Nome file 960601SC_GV3.pdf data 01/06/1996 Contesto ENC Relatore G Vico Liv. revisione Pubblicazione Lemmi Pedagogia CORSO DI STUDIUM ENCICLOPEDIA 1995-1996 «UNIVERSITÀ». RI-CAPITOLARE 1° GIUGNO 1996 14° LEZIONE XIV443 PEDAGOGIA Giuseppe Vico 1. L’idea socratica di educazione: ironia e maieutica Per delineare il concetto di pedagogia dobbiamo partire da un oggetto che la precede: l’educazione. Così come per altre realtà umane, anche l’educazione è un fatto evidente fin dai primordi dell’uomo, che pur non avendola individuata come oggetto specifico di una scienza, l’ha posta però in termini di allevamento, di adattamento, di addestramento, di violenza, di amore. Il primo a porsi scientificamente il problema dell’educazione fu Socrate, che ne fece una questione di metodo: come assicurare che tra maestro e discepolo si instauri quell’interazione che, a prescindere dai risultati, conduce a una conclusione? Se infatti Socrate e i suoi discepoli discutevano di che cosa fosse la verità, il bello, il sacro, su chi fosse il cittadino o cosa significasse essere giusti, potevano non arrivare a una definizione. È un primo concetto fondamentale: non importavano tanto i risultati quanto i processi. Non importava tanto l’esito finale quanto il metodo. I due termini fondamentali della metodologia socratica sono inoltre «ironia» e «maieutica». L’ironia è compiere, con l’aiuto di un maestro, un percorso in virtù del quale discepolo, e maestro insieme, si convincono gradualmente che il livello di sapere precedente non è sufficiente a raggiungere vette soddisfacenti di conoscenza. L’ironia inoltre ha un altro significato: è l’autoconvincimento dell’infondatezza della presunzione del proprio sapere, che ciascuno avverte di fronte a 443 Corso di Studium Cartello 1995-96: «Università». Ri-capitolare, lezione quattordicesima, 1 giugno 1996. «Università». Ri-capitolare 346 questioni profonde. Come direbbe Heidegger, quando poniamo questioni superficiali cadiamo nella chiacchiera e nel linguaggio inautentico, ma quando invece ci poniamo problemi profondi ci accorgiamo che in noi vacillano criteri e paradigmi interpretativi. L’ironia è mettere in crisi in senso positivo. Al primo momento critico-demolitorio subentra la maieutica, l’arte della levatrice, che, portando alla luce la verità, o una sua parte custodita in modo latente dentro di sé, conduce l’allievo a una maggiore consapevolezza metodologica. Fondamentalmente l’educazione è un processo personale di autoeducazione: anche se è presente l’altro, ironia e maieutica sono conquiste dell’individuo. Nessuno ha mai affermato in maniera tanto decisa il principio dell’autoeducazione; neanche Rousseau, che pure invitava a mandare Emilio a contatto con la natura: in realtà, in Rousseau, è il precettore a guidare il bambino e a condurlo dove vuole. L’educazione è però anche interazione, rapporto; il dialogo di Socrate con i suoi discepoli è, da questo punto di vista, esemplare. Già in Socrate è inoltre presente l’antinomia dell’educazione autorità-libertà, verità-non verità, l’ambivalenza continuitàdiscontinuità, positività-negatività, il rapporto tra due realtà imprescindibili: maestro-scolaro, adulto-minore, genitori-figli. Se togliamo un elemento del rapporto scompare anche l’altro. Non c’è percorso educativo che possa essere compiuto singolarmente. È infine presente un terzo elemento, molto vivo nel successivo pensiero del Novecento: l’educazione come evento di novità. Inutile sottolineare l’attualità delle idee socratiche di educazione come processo e di educazione come rapporto.444 Eppure la riflessione socratica non è ancora pedagogia, ma solo una parte della filosofia. Socrate, come Platone e Aristotele, si 444 Pensate a quanti contributi vi hanno apportato le cosiddette scienze dell’educazione, la sociologia, l’antropologia culturale: esse si sono chieste come deve avvenire questo processo individuale, quali ne sono le condizioni dal livello biologico al livello cognitivo, razionale, spirituale. Pedagogia 347 poneva il problema della realtà, dell’essere in quanto essere e, di conseguenza, il problema della posizione dell’uomo in questa concezione della realtà. E allora la pedagogia si identificava con la filosofia. Ma l’educazione non poteva che strutturarsi come scienza autonoma, in quanto l’uomo, nella sua essenza, è un essere educabile né si può prescindere dalla sua educabilità, così che essa ne è una dimensione intrinseca e indagabile in sé stessa. La questione è tuttavia complessa. L’uomo deve autoeducarsi per diventare quello che già è e che deve