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JOHN NASH
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Intervista al Corriere della Sera [1]
“Credevo di essere il Messia. Potevo entrare in contatto con Dio e decidere il destino
dell’umanità. Altre volte, mi sentivo debole e senza importanza. Nella mia testa squillava
con insistenza un telefono. Rispondevo e mi trovavo a parlare con qualcuno che mi assaliva
con idee opposte alle mie. Udivo voci. In strada vedevo figure ostili che mi circondavano, e
spesso riconoscevo nei miei nemici degli emissari del comunismo internazionale.”
Che John Nash, grande matematico e Premio Nobel, fosse transitato per i meandri della
follia si sapeva.
Nell’università americana è soprannominato il fantasma di Princeton e quando nel 1994
ottenne il Premio Nobel per l’applicazione della teoria dei giochi all’economia riaffiorano
drammatici frammenti del suo passato.
Lui non vuole parlarne e rifiutava le interviste con una sola, misteriosa frase: “No grazie:
ognuno sa quel che sa”. Ma ora il professore è venuto al congresso mondiale di psichiatria
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a Madrid ed ha trovato il coraggio di raccontare davanti a centinaia di persone la sua
malattia: quindici anni in preda alla schizofrenia, una lunghissima sofferenza segnata da
peregrinazioni e ricoveri, perdita del lavoro, abbandono della famiglia, emarginazione.
John Nash ha raccontato tutto, senza reticenze e senza finzioni, a partire da quel 1959
quando la sua mente , capace di penetrare i teoremi più astrusi e risolvere i problemi più
complessi, uscì dal suo controllo.
Aveva 30 anni, era stato proclamato migliore matematico della nuova leva mondiale e
aveva già elaborato lo studio che gli avrebbe un giorno dato il Premio Nobel.
Ma si trovò in Europa, solo, in fuga dagli spettri che lo inseguivano, a Roma, poi a Parigi e
a Ginevra.
“Fu in Italia – ha ricordato – che comincia ad udire lo squillo del telefono. Era un suono che
mi rimbombava dentro di giorno e di notte e mi perseguitavano le visioni.
Soffrivo di continui deliri a sfondo religioso e politico e il delirio è tremendo, come un
sogno dal quale non riesci in alcun modo a svegliarti”.
La moglie (e collega) Alicia Larde chiese il divorzio, andandosene con il figlio piccolo.
S’aprì la catena di ricoveri dopo il rientro negli USA. La moglie tornò per aiutarlo, le
terapie cominciarono a registrare effetti duraturi. E nel 1974, finalmente, John Nash tornò
se stesso.
Riprese gli studi di matematica, l’impegno a tempo pieno nell’università, la vita familiare.
Parlando ai congressisti di Madrid, in piedi, leggermente impacciato, la voce bassa, il
Premio Nobel ha voluto lanciare un messaggio di speranza: “Guarire si può”.
Ma la sua testimonianza è stata anche lo spunto per dibattere un tema che da sempre pone
interrogativi: la relazione tra genio e follia e, in particolare, tra follia e approfondimento
delle scienze esatte.
Nash e altri relatori hanno citato i casi di matematici insigni che patirono disturbi mentali.
Georg Cantor, A. M. Turing, Emil Post, maniaco depressivo, Alonzo Church, il creatore del
Lambda calculus, afflitto da ossessioni e stravaganze, e il grande Kurt Godel, che discuteva
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da pari a pari con Einstein e morì in manicomio cercando di sfuggire a un immaginario
avvelenatore.
Lo scienziato pazzo non è dunque un luogo comune, una caricatura dal film dell’orrore.
Ma perché numeri, formule, calcoli possono mandare in cortocircuito il cervello? Forse, si è
detto, perché la ricerca esasperata della razionalità provoca reazioni nella parte di noi che
non soggiace alla ragione. O forse perché ‘la nostra fragilità’ non resiste al pensiero
ultralogico, necessario per la comprensione superiore del mondo astratto.
“In effetti – ha detto Nash – quando cominciai a stare male mi ero tuffato in un progetto
troppo ambizioso. Chiedevo troppo alla mia mente ed ero esaurito fisicamente.”
