DARWIN E LA TEORIA EVOLUZIONISTICA A cura di Candida BARBONETTI A.A 2010-2011 Charles Darwin nacque a Shrewsbury (Inghilterra) il 12 Febbraio 1809, quinto dei sei figli di Robert Darwin, medico del paese, e Susannah Wedgwood, figlia del proprietario delle famose ceramiche Wedgwood. Il nonno di Charles, Erasmus Darwin, si guadagnava la fama di scienziato bizzarro, scrivendo di viaggi in aria, di esplorazioni sottomarine e di evoluzione. Da scolaro lesse il libro The Natural History of Selburne, testo diffuso in quel tempo, contenente le osservazioni di campagna scritte dal naturalista Gilbert White, considerato uno dei padri fondatori della storia naturale. Darwin ne restò affascinato ed iniziò a collezionare insetti, rocce e minerali, ad osservare gli uccelli dei dintorni del paese e a praticare la caccia. Nel 1818, terminate le scuole primarie, fu ammesso alla rinomata scuola del dottor Butler a Shrewsbury, dove mostrò maggiore interesse per la geometria e la matematica, trascurando lo studio dei classici antichi, che non riuscivano a coinvolgerlo pienamente. Nel 1825, due anni prima di completare gli studi, all'età di sedici anni, fu iscritto dal padre all'università di Edimburgo, presso la facoltà di Medicina. Il suo disgusto per la dissezione e la rozzezza della chirurgia del tempo lo portarono ad abbandonare la Scuola di Medicina nel 1827. Il padre, deluso degli insuccessi negli studi di medicina e preoccupato per il suo futuro, lo spedì nel 1828 nel Christ's College a Cambridge, sperando in una sua carriera ecclesiastica. Se da un lato studiava lo stretto necessario per superare gli esami del suo corso universitario, dall'altro leggeva i libri dei naturalisti dell'epoca. Darwin, durante gli anni trascorsi a Cambridge, si dedicò ad uno studio approfondito della Geologia, per la quale dimostrava particolare predisposizione. Nell'estate del 1831, terminati gli studi e superati gli esami finali, accompagnò il grande geologo Adam Sedgwick in un'escursione nel Galles del nord, dove fece un'interessante esperienza sul campo di rilievi stratigrafici. Terminato questo lavoro nel Galles, il giovane fu raccomandato dal professor Henslow come accompagnatore di Robert Fitzroy, capitano della nave Beagle che era in partenza per una spedizione cartografica di cinque anni attorno alle coste del Sud America. Così, il 27 dicembre 1831, Charles Darwin salpa sul brigantino Beagle. Nel suo viaggio visitò le isole di Capo Verde, le Isole Falkland (o Isole Malvinas), la costa del Sud America, le Isole Galápagos e l'Australia. Di ritorno nel 1836, Darwin analizzò campioni di specie animali e vegetali, che aveva raccolto, e notò somiglianze tra fossili e specie viventi della stessa area geografica. In particolare, notò che ogni isola dell'arcipelago delle Galápagos aveva proprie forme di tartarughe e specie di uccelli differenti per aspetto, dieta, ecc.., ma per altri versi simili. Nella primavera del 1837 ornitologi del 1 British Museum informarono Darwin che le numerose e piuttosto differenti specie di uccelli che egli aveva raccolto alle Galápagos e che aveva preso per un insieme di merli, passeroidei e fringillidi, erano in realtà dodici specie distinte di fringillidi. Ciò, unitamente alla rilettura del saggio del 1798 di Thomas Malthus sulla popolazione, innescò una catena di pensieri che culminarono nella teoria dell'evoluzione per selezione naturale e sessuale. Darwin ipotizzò che, ad esempio, le differenti tartarughe avessero avuto origine da un'unica specie e si fossero diversamente adattate nelle diverse isole. Sulla base di tali ragionamenti, ed in sintonia con i Principi di geologia di Charles Lyell e il Saggio sui principi della popolazione di Malthus, in cui si teorizzava il concetto di disponibilità di risorse alimentari intesa come limite alla numerosità delle popolazioni animali, Darwin scrisse gli Appunti sulla trasformazione delle specie. Ben consapevole dell'impatto che la sua ipotesi avrebbe avuto sul mondo