Sisca Observer, Anno 7, Numero 1, Giugno 2003 11 EREDITÀ E COMPORTAMENTO: DIFFERENZIAZIONE COMPORTAMENTALE DELLA SPECIE CANIS FAMILIARIS NEL CORSO DELLA SELEZIONE DEI DIVERSI RAGGRUPPAMENTI RAZZIALI (Parte seconda) ANTONIO ANDINA Medico Veterinario Bologna Obiettivi Il presente lavoro vuole descrivere, a grandi linee, il processo con cui si sono differenziate dal punto di vista comportamentale le diverse razze canine. I gruppi di razze saranno presi in considerazione in base alla funzione che originariamente possedevano ed era quindi perseguita nei programmi di selezione negli allevamenti. L’obiettivo del lavoro è fornire al Medico Veterinario Generalista la possibilità di informare il futuro proprietario in relazione alle caratteristiche comportamentali dei vari gruppi razziali: conoscendone l’attitudine, può essere più facile prevedere se un individuo di una data razza ha buone probabilità di adattarsi allo stile di vita del futuro proprietario ed alle aspettative di quest’ultimo. Il valore predittivo di questo tipo di valutazione è ovviamente approssimativo in quanto a fianco delle promesse genetiche di un individuo deve essere considerato il ruolo svolto dalle condizioni ambientali, come ad esempio le esperienze precoci e l’educazione messa in atto dal proprietario. Gruppo VI. Segugi e cani per pista di sangue Se già nella specie canina l’olfatto è un senso molto importante, in questi cani lo è ancora di più. Fin da cuccioli rispetto agli individui di altre razze privilegiano l’uso dell’olfatto rispetto agli altri sensi, e la loro abilità nel seguire le tracce è già significativamente maggiore rispetto a quella di altri cani come per esempio i Terrier (Scott e Fuller, 1965). I segugi devono localizzare una traccia, seguirla con costanza, anche in condizioni di difficoltà, seguendo debolissime emanazioni. Caratteristica indispensabile è una solida tenacia, ai limiti della cocciutaggine. Durante la caccia i segugi mantengono un legame non molto stretto con il cacciatore, con cui comunicano a distanza tramite un uso articolato della voce. Il cane dispone di una certa libertà di decisione e indipendenza nel lavoro che conserva anche nella vita quotidiana. Molti segugi lavorano in squadra, dividendosi i ruoli come degli spe- cializzati battitori, sono quindi cani in grado di vivere in gruppo, strutturando la muta in gerarchie ben evolute. Pur con differenze tra razza e razza la tendenza a lottare dei segugi è bassa, sarebbe infatti controproducente per animali che devono vivere in gruppo. Sono al contrario ben sviluppati i repertori di ritualizzazione gerarchica dei conflitti. La fase ipertrofizzata della sequenza predatoria è l’inseguimento, che può prevedere anche complesse tecniche di accerchiamento volte a portare la preda a portata del cacciatore/capobranco, che come nei lupi detiene il diritto di apportare l’attacco letale. Molti segugi non portano a termine la predazione ma si limitano ad inseguire in quanto la sequenza predatoria si è arrestata a livello dell’inseguimento, altri possono avere anche il morso per afferrare o addirittura la sequenza completa (escluso forse il consumo finale della preda). Vi sono differenze nella propensione alla lotta a seconda del tipo di selvaggina verso cui si sono specializzati: quelli che vengono usati prevalentemente per cacciare la lepre, ed eventualmente il capriolo, sono meno combattivi meno portati a mettere in atto comportamenti di aggressione rispetto ai cani usati con cinghiali, volpi e altri animali di taglia maggiore e indole più minacciosa (puma, giaguaro, leone e così via). 