E ha parlato del difficile recupero, del lungo cammino alla ricerca dell’equilibrio perduto:
“Ci sono riuscito a prezzo di grandi sofferenze e devo confessarvi che anche riconquistare
la razionalità dopo essere vissuti nell’irrazionalità procura dolore”
[1] archiviostorico.corriere.it – Nash: “Io, Premio Nobel, diventai pazzo in nome della razionalità”
– di Botti Ettore (29 agosto 1996)
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Intervista all’Espresso [2]
Professor Nash, l’anno scorso al Festival lei ha giocato una partita a scacchi con l’ex
campione Spassky. Com’era andata?
“Come principiante non ho potuto fare molto. Quando Spassky ha fatto una certa mossa
con il suo alfiere, ho pensato che ci fosse un tranello e non ho risposto nella maniera ovvia.
Invece il tranello era appunto quello, che non c’era tranello.”
Gli scacchi possono essere una metafora della matematica, o viceversa?
“Ci sono molte somiglianze tra un teorema e una partita: ad esempio, nella precisione e
nella bellezza. Giocare bene è come fare una bella dimostrazione.”
A proposito di giochi, lei ne ha inventato uno chiamato Hex
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“Si, all’inizio dei miei studi, nel 1949. L’ho fatto per illustrare in pratica alcuni concetti
teorici. È un gioco in cui il primo giocatore ha un vantaggio teorico nei confronti del
secondo,ma non sa come sfruttarlo in pratica.”
L’ha mai commercializzato?
“A Princeton è stato molto popolare al dipartimento di Matematica. Ma quando cercammo
di venderlo ad un editore, scoprimmo che qualcuno in Danimarca lo aveva già introdotto.”
Come è arrivato ad interessarsi alla teoria dei giochi?
“Era stato pubblicato da poco il libro di von Neumann e Morgenstern ‘La teoria dei giochi e il
comportamento economico’, che oggi è un classico. E in quel libro si faceva un parallelo molto
ambizioso e attraente con l’economia.”
Lei all’epoca si interessava già delle applicazioni economiche?
“Avevo un certo interesse. Prima di andare a Princeton avevo seguito un corso di
economia, oltre a quelli di matematica, fisica e chimica.”
E quelli furono gli unici studi di economia che fece?
“Da un punto di vista formale, si.”
Lei ha studiato a Princeton quando Einstein insegnava lì. Lo ha mai incontrato?
“Si. All’epoca riflettevo anche sulla cosmologia e sulla gravitazione, e sapevo che lui aveva
una personalità stimolante. In fondo anche lui era un matematico, e i suoi studi sullo spazio
– tempo erano dei pezzi di bravura matematica.”
Spiegò le sue teorie ad Einstein, dunque?
“Si, ma lui non aveva molto tempo per ascoltare. Mi disse che avrei dovuto studiare di
più.”
In pratica, la rimandò a scuola?
“Si, diciamo così.”
Nel film ‘A Beautiful Mind’ c’è un’unica scena a cui si accenna alla teoria dei giochi.
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“Ho apprezzato molto il lavoro del regista e dello sceneggiatore. La teoria dei giochi non è
che si possa applicare a qualunque cosa, ma in quella scena del film sono riusciti a
concentrare l’attenzione su alcuni interessanti aspetti psicologici.”
Sono riusciti a spiegare la sua teoria, dell’equilibrio di Nash?
“Non credo ci abbiano seriamente provato.”
Perché non prova a piegarcela, in quattro parole?
“Un gioco può essere descritto in termini di strategie, che i giocatori devono seguire nelle
loro mosse: l’equilibrio c’è, quando nessuno riesce a migliorare in maniera unilaterale il
proprio comportamento. Per cambiare, occorre agire insieme.”
Italo Calvino, ha scritto una frase che molti usano per descrivere la teoria dell’equilibrio
di Nash: a volte nella vita non riusciamo a raggiungere il meglio, ma almeno possiamo
evitare il peggio. È una buona descrizione della sua nozione?
