SYLLABUS 2007 OBESITA’ E SALUTE DELLA DONNA Prof. A. Pinchera Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e traumatologia, Medicina del Lavoro – Università degli Studi di Pisa L‟obesità è una condizione cronica che deriva da gradi diversi di suscettibilità e fortemente influenzata dall‟ambiente; da questa condizione morbosa conseguono spesso alterazioni delle funzioni endocrina e metabolica I fattori genetici rivestono un ruolo importante nel determinare la prevalenza dell‟obesità in una popolazione. Un relativamente piccolo numero di geni appare il principale regolatore della distribuzione del tessuto adiposo e della sua quantità, mentre un numero ancora non determinato di geni “di suscettibilità“ può produrre effetti minori che dipendono da interazioni intergeniche e con l‟ambiente. Da un punto di vista epidemiologico sono questi ultimi i fattori più rilevanti perchè sono i responsabili del continuo, rapido incremento dell‟obesità e delle patologie ad essa associate. Dalle più recenti indagini epidemiologiche condotte nei paesi ad alto tenore economico emerge che la prevalenza dell‟obesità, in costante aumento, interessa maggiormente il sesso femminile. Il genere esercita profondi effetti sulla funzione endocrina e metabolica del tessuto adiposo. Le donne hanno una più elevata percentuale di grasso corporeo rispetto agli uomini e tendono ad immagazzinare il tessuto adiposo preferenzialmente nella regione gluteo-femorale a differenza del sesso maschile che presenta una distribuzione concentrata prevalentemente a livello addominale e viscerale. La cellula adiposa del tessuto gluteo-femorale presenta caratteristiche funzionali diverse rispetto a quella del tessuto viscerale. La gravidanza e l‟allattamento sono eventi fisiologici associati ad una notevole spesa energetica. Per questo motivo nella donna, il tessuto adiposo, in quanto riserva energetica, è più rappresentato rispetto a quello dell‟uomo Le differenze nel metabolismo della cellule adiposa viscerale nei due sessi scompaiono con la menopausa, che potrebbe essere la causa della redistribuzione del tessuto adiposo con preferenziale localizzazione a livello addominale nelle donne predisposte. Gli estrogeni possono essere considerati i principali mediatori delle differenze metaboliche dell‟adipocita relativamente al genere Sebbene una massa critica di tessuto adiposo sia essenziale per il corretto funzionamento del sistema riproduttivo femminile, è altresì noto che l‟obesità si associa ad alterazioni della ciclicità mestruale e a ridotta fertilità. Se l‟obesità insorge in età infantile, l‟epoca del menarca è in genere più precoce ed i cicli sono spesso anovulatori ed irregolari. Le donne obese hanno un maggior rischio di aborto nel primo trimestre e, se la gravidanza è a termine, partoriscono con maggiore frequenza rispetto alla popolazione generale bambini macrosomici. L‟epoca della menopausa è in genere più precoce nelle donne obese rispetto a quelle normopeso. La gravità dell‟obesità ed il tipo di distribuzione dell‟adipe sono fattori importanti per la regolazione del sistema riproduttivo femminile. Molte donne obese accumulano grasso in regione gluteo-femorale. Questo morfotipo si caratterizza per aumentata produzione di estrone, conseguente all‟aromatizzazione degli androgeni, spesso non adeguatamente controbilanciata da un corrispondente aumento dell‟attività progestinica. Questa situazione ormonale rappresenta un fattore di rischio importante per lo sviluppo di carcinoma uterino. Le donne obese con prevalente accumulo di grasso viscerale sono invece esposte ad un ambiente ormonale più androgenico, secondario ad aumentata produzione di androstenedione e testosterone, e alla riduzione della concentrazione di SHBG, a cui consegue un‟aumentata biodisponibilità di testosterone. Il meccanismo sotteso alla ridotta produzione di SHBG nell‟obesità non è noto ma è possibile che l‟iperandrogenismo e l‟iperinsulinismo abbiano un ruolo importante. Le donne obese con morfotipo androide hanno quindi, oltre che un aumentato rischio di carcinoma uterino, anche una maggiore probabilità di complicanze cardiovascolari legate al profilo steroideo di tipo maschile. Infine l‟obesità può essere l‟esito di una modalità di alimentazione patologica nell‟ambito di un disturbo della condotta alimentare. I disturbi della condotta alimentare rappresentano una categoria di seri disturbi psichiatrici, più frequenti nel sesso femminile, che causano un notevole disagio sia negli individui affetti che nelle famiglie coinvolte. In conclusione, il sovrappeso e l‟obesità costituiscono fattori di rischio per lo sviluppo di malattie cardio-vascolari, metaboliche e alcune forme di cancro con conseguente aumentato rischio di mortalità. Al contrario, il calo ponderale è associato ad una loro riduzione. Ne consegue che le variazioni del peso corporeo hanno un impatto sullo stato di salute e sulla qualità di vita della donna. La neuropsicoendocrinologia della sessualità femminile Romano Forleo Se questo titolo fosse stato messo ad una lezione del mio corso di specializzazione in ostetricia e ginecologia (1958-62) le persone sarebbero cadute dalle nuvole : “di cosa ci vuoi parlare?” o piuttosto “questa non è materia per ginecologi!”