La scrittura manuale e le sue abilità di base

“La scrittura manuale e le sue abilità di base”
Di Josephine Pugliese
Corso “Educatore e Rieducatore del gesto grafico”-AED
Milano 2015/2016
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“Come tutti i processi cognitivi anche il processo di scrittura è un’abilità
complessa che dipende da diverse componenti. Ognuna di queste interagendo con
le altre in modo più o meno complesso, contribuisce in modo specifico a
realizzare quello che noi definiamo scrittura, vale a dire la capacità di
trasformare in forma grafemica informazioni verbali ascoltate o pensate”.1
L’azione dello scrivere rappresenta un’attività di tipo spaziale, temporale e
simbolico, che imprime sulla superficie del foglio una traccia con ritmi, pressioni
ed energie proprie: rappresenta l’atto di motricità più preciso che l’uomo è in
grado di produrre. Tale azione, richiede altresì il raggiungimento di un’elevata
maturazione neuro-motoria, influenzata a sua volta dall’evoluzione percettivomotoria, dai condizionamenti ambientali, da aspetti intellettivi ed affettivi. La
scrittura manuale2 è un atto motorio complesso e non è una forma di motricità
innata, non si limita infatti alla sola maturazione fisica di circuiti neurali che la
governano, ma è una forma di motricità appresa che richiede pertanto
un’importante fase d’istruzione e d’imitazione. Vi è poi il bisogno di costruire a
livello cerebrale un insieme di collegamenti neuronali, di vie associative ed
archivi mnemonici che consentano essenzialmente il riconoscimento degli scritti,
la lettura degli stessi e la conversioni di idee astratte nelle loro rappresentazioni
scrittorie attraverso il coinvolgimento del sistema motorio. Come tutti i processi
cognitivi anche la scrittura è un’attività complessa ed esige, per essere appresa, la
padronanza di numerose abilità di base: coordinazione motoria e coordinazione
dinamica dell’arto superiore, motricità fine, coordinazione oculo-manuale,
percezione visiva, coordinazione visuo-spaziale, lateralizzazione, consapevolezza
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Berning e Whitaker,1993
Robert Oliveaux, Pedagogia della scrittura e grafo terapia
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dello schema corporeo, orientamento e organizzazione spazio-temporale,
memoria, concentrazione e attenzione e senso del ritmo. E’ di fondamentale
importanza per il processo di scrittura che questi prerequisiti raggiungano
l’automatizzazione, in modo tale da permettere l’integrazione necessaria, propria
di una prassia complessa quale è la scrittura. Prima di iniziare un itinerario di
recupero con un soggetto disgrafico, è importante che il rieducatore possa
individuare le abilità relative ai principali aspetti dello sviluppo psicomotorio
strettamente coinvolte all’apprendimento della scrittura.
La coordinazione motoria è un movimento segmentale o globale del corpo che
richiede un’interazione senso-motoria, dalla quale dipende la capacità di
apprendere, integrare e automatizzare i movimenti in modo rapido e armonico
finalizzato a uno scopo specifico. La coordinazione dinamica dell’arto
superiore include la propriocezione e l’utilizzo differenziato del segmento
interessato. I movimenti della scrittura devono divenire automatici e per giungere
a questo stadio, è necessario un graduale perfezionamento dei movimenti stessi,
passando dalla grande progressione (movimento della spalla, del braccio,
dell’avambraccio e del gomito) al movimento fine a livello distale del polso, della
mano e delle dita che si definisce tra i cinque e gli otto anni di età. Per l’atto della
scrittura
sono
di
fondamentale
importanza
i
movimenti
di
rotazione
dell’avambraccio e lo spostamento del gomito con il progressivo raddrizzamento
tonico della postura. Quest’ultima richiede un buon controllo del tronco e del
capo, collegato a equilibrio, rilassamento, percezione dello schema corporeo e
coordinazione dinamica generale.