“Direi di si. Perché unilateralmente possiamo solo evitare il peggio, mentre per
raggiungere il meglio abbiamo bisogno di cooperazione.”
Ci vuole parlare delle sue vicende personali?
“Allude alla mia malattia? Ebbene, era l’anno 1962. Avevo 34 anni. Successe qualcosa che
mi portò lontano dalla matematica: incomincia a soffrire. Mi hanno diagnosticato un tipo di
schizofrenia molto raro.”
Aveva allucinazioni, visioni, come nel film?
“Visioni no, almeno non agli inizi: non è che quando si sta male si abbiano necessariamente
illusioni visive, come nel film. Le allucinazioni, più che su qualcosa che si vede, sono su
qualcosa che si pensa. In seguito le mie furono anche uditive, sentivo delle voci.”
Potrebbe fare qualche esempio di allucinazione non sensoriale?
“Visto che siamo alla vigilia delle elezioni. Immagini una persona che dovrebbe essere
democratico, ma pensa da repubblicano. O una che dovrebbe essere repubblicana, e pensa
da democratico.”
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Parliamo di matematica: che legame c’è tra essa ed il pensiero allucinatorio?
“Io direi nessuno. Nel suo lavoro il matematico deve pensare in termini razionali e logici,
anche se può commettere errori. Come uno scacchista, d’altronde.”
Qualcuno pensa, o almeno dice, che troppa logica fa diventare matti.
“Non ho molta esperienza, ma il matematico italo – statunitense Giancarlo Rota ha scritto
in un suo libro che i logici effettivamente sono un po’ tutti matti.”
Lei da malato riusciva a fare matematica?
“Il delirio non era continuo, ma intermittente: le crisi andavano e venivano, e quando
accadevano mi sentivo come sotto tortura. Si trattava di stati di irrazionalità che io stesso,
nei momenti di lucidità, non accettavo. E quando tornavo razionale, ero pronto a lavorare e
a fare ricerca.”
Questo avveniva negli anni ’60. E negli anni ’70?
“Negli anni ’70 non ho lavorato. Negli anni ’80 coltivavo i miei hobbies, dall’informatica ai
programmi statistici. Passavo da un’attività all’altra.”
Si può dire che la matematica le sia stata d’aiuto per la sua malattia?
“Se una persona ha problemi mentali è come se fosse scollegata dalla realtà, e qualunque
tipo di terapia psicologica può essere d’aiuto. Quando, in concomitanza con la
farmacoterapia, si è introdotta anche la psicoterapia, l’interazione fra le due cose è
sicuramente stata d’aiuto.”
Ha detto prima che a un certo punto ha cominciato a sentire delle voci. Nella storia ci
sono altri esempi: il Socrate platonico, ad esempio, diceva anche lui di sentire una voce.
“Si chiamavano demoni, all’epoca. E si parlava di sogni in cui uno aveva l’impressione di
ricevere il messaggio di Dio.”
Sogni e voci, però, sono cose diverse
“Un sogno non è considerato un’allucinazione, ma se ci si crede, l’effetto potrebbe essere lo
stesso. Se Dio non esiste, ma tu hai l’impressione di sentire la voce di Dio, cosa cambia?”
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Possiamo allora classificare come schizofrenici tutti quelli che nella storia hanno sentito
delle voci?
“Forse sarebbe esagerato ma certo sentire delle voci non è un fatto positivo.”
Come è avvenuta la sua ripresa?
“E’ stata una ripresa progressiva. Mi sono reso conto che certe cose non erano fondate.”
E alla fine sono arrivati il Premio Nobel e la fama
“Il Nobel mi ha dato la possibilità di portare avanti il mio lavoro. Mi sono occupato di
nuovo di teoria dei giochi e di cosmologia, e ho sviluppato qualche idea nuova.”
Quant’è cambiata la sua vita, dopo il Nobel?