. Attualmente mi è stato richiesto di fare la lezione introduttiva al Congresso SIGO di Napoli sul tema “ Il ginecologo dinanzi ai problemi d‟amore e mal d‟amor” ed affronterò non solo problemi di psicofisiologia e patologia sessuale, non solo i temi del comportamento sessuale , che da Kinsey in poi affliggono la sessuologia, ma come riuscire a penetrare l‟immaginario erotico, attraverso le tecniche della narrative-based-medicine. e cercare così di mettersi a disposizione della donna . Ricordando però , come diceva Ovidio nella sua splendida “arte amatoria”, che “.non sum preceptor amoris”.Nessuno di noi lo è , o lo sarà mai, anche se probabilmete potremmo poter dare qualche iudea per la vita sessuale della coppia sulla base delle conoscenze che si stanno accumulando, grazie alle neuroscienze. L‟endocrinologia ostetrica nasce con gli studi fondamentali sulla unità-feto-placentare di Dicfalusy e dei suoi allievi Italiani, Benagiano , Mancuso e dell‟Acqua. Quella ginecologica dagli studi della biosintesi steroidea di Dorfman e Greenblat, poi di Sommerville e Collins al Chelsea Hospital for Women di Londra (il più antico ospedale del mondo ad essere dedicato solo a patologie femminili), ove hanno poi lavorato Forleo e Bottiglioni e Flamigni. La endocrinologia ginecologica ebbe una rilevante spinta dalla possibilità di impiego delle gonadotropine estratte dalle urine di donna in menopausa da quel geniale chimico della Serono che fu Donini. Ma fu la scoperta dei neurotraspettitori e dei neurormoni, della sintesi del GnRH e dagli studi di neuroendocrinologia ,di cui Genazzani è stato maestro, che portarono alla nascita della neuroendocrinologia delle riproduzione anche nel nostro Paese.. La vecchia divisione fra mente e cervello (“l‟errore di Cartesio”) stava cadendp sottp le eclatanti scoperte delle neuroscienze, che ponevano in discussione le teorie psicodinamiche di Freud, nella loro derivazione metapsicologiche e comportavano una completa revisione della psicosomatica ginecologica ,In ostetricia il vissuto della gravidanza , le problematiche dell‟attaccamento di coppia , oltre alla revisione critica dei rapporti genitoriali, davano al ginecologo una spinta verso una “umanizzaziuone della nascita”, richiamando il ginecologo ed essere “medico della persona e non di organi ed apparati”: Ed in nome della unità della persona che la neuropsicoendocrinologia della riproduzione e della sessualità diviene materia fondamentale della professione ostetrico-ginecologica: Estrogeni: indicazioni G. Morgante, A. Delia, MC Musacchio, V. De Leo Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Istituto di Ostetricia e Ginecologia, Siena. Gli estrogeni sono ormoni sessuali steroidei, derivati cioè dal nucleo di base del colesterolo, prodotti dall‟ovaio, dal surrene e, per conversione di altri precursori steroidei, anche dai tessuti periferici. Circolano nel sangue in forma libera, biologicamente attiva, o legati a una globulina detta SHBG (Sex Hormone Binding Globuline); vengono metabolizzati e resi idrosolubili a livello epatico, quindi escreti dal rene. Tra le decine di tipi di estrogeni prodotti dall‟organismo, i principali per quantità e attività biologica sono l‟estradiolo, l‟estrone e l‟estriolo: il primo, e più importante, è prodotto durante l‟età fertile della donna; l‟estrone è caratteristico della menopausa e deriva dalla metabolizzazione periferica dell‟androstenedione; l‟estriolo è sintetizzato in quantità elevata dalla placenta, durante la gravidanza. Nell‟ovaio, che è la maggiore sede di produzione di estrogeni, soltanto le cellule della granulosa del follicolo possiedono l‟enzima (aromatasi) per sintetizzarli a partire dagli androgeni. Gli estrogeni vengono secreti durante tutto il ciclo mestruale, ma soprattutto nella prima metà di esso, detta appunto fase follicolare o estrogenica; durante questa fase, la loro produzione aumenta progressivamente, fino al picco di massima secrezione poche ore prima dell‟ovulazione, cioè verso il quattordicesimo giorno del ciclo (in caso di cicli che durano 28 giorni). In seguito, la secrezione si mantieneintorno ai 70/80 pg/ml per tutta la fase luteale con una notevole riduzione al momento della mestruazione. Funzioni degli estrogeni nell'organismo femminile: Gli estrogeni sia naturali che sintetici svolgono importantissime funzioni fisiologiche. Innanzittutto regolano la maturazione sessuale intervenendo nello sviluppo dell'apparato genitale. La loro massiccia secrezione in epoca puberale induce la chiusura delle cartilagini di coniugazione delle ossa lunghe, terminando di fatto, la fase di accrescimento staturale. Gli estrogeni stimolano lo sviluppo stromale della mammella e il mantenimento delle caratteristiche femminili secondarie (crescita delle mammelle, distribuzione dei peli, voce, statura, ossatura, distribuzione del grasso) Permettono la fecondazione e la gravidanza, intervenendo nella regolazione del ciclo mestruale Regolano la distribuzione del grasso corporeo, favorendone il deposito nelle anche, nelle natiche, nelle cosce e nell'addome al di sotto dell‟ombelico. Mantengono il trofismo osseo ed hanno quindi azione protettiva nei confronti dell'osteoporosi Stimolano la sintesi di trigliceridi e l'aumento delle lipoproteine ad alta densità (HDL o colesterolo buono) proteggendo le pareti vasali dal danno arteriosclerotico. Dato che le donne possiedono elevati livelli di estrogeni fino alla menopausa il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari è considerevolmente basso e significativamente inferiore rispetto agli uomini e alle stesse donne in perimenopausa. Stimolano la lipolisi nel tessuto muscolare ed adiposo. Per questo motivo gli estrogeni migliorano la prestazione degli sport di durata rispamiando il glicogeno muscolare a scapito degli acidi grassi Regolano molte funzioni cerebrali fra cui l‟attenzione e la memoria. Stimolano la sintesi epatica di numerosi enzimi e proteine (SHBG, angiotensinogeno). In alcuni alimenti naturali, come la soia sono contenute sostanze che mimano gli effetti degli estrogeni denominati fitoestrogeni. Nonostante tutte queste benefiche proprietà un eccesso di