(il Codice Etico).

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Dal momento che l'etica (dal greco antico ἔθος - o ήθος -, "èthos", comportamento, costume, consuetudine)
è quella branca della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di distinguere i
comportamenti umani in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o
moralmente inappropriati, il termine codice etico definisce quell'insieme di principi di condotta che
rispecchia particolari criteri di adeguatezza e opportunità, in riferimento a un determinato contesto culturale,
sociale o professionale.
La definizione di "codice etico" rimanda quindi all'antica e complessa problematica della morale ovvero
dell'esistenza, o meno, di principi universali ai quali dovrebbero ispirarsi le azioni dell'uomo. In particolare, il
termine "codice etico" acquisisce un suo valore specifico nella contemporaneità, proprio quando,
parallelamente all'indebolimento dei cosiddetti "pensieri forti" tradizionali (le ideologie politiche, filosofiche
e religiose che dettavano in modo rigido le norme della convivenza sociale), si assiste alla crescente domanda
di regole di deontologia capaci di determinare i limiti e le condizioni della prassi umana in particolari contesti.
Fra questi contesti, possiamo citare ad es. i media, in particolare la televisione: in questo caso il termine
"codice etico" viene a identificare quell'insieme di regole, peraltro di incerta determinazione oggettiva, atte
a identificare la liceità, o meno, della trasmissione pubblica di determinati fatti e contenuti. In casi come
questi il codice etico, più o meno esplicito, è di fatto esposto all'obiezione di un potenziale controllo
preventivo di tipo censorio, sui contenuti stessi; in realtà, obiettano a loro volta i fautori di strumenti di autodisciplina quali il codice etico, è proprio attraverso questo intervento auto-regolativo che può essere evitato
l'applicazione di strumenti più drastici con i relativi interventi sanzionatori (ad es. da parte della pubblica
autorità, attraverso la magistratura etc.).
Il problema del codice etico trova poi un campo di applicazione molto importante nell'ambito medico. In
questo caso il tema del codice etico finisce per confrontarsi, necessariamente, con la tematica, sempre più
diffusa e problematica, della bioetica, ovvero di quel campo della filosofia morale che si occupa
specificamente delle questioni riguardanti la vita umana nella sua effettività biologica (principalmente in
riferimento alle situazioni-limite della vita nascente, sofferente e morente).
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Il Codice Etico e Bilancio Sociale
Infatti dalla missione aziendale si possono diramare due attività concomitanti, una più generale rivolta al
controllo delle politiche d’impresa (il Bilancio Sociale), l’altra ai comportamenti individuali (il Codice Etico).
Può definirsi come la “Carta Costituzionale” dell’impresa, una carta dei diritti e doveri morali che definisce
la responsabilità etico-sociale di ogni partecipante all’organizzazione imprenditoriale.
E’ un mezzo efficace a disposizione delle imprese per prevenire comportamenti irresponsabili o illeciti da
parte di chi opera in nome e per conto dell’azienda, perché introduce una definizione chiara ed esplicita delle
responsabilità etiche e sociali dei propri dirigenti, quadri, dipendenti e spesso anche fornitori verso i diversi
gruppi di stakeholder.
Esso è il principale strumento di implementazione dell’etica all’interno dell’azienda.
Il Codice Etico è divenuto uno strumento per lo stakeholder manager, un mezzo che garantisce la gestione
equa ed efficace delle transazioni e delle relazioni umane, che sostiene la reputazione dell’impresa, in modo
da creare fiducia verso l’esterno.
La diffusione di tali documenti, sia pure di struttura e contenuto assai diversi tra loro, si è andata ad
accrescere nel corso degli anni.
In particolare negli USA la redazione dei Codici Etici ha avuto una diffusione straordinaria, tanto che circa
l’85% delle principali imprese del Paese ha adottato tale strumento. L’impulso è stato dato a partire dal 1991
quando il Governo degli Stati Uniti ha emanato delle norme specifiche (Federal Sentencing Commission
Guidelines for Organizations) in materia di azioni criminali da parte delle imprese. L’aver realizzato un Codice
Etico consente di provare la buona fede dell’azienda, nei casi di contestazione, ottenendo sconti sulle
sanzioni.