12 Eredità e comportamento: differenziazione comportamentale della specie Canis familiaris… (Parte seconda) I segugi sono prevalentemente cani da lavoro, tendenzialmente piuttosto specializzati, per il tipo di preda cacciata e per le tecniche utilizzate. La conformazione dei repertori lavorativi si basa più sulla componente istintiva (geneticamente trasmessa da una generazione all’altra) che non su apprendimenti conseguiti attraverso tecniche addestrative. Sicuramente sono cani meno versatili e plastici nell’addestramento rispetto ai pastori o ad altri cacciatori come Retriever, Spaniel o cani da ferma. I soggetti appartenenti a razze prettamente da lavoro potrebbero essere non proprio adatti come compagni “di casa”. Riassumendo tra le caratteristiche dei segugi, possono essere problematiche la caparbietà, l’indipendenza, il fortissimo impulso a seguire tracce odorose e la tendenza ad abbaiare. Tra i vantaggi la bassa aggressività e la facilità a vivere in un gruppo (anche di umani). Vi sono notevoli differenze nell’adattabilità a vivere in casa come cani da compagnia tra i soggetti appartenenti a razze prettamente da lavoro, o a linee di sangue usate solo per la caccia, rispetto a quei cani che da più tempo sono approdati ai salotti per un aspetto fisico particolarmente accattivante (le orecchie pendule che caratterizzano tutto il gruppo hanno un forte fascino). Tra i più diffusi segugi “da compagnia” il Beagle e Bassethound, entrambi cani piacevolissimi per la vita in famiglia, ma non privi di problemi: hanno un tale impulso a seguire il proprio naso, sordi ad ogni richiamo (più il Beagle che non il Basset), che costringono molti proprietari a tenerli permanentemente al guinzaglio quando sono all’aperto. Tra i segugi è stato inserito per una certa affinità morfologica anche il Dalmata, che però non è praticamente mai stato usato come cane da caccia, mentre veniva usato per accompagnare le carrozze e difenderle da eventuali aggressioni. Altra vittima eccellente della moda per il suo mantello unico e la pubblicità di alcuni film, questo splendido cane è stato spesso oggetto di adozioni avventate e conseguenti abbandoni. Non tutti, infatti, sono preparati a orientare il dispendio di inesauribili energie di un cane nato per fare chilometri di corsa e costretto a percorrerli in un appartamento cittadino. Diverse razze di segugi sono presenti in più versioni di taglia e pelo, per adattarsi meglio nello stile di lavoro alle esigenze dei disparati tipi di selvaggina, ambienti e anche cacciatori. La riduzione della taglia spesso è ottenuta non con una diminuzione assoluta, ma con l’accorciamento degli arti (conservando e selezionando in purezza i portatori di una mutazione casuale). I cani così ottenuti, detti “bassetti” (Bassethound, Basset Artesian Normand, Basset Ardeane Vandeen e così via) sono più lenti e riflessivi e meglio si adattano ad un cacciatore che va a piedi (le mute di segugi in origine erano seguite a cavallo) o ad una persona che non va a caccia ma si limita a passeggiare. Altro segugio sui generis è il Rodesian Ridgeback, cane africano ottenuto mescolando segugi occidentali con cani da caccia locali, specializzato nella caccia al leone e ad altre prede di grosse dimensioni (successivamente il suo ardore nella seguita e la sua combattività sono stati utilizzati nel barbaro lavoro dell’inseguimento degli schiavi fuggiti). È caratterizzato da un maggior coraggio e da una più spiccata combattività. Gruppo VII. Cani da ferma Questi cani si sono evoluti dopo che l’uomo ha cominciato a cacciare con le reti, e successivamente con il fucile. Il cane doveva localizzare il selvatico (quasi sempre di penna) inseguirlo e spingerlo a portata del cacciatore indicando con precisione dove si trovava con una postura abbastanza spettacolare detta ferma che consiste nell’esasperazione dello sguardo fisso che precede l’aggressione nella sequenza predatoria ancestrale. Ovviamente per poter vedere ciò che il cane indicava il cacciatore doveva essere vicino, quindi il legame tra uomo e ausiliario doveva essere molto stretto. L’istinto predatorio è forte, ma l’impulso a seguire la selvaggina non è tale da far perdere al cane il collegamento con il proprietario/leader. La sequenza predatoria si arresta alla fase di sguardo fisso, o eventualmente al “morso per afferrare” messo in atto quando il cane deve recuperare la selvaggina uccisa e riportarla. Impulsività, reattività e combattività sono da medie a scarse perché controproducenti nel lavoro. Il cane deve bloccare la predazione