G. Solaro, Alla corte di re Creso, «SdS» 1, 2014, n. 1
Giuseppe Solaro
Alla corte di re Creso
E
non
racconto
quel che narrano le
istorie
Greche
[indicazione generica],
di Cleobi, o di Bitone,
a’ quali fu conceduto
dagl’Iddii la morte per
dono (T. Tasso, Lettera
a Dorotea Geremia negli
Àlbizi)
1. Lontano da Atene
Secondo il racconto di Erodoto, il grande storico di
Alicarnasso,
tutti
i
massimi
)
si
sapienti
recarono
greci
nella
(1,
29
ricca
Sardi in Lidia dal re Creso, il quale era asceso al trono
nel 560 a.C. Tra questi anche Solone, il grande nomoteta
attico, il quale – Erodoto scrive –, dopo aver emanato le
sue leggi, sarebbe andato via dalla sua città per un
lasso di tempo pari a dieci anni (). E
Solone, per usare ancora la testimonianza di Erodoto, si
G. Solaro, Alla corte di re Creso, «SdS» 1, 2014, n. 1
sarebbe messo in mare apparentemente «a scopo di studio»
(): in realtà – soggiunge lo storico per evitare di essere costretto ad abrogare le sue leggi,
sulle
quali
prestato
peraltro
solenni
i
cittadini
giuramenti1.
di
Atene
Erodoto
avevano
sembra
bene
informato sugli spostamenti di Solone (sulle loro vere o
presunte ragioni e finalità) ma il suo racconto – come
sempre
-
rimane
comunque
suscettibile
di
qualche
perplessità.
Per quanto ci è dato di ricostruire, prima di incontrare
Creso, Solone sarebbe stato ospite di un altro celebre
sovrano, il faraone egizio Amasi, un importante alleato di
Creso (“fui alle foci del Nilo – dice il frammento 28 West2 -,
presso la riva della città di Canopo [odierna Abuqir]”). Fu
in quella circostanza che egli avrebbe frequentato i
sacerdoti Psenopi e Sonchi, da cui avrebbe appreso di
Atlantide, l’isola misteriosa situata al di là delle colonne
d’Ercole. Quindi, dopo il viaggio in Egitto, Solone si
sarebbe recato a Cipro, dove sarebbe stato ospite del re
Filocipro, il quale su suo consiglio avrebbe costruito Soli.
In una sua elegia, che ancora oggi leggiamo, egli augura ogni
prosperità al re e alla sua famiglia (fr. 7 Diehl3).
Egli infine sarebbe approdato in Lidia ma non tutte
le fonti riferiscono di questo viaggio, di cui ci narra
Erodoto.
Aristotele
nella
Costituzione
menziona il solo soggiorno
degli
Ateniesi
in Egitto. Tutti e
tre i
viaggi di cui dicevamo (in Egitto, a Cipro e a Sardi in
2
G. Solaro, Alla corte di re Creso, «SdS» 1, 2014, n. 1
Lidia)
sono
invece
rievocati
da
Plutarco
e
Diogene
Laerzio (1, 50; Erodoto dal canto suo, oltre a quello in
Lidia,
conosce
affatto
a
il
Cipro).
viaggio
in
Plutarco
Egitto
ma
tuttavia
non
non
accenna
manca
di
segnalare alcuni dubbi circa la veridicità dell’incontro
con
Creso per ragioni cronologiche (non dimentichiamo
che,
nell’anno
in
cui
il
re
della
Lidia
assunse
il
potere, Solone era ormai al termine dei suoi giorni), ma
il
biografo
considera
la notizia
del
viaggio
fondata
poiché a suo giudizio l’episodio, peraltro tramandato da
numerose fonti (egli non cita in modo esplicito Erodoto),
sarebbe famoso (lógos éndoxos) e degno della saggezza del
grande legislatore (criteri di valutazione, questi, per
la verità alquanto soggettivi).
Secondo la testimonianza di Diogene Laerzio, Solone
avrebbe lasciato Atene nel 560 a.C., l’anno del colpo di
stato
di
Pisistrato.
Secondo
quanto
tramanda
invece
Aristotele, egli sarebbe partito molto tempo prima (forse
già nel 592/1 a.C.) onde evitare che le leggi che egli
aveva fatto approvare venissero
3
rimaneggiate dai suoi
G. Solaro, Alla corte di re Creso, «SdS» 1, 2014, n. 1
stessi
concittadini
(argomento
presente,
come
abbiamo
visto, già in Erodoto). La sua partenza da Atene sarebbe
stata quindi causata da motivi politici e anche da un
certo desiderio di conoscere il mondo (Aristot. Ath. Pol.