In Italia tali Codici sono ancora con una diffusione limitata. Alcuni esempi ci vengono forniti dal Codice di
Comit, Coop Adriatica (grande distribuzione), ENI, FIAT e di Glaxo Welcome (farmaceutica).
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La struttura del Codice Etico può variare da impresa ad impresa, ma generalmente viene sviluppato su
quattro livelli:
1) I principi etici generali che raccolgono la missione imprenditoriale ed il modo più corretto di realizzarla;
2) Le norme etiche per le relazioni dell’impresa con i vari stakeholder (consumatori, fornitori, dipendenti,
etc.);
3) Gli standard etici di comportamento
- Principio di legittimità morale
- Equità ed eguaglianza
- Tutela della persona
- Diligenza
- Trasparenza
- Onestà
- Riservatezza
- Imparzialita'
- Tutela ambientale
- Protezione della salute
4) Le sanzioni interne per la violazione delle norme del Codice
5) Gli strumenti di attuazione. L'attuazione dei principi contenuti nel Codice Etico e' affidata di solito ad un
Comitato etico. Ad esso e' affidato il compito di diffondere la conoscenza e la comprensione del Codice in
azienda, monitorare l’effettiva attivazione dei principi contenuti nel documento, ricevere segnalazioni in
merito alle violazioni, intraprendere indagini e comminare sanzioni.
Dove di solito è prevista la nomina di un Comitato etico con l’incarico di diffondere la conoscenza e la
comprensione del Codice in azienda, monitorare l’effettiva attivazione dei principi contenuti nel documento,
ricevere segnalazioni in merito alle violazioni, intraprendere indagini e comminare sanzioni.
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La metodologia realizzativa prevede:
1) Un’analisi della struttura aziendale per l’individuazione della mission e dei gruppi di stakeholder di
riferimento.
2) La discussione interna per l’individuazione dei principi etici generali da perseguire, le norme etiche per la
relazioni dell’impresa con i vari stakeholder, gli standard etici di comportamenti.
3) La consultazione degli stakeholder per la condivisione dei principi etici generali e particolari per ogni
gruppo.
4) L’adeguamento dell’organizzazione aziendale, delle procedure, delle politiche imprenditoriali con
riferimento ai principi etici del Codice. In particolare riveste una notevole importanza l’attività di formazione
etica finalizzata a mettere a conoscenza tutti i soggetti dell’impresa dell’esistenza del Codice e di assimilarne
i contenuti. Il dialogo e la partecipazione sono indispensabili per far condividere a tutto il personale i valori
presenti in questo importante documento.
……………………..
Etica e gestione dell’impresa
I recenti scandali finanziari rappresentano una sconfitta del diritto, insufficiente da solo a garantire il regolare
esercizio dell'attività d'impresa, e rendono necessario il ricorso a strategie socialmente responsabili, come
l'adozione di codici etici.
I primi tentativi di attribuire rilevanza “giuridica” ai codici di autoregolamentazione.
A seguito dei recenti scandali finanziari, in Europa come negli Stati Uniti, è sempre più frequente che, nelle
discussioni sulla corporate governance, ci si interroghi sul ruolo dell'etica nella gestione dell'impresa. È
opinione diffusa che i gravi scandali finanziari, riconducibili alla illiceità della condotta degli amministratori,
siano rappresentazione di una sconfitta del “diritto”, da solo insufficiente a garantire il regolare esercizio
dell'attività d'impresa, tanto da rendersi necessario il ricorso a sistemi di regole estranee e, in qualche misura,
più efficaci del diritto stesso: norme etiche in grado di orientare la gestione dell'impresa al perseguimento di
obiettivi ulteriori rispetto a quello “naturale” della massimizzazione del profitto e tali da soddisfare gli
interessi di tutti quei soggetti, diversi dai soci che, pur non titolari di azioni, hanno un interesse di fatto a
partecipare alle decisioni dell'impresa: c.d. stakeholders . Categoria quest'ultima assai ampia, comprensiva
sia di soggetti che hanno un rapporto contrattuale con l'impresa (consumatori, fornitori, dipendenti,
risparmiatori), sia di soggetti che non sono legati a quest'ultima da uno specifico rapporto, come la comunità
nella quale opera l'impresa, il governo o le stesse autorità statali. Il diritto di produzione statale avrebbe
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svelato i propri limiti, vieppiù con riferimento alle operazioni internazionali, con la conseguenza che si
renderebbe oggi necessario un approccio “nuovo” ai temi di corporate governance , che non si limiti all'analisi
formale delle strutture di governo, ma indaghi la sfera della scelta “morale” alla base di ogni decisione di
gestione.