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La motricità fine è il prodotto di movimenti minuziosi e precisi richiedenti il
controllo muscolare di diverse parti del corpo. Tale abilità per essere confacente al
compito di scrittura, deve raggiungere determinate caratteristiche quali:
1.Precisione: indica l’isolamento dei movimenti interessati nella scrittura;
2.Forza muscolare: interessa prevalentemente la mano per consentire
i
movimenti di estensione che sono alla base della scrittura stessa. Poca forza nelle
dita potrebbe essere causa di una mancata precisione del gesto grafico; in tali
situazioni, l’atto della scrittura generalmente tende a coinvolgere i movimenti
dell’avambraccio, della spalla e perfino del tronco. Ne derivano affaticamento e
tratto grafico poco armonico.
3.Coordinazione neuromuscolare: la coordinazione di muscoli agonisti e
antagonisti che evita l’insorgenza di tensione, conferendo fluidità e armonia al
gesto grafico.
4.Automaticità: i pattern motori necessari all’esecuzione dei tratti grafici non
devono essere sotto il controllo corticale, ma automatizzati.
La motricità fine influenza la prensione dello strumento grafico, la quale conosce
anch’essa una evoluzione: dalla prensione cubito-palmare a quella radio-palmare
ed infine quella radio-digitale o a pinza superiore. Lo strumento grafico viene
tenuto da pollice ed indice, il medio lo sorregge mentre l’anulare e il mignolo
stabilizzano la posizione sul piano del tavolo; tale prensione prende il nome di
prensione a tre dita o tripode.
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La coordinazione oculo-manuale è quell’abilità che permette un lavoro
simultaneo e coordinato fra i movimenti degli occhi e quelli dell’arto superiore.
Per la realizzazione di un grafismo fluido e controllato, oltre alla coordinazione
dei diversi segmenti dell'arto superiore e della mano, tale abilità è indispensabile.
La coordinazione oculo-manuale si sviluppa molto precocemente: già nel neonato
è riscontrabile un'attenzione convergente dell'occhio e della mano verso l'oggetto,
che è il fondamento di tale coordinazione. Una delle tappe più significative del
suo sviluppo è l'emergenza del raggiungimento guidato o l'abilità di modificare
l'attività in seguito ad un'informazione visiva, verso i cinque mesi e mezzo. La
frequenza di questi comportamenti si accentua verso i sette mesi. Il
perfezionamento progressivo della coordinazione oculo-manuale gioca un ruolo
fondamentale nella genesi del controllo dell'attività grafica. Un primo livello di
organizzazione di tale coordinazione, presente verso i due anni e mezzo, rende
possibile la guida della mano verso un tracciato già prodotto. In seguito compare
la capacità di guidare la mano da un tracciato all'altro, entrambi prodotti
anteriormente. Fra i tre e i quattro anni la progressiva organizzazione dei rapporti
occhio-mano permette al bambino di tener conto dei margini del foglio: questo
passaggio segna l'anticipazione visiva dell'atto grafico, cui corrisponde un
perfezionamento sul piano motorio. Infatti il controllo dell'attività grafica
richiede, oltre al controllo visivo, il controllo del movimento, indispensabile per
l'esecuzione di qualsiasi attività che vada al di là dello scarabocchio.
La percezione è un processo attivo e dinamico mediante il quale gli input
sensoriali provenienti dal mondo circostante vengono analizzati, interpretati ed
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organizzati in un sistema di conoscenza più generale. Tali informazioni vengono
acquisite da diversi canali sensoriali: il canale visivo, uditivo, tattile etc., nelle
funzioni visuo-percettive il canale visivo costituisce il mezzo di raccolta delle
informazioni. La capacità visuo-percettiva può essere definita come il processo
cognitivo che prevede l’integrazione tra l’input sensoriale visivo e l’esperienza
dell’individuo: il tutto ha inizio dalla formazione dell’immagine retinica a cui
segue un’analisi delle informazioni percettive salienti (forma,colore etc.,) fino a
giungere ai processi cognitivi di ordine superiore che attribuisce un significato
all’immagine percepita. Lo sviluppo visuo-percettivo costituisce uno dei primi
strumenti di interazione con il mondo esterno e riveste un ruolo fondamentale
nello sviluppo cognitivo, neuromotorio ed affettivo del bambino.