estrogeni è pericoloso sia dal punto di vista estetico che salutistico. Se da un lato questi ormoni favoriscono la disposizione in senso femminile del tessuto adiposo, dall'altro espongono la donna al rischio di sviluppare alcune forme di cancro come quello alla mammella, peggiorando l‟insulinoresistenza, l‟ ovaio policistico e la sterilità. Il modo più efficace per mantenere nella norma i livelli di estrogeni è tenere sotto controllo il proprio peso corporeo. Nell'organismo femminile circa due terzi della produzione di estrogeni avviene infatti nel tessuto adiposo grazie ad un enzima che converte gli androgeni prodotti dai surreni in estrogeni. Particolare attenzione è necessario porla al momento in cui si decide per una somministrazione di estrogeni in età fertile ed in post menopausa. Oltre alle dosi è importante ricordarsi delle differenze tra i vari estrogeni considerando che quelli di sintesi come l‟etinilestradiolo hanno una potenza significativamente più elevata rispetto all‟estradiolo naturale e all‟estrone. Progesterone: indicazioni Cicinelli Ettore 4° U.O. di Ginecologia ed Ostetricia, Università di Bari Dipartimento di Ginecologia, Ostetricia Neonatologia (DIGON), Università di Bari Policlinico, Piazza Giulio Cesare 70124 Bari Il progesterone (P) è l‟ormone nativo prodotto dal corpo dal corpo luteo e dalla placenta; i progestinici sono invece molecole di sintesi, affini al P, realizzate per superare le difficoltà di somministrazione del P o per accentuare alcune delle sue azioni. Il P in forma cristallina assunto per via orale viene quasi totalmente inattivato dal metabolismo intestinale ed epatico (1). Tradizionalmente la via di somministrazione più impiegata è la via IM sia in formulazione oleosa pronta che depot. Tuttavia, le iniezioni IM sono dolorose e mal accettate per lunghi trattamenti. Grazie all‟impiego di particolari formulazioni farmaceutiche come la micronizzazione, che permette un rapido assorbimento nel primo tratto intestinale, è oggi possibile la somministrazione del P per via orale. Tuttavia anche nella forma micronizzata il P subisce un‟importante metabolizzazione che riguarda circa il 90% dell‟ormone assunto (1) con formazione di metaboliti ridotti alcuni dei quali dotati di effetto sedativo ed ipnotico; pertanto, il P micronizzato per via orale dovrebbe essere quindi assunto di sera. In alternativa, negli ultimi anni si è progressivamente affermata la via di somministrazione vaginale. Il P per via vaginale può essere somministrato in capsule, tavolette, crema, gel a rilascio controllato e in anello vaginale che assicura il rilascio a lungo termine. L‟epitelio vaginale ha una capacità metabolica inferiore a quello intestinale. La via vaginale inoltre permette di evitare il first pass a livello epatico. Pertanto, dopo somministrazione vaginale in circolo si ritrova una minore quantità di metabolici del P. Di particolare interesse è che per via vaginale è possibile ottenere una distribuzione preferenziale del P all‟utero con elevate concentrazioni endometriali di P pur con bassi livelli sistemici di ormone (2,3). Il fenomeno della comparsa di effetti endometriali superiori a quelli prevedibili sulla base delle concentrazioni sieriche di P è stato denominato “first uterine pass effect” o “sistema portale vagino-uterino” (4). Per quanto riguarda le indicazioni del progesterone bisogna sottolineare come da un punto di vista dell‟azione e degli effetti metabolici nessun progestinico ripete in maniera perfetta gli effetti metabolici del P naturale a causa delle peculiari affinità di legame ai diversi recettori per gli steroidi che i diversi progestinici possiedono in relazione alla loro struttura chimica. Pertanto, in base alla struttura chimica si distinguono progestinici derivati dal P (C21-progestinici o pregnani) ed i derivati del testosterone (C19-progestinici) che a loro volta si distinguono in estrani (C-18) e gonani, privi del carbonio in C18. La somministrazione di farmaci ad attività progestinica è frequente nella pratica ostetrica e ginecologica (Tab.1) Indizioni del P: in riproduzione/gravidanza - supporto della fase luteale nei programmi di riproduzione assistita - prevenzione dell‟aborto - trattamento dell‟aborto - trattamento della minaccia di parto pretermine - prevenzione della preaclampsia. in ginecologia: - controllo del ciclo mestruale - trattamento della menorragie - contraccezione - terapia dell‟endometriosi - della patologia iperplastica dell‟endometrio - terapia ormonale sostitutiva. Il P sulla base delle caratteristiche farmacologiche trova attualmente indicazioni assolute e relative. Indicazioni assolute sono quelle in gravidanza a causa del potenziale rischio teratogeno degli steroidi sessuali di sintesi. Le indicazioni relative sono tutte le altre in l‟impiego del P comunque presenta il vantaggio di somministrare l‟ormone naturale e soprattutto quelle in cui è necessaria la somministrazione a lungo termine. L‟analisi della letteratura ed i dati della cosiddetta medicina dell‟evidenza permette di definire il valore e l‟utilità della somministrazione del P nelle diverse situazioni cliniche. Progesterone per il supporto della fase luteale Razionale: In riproduzione assistita la funzione del corpo luteo può essere alterata fai farmaci impiegati per la stimolazione o dalle manovre per il pick-up ovocitario. La luteolisi è stata dimostrata insorgere più precocemente anche nei cicli in cui invece che il GnRH agonista era impiegato l‟antagonista. Il supporto della fase luteale (LPS) consiste nella stimolazione della produzione mediante somministrazione di hCG o nella semplice supplementazione di P. Analisi della letteratura: Numerose metanalisi dimostrano che