La responsabilità sociale di impresa
L'eco di tale suggestione risuona, per vero, anche nell'approccio comunitario e internazionale al tema della
c.d. responsabilità sociale dell'impresa. Nel Libro Verde volto a promuovere un quadro europeo per la
responsabilità sociale delle impresa (2001), e nella successiva comunicazione della Commissione relativa alla
Rsi: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile (2002), si auspica «l'integrazione volontaria delle
preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le
parti interessate».
La Commissione ha così dato avvio ad un progetto che fa perno sulla volontarietà della collaborazione delle
imprese, auspicando che le stesse non si limitino al mero rispetto della legge, ma agiscano secondo etica. Il
modello adottato, sia pure con qualche ambiguità, poggia sui seguenti elementi:
a) tenere comportamenti socialmente responsabili è nell'interesse dello sviluppo sostenibile e duraturo
dell'impresa, dal momento che riduce il rischio imprenditoriale;
b) necessità che le imprese adottino tutti gli strumenti organizzativi opportuni per concepire, gestire e
rendere pubbliche le proprie scelte socialmente responsabili;
c) necessità di coinvolgere, anche sul piano informale, gli stakeholders diversi dagli azionisti nella valutazione
della responsabilità sociale.
Lo scopo è quello di contribuire alla formazione di un tessuto culturale più sensibile ai temi di responsabilità
sociale dell'impresa, stimolando l'adesione spontanea alle politiche comunitarie di sviluppo sostenibile.
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Il codice etico
Lo strumento attraverso il quale l'impresa attesta la propria intenzione di adottare strategie “socialmente
responsabili”, accreditando così la propria immagine sul mercato, è il codice etico, documento in cui l'impresa
enuncia i valori su cui si fonda l'attività produttiva, dichiara le responsabilità che intende assumere verso
ciascuna categoria di stakeholders , e specifica le direttive aziendali per l'attuazione delle proprie strategie.
È un'operazione che compete ai soci, che possono discrezionalmente fissare gli obiettivi dell'impresa (1) e
imporne il rispetto ai dipendenti, autoregolamentando l'attività interna (2) . Il codice traspone dunque sul
piano della regolamentazione interna i risultati delle valutazioni etiche dell'imprenditore: e si qualifica etico,
non per la natura della norma imperativa, che si pone su un piano tipicamente normativo, ma per gli obiettivi
prefissati, che possono trovare origine in valutazioni di ordine etico.
Affermare che il codice opera su un piano normativo, non significa, tuttavia, che lo stesso sia giuridicamente
rilevante. L'esperienza è ricca di esempi di codici nei quali si esclude espressamente la rilevanza del codice
sul piano giuridico, sottolineando che la sanzione in caso di violazione è solo morale, e non genera alcuna
responsabilità giuridica della società nei confronti di terzi. La stessa dottrina esclude unanimemente i codici
etici dal novero delle fonti di diritto, non rientrando in nessuno degli atti o fatti idonei a produrre diritto nel
nostro ordinamento .
L'efficacia dei codici, secondo questa impostazione, va ricercata su un piano diverso, legato alla reputazione
e dunque alla competitività dell'impresa. Rappresentando l'adozione del codice un “marchio di qualità”, si
ritiene verosimile che le società che se ne doteranno potranno vantare scelte di gestione, che, si ritiene, siano
apprezzate dal mercato.