Le abilità visuo-spaziali sono un insieme di processi che consentono anch’essi
un’adeguata interazione dell’individuo con la realtà circostante: è la capacità
dell’individuo di percepire, agire ed operare sulle rappresentazioni mentali in
funzione di coordinate spaziali. Secondo la definizione di Benton (1985) le abilità
visuo-spaziali sono implicate nella stima degli aspetti spaziali tra la persona e
l’oggetto, le relazioni stesse tra gli oggetti e l’orientamento degli stimoli visivi .
La lateralizzazione è il processo attraverso il quale si sviluppa la lateralità,
ovvero la predominanza funzionale di un lato rispetto all’altro a livello delle mani,
delle gambe, degli occhi e delle orecchie. La lateralità non è una funzione a sé
stante, ma si sviluppa in correlazione stretta con altri fattori psicomotori; qualora
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questo processo si sviluppasse in modo incompleto ne andrebbero a risentire
l’orientamento spaziale, lo schema corporeo, la coordinazione motoria e
l’adattamento gestuale (per poter scrivere in modo adeguato e svolgere prassie
fini, il bambino deve prendere coscienza della mano più abile ed essere
completamente lateralizzato). La lateralizzazione è il processo con cui la
la dominanza emisferica cerebrale si esprime a livello corporeo, determinando
più forza e maggiore quantità di energia di fondo da una parte del corpo rispetto
all’altra. La lateralizzazione è una questione neurologica che attiene allo sviluppo
diseguale della corteccia nei due emisferi. Il bambino all’incirca verso i quattro
mesi è in grado di far passare una mano davanti agli occhi e di farla ripassare per
poterla rivedere. Ma una delle due mani può effettuare questa operazione prima
dell’altra. Così, quando verso i sette mesi il bambino impara a passare un oggetto
da una mano all’altra, una delle due effettua quest’operazione con maggiore
destrezza. La lateralizzazione è un processo innato che dovrebbe stabilizzarsi
intorno ai sei/sette anni d’età. La dominanza laterale è spesso relativa3: può infatti
non essere omogenea, si può essere sinistri in un segmento del corpo e destri in un
altro e viceversa, questo fenomeno è detto “lateralità crociata”.
Lo schema corporeo è un sistema di rappresentazione del corpo nello spazio. Può
essere definito come la consapevolezza del proprio corpo e di tutte le sue parti ,
dei movimenti, delle posture e degli atteggiamenti che esso compie. Si struttura
sulla base dei dati propriocettivi, enterocettivi ed esterocettivi. La strutturazione
dello schema corporeo si sviluppa molto lentamente nel corso dello sviluppo
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Henri Wallon, psicopedagogista francese.
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dentro la relazione con l’altro, grazie agli apporti dell’ambiente e della
maturazione neurologica, e si completa generalmente verso i dodici/tredici anni
attraverso l’acquisizione di alcuni elementi detti fattori di strutturazione dello
schema corporeo che sono determinati dalla quantità e dalla qualità delle
esperienze motorie e psicomotorie che permettono al bambino di esplorare
l’ambiente circostante, e in particolare dall’acquisizione della strutturazione
spazio-temporale, dell’equilibrio, dello sviluppo e coordinazione della lateralità,
del tono e del rilassamento psicosomatico. Lo schema corporeo comincia a
svilupparsi quando il bambino stabilisce la prima differenziazione tra il suo corpo
e il corpo della madre: facendo passare mani e piedi nel campo visivo ha inizio la
percezione dei “lembi” corporei (periodo del corpo vissuto- zero/tre anni). Dallo
schema corporeo dipende la motricità: verso il nono mese lo sviluppo permette la
sperimentazione di nuove e numerose sensazioni sia a livello percettivo che
motorio: sdraiarsi, sedersi, voltarsi etc., a cui si aggiunge l’esperienza di
camminare in piedi (fra gli undici e i quattordici mesi) che costituisce una
prima spazializzazione del mondo, cioè dell’io-universo di questa età. Soltanto dai
quattro ai sei anni (periodo del corpo percepito) lo schema corporeo da
incosciente viene integrato a livello cosciente; in questa fase, con l’acquisizione
della dimensione spazio-temporale, avviene la prima percezione autentica di
forme e dimensioni. Il bambino inizia a controllare il proprio corpo, “usandolo” in
modo più consapevole e cosciente, come strumento di relazione con l’ambiente
circostante: nel periodo precedente, le abilità percettive erano rivolte verso il
mondo esterno (vedere, toccare, sentire), ora, invece, verso il proprio corpo e sulle
singole parti che lo compongono. Emerge un maggiore controllo tonico-posturale
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ed un perfezionamento dell’attività prassica. Con l’affermazione della dominanza
laterale si avrà una ricaduta positiva sull’organizzazione spaziale, più efficiente ed
adeguata. Nel periodo che va dai sette ai dodici/quattordici anni (periodo del
corpo rappresentato) vi è un passaggio dalla visione egocentrica a quella
eterocentrica, grazie anche allo stabilizzarsi definitivo della lateralità. Il bambino
in questo periodo riconosce la destra e la sinistra sull’altro e applica questi
rapporti di destra e sinistra agli oggetti e all’orientamento spaziale in genere. I
movimenti vengono prima immaginati e poi eseguiti: tanto più sarà stata raggiunta
la consapevolezza dello schema corporeo tanto migliore sarà l’esecuzione del
movimento: sempre più coordinato e fine. Il bambino è in grado di staccarsi
dall’azione concreta e di rappresentarla sia sul piano grafico che verbale.