scientifico, Darwin si mise ad indagare attivamente alla ricerca di eventuali errori, facendo esperimenti con piante e piccioni e consultando esperti selezionatori di diverse specie animali. Nel 1842 stese un primo abbozzo della sua teoria, e nel 1844 iniziò a redigere un saggio di duecentoquaranta pagine in cui esponeva una versione più articolata della sua idea originale sulla selezione naturale. Fino al 1858, anno in cui Darwin si sarebbe presentato alla Linnean Society di Londra, non smise mai di limare e perfezionare la sua teoria. Il 1 luglio 1858 Darwin diede la propria comunicazione (riguardo all'Origine delle specie per mezzo della selezione naturale o La conservazione delle razze favorite nella lotta per la vita) alla Linnean Society. Il saggio di Darwin sull'argomento L'origine delle specie fu pubblicato un anno più tardi: tanto era l'interesse suscitato dalla sua opera che la prima edizione (in 1250 copie) andò esaurita in due giorni. Pubblicò, dunque, la sua teoria sull'evoluzione delle specie nel libro L'origine delle specie (1859), che è rimasto il suo lavoro più noto, e raccolse molti dei dati su cui basò la sua teoria proprio durante il viaggio intorno al mondo sulla nave HMS Beagle, e in particolare durante la sua sosta alle Isole Galápagos. Con la teoria evoluzionistica Darwin dimostrò che l'evoluzione è l'elemento comune, il filo conduttore della diversità della vita. Secondo una visione evolutiva della vita, i membri dello stesso gruppo si assomigliano perché si sono evoluti da un antenato comune. La teoria evoluzionistica di Darwin si basa su tre presupposti fondamentali: Riproduzione: tutti gli organismi viventi si riproducono con un ritmo tale che, in breve tempo, il numero di individui di ogni specie potrebbe non essere più in equilibrio con le risorse alimentari e l'ambiente messo loro a disposizione. Mutazioni: all'interno della stessa specie ci sono esseri diversi tra loro; ve ne sono di più lenti e di più veloci, di più chiari e di più scuri, e così via. Selezione: esiste una lotta continua per la sopravvivenza all'interno della stessa specie e anche all'esterno. Nella lotta sopravvivono gli individui più 2 favoriti, cioè quelli meglio strutturati per giungere alle risorse naturali messe loro a disposizione, ottenendo un vantaggio riproduttivo sugli individui più deboli. Il concetto di selezione naturale è uno dei fondamenti del pensiero di Darwin. È il processo attraverso cui in una popolazione si affermano, nel tempo, i caratteri che rendono gli individui della popolazione stessa più adatti all’ambiente in cui vivono, rispetto alle alternative, che tendono invece ad essere eliminate. Gli individui portatori dei caratteri più idonei alla sopravvivenza possono riprodursi con maggiore successo, trasmettendoli per via ereditaria ai loro discendenti. La natura, in altre parole, crea un “filtro” che consente il progressivo adattamento dei viventi all’ambiente. Per memorizzare con facilità questo processo, gli studiosi hanno creato una sigla, VISTA, che è l’abbreviazione di cinque parole inglesi che riassumono altrettante nozioni chiave darwiniane: Variation (variazione), Inheritance (ereditarietà), Selection (selezione), Time (tempo), Adaptation (adattamento). Darwin descrisse il concetto di “lotta per l’esistenza o sopravvivenza”, che si basava sull’osservazione che gli organismi, moltiplicandosi con un ritmo troppo elevato, producono una progenie quantitativamente superiore a quella che le limitate risorse naturali possono sostenere, e di conseguenza sono costretti a una dura competizione per raggiungere lo stato adulto e riprodursi. Gli individui di una stessa specie si differenziano l’uno dall’altro per caratteristiche genetiche e fenotipiche, cioè morfologiche e funzionali, risultanti dall’interazione del genotipo con l’ambiente. La teoria della selezione naturale prevede che all’interno di tale variabilità, derivante da mutazioni genetiche casuali, vengano favorite o “selezionate” quelle mutazioni che portano gli individui ad avere caratteristiche più vantaggiose in date condizioni ambientali, determinandone un vantaggio adattativo in termini di sopravvivenza e riproduzione. Gli individui meglio adattati si procureranno più facilmente il cibo e si accoppieranno più facilmente degli altri individui della stessa specie che non presentano tali caratteristiche. Esempio tipico è l'evoluzione del collo delle giraffe: nel corso di milioni di anni le mutazioni genetiche che portarono alcuni individui ad avere un collo più lungo si rivelarono vantaggiose. Questi individui potevano, infatti, raggiungere più facilmente le foglie di alberi alti, il che, in condizioni di scarsità di cibo, determinò un migliore adattamento all'ambiente rispetto agli individui col collo più corto: migliore capacità di procurarsi il cibo, quindi maggiore probabilità di sopravvivere, di raggiungere l'età della riproduzione e di riprodursi, dunque, maggiore probabilità di trasmettere il proprio patrimonio 3 genetico (e quindi la lunghezza del collo) alle generazioni successive. Fondamentale nella descrizione della selezione è il concetto di fitness, che misura la capacità di un genotipo di riprodursi e di trasmettersi alla generazione successiva, conferendo un vantaggio riproduttivo all’individuo che lo possiede. La fitness si riferisce, quindi, alla capacità di produrre prole; poiché il numero di discendenti che un individuo può generare dipende sia dalla sua capacità di arrivare allo stato adulto, sia dalla sua fertilità, possiamo considerare la fitness come il prodotto di due componenti, la vitalità e la fertilità: fitness = vitalità × fertilità La selezione naturale può essere distinta in tre tipi (fig.1) : Selezione direzionale: si verifica quando un determinato genotipo ha una fitness più elevata rispetto agli altri e di conseguenza la frequenza del fenotipo corrispondente tenderà ad aumentare. Rispetto alla distribuzione normale, si assisterà ad uno spostamento di questa, nel corso delle generazioni, verso l’estremità che corrisponde al fenotipo più adatto, con una coda in corrispondenza di questa direzione. Ad esempio, nel caso del peso corporeo, se interviene un evento selettivo che agisce contro gli individui con peso maggiore, la distribuzione delle frequenze tenderà a spostarsi verso l’estremo corrispondente ad un più basso peso corporeo; Selezione stabilizzante: si verifica quando il fenotipo medio è favorito rispetto agli estremi. Ad esempio gli individui con un peso medio alla nascita hanno maggiori probabilità di sopravvivenza rispetto a quelli con peso maggiore o minore. Questo tipo di selezione, quindi, si oppone ai cambiamenti, mantenendo stabili le diverse forme fenotipiche. Le frequenze dei fenotipi possono essere distribuite secondo una curva a campana, distribuzione normale, con un massimo di frequenza in corrispondenza del fenotipo medio; Selezione diversificante: è detta anche disruptiva, favorisce i fenotipi estremi, a scapito di quello intermedio. Questa condizione si viene a creare quando la popolazione vive in un ambiente non uniforme, nel quale un fenotipo può essere favorito in una determinata nicchia ecologica, mentre l’altro è più adatto in un'altra nicchia. In questo modo, entrambi i fenotipi aumenteranno in frequenza nel corso delle generazioni e la curva assumerà un andamento bimodale. Questo tipo di selezione ha una notevole importanza perché determina un aumento della diversità genica all'interno delle popolazioni e, di conseguenza, promuove la speciazione. La selezione naturale è alla base dei processi di adattamento e speciazione, e quindi dell’evoluzione delle specie. L’adattamento è l’insieme delle caratteristiche, sia strutturali sia comportamentali, che sono state favorite dalla selezione naturale perché 4 aumentano le possibilità di sopravvivenza e di riproduzione di un organismo nel suo habitat naturale. L’adattamento è la conseguenza dei cambiamenti del pool genico che avvengono all’interno delle popolazioni in seguito alle pressioni selettive dell’ambiente, che favoriscono individui con fitness più elevata; la speciazione è il processo evolutivo che conduce alla formaFig. 