limitandosi allo sguardo fisso, e non deve avventarsi sull’animale finché non riceve il segnale per lo sfrullo. Deve essere poco possessivo e sufficientemente sottomesso da consegnare una risorsa interessante come una preda appena uccisa al cacciatore anziché mangiarla. Anche la combattività verso gli altri cani deve essere bassa perché, spesso cacciano in piccoli gruppi, magari assieme ad altri specializzati in funzioni diverse (come per esempio il riporto) e comunque vengono in contatto con altri ausiliari durante le battute. I cani da ferma sono divisi in inglesi (i tre setter inglese, irlandese e Gordon ed il Pointer) e continentali (numerosi bracchi delle varie regioni europee). I soggetti appartenenti alle razze continentali a volte sono meno specializzati sulla selvaggina di penna e più facilmente devono compiere anche il lavoro di riporto. Gli standard di lavoro di diversi bracchi tedeschi considerano non difettoso il comportamento di un cane che insegue, cattura ed uccide una preda da pelo durante la caccia. Questo maggiore completamento della sequenza predatoria ancestrale può riemergere più facilmente nei cani da ferma tedeschi rispetto ai soggetti di razze britanniche. Durante la cerca, un cane da ferma non ha bisogno di abbaiare per comunicare al cacciatore dove è, tanto è sempre in vista, anzi non deve allarmare il selvatico facendolo alzare in volo prima che sia sotto il tiro del fucile: quindi i fermatori abbaiano poco. Molti cani da ferma hanno un aspetto molto piacevole ed elegante, questo ha favorito lo sviluppo di linee di sangue in cui le caratteristiche estetiche erano più importanti delle effettive capacità venatorie, così come è anche accaduto il contrario (cani da caccia bravissimi, ma effettivamente poco rispondenti ai canoni morfologici delle razze di appartenenza). Per alcune razze la differenza tra i soggetti da lavoro e quelli da bellezza è diventata enorme e bisogna necessariamente tenere conto dell’attitudine della linea di sangue dell’individuo che prendiamo in considerazione. Sisca Observer, Anno 7, Numero 1, Giugno 2003 Gruppo VIII. Cani da riporto, da cerca e da acqua Anche questo gruppo è formato prevalentemente da cani usati originariamente nella caccia, specificamente per il ritrovamento della selvaggina abbattuta ed il suo recupero, anche dall’acqua (Retrievers) o anche per lo scovo, pur senza ferma (Spaniel). Tra questi cani sono comprese alcune tra le razze più diffuse al mondo come Labrador, Golden Retriever e Cocker Spaniel (inglese e americano), tutte ampiamente utilizzate anche per compiti diversi dalla caccia che vanno dalla semplice compagnia al servizio di guida per i ciechi, assistenza ai disabili ed ai non udenti. Della sequenza predatoria i Retrievers hanno conservato solo la fase di localizzazione ed il morso per afferrare. Lo sconfinamento nella fase successiva (morso per uccidere) si traduce in un difetto grave detto “bocca dura”, ha base genetica ed è quindi molto difficile da correggere.(Coppinger, 2001). Il lavoro originario del Retriever prevedeva che cercasse il selvatico abbattuto, lo recuperasse anche dall’acqua e lo riconsegnasse intatto al cacciatore. Questo altruistico intento prevede che il cane accetti incondizionatamente le prerogative di possesso del leader/proprietario su una risorsa allettante come un animale morto. La docilità (disponibilità a collaborare) di questi cani è sicuramente molto sviluppata. Qualunque forma di competitività, anche verso gli altri cani con cui spesso doveva andare a caccia, è stata scartata nei programmi di selezione. Chiaramente questa loro reattività li rende poco adatti al lavoro di guardia e difesa personale. Quasi tutti i Retrievers sono molto versatili nell’addestramento, anche per compiere compiti complessi e non naturali per il cane, come per esempio il servizio di guida per i non vedenti. Le abilità istintive non sono molto sviluppate a vantaggio della versatilità nell’apprendimento di compiti nuovi attraverso l’addestramento. Gli Spaniel sono cani da cerca, prevalentemente usati su selvaggina da