i beni paesaggistici nel nuovo codice dei beni culturali e del

I BENI PAESAGGISTICI NEL NUOVO CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL
PAESAGGIO
Sommario: 1. Premessa - 2. L’evoluzione normativa - 3. La Corte costituzionale - 4. Il giudice amministrativo - 5.
La dottrina - 6. Paesaggio, ambiente, urbanistica - 7. Il senso della “primarietà” del bene interesse paesaggistico 8. La risposta del codice.
PREMESSA
Il 1 maggio 2004 è entrato in vigore il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio, introdotto con il
D.lgs 22 gennaio 2004 n. 42.
La parte più innovativa del codice è sicuramente la terza, dedicata ai beni paesaggistici.
Mentre la Parte seconda del codice, che riprende, in sostanza, la materia dei beni di interesse storico
artistico, di cui alla L. 1 giugno 1939 n. 1089, appare più fedele all’impianto tradizionale della normativa di settore
(pur con significative innovazioni, anche di rilievo sistematico), la Parte terza, relativa al paesaggio, segna un
momento di notevole discontinuità rispetto all’assetto previgente, quale risultante dal Titolo II del testo unico di
cui al D.lgs 29 ottobre 1999 n. 490.
La novità di fondo consiste nella fusione, compiuta finalmente dal nuovo codice, tra i due gruppi di
norme, in sé eterogenei, costituiti dalla legge “Bottai” del 1939 (la L. 29 giugno 1939 n. 1497), da un lato, e dal
D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 e dalla legge “Galasso” (L. 8 agosto 1985 n. 431) dall’altro. Due gruppi di norme che
erano espressione di due diverse “filosofie” della tutela del paesaggio e che il D.lgs. del 1999 aveva solo messo
fisicamente insieme in un unico testo normativo, ma senza un reale coordinamento e senza risolvere le tensioni
antinomiche correnti tra le due diverse impostazioni.
Da qui, da questa difficile convivenza-giustapposizione di due “filosofie” della tutela paesaggistica, è nata
e si è consolidata negli anni una cospicua confusione terminologico-concettuale che ancòra caratterizza molte
prese di posizione, soprattutto della giurisprudenza, nella materia del paesaggio.
Confusione concettuale che ha trovato, forse, la sua più grave manifestazione nella scrittura, del tutto
insoddisfacente, del nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione, introdotto con L. costituzionale n. 3 del 18
ottobre 2001. Il nuovo art. 117, infatti, non menziona espressamente la tutela del paesaggio, e la materia deve
ricavarsi all’interno dell’enunciato relativo alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali contenuto nella
lettera s) del secondo comma, tra le materie riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, nel mentre il
terzo comma del medesimo art. 117 ha attribuito alla potestà legislativa concorrente la valorizzazione dei beni
culturali e ambientali. Nel testo della Costituzione ancora permane, dunque, la contaminazione tra la nozione di
beni ambientali e la nozione di beni paesaggisitici.
A questa confusione il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio ha tentato di porre rimedio.
Nella Parte prima del codice, dedicata alle Disposizioni generali, viene assunto a fondamento dell’intera
costruzione normativa il basilare precetto dell’art. 9, secondo comma, della Costituzione, secondo cui La
Repubblica . . . Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. La nozione di Patrimonio culturale diviene
l’elemento di sintesi per cui (art. 2, comma 1) Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici. I
beni paesaggistici, dunque, sono una species nel più ampio genus dei beni culturali in senso lato. E’ riaffermata e
consacrata a livello normativo la collocazione piena della tutela del paesaggio nella materia dei beni culturali. Ne
risulta ridimensionata la visione “panurbanistica” o “panterritorialista” che aveva invece ricevuto la sua più forte
espressione nella legislazione di attuazione del regionalismo (D.P.R. 616 del 1977, soprattutto) e nella legge
“Galasso” del 1985.
Risulta dunque corroborata dal codice l’intuizione della pronuncia dell’adunanza plenaria del Consiglio di
Stato 14 dicembre 2001 n. 91, che aveva giustamente ascritto la tutela del paesaggio alla citata lettera s) del
secondo comma dell’art. 117, che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali.
Consultabile nel sito http://giustizia-amministrativa.it. La tesi opposta, fortemente sostenuta dalle regioni, afferma invece che il
paesaggio appartenga al governo del territorio, di cui al comma terzo dell’art. 117. Cfr, in tal senso, G. Ciaglia, Prudenza e giurisprudenza nella
tutela del paesaggio, in Giornale di diritto amministrativo 2003, n. 2, p. 163; S. Civitarese Matteucci, Ambiente e paesaggio nel nuovo titolo V della
Costituzione, in Aedon, Rivista di arti e diritto on line 2002 n. 1, http://www.aedon.mulino.it/archivio/2002/1. La tesi dell’adunanza plenaria n. 9 del
2001 è condivisa da M. Occhiena – nt. di commento a Cons. St. sez. VI, ord. 4 settembre 2001 n. 4439, in Urbanistica e Appalti 2001 n. 12,
p. 322.
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1
Sul punto del riparto delle competenze normative e amministrative nella materia non mancano tuttavia
talune ambiguità anche nel codice. L’art. 5, infatti, al comma 6, afferma che Le funzioni amministrative di tutela dei
beni paesaggistici sono conferite alle regioni secondo le disposizioni di cui alla Parte terza del presente codice. Ora, poiché il
termine conferimento sembra ricomprendere tanto il trasferimento di funzioni, quanto la delega (cfr. art. 1, comma
1, della L. n. 59 del 1997), resta dubbio se il codice abbia confermato l’assetto previgente (trasferimento alle
regioni del potere pianificatorio paesaggistico, già disposto dall’art. 1 del D.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8, e delega
delle funzioni di individuazione e gestione/controllo, già operata dall’art. 82 del D.P.R. 616 del 1977), ovvero
abbia accentuato il trasferimento delle funzioni amministrative alla sede regionale.
La sintesi tra le suddette due “anime” della tutela paesaggistica è stata tentata dal codice attraverso la
ridefinizione e il potenziamento della funzione pianificatoria. E ciò sull’abbrivo della Convenzione europea del
paesaggio aperta alla firma a Firenze il 20 ottobre 20002, nonché del cd. accordo congiunto Stato-regioni
sull’esercizio dei poteri in materia di paesaggio, concluso il 19 aprile 2001 e pubblicato nella G.U. n. 114 del 18
maggio 2001, finalizzato al coordinamento dell’esercizio delle competenze statali e regionali.
Comunque, il vero nodo concettuale che caratterizza la tutela paesaggistica attiene alla delimitazione
dell’area propria di tale materia, rispetto a quelle, confinante e variamente interferente, dell’urbanistica/governo
del territorio, da un lato, e della tutela ambientale, dall’altro.
Il rapporto di contiguità/concorrenza tra tutela paesaggistica e corretto assetto urbanistico-edilizio del
territorio (id est: governo del territorio3), pone altresì il problema – di centrale rilevanza – di come e con quale
meccanismo di legittimazione compiere e attuare le scelte di valore e di gerarchizzazione dei beni-interessi
protetti. E’ infatti assiomatico il dato della conformatività/ limitazione (non espropriativa) della proprietà privata
e della libera iniziativa economica privata propria dei provvedimenti di vincolo dichiarativi del notevole interesse
paesaggistico. Il vincolo, come limite d’uso compatibile del bene, che si attua attraverso lo strumento del
controllo autorizzatorio preventivo, pone un problema di ponderazione/comparazione con gli interessi all’uso
patrimoniale del bene, potenzialmente lesivi dell’interesse protetto. La regola d’uso del territorio ne riesce
composita, poiché si forma nell’intreccio delle previsioni urbanistico-edilizie, ambientali e paesaggistiche. Ma tale
puzzle di regole non sempre si completa e si coordina in modo coerente, donde il possibile conflitto tra i diversi
livelli di disciplina (espressivo del conflitto sostanziale “a monte” tra diversi beni-interessi, dotati di diverso grado
di protezione e di rilevanza giuridica). Vedremo come la Corte costituzionale, nella recente sentenza sul condono
edilizio versione 2003 (sentenza n. 196 del 2004) abbia detto delle cose non del tutto condivisibili sul punto.