divenire. Paradossalmente dunque l’educazione non offre nulla, perché potenzialmente, allo stato latente, l’uomo ha già tutto. Ma, come abbiamo già detto, l’educazione non potrebbe darsi senza l’intervento e l’interazione dell’altro. La conciliazione di questi due elementi occupa uno spazio importantissimo nella storia del pensiero umano. Possiamo portare l’esempio dell’autorità del padre verso il figlio («Tu devi fare quello che dico io!» a cui il figlio risponde: «Ma tu chi sei per dirmi ciò che devo fare?») o addirittura della dittatura nello Stato («Se volete essere felici – dice il dittatore – dovete fare quello che dico io»). Ma in maniera più semplice e profonda potremmo anche dire che il bambino, il fanciullo, l’adolescente, l’anziano sono in sé esseri quasi compiuti. Il bambino ha in sé potenzialmente, allo stato latente, tutte le realtà che attendono solo di essere sollecitate dall’interazione e dal rapporto. Il pensiero moderno, soprattutto novecentesco, ha dedicato molta attenzione all’interazione, alla dialogicità, all’alterità, come dimensione fondamentale dell’uomo, fino ad affermare la difficoltà di distinguere l’io e il tu, che danno luogo a quell’evento in cui entrambi sono indispensabili e protagonisti. 2. Le quattro componenti dell’educazione Perché l’uomo è educabile? Per quattro ragioni. Primo: perché esiste una realtà che si sviluppa. Il divenire dell’essere umano, o sviluppo, è il primo momento. Oggi parliamo di sviluppo anche in senso psicologico: non si sviluppa la persona 348 «Università». Ri-capitolare metafisica, ontologica, ma la sua personalità, che possiede ritmi e modalità diversi a seconda delle posizioni psicologiche. Parliamo di sviluppo armonico, gerarchico e così via. Secondo: la persona si sviluppa apprendendo costantemente. Ma nelle leggi dello sviluppo sono già insite le condizioni di apprendimento: lo sviluppo condiziona l’apprendimento e l’apprendimento condiziona lo sviluppo in un costante feed-back. A ciò si aggiunge l’apprendimento significativo che va ben oltre il reciproco condizionamento, il reciproco feed-back. Terzo: l’essere umano si sviluppa e apprende, sempre e fin dall’inizio, in un contesto contraddistinto dalla cultura. È la seconda antinomia fondamentale del rapporto educativo: io sono ciò che sono per natura o sono ciò che la cultura mi fa diventare? Abbiamo posizioni filosofiche differenti. Lo spiritualismo afferma che l’uomo è al culmine, altri dicono che l’uomo è un prodotto della cultura in cui vive. In realtà si tratta di un rapporto armonico, ma difficile, come sono difficili tutte le antinomie del processo e del rapporto educativo armonico: non possiamo togliere né la natura né la cultura. Se togliamo la natura, togliamo l’uomo, la capacità di reazione, di contestazione, di divergenza, di creazione; se togliamo la cultura facciamo dell’uomo qualcosa di astratto. La cultura poi non è data una volta per tutte; attraverso lo sviluppo e l’apprendimento l’uomo vi si inserisce, la modifica, la ricrea e la fa progredire attraverso la quarta componente del processo educativo: l’autonomia. L’uomo si sviluppa, apprende, fa cultura diventando gradualmente sempre più autonomo e responsabile. Per motivi metodologici abbiamo trattato questi quattro momenti come separati, ma essi sono in sinergia fra loro. Quando l’uomo attinge alla sua autonomia orienta tutto il suo essere a ciò che deve essere: una persona razionale ed eticamente orientata, per chi crede, anche religiosamente orientata. Pedagogia 349 3. La pedagogia nella storia della cultura Tra ’500 e ’600 le scienze acquisiscono la loro autonomia. Accade anche alla pedagogia per opera di Comenio. È il primo pedagogista a porre il problema dell’autonomia della pedagogia sia dalla filosofia sia dalla teologia. Senza poter fare a meno del rapporto con le altre scienze, essa ha un suo oggetto specifico: l’educazione. Parliamo di rapporto con le altre scienze, mentre prima si parlava di una pedagogia inclusa o nella filosofia o, nel medioevo, nella teologia. Il destino della pedagogia, o scienza dell’educazione, è il destino di tantissime altre scienze che dal ’500-’600 in poi acquisiscono la loro autonomia. A metà del ’700, in contrapposizione con la cultura del tempo, Rousseau scrive l’Emilio, un trattato pedagogico o, potremmo anche dire, un libro psicologico. Dice Rousseau: perché Emilio abbia un buon sviluppo, subito dopo la nascita deve essere allontanato dalla città e portato a contatto con la natura. Egli parte da un principio fondamentale: tutto quello che viene dalle mani