11;
ancora
una
volta
Aristotele
sembra
confermare
il
testo erodoteo: egli adopera infatti lo stesso termine
)2. Secondo quanto scrive ancora Aristotele, nel
decennio
successivo
alla
partenza
di
Solone,
Atene
avrebbe conosciuto dapprima un periodo di pace e poi solo
caos e anarchia.
Ma il racconto di Erodoto un po’ si discosta da
quello di Aristotele. Scrive infatti Erodoto che il fine
conoscitivo
sarebbe
stato
soltanto
una

del
viaggio, cioè un pretesto (mentre per Aristotele sarebbe
stato un motivo reale): in realtà Solone allontanandosi
da Atene avrebbe impedito ai suoi concittadini di porre
mano ad una revisione della costituzione che egli aveva
fatto
approvare.
rispettare
quelle
Essi
erano
infatti
norme
da
giuramento
un
decennale e dieci anni non a caso
lontananza di Solone dalla sua città3.
4
vincolati
sarebbe
di
a
durata
durata la
G. Solaro, Alla corte di re Creso, «SdS» 1, 2014, n. 1
2. La felicità di Tello
A Sardi, dove sarebbe giunto su invito dello stesso
Creso (), secondo quanto almeno riferisce
Plutarco
(Sol.
27,
2),
dopo
qualche
giorno
Solone
–
Erodoto dal canto suo racconta – sarebbe stato condotto
dalla servitù ad ammirare le grandi ricchezze di cui il
sovrano della Lidia era in possesso. Dopo di ciò Creso –
secondo quanto Erodoto scrive: la vicenda è ben nota, ma
rapidamente la riassumiamo – avrebbe domandato al suo
ospite chi secondo lui fosse l’uomo più felice della
terra, ma Solone non avrebbe risposto facendo il nome del
re,
come
Creso
formulando
la
sua
domanda
si
sarebbe
aspettato, bensì quello dell’ateniese Tello, un oscuro
cittadino
capostipite
di
una
famiglia
molto
numerosa
morto da eroe lottando in favore della patria durante il
conflitto tra Atene e Megara per il possesso di Salamina.
Con questo esempio Solone avrebbe inteso affermare che a
suo giudizio essere al culmine della felicità voleva dire
5
G. Solaro, Alla corte di re Creso, «SdS» 1, 2014, n. 1
avere come Tello una grande famiglia e inoltre scegliere
di morire per la patria.
Il
racconto
infatti
Creso
di
non
Erodoto
pago
prosegue.
della
prima
A
questo
risposta
punto
del
suo
ospite avrebbe domandato a Solone chi secondo lui fosse
l’uomo
più
felice
dopo
Tello,
attendendosi
dal
suo
interlocutore che lo nominasse almeno come secondo. Ma
Solone avrebbe nuovamente deluso le aspettative del re
perché avrebbe indicato i nomi dei due giovani atleti di
Argo, i celebri Cleobi e Bitone, morti entrambi a seguito
di una ricompensa concessa loro dalla divinità per la
loro
grande
pietas4.
Erodoto
registra
quindi
il
disappunto di Creso: Solone tuttavia avrebbe spiegato al
re che la felicità di un uomo non può essere misurata
dalla sua ricchezza e che non può essere considerato
felice nessuno prima che sia nota la modalità del suo
decesso5
(parole
di
cui
Creso
si
sarebbe
ricordato
quando, sconfitto da Ciro, il re persiano lo avrebbe
fatto deporre su di una pira per farlo ardere vivo)6.
6
G. Solaro, Alla corte di re Creso, «SdS» 1, 2014, n. 1
3. Cleobi e Bitone: variazioni sul mito
Il secondo esempio addotto da Solone nel corso del
suo
dialogo
con
Creso,
quello
relativo
alla
gloriosa
morte di Cleobi e Bitone, è certamente una delle storie
più famose a noi pervenute dall’antichità7. Dopo Erodoto
anche
altre
fonti
ce
ne
danno
notizia
ed
una
in
particolare, Cicerone, non manca di sottolineare - come
Plutarco - che la vicenda già a quel tempo era divenuta
assai celebre (Cic. Tusc. 1, 113 nota fabula est; il caso
di Cleobi e Bitone – Cicerone scrive - era uno di quelli
che i retori usavano rievocare maggiormente nelle loro
divagazioni sul tema della morte). Sulla vicenda Cicerone
mostra
peraltro
presenti
nel
di
testo
conoscere
erodoteo
alcuni
come
ad
particolari
esempio
non
quello
secondo cui i due giovani prima di trasportare il carro
della
madre
avrebbero
deposto
le
loro
vesti
e
si
sarebbero unti il corpo di olio8.
Ma ogni fonte conferisce la propria nuance a questo
grande e celebre mito9. Per esempio Valerio Massimo (V, 4
ext. 4) non senza acume pone in luce il fatto che i due
7
G. Solaro, Alla corte di re Creso, «SdS» 1, 2014, n. 1
giovani avrebbero compiuto il loro eroico gesto senza
avere però nessuna intenzione di morire, come alla fine
della
storia
sarebbe
invece
loro
accaduto10.
Per
concludere, in un’altra fonte latina, Igino (Fab. 254,
4), campeggiano i seguenti ulteriori particolari: a) il
tema
della
preoccupazione
dovuta
al
fatto
che
se
il
sacrificio non fosse avvenuto all’ora stabilita sarebbe
stata immolata la stessa sacerdotessa, madre di Cleobi e
Bitone; b) la sacerdotessa avrebbe chiesto a Giunone per
i suoi figli quicquid bonum, una ricompensa qualsiasi,
mentre nel testo di Erodoto si legge «quanto di meglio»
()
della
potesse
morte
dei
loro
capitare;
propri
figli
c)
anche
dopo
aver appreso
Cidippe,
la
loro
madre, si sarebbe tolta la vita11.
1
Così in Erodoto Creso saluta Solone: «ci è giunta fama – dice il
sovrano - dei tuoi molti viaggi, fatti a scopo di conoscenza»
(scopo del quale, però, come abbiamo visto, Erodoto dubitava).
2
Leggiamo l’intera testimonianza di Aristotele (trad. di A.
Santoni): «organizzata la costituzione nel modo in cui si è detto,
poiché gli andavano intorno e lo importunavano riguardo alle
leggi, biasimandone alcune, ponendo questioni su altre, siccome
non voleva né cambiarle né attirarsi, restando presente, l’odio
dei concittadini, fece un viaggio (apodemían epoiésato: cfr. Hdt.
apedémese) per affari (kat’emporían) e desiderio di conoscenza in
Egitto, dicendo che non sarebbe tornato per dieci anni; non
pensava infatti fosse giusto che le leggi venissero interpretate
in sua presenza, ma che ciascuno facesse quello che era scritto…».
8
G. Solaro, Alla corte di re Creso, «SdS» 1, 2014, n. 1
3
Sui viaggi di Solone vedi: S. Alessandrì, I viaggi di Solone,
«CCC» 10, 1989, pp. 191-224; S. Alessandrì, Solone a Cipro, «AFLL»
8-10, 1977-80, pp. 169-193.
4
Rispetto al testo erodoteo, nei Contemplantes lucianei, dove
Mercurio e Caronte assistono all’incontro tra Solone e Creso,
Cleobi e Bitone sono citati per primi da Solone mentre Tello è
menzionato come secondo. Pausania (2, 20, 3) scrive che ad Argo i
due giovani eroi furono celebrati da Policleto con un’opera che li
ritraeva mentre trascinavano il celebre carro (qualcosa del genere
si trova oggi nel Museo Nazionale di Roma). Ma già Erodoto (1, 31,
5) ci dice che due statue onorifiche furono loro dedicate a Delfi
ed esse sono forse proprio le due famose statue di kouroi
conservate oggi nel museo archeologico, alte l’una 1,97m, l’altra
1,58m, e risalenti al 590 ca. a.C. (vedi LIMC, III, 1, s.v. Biton
et Kleobis).
5
Questo celebre suggerimento di Solone ha avuto molta fortuna
nella
letteratura.
Citerò
soltanto
un
paio
di
casi.
