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Schedario/ Lessico oggi
Raffaella Bastoni
Valentina Lanfranchi
Derivati
AS 03 [2009] 222-225
Dottoresse in Economia
dei mercati e degli intermediari
finanziari
La recente crisi, i cui effetti attanagliano
il mondo intero, ha portato al centro dell’attenzione il settore della finanza e i sofisticati
strumenti che esso utilizza: combinazioni
sempre nuove di titoli, contratti e forme di
investimento, studiate in modo da presentare prospettive di rendimento elevate, grazie
anche alle opportunità offerte dall’applicazione dell’informatica alle contrattazioni
di Borsa. Tra questi strumenti spiccano i
cosiddetti derivati, ai quali si imputa una
parte rilevante delle ingenti perdite subite
dagli investitori nei mesi scorsi, con le relative conseguenze in termini di confusione
e diffuso allarme. I derivati sono infatti prodotti complessi ed evoluti destinati a investitori professionali che sappiano sfruttare
le numerose opportunità che offrono e, nel
contempo, valutare e gestire correttamente
i notevoli rischi che presentano.
Di che cosa si tratta
Il termine «derivato» (in inglese: derivative) esprime sinteticamente la caratteristica fondamentale di questa tipologia
di prodotti finanziari, il cui valore deriva
dall’andamento di altre variabili, come il
prezzo di altre attività, o dal verificarsi di
un evento prestabilito osservabile oggettivamente. L’attività sottostante (underlying
asset, indicata come «il sottostante» nel
© fcsf - Aggiornamenti Sociali
gergo tecnico) può essere una merce o un
bene oggetto di contrattazione sui mercati
borsistici specializzati (metalli, prodotti
energetici, prodotti agricoli, ecc.): si parla
in questo caso di commodity derivative (derivati con «sottostante» reale). Vi sono poi i
financial derivative, cioè i derivati con «sottostante» finanziario (azioni, obbligazioni,
valute estere, ecc.). Altri derivati si basano
sull’andamento di tassi o indici (tasso di
inflazione, di interesse, di cambio, indici
di Borsa, ecc.) o di altre variabili ancora
(persino le condizioni atmosferiche).
I derivati nascono come supporto al
commercio e in particolare come risposta
all’esigenza degli operatori di ridurre i rischi legati alla variazione del prezzo tra il
momento in cui viene negoziato il contratto
e quello in cui il bene viene effettivamente
consegnato: tecnicamente si parla di finalità
di copertura o hedging.
Facciamo un esempio: il prezzo del petrolio fluttua ogni giorno sui mercati internazionali, mentre il produttore può avere
l’esigenza di dare certezza ai flussi derivanti
dalle vendite future della sua produzione,
eliminando i rischi legati alle oscillazioni
del prezzo. Lo può fare concludendo un
contratto a termine, impegnandosi per ipotesi a fornire mille barili di petrolio fra tre
mesi a un prezzo di 45 dollari il barile. La
Derivati
controparte potrà essere un utilizzatore di
petrolio (ad es. un’industria chimica), interessato a definire in anticipo il prezzo dei
suoi acquisti, ma anche uno speculatore,
che stima di poter ottenere un guadagno assumendo il rischio relativo al prezzo: infatti,
se alla data prefissata il prezzo effettivo sul
mercato sarà superiore a 45 dollari il barile, il compratore potrà rivendere il petrolio
ricavandone un guadagno, mentre registrerà
una perdita nel caso opposto. In ogni caso,
il contratto conferisce al compratore il titolo
a ricevere una certa quantità di petrolio in
una data stabilita, a fronte del pagamento
di un prezzo fissato. Questo contratto può
a sua volta essere ceduto, e il suo prezzo
deriverà dalla quotazione del petrolio: ad
esempio, se dopo un mese il prezzo del
petrolio per consegne a due mesi fosse di
47 dollari il barile, il contratto avrebbe un
valore prossimo a duemila dollari (2 dollari
per mille barili). Abbiamo dunque costruito
un derivato. Oltre che a fini di copertura e
speculativi, i derivati possono essere utilizzati anche a scopo di arbitraggio, cioè per
conseguire un profitto sfruttando eventuali differenze di prezzo tramite operazioni
combinate su derivato e «sottostante», o
su più derivati.