Ciò crea attorno all'azienda un'alta reputazione che influenza la disponibilità all'investimento da parte del
mercato. In altri termini il mercato premierà le società che manifestano l'intenzione di realizzare una migliore
gestione nell'interesse degli investitori, a sfavore di quelle che invece non si impegneranno o violeranno gli
impegni presi. E tenuto conto che l'impresa nel lungo periodo ha un reale interesse a instaurare relazioni
stabili, si sostiene che la strategia aziendale migliore, anche in termini di efficienza, sia dare piena attuazione
al codice adottato, rispettando le altrui aspettative. Esistono studi, soprattutto nel sistema americano, volti
a dimostrare che “l'adozione del codice etico paga”: si veda per esempio lo studio di Karen Koll, su Industry
Week del 2001, in cui si sostiene che l'investimento socialmente responsabile attira un dollaro su ogni otto
investiti; e che tra il 1997 e il 1999 gli investimenti etici hanno reso dall'82 per cento in su, ovvero il doppio
rispetto al mercato complessivo. Secondo questa analisi esiste dunque una domanda etica, almeno in alcuni
settori, per cui i consumatori sono disposti a pagare un sovrapprezzo per i prodotti delle imprese che
garantiscono una direzione eticamente orientata.
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L'impresa etica
L'approccio è molto interessante, ma anche a rischio d'ambiguità e pericolosamente riduttivo laddove l'etica
dovesse rappresentare lo strumento attraverso il quale sostituire o supplire alle carenze del diritto e della
politica. La premessa essenziale per un efficace utilizzo dello strumento è infatti che il mercato sia in grado
di selezionare e premiare spontaneamente le imprese “etiche”, a svantaggio di quelle che prestano minore
attenzione alle istanze di tutela espresse dal mercato. Ebbene, gli economisti hanno elaborato modelli teorici
volti a dimostrare che, perché ciò avvenga, è necessario che ricorrano alcune condizioni fondamentali.
Innanzitutto la domanda deve riconoscere un valore ai principi che ispirano l'attività dell'impresa stessa, e
assegnare a quel valore un significato importante. E non basta: gli acquirenti non solo devono riconoscere un
valore al rispetto dei principi etici da parte dell'impresa, ma è altresì necessario che essi considerino prioritari
tali principi nella loro scala morale. Affinché siano verificate queste condizioni deve naturalmente
presupporsi che, da un lato, l'impresa conosca il mercato cui si rivolge e l'etica che lo contraddistingue,
dall'altro, che la domanda cui l'offerta è rivolta sia in grado di distinguere l'offerta delle imprese etiche da
altre realtà produttive. È dunque necessario che l'asimmetria informativa tra domanda e offerta sia
contenuta .
Sono condizioni, purtroppo, che difficilmente si realizzano, con il rischio che la domanda non premi la
strategia perseguita dall'impresa etica, anche in considerazione del fatto che è probabile che l'impresa, nel
tentativo di differenziare il proprio prodotto dal punto di vista etico, sostenga oneri aggiuntivi rispetto agli
altri operatori: una società che acquista nuovi filtri per l'abbattimento delle immissioni inquinanti, o che
decide di alimentarsi con energia da fonti rinnovabili, ovvero investe nella sicurezza dei propri lavoratori, è
costretta a sopportare costi superiori a imprese analoghe che non adottano tali condotte. In assenza di una
corretta informazione, ovvero di una attribuzione di valore da parte del mercato alle scelte effettuate
dall'impresa, l'offerta non etica è privilegiata rispetto a quella etica, con maggior vantaggio per l'impresa a
provocare nel contesto di riferimento effetti esterni negativi e ridurre gli effetti esterni positivi: la moneta
cattiva scaccia la moneta buona.
Un esempio concreto
Il seguente esempio può chiarire questo fenomeno. Si considerino due imprese concorrenti A e B i cui
impianti sono localizzati in due Stati con sistemi normativi differenti: nello Stato A sono tutelati i diritti dei
minori, dei lavoratori, dell'ambiente, mentre nello Stato B è ammesso il lavoro minorile, le norme ambientali
sono meno stringenti, ecc., con il risultato che i costi di produzione dell'impresa B sono molto inferiori.
Ebbene, se entrambe le imprese vendono i propri prodotti sullo stesso mercato, e questo, come spesso
accade è caratterizzato da lacune informative, l'impresa A potrà reggere il confronto solo se realizza prodotti
nuovi o qualitativamente analoghi a prezzi inferiori. In caso contrario cederà il mercato all'impresa B, con una
conseguenza importante: lo Stato dell'impresa A continuerà a preservare, nella forma, la propria etica,
consumando, nella sostanza, prodotti offerti da imprese che negano quegli stessi principi morali(6).