Nell’Apologeticum (fragmentum Fuldense) Tertulliano si ricorderà
delle parole di Solone e nei Rerum Memorandarum libri (62, 3)
Petrarca scriverà: «Solone gli consigliò [a Creso], a lui che era
l’uomo più potente dell’epoca sua, di volgere il suo sguardo
lontano, verso la fine della propria esistenza». In tempi più
recenti, echi del pensiero di Solone si trovano nella conferenza
di Jacob Burckhardt su Felicità e fortuna, infelicità e sfortuna
nella storia universale (Sullo studio della storia, ed. a cura di
M. Ghilardi, Torino, Einaudi, 1998, p. 11): «solo l’ora estrema
della nostra vita ci consente di formulare la sentenza definitiva
sugli uomini e sulle cose con cui abbiamo avuto a che fare; e
questa può suonare molto diversa a seconda che si muoia a quaranta
oppure a ottant’anni».
6
Come già accennavamo, di tale celebre incontro tra il re Creso e
Solone riferisce con dovizia di particolari anche Plutarco nella
sua biografia del legislatore ateniese (cap. 27). Nel suo
resoconto Plutarco omette alcuni particolari che sono presenti nel
testo erodoteo, ma altri ne aggiunge, come ad esempio il
riferimento ad Esopo, il quale presente anch’egli a Sardi avrebbe
rimproverato Solone perché con le sue risposte aveva deluso le
aspettative del sovrano di Lidia.
7
Il mito è stato oggetto di numerosi studi, tra i quali mi limito
qui a segnalare i due seguenti: L. Weber, Tellos, Kleobis und
Biton, «Philologus» 82, 1927, pp. 154segg.; M. Lloyd, Cleobis and
Biton (Herodotus 1, 31), «Hermes» 115, nr. 1, fasc. 1, 1987, pp.
22-28. A Tello, Cleobi e Bitone fa riferimento anche Claudio Magris
sul «Corriere della Sera» del 15 agosto 1999, pag. 27.
8
Un confrontro tra il testo ciceroniano e quello erodoteo in
Warren E. Blake, Cicero’s Greek text of Herodotus, I, 31, «AJP»
65, n. 2, 1944, pp. 167-169.
9
Secondo quanto osservato da Roberto Guerrini (Lo Spazio
9
G. Solaro, Alla corte di re Creso, «SdS» 1, 2014, n. 1
letterario di Roma Antica, vol. IV, pp. 289 segg.), sarebbe
ispirato al commento dell’Oliverius a Valerio Massimo il tableau
su Cleobi e Bitone della celebre Galerie Francesco I di
Fontainebleau. Secondo Giovanni Cipriani (Gli enigmi del latino,
«Latina Didaxis» 15, 2000, pp. 87-149) la fonte sarebbe invece un
luogo serviano (Servio, Georg. 3, 531-533). Senza entrare nel
merito della questione occorre tuttavia ricordare che Valerio
Massimo fu autore molto letto nel sedicesimo secolo (vedi D.M.
Schullian, A revised list of manuscripts of Valerius Maximus, in
Miscellanea Augusto Campana, vol. II, Padova, Antenore, 1981, pp.
695-728).
10
Secondo Max Pohlenz la morte tuttavia non sarebbe l’elemento più
rilevante del mito di Cleobi e Bitone: l’estrema felicità dei due
giovani sarebbe infatti da cogliere nella religiosità «dimostrata
nel mettere la loro vigoria fisica al servizio della madre e della
loro dea» [L’uomo greco, trad. it. a cura di Reale-Girgenti-Proto,
Milano, Bompiani, 2006, p. 157]. La morte non rappresentò del resto
mai un male per i Greci. Come ha osservato Margherita Guarducci in
Due note su Kleobis e Biton (Studi in onore di U.E. Paoli, Firenze
1955, p. 368), verso di essa essi erano attratti dalla speranza «di
una vita più serena» dopo il trapasso.
11
In età moderna Cleobi e Bitone saranno rievocati tra gli altri
da Montaigne [Les Essais, II, XII, Apologie de Raimond de Sebonde,
p. 612 dell’edizione Gallimard]. Montaigne osserva che la divinità
avrebbe il potere di sottrarci in qualsiasi momento qualsiasi
bene. Essa – secondo Montaigne - agirebbe tuttavia par les raisons
de sa providence, secondo una logica a noi ignota. Celeberrimo è
anche il riferimento a Cleobi e Bitone che si incontra nel Dialogo
di un fisico e di un metafisico di Giacomo Leopardi. Sulla coppia
Cleobi/Bitone vedi anche Zibaldone, 2675/2 (25 febbraio 1823),
dove fonte del Leopardi è il Voyage du jeune Anacharsis en Grèce
(1788) di Jean-Jacques Barthélemy (tomo II, cap. 53, p. 95).
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