penna, che battono il terreno con il naso a terra per trovare il selvatico e farlo passare davanti al fucile del cacciatore. Non fermano e non abbaiano, ma usano molto la coda per comunicare la distanza della preda (modificando frequenza e tipo di scodinzolio). Visto il tipo di comunicazione il collegamento tra cane e padrone deve essere molto stretto. Tra i cani da caccia possessività e combattività sono molto basse perché controindicate per il lavoro (gli Spaniel spesso devono anche riportare). Il cocker ha avuto negli anni passati un vero e proprio boom, diventando improvvisamente di moda (specialmente nella varietà fulva) e ha risentito della produzione in massa di soggetti non selezionati né morfologicamente né caratterialmente. Sembra che ci sia stata in passato una popolazione di Cocker, in particolare a mantello unicolore (Willis, 1995) che manifestava problemi di natura aggressiva, ma oggi che la razza non è più di moda la selezione ha recuperato il carattere originario, affabile e docile. 13 Il Cocker americano, leggermente più piccolo di taglia e con un mantello decisamente più lungo e impegnativo, è oramai unicamente un cane da compagnia, meno reattivo del cugino inglese, ma anche meno addestrabile. Vi sono diversi altri Spaniel meno diffusi, come gli Springer, inglese e gallese, il Clumber, il Field e altri che, pur con differenze nello stile e nella velocità di lavoro sono abbastanza simili nell’indole e nella conformazione reattiva. Si tratta di cani che anche se non utilizzati nel loro lavoro originario possono essere ottimi compagni, a patto che gli si consenta di avere le necessarie attività all’aperto per un tempo sufficiente. Per uno Spaniel una passeggiata in campagna con il proprietario non differisce molto da una battuta di caccia, la tendenza ad allontanarsi non è troppo marcata e la docilità (propensione ad adeguarsi alle indicazioni del proprietario) è ben sviluppata. I rapporti con i conspecifici sono in genere buoni e non competitivi. Gruppo IX. Cani da compagnia Questo raggruppamento raccoglie numerose razze di origine e conformazione anche molto diversa, accomunati dalla stessa funzione che è la compagnia all’uomo. La taglia è in quasi tutti questi cani inferiore alla media, per rendere meno impegnativo tenerli in casa. La struttura morfologica è in genere quella di altri cani da lavoro di taglia più grande miniaturizzata. Selezionando i soggetti di taglia più piccola si è sconfinato a volte nel nanismo, più o meno armonico, e abbiamo animali con occhi grandi e rotondi, in posizione spesso frontale, teste tondeggianti e grandi in proporzione al corpo, denti piccoli e musi corti. Questo tipo di conformazione si avvicina molto a quella dei cuccioli di tutti i mammiferi innescando istinti innati di protezione e cura. Spesso anche il carattere conserva una conformazione neotenica simile; questi cani conservano comportamenti infantili come la richiesta di attenzioni, la propensione al gioco e lo scarso istinto predatorio. Non avendo mai dovuto lavorare, tendenzialmente non sono particolarmente addestrabili (fanno eccezione i barboni), e nemmeno possiedono repertori lavorativi istintivi (come per esempio Terrier e bassotti). Abbiamo lupoidi, Spaniel e molossoidi di piccola taglia: versioni ridotte dei fratelli maggiori che ne riprendono parzialmente anche le caratteristiche attitudinali. I cani con conformazione braccoide, anche se ridotti ad una taglia nana, magari con gambe corte, sono per esempio Bichon, Bolognesi, Maltesi, e i barboni stessi (in tutte le varianti di taglia). Sono molto reattivi, con una certa tendenza alla vocalizzazione di allarme, dotati di un alto livello di attività generale e ben addomesticato. I cani di origine orientale come Pechinesi, Shih-Tzu, Lhasa Apso, Chin Giapponese e Spaniel Tibetano sono sempre molto reattivi, specialmente agli stimoli sonori, ma hanno un livello di attività generale più basso (specialmente Pechinesi e Shih-Tzu). 