1 Selezione direzionale (3) zione di nuove specie. Selezione stabilizzante (1) Generalmente la speSelezione diversificante o disruptiva (2) ciazione avviene quando popolazioni della stessa specie sono separate da barriere geografiche o comportamentali e sono quindi sottoposte a pressioni selettive differenti, che conducono alla divergenza delle loro strutture anatomiche, fino a quando le differenze accumulate producono popolazioni di individui nettamente distinte e incapaci di accoppiarsi. Se l'uomo del XXI secolo osserva il mondo con un atteggiamento differente rispetto agli uomini nati durante l'epoca vittoriana (1837-1901), uno dei principali artefici di questo mutamento è certamente Darwin, per una serie di motivi: Il darwinismo, escludendo ogni fenomeno e causa soprannaturale e utilizzando strumenti di indagine rigorosamente scientifici, quindi materialistici, entra in conflitto con il pensiero metafisico tramandato dalla religione cristiana. La teoria dell’evoluzione per selezione naturale spiega l’adattamento e la varietà del mondo biologico esclusivamente in termini materialistici, essa non deve più ricorrere a un Dio creatore o architetto, sebbene si sia certamente liberi di credere in Dio pur accettando la teoria dell’evoluzione; il darwinismo dimostra gli errori dei tipologi o fissisti, che sostenevano l’immodificabilità del mondo biologico in quanto creato da Dio in modo definitivo. Darwin respinse totalmente il pensiero tipologico e introdusse invece un concetto diverso, quello di popolazione: tutti i raggruppamenti di organismi viventi, esseri umani compresi, sono popolazioni costituite da individui unici nella loro reciproca diversità; 5 la teoria della selezione naturale consente di mettere in discussione le argomentazioni finalistiche che sostenevano che qualunque cosa presente in natura avesse un fine predeterminato, cioè che esistesse una forza teleologica che guidasse il mondo verso una sempre maggiore perfezione; Darwin mette in discussione il determinismo e il suo concetto base di poter prevedere costantemente il futuro una volta noti gli elementi del mondo attuale e i suoi processi. Darwin, infatti, accetta l’universalità del caso e della probabilità in tutto il processo della selezione naturale; Darwin ha sviluppato una nuova concezione dell’umanità e, successivamente, una nuova forma di antropocentrismo: di tutte le proposte di Darwin, quella che i suoi contemporanei trovarono più difficile da accettare fu la teoria della discendenza comune applicata all’uomo (gli esseri umani e le attuali scimmie antropomorfe hanno chiaramente origini comuni); per i teologi, come per i filosofi, l’uomo era una creatura al di sopra degli altri esseri viventi e ben distinta da essi. L’applicazione della teoria dell’origine comune all’uomo lo ha privato, dunque, della sua precedente posizione di unicità. Tuttavia, queste nuove concezioni non misero fine all’antropocentrismo: lo studio dell’uomo, infatti, dimostrò che, nonostante la sua discendenza, esso è effettivamente unico fra tutti gli organismi. Grazie alla loro elevata intelligenza, al loro linguaggio e alle lunghe cure parentali che riservano alla prole, gli esseri umani sono gli unici esseri viventi ad aver creato una ricca cultura. Con questi mezzi l’umanità ha acquisito, nel bene e nel male, una dominanza senza precedenti sull’intero pianeta; Darwin ha offerto all’etica un fondamento scientifico. Ci si potrebbe chiedere come un egoismo puro come quello prodotto dalla selezione possa condurre ad una qualsiasi forma di etica valida; in realtà, quando si ha a che fare con una specie sociale non bisogna considerare solo l’individuo, ma l’intero gruppo di appartenenza. Darwin applicò questo ragionamento alla specie umana nel 1871, in L’origine