La Terza Missione deLL`UniversiTà

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Polimeri e…Società
La Terza Missione
dell’Università
di Pietro Greco
Abbiamo chiesto a Pietro Greco, chimico, di parlarci dell’importanza, nella società contemporanea, della comunicazione della scienza, con
particolare riferimento alla chimica, che continua ad attraversare una stagione di complessi rapporti con la società civile. Pietro Greco,
chimico con curriculum macromolecolare svolto presso l’ICTP del CNR di Pozzuoli, è docente di Giornalismo Scientifico e direttore del
Master in Comunicazione della Scienza presso il SISSA di Trieste. Autore di numerosi testi sulla divulgazione scientifica, collaboratore di
Radio Rai, è alla guida della rivista on line JCOM-Journal of Science Communication. È attualmente Consigliere del Ministro dell’Università e della Ricerca, on. Fabio Mussi.
Lo ringraziamo del contributo, che apre scenari interessanti sul ruolo della comunicazione della scienza nella società contemporanea.
Mario Malinconico
I
n Gran Bretagna la chiamano Third Stream, terzo
flusso. Negli Stati Uniti è nota, da un paio di decenni,
come Third Mission, terza missione. In Danimarca è,
da qualche anno, prevista e regolata da una legge dello
stato. L’università deve darsi un terzo compito – una
terza missione, appunto – insieme ai due canonici della
formazione e della ricerca. Questa terza missione è
(deve essere) la comunicazione pubblica. La diffusione,
fuori dalle sue mura, delle conoscenze prodotte. Il social
networking, la costruzione di reti sempre più fitte di
relazioni con il mondo là fuori, della politica, dell’economia, della società civile.
La necessità nasce dal fatto che viviamo, ormai, nella
“società della conoscenza” e che lo sviluppo culturale
ed economico di ogni comunità a livello locale, nazionale e globale ha bisogno di essere alimentato con
continuità da nuove conoscenze. Se non c’è questa
immissione continua lo sviluppo dell’intera società ne è
frenato, se non bloccato. La domanda sociale è rivolta
ai luoghi dove la nuova conoscenza viene prodotta. E
poiché le università sono i luoghi primari di formazione
e di produzione delle nuove conoscenze, è a loro in
primo luogo che «la società della conoscenza» chiede
di essere alimentata.
Questa necessità nasce mentre l’università vive una
crisi strutturale, di lungo periodo, che coinvolge gli
atenei di tutto il nostro continente e forse dell’intero
mondo occidentale. La crisi del modello ottocentesco
di università. Che è poi parte della crisi che vive l’intera
società industriale, così come si è venuta sviluppando
nell’Ottocento. Una società fondata sulla produzione,
industriale appunto, di beni materiali e sull’idea di stato
nazionale. In cui all’università era assegnata la specifica
funzione di formare i tecnici e le classi dirigenti, tutto
sommato ristrette di numero, di cui avevano bisogno il
sistema produttivo e la nazione. Con un sapere, sempre
più diviso in ambiti disciplinari ben definiti, e una scienza
che ancora non avevano conosciuto Kurt Gödel e la crisi
dei fondamenti in matematica e ancora non avevano
conosciuto la nuova rivoluzione fisica con la meccanica relativistica di Albert Einstein e, soprattutto con la
meccanica quantistica nell’interpretazione “non realista”
di Niels Bohr, di Max Born e di Werner Heisenberg che
hanno imposto un ripensamento profondo del concetto
di certezza anche nello studio della realtà fisica.
Era, quella ottocentesca, un’università che non aveva
conosciuto neppure il “pluralismo dei valori” che oggi
caratterizza la nostra società e la nostra cultura. Era
un’università “per maschi” e non ancora aperta alle
donne. Era “un’università per pochi” e non ancora
“un’università per molti”. Era un’università superba,
lontana dalla società.