“Per molti il Nobel non ha cambiato molto la loro vita, o solo in misura molto modesta:
avevano già avuto i loro risultati, e il premio ha aggiunto un onore. Per me invece è stato
diverso, perché nel 1994 io non avevo neppure un lavoro. E dopo l’ho avuto. Forse, se non
avessi vinto il Premio Nobel, per me ora sarebbe tutto diverso.”
[2] espresso.repubblica.it – John Nash genio e follia – di Piergiorgio Odifreddi (11 marzo
2008)
BIOGRAFIA [3]
John Forbes Nash, Jr. è un matematico ed economista statunitense. Tra i matematici più
brillanti e originali del Novecento, Nash ha rivoluzionato l’economia con i suoi studi di
matematica applicata alla teoria dei giochi, vincendo il premio Nobel per l’economia nel
1994.
Nash è anche un geniale e raffinato matematico puro, con un’abilità fuori dal comune
nell’affrontare i problemi da un’ottica nuova, trovando soluzioni eleganti a problemi
complessi, come quelli legati all’immersione delle varietà algebriche, alle equazioni
differenziali paraboliche, alle derivate parziali e alla meccanica quantistica.
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Nash è diventato famoso al grande pubblico anche per aver sofferto per lungo tempo di
una grave forma di schizofrenia, ispirando la realizzazione del noto e pluripremiato a
Beautiful Mind
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L’infanzia
John Forbes Nash, Jr. nacque nel 1928 a Bluefield, nella Virginia Occidentale.
John Nash già da piccolo rivelò un carattere solitario e introverso. Anche la sua
frequentazione scolastica presentava problemi. Alcune testimonianze di chi lo ha
conosciuto lo descrivono come un ragazzo singolare, introverso e solitario, con un
maggiore interesse per i libri rispetto alle ore di gioco con altri bambini.
Il clima familiare, tuttavia, era sostanzialmente sereno, con i genitori che non mancavano
di dimostrargli il loro affetto.
Dopo qualche anno nacque la sorella Martha. Grazie a lei John riuscì ad integrarsi un po’ di
più con i coetanei, riuscendo anche a farsi coinvolgere nei giochi usuali dell’infanzia.
Tuttavia, mentre gli altri tendevano a giocare insieme, John spesso e volentieri preferiva
rimanere per conto proprio. Il padre inoltre lo trattava da adulto, fornendogli libri di
scienza anziché libri per l’infanzia.
La situazione scolastica non fu rosea, perlomeno inizialmente. Gli insegnanti non si
accorsero del suo genio e dei suoi talenti. Anzi, la sua mancanza di abilità sociale lo mise in
cattiva luce nei confronti del corpo docente.
Nash era probabilmente annoiato dalla scuola, un caso non raro, visto che anche una
personalità come Albert Einstein era altrettanto insofferente verso le tradizionali istituzioni
scolastiche.
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Gli anni del liceo
Al liceo, invece, la sua superiorità intellettuale rispetto ai compagni gli servì soprattutto per
ottenere considerazione e rispetto. Ottenne una prestigiosa borsa di studio, la George
Westinghouse Scholarship, e si recò nel 1945 a Pittsburgh, all’Università Carnegie Mellon,
per studiare ingegneria chimica.
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Con il passare del tempo, però, il suo interesse per la matematica andò aumentando e
decise, anche su consiglio del direttore del dipartimento di matematica John Lighton Synge
e di altri professori, di cambiare indirizzo.
In questo campo mostrava abilità eccezionali, specialmente nella soluzione di problemi
complessi.
Con gli amici, invece, si comportava in modo sempre più eccentrico. Di fatto, non riuscì ad
instaurare rapporti di amicizia né con donne né con uomini.
Partecipò due volte al William Lowell Putnam Mathematical Competition, un premio
molto ambito, ma non riuscì ad arrivare tra i primi cinque. Questa fu per lui una grande
delusione, di cui parlerà anche dopo vari anni.
Ottenne la laurea in matematica nel 1948 e ricevette offerte dalle Università di Harvard,
Princeton, Chicago e Michigan per un dottorato.
Scelse Princeton, dove entrò nel settembre del 1948. Lì avrà modo di conoscere, fra gli altri,
giganti della scienza come Albert Einstein e John von Neumann.