14 Eredità e comportamento: differenziazione comportamentale della specie Canis familiaris… (Parte seconda) I molossoidi di piccola taglia come Carlino, Bouledogue francese e Boston Terrier sono decisamente più pigri e poco reattivi anche se possono avere una maggiore propensione al confronto con gli altri cani (derivano pur sempre da mastini). Vicini ai piccoli molossi, con cui probabilmente dividono le origini, i Griffoncini belgi in tutte le varietà di mantello: sono appena più reattivi dei mini mastini. I piccoli Spaniel da compagnia (Cavalier e King Charles) riprendono il piacevole carattere docile e arrendevole degli antenati da caccia, sono poco reattivi, poco attivi e poco competitivi. Al di là delle caratteristiche morfologiche, influenzate dal senso estetico dei selezionatori originari indipendentemente dalla loro funzionalità, i cani da compagnia sono frutto di un processo di selezione molto condizionato dalla loro conformazione comportamentale. I comportamenti sociali, in particolare verso l’uomo, sono sempre stati fondamentali per la soddisfazione del proprietario che decideva di prendere un cane da compagnia, forse molto di più che non in altri cani prettamente da lavoro. Quando si prendono in esame i cani da compagnia non si può non tenere in considerazione il fatto che molto spesso sono costretti a vivere in un contesto, come quello delle città moderne, estremamente diverso dall’ambiente in cui si è sviluppato l’antenato lupo. Le esigenze etologiche della specie sono spesso trascurate a vantaggio di una più o meno consapevole soddisfazione di fabbisogni di socializzazione umani. A volte per vicariare altre carenze relazionali su questi piccoli animali vengono proiettati trasporti affettivi squilibrati. Questo processo, spesso è accompagnato da una forte antropomorfizzazione, eticamente piuttosto discutibile e può portare ad erronee interpretazioni dei moduli di comunicazione della specie. Le modalità di allevamento di questi piccoli cani, e la loro gestione da adulti, spesso non consentono il corretto sviluppo dei repertori relazionali canini, che hanno sì una base genetica innata, ma richiedono un processo di apprendimento e affinamento. Si possono avere anomalie dei comportamenti sociali intraspecifici, come per esempio quelli sessuali e materni, scavalcate attraverso fecondazione assistita e allattamento artificiale. Viene così consentita la riproduzione di individui “biologicamente perdenti” perché inadatti alla conservazione della specie. Fortunatamente, una gestione rispettosa dei periodi sensibili e dei processi di socializzazione intra ed interspecifica, può ancora recuperare repertori profondamente radicati nel patrimonio genetico e un programma di allevamento responsabile può ottenere individui adatti a compiere il loro importantissimo lavoro di compagni. Esattamente come la selezione artificiale ha prodotto per esempio cani da slitta fisicamente e psichicamente conformati per affrontare al meglio il traino, un analogo processo di incroci programmati ha ottenuto cani adattati all’ambiente urbano ed al tipo di vita ad esso connesso. I cani di città difficilmente svolgono lavori impegnativi, anzi nel corso della giornata non hanno quasi mai niente da fare; spesso il cane trascorre la maggior parte del tempo in presenza di qualcuno, ma senza avere particolari interazioni o collaborazioni. Un compagno cittadino ideale non deve essere particolarmente reattivo e non deve rispondere negativamente ad un contesto monotono o povero di stimoli e interazioni. Il naturale bisogno di svolgere attività collaborative o avere interazioni sociali, se non soddisfatto può essere sostituito con comportamenti indesiderabili sia di tipo produttivo che di tipo depressivo. Costringere ad una vita di inattività un cane da lavoro è una decisione che dovrebbe essere profondamente ponderata (e se possibile evitata), al contrario si può ipotizzare che un cane da compagnia possa trarre un livello accettabile di benessere da qualche breve passeggiata e da un cuscino di fianco alla scrivania del padrone. Gruppo X. Levrieri I levrieri sono forse i cani di razza più antichi, e praticamente hanno conservato inalterata la