del Creatore e dalla natura è buono. Solo a contatto con la natura Emilio avrà uno sviluppo non condizionato. Il precettore seguirà indirettamente Emilio, solo per assicurare al ragazzo di seguire il suo sviluppo naturale. Su questa teoria si fondano le tesi successive di autori come Tolstoij e Samuel, che continuano a coltivare l’idea che l’uomo di per sé sia buono, mentre sia la società a corrompere l’itinerario di sviluppo e di apprendimento del bambino. Dopo Rousseau, ciclicamente, ricompare l’idea di lasciar fare all’allievo ciò che vuole. Basti pensare al più recente ’68 che riporta in luce l’antinomia centrale dell’educazione: il conflitto fra natura e cultura. Rousseau dunque non è il maestro che vuole dire qualcosa, ma colui che tenta un’interpretazione pedagogica che possa dare una soluzione, seppure provvisoria, a questa antinomia già così viva nel ’700. L’Emilio è un’utopia educativa di senso positivo. I capitoli iniziali ci parlano dell’infanzia di Emilio. Prima si sviluppano i sensi, poi la ragione, quindi la vita morale, 350 «Università». Ri-capitolare religiosa, politico-civile; solo alla fine, dopo aver compiuto un lungo viaggio per l’Europa, Emilio sarà in grado di sposarsi, di mettere al mondo dei figli e, nell’utopia roussoniana, di iniziare così l’innovazione dell’umanità. La sua utopia ci serve per capire che, in certi momenti della storia, lo sviluppo, l’apprendimento, la cultura e l’autonomia dell’educazione non possono adagiarsi sul già dato e sul già fatto, ma devono essere forzati e diventare rivoluzionari. Seguendo questa nuova idea di educazione, Emilio inizia la rigenerazione dell’umanità. Come Rousseau, anche Kant si abbandona all’utopia, quando ci parla della pace universale. Ancora utopie sono quelle di Fichte, Schelling e Hegel, dell’Idealismo tedesco e dell’Illuminismo. Alla fine del ’700 e agli inizi dell’800 si sviluppa il vastissimo movimento degli eredi di Rousseau. Per questo il ’700 è anche il secolo fondamentale per studiare alcune forme di handicap, soprattutto cecità e sordità. È il secolo del Sensismo, di Condillac. «Se io riuscissi a mettere i sensi a una statua, quella statua diventerebbe un uomo», si diceva. Se un uomo nasce cieco, come può parlare? Problemi del 1700: l’educazione scopre la diversità e, con la Rivoluzione francese, il problema della libertà. Nei primi anni dell’800 si colloca l’esperienza di Itard, il medico francese che tentò la rieducazione della grave patologia di un bambino-lupo trovato in una foresta. Itard, che lasciò un diario quotidiano di quanto faceva, intese educarlo e rieducarlo naturalmente secondo le idee del tempo. Cento anni dopo, la nostra Montessori si recò in Francia a studiare quei diari di Itard e ne trasse moltissime intuizioni che sviluppò nel suo metodo. Itard, come Pestalozzi e Fröbel, portano la pedagogia a contatto con il popolo, con la diversità, con l’educazione concreta. Con loro l’educazione acquista dimensioni pedagogiche, psicologiche e sociologiche, secondo campi di competenza specifica, ma interagenti. Pedagogia 351 In seguito allo sviluppo industriale e all’urbanesimo si pone anche il problema, tipicamente ottocentesco, della scuola. Come deve avvenire lo sviluppo del bambino? Bastano la famiglia e l’ambiente oppure sviluppo, apprendimento e cultura devono trovare strutture adeguate e specifiche? Come istruire per garantire un’educazione più armonica? Non a caso nel corso dell’Ottocento si arriverà all’istruzione obbligatoria e la pedagogia incomincerà ad articolarsi anche al suo interno come pedagogia generale, filosofia dell’educazione, pedagogia della scuola, scuola speciale, comparata, metodologie, didattica. 4. La pedagogia del Novecento e le nuove questioni problematiche Ancora oggi, come nei decenni e millenni che verranno, c’è chi sostiene che la pedagogia non esiste. Si tratta di un contesto culturale molto fruttuoso per autenticare l’oggetto, il metodo, l’epistemologia di una scienza. In Italia, fino alla prima guerra mondiale e a Giovanni Gentile, il pedagogista era colui che elaborava delle teorie dell’educazione alla luce di una concezione filosofica, teologica, politica: Marx e il marxismo avevano la loro teoria educativa, Gentile la sua. Dopo la seconda guerra mondiale le teorie dell’educazione entrano in crisi. Finiscono le elaborazioni teoriche e la pedagogia si orienta verso quella molteplicità di oggetti che porterà alla proliferazione, perfino eccessiva, delle scienze pedagogiche. Questa frammentazione, di per sé non negativa, induce a conoscere e teorizzare sui