Nella lettera di presentazione a Princeton che Nash portò, vi era solo una frase, scritta dal
rettore: “Quest’uomo è un genio.”
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Gli anni a Princeton
Nash ebbe subito grandi aspirazioni in campo matematico, dimostrando una vasta gamma
di interessi nella matematica pura: tipologia, geometria algebrica, teoria dei giochi e logica.
Non gli interessava dedicarsi ad una teoria, svilupparla, tessere rapporti con altri
specialisti, eventualmente fondare una scuola; desiderava invece risolvere un problema con
le sue forze e i suoi strumenti concettuali, cercando l’approccio più originale possibile alla
questione.
Nel 1949, mentre studiava per il suo dottorato, scrisse un saggio che 45 anni più tardi gli
sarebbe valso il Premio Nobel per l’economia.
Durante quel periodo Nash stabilì i principi matematici della teoria dei giochi.
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Gli anni seguenti e i primi sintomi della schizofrenia
Intanto cominciò a manifestare i primi segni di malattia. Conobbe anche una donna, di
cinque anni più anziana di lui, che gli diede un figlio.
Nash non volle però aiutarla economicamente e non riconobbe il figlio, anche se si
occuperà di lui, sia pur saltuariamente.
Continuò la sua vita piuttosto complicata ed errabonda. Incontrò un’altra donna, Alicia
Larde, che diventerà sua moglie.
In questo periodo visitò anche il Courant Institute, dove incontrò Louis Nirenberg, che lo
introdusse ad alcune problematiche sulle equazioni differenziali alle derivate parziali.
In questo campo ottenne un risultato straordinario, che avrebbe potuto essere premiato con
la medaglia Fields, e che è legato a uno dei famosi problemi di Hilbert.
Tuttavia il matematico Ennio De Giorgi, di cui Nash ignorava i risultati, aveva già risolto lo
stesso problema pochi mesi prima in maniera indipendente.
Al conferimento del Nobel, lo stesso Nash dichiarerà: “fu De Giorgi il primo a raggiungere la
vetta.”
Cominciò nel frattempo ad occuparsi delle tematiche legate all’interpretazione della
meccanica quantistica e anni dopo dichiarò che probabilmente l’impegno che mise a questa
impresa fu causa dei suoi primi disturbi mentali.
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I ricoveri e la guarigione
Cominciano i ricoveri, e comincia anche un periodo lunghissimo della sua vita in cui
alterna momenti di lucidità, in cui riesce a lavorare raggiungendo anche risultati assai
significativi (ma non del livello dei suoi precedenti) ed altri in cui le condizioni di salute
mentale sembrano seriamente deteriorate.
I deliri più ricorrenti riguardano le visioni di messaggi criptati (provenienti anche da
extraterrestri), il credere di essere l’imperatore dell’Antartide o il piede sinistro di Dio,
l’essere a capo di un governo universale.
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Dopo alcuni spostamenti, nel 1970 ritorna al fianco della moglie Alicia, che dopo una fase
particolarmente critica aveva chiesto ed ottenuto la separazione, la quale da quel momento
lo sostiene in tutti i modi e con grandi sacrifici.
Finalmente, dopo lunghi travagli, all’inizio degli anni novanta le crisi sembrano finire.
Nash può tornare quindi al suo lavoro con maggiore serenità, integrandosi sempre di più
nel sistema accademico internazionale e imparando a dialogare e a scambiare idee con altri
colleghi (caratteristica primaria, d’altronde, dell’impresa scientifica).
Il simbolo di questa rinascita è contrassegnato nel 1994 dal conferimento del Premio Nobel
per l’economia, attribuito però in base ai suoi risultati giovanili sull’applicazione della
teoria dei giochi non cooperativi all’economia (il cui concetto basilare è dato dall’Equilibrio
di Nash).
Il 9 marzo 2003 gli è conferita la laurea “honoris causa” in Economia e Commercio da parte
dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
[3] http://it.wikipedia.org/
Casteldaccia (PA), lì 05.01.2015
Ing. Francesco Solazzo
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