2. L’EVOLUZIONE NORMATIVA
Ma vediamo di ricostruire in sintesi l’evoluzione dell’idea di tutela del paesaggio sottesa ai vari interventi
normativi che si sono succeduti nel tempo.
Alla visione vedutistico panoramica ed “estetico-crociana” del paesaggio come bellezza naturale, propria
della L. 29 giugno 1939 n. 1497, si è via via sovrapposta e giustapposta un’idea più ambientale e territorialisticopianificatoria della materia. L’idea originaria era quella della tutela, con vincoli individui, puntualmente circoscritti
su immobili ed aree di particolare pregio, del cd. “bello di natura”, secondo uno stilema giuridico “gemello” a
quello proprio del vincolo sulle cose d’arte (L. n. 1089 del 1939). Più tardi, soprattutto a partire dagli anni ’60 e
’70 del secolo scorso, cominciò invece ad affermarsi l’idea che il vincolo sul singolo bene non bastasse più, e che
occorresse “pianificare”, fare dei piani regolatori dell’uso compatibile del territorio, e che, quindi, la tutela del
paesaggio riguardasse la sede della pianificazione territoriale4. Cominciava d’altra parte ad esercitare la sua
2 La Convenzione contiene una innovativa definizione di “Paesaggio”(art. 1, comma 1, lettera a): “paesaggio designa una determinata parte
di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro
interrelazioni”. “Tale definizione – è scritto al punto 38 della relazione esplicativa – tiene conto dell’idea che i paesaggi evolvono col
tempo, per l’effetto di forze naturali e per l’azione degli esseri umani. Sottolinea ugualmente l’idea che il paesaggio forma un tutto, i cui
elementi naturali e culturali vengono considerati simultaneamente”.
3 Il Governo, in attuazione della delega di cui alla L. cd. “La Loggia” (dal nome del Ministro p.t. per gli affari regionali) 5 giugno 2003 n.
131, sta varando un testo di decreto legislativo ricognitivo dei principi fondamentali della materia “governo del territorio” che sembra
voler ampliare l’area di tale materia oltre l’urbanistica e l’edilizia, per ricomprendervi anche la difesa del suolo (L. 18 maggio 1989 n. 183 e
successive sui piani di prevenzione del rischio idrogeologico). Taluni primi schemi di questo testo di decreto delegato, non operando un
adeguato coordinamento con il codice dei beni culturali e del paesaggio, rischiavano di perpetuare la contaminazione tra paesaggio e
urbanistica che pure il codice si è sforzato di rimuovere e di risolvere. Si auspica che nelle stesure finali del testo si possa raggiungere una
formulazione più soddisfacente, capace di aggiungere chiarezza, non di alimentare nuova confusione.
4 E’ significativo sotto questo profilo che l’art. 1 L. 19 novembre 1968 n. 1187 – nel riformulare l’art. 7 della L. urbanistica 17 agosto 1942
n. 1150 – abbia introdotto, tra i contenuti del piano regolatore generale, l’indicazione dei “vincoli da osservare nelle zone a carattere
storico, ambientale, paesistico”, mentre il successivo art. 3 L. 6 agosto 1967 n. 765 ha poi introdotto un secondo comma all’art. 10 della
stessa L. urbanistica del 1942 nel quale, alla lettera c), viene contemplata la “tutela del paesaggio” quale finalità idonea a consentire
l’introduzione di modifiche al piano regolatore generale comunale da parte dell’autorità approvante. Si tratta di vincoli di matrice ed effetto
2
influenza anche nella nostra cultura giuridica la cd. Landscape ecology, scuola di pensiero ecologista proveniente dai
paesi anglofoni, che tendeva a ridurre la tutela del paesaggio alla tutela dell’ambiente ecologia. Ma questa linea di
pensiero apparve per altro verso del tutto insufficiente a rispondere alle esigenze di tutela del paesaggio proprie di
una realtà speciale come quella italiana: l’idea di un paesaggio che si identifica con i boschi, i laghi, le montagne
può andar bene per Paesi come gli Usa o il Canada; ma è certo inadeguata per una realtà come la nostra,
caratterizzata dalla stretta compenetrazione tra paesaggio naturale e paesaggio antropizzato, tra valori
morfologico-naturali e valori culturali derivanti dall’opera modificatrice dell’uomo. Insomma, è evidente a tutti
che il nostro paesaggio non è quasi mai solo “ambiente” inteso in senso fisico, ma è quasi sempre ambiente fisico
più testimonianze storico-artistiche e architettoniche dell’operare dell’uomo5.
Non a caso, la commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico,
archeologico, artistico e del paesaggio, istituita con la L. 26 aprile 1964 n. 310 (cd. “commissione Franceschini”,
dal nome del Presidente), operò una riconsiderazione in chiave culturale del bene paesaggistico, elaborando un
nuovo concetto di bene culturale ambientale, risultante dalla fusione dei profili estetico naturalistici con quelli
storico-artistici dell’interazione della cultura dell’uomo sul territorio, nel quadro della più ampia nozione di
testimonianza avente valore di civiltà6. La commissione Franceschini, nella dichiarazione XXXIX della relazione
finale, definiva i beni culturali ambientali come “le zone corografiche costituenti paesaggi, naturali o trasformati
dall’opera dell’uomo, e le zone delimitabili costituenti strutture insediative, urbane e non urbane, che,
presentando particolare pregio per i loro valori di civiltà, devono essere conservate al godimento della
collettività”.
Il termine bene ambientale riferito, in sostanza, alle bellezze naturali di cui alla L. del 1939, è stato quindi
adoperato per la prima volta normativamente dal D.L. 14 dicembre 1974 n. 657, di istituzione del Ministero per i
beni culturali e l’ambiente, poi divenuto, nella L. di conversione 29 gennaio 1975 n. 5, Ministero per i beni
culturali e ambientali.
Il D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, attuativo della delega di cui alla L. n. 382 del 1975 sull’ordinamento
regionale, come già anticipato sopra, rappresenta uno dei luoghi normativi di massima emersione della linea di
pensiero territorialista o urbanistico/pianificatoria, ed ha introdotto da questo punto di vista notevoli elementi di
confusione concettuale. Esso ha infatti preteso di risolvere la nozione di paesaggio nel vasto orizzonte
dell’ambiente e del governo del territorio/urbanistica. Ha fatto dunque uso del termine beni ambientali nell’art. 82
ed ha inserito le funzioni amministrative in materia paesaggistica nell’assetto ed utilizzazione del territorio (cfr. la
rubrica del titolo V del D.P.R. 616)7.
Negli anni ’70 del secolo scorso, dunque, complice anche la mancata maturazione culturale e istituzionale
dell’autonoma materia del diritto ambientale (il Ministero dell’ambiente è stato istituito solo nel 1986), si stava
operando una non perspicua contaminazione tra tutela del paesaggio, tutela dell’ambiente e urbanistica, intesa
come pianificazione del territorio.
Una spinta ulteriore in questa direzione è venuta dal D.L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito, con
modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985 n. 431 (cd. "legge Galasso”), recante disposizioni urgenti per la tutela delle
zone di particolare interesse ambientale. Questo testo normativo, introducendo il vincolo ex lege esteso a intere
aree individuate secondo un criterio morfologico ubicazionale astratto, e non mediante puntuale attività
propriamente urbanistici, che non vanno confusi con quelli statali preordinati alla tutela paesaggistica in senso proprio. Ma queste novità
normative sono comunque sintomatiche del progredire dell’idea che la tutela del paesaggio dovesse essere ricondotta nell’alveo della
pianificazione territoriale.