dell’uomo: la sopravvivenza e la prosperità di un gruppo sociale dipendono in larga misura dalla cooperazione armoniosa dei membri del gruppo, e questo comportamento deve essere basato sull’altruismo; tale altruismo, perseguendo la sopravvivenza e la prosperità del gruppo, comporta anche vantaggi indiretti per gli individui che lo compongono. Quindi la selezione favorisce il comportamento altruista. La rapidità dei mutamenti evolutivi biologici dipende dai tempi della generazione di ciascuna specie e dall'intensità della pressione selettiva. Un cambiamento genetico percettibile nelle popolazioni umane può avvenire nel corso di centinaia di anni, ma di solito è necessario molto più tempo. Il caso opposto è quello delle popolazioni di batteri dove, con un tempo di generazione che si misura in termini di ore, si può sviluppare una resistenza agli antibiotici nell'arco di mesi o anni. Gli stafilococchi, gli streptococchi e gli pneumococchi hanno sviluppato resistenza alla maggior parte degli antibiotici messi a punto per combatterli negli ultimi decenni. Il virus 6 geneticamente labile e mutevole dell'HIV, sfuggendo agli attacchi delle cellule immunitarie e dei farmaci antivirali, produce nel soggetto infetto migliaia di varianti genetiche al giorno e può acquisire resistenza ai farmaci nel giro di giorni o settimane. Potremmo pensare che la pesante sovrastruttura culturale delle società umane, che tutela la salute di pochi e impone disuguaglianze a danno di molti, abbia rallentato e intorbidito le acque della selezione naturale. Il genere umano sta attraversando una fase di trasformazioni senza precedenti rispetto ai modelli che riguardano la salute, la malattia e la mortalità. Nel passato vi sono stati importanti episodi di pestilenze e carestie a livello locale, ma non c'è mai stato un fenomeno rapido e pervasivo quanto il cambiamento avvenuto negli ultimi cento anni del profilo della malattia e della longevità degli esseri umani. Per centinaia di migliaia di anni, i nostri antenati- prima cacciatori/raccoglitori, poi agricoltori- hanno potuto contare su un'aspettativa media di vita di circa 25-30 anni. La maggior parte di loro moriva di malattie infettive, denutrizione, fame o traumi fisici, e un gran numero non superava la prima infanzia. Oggi, a livello globale l'aspettativa media di vita si sta avvicinando ai settant'anni e in alcuni tra i paesi più ricchi ha raggiunto gli ottanta. Nel corso degli ultimi due secoli, l'ecologia umana ha subito grandi trasformazioni, anche se queste hanno inciso in modo estremamente squilibrato secondo la maggiore o minore ricchezza delle regioni interessate. Poco più di un secolo fa, a Manchester, Inghilterra, la metà dei bambini moriva prima di aver compiuto i cinque anni. In seguito, in molte regioni sono migliorate l'offerta alimentare, le condizioni abitative e igieniche, la qualità dell'acqua; si sono diffusi i fondamenti di igiene personale e domestica e di pianificazione familiare, e i luoghi di lavoro sono divenuti più sicuri. È aumentata l'alfabetizzazione e si è innescato un processo di modernizzazione sociale; sono stati organizzati i sistemi sanitari pubblici e sono aumentate le capacità di intervento della medicina: nella seconda metà del 19° secolo si sono imposte l'anestesia e la chirurgia in ambiente asettico, seguite dalle vaccinazioni, dalla contraccezione, dagli antibiotici, dai disinfestanti e dalla terapia di reidratazione contro la dissenteria. I tassi di mortalità infantile, in particolare nei casi dovuti a patologie infettive, hanno fatto registrare un calo notevole, dapprima — alla metà del 19° secolo — nei paesi industrializzati e poi, a partire dagli anni Venti del secolo scorso, anche nei paesi meno sviluppati. Anche i decessi da parto sono diminuiti, così come quelli dovuti alle patologie infettive contratte in età adulta, in particolare la tubercolosi. Dal momento che molte più persone raggiungono un'età matura e che cambiano gli stili di