SOLONE E CRESO Subito dopo la parte

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SOLONE E CRESO
Subito dopo la parte introduttiva delle Storie, con la narrazione delle origini mitiche delle ostilità tra
Greci e Persiani, dal capitolo 6 al capitolo 94 del libro I, si snoda il racconto delle vicende dei Lidi,
stanziati nella regione anatolica e guidati dal re Creso, che, a metà del VI secolo a. C., fu l’artefice di
un progressivo espansionismo ai danni delle fiorenti città greche dell’Asia Minore come Mileto ed
Efeso. Ben presto, Creso dovette fare i conti con i Persiani, che, unitisi ai Medi, divennero un popolo
potente in grado di gestire un grande impero: grazie a Ciro il Grande, essi attuarono una serie di
spedizioni militari vittoriose, che, in poco più di un decennio, li resero padroni di tutte le regioni del
Vicino Oriente. Creso tentò un’alleanza con l’Egitto e con Babilonia, ma fu annientato, nel 546 a. C.,
con la caduta di Sardi, la capitale del regno di Lidia. Erodoto racconta che, a Sardi, nel momento
culminante del suo splendore, giunse Solone, il legislatore e poeta ateniese, annoverato tra i Sette
Sapienti, il quale, durante il suo arcontato, aveva posto mano a una serie di riforme fondamentali
per risolvere i gravi conflitti sociali della sua città: abolì la schiavitù per debiti, promosse le attività
commerciali, introdusse l’ordinamento timocratico e creò il tribunale dell’Eliea e il consiglio dei
Quattrocento, innovazione che Aristotele chiamò la “democrazia soloniana”. Promulgate le sue leggi,
Solone partì per un viaggio lungo una decina d’anni, per non essere strumentalizzato dalle fazioni
politiche e per non essere costretto a modificare il suo operato. L’incontro di Creso con Solone, che
Erodoto ha raccontato in maniera così affascinante nelle Storie, con ogni probabilità non è mai
avvenuto, come avevano insinuato già gli antichi: infatti, il sovrano lidio salì al potere nel 560 a. C.,
periodo in cui il legislatore ateniese doveva avere circa ottant’anni ed essere prossimo alla fine della
vita, se non addirittura già morto. Viene spontaneo, dunque, interrogarsi sulla funzione narrativa di
questo episodio: perché Erodoto volle raccontarlo? Come si spiega la sua presenza nelle Storie e, in
particolare, in questo preciso punto delle Storie? Sicuramente lo storico volle esaminare in parallelo,
prima di narrare il vero e proprio conflitto tra Greci e Persiani, due visioni della vita e del mondo
completamente differenti: quella orientale in senso lato e quella greca, che poco dopo si sarebbero
scontrate sul campo. Due “campioni”, dunque, due personaggi emblematici di civiltà diverse, un
ricco sovrano orientale e un saggio statista greco, si confrontano in un dialogo in cui prendono forma
e acquistano rilievo questioni centrali per l’uomo di tutti i tempi: il suo destino e il rapporto con gli
dei, i valori autentici e quelli più effimeri, la definizione della vera felicità. Nel capitolo 29, che funge
da introduzione all’episodio, vengono anticipati alcuni tratti peculiari dei due protagonisti: Creso ha
portato il suo regno al culmine dello splendore, assoggettando tutti i popoli a occidente del fiume
Halys; Solone, dopo aver attuato le riforme ad Atene, intraprende un lungo viaggio, anche per il
desiderio di vedere il mondo (Luciano Canfora lo ha significativamente definito un “meta-storico”,
identificabile per molti aspetti con lo stesso Erodoto). I due personaggi principali appaiono, dunque,
fin dal principio del racconto, come estremamente diversi, se non addirittura antitetici: Creso è
giunto alla sua acme politica e ritiene che essa coincida e insieme sia rispecchiata con la sua
ricchezza; Solone, invece, è in viaggio, lontano dalla propria patria, e ciò su cui lo storico vuole
attirare l’attenzione è il suo desiderio di conoscenza, letteralmente di “vedere”. Creso, a differenza di
Solone, si sente “già arrivato”, crede di aver raggiunto lo scopo della sua esistenza; per lui la
ricchezza coincide tout court con la felicità e non ha bisogno d’altro: si trova, quindi, in una
situazione di stallo, non si evolve più, ma ricerca solo l’ammirazione altrui. Ed è soprattutto da uno
straniero, in particolare da un Greco famoso per la sua saggezza, che egli si aspetta di ottenere la
consacrazione di “uomo più felice di tutti”. Davanti allo spettacolo delle ricchezze di Creso, Solone,
inizialmente, non commenta, ma si prende il tempo necessario per vedere e per valutare; lascia,
poi, che sia il re lidio a palesare il motivo per cui ha voluto fargli visitare le stanze del tesoro: sapere
se il sapiente greco, che ha viaggiato per tutto il mondo, ha mai visto qualcuno più felice. Per Creso
la felicità è rappresentata dalle sue ricchezze: poiché nessuno è più ricco di lui, ne consegue che egli
è il più felice di tutti; egli non chiede a Solone di esporre una teoria filosofica, ma, semplicemente, di
riferirgli quello che ha visto con i propri occhi. Erodoto interviene a precisare quale fosse
l’aspettativa del sovrano (“Egli chiedeva questo, credendo di essere il più felice degli uomini”) e
puntualizza anche l’atteggiamento di Solone, probabilmente molto diverso da quello cui Creso era
avvezzo: il saggio greco non intende, infatti, adulare il suo ricco interlocutore, che, tra l’altro, lo
ospita, bensì si attiene alla realtà dei fatti, dandogli risposte che spiazzano completamente le sue
attese. Il confronto tra i due personaggi non termina col congedo di Solone: le parole del saggio
ateniese trovano, subito dopo la sua partenza, una triste conferma nella morte del figlio del re, Atys,
l’erede al trono dei Lidi, “una grande vendetta divina per la superbia di Creso nel considerarsi l’uomo
più felice”. Tuttavia, quando cadrà prigioniero di Ciro e starà per essere immolato sulla pira, Creso si
ricorderà delle parole di Solone, quasi gli fossero state ispirate da un dio: “Nessun vivente è felice”;
e Ciro, incuriosito, ascoltata la storia del re lidio, deciderà di salvarlo e di tenerlo presso di sé come
consigliere, ben sapendo che “non vi è nulla di stabile, nella vita umana”: il seme della sapienza
greca ha attecchito e portato frutto, anche in terra orientale.
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