della propria vita per gli altri. Si tratta di
non sacrificare né gli altri, né qualcosa, ma di dedicarsi, mettersi al servizio degli altri affermando
la libertà, la giustizia, la vita piena.
Enzo Bianchi si domanda ancora: «Ma cosa
significa donare se stessi? Significa dare la propria
presenza e il proprio tempo, impegnandoli nel servizio all’altro, chiunque sia, semplicemente perché
è un uomo, una donna come me, un fratello, una
sorella in umanità» (E. Bianchi, art. cit.).
C’è una parola di Gesù, non riportata nei Vangeli, ma ricordata dall’apostolo Paolo nel suo discorso a Mileto riferito negli Atti degli apostoli
che è molto eloquente: «Si è più beati nel donare
che nel ricevere» (Atti 20,35).
Non c’è vera gioia senza gli altri, gli altri non
sono l’inferno, come invece disse il filosofo Jean
Paul Sartre, come è vero che non c’è speranza se
non sperando insieme. Ma la speranza è frutto
del donare, della condivisione, della solidarietà.
Com’è vera la parola di Gesù sull’arte del dono:
«Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra»
(Mt 6,3)! E il Cottolengo aggiungeva che «neppur
la destra ha da sapere ciò che fa essa stessa» (Detti
e pensieri, 144). Ciò per inculcare sentimenti di
umiltà nell’esercizio della carità.
Carissimi, abbiamo bisogno di lasciarci guidare da queste indicazioni se vogliamo che la nostra
6
vita diventi una benedizione in questo mondo. La
nostra presenza possa essere una benedizione che
susciti la glorificazione del Padre che è nei cieli.
La Vergine Maria, che ha fatto di sé un dono
totale a Dio, può ben guidarci in questo cammino
splendido e consolante.
Torino, 2 settembre 2013
P. Lino Piano
«Poveri, poveri, sono la pupilla di Gesù Cristo,
sono i suoi rappresentati»
(S.G.B. Cottolengo)
7