5 Significativamente il codice definisce il paesaggio, all’art. 131, comma 1, riprendendo in larga parte la definizione fornita dalla citata
Convenzione europea sul paesaggio (cfr. nt. 2, che precede) come una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia
umana o dalle reciproche interrelazioni (dove per “o” deve intendersi vel, in funzione più congiuntiva che alternativa), mentre, del tutto
coerentemente, l’art. 2, comma 3, definisce come beni paesaggistici “gli immobili e le aree indicati nell’art. 134, costituenti espressione dei
valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio”. Le due definizioni, come è evidente, si completano a vicenda, poiché
la definizione dei beni paesaggistici, intesi come immobili e aree individui, pone l’accento sui valori che tali immobili o aree esprimono (valori
storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio), mentre la definizione di paesaggio, di cui all’art. 131, si riferisce invece ai
caratteri che definiscono una porzione di territorio (comprensiva di immobili ed aree paesaggistici) e che derivano dalla natura e dalla
storia umana e dalle reciproche interrelazioni. La natura e la storia umana, da cui nascono i caratteri del paesaggio, sono anche esattamente
le matrici dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio di cui sono espressione i beni paesaggistici, come definiti
all’art. 2. Viene abolita e superata l’ambigua dizione beni ambientali, ancora in uso nel D.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, atta a ingenerare
confusione con la contigua (ma diversa) materia della tutela dell’ambiente biosfera.
6 archeologico, artistico e del paesaggio, in Riv. Trim. dir. Pubbl. 1966, p. 119, nonché Per la salvezza dei beni culturali, Roma, 1967. Cfr. sul punto C.
Zaza, Bellezze naturali, diritto pubblico, in Enc. Giur. Treccani, pp. 1-2. La nozione, come è noto, è stata ripresa nell’art. 148, comma 1, lettera
b), D.lgs. 31 marzo 1998 n. 112, ove si intendono per «beni ambientali», quelli individuati in base alla legge quale testimonianza
significativa dell'ambiente nei suoi valori naturali o culturali.
7 Non riveste un utile valore definitorio la “ripresa” fatta dall’art. 34 D.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (e successive modificazioni) di questa
vastissima nozione di urbanistica, compiuta al solo fine di ampliare l’area della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il comma
2 di tale art. 34, come è noto, specifica che “agli effetti del presente decreto, la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio”.
3
provvedimentale di perimetrazione in concreto, ha vincolato intere classi di aree ambientali (boschi, ghiacciai,
luoghi montuosi oltre una certa altezza etc.). In tal modo esso ha rappresentato una spinta ulteriore all’idea che la
tutela del paesaggio fosse la stessa cosa della tutela dell’ambiente. Inoltre, con l’art. 1 bis, in base al quale le regioni
sottopongono a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici
o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, la legge “Galasso” ha dato la
stura all’idea che la pianificazione paesaggistica (fino ad allora prevista come meramente facoltativa e limitata ai
soli immobili fatti oggetto di vincolo individua, dall’art. 5 della L. 1497 del 1939) fosse, in sostanza, non molto
dissimile, se non convergente, con quella urbanistico-territoriale.
La seconda normazione attuativa del sistema regionalista (D.lgs. 31 marzo 1998 n. 112, concernente il
conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo
I della L. 15 marzo 1997 n. 59) non ha risolto i dubbi interpretativi.
Il testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali del 1999 dimostra
visivamente il permanere dell’ambiguità concettuale lì dove intesta il titolo II ai Beni paesaggistici e ambientali, sicché
può condividersi la considerazione che “neanche il testo unico sembrerebbe aver risolto la rilevante confusione,
terminologica e concettuale, esistente in materia”8.
3. LA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte costituzionale per parte sua ha prodotto una cospicua elaborazione sui termini in esame, poiché
spesso è stata chiamata a dirimere conflitti di attribuzione o ricorsi in via d’azione avverso leggi statali o regionali
ree di invasione di campo delle rispettive aree di potestà normativa. Con la recente sentenza n. 478 del 26
novembre 20029 la Corte - richiamando in particolare la precedente sentenza 27 luglio 2000 n. 378 10, ha
riaffermato il principio per cui la tutela del bene culturale è nel testo costituzionale contemplata insieme a quella del paesaggio e
dell’ambiente come espressione di principio fondamentale unitario dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo (sentenza n.
85 del 1998) e tali forme di tutela costituiscono una endiadi unitaria, ed ha altresì aggiunto che rispetto a dette materie non può
configurarsi né un assorbimento nei compiti di autogestione del territorio, come espressione dell’autonomia comunale, né tanto meno
una esclusività delle funzioni comunali in forza della stessa autonomia in campo urbanistico. Invece, attraverso i piani urbanistici il
Comune può, nella sua autonomia, in relazione ad esigenze particolari e locali, imporre limiti e vincoli più rigorosi o aggiuntivi anche
con riguardo a beni vincolati a tutela di interessi culturali ed ambientali.
Concetti ancor più di recente ribaditi dalla Corte con la sentenza n. 196 del 200411 sul condono edilizio
versione 2003. Qui la Corte ha richiamato la nozione di tutela del paesaggio come forma del territorio e dell’ambiente,
come valore costituzionale primario (cfr., tra le molte, le sentenze 27 giugno 1986 n. 15112, 21 dicembre 1985 n. 35913
e 1 aprile 1985 n. 9414). Primarietà – ha soggiunto al Corte - che la stessa giurisprudenza costituzionale ha
esplicitamente definito come insuscettibilità di subordinazione ad ogni altro valore costituzionalmente tutelato, ivi compresi
quelli economici (in questi termini, v. sentenza n. 151 del 1986).
Ma la stessa Corte, nondimeno, non sempre ha mostrato di avere le idee chiare in merito alla distinzione
tra paesaggio e ambiente. Essa, infatti, è pronta a rivendicare la caratteristica di culturalità del paesaggio, nell’alveo
dell’art. 9 della Costituzione, quando si tratta di definirne l’autonomia rispetto alla materia urbanistica. Non è
invece altrettanto univoca nel segnare la differenza della tutela del paesaggio rispetto alla tutela ambientale, anche
perché, come è ovvio, entrambe tali materie spettano alla potestà legislativa esclusiva statale e meno avvertita è
dunque, in questi casi, l’esigenza di nettamente delimitare i rispettivi ambiti di applicazione (così, ad es., la
sentenza 3 marzo 1986 n. 39 15, ove per paesaggio si intende ogni elemento naturale ed umano attinente alla forma esteriore
del territorio16; oppure la sentenza 3 ottobre 1990 n. 43017, ove è scritto che la tutela del paesaggio va intesa nel
senso lato della tutela ecologica, oppure, ancora, la sentenza 11 luglio 1989 n. 39118, ove si afferma che la tutela
del paesaggio si identifica con la conservazione dell’ambiente). Un elemento di non perspicua sovrapposizione di
8 S. Amorosino, commento agli artt. 138-165 del D.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, in AA.VV., La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, a
cura di M. Cammelli, Bologna, 2000, p. 433.
9 Consultabile, tra l’altro, in Cons.Stato 2002 II, p. 1724 e ss., nonché in Urbanistica e Appalti 2003 n.3, pp. 289 e ss., con commento di L. De
Pauli.
10 In Cons.Stato 2000 II, p. 1316.
11 Consultabile sul sito http://www.giurcost.org.
12 In Cons.Stato 1986, II, p. 818.
13 In Cons.Stato 1985, II, p. 1750.
14 In Cons.Stato 1985, II, p. 505.
15 In Cons.Stato 1986, II, p. 325.
16 Su tale filone ricostruttivo cfr. P. Nicoletti, La tutela ambientale nell’interpretazione giurisprudenziale, in Giust. Civ. 2001, II, pp. 471 e ss..
17 In Cons.Stato 1990, II, p. 1372.
18 In Cons.Stato 1989, II, p. 989.
4
concetti appare anche nel ricorrente principio della "endiadi unitaria” della tutela del bene culturale contemplata
nel testo costituzionale insieme a quella del paesaggio e dell’ambiente come espressione di principio
fondamentale unitario dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo (principio ripetuto da ultimo con la
citata sentenza n. 478 del 26 novembre 2002).