vari frammenti della realtà. La pedagogia come scienza dell’educazione dell’uomo lascia il posto alla pedagogia come scienza dell’educazione di un particolare arco della vita: pedagogia dell’anziano, pedagogia dell’adulto. Tale frammentazione tuttavia può presentare il pericolo dell’esclusivismo di un settore specialistico. In questi ultimi anni, non solo nella pedagogia, ma epistemologicamente nel rapporto tra le scienze educative, si torna 352 «Università». Ri-capitolare a considerare l’oggetto «uomo»: educazione ed educabilità non sono più appannaggio della pedagogia, ma un orizzonte al quale più discipline debbono far convergere, in armonica collaborazione, i loro sforzi. Se l’educazione è l’oggetto di una scienza specifica, quando parliamo di educazione concreta essa diventa tuttavia un processo, un evento a più voci. I quattro momenti dell’educazione che abbiamo più sopra ricordato – sviluppo, apprendimento, cultura e autonomia – non possono prescindere da una epistemologia che faccia convergere più competenze in un’unica progettualità educativa. Ciò significa che, al di là dei tentativi di fagocitazione e sovrapposizione di una disciplina nei confronti di altre, ogni scienza, autenticando i propri oggetti e metodi, non può fare a meno di entrare in interazione con altre scienze. Si assiste però a un altro conflitto importante: sanità, università, regione, psicologia, ciascuna per suo conto, si arrogano il diritto di formare gli educatori, generando confusione di ruoli e professionalità. In questo nuovo dibattito politico, scolastico, scientifico, e pseudo-scientifico, la pedagogia segnala il pericolo della scomparsa dell’oggetto della pedagogia: il bambino, l’adolescente, l’adulto o, nella scuola, l’alunno. Così come segnala la rimozione o l’eclissi dell’artefice dell’educazione. Tali fenomeni testimoniano la crisi epistemologica delle scienze educative, proprio nel momento in cui, parallelamente, si scopre la dimensione educativa dell’extra-scolastico che, in maniera informale, incide molto più della famiglia e della scuola. Lo spazio-tempo dell’extra-scolastico fornisce a una elaborazione pedagogica e psicologica in crisi input intuiti, ma sconosciuti. Si fanno cose, ma si pensa poco; non si pongono quesiti e ci si accontenta del come; invece della verità, ci si limita a certezze settoriali; la cultura dell’emergenza e dell’urgenza ha sostituito i traguardi a lunga scadenza. Epistemologicamente abbiamo bisogno di teorizzazioni nuove. Soprattutto nella prospettiva di una convergenza armonica di competenze specifiche, dobbiamo trovare valori condivisi anche sul piano scientifico. Sono un’evidenza il Pedagogia 353 bambino, il bambino che soffre, la ragazza-madre, il tossicodipendente, ma dove si va oltre all’evidenza? Alle radici dell’uomo, della sua educazione, del suo mistero. Pedagogicamente l’educazione deve quindi tornare a riflettere su questioni vecchie come l’umanità, ma oggi dimenticate. La prima questione è proprio il mistero dell’uomo, il mistero dell’educazione, il mistero delle diversità. La seconda è la riscoperta della normalità: come possiamo parlare di patologia senza un orizzonte di normalità? Se invece ci limitiamo a patologia e diversità, finiamo per iperpatologizzarla. Lo sforzo interdisciplinare deve essere volto alla riscoperta e rivalorizzazione del metodo, dello studio dello sviluppo, ma in special modo dei fini dell’educazione. Va ricordato che il fine è il bambino che abbiamo di fronte, sia egli Down, normale o iperevoluto. La pedagogia, le altre scienze e gli operatori non devono fare altro che assecondare, guidare, orientare. Dopo anni di educazione e terapie selvagge, siamo oggi quasi al livello di una violenza simbolica. La mancanza di accordo e di sintesi, il non rispetto della prospettiva di fondo che è l’educazione di ogni uomo e di tutti gli uomini portano con sé questa precisa responsabilità: noi facciamo violenza. Quando mancano una teorizzazione e un orizzonte di senso è facile perdere di vista l’obiettivo principale: l’educazione di tutti e di ciascuno e la continua formazione dell’operatore. Occorre evitare la caduta culturale del nostro operare, per non rendere ancora più difficile la ripresa. Così come occorre ricordare che la conflittualità impedisce l’evento di quel fenomeno complesso e articolato, ma tanto bello che è l’educazione. © Studium Cartello – 2007 Vietata la riproduzione anche parziale del presente testo con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine senza previa autorizzazione del proprietario del Copyright