L’organizzazione di qualsiasi atto esige la formazione di un’immagine motoria;
questa ci costruisce mediante l’interiorizzazione del modello dell’atto riuscito. Gli
schemi motori possono organizzarsi solo partendo dallo schema corporeo e
appoggiandosi a esso: un bambino che ha una turba nello schema corporeo (cioè
della coscienza del suo corpo e delle sue possibilità motorie) non arriverà a
costruire nessuno schema dinamico d’azione, poiché ciò richiede la sensazione di
talune regioni del corpo, la differenziazione di certi movimenti e la coordinazione
e la dissociazione di gesti simultanei o successivi.
L’orientamento spazio-temporale è la capacità di percepire la posizione del
proprio corpo in relazione agli oggetti e alle persone nello spazio e nel tempo.
Tale abilità implica la capacità di organizzare lo spazio collocando gli oggetti in
relazione fra loro e la capacità di organizzare lo spazio in relazione a figure
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astratte, verbalizzare e simbolizzare. Allo spazio vissuto è strettamente collegato
il tempo vissuto. Ogni azione si svolge nel tempo, se non altro per dare un
significato ed un’efficacia alla successione dei gesti necessari per il suo
svolgimento. Orientarsi nel tempo significa situare il presente in riferimento a “un
avanti” e a “un dopo”, poi il passato e il futuro; significa valutare il movimento
nel tempo, distinguere il veloce e il lento, il successivo e il simultaneo. Si
costituiscono così i concetti analitici fondamentali per la padronanza dei concetti
topologici, delle relazioni spaziali e temporali: “sopra”,”sotto” e “in mezzo”,
“destra”e “sinistra”, “avanti” e “dietro”, “distanza”, “profondità”, “lunghezza”,
“durata”, “dentro” e “fuori”, “alto” e “basso”, “al lato”, “al centro”, “aperto” e
“chiuso”, “primo” e “ultimo”, “prima”, “adesso” e “dopo, “lento” e “veloce”, “di
fronte” e “di spalle”.
La memoria è quell’abilità del cervello di conservare informazioni e immagini
nella mente per poterli recuperare al bisogno. Avere una buona memoria significa
essere in grado di acquisire un concetto, immagazzinarlo nelle aree preposte e
recuperarlo al bisogno: far riemergere a livello della consapevolezza
l’informazione precedentemente archiviata. Essa infatti comprende tre tempi:
1. registrazione o immagazzinamento: attitudine ad acquisire delle informazioni e
conoscenze. Essa richiede percezione, vigilanza, concentrazione e attenzione. Con
l’età la capacità di registrazione diminuisce. Essa dipende dalla qualità dei
recettori, dalla motivazione, dall’interesse, dalla presenza di informazioni
disturbanti e dalla comprensione.
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2. fissazione o consolidamento: capacità di conservare le informazioni,
mantenimento della registrazione e consolidamento. Essa permette il passaggio
dalla memoria a breve termine alla memoria a lungo termine.
3. restituzione o richiamo: è un processo che richiede uno sforzo mentale per
creare un’immagine, la più fedele possibile a quella iniziale; diminuisce con l’età.
Esistono più tipi di memoria:
la memoria a breve termine è quella parte di memoria che si ritiene capace
di conservare un piccola quantità di informazioni, per una durata di venti
secondi circa;
la memoria di lavoro che è un sistema a capacità limitata destinata al
mantenimento temporaneo e alla manipolazione di un’informazione
durante la durata di realizzazione di un compito cognitivo: ragionamento,
calcolo etc.,.
la memoria a lungo termine che accumula i fatti, le conoscenze, le abilità
durante gli anni. Ha una durata variabile da qualche minuto a decenni
La memoria è strettamente connessa ad altre due abilità di fondamentale
importanza per l’abilità di apprendimento della scrittura e più in generale per tutte
le attività svolte quotidianamente dall’ uomo: la concentrazione e l’attenzione.
La concentrazione è la capacità della mente di fissare con intensità il pensiero
sullo svolgimento di un compito o l’osservazione di un oggetto, senza farsi
distrarre. Questa abilità permette alla mente di essere consapevoli di ciò che si sta
facendo, di essere presenti a sé stessi. La concentrazione ha il suo graduale
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sviluppo: quando il bambino è molto piccolo, questa, va sostenuta; con l’esercizio
e le giuste strategie, andrà via via sviluppandosi e potenziandosi.
L’attenzione è una delle principali funzioni cerebrali superiori che permette di
selezionare degli stimoli ambientali, ignorandone altri, di metterli a fuoco e di
prenderne visione. Quando si vuole percepire uno stimolo di qualsiasi natura,
tutto il nostro essere è orientato verso tale scopo, in nostri sensi sono in allerta
(adattamento dei recettori sensoriali) ed esiste un aumento generale della tensione
muscolare e un adattamento del SNC (Sistema Nervoso Centrale). Durante la
crescita, la capacità attentiva del bambino aumenta, infatti, ogni età cronologica
ha dei propri tempi attentivi. Tale funzione, dipende altresì dalla tipologia di
compito (in quelli monotoni l’attenzione cala rapidamente) e dal temperamento
del bambino stesso.
Il ritmo è un elemento importante di strutturazione temporale in quanto esso
combina diversi elementi: la successione, la durata, l’intervallo, la velocità e la
periodicità; è, inoltre, un’andatura propria di ciascun individuo nelle sue attività, e
più in particolare, nell’esecuzione di determinati atti come il cammino, la parola e
la scrittura. Il ritmo è espressione; è un modo privilegiato di espressione
dell’essere umano nella sua totalità psichica e corporea. L’esperienza ritmica,
naturalmente, richiede la possibilità e la capacità di adattarsi ai cambiamenti:
l’adattamento al ritmo è di fondamentale importanza anche nella scrittura. A
partire da un certo grado di padronanza, il ritmo si coniuga con l’azione di cui
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diviene insieme elemento di sostegno e di regolazione. Il ritmo della scrittura è “il
ritorno periodico di movimenti simili ma non identici” sostiene Ludwig Klanges.
“Esso si manifesta in tutti i generi della scrittura attraverso giochi sottili, vivaci e
personali, variabili in intensità, velocità e profondità. Come la personalità i ritmi
si diversificano all’infinito e ci informano sullo spazio e sul tempo propri a
ciascuno di noi”.
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Bibliografia
1. J. Le Boulch (1984), “Lo sviluppo psicomotorio dalla nascita ai si anni”,
Roma, Armando Editore.
2. F. Boscaini (2009), “Lo sviluppo psicomotorio”, Verona, CISERPP.
3. F.Boscaini (2008), “L’esame psicomotorio”, Verona, CISERPP.
4. M.Pratelli (1995) “Disgrafia e recupero delle difficoltà grafo-motorie”,
Trento, Edizioni Erickson .
5. R.C. Russo (1988) “Diagnosi e terapia psicomotoria”, Milano, Casa
Editrice Ambrosiana.
6. P. Fraisse, “Psychologie du rythme”, 1974, Presses Universitaires de
France, Paris.
7. Manuale A.E.D. di educazione e rieducazione del gesto grafico (20014), a
cura di Marcella Nusiner.
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