loro forma nei secoli, caso abbastanza unico nel panorama delle razze canine che si sono evolute nel corso della loro storia, cambiando sensibilmente anche nel giro di pochi decenni. Esistono rappresentazioni di cani quasi identici agli attuali fin dai geroglifici egizi, passando per affreschi rinascimentali e stampe ottocentesche. Il gruppo è decisamente omogeneo: cambiano da una razza all’altra quasi solo la taglia e il mantello. La forma è costante perché determinata dalla funzione, che è quella di sviluppare la velocità massima nella caccia ad inseguimento a vista. Il tipo di preda ed il clima della regione geografica di origine ha influenzato le dimensioni e la lunghezza del pelo: i cani che cacciavano piccoli animali come lepri e gazzelle sono più leggeri e piccoli, quelli che si dovevano cimentare contro lupi, cinghiali, leopardi o cervi hanno sviluppato ovviamente una taglia più cospicua. Esistono due ceppi di levrieri: gli orientali (Saluki, Sloughi, Azawak e Afghano) e gli europei (Greyhound, Deerhound, Irish Wolfhound, Whippet, Piccolo levriero italiano, Borzoi russo, Galgo spagnolo, Magiar Agar e levriero polacco). I cani orientali, differenziati l’uno dall’altro più che altro dalla lunghezza del mantello, sono caratterizzati da linee più spigolose, con dorsale orizzontale e rettilinea, orecchie pendenti, e hanno un’indole più selvatica dei cugini europei. Sono discendenti diretti di cani usati nella caccia e tenuti unicamente per questa funzione. I musulmani hanno un rapporto abbastanza ostile con i cani, e i levrieri sono un’eccezione a questa repulsione unicamente per la loro utilità nella caccia. Venivano persino ammessi nelle tende, ma per dividere comunque la spartana vita dei nomadi. Il tipo di caccia era abbastanza istintivo, non particolarmente curato nell’aspetto stilistico, e non bisognoso di addestramenti specifici. La preda veniva localizzata dai cacciatori a cavallo, eventualmente con l’aiuto di altri cani o falchi, a quel punto venivano liberati i levrieri che inseguivano e atterravano l’animale (spesso tramortito dalla violenza dell’impatto ad alta velocità) che veniva poi finito dai cacciatori (il corano vieta l’assunzione di carni di animali che non siano stati macellati dall’uomo per iugulazione). Sisca Observer, Anno 7, Numero 1, Giugno 2003 Dal punto di vista comportamentale le peculiarità dei levrieri orientali sono quindi l’istinto predatorio molto marcato, che li porta ad inseguire (e raggiungere) qualunque cosa si muova, il carattere riservato e abbastanza timido, poco gratificato dai contatti fisici e non molto tollerante verso le manipolazioni. Nei confronti degli altri cani non sono particolarmente portati a competere, potendo anche cacciare in coppie o piccole mute, e non sono combattivi. L’addestrabilità è piuttosto scarsa, essendo utilizzati in un tipo di caccia molto istintiva. La tendenza a vocalizzare è bassa anche se per la loro naturale diffidenza verso gli estranei possono essere dei discreti guardiani. I levrieri europei, tra cui i più numerosi sono Greyhound e Whippet, hanno linee più flessuose, dorsale curvilinea, orecchie a rosa, mantello raso o ruvido. La caccia coi levrieri è stata oramai eliminata ed eventualmente sostituita con forme di sport quali Coursing (di campagna) e Racing (su pista). Fin dagli albori della razza i levrieri erano appannaggio delle classi aristocratiche presso le quali erano tenuti in grande considerazione (era vietato possedere levrieri alle classi inferiori) e spesso condividevano le sontuose abitazioni con i loro proprietari. Anche l’aspetto caratteriale era quindi seguito e coltivato nella selezione. Pur essendo sempre cani diffidenti i levrieri europei sono più docili degli orientali, ancor meno competitivi verso i conspecifici (durante le corse è un comportamento penalizzato pesantemente attaccare gli altri concorrenti). Possono sorgere problemi per aggressioni verso piccoli cani, scambiati per prede, oltre che ovviamente verso gatti conigli e animali da cortile o selvatici. L’impulso all’inseguimento è sempre