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Il successo di un'offerta etica dipende da una serie sofisticata di meccanismi e di interventi, vieppiù se il
fenomeno è osservato su base internazionale; meccanismi che non possono essere generati spontaneamente
dal mercato. Il mercato non è in grado, da solo, di correggere le proprie anomalie o di garantire
necessariamente una distribuzione della ricchezza coerente con le scelte politiche(7): al contrario, in assenza
di interventi correttivi da parte delle autorità politiche, è verosimile che esso si assesti su equilibri differenti.
È un problema ormai sollevato con chiarezza anche a livello internazionale.
Basti un esempio: a seguito dell'approvazione nel 2000 delle Linee Guida Ocse sono stati indicati dei
parametri che, per quanto generici, individuano alcuni criteri di organizzazione delle imprese. Ebbene
immaginiamo che due imprese, A e B, partecipino alla stessa gara d'appalto internazionale, bandita in un
Paese in cui la legislazione garantisca in misura assai limitata i lavoratori dell'impresa.
L'azienda A aderisce ai modelli proposti dalle Linee Guida dell'Ocse, l'azienda B no. Quest'ultima,
sopportando costi inferiori, presenterà verosimilmente un'offerta più vantaggiosa, con maggiori probabilità
di aggiudicarsi l'appalto. Si intuisce la violazione delle più elementari regole a tutela di una leale concorrenza,
ma di fronte a quale autorità potrebbe essere impugnato il provvedimento di aggiudicazione?
Pur in presenza di una chiara scelta politica espressa in sede internazionale, l'assenza di un' autorità
istituzionale di riferimento rischia di vanificare lo sforzo politico; paradossalmente l'adesione alle Linee Guida
può divenire strumento di discriminazione tra le diverse imprese.
I c.d. codici “vuoti”
In assenza di un tessuto istituzionale e culturale che ne garantisca l'efficacia, i codici possono rivelarsi vuote
declamazioni, sostenute dalle imprese nel «tentativo di salvare l'immagine sociale, allo scopo di legittimare
a tutti i costi, e in tutti i settori, il suo operato» . La loro adozione potrebbe risultare addirittura dannosa per
il mercato, nella misura in cui, allo scopo di accrescere la competitività dell'impresa, rap presenta un'identità
societaria “truccata”.
L'esperienza del resto ci ha sinora offerto esempi di codici “vuoti” nella sostanza, inutilmente ripetitivi di
regole già codificate dal legislatore, o comunque deducibili dai principi generali dell'ordinamento. Del resto
molte delle società nelle quali sono stati commessi gravi illeciti erano dotate di eccellenti codici etici, pagati,
peraltro, a caro prezzo.
Una cultura di “sviluppo sostenibile”
Ciò non toglie che vadano apprezzati gli interventi comunitari e internazionali volti a stimolare una maggiore
sensibilità e una cultura di “sviluppo sostenibile”. Non si intende, infatti, negare l'importanza, in ogni sistema,
della “spontanea adesione” ai valori espressi e tutelati dall'ordinamento. Già Leopardi, con uno splendido
anacoluto, affermava che “L'abuso e la disobbedienza alla legge non può essere impedito da nessuna legge”.
Cionondimeno non possono essere trascurati i limiti di un approccio meramente volontaristico e la
conseguente necessità di interventi politici di natura sistematica.
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Meccanismi di valutazione “giuridica” dei codici di autoregolamentazione
Per tali ragioni si ritiene estremamente interessante il tentativo, seppur embrionale, di introdurre
meccanismi di valutazione “giuridica” dei codici di autoregolamentazione.
Ne rappresenta un esempio la recente disciplina sulla responsabilità amministrativa delle imprese approvata
dal legislatore italiano, a seguito di una serie di convenzioni Ocse. Con il D.Lgs. n. 231/2001 è stato infatti
introdotto un nuovo modello di responsabilità delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prive
di personalità, in base al quale l'ente è chiamato a rispondere per i reati commessi da propri dirigenti e
dipendenti a vantaggio o nell'interesse dell'ente. Invero la persona giuridica risponde non del reato
commesso dalle persone fisiche, ma di un autonomo illecito amministrativo, consistente nel difetto “di
organizzazione” che ha reso possibile la consumazione dello stesso.