Da qualche tempo la richiesta sempre più pressante
è che l’università ottocentesca, immersa ormai in una
società diversa, cambi definitivamente. E dal modello chiuso e statico cui ha aderito nel XIX secolo, per
soddisfare i bisogni di formazione di tecnici e di classe
dirigente per la società industriale fondata sulla produzione di beni materiali, aderisca a un modello aperto ed
evolutivo, per soddisfare i bisogni della società fondata
sulla conoscenza e la produzione di beni immateriali.
Per un certo tempo questa domanda sociale è stata inter-
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Alcuni tra i più noti Dipartimenti e Centri di studi su scienza e
University of Liverpool, Faculty of Social and Environmental
società nel mondo
Studies
Department of Technology & Society Studies; University of
http://www.liv.ac.uk/SES
Maastricht
Institute for the Study of Genetics, Biorisks and Society,
http://www.unimaas.nl/default.asp?template=werkveld.htm&id
Nottingham
=S10261W77AOVT05HA160&taal=en
http://www.nottingham.ac.uk/igbis/
Sociology Department, Goldsmiths College London
Science and Technology Studies, University College London
http://www.goldsmiths.ac.uk/departments/sociology/
http://www.ucl.ac.uk/sts/
Science and Technology Studies Unit (SATSU), York University
Centre For The Study Of Knowledge Expertise Science, Cardiff
http://www.york.ac.uk/org/satsu/
University
University of Utrecht, Department of STS
Centre for Science Studies, Lancaster University
http://www.chem.uu.nl/nws/www/welcome.htm
http://www.lancs.ac.uk/fass/centres/css/
Program in Science, Technology, and Society, MIT (USA)
Science Studies Unit, Edinburgh
http://web.mit.edu/sts
http://www.ssu.sps.ed.ac.uk/
Science and Technology Studies, Rensselaer Polytechnic Institute
Science and Technology Studies, Göteborg University
(USA)
http://www.sts.gu.se/
http://www.rpi.edu/dept/sts
Centre for Studies of Science, Technology and Society, Twente
Science, Technology and Society, Stanford University (USA)
http://www.bbt.utwente.nl/kennisinst/cssts
http://www.stanford.edu/group/STS/
Institut für Wissenschafts- und Technikforschung, Universität
Science & Technology Studies, Cornell University (USA)
Bielefeld (Germany)
http://www.sts.cornell.edu
http://www.uni-bielefeld.de/iwt
Center for Applied Ethics, Faculty of Graduate Studies, University
Institut de Recherches Interdisciplinaires sur les Sciences et la
of British Columbia, Vancouver (Canada)
Technologie, Université Luis Pasteur, Strasbourg (France)
http://www.ethics.ubc.ca
http://irist.u-strasbg.fr/
Program for Science Research, University Basel
Centre Sociologie de l’Innovation, Ecole des Mines, Paris (France)
http://pages.unibas.ch/wissen/
http://www.csi.ensmp.fr/
Collegium Helveticum ETH Zürich
Centre for STS Studies, University of Aarhus (Danmark)
http://www.collegium.ethz.ch
http://imv.au.dk/sts/front.php
Centre for Technology, Innovation and Culture, University of Oslo
Department of Science and Technology Studies, University of Wien
http://www.tik.uio.no/indexeng.html
http://www.univie.ac.at/virusss/
pretata in termini molto riduttivi, di semplice “trasferimento delle conoscenze” dalle università alle imprese. In Gran
Bretagna, per esempio, il governo favorisce da tempo la
Terza Missione delle sue università proprio attraverso una
serie di iniziative di «trasferimento delle conoscenze» che
includono lo Higher Education Innovation Fund, la Higher
Education Reachout to Business and the Community
Initiative, lo University Challenge, lo Science Enterprise
Challenge. Negli Stati Uniti da almeno un quarto di secolo esistono leggi, come il Bayh-Dole Act, che stimolano
l’università non solo a trasferire conoscenze alle imprese,
ma – attraverso la valorizzazione e protezione della proprietà intellettuale – a diventare essa stessa impresa: a
interpretare se stessa come entrepreneurial university,
come università imprenditrice.