marcatissimo, la tendenza a vocalizzare scarsa e la tolleranza alle manipolazioni maggiore di quella dei parenti orientali. La reattività generale verso gli stimoli sonori è in genere abbastanza bassa, come il livello di attività generale, mentre la sensibilità agli stimoli visivi, in particolare verso gli oggetti in rapido movimento, è stata selettivamente aumentata. La tendenza ad usare l’olfatto è decisamente scarsa. Se si garantisce loro la possibilità di muoversi quotidianamente all’aperto i levrieri, specialmente di ceppo europeo, sono cani abbastanza adatti alla vita di città per l’indole silenziosa, discreta e fondamentalmente abbastanza pigra e poco combattiva. Conclusioni Il comportamento originario del cane ancestrale/lupo è andato notevolmente modificandosi attraverso l’ipertrofizzazione o l’eliminazione di schemi motori già presenti e con la comparsa di comportamenti nuovi. Questo processo è stato possibile grazie ad un programma di selezione dei riproduttori che dimostravano di possedere al meglio le caratteristiche desiderate. Nel passaggio da una generazione all’altra è stata alterata la frequenza di comparsa di determinati fenotipi comportamentali. Nel corso della selezione artificiale è possibile procedere per migliorare un particolare carattere, ma questo non sarà quasi mai l’unico a modificarsi. È documentato, per esempio, un progetto di miglioramento genetico di un grande allevamento di volpi da pel- 15 liccia in Unione Sovietica in cui i riproduttori erano scelti basandosi su di un unico carattere comportamentale: la domesticità verso l’uomo. Nel giro di un numero relativamente ridotto di generazioni si sono ottenuti animali geneticamente domestici, che anziché aggredire o fuggire cercavano spontaneamente il contatto con gli esseri umani. Ma insieme a questo cambiamento se ne sono verificati altri non previsti, sono apparse caratteristiche fisiche nuove e non desiderabili non presenti nei riproduttori originari, come le orecchie cadenti e, ancor peggio, il mantello pezzato (Coppinger e Coppinger, 2001). Questo esperimento è un’ulteriore prova del fatto che non è possibile non influenzare altri caratteri quando si seleziona in funzione di uno di essi (o di un piccolo gruppo). Un processo di selezione “coi paraocchi” porta inesorabilmente alla comparsa di un fenotipo nuovo o almeno non previsto. Purtroppo questo criterio è quello che prevalentemente è stato applicato nell’allevamento canino. L’aspetto morfologico dei riproduttori è praticamente l’unico elemento preso in considerazione, la conseguenza è la nascita di soggetti che possono risultare affetti da patologie sia di natura organica sia della sfera comportamentale. La modalità con cui gli individui reagiscono nelle situazioni di confronto può essere molto diversa. Il cane può combattere, fuggire o rimanere passivo. Ciascun soggetto tende ad avere più spesso una di queste modalità reattive; i soggetti definiti “dominanti” presentano comportamenti “assertivi” più frequentemente degli altri, reagiscono offensivamente con più facilità in situazioni di competizione, poiché considerano un maggior numero di circostanze come sfide al loro status. Questi animali possono essere definiti soggetti alfa per la loro tendenza a cercare di assumere questo ruolo di leader nel gruppo famigliare (branco). La percentuale nella popolazione di soggetti che hanno questa tendenza ed assumere il ruolo alfa è anch’essa influenzabile selettivamente. Un soggetto alfa è più portato ad as sumere, nelle situazioni di confronto sociale, le posture tipiche del dominante che sono testa eretta, orecchie dritte e rivolte in avanti, coda alta, ben piantato sugli arti e così via. Questa postura è proprio quella che si ricerca sul ring delle esposizioni per valorizzare al massimo gli individui. È ragionevole pensare che premiando maggiormente gli animali che tendono ad assumere spontaneamente posture da cane alfa nei ring espositivi, e di conseguenza favorendoli in riproduzione, si sia aumentata la percentuale di soggetti connotati da una maggiore assertività. Nella