I derivati sono trattati su mercati specifici: il primo fu il cbot (Chicago Board
of Trade: Borsa a termine di Chicago) nel
1848. Il mercato italiano dei derivati (idem:
Italian Derivative Market) è nato nel novembre 1994 ed è stato affiancato recentemente
dal SeDeX (Securities Derivative Exchange:
Mercato telematico dei derivati cartolarizzati, che hanno la forma tecnica del titolo
anziché quella del contratto). I derivati sono
negoziati anche fuori dai circuiti borsistici
ufficiali, su mercati non regolamentati o,
in termine tecnico, over the counter (otc),
dove le contrattazioni avvengono tramite
computer o telefono, permettendo maggio-
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re flessibilità e personalizzazione delle
operazioni. Si tratta di una delle forme di
investimento più innovative, speculative e
rischiose mai conosciute.
Tipi di derivati
Nascono ogni giorno nuove tipologie di
derivati, ma è possibile ricondurli ad alcune
macrocategorie. Utilizziamo qui quelle introdotte nell’ordinamento giuridico italiano
dall’art. 1 della c.d. «Legge Draghi» (D.Lgs.
24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21
della L. 6 febbraio 1996, n. 52): contratti a
termine (forward e future), contratti di scambio «a pronti e a termine» (swap), contratti
di opzione, e combinazioni dei contratti e
titoli precedenti.
I contratti a termine — cui apparterrebbe
quello dell’esempio sopra utilizzato — consistono nell’accordo tra due soggetti per la
consegna di una determinata quantità di un
certo «sottostante» a un prezzo e a una data
prefissati. In gergo si dice che colui che si
impegna ad acquistare apre una «posizione
lunga» (long position), mentre chi si impegna a vendere apre una «posizione corta»
(short position). Le principali tipologie di
contratti a termine sono i forward e i future.
I primi sono prodotti otc, scambiati cioè
al di fuori dei mercati regolamentati, la
cui liquidazione avviene unicamente alla
scadenza pattuita. I future, invece, sono
contratti standardizzati negoziati su mercati
regolamentati, con le peculiarità che ne
conseguono. In particolare un organismo
centrale o clearing house (che per il mercato italiano è la Cassa di compensazione
e garanzia) figura come controparte di tutti
i contratti, assicurando il buon fine delle
operazioni e la liquidazione giornaliera
dei profitti e delle perdite conseguiti dalle parti.
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Per quanto riguarda i contratti swap, il
significato del termine (che si traduce letteralmente con «scambio») ne descrive la
sostanza: due operatori si accordano per
scambiarsi una serie di flussi di denaro
per un certo periodo di tempo e secondo
regole predeterminate, sulla base dell’andamento di un certo «sottostante». Per loro
natura sono contratti otc. La flessibilità di
questo strumento permette la creazione di
una grande varietà di contratti. Tra i più
diffusi troviamo gli interest rate swap (swap
su tassi d’interesse) e i currency swap (swap
su valute). Nel primo caso per la durata
del contratto due controparti si scambiano
pagamenti periodici di interessi calcolati
in modo diverso — ad esempio tasso fisso
in una direzione e tasso variabile nell’altra
— su una somma di denaro che non viene mai trasferita e perciò è detta capitale
nozionale di riferimento. Oltre alla finalità
speculativa, un contratto di questo genere
può avere uno scopo di copertura. È il caso
di una banca che abbia una divergenza fra
la remunerazione dei fondi depositati dai
risparmiatori (per ipotesi a tasso variabile)
e quella dei prestiti concessi (per ipotesi
a tasso fisso). Potrà liberarsi del rischio di
squilibrio fra i tassi con una operazione di
swap, in cui si impegna a versare un interesse fisso accettando di riceverne in cambio
uno variabile: riceverà interessi a tasso fisso
da coloro a cui ha concesso il prestito e li
potrà versare alla controparte dello swap,
mentre utilizzerà i flussi (variabili) in arrivo da quest’ultima per remunerare i propri
depositanti. Qualunque sia l’andamento dei
tassi di interesse, si troverà al riparo da
brutte sorprese.
Qualcosa di analogo accade con i currency swap: le parti si scambiano un certo
ammontare di denaro in valute diverse a un
tasso di cambio prestabilito (ad esempio 1
milione di dollari contro 800mila euro); cia-
Raffaella Bastoni – Valentina Lanfranchi
scuna pagherà all’altra gli interessi nella valuta che ha ricevuto (al tasso di riferimento
per quella valuta: i tassi di interesse variano
tra valute diverse) e, alla fine, le parti si
restituiranno il capitale iniziale nella valuta originaria. Oltre che agli speculatori,
un contratto di questo genere può risultare
attraente, ad esempio, per un’impresa che
riesca a ottenere credito a condizioni favorevoli in un certo Paese (e quindi in una
certa valuta), ma debba utilizzare altrove il
capitale: con un currency swap si libera del
rischio di cambio e acquisisce la certezza di
disporre dei flussi con cui onorare il prestito
già nella valuta in cui esso è stato contratto.