In Italia non esiste l’università imprenditrice, ma dal
novembre 2002 esiste un “Network per la valorizzazione della ricerca universitaria” che coordina decine di
atenei di tutto il paese nel tentativo di trasferire conoscenza alle nostre imprese, così poco votate alla ricerca
e così poco consapevoli dell’era in cui siamo entrati.
Ebbene, questa attività da sola non basta per entrare
nella “società della conoscenza”. È troppo riduttiva.
È troppo economicista. Lo sostiene il Russell Group,
un centro che coordina i due terzi delle università del
Regno Unito, sulla base di una documentata indagine.
Se il rapporto tra università e società non viene interpretato in una prospettiva molto più ampia e olistica,
non solo l’ingresso nell’“era della conoscenza” si allontana, ma persino il trasferimento strumentale di conoscenze alle imprese ne viene minato e perde efficacia.
Insomma, sostiene il Russell Group, per entrare nella
“società della conoscenza” occorre un dialogo fitto e a
tutto campo che promuova uno sviluppo complessivo
– culturale ed economico – dell’intera società.
In cosa deve consistere, questo dialogo? Dovessimo
riassumerlo in una frase, potremmo dire: nella costruzione della cittadinanza scientifica. Che significa maggiore consapevolezza dei cittadini intorno ai temi della
ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico e maggiore partecipazione alle scelte tecniche e scientifiche,
ivi incluse quelle ambientali e quelle “eticamente sensibili”. Ma significa anche maggiore democrazia economica. Se i saperi sono ormai la leva principale per la
crescita economica, costruire la cittadinanza scientifica
significa (anche) fare in modo che la conoscenza non
diventi un fattore di nuova esclusione sociale, ma un
fattore attivo di inclusione sociale.
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In pratica significa che nell’aprirsi l’università si proponga come una “nuova agorà”, una delle piazze della
democrazia partecipativa (dove i cittadini si riuniscono
per documentarsi, discutere e decidere) e della democrazia economica (dove non solo le grandi imprese
attingono conoscenza per l’innovazione, ma i cittadini
tutti acquisiscono i saperi necessari per il loro benessere, per la loro integrazione sociale, persino per una
imprenditorialità dal basso).
Questo dialogo fitto e a tutto campo tra università
e società non è un’aspirazione astratta. E neppure
futuribile. Sta andando avanti, sia pure per prova ed
errore. E ha assunto aspetti concreti non solo in Gran
Bretagna o negli Usa. In Danimarca, come abbiamo
detto, la Terza Missione dell’università è stata stabilita
per legge. In Francia ci sono importanti iniziative sulla
comunicazione pubblica della scienza. E anche nei
paesi scientificamente emergenti come Cina, India e, di
recente, Sud Africa molto impegno e molte risorse sono
dedicate alla diffusione delle conoscenze e al rapporto
tra “scienza e società”.
Un po’ ovunque il tentativo consiste nel fatto che le università cercano di aprirsi alla società – senza rinunciare
al compito canonico dell’alta formazione e della ricerca
scientifica – superando l’ambito, riduttivo, del trasferimento di conoscenze per l’innovazione tecnologica e
costituendo «reti sociali» con associazioni, centri culturali, enti locali, cittadini, lavoratori, imprese (piccole,
medie e grandi).
Nel fare tutto questo da un lato promuovono la nascita
di un’intera costellazione di nuovi attori culturali, che
si interfacciano con la società, e dall’altra sviluppano
nuova conoscenza intorno ai rapporti scienza e società,
con appositi centri interdisciplinari di ricerca.
In Italia c’è una domanda sociale ridotta di conoscenza.
Ma c’è anche un’offerta insufficiente. Le università non
sono ancora attrezzate per la Terza Missione. Occorre
farlo. Perché l’università aperta è uno dei passaggi
obbligati per entrare nella società della conoscenza. E
per costruire una piena cittadinanza scientifica.