vita, di consumo e di esposizione ai fattori ambientali, si va diffondendo una forte incidenza di patologie non trasmissibili come quelle cardiovascolari, il diabete e le varie forme di cancro. E anche i paesi meno ricchi si stanno allineando alle tendenze tipiche di quelli più opulenti. Nei 7 paesi ricchi e anche tra le classi medie urbane degli altri paesi si va facendo strada un'epidemia di obesità, pur essendoci una quota equivalente della popolazione mondiale ancora sottonutrita o affamata. Secondo le stime dell'OMS, all'inizio degli anni '90 le tre principali cause di malattia (comprendendo i dati di mortalità infantile e di patologie invalidanti) erano la polmonite, la dissenteria e le malattie perinatali. Oggi si prevede che entro il 2020 le tre cause maggiori di morte diventeranno le patologie cardiovascolari, le sindromi depressive e gli incidenti stradali. La maggior parte dei cambiamenti dello stato di salute delle popolazioni è il risultato di importanti mutamenti sociali e di radicali trasformazioni avvenute nell'ecologia umana. Ciononostante, la maggior parte delle ricerche è ancora focalizzata su interventi comportamentali, clinici e tecnologici. Ovviamente questo è il frutto del pensiero scientifico dominante, ma è anche il riflesso della nostra difficoltà di percepire un quadro più ampio e di riconoscere che lo stato di salute di una popolazione è, fondamentalmente, espressione del suo ambiente sociale e materiale. Negli ultimi anni dovrebbe essere cresciuta la nostra capacità di comprendere l'insieme più ampio dei fattori che influenzano lo stato di salute, nel quale si riflettono il rapporto di una popolazione con il suo ambiente naturale, con le altre popolazioni, nonché la sua storia e le sue strutture sociali. I mutamenti ambientali senza precedenti, in particolare il cambiamento climatico indotto dalle attività umane, e la riduzione dello strato di ozono, la perdita di biodiversità, di terreni fertili e di riserve idriche produrranno molteplici effetti dannosi per la salute umana, che subirà anche l'influsso dei processi di globalizzazione. I modelli dello stato di salute nel 21° secolo saranno assai diversi da quelli che hanno contraddistinto il secolo scorso. Nelle società occidentali del Novecento predominavano le patologie infettive, mentre nel 2000 sono più diffuse quelle cardiovascolari e il cancro. Stiamo oggi entrando in una nuova fase dell'ecologia umana, poiché stiamo riformulando la nostra relazione con il mondo naturale, convertendo il villaggio globale in supermarket globale e accelerando il traffico di materiali, denaro, persone, microrganismi, informazioni e idee. L’inquinamento materiale si sostiene su un inquinamento più invisibile e anche più potente, perché è all’origine di quello materiale: l’inquinamento della cultura. Questa forma di degrado è forse la più difficile da risolvere, poiché i presupposti “a-ecologici” del pensare fanno parte dell’atmosfera culturale che respiriamo. Se non lotteremo contro questa forma impalpabile ma potente di inquinamento allora sarà persa anche la battaglia contro quello materiale. La soluzione per creare un mondo sostenibile e più pacifico è l’educazione. Il cambiamento verso la sostenibilità dipende dal cambiamento del modo di pensare; la differenza fra un futuro caotico e uno sostenibile risiede nella differenza di pensiero. La qualità, la profondità e il livello di apprendimento che avrà luogo su scala 8 mondiale nei prossimi dieci o venti anni determineranno la direzione intrapresa: quella che porta verso la sostenibilità ecologica o quella che se ne allontana. Darwin ha influito molto sul cambiamento nel nostro modo di guardare ed interpretare il mondo e noi stessi. Ora concepiamo la natura, e quindi anche i viventi, come sistemi caratterizzati da auto-organizzazione ed autoregolazione, da processi ed equilibri dinamici, da scambi di materia, energia ed informazione, da processi evolutivi che si esplicano in maniera non