4. IL GIUDICE AMMINISTRATIVO
Analogo il percorso seguito dal giudice amministrativo, che si è pronunciato sul tema soprattutto sotto il
profilo della legittimità dell’esercizio dei poteri di controllo ministeriali sulla gestione dei vincoli19. Anche il
giudice amministrativo si è dovuto sforzare soprattutto di chiarire che la tutela paesaggistica postula un minimum
incomprimibile di funzioni di controllo statali, perché non è risolvibile nell’ambito dell’urbanistica/edilizia. Ma
nel fare quest’opera di delimitazione ha perso di vista l’altra linea di confine, concettualmente non meno
importante, tra tutela del paesaggio e tutela dell’ambiente esosfera. Linea di confine spesso sottovalutata e
confusa in nome dell’unitaria appartenenza allo Stato di questi due ambiti di materia. In particolare la già
richiamata pronuncia dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 14 dicembre 2001 20, nel fatto il punto
di sintesi sulla tematica, riaffermando la titolarità statale del potere di annullamento dell’autorizzazione paesistica
(secondo il sistema della “concorrenza di poteri”) ad estrema difesa del vincolo, quale esercizio non di un controllo,
ma di un riesame di amministrazione attiva, di “cogestione” attiva del vincolo, ha poggiato questa ricostruzione
(come quella della riconduzione della tutela del paesaggio nell’ambito del secondo comma del nuovo art. 117
Cost.) sulla base (non perspicua) dell’endiadi unitaria paesaggio-ambiente.
Per il Consiglio di Stato la tutela del “paesaggio-ambiente” sarebbe unitaria, sicché nessuna meraviglia
dovrebbe suscitare la formulazione (ellittica) della ripetuta lettera s) del secondo comma del nuovo art. 117 della
Costituzione, che non menziona il paesaggio, ma parla solo di tutela dei beni culturali, dell’ambiente e dell’ecosistema.
Formulazione nella quale, evidentemente, il termine ambiente sta per paesaggio-ambiente, posto che non avrebbe
altrimenti senso la duplicazione del concetto di “ambiente” (se inteso in senso stretto) con la nozione di ecosistema
(che riguarderebbe appunto il profilo più strettamente naturalistico della conservazione e della integrità delle
matrici ambientali). Nella lettera s) del secondo comma dell’art. 117 vi sarebbero, dunque, due nozioni di
“ambiente”, una prima nozione di ambiente/paesaggio e una seconda nozione di ambiente/ecologia21.
5. LA DOTTRINA
Diamo adesso uno sguardo alle elaborazioni della dottrina (va da sé che il percorso evolutivo va letto
nella sintesi e nell’interrelazione reciproca continua dei tre “formanti” ordinamentali: jus positum, giurisprudenza,
dottrina).
La dottrina è stata segnata soprattutto dal noto contributo di A. Predieri22, cui si deve l’idea guida del
paesaggio come la forma del territorio, o dell’ambiente, creata dalla comunità umana che vi si è insediata, con una
continua interazione della natura e dell’uomo23, tesi che ha determinato il superamento della visione tradizionale
del paesaggio come bellezza naturale24.
Fondamentale ed ancor oggi assai attuale è però l’intuizione di M. S. Giannini25, il quale aveva capito la
convivenza, all’interno della nozione di ambiente, di una pluralità di aspetti giuridici, ciascuno però caratterizzato
da un’autonoma fisionomia, ed aveva per primo distinto chiaramente tre accezioni diverse della nozione di
19 La materia è stata scandagliata dal Consiglio di Stato, di recente, anche dal diverso – ma convergente – punto di vista dell’analisi e della
ricostruzione del procedimento volto all’annullamento del nulla osta paesistico, sotto il profilo, in particolare, della necessità o meno della
comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della L. 241 del 1990 nei confronti del soggetto che ha fatto domanda di
trasformazione del territorio e che ha beneficiato del nulla osta regionale o comunale oggetto di annullamento ministeriale.
20 Cit. a nt. 1, che precede.
21 Distinzione che sembra richiamare quella tra ambiente/paesaggio e ambiente/ecosistema proposta da T. Alibrandi, P. Ferri, I beni
culturali e ambientali, IV ed., Milano, 2001, e condivisa da G. Ciaglia, Prudenza e giurisprudenza nella tutela del paesaggio cit., p. 163.
22 A. Predieri, Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1969, nonché nella voce Paesaggio in Enc. Dir. vol. XXXI, Milano, 1981, p.
504 e passim.
23 A. Predieri, op. cit., p. 506.
24 M. Grisolia, voce Bellezze naturali in Enc. Dir. vol. V, Milano, 1959, pp. 80 e ss., ed ivi riferimenti bibliografici. A.M. Sandulli, La tutela del
paesaggio nella Costituzione, in Riv. Giur. Ed. 1967, I, pp. 70 e ss.
25 M.S. Giannini, I beni pubblici, Roma, 1963; Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti, in Riv. Trim. Dir. Pubbl. 1973, p. 15.
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ambiente: la prima relativa al paesaggio e alla conservazione dei beni ambientali, la seconda relativa alla tutela del
suolo, dell’acqua e dell’aria, cioè dell’ambiente in senso fisico oggettivo, la terza relativa all’urbanistica.
I successivi contributi paiono soprattutto variazioni sul tema e affinamenti delle idee guida ora indicate.
Si parla, così, da taluni26 di ambiente/paesaggio e ambiente/ecosistema, ovvero di beni ambientali paesaggistici
(bellezze naturali e zone di pregio naturalistico) e beni ambientali urbanistici (i centri storici, il paesaggio più
antropizzato).
E’ peraltro molto condivisa l’idea – derivata dalla visione del Predieri, del paesaggio integrale, articolato nella
salvaguardia contestuale della forma visibile del territorio e dei beni ambientali che ne costituiscono le
componenti strutturali27. Vi sono poi tesi più estreme, riduzioniste che tendono a identificare il paesaggio con
l’ecologia28. Non mancano infine posizioni volte invece a riaffermare la distinzione tra ambiente e paesaggio, in
ragione del valore estetico-culturale del primo29 e che pongono in risalto l’inclusione del paesaggio nell’area dei
beni culturali, come una specie di bene culturale in senso ampio30.
Pare tuttavia chiaro, nella più recente riflessione sul tema, che il tratto distintivo del paesaggio debba
rinvenirsi nella dialettica indefettibile tra elemento fisico-naturalistico ed elemento linguistico-culturale, per cui
nella “bipolarizzazione natura/cultura (physis/logos) . . . l’ecosfera è inseparabile dalla semiosfera”, in un nesso
indissolubile di “oggettività e soggettività (res extensa e res cogitans)”31.
La nozione di paesaggio non appartiene, come è ovvio, solo alla riflessione giuridica, ma deriva da altre
aree del sapere umano (la geografia, l’urbanistica e la pianificazione del territorio, l’architettura, la storia, la
semiotica, la sociologia e le altre scienze sociali)32. Dalla visione geografico-romantica di Von Humboldt (1860)33
si è pervenuti infine ai più recenti approcci economico sociale ed ermeneutico-semiotico34.
Molto accreditata appare oggi un visione per così dire sincretistica del paesaggio, inteso come patrimonio
di risorse identitarie storico-culturali, fisico-naturalistiche e sociali-simboliche, che assomma in sé, sempre e
contestualmente, i caratteri identificativi storico-culturali, morfologico-naturalistici ed estetico-percettivi35.
La ricerca di una nozione unitaria di paesaggio, che ne preservi e ne esprima la complessità, se merita
piena adesione sul piano conoscitivo e storico-ricostruttivo dei concetti, non deve però condurre, sul piano
giuridico, ad offuscare la soluzione del problema centrale della tutela: come conciliare il vincolo – che è
conservazione e protezione del bene – con la pressione degli usi antropici (proprietà, iniziativa economica) che
conducono al suo consumo. Qui c’è un problema ineludibile di gerarchia di valori giuridici e di regole d’azione
(divieti, permessi) limitatrici di libertà.