Assai diffusi sono poi i credit default swap,
con cui un operatore può trasferire a un
altro il rischio di insolvenza dell’emittente
di titoli obbligazionari che ha acquistato,
dietro il pagamento di un premio.
Una terza tipologia di derivati, anch’essa
molto diffusa, è quella delle opzioni, contratti che attribuiscono il diritto di comprare
(opzione call) o vendere (opzione put) una
certa quantità di un determinato «sottostante» a un prezzo prefissato, detto prezzo di
esercizio, in una data determinata oppure
entro una certa data. Il detentore dell’opzione può decidere di esercitare il diritto
corrispondente o di rinunciarvi, nel qual
caso dovrà corrispondere alla controparte
un premio. Sui mercati regolamentati sono negoziate le opzioni standard, mentre
su quelli otc sono disponibili contratti
con caratteristiche personalizzate. L’uso
speculativo di questo strumento richiede
spesso un’abile strategia di combinazione
di opzioni diverse.
Vantaggi e rischi
I derivati sono strumenti particolarmente attraenti per gli speculatori per le loro
enormi potenzialità in termini di leva finanziaria, cioè per la possibilità di operare su
Derivati
valori ingenti con un esborso iniziale anche molto modesto, e quindi con un ridotto
capitale di partenza. Proviamo a chiarirlo
con un esempio, a rischio di un’eccessiva
semplificazione. Stipulare un contratto di
opzione call (diritto di comprare) a tre mesi
per 1 milione di dollari contro 800mila euro, al cambio implicito di 1,25 dollari contro
1 euro, non richiede la disponibilità del
capitale in euro (perciò si parla di capitale
o valore nozionale). Se il dollaro tende ad
apprezzarsi rispetto all’euro, dopo un mese
il medesimo operatore potrebbe trovarsi in
condizione di stipulare un contratto di opzione put (diritto di vendere) a due mesi per
1 milione di dollari contro 900mila euro, al
cambio implicito di 1,11 dollari per 1 euro,
incassando alla scadenza (o anche prima,
nel caso di mercati con clearing house) un
profitto speculativo di 100mila euro senza
alcun impegno di capitale.
Prospettive di guadagno tanto elevate
sono associate a profili di rischio altrettanto alti, così da rendere plausibile l’accostamento di un derivato a una vera e
propria scommessa. Questa caratteristica
dei derivati, stante la loro enorme diffusione — il valore nozionale dei derivati a
livello globale ha raggiunto a fine 2007 i
600mila miliardi di dollari, oltre dieci volte
il Prodotto interno lordo mondiale —, li
rende agli occhi delle autorità finanziarie
internazionali e di molti osservatori una
minaccia per la stabilità globale.
La Banca dei regolamenti internazionali ha da tempo lanciato un allarme sulle
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debolezze dell’infinito numero di derivati
negoziati otc, in particolare per quanto riguarda i rischi derivanti dal fallimento della
controparte (come è accaduto nel caso della
banca americana Lehman Brothers).
Per quanto riguarda il nostro Paese,
assume connotati sempre più allarmanti
il fenomeno dei derivati acquistati dagli
Enti locali: secondo i dati del Ministero del
Tesoro, a fine 2007 essi avevano sottoscritto
contratti per un valore nozionale di 35,28
miliardi di euro, registrando pesanti perdite
sia in termini di flussi di cassa sia di valore
monetario del contratto.
Più che mai risulta indispensabile promuovere e sviluppare una cultura finanziaria adeguata, che permetta di valutare
correttamente le potenzialità e i rischi di
uno strumento che può apparire molto
promettente, ma riservare anche pessime
sorprese.
Per saperne di più
Banfi A. (ed.), I mercati e gli strumenti
finanziari. Disciplina e organizzazione
della Borsa, ISEDI, Torino 2008.
Hull J. C., Opzioni, futures e altri derivati, Pearson Education Italia, Milano
2006 6.
«I mercati degli strumenti derivati», rubrica fissa in Rassegna trimestrale BRI,
in <www.bis.org>.
International Swaps and Derivatives
Association, Inc.: <www.isda.org> (in
inglese).
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