deterministica, non lineare, non prevedibile. La visione sistemica della realtà, che caratterizza la cultura moderna, è nata dopo le visioni evoluzionistiche, capaci di mettere in evidenza la complessità e la grande quantità di relazioni e processi dei fenomeni naturali. La conoscenza e la pratica del pensiero evoluzionista aprono la mente a diverse percezioni e prospettive epistemiche e la arricchiscono di strumenti concettuali e metodologici per un’interpretazione dinamica, relazionale, complessa e critica della realtà. La conoscenza dell’evoluzione dei viventi e degli ecosistemi terrestri nel corso della storia del Pianeta rende consapevoli della mutevolezza dell’ambiente e dei fenomeni vitali, della loro relatività, della loro provvisorietà nel tempo e nello spazio; insegna a capire quanto stabili o instabili possano essere le caratteristiche e le conquiste della vita, quanto legate alle trasformazioni ambientali. Il pensiero che si cimenta con i problemi dell’evoluzione si fa dinamico, si predispone a cogliere le relazioni causali e la loro complessità, il cambiamento, l’imprevisto, l’incertezza e, forse, ad accettare i limiti imposti dall’ambiente e dalla nostra natura biologica. La riflessione sulla natura umana stimolata dal pensiero evoluzionista è la sola che aiuti a ridefinire il posto dell’uomo sulla Terra e ad evidenziare la sua responsabilità nelle interazioni con l’ambiente. La specie umana Homo sapiens è abituata a pensarsi come unica e quasi eterna, ma in realtà non è stata unica, in quanto ha condiviso la Terra con altre specie umane, e non sarà eterna: è una specie a metà circa del suo ciclo vitale e non ha garanzie nemmeno di “arrivare fino alla vecchiaia” a causa dell’impatto che ha sui sistemi terresti. Per molte idee siamo grati a Darwin, anche in funzione di una visione ecologica e sostenibile del futuro. La prima idea è quella di ambiente ecologico: dopo Darwin, l’ambiente non è stato più solo lo sfondo dove si svolgono gli eventi vitali, compresa la storia umana. L’ambiente oggi viene pensato come insieme di “fattori ecologici”, cioè come elementi ed agenti naturali attivi e dinamici che sviluppano un numero incalcolabile di processi e relazioni, che mutano e contribuisco a produrre cambiamenti negli altri viventi e nelle strutture fisiche. L’ambiente è infine concepito oggi come il contesto di cui siamo parte integrante e all’interno del quale interscambiamo materia, energia ed informazione. È questa l’idea di ambiente che occorre diffondere per educare al cambiamento del rapporto della specie umana con la Terra, per un futuro sostenibile. La seconda idea, altrettanto necessaria, è 9 quella della diversità: un tema “caldo” dei nostri tempi. Darwin ci ha insegnato a ordinare la diversità dei viventi in categorie basate sulle relazioni evolutive e filogenetiche, a ricercare parentele, omologie ed analogie. Ma la sua genialità è consistita nel vedere la diversità (la variabilità che oggi definiamo e comprendiamo di origine genetica) come base e come risultato dei processi evolutivi (sotto forma di adattamento e di origine di nuove specie). Questa visione ha attribuito un grande valore alla diversità biologica nella produzione e nel mantenimento della vita sulla Terra. Concepiamo quindi oggi la biodiversità, nella quale naturalmente è inclusa quella culturale, come “ricchezza” e come “risorsa”. Infine, Darwin ha dimostrato che non c’è incompatibilità tra razionalità del genio scientifico ed emozioni: l’opera darwiniana è un inno alla bellezza della natura, descritta e osservata non solo con grande rigore scientifico, ma anche con umiltà, con entusiasmo e grande ammirazione, atteggiamenti che mancano molto nei nostri tempi e che dovrebbero essere parte integrante del pensiero sostenibile. Bibliografia Le Scienze num. 385 - Settembre 2000. Mortari L., 1998. Ecologicamente pensando. Ed. Unicopli, Milano Sterling S., 2006. Educazione sostenibile. Anima Mundi Ed., Cesena (Fo) www.wikipedia.it 10