realtà famigliare non sempre (anzi quasi mai) è vantaggioso avere un cane con questo tipo di tendenze reattive, che più facilmente di un altro può sviluppare conflitti con il proprietario, specialmente se questi non è sufficientemente competente dal punto di vista etologico per inquadrare gerarchicamente il cane. Va detto che il problema è comunque fortemente condizionato dal contesto relazionale in cui l’animale vive: si parla infatti di sociopatia perché lo squilibrio è nella relazione e non se ne può ritenere responsabile una sola delle parti coinvolte. Lo stesso cane, con un altro proprietario avrebbe potuto trascorrere l’intera vita senza mo strare alcun sintomo di disturbi comportamentali. Sarebbe auspicabile una inversione di tendenza nell’allevamento canino, che prevedesse una valutazione delle caratteristiche reattive comportamentali dei cani prima di 16 Eredità e comportamento: differenziazione comportamentale della specie Canis familiaris… (Parte seconda) avviarli alla riproduzione. Attualmente la regolamentazione italiana, delegata per decreto ministeriale all’ENCI, non prevede controlli obbligatori per l’iscrizione ai libri genealogici, nemmeno per il controllo delle malattie genetiche “somatiche”. Alcuni club di razza hanno previsto norme restrittive per il conseguimento di riconoscimenti e titoli, ma la percentuale sulla popolazione di soggetti controllati è molto scarsa e tutto è affidato alla coscienza (ed alle tasche) degli allevatori più coscienziosi. In altri paesi europei (come per esempio la Germania) le associazioni di tutela delle razze hanno l’autorità di poter indirizzare gli accoppiamenti e di impostare i programmi di selezione stabilendo i requisiti minimi che un individuo deve avere per andare in riproduzione. Purtroppo sono veramente pochi i Club che oltre verificare la presenza di sintomi di malattie genetiche prevedono prove di attitudine comportamentali. Dovrebbe essere ben differenziato il risultato di un test attitudinale rispetto a quello di una prova di lavoro, che è il frutto di uno specifico addestramento, e quindi non automaticamente trasmissibile alle generazioni successive (Willis, 1995). Pur essendo ormai innegabile una forte influenza genetica sulle caratteristiche reattive e sulla conformazione caratteriale degli individui, non si può prescindere dalle condizioni in cui si svolge la prima parte della vita del cane. Le esperienze precoci, modulate dalla reattività individuale, sono alla base dell’omeostasi sensoriale del cane. Un cane geneticamente perfetto, ma non correttamente sollecitato nella fase della sua vita in cui dovrebbe acquisire le competenze di socializzazione ha elevate possibilità di sviluppare patologie del comportamento. Studi retrospettivi sulla correlazione tra luogo di sviluppo e problemi comportamentali insorti successivamente hanno stabilito che c’è un legame statisticamente significativo tra luogo e modalità di allevamento (allevamenti intensivi, allevamento famigliare, canili e rifugi, negozio di animali e così via) e patologie comportamentali (Serpell e Jagoe, 1995). Da ciò si evince quanto le responsabilità degli allevatori siano rilevanti. La figura del Medico Veterinario dovrebbe essere la referenza di elezione per una corretta impostazione fin dall’inizio della gestione del cane, con stimolazioni adeguate, giusta età di adozione, corretto inquadramento gerarchico del cucciolo e inserimento in un contesto compatibile con le sue esigenze etologiche razziali, anche in ragione del fatto che una rilevante percentuale di cani viene portata alla prima visita vaccinale quando il periodo sensibile è ancora in corso. Parole chiave Cane, razze, comportamento, ereditabilità, ambiente. Bibliografia Abrantes R. “The evolution of canine social behaviour.” Wakan Tanka Publishers - Naperville, Illinois 1997. Arons C.D., Shoemaker W.J. “The distributions of catecholamines and betaendorfin in the brains of three behaviorally distinct breeds of dogs and their F1 hybrids.” Brain Research, 594, 1992. 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