l‟LPS migliora l‟esito dei protocolli di IVF quando è usato il GnRH agonista; recenti dati indicano l‟LPS anche nei cicli con GnRH antagonista. Una recente metanalisi di Daya e Gunby (5) dimostra che la LPS con hCG è associata con un maggior rischio di iperstimolazione ovarica. Circa la via di somministrazione del P con la via orale è stata riscontrata una riduzione del tasso di gravidanza. La via IM alla dose di 50 mg/die è quella tradizionalmente impiegata. Negli ultimi anni la via vaginale è diventata sempre più popolare con diverse formulazioni: capsule o compresse alla dose di 200 mg due o tre volte al giorno, gel a rilascio controllato alla dose di 90 mg/die o anche recentemente un anello a lento rilascio. Conclusioni: la LPS basata sulla sommnistrazione di P migliora i risultati dei cicli di IVF. Il P per via vaginale oggi rappresenta una valida altenativa alle somministrazioni per via IM. Progesterone nella prevenzione dell‟aborto: Razionale: il P induce le trasformazioni secretive dell‟endometrio indispensabili perchè possa avvenire l‟impianto. Una possibile causa di aborto potrebbe essere un‟inadeguata secrezione di P. Pertanto, la somministrazione di P nel primo trimestre di gravidanza potrebbe ridurre il rischio di aborto spontaneo. Analisi della letteratura: a prescindere dalla gravità e dal numero di precedenti aborti, non risultano differenze significative di rischio abortivo tra donne trattate con progesterone, placebo o con nessun trattamento (OR 1.05, 95%, CI 0.83-1.34) come di incidenza di effetti indesiderati sulla madre o sul neonato (6). Bisogna segnalare tuttavia un report di un‟aumentata incidenza di ipospadia nei maschi (OR 3.7, CI 2.3-6) (7). In un sottogruppo di tre trias su donne con poliabortività (più di 3 aborti consecutivi) il trattamento con progestinici ha ridotto significativamente il tasso di abortività rispetto al placebo ed al non trattamento (OR 0.39, 95% CI 0.17 to 0.91). Nessuna differenza significativa è invece risultata tra le diverse vie di somministrazione del progesterone (orale, IM,, vaginale). Conclusioni: Non esiste nessuna evidenza che la somministrazione di routine del P riduca il rischio di abortività nel primo e nel secondo trimestre. La somministrazione è invece indicata nelle donne con poliabortività con un trend di aumento del tasso di natalità senza evidenza di aumento del rischio di effetti indesiderati (6,8). Progesterone nel trattamento della minaccia di aborto: Razionale: Il P viene prescritto in circa il 13-40% delle donne con minaccia di aborto. La somministrazione di P si basa si di un‟ipotetica insufficienza del corpo luteo e sull‟effetto miorilassante sull‟utero. Analisi della letteratura: L‟evidenza sull‟impiego del P è di bassa qualità. La meta-analisi di Oates-Whitehead della Cochrane ha valutato l‟impatto della terapia con P in varie situazioni cliniche senza tuttavia fare un‟analisi separata per la minaccia d‟aborto (6). La re-analisi (9) dei soli 4 studi di questa meta-analisi che hanno analizzato tale relazione (1013), (uno comprendente dati su 3 diversi regimi di terapia con P) (10) avendo l‟aborto come outcome, l‟RR è risultato 1.10 (95% CI 0.92- 1.31) per il gruppo del progesterone vs nessun trattamento. Nel solo studio in cui era stato dimostrato il BCF all‟ecografia, l‟RR di abortività è risultato 1.09 (90% CI 0.90-1.33) per il gruppo del P (13). Conclusioni: La somministrazione di P non sembra migliorare l‟outcome delle donne con minaccia di aborto. Tuttavia, la somministrazione locale di P riduce soggettivamente il numero e intensità di crampi uterini più rapidamente del solo riposo a letto (14) . Progesterone e parto pretermine: Analisi della letteratura: Una metanalisi della Cochrane (15) dimostra che la somministrazione di P riduce il rischio di parto pretermine prima delle 37 settimane (RR 0.65, 95% CI 0.54-0.79) e delle 34 settimane (RR 0.15, 95% CI 0.040.64). I neonati hanno minore rischio di avere un peso inferiore ai 2500 g (4 studi, RR 0.63, 95% CI 0.49-0.81) o un‟emorragia intraventricolare (RR 0.25, 95% CI 0.08-0.82). Conclusioni: Il P IM è associate ad una riduzione del rischio di parto pretermine pima delle 37 sett., e ad un peso neonatale inferiore ai 2500 g. Tuttavia, informazioni su altri importanti outcomes materni e neonatali derivano da un solo trial (16). Maggiori dati sono necessari valutare l‟efficacia del P vaginale. Progesterone in ginecologia: In età pre-menopausale la più frequente indicazione è il controllo delle irregolarità del ciclo che si verificano negli anni che precedono la menopausa; in tale periodo infatti si assiste alla comparsa di irregolarità della durata del ciclo e della quantità del flusso mestruale dalla ipermenorrea alla menometrorragie. Il rationale della somministrazione del progesterone e di progestinici in premenopausa è quello di contrastare l‟effetto proliferativo sull‟endometrio degli estrogeni endogeni. In linea di principio un progestinico per la perimenopausa dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: a) attività antiestrogenica a livello dell‟utero a bassa dose; b) profilo recettoriale simile al P; c) assenza di interferenza con l‟azione protettiva degli estrogeni a livello osseo, CNS e sistema cardiovascolare; d) sicurezza per la mammella. Il P e probabilmente i suoi più diretti derivati come il diidrogesterone sono i progestinici più sicuri per quanto riguarda il sistema cardiovascolare. Nessun progestinico di sintesi è ancora in grado di riprodurre in maniera assolutamente precisa il profilo recettoriale del progesterone, dando quindi origine ad effetti nella maggior parte indesiderati. Molti progestinici di sintesi infatti possiedono un‟affinità del