Su questo punto centrale si confrontano due scuole di pensiero (o fondamentali indirizzi di politica del
diritto). Un primo indirizzo pone al centro lo strumento vincolistico, afferma la preminenza assoluta del bene
paesaggistico protetto e la subordinazione ad esso di ogni interesse contrapposto. Questo indirizzo, sul piano
ordinamentale, ritiene “adeguato” il livello di governo statale, poiché paventa il “conflitto d’interessi” del livello
locale: solo un livello di governo più distante dal territorio garantisce la giusta terzietà per assicurare lungimiranza
nelle scelte di conservazione dei beni paesaggistici. Il livello locale (specie quello comunale: è da notare che tutte,
o quasi, le regioni hanno subdelegato i poteri di autorizzazione paesaggistica ai comuni) sarebbe troppo esposto
agli interessi locali di consumo del territorio, forti della “leva” elettorale. In deroga alla sussidiarietà verticale,
dunque, la competenza dovrebbe essere sempre statale.
26 T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, cit.. Tale distinzione è contenuta anche in C. Zaza, Bellezze naturali, diritto pubblico, in Enc.
Giur. Treccani, cit..
27 F. Merusi, Commento all’art. 9, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, I, Bologna, 1975; S. Amorosino, op. cit. p. 435; C.
Malinconico, I beni ambientali, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di G. Santaniello, V, Padova, 1991.
28 F. Modugno, I “nuovi diritt” nella Giurisprudenza Costituzionale, Torino, 1995, par. 7.1, Il superamento della distinzione tra competenze statali e
regionali: la tutela del paesaggio come ecologia, p. 51.
29 M. Immordino, Paesaggio (tutela del), voce in Dig. Disc. Pubbl. Torino, 1999.
30 G. Severini, Il concetto di “bene ambientale” nel Testo Unico, in La nuova tutela dei beni culturali e ambientali, a cura di P.G. Ferri e M. Pacini,
Milano, 2001, p. 237. Sottolinea il nesso inscindibile tra paesaggio e cultura la nozione di beni “culturali ambientali” adoperata da
P.Mantini, op. cit. pp. 429 e ss., nonché da W. Cortese, I beni culturali e ambientali, Profili normativi, Padova, 1999, pp. 329 e ss. Per una sintesi
aggiornata delle varie posizioni dottrinarie cfr. G.F. Cartei, Il paesaggio, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Diritto
amministrativo speciale, Milano, 2003, tomo II, p. 2123.
31 R. Gambino, Maniere di intendere il paesaggio, in Interpretazioni di paesaggio, a cura di A. Clementi, Roma, 2002, p. 65.
32 Al riguardo cfr. il volume Interpretazioni di paesaggio cit. – che contiene gli studi metodologici per l’applicazione della Convenzione
Europea del Paesaggio elaborati dal gruppo di ricerca previsto dall’accordo tra Società Italiana Urbanisti (SIU) e il Ministero per i beni e le
attività culturali..
33 A. von Humboldt, L’invenzione del Nuovo Mondo. Critica della conoscenza geografica, Firenze, La Nuova Italia, 1992 (la citazione è tratta da R.
Gambino, op. cit., p. 72).
34 U. Eco, La struttura assente, Milano, 1968; Trattato di semiotica generale, Milano, 1975; I Limiti dell’interpretazione, Milano, 1990. R. Barthes,
L’avventura semiologica, Torino, 1991. R. Bodei, Le forme del bello, Bologna, 1995. Turri, Antropologia del paesaggio, Milano, 1974; id., Semiologia del
paesaggio italiano, Milano, 1979, citato da A. Predieri, op. cit., p. 506, nt. 12.
35 A. Clementi, Introduzione – Revisione di paesaggio, in Interpretazioni di paesaggio cit., pp. 15 e ss.
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L’opposta linea di pensiero pone invece al centro lo strumento pianificatorio, contrasta l’idea del vincolo
come impedimento e limite alla libertà, ritiene che l’unica soluzione sia offerta dalla pianificazione, purché resa
capace di offrire una disciplina reale dell’uso compatibile del territorio, in un’ottica di sviluppo sostenibile. Sul
piano ordinamentale, questa linea di pensiero tende naturalmente a privilegiare la sede regionale, come sede
naturale della pianificazione.
Vedremo dove il codice ha ritenuto di collocare il punto di equilibrio tra queste due opposte visioni della
tutela del paesaggio.
Ma prima di passare all’illustrazione di questi aspetti, occorre concludere il discorso ricostruttivo di
un’esatta definizione giuridica che sappia bene distinguere, per genere e differenza, la tutela del paesaggio dalla
tutela dell’ambiente e dall’urbanistica edilizia.
6. PAESAGGIO, AMBIENTE, URBANISTICA
La nascita e il progressivo irrobustimento di un autonomo diritto dell’ambiente36, negli anni ’80 del XX
secolo, aiuta non poco in questo sforzo definitorio.
Alla luce della evoluzione del generale contesto giuridico di riferimento, particolarmente fecondo appare
oggi il richiamo alla citata tradizionale tripartizione gianniniana, volta a distinguere tre accezioni diverse della
nozione di “ambiente”: paesaggio e conservazione dei beni ambientali; tutela del suolo, dell’acqua e dell’aria
(ambiente in senso fisico oggettivo); urbanistica-governo del territorio.
La tutela del paesaggio riguarda un insieme di interessi e di valori che, pur appuntandosi sul territorio
naturalisticamente inteso e da esso traendo vita, appartengono alla sfera della cultura intesa in senso ampio. Essa
mira, dunque, alla protezione e allo sviluppo di un genere di interessi che orbitano nell’area delle attività spirituali
dell’uomo.
La tutela dell’ambiente riguarda, invece, la conservazione della biosfera, naturalisticamente intesa,
conosciuta e misurata. Attiene dunque al mantenimento di caratteri fisici, chimici e biologici tali per cui la matrici
ambientali – terra, aria, acqua – siano idonee e capaci di sorreggere la vita dell’uomo e, più in generale, di
comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate. Essa previene e pone rimedio a fatti di inquinamento,
inteso come introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore, energie o
rumore nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente,
causare il deterioramento di beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri
suoi usi legittimi37.
Il governo del territorio assume una valenza residuale (ma non per questo meno ampia) rispetto alle due
precedenti nozioni di “ambiente” in senso generico. Esso comprende tutto ciò che attiene alla pianificazione e
alla gestione del territorio, in specie di tutte le attività antropiche o comunque rilevanti per l’uomo incidenti sul
territorio, che non siano quelle appartenenti ai fini propri delle due accezioni specifiche di “ambiente” sopra
tratteggiate, che non siano cioè strumentali alla tutela e salvaguardia del paesaggio o alla tutela
dell’ambiente/ecologia. Il governo del territorio riguarda le trasformazioni antropiche del territorio provocate
dalle esigenze economiche e sociali. Riguarda altresì l’impatto delle trasformazioni naturali sul corretto assetto e
sviluppo delle dinamiche antropiche sul territorio. Il governo del territorio racchiude dunque, essenzialmente, i
campi di materia dell’urbanistica-edilizia, della gestione del ciclo idrico di bacino e della difesa del suolo dal
rischio idrogeologico38.
36 Cfr. F. Fonderico, La tutela dell’ambiente, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Diritto amministrativo speciale, II, parte V, pp.
2015 e ss., Milano, 2003, e ivi ampia bibliografia; R. Chieppa, L’ambiente nel nuovo ordinamento costituzionale, in Urbanistica e Appalti 2002, n. 11,
pp. 1245 e ss.; P. Dell’Anno, La politica nazionale di tutela dell’ambiente, in Ambiente 2003, n. 7, pp. 642 e ss. Per la linea di pensiero che ha
valorizzato soprattutto il raccordo con l’art. 32 della Costituzione, cfr. Corasaniti, La tutela degli interessi diffusi davanti al giudice ordinario, in
Riv. Dir. Civ. 1978, I, p. 180. Sulla evoluzione della nozione di ambiente come un bene giuridico unitario cfr. A. Postiglione, Ambiente: suo
significato giuridico unitario, in Riv. Trim. dir. pubbl. 1985, p. 32.
37 La definizione è tratta dall’art. 2 D.lgs. 4 agosto 1999 n. 372 di attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione
integrate dell’inquinamento. Già la L. 29 maggio 1974 n. 256, relatia alla “classificazione e disciplina dell'imballaggio e dell'etichettatura
delle sostanze e dei preparati pericolosi”, prevedeva, all’art. 2, che per ambiente dovesse intendersi “acqua, aria e suolo nonché i rapporti
di tali elementi tra loro e con qualsiasi organismo vivente”. Condivisibilmente osserva al riguardo F. Fonderico, La tutela dell’ambiente, op.
cit., p. 2018: “il nucleo comune della nozione legislativa è costituito dai seguenti elementi: l’aria, l’acqua, il suolo, la flora, la fauna, la salute
umana e l’interazione tra questi fattori”.
38 La Corte Costituzionale (dec. 6 luglio 1972 n. 141 e prec., ivi richiamata, n. 50 del 1958) ha dato una nozione “ristretta” di urbanistica,
intesa come “attività che concerne l’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati”, desumendo tale nozione soprattutto dalla L. 1150 del
1942. La L. urbanistica del 1942, infatti, all’art. 1, rubricato “Disciplina dell'attività urbanistica e suoi scopi”, stabilisce che “L'assetto e
l'incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio del Regno sono disciplinati dalla presente legge”.
Ragionando sui limiti della nuova attribuzione di giurisdizione esclusiva di cui al menzionato art. 34 D.lgs. n. 80 del 1998, Cons. St., sez. V,
7
In conclusione, la differenza specifica che distingue e definisce la nozione giuridica di “paesaggio” rispetto
a quelle di “ambiente”, di “governo del territorio” e di “urbanistica”, risiede nella considerazione che la nozione di
paesaggio appartiene alla sfera della cultura. Il paesaggio – come risulta chiaro dai proficui apporti degli studi di
geografia, urbanistica, architettura, storia, antropologia, semiotica etc., sopra citati – appartiene alle “scienze dello
spirito” di storicistica memoria e non all’area delle scienze descrittive (o empirico-analitiche), che operano sul
versante dello “spiegare”39. Il paesaggio attiene alla sfera della percezione umana e della elaborazione concettuale,
ed è questo l’oggetto proprio (ancorché indiretto) della tutela, non le matrici fisiche e naturalistiche oggetto di
percezione. Le matrici fisiche e naturalistiche costituiscono l’oggetto degli studi sull’ambiente, dove la nozione di
“ambiente” in senso stretto e proprio definisce le conoscenze empirico-descrittive dei fattori naturali, secondo i
moduli dello “spiegare” delle scienze esatte, nella loro consistenza fisica, chimica, biologica40.
Questo concetto richiede una precisazione. Resta invero fermo che, naturalmente, il diritto in quanto tale
costituisce dì per sé un prodotto culturale e va perciò collocato, nella sua interezza, nell’ambito delle scienze
sociali. Non v’è dubbio, in altri termini, che anche il diritto dell’ambiente è una scienza sociale e non una scienza
esatta. Ma questo non esclude il rilievo per cui il diritto dell’ambiente si raccorda, sul piano del rinvio a concetti
metagiuridici esterni, alle risultanze di scienze empiriche (fisica, biologia, chimica), mentre il diritto del paesaggio
si raccorda, sul piano dell’oggetto della regolazione, a nozioni e fenomeni propri delle scienze umane o sociali (si
pensi, ad esempio, al rinvio alla nozione di “notevole interesse paesaggistico”). E questa considerazione non è
priva di importanti implicazioni pratiche, in particolare sulla natura del potere discrezionale esercitato
dall’amministrazione nell’una e nell’altra materia e, conseguentemente, sulla natura e sui limiti del sindacato
giurisdizionale esercitatile su tale potere amministrativo41. Mentre l’atto autorizzatorio ambientale (ad es.,
l’autorizzazione regionale alle emissioni in atmosfera di cui al D.P.R. 203 del 1988) si basa su acquisizioni
provenienti da scienze esatte (la chimica e la fisica, nonché le tecniche costruttive e di gestione degli impianti di
depurazione dei fumi), l’autorizzazione paesaggistica si basa su acquisizioni provenienti da un sapere non
scientifico o, comunque, caratterizzato da risultati opinabili, che appartiene a quella forma del conoscere che è la
comprensione, e non la descrizione o la spiegazione in termini di scienze esatte. Con la conseguenza, di non poco
momento, che la disciplina normativa del potere precettivo dell’amministrazione assume una ben diversa
connotazione nei due casi esaminati. Nel caso del diritto ambientale (autorizzazione all’emissione in atmosfera,
nell’esempio sopra proposto) il potere precettivo della p.a. è disciplinato dalla norma in modo puntuale e
dettagliato, mediante il rinvio alle risultanze di un sapere metagiuridico propriamente tecnico-scientifico; donde il
carattere vincolato del potere autorizzatorio e la sua connessa più penetrante sindacabilità giurisdizionale. Nel
caso della tutela paesaggistica, il potere precettivo della p.a. (da esprimersi attraverso l’atto autorizzatorio) è
disciplinato dalla norma in modo generico, mediante un rinvio a concetti indeterminati (“notevole interesse
paesaggistico”) che conducono a un’area del sapere non scientifico, dai risultati in sé opinabili; donde il carattere
propriamente discrezionale di tale atto autorizzatorio42.
Un altro esempio può meglio chiarire il senso delle conclusioni sopra raggiunte.
Si pensi all’attività volta alla realizzazione di una stazione radio base di telefonia mobile montata su un
traliccio infisso al suolo in area sottoposta a vincolo paesaggistico. Un unico intervento che implica tre distinti
profili di valutazione di compatibilità con interessi pubblici potenzialmente configgenti: un primo profilo –
urbanistico – relativo alla compatibilità con la strumentazione urbanistica43; un secondo profilo – ambientale –
22 settembre 2001 n. 4980, in Cons.Stato 2001,I, p. 2121, propone, ancora una volta, una lettura della nozione mutuata in sostanza dalla
menzionata definizione data dall’art. 1 della L. urbanistica n. 1150 del 1942.
39 K.O. Apel, Die Erklaren/Verstehen Controverse, Francoforte, 1979. H. J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, Bologna, 1997, I, p. 187. G.
H. Von Wright, Spiegazione e comprensione, trad. it. di G. Di Bernardo, Bologna, 1977.
40 E’ in tal senso efficace l’indicazione di G. Severini, Il concetto di “bene ambientale” nel Testo Unico, in La nuova tutela dei beni culturali e
ambientali, a cura di P.G. Ferri e M. Pacini, Milano, 2001, che distingue tra un ambiente/qualità (il paesaggio) e un ambiente/quantità
(l’ecologia).
41 Sul punto cfr., di recente, Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2004, n. 1213, in in Cons.Stato 2004, I, p. 547.
42 La discrezionalità amministrativa non consiste solo nella scelta tra diversi mezzi giuridici legittimi per il conseguimento del fine pubblico
assegnato dalla legge all’amministrazione; e neppure soltanto nella comparazione e nella ponderazione tra diversi interessi pubblici
configgenti; ma è anche esercizio di un potere dell’amministrazione di integrazione, mediante il ricorso a standard valutativi, del precetto
normativo solo genericamente definito dalla norma mediante l’uso di concetti giuridici indeterminati. In tema cfr. i classici contributi di M.
S. Giannini, Atto amministrativo, in Enc. Dir. Milano, 1959, pp. 161 e ss; A. Piras, Discrezionalità amministrativa, ibidem, Milano, 1964, pp. 69 e
ss. Per un riferimento di sintesi cfr. B.G. Mattarella, Diritto Amministrativo Generale, L’attività, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S.
Cassese, Tomo I, Milano, 2003, pp. 758 e ss., ed ivi ampi richiami. Per una più ampia trattazione del profilo specifico della discrezionalità
negli atti inerenti la tutela dei beni paesaggistici sia consentito il rinvio a P. Carpentieri, L’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, in Urbanistica
e appalti 2004, n. 4, p. 390. Importanti spunti in tal senso anche in E. Boscolo, Nozione comunitaria di autorizzazione e VIA, nt. di commento
a Corte CE, 7 gennaio 2004, C-201/2002, ibidem pp. 415 e ss.
43 La procedura semplificata, sempre a fini urbanistico-edilizi, è dettata dall’art. 87 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al
D.lgs. 1 agosto 2003 n. 259, che ha sostituito il D.lgs. 4 settembre 2002 n. 198, annullato per eccesso di delega dalla Corte costituzionale
con la pronuncia 1 ottobre 2003 n. 303, in Cons.Stato 2003,II, p. 1703.
8
relativo al rispetto dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana come misurabili ai sensi del D.M. n.
381 del 1998 (oggi D.P.C.M. 8 luglio 2003); un terzo profilo (del tutto autonomo e diverso dai primi due) –
quello paesaggistico – concernente invece la compatibilità dell’installazione con la tutela del paesaggio come
forma del territorio meritevole di conservazione nelle sue linee visive essenziali e nei suoi caratteri identitari.
Ora: mentre il controllo urbanistico edilizio e quello ambientale sono vincolati (il primo alle risultanze
della strumentazione urbanistica e, se adottato, del regolamento comunale ex art. 8, comma 6, legge quadro sulla
tutela dall’inquinamento elettromagnetico n. 36 del 2001; il secondo alla misurazione delle grandezze fisiche
costituenti i predetti tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana), il terzo (il controllo paesaggistico) è
rimesso alla valutazione sostanzialmente discrezionale dell’amministrazione competente, che dovrà stabilire se il
progetto è compatibile con il “notevole interesse paesaggistico” dell’area, e ciò farà usando di standard valutativi
non predefiniti in alcun modo dalla norma, per integrare in concreto il precetto normativo astratto, che è
generico nel suo rinvio a concetti giuridici indeterminati. Con la conseguenza che mentre il giudice
amministrativo potrà sindacare l’esattezza del dato tecnico assunto dall’amministrazione a base della decisione
urbanistico-edilizia ed ambientale, non altrettanto potrà fare nella sede del sindacato sull’uso del potere
autorizzatorio paesaggistico, per il quale dovrà limitarsi, in sostanza, a un controllo estrinseco di non manifesta
illogicità o irragionevolezza della scelta amministrativa44.
7. IL SENSO DELLA “PRIMARIETÀ” DEL BENE INTERESSE PAESAGGISTICO
Chiarita la differenza specifica tra tutela paesaggistica, urbanistica/governo del territorio e tutela
dell’ambiente, occorre adesso affrontare il nodo di come graduare i diversi valori giuridici espressi da questi
connessi campi di materia, di come regolare i reciproci rapporti di interferenza e sovrapposizione tra essi
possibili.
Non appare risolutiva al riguardo la linea seguita dalla Corte costituzionale che, come è noto, in diverse
recenti sentenze45 successive alla riforma del Titolo quinto del 2001, ha affermato che la tutela ambientale non è
una materia in senso proprio e oggettivo, ma un valore trasversale che interseca molti altri campi di materia che
hanno a che fare con le matrici ambientali. Indicazione esatta e utile sul piano della soluzione dei conflitti di
competenza e di attribuzione, ma non risolutiva sul piano della definizione, nel concreto operare
dell’amministrazione, dei rapporti tra il valore paesaggistico e gli altri valori coinvolti.
In alternativa al modello tradizionale, della preminenza del vincolo statale paesaggistico, emergono
modelli regolativi più complessi, che si fanno carico anche del connesso problema della sussidiarietà verticale e
dei rapporti tra amministrazioni dotate di competenze interferenti.
Questo modello nega la praticabilità di una predefinizione astratta, a livello legislativo, della scala
gerarchica dei valori, con la sistematica assegnazione alla tutela paesaggistica di un valore preminente assoluto, e
favorisce la ricerca in concreto dell’assetto opportuno degli interessi in conflitto nella sede regionale/locale
(possibilmente la più vicina ai cittadini e al luogo in cui si devono esplicare gli effetti della regolazione), attraverso
la disciplina dell’uso sostenibile della risorsa territoriale. Esso ricerca un metodo razionale condiviso, più che
l’affermazione di valori assoluti dati per intrinsecamente veri; punta soprattutto all’accordo tra i fruitori del
territorio, piuttosto che ricercare la definizione generale e astratta di valori e obiettivi di qualità validi in sé.
Sembra sostituire a un modello di valori (per così dire) “ontologicamente” fondati, un modello di valori
imperniato su un’idea di validità come giustificabilità razionale della scelta pragmatica46.
44 Con l’ulteriore conseguenza, che si è indagata in altra sede, della inammissibilità, nella materia della tutela paesaggistica, connotata da
elementi di discrezionalità, del trapianto dell’istituto dell’accertamento di conformità introdotto nella materia edilizia dall’art. 13 L. 28
febbraio 1985 n. 47 proprio sull’assunto del carattere interamente vincolato del titolo edilizio al mero riscontro di conformità al piano (sul
tema sia consentito il rinvio a P. Carpentieri, L’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, op. cit., pp. 384 e ss.).
45 Corte cost. 26 luglio 2002 n. 407, 20 dicembre 2002 n. 536; 28 marzo 2003 n. 96, 7 ottobre 2003 n. 307 e 7 novembre 2003 n. 331, tutte
consultabili sul sito http://www.giurcost.org.
46 Osserva Clementi, op. cit. p. 28: “In altri termini, piuttosto che imporre autoritativamente un valore assoluto, si dovrà prendere atto della
diversità delle rappresentazioni, cercando di costruire in modo dialogico e attraverso argomentazioni pertinenti una interpretazione che
costituisce l’affermazione di un bene comune, sapendo al tempo stesso discernere con chiarezza i limiti invalicabili entro cui iscrivere
l’interazione tra soggetti portatori di visioni inevitabilmente in contrasto”. Una metodologia per cui “il posto del giudizio è preso dalla
giustificazione”, che richiama la teoria pragmatico-trascendentale della verità come consenso di K. O. Apel – Discorso, verità, responsabilità,
Napoli-Milano, 1997 - o la teoria consensual-discorsiva della verità di J. Habermas. Enfatizza la procedimentalizzazione e il
consensualismo (in luogo del ricorso all’autorità) nella definizione della concreta regola operativa paesaggistica G. F. Cartei, La disciplina del
paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, Torino, 1995, pp. 219 e ss. Il metodo consensuale di formazione dei precetti amministrativi
poggia su un criterio di legittimazione politica delle decisioni “di tipo formale-procedimentale: la decisione pretende riconoscimento non
perché ne sia dimostrabile l’intrinseca rispondenza alle esigenze sociali, ma perché promana da un procedimento correttamente svolto” (A.
Romano Tassone, Situazioni giuridiche soggettive e decisioni della amministrazioni indipendenti, in Dir. Amm. n. 3 del 2002, p. 465).