La responsabilità dell'ente sorge in relazione ai reati commessi sia dagli organi dirigenti, in virtù del rapporto
organico, sia dai dipendenti, quante volte essi agiscano nell'ambito delle competenze e della sfera di controllo
all'ente stesso, e purché il reato sia stato commesso a vantaggio o nell'interesse dell'ente stesso. La
sussistenza del nesso oggettivo comporta la corresponsabilità dell'ente, in via presuntiva, a meno che l'ente
non riesca a provare di aver adottato misure organizzative idonee a prevenire la commissione dei reati.
L'estensione della responsabilità agli enti, avendo come effetto quello di incidere direttamente sul
patrimonio degli enti e quindi sugli stessi interessi economici dei soci, ha stimolato molte imprese a esercitare
un maggior controllo sulla correttezza dell'operato dei dipendenti, attraverso strumenti di diversa natura:
istituzioni di organismi di controllo, aggiornamento delle procedure interne di controllo, adozione di nuovi
modelli di organizzazione, ecc. Le associazioni di categoria, nel delineare le Linee Guida per la redazione di
questi modelli organizzativi, hanno invitato le imprese a impiantare il proprio sistema di controlli preventivi
sulla base di codici etici.
Per questa via, e ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, le modalità di attuazione e l'eventuale violazione dei modelli
organizzativi contenuti nei codici potrebbero assumere rilevanza giuridica. Del resto, per quanto è dato di
dedurre dalle prime pronunce di merito, la giurisprudenza sembra orientarsi nella direzione di un controllo
sostanziale, e non meramente formale, dei modelli organizzativi. Così il Tribunale di Roma ha, di recente,
negato che il modello organizzativo, adottato dalla società imputata, fosse idoneo a giustificare la revoca
delle misure cautelari, in base ad argomentazioni basate proprio sulla comparazione delle misure attuate
dalla società con i criteri indicati dalle linee guida Confindustria e dell'Ance (la società indagata operava nel
settore edile) (9) . L'organo giudicante ha dichiarato pertanto inefficace il modello e sanzionato l'ente per
illecito amministrativo dipendente da reato.
Per vero l'adozione di un codice “di mera apparenza” assume una portata intrinsecamente fraudolenta, posto
che lo stesso è adottato con l'unico scopo di rendere più onerosa la prova della negligenza per la parte
avversa, e dunque di rafforzare la propria posizione processuale. In più esso offre al mercato una immagine
“truccata” dell'impresa stessa, con effetti gravemente distortivi per la concorrenza. È addirittura ipotizzabile
che l'organo giudicante non si limiti, in ipotesi simili, alla dichiarazione di inefficacia del codice stesso, ma
assuma l'adozione dello stesso come sintomo di comportamento fraudolento dell'impresa stessa (10) .
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L'adozione del codice dimostrerebbe infatti che i pericoli di reato erano ben noti all'impresa e che si è deciso
di correrli, mascherandosi dietro una menzognera campagna pubblicitaria.
Infine va rilevato che la stessa Confindustria, nel delineare dei Modelli organizzativi di riferimento, afferma
che «un punto qualificante nella costruzione del modello è costituito dalla previsione di un adeguato sistema
sanzionatorio per la violazione del codice etico, nonché delle procedure previste dal modello. Nel caso di
violazioni del codice etico e delle procedure con esso stabilite è possibile adottare misure quali l'adibizione
del dipendente ad altra area aziendale, purché ciò non comporti un suo demansionamento». Ed ancora che
«qualora la violazione delle norme etiche fosse invece posta in essere da un lavoratore autonomo, fornitore
o altro soggetto avente rapporti contrattuali con l'impresa, potrà prevedersi, quale sanzione, la risoluzione
del contratto». Tanto che in Italia si è diffusa la tecnica di inserire nei contratti di collaborazione esterna o
fornitura una clausola risolutiva espressa, con le quali le parti prevedono che il contratto dovrà considerarsi
risolto nel caso di inosservanza dell'impegno assunto a rispettare il codice etico dell'impresa(11). Da
quest'angolo visuale il codice costituisce dunque criterio di valutazione della diligenza nell'esecuzione della
prestazione.
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