Araberara - 11 Febbraio 2011 LE IMPRESE VANNO ALL’ESTERO PER LE TROPPE TASSE La delocalizzazione sintomo della protesta fiscale Marco Ravelli* Con grande sfortuna per l’intera collettività, in questo periodo di grande criticità per l’economia ed il lavoro, il pensiero dominante continua ad essere quello rappresentato dal Pianificatore, il Banchiere ed il Sindacalista professionista. Volendo però esaminare la prassi economica da un aspetto molto più pragmatico, allontanandoci, quindi, dalla propensione del Politico a rendersi indispensabile a qualunque costo, dalla teoria monetarista ed espansionista – intrinsecamente sbagliata nei suoi fondamenti - del banchiere Centrale ed infine dalla dottrina Marxista ancora fortemente radicata e perfettamente funzionale solo al pensiero Sindacale, dovremmo tentare di capire le ragioni di quanti, avendo sufficienti mezzi disponibili tra le mani, decidano di prendere armi e bagagli per trasferire i loro impianti produttivi in Nazioni o addirittura Continenti lontani. * * * Esistono nazioni al mondo che praticando un’imposizione fiscale molto bassa per tutte quelle imprese che siano disposte ad insediare sul loro territorio nuovi impianti produttivi, mantengono il costo del lavoro particolarmente contenuto. Ciò costituisce la miglior garanzia possibile per quanti siano alla ricerca di un buon profitto per i propri capitali ed è inutile sottolineare che non vi sia capitale al mondo, piccolo o grande, che possa in qualche modo resistere alla forza d’attrazione della possibilità di un profitto! La dinamica del massimo profitto da parte dell’imprenditore è di primaria importanza e segue fedelmente la dinamica del massimo risparmio da parte del consumatore e quando un prodotto è fuori mercato, non perché dei concorrenti abbiano ottenuto qualcosa di equivalente ad un costo minore ma perché lo Stato tramite un complicato sistema di tassazione distrugge la competitività delle industrie sul proprio territorio, per il consumatore sarà normale rifornirsi di beni di importazione. A quel punto sarà indispensabile per l’imprenditore cessarne la produzione e salvaguardare il proprio capitale oppure optare per il trasferimento lontano da quell’Inferno fiscale. Qualcuno, generalmente i Politici meno affini alle questioni economiche, in questi frangenti potrebbero anche trovare indicato un sistema di Dazi che porti il costo dei beni importati dall’estero allo stesso livello di quelli prodotti sul suolo Nazionale ma questa è in tutto e per tutto un’altra tassa che grava sul povero cittadino e lo deruba oltre che di ulteriore denaro del suo diritto alla deflazione come conseguenza naturale e benefica della globalizzazione. * * * Per quanto queste considerazioni possano sembrare banali e scontate non riescono però né ad entrare nelle menti dei professionisti della burocrazia nazionale ed Europea, il cui compito dovrebbe essere quello di organizzare le imposte al fine di attirare i grandi capitalisti sul proprio territorio in modo che possano stimolare la produzione ed il lavoro che sono in ultima istanza gli unici produttori di benessere, né tanto meno nella testa dei contribuenti che, debitamente indottrinati, anziché protestare doverosamente contro il loro Governo che opprimendo ed imbrigliando l’economia li riduce ad uno stato di sudditanza e di miseria, protestano contro chi, non accettando questa situazione vessatoria, trova ottimi sistemi per difendere la propria libertà che solo il Burocrate, non il diritto naturale, definisce illegali. * * * Per tanto è doveroso, per il bene dell’intera civiltà occi- dentale, che la questione fiscale venga capita e affrontata con estremo coraggio poiché nel corso dell’intera storia dell’umanità furono proprio le tasse a determinare le fortune e le rovine dei vari imperi, dall’antico Egitto all’impero Romano sino a quello Britannico, tutti prosperarono grazie alla concorrenza fiscale fatta ai propri contemporanei e crollarono sotto il peso di tasse divenute, poi, troppo onerose. Questo è il destino che si prefigura anche per Europa ed America passate, per colpa dell’illusione Socialista – ideale più a garantire una buona fonte di sostentamento ai burocrati che non a sussidiare la popolazione - da una tassazione ridotta degli inizi del secolo scorso ad un’imposizione attuale del tutto asfissiante per cittadino ed impresa. Così noi ora abbiamo un grandioso stato sociale dove tutti possono usufruire del servizio sanitario e di quello dell’istruzione pubblica ad un costo nominale irrisorio. Ciò che nessuno vede, o preferisce non vedere, è che questi servizi che vengono gestiti in modo monopolistico dai nostri burocrati – che notoriamente non hanno nessuna propensione né al profitto né alla gestione oculata - costano a ciascuno di noi mediamente il 50% del nostro reddito più il 10 o 20% di ogni bene che compriamo o servizio di cui usufruiamo più le gabelle minori che ogni amministrazione riesce ad inventarsi a vario titolo più ovviamente un ulteriore 5% del nostro Pil che ogni anno va a sommarsi al debito pubblico e che quindi presto si tramuterà in nuove tasse. Sono queste oltre alle altre innumerevoli imposizioni che gravano sull’impresa a mandare tutto il nostro sistema produttivo fuori mercato e di conseguenza a distruggere l’intero tessuto economico Nazionale poiché si tende a dimenticare l’importante concetto enunciato da Adam Smith che l’operosità di un cittadino cresce solo se gli sarà garantito il suo diritto naturale di godere della massima parte dei frutti del proprio lavoro. È in definitiva impensabile prodigarsi per una efficace tutela d’ufficio della sempre più folta schiera di deboli oppure sperare che un capillare rete di solidarietà possa sorgere spontaneamente tra i cittadini senza forti e ricche imprese da cui attingere ma, come era naturale pensare nel ‘700 è ancora più impensabile imporre, a tale scopo, delle tasse senza il consenso dei cittadini. E nessuno darebbe mai il proprio consenso ad essere rovinato dall’imposizione fiscale. E poiché è vano sperare che nel prossimo futuro siano solo coloro i quali riconoscano l’importanza del pensiero illuminato dei grandi filosofi liberali del XVIII secolo ad essere chiamati a guidare la delicata macchina dell’Amministrazione Pubblica è indispensabile, se non vogliamo risvegliarci in un’Europa del tutto simile a quella del V secolo, dove di fatto vigeva uno stato di schiavitù fiscale, che i cittadini alzino la voce contro questa continua estorsione e l’imbroglio socialista che la giustifica i quali hanno come unico risultato quello di distruggere tutte le nostre risorse e quindi costringere i più coraggiosi ed intraprendenti tra di noi a ricorrere all’auto-esilio lasciandosi alle spalle solo una profonda miseria. *Consigliere comunale di Casnigo 4