9
Questa linea di pensiero per così dire “debole” pare sia stata di recente abbracciata anche dalla Corte
costituzionale, con la già richiamata sentenza n. 196 del 200447. Qui la Corte, per “salvare” il condono edilizio
2003, ha detto che, in definitiva, è vero che il paesaggio è un valore primario e preminente (sotto l’usbergo
dell’art. 9 Cost.), ma questo non significa che esso debba in realtà veramente e sempre prevalere, poiché basta a
soddisfare la sua primarietà il fatto che questo suo valore sia stato adeguatamente preso in considerazione nel
procedimento (vale a dire basta che l’amministrazione, o il legislatore, spieghino e motivino perché, in quel dato
caso, hanno ritenuto che dovesse prevalere l’interesse patrimoniale economico di oggi sull’interesse culturale
paesaggistico di sempre e di domani). Il che può voler dire che le scelte di valore (lo stabilire, cioè, cosa prevale e
cosa va scarificato) potrebbero (o dovrebbero) essere assunte dall’amministrazione di volta in volta, nel caso
concreto, con la sola condizione e il solo limite che sia stato esperito un serio tentativo di accordo e di
mediazione e che non si sortiscano effetti palesemente irrazionali. Il che può voler dire, però, abdicare al fine
legale e rimettere le sorti della tutela alla valutazione non irrazionale dell’amministrazione nello specifico caso
concreto. Dalla garanzia di lungimiranza derivante dalla scelta tecnica lontana dalla mediazione politica (è questo
il significato vero della pretesa natura “dichiarativa” del vincolo come atto di “discrezionalità tecnica”) si rischia
di passare alla scelta di convenienza politica imposta dalla ricerca del consenso più ampio possibile. Il paesaggio
meritevole di tutela non è più quello indicato da criteri validi perché oggettivamente “veri”, ma è quello che la
maggioranza della comunità localmente stanziata nelle aree interessate giudicherà di volta in volta conveniente
tutelare. Da un eccesso di rigidità dirigistica e verticistica (assoluta preminenza del vincolo statale inteso come un
assioma dato e non discutibile) si rischia di cadere nell’eccesso opposto del relativismo giuridico come forma di
pragmatismo culturale, per cui true is good in the way of belief48.
C’è dunque il rischio di “sfocare” nella ricerca del consenso a livello locale la specificità della tutela, che
esce sicuramente indebolita da questo approccio metodologico.
8. LA RISPOSTA DEL CODICE
Il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio ricerca un punto di mediazione e di equilibrio tra queste
due opposte istanze, prendendo atto, peraltro, delle indicazioni territorialiste provenienti anche dalla citata
Convenzione europea di Firenze del 2000, che fa riferimento a uno sviluppo sostenibile del territorio e ha come
obiettivo la salvaguardia, la gestione e la pianificazione del paesaggio.
Ma non rinuncia per questo alla difesa del principio del concorso statale indefettibile nella gestione del
paesaggio e rimarca la posizione di gerarchia e di prevalenza dell’interesse paesaggistico.
L’art. 141 mantiene i poteri ministeriali di individuazione e vincolo di beni paesaggistici, in sostituzione
dell’amministrazione regionale, nel caso di mancato avvio o di esito comunque negativo del relativo
procedimento delineato negli artt. da 137 a 140 del codice. L’art. 145, rubricato Coordinamento della pianificazione
paesaggistica con altri strumenti di pianificazione, riserva, al comma 1, al Ministero, l’individuazione, ai sensi dell'art. 52
d D.lgs. 31 marzo 1998 n. 112, delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la
tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione. Stabilisce, al comma 2, che i piani paesaggistici
prevedono misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonché con gli
strumenti nazionali e regionali di sviluppo economico. Al fondamentale comma 3 detta la regola di preminenza
del valore paesaggistico, nei seguenti termini: “Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli artt. 143 e 156 sono
cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente
prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di
salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli
interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono
comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione”. Il comma 4 risponde al problema
di come assicurare la conformazione della strumentazione urbanistica a quella paesaggistica sovraordinata, con la
seguente previsione: “Entro il termine stabilito nel piano paesaggistico e comunque non oltre due anni dalla sua
approvazione, i comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette
47 “Tale affermazione – scrive la Corte nella citata sentenza - rende evidente che questa “primarietà” non legittima un primato assoluto in
una ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali, ma origina la necessità che essi debbano sempre essere presi in considerazione nei
concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni; in altri termini, la “primarietà” degli interessi che
assurgono alla qualifica di “valori costituzionali” non può che implicare l’esigenza di una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali
interessi nei processi decisionali all’interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative. . . . la primarietà dei
valori sanciti nell’art. 9 Cost…. sarà tanto più effettiva quanto più risulti garantito che tutti i soggetti istituzionali cui la Costituzione affida
poteri legislativi ed amministrativi siano chiamati a contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco”.
48 “Vero è ciò che conviene credere”: William James, Pragmatism and the Meaning of Truth, richiamato da R. Rorty in Verità e progresso, Scritti
filosofici, trad. it. di G. Rigamonti, Milano, 2003, p. 4.
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conformano e adeguano gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica alle previsioni dei piani
paesaggistici, introducendo, ove necessario, le ulteriori previsioni conformative che, alla luce delle caratteristiche
specifiche del territorio, risultino utili ad assicurare l'ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dai
piani”. Come si può rilevare dalla lettura del testo, con il nuovo codice del 2004 si è affermato l’innovativo
principio per cui anche i piani dei parchi devono obbedire e coordinarsi ai piani paesaggistici. Il secondo periodo
del comma 4 dell’art. 145, inoltre, chiarisce opportunamente che i limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni
(ulteriori previsioni conformative poste dai piani regolatori urbanistici ove necessarie per l’adeguamento ai piani
paesaggistici) non sono oggetto di indennizzo, poiché mutuano dal fine paesaggistico la natura non ablatoria, ma
conformativa della proprietà privata. Infine, il comma 5 rimette alla legislazione regionale la disciplina del
procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione
paesaggistica, con l’importante precisazione, sempre a salvaguardia del ruolo statale nella materia, che la
normazione regionale deve però assicurare (ed è questo un principio fondamentale della materia) la
partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo.
Il codice rilancia la pianificazione e mira a riempire, attraverso piani paesaggistici ricchi di contenuti
regolativi, i vuoti di disciplina dell’uso antropico del territorio paesaggisticamente compatibile. Mira con ciò a
porre rimedio a quella che era indubbiamente una delle maggiori lacune del sistema anteriore, riguardo al quale si
era giustamente posto in rilievo49 che “poco o nulla di regola si dice, negli uni e negli altri (nei provvedimenti di
vincolo e nei piani paesistici, n.d.r.), se non attraverso formulazioni genericamente descrittive o addirittura di stile,
delle ragioni che hanno suggerito l’imposizione del vincolo; né, conseguentemente, sulle caratteristiche distintive
in concreto delle modificazioni del territorio che potrebbero essere compatibili con la tutela del paesaggio”,
sicché “in tal modo, il vincolo, secondo un’espressione cruda ma significativa, è spesso sostanzialmente "nudo"”.
. . e “consiste in una perimetrazione priva di criteri di gestione del vincolo (che in sostanza indichino, a seconda
delle caratteristiche dei paesaggi e dei valori da tutelare, quali trasformazioni edilizie e con quali limiti quantitativi
o tipologici siano consentite, e quali invece vietate)”, di modo che “è l’Amministrazione che rilascia
l’autorizzazione che crea essa stessa, di volta in volta, un parametro ideale, al quale raffrontare il progetto
sottopostole”.
Il codice quindi supera la concezione statica della tutela come mero divieto di modificazione, come pura
conservazione, concezione che, nella realtà concreta, aveva dato una pessima prova sul piano dell’efficacia, per
assecondare una visione dinamica, aperta ad un uso sostenibile del territorio, purché previamente regolato
mediante piani paesaggistici adeguati.
Ferma la preminenza della tutela paesaggistica sulle altre istanze di regolazione dell’uso del territorio (art.
145 cit.), il codice dunque asseconda pragmaticamente la ricerca di livelli di concertazione e di condivisione,
elevando la pianificazione territoriale a momento strategico di attuazione della tutela, per riempire di contenuti e
dare effettività alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio.
Paolo Carpentieri
Magistrato T.A.R.
49P.
Ungari, Spunti per un intervento su “Quadro conoscitivo critico della legislazione italiana sul paesaggio” nell’ambito del Convegno “Il Paesaggio nelle
Politiche Europee” (Roma, 10-11 novembre 2003), pubblicato sul sito http://www.giustizia-amministrativa.it.
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