La domanda sociale in questa direzione è molto forte. O
viene soddisfatta dalle università, oppure troverà altre
fonti e altre forme. È già avvenuto, in passato. Tra il
Cinquecento e il Seicento la società in transizione dal
Medio Evo all’età moderna chiedeva un nuovo rapporto con la tecnologia e con la conoscenza della natura.
L’università non colse quella domanda. Non seppe
soddisfarla. E la rivoluzione scientifica si consumò fuori
dagli atenei, nelle Accademie.
Due recenti esempi italiani di costruzione di reti tra
mondo della ricerca e società civile riguardano proprio
la chimica. Lo scorso 18 giugno la Piattaforma Italiana
sulla Chimica Sostenibile IT-SusChem – che riunisce
oltre 150 associazioni, industrie, università ed enti di
ricerca interessati a vario titolo alla chimica – ha sottoscritto un accordo con la Regione Piemonte per la promozione del Distretto Tecnologico Piemontese per la
Chimica Sostenibile con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di prodotti e processi chimici nel rispetto per l’ambiente e per la salute umana, con una forte attenzione
all’uso razionale delle risorse e, soprattutto, per favorire
l’innovazione nell’industria italiana grazie alla sinergia
tra partner pubblici, partner privati e la società.
Pochi mesi prima, il 7 febbraio 2007, la Società Chimica
Italiana e il WWF Italia hanno firmato un accordo ufficiale – testimone Piero Angela, il volto della comunicazione della scienza in Italia e ideale rappresentante
dei cittadini tutti – per perseguire insieme sia l’obiettivo
di diffondere una “corretta conoscenza scientifica sulla
chimica e le sue dimensioni ambientali” sia l’obiettivo
di diffondere le “conoscenze della chimica utili a discutere, affrontare ed auspicabilmente risolvere problematiche ambientali e della salute umana”.
Gli accordi della Società Chimica Italiana con un
gruppo ambientalista, il WWF, e della Piattaforma
Italiana sulla Chimica Sostenibile IT-SusChem con
un’istituzione pubblica, la Regione Piemonte, sono due
esempi recenti non solo di una nuova alleanza, per
usare le parole di Ilya Prigogine, tra chimica e società, ma anche due esempi concreti proprio di social
networking: della costruzione spontanea della cittadinanza scientifica attraverso reti di relazioni sempre più
fitte tra scienza, politica, economia e società civile che
caratterizza, ormai, e alimenta l’“era della conoscenza”,
contribuendo a renderla socialmente ed ecologicamente sostenibile.
Bibliografia
5
1
2
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Documento gruppo interministeriale per la diffusione
della cultura scientifica e tecnologica, 2007. http://www.
pubblica.istruzione.it/argomenti/gst/allegati/documento_di_lavoro_.pdf
J. Molas-Gallart et al., Measuring Third Stream Activities,
Final Report to the Russell Group of Universities, 2002
Act on University, no. 403 del 28 maggio 2003, http://
videnskabsministeriet.dk/site/frontpage/acts/act-onuniversities
J. Pradal, La vulgarisation des sciences par l’écrit:
Méthodes et moyens utilisés dans les Etats membres
du C.C.C., Rapport au Conseil de l’Europe, Strasbourg,
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W. Bodmer, The Public Understanding of Science, Report
– Council of Royal Society, London, 1985.
V. Ehlers, Unlocking Our Future; Toward a New National
Science Policy, House Commitee on Science, Report
to the Congress of the United States of America,
Washington, 1998.
P. Galluzzi, Rapporto sulla diffusione della cultura tecnico-scientifica in Italia, Rapporto del Gruppo di lavoro
per la diffusione della cultura tecnico-scientifica, Roma,
1997.
ENSCOT: The European Network of Science
Communication Teachers. Informazioni a riguardo si
possono trovare in rete all’indirizzo http://www.enscot.
eu.com/, 2007
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