recettore progesteronico molto più elevata di quella del progesterone ma presentano anche affinità per il recettore glucorticoide e soprattutto per il recettore aldosteronico. Il progesterone invece possiede un‟azione anti-mineralcorticoide. Recenti dati suggeriscono che il rischio mammario è molecola-dipendente essendo maggiore per il MAP e NETA ed inferiore per il P (17). Un approccio alternativo alla somministrazione sistemica del progestinico per via orale o transdermica, è rappresentato dalla somministrazione locale intrauterina o vaginale. In un nostro recente studio clinico abbiamo ottenuto un tasso di amenorrea dell‟82%, superiore a quello di altri schemi di HRT combinata continua, dopo un anno di terapia con estradiolo transdermico alla dose di 0.050 mg/die e P gel vaginale a rilascio prolungato due volte alla settimana (Crinone 4, 45 mg, Serono, Roma). La limitata esposizione sistemica che si ottiene con la via vaginale ha assunto una notevole importanza clinica per la responsabilità che oggi si ascrive al progestinico per l‟incremento di rischio di tumore della mammella in corso di HRT come suggerito dal WHI e Million Women Study. In conclusione, gli attuali orientamenti sulla somministrazione del progestinico prediligono la somministrazione di P o di molecole ad attività sempre più simili al P; in donne motivate la somministrazione vaginale o intrauterina può rappresentare una valida alternativa in termini di efficacia, compliance e sicurezza. In riproduzione assistita ed in gravidanza il P risulta efficace nella sostenere le prime fasi della gravidanza e nella prevenzione dell‟aborto ripetuto e nella minaccia di parto pretermine. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. NAHOUL K., DEHENNIN L., SHOLLER R.: Radioimmunoassay of plasma progesterone after oral administration of micronized progesterone. J Steroid Biochem, 26: 241-9, 1987. MILES R.A., PAULSON R.J., LOBO R.A., PRESS M.F., DAHMOUSH L., SAUER M.V.: Pharmacokinetics and endometrial tissue levels of progesterone after administration by intramuscular and vaginal routes: a comparative study. Fertil Steril, 62: 485-90, 1994. CICINELLI E., DE ZIEGLER D., BULLETTI C., MATTEO M.G., SCHONAUER L.M., GALANTINO P.: Direct transport of progesterone from vagina to the uterus. Obstet Gynecol 95: 403-6, 2002. CICINELLI E., DE ZIEGLER D.: Transvaginal progesterone: evidence for a new functional “portal system” flowing from the vagina to the uterus. 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Quando Quandoeecome comeeffettuare effettuare ililfollow-up follow-updurante durantecontraccezione contraccezione ormonale ormonale ““ the the WHOSPR WHOSPR promote promote flexibility flexibility of of contraceptive contraceptive supply supply with with ease ease of of access access should should problem problem arise” arise” Visita Visita di di routine routine per per ilil follow-up follow-up ogni ogni anno anno Informare Informare la la paziente paziente di di anticipare anticipare la la visita visita in in caso caso di di insorgenza insorgenza di di qualsiasi qualsiasi problema problema Quando Quando eecome come effettuare effettuareililfollow-up follow-updurante durante contraccezione contraccezione ormonale ormonale Modificazioni degli ematochimici in corso di CO Effetti Estrogenici Dopo Dopo 12 12 mesi mesi nelle nelle donne donne aa basso basso rischio rischio = Protidemia Glicemia Dopo Dopo 66 mesi mesi nelle nelle donne donne con: con: Familiarità Familiaritàper peripertensione ipertensione Effetti progestinici nessuno = = Effetti clinici nessuno = Colesterolo nessuno TG nessuno HDL nessuno Familiarità Familiaritàper perdiabete diabetemellito mellito LDL nessuno Anamnesi Anamnesipositiva positivaper perGDM GDM Fibrinogeno nessuno = Mishell MishellDR, DR,2001 2001 Le Lemodificazioni modificazionilipidiche lipidichecorrelano correlanocon conilildosaggio dosaggioestrogenico estrogenicodel del CO CO TG TG (mg/dL) (mg/dL) 115 115 HDL HDL TG TG 110 110 HDL HDL (mg/dL) (mg/dL) 70 70 65 65 105 105 100 100 60 60 95 95 55 55 90 90 85 85 50 50 80 80 75 75 contenuto contenuto di di etinilestradiolo etinilestradiolo 45 45 Upton UptonG.V. G.V.Fertil FertilSteril Steril1990 1990 Modificazioni Modificazioni lipidiche lipidiche ee progestinici progestinici DSG DSG LNG LNG Change Changefrom frombaseline baseline 50 50 45 45 40 40 35 35 30 30 25 25 20 20 15 15 10 10 55 00 -5 -5 -10 -10 ** ** ** TG VLDL LDL ** HDL Knopp R.H. et al., Contraception 2001 Kn opp R.H . et al., Contraception 2 001 Le Le modificazioni modificazioni dei deifattori fattoridella dellacoagulazione coagulazionecorrelano correlanocon conilil dosaggio dosaggioestrogenico estrogenicodel del CO CO PT PT Effetto Effetto di di una una pillola pillola monofasica monofasica contente contente 20 20 mcg mcg EE EE Variazioni Variazioni dell’ dell’ AT ATIII III(%) (%) 140 140 ** 120 120 100 8080 60 ^^ §§ 6060 4040 60 40 40 2020 0 0 20 20 00 ** 120 120 100 100 8080 100 basale basale 33mese mese *P-value *P-value==0.001 0.001 ^^P-value P-value==0.012 0.012 66mese mese 12 12mese mese PTT PTT = = Fibrinogeno Fibrinogeno = = AT AT III III = = Fattori Fattori V, V, VII,VIII, VII,VIII, XX = = Fibrinopeptide Fibrinopeptide A A = = 50 50 mcg mcg E’ E’ possibile possibile l’dentificazione l’dentificazione delle delle pazienti pazienti aa rischio di CVD durante il follow-up rischio di CVD durante il follow-up ?? Variazioni Variazionidella dellaProteina ProteinaCC(%) (%) 160 160 140 140 ^^ 30 30 mcg mcg = = basale basale valori valorinel nelrange rangedi dinormalità normalità 3 mese 3 mese 6 mese 6 mese 12 mese 12 mese *P-value *P-value==0.001 0.001 ^P-value ^P-value==0.003 0.003 §P-value = 0.002 §P-value = 0.002 “..No “..No known known coagulation coagulation test test can can predict predict the the development development of of venous venous thrombosis thrombosis during during oral oral contraception. contraception. Many Many markers markers of of increased increased coagulation coagulation activation activation are are available available (prothrombin (prothrombin fragment fragment 1+2, 1+2, thrombin-antithrombin thrombin-antithrombin complexes, complexes, fibrinopeptide fibrinopeptide A, A, D-dimers), D-dimers), but but their their usefulness usefulness has has not not been been demonstrated demonstrated for for this this purpose…” purpose…” Conrad ConradJ,J,Hum HumReprod ReprodUpdate Update1999 1999 Ipertensione Ipertensione arteriosa arteriosa aa CO CO Follow-up Follow-up durante durante la la contraccezione contraccezione ormonale ormonale 140 140 Ipertensione Ipertensione nel nel 55 % % delle delle donne donne Vecchie Vecchie pillole pillole 120 120 100 100 80 80 60 60 ++2-6 2-6mmHg mmHg 40 40 20 20 0 0 41 41 casi casi // 10.000 10.000 donne donne basso basso dosaggio dosaggio Speroff, Speroff,Hum HumReprod ReprodUpdate Update1999 1999 Conclusioni Conclusioni Non Non esistono esistono linee linee guida guida sul sul follow follow up. up. Una Una visita visita annuale annuale èè più più che che sufficiente sufficiente nelle nelle pazienti pazienti aa basso basso rischio rischio La La paziente paziente deve deve essere essere informata informata di di anticipare anticipare la la visita visita in in caso caso di di cattivo cattivo controllo controllo del del ciclo ciclo Valutare Valutarein inquesto questocaso casodi diaumentare aumentareilildosaggio dosaggioestrogenico estrogenicooodi di cambiare cambiarevia viadi disomministrazione somministrazione Ad Ad ogni ogni visita visita èè raccomandata raccomandata la la misurazione misurazione della della PA PA PS PS PD PD PS PS PD PD La Lamisurazione misurazionedella dellaPA PAdeve deveessere essereeseguita eseguitaad adogni ognivisita visitadi di follow-up follow-up U N I V E R S I T A’ D E G L I S T U D I D I S I E N A Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Clinica Ostetrica e Ginecologica Scuola permanente di formazione su: Razionale dell’uso del contraccettivo orale in premenopausa Marco Gambacciani, Atonia Pepe Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Centro della Menopausa, Azienda Universitaria Ospedaliera Pisana,Via Roma 67, 56100 Pisa. Tel:050/99238, fax:050/993058, email: [email protected] Il periodo pre-menopausale comprende gli anni che precedono la menopausa, e interessa donne relativamente giovani tra 40 e 50 anni. Tale periodo è caratterizzato dal progressivo declino della funzione ovarica che diventa responsabile di un corollario di disturbi da deficit estrogenico e/o progestinico quali alterazioni del flusso mestruale, sintomi vasomotori, difficoltà a concentrarsi, alterazioni del ritmo sonno-veglia, secchezza vaginale, riduzione del tono dell’umore, incremento ponderale, riduzione della libido. La durata e l’intensità di questi sintomi è molto variabile. Le alterazioni vasomotorie dipendono principalmente dalle variazioni dei livelli di estradiolo. Altri sintomi quali le alterazioni del tono dell’umore possono essere già presenti in premenopausa anche se con un’intensità minore rispetto al periodo della perimenopausa e postmenopausa. Inoltre, come conseguenza dell’iniziale decremento della steroidogenesi gonadica si assiste ad un’attivazione del turnover metabolico dell’osso con iniziale decremento della densità minerale. Da un punto di vista endocrino la premenopausa è caratterizzata da una serie di alterazioni neuroendocrine centrali e periferiche direttamente a livello degli organi deputati alla secrezione degli ormoni steroidi. L’aumento di FSH nella fase premenopausale testimonia l’incipiente esaurimento funzionale dell’ovaio, che necessita uno stimolo maggiore per garantire ugualmente il reclutamento follicolare. Questo innalzamento di FSH è in grado, inizialmente, di compensare la ridotta capacità secretoria dell’ovaio, garantendo regolarità mestruale e cicli ovulatori. Nonostante che in questa fase l’estradiolo possa presentare livelli preovulatori maggiori di quelli misurati in donne più giovani, i cicli si fanno irregolari e sempre più frequentemente anovulatori., e tipica è la comparsa dell’oligoamenorrea. Nel periodo riproduttivo avanzato, le modificazioni endocrine e del patrimonio follicolare, rendono in gran parte ragione della riduzione della fertilità a partire dai 35 anni di età. In presenza di FSH inferiori a 22 mUI/ml, esiste ancora la possibilità di procreare; la possibilità di una gravidanza diminuiscono in presenza di valori di FSH tra 20 e 30 mUI/ml. Con valori di FSH maggiori di 40 mUI/ml ed Estradiolo inferiori a 22 pg/ml la percentuale di ovulazioni spontanee è al contrario inferiore al 5%. In pre e perimenopausa si hanno modificazioni del ciclo mestruale (polimenorrea, oligomenorrea, menorragie). La frequente comparsa di cilci anovulatori o con insufficienza luteale può portare non soltanto ad alterazioni del ciclo mestruale, ma ad un’iperstimolazione endometriale e miometriale, favorendo la comparsa di iperplasia dell’endometrio e fibromatosi uterina sintomatica. Le alterazioni del flusso mestruale in premenopausa devono sempre essere indagate, e occorre procedere sempre ad una diagnosi differenziale (1-4). Negli ultimi anni la percentuale di donne che in epoca pre e peri-menopausale assume la pillola estro-progestinica sta lentamente ma progressivamente aumentando; dati statistici relativi al 1998 evidenziano che ben il 9% delle donne di età superiore a 40 anni ha utilizzato la pillola contro il 3% di un decennio precedente. Tra i 35 ed i 39 anni tale percentuale sale al 15%. Tale cambiamento dipende probabilmente dalla diffusa consapevolezza prima del ginecologo e poi della popolazione femminile dei benefici non contraccettivi aggiuntivi offerti dalla pillola (Tabella 1). Le particolari condizioni e caratteristiche endocrinocliniche della premenopausa rendono peculiare l’uso della pillola contraccettiva in questa fascia d’età. Specifiche considerazioni possono essere fatte riguardo alcuni aspetti clinici. TABELLA 1 : Benefici non contraccettivi dei contraccettivi ormonali estroprogestinici: 1. correzione dei disturbi da deficit estrogenico 2. controllo delle irregolarità mestruali 3. prevenzione della demineralizzazione ossea e del rischio di fratture 4. prevenzione di patologie pre-neoplastiche e neoplastiche: iperplasia endometriale, carcinoma dell’endometrio, carcinoma dell’ovaio, carcinoma del coloretto. Referenze 1. Metcalf MG. Incidence of ovulation from the menarche to the menopause: observations of 622 NewZealand women. NZ Med J.1983Aug24;96(738):645-8. 2. Dennerstein L, Dudley EC, Hopper JL, Guthrie JR, Burger HG A prospective population-based study of menopausal symptoms. Obstet Gynecol. 2000 Sep;96(3):351-8. PMID: 10960625 3. Kurman RJ. The identification of stromal invasion in the distinction of atypical endometrial hyperplasia from well differentiated adenocarcinoma.Verh Dtsch Ges Pathol1991;75:3712. 4. Santoro N. The menopausal transition.Am J Med. 2005 Dec 19;118(12 Suppl 2):813. CONTRACCEZIONE ORALE E PATOLOGIA NEOPLASTICA In premenopausa compaiono con maggiore frequenza alcune patologie preneoplastiche e neoplastiche dell’apparato genitale femminile sia a carico dell’ endometrio che dell’ ovaio. Il rischio di carcinoma ovarico e del carcinoma dell’endometrio nelle utilizzatrici di pillola si riduce con l’aumentare della durata di assunzione.. L’effetto protettivo inizia dopo pochi mesi di uso, è correlato alla durata di assunzione e permane per 20 anni dopo la interruzione della pillola. Questa considerazione è ovviamente importante quando l’assunzione del contraccettivo avviene in pre-menopausa venendosi a garantire una protezione negli anni di maggiore incidenza naturale del tumore. Un numero sempre maggiore di evidenze sembrano indicare un effetto protettivo svolto dai contraccettivi orali anche nei confronti del carcinoma colon retto. Dal momento che l’incidenza anche di questo tumore aumenta dopo la menopausa, è evidente come l’uso della pillola in pre-menopausa o in età riproduttiva avanzata possa esercitare un importante effetto protettivo negli anni di maggiore incidenza (1-5) REFERENZE 1) Hankinson SE, Colditz GA, Hunter DJ, Spencer TL, Rosner B, Stampfer MJ, A quantitative assessment of oral contraceptive use and risk of ovarian cancer. Obstet Gynecol. 1992; 80:708-714. 2) Schesselman JJ, Collins JA. The influence of steroids on gynecological cancers. In: Fraser RPS, Lobo RA Whitehead MI eds Estrogens and progestogens in clinical practice. London:Churchill Livingston, 1999:831,64. 3) Narod SA, Risch H, Moslehi R, Dorum A et al, Oral contraceptives and the risk of hereditary ovarian cancer. N Engl J Med 1998; 339:424. 4) Grimes DA, Economy KE. Primary prevention of gynaecological cancers . Am J Obstet Gynecol. 1995; 172:227-235. 5) Fernandez E, La Vecchia C, Balducci A, Chatenoud L, Franceschi S, Negri E, Oral contraceptives and colorectal cancer risk: a meta-analysis. Br J Cancer; 2001:84:722. PATOLOGIA OSTEOARTICOLARE L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una ridotta massa ossea e da alterazioni qualitative (macro e microarchitettura, componente minerale e proprietà meccaniche) che si accompagnano ad aumento del rischio di frattura (1). Per quanto entrambi i sessi vadano incontro a perdita di massa ossea per un fisiologico processo di invecchiamento, questa progredisce più rapidamente nelle donne in età postmenopausale (2,3). La carenza estrogenica è un fattore chiave nella patogenesi dell’osteoporosi involutiva nella donna, definita appunto come osteoporosi postmenopausale. Tutte le condizioni cliniche caratterizzate da una carenza estrogenica risultano in una perdita di massa ossea: l’assunzione di farmaci che inibiscono la produzione o l’effetto degli estrogeni endogeni (GnRH-agonisti), l’amenorrea da esercizio fisico eccessivo, l’anoressia nervosa e ovviamente la menopausa, sia essa naturale o chirurgica (4, 5). La perdita di massa ossea inizia già nella premenopausa, in corrispondenza del progressivo esaurimento della funzione ovarica che sul piano clinico si traduce nella comparsa di irregolarità mestruali con oligomenorrea. L’oligomenorrea in premenopausa può quindi essere considerata un fattore di rischio per osteopenia ed osteoporosi post-menopausale (6,7). Questo suggerisce l’opportunità di iniziare lo screening per l’osteoporosi in epoca premenopausale per le donne con oligomenorrea (6,7). Entro i primi 3-5 anni dalla menopausa, la donna perde un’importante quota di densità ossea (circa il 10%) (più velocemente in caso di menopausa chirurgica); successivamente, la perdita rallenta ma continua indefinitamente, con il naturale processo di invecchiamento (8). Il rapido incremento del turnover osseo, con prevalenza del riassorbimento sulla formazione di osso, spiega la rapida perdita di massa ossea che si verifica nei primi anni di menopausa. Con il passare degli anni, l’entità dei due processi (riassorbimento e formazione) gradualmente raggiunge lo stesso livello e la perdita di massa ossea rallenta (8). La perdita di densità ossea menopausa-dipendente è più evidente inizialmente a livello dei segmenti a prevalente componente trabecolare (es. colonna vertebrale), ma in seguito diviene rilevante anche a carico dei tessuti ossei a struttura compatta (es. collo femorale) (9,10, 11). L'osso trabecolare è caratterizzato da una più ricca vascolarizzazione e risente più precocemente di tutte le possibili modificazioni endocrino-metaboliche dell'individuo. Quindi per il suo elevato turnover, l'osso trabecolare è il primo ad andare incontro ai processi di osteoporosi postmenopausale, che invece compaiono più tardivamente a livello dell'osso corticale. Nel tessuto osseo trabecolare, prevalentemente rappresentato a livello della colonna vertebrale, l'osteoporosi è caratterizzata da un assottigliamento delle trabecole che appaiono più fini e frammentate. Nell'osso compatto, tipico dello scheletro appendicolare, l'osteoporosi si manifesta con una riduzione dello spessore della corticale e un allargamento dei canali haversiani, sino a giungere nei casi estremi alla spongiosizzazione della compatta (12). Contemporaneamente all’effetto sull’osso, l’ipoestrogenismo induce modificazioni regressive anche a livello dei dischi intervertebrali (13). Nella donna giovane, i dischi intervertebrali, in virtù delle loro proprietà viscoelastiche, sono in grado di ammortizzare il carico a cui è sottoposta la colonna vertebrale e distribuire la pressione in maniera uniforme sui piatti vertebrali. La perdita di altezza del disco intervertebrale, dovuta verosimilmente ad una riduzione dell’idratazione del nucleo polposo, si associa a riduzione delle sue capacità elastiche e di sostegno, incrementando il rischio di frattura vertebrale (14). Queste modificazioni a carico del disco intervertebrale si realizzano prevalentemente in perimenopausa e nei primi cinque anni dalla menopausa (13). Esse possono essere considerate un fattore di rischio per fratture osteoporotiche dei corpi vertebrali, indipendente dalla BMD e sono prevenibili con terapia estrogenica sostitutiva (13,14). Le fratture su base osteoporotica più comuni sono le fratture vertebrali da compressione, le fratture del radio distale e del femore prossimale, che portano da sole all’occupazione di circa il 20% dei letti delle divisioni ortopediche. È stato calcolato che nei prossimi decenni, il progressivo invecchiamento della popolazione raddoppierà l’incidenza delle fratture da osteoporosi, se non saranno prese adeguate misure preventive (15,16,17). L’osteoporosi si configura, quindi, sempre più come una malattia di grande rilevanza sociale (15). Si stima che, oggi, in Italia, ci siano circa 3,5 milioni di donne ed 1 milione di uomini affetti da osteoporosi. Se si considera che nei prossimi 20 anni la percentuale della popolazione italiana al di sopra dei 65 anni d’età aumenterà del 25%, è presumibile attendersi anche un proporzionale incremento dell’incidenza di malattia. Attualmente, nella popolazione italiana oltre i 50 anni d’età, il numero di fratture di femore è superiore alle 55.000 unità/anno. Alterazioni morfologiche vertebrali sono state riscontrate in oltre il 20% degli ultra-65enni di entrambi i sessi (18,19). Nel complesso il "life time risk" di andare incontro ad una tipica frattura osteoporotica è attualmente del 40% (20). I pazienti con frattura del femore prossimale presentano entro un anno dalla frattura una mortalità del 15-30% (21). Tra gli anziani, le fratture osteoporotiche rappresentano una delle maggiori cause di mortalità, sostanzialmente sovrapponibile a quella dovuta a ictus e a carcinoma mammario e ben 4 volte superiore a quella per carcinoma endometriale. Il 50% delle donne con frattura di femore presenta, inoltre, una consistente riduzione del livello di autosufficienza e, in circa il 20% dei casi, richiede una istituzionalizzazione a lungo termine (22,23). Studi prospettici hanno dimostrato che il rischio di frattura aumenta progressivamente con il decremento della densità minerale ossea (BMD) (24). La definizione e la diagnosi di osteoporosi è, quindi, imperniata sulla misurazione della BMD. La valutazione del rischio di frattura viene effettuata con la misurazione della BMD, preferibilmente con tecnica DXA, a livello della colonna vertebrale e del femore prossimale. Si dovrebbe privilegiare la colonna lombare nelle donne in età perimenopausale (25, 24) e per la verifica della risposta al trattamento antiosteoporotico e il femore prossimale nelle donne anziane. Nella donna anziana, infatti, la DXA vertebrale può essere falsata da artefatti dovuti alla presenza di lesioni artrosiche o calcificazIoni extrascheletriche. Tuttavia, l’uso della misurazione della BMD per stabilire il rischio di frattura presenta un alto valore predittivo positivo, ma un basso valore predittivo neg. Infatti, la metà circa delle fratture da osteoporosi avvengono in soggetti con densità ossea risultata nei limiti della norma (26). Parallelamente alla DXA nel corso degli anni sono state sviluppate altre tecniche non invasive e dotate di adeguata specificità che, invece dei raggi X, sfruttano gli ultrasuoni. L’applicazione degli ultrasuoni può fornire, oltre ad una valutazione della densità ossea, ulteriori informazioni sulla struttura, architettura e qualità dell’osso (Quantitative Ultrasonometry, QUS), (27). Le sedi prescelte sono il calcagno o le falangi delle mani, dove l'architettura trabecolare é del tutto simile a quella presente a livello vertebrale e risente, quindi, precocemente delle alterazioni ormonali dovute all’esaurimento della funzione endocrina dell’ovaio (27). Le apparecchiature di terza generazione consentono di fare una valutazione qualitativa dell’architettura strutturale dell’osso poichè la velocità con cui gli ultrasuoni attraversano l'osso é determinata sia dalