ROSSITTO C., Il duplice carattere della critica aristotelica a Empedocle e Anassagora in
Metafisica A. Un resoconto distorto?, in Cardullo R.L. (a cura di), Il libro Alpha della Metafisica di
Aristotele tra storiografia e teoria, Atti del convegno nazionale, Catania 16-18 gennaio 2008,
CUECM, Catania, 2009, pp. 55-76.
Le rassegne delle teorie dei pensatori precedenti e contemporanei che aprono diverse trattazioni
aristoteliche si sviluppano sia come illustrazioni di tali teorie, sia come una loro critica. Rossitto
prende in esame in particolare la rassegna dedicata alla filosofia prima in Metafisica A. Al di là
della questione del riconoscimento che queste panoramiche sul passato abbiano una funzione
squisitamente dialettica e che forse l'intenzione di Aristotele non fosse di scrivere una vera e propria
“storia della filosofia”, è stato recentemente ritematizzato il problema di stabilire se suddette
argomentazioni possano comunque essere ritenute una storia della filosofia e, di conseguenza, quale
sia il loro valore in termini di accettabilità.
Rossitto si concentra sulle argomentazioni che Aristotele svolge a proposito del pensiero di
Empedocle e Anassagora, non per valutare quanto egli ne sia stato un fedele testimone né quanto
abbia contribuito a chiarire il loro pensiero; la prospettiva da lei adottata riguarda il modo stesso in
cui Aristotele argomenta intorno alle teorie dei due filosofi in questione.
La trattazione delle dottrine dei predecessori è sviluppata da Aristotele in Metafisica A in due
momenti: esposizione (A 3-7) e critica (A 8-10). Vi sono però osservazioni di carattere polemico
proposte all'interno dei passi espositivi (A 4) e si possono perciò ritenere critiche “intermedie”: su
queste l'autrice concentra l'attenzione, considerandole sempre nel loro contesto.
Per quanto concerne la fase espositiva delle dottrine empedoclee e anassagoree, essa è
perfettamente in linea con il libro A almeno in due sensi: rientra nella funzione che Aristotele
attribuisce alla considerazione delle teorie dei pensatori precedenti1 e, nello specifico, nell'esame di
tali teorie connesse con il primo tipo di causa da lui considerato2. Questa argomentazione sulla
causa materiale si articola in tre momenti:
a) enunciazione della tesi aristotelica su ciò che è possibile ravvisare nell'opinione dei
predecessori riguardo alle cause (i principi sono di tipo materiale);
b) giustificazione della tesi citando le affermazioni dei predecessori stessi (essi parlano di un
principio che rimane costante sotto ogni mutamento; dunque esso è ciò di cui gli enti sono
fatti, da cui provengono e dove vanno a finire - il sostrato aristotelico);
c) esempio chiarificatore (Socrate, divenendo bello o musico, non si genera assolutamente, né
si distrugge assolutamente quando acquisisce o perde tali modi di essere, ma rimane Socrate
in quanto sostrato).
Quest'ultimo punto, dunque, potrebbe avere lo scopo per Aristotele di sottolineare che il carattere
principale attribuito dai predecessori al loro principio materiale è in realtà l'essere “sostrato”.
Secondo la dottrina aristotelica esposta nella Fisica questo principio spiega solo uno degli aspetti
del mutamento e, di conseguenza, ne emerge che le teorie precedenti sono tutte accomunate
dall'aver attribuito al principio della realtà caratteristiche riconducibili soltanto ad una funzione
materiale, chiaramente insufficiente; si differenziano tra loro esclusivamente nell'individuazione del
numero e della natura di tale principio3. Anche Empedocle e Anassagora non riportano nulla di
diverso in merito a ciò, pur essendo le loro dottrine più complesse dal momento che attribuiscono al
principio materiale una natura molteplice o addirittura infinita nel numero. Tuttavia sia i quattro
elementi empedoclei sia le omeomerie anassagoree permangono eterni e mutano esclusivamente per
aggregazione e separazione.
Questa prima citazione da parte di Aristotele delle teorie empedoclee e anassagoree comunque
risulta positiva e riconosce loro un carattere di indubbia originalità; proprio la complessità di queste
dottrine motiva il passaggio alla riflessione sulla funzione motrice del principio4. Nell'illustrare
1
2
3
4
Cfr. Aristot. Metaph. A 3, 983 b 1-6.
Cfr. Aristot. Metaph. A 3, 983 b 6-18.
Cfr. Aristot. Metaph. A 3, 983 b 20 - 984 a 16.
Cfr. Aristot. Metaph. A 3, 984 a 19-27.
questa funzione Aristotele procede secondo il medesimo metodo argomentativo già esaminato per
quella materiale:
a) enunciazione della tesi aristotelica (l'argomento affrontato induce a porsi altri problemi);
b) giustificazione della tesi (un sostrato che permane dovrebbe generare i suoi stessi
mutamenti);
c) esempio chiarificatore che colleghi le dottrine precedenti alla sua (non può il legno produrre
da sé un letto né il bronzo una statua).
Questa osservazione introduce alla seconda citazione delle dottrine di Empedocle e Anassagora,
invertite però nella loro successione: prima Aristotele parla dell'Intelletto anassagoreo introdotto
come causa del cosmo e di ogni ordine, poi illustra la teoria empedoclea secondo cui Amicizia è
causa dei beni e Contesa dei mali5. Ancora una volta siamo di fronte ad un giudizio positivo su
questi due pensatori in quanto sicuramente progredirono rispetto agli altri nella spiegazione del
mutamento.
Immediatamente dopo, tuttavia, in A 4, 985 a 10-18 abbiamo la prima critica, che ha portato molti
studiosi a ritenere inaffidabile la testimonianza di Aristotele nei loro confronti: egli infatti sembra
rimproverare ai filosofi precedenti di non aver fatto o di aver fatto male ciò che è egli stesso ad
attribuire loro. Rossitto propone una lettura diversa di questa critica “intermedia”. Gli esempi di
atteggiamento erroneo dei predecessori sono qui costituiti da Anassagora ed Empedocle, citati nello
stesso ordine utilizzato nell'esposizione delle loro teorie sulla causa motrice: si può pensare quindi
che la polemica aristotelica riguardi soltanto quest'ultima causa e non quella materiale nelle dottrine
dei due filosofi. Saremmo così di fronte ad una critica diretta e voluta a questi due principi con
funzione motrice, non ad una svalutazione delle due teorie più brillanti fra le precedenti allo scopo
di accreditare quella dello stesso Aristotele.
Se consideriamo la critica in questo modo, allora anche l'argomentazione che la precedeva potrebbe
intendersi come introduttiva a questa polemica più dettagliata e non riferita generalmente a tutti i
pensatori del passato; avremmo così i primi due punti (enunciazione della tesi e sua giustificazione)
del consueto procedimento argomentativo aristotelico.
Rossitto passa ad esaminare la natura della critica aristotelica alle dottrine anassagoree ed
empedoclee concernenti la causa motrice. Anassagora ed Empedocle sono criticati perché non si
servono coerentemente dei principi che loro stessi hanno proposto6. L'elemento che accomuna le
due dottrine consiste nel fatto che Aristotele di esse non biasima l'aver introdotto un principio che
dia ragione del mutamento, né l'aver scelto proprio quel principio; si può quindi concludere che la
critica non sia un attacco alle dottrine anassagoree ed empedoclee in quanto tali, all'intero sistema di
pensiero, ma precisamente rivolta alla funzione motrice attribuita ai loro principi. Rossitto la ritiene
perciò una critica “interna” alla questione della capacità o meno di un principio di dare spiegazione
del mutamento. Si rileva anche una differenza in quanto la proposta di Empedocle risulta superiore:
egli introduce il suo principio per spiegare non solo l'ordine, ma anche il disordine della realtà. In
questo senso possiamo leggere l'argomentazione che segue come non più critica, ma come un nuovo
riconoscimento dei meriti del principio empedocleo7.
Nel settimo capitolo del libro A, infine, Aristotele sintetizza i risultati raggiunti in questa prima fase
espositiva della sua rassegna. Empedocle e Anassagora sono citati sia fra coloro che hanno parlato
del principio come se fosse materiale, sia tra coloro che hanno individuato una causa motrice;
vengono infine menzionati a proposito della causa finale, questa volta in chiave negativa: Intelletto
e Amicizia sono posti come bene, ma non come fine.
Una critica ben più netta contro i due filosofi si ritrova infine nel secondo momento
dell'esposizione, quello propriamente critico: Aristotele si rivolge qui al loro intero sistema di
pensiero, sentito come diverso e alternativo al proprio [cfr. i passi, con lettura diretta].
Vera Nebuloni
5 Cfr. Aristot. Metaph. A 3, 984 b 16 – 20; A 4 a 984 b 32 - 985 a 10.
6 Cfr. Aristot. Metaph. A 4, 985 a 18-29.
7 Cfr. Aristot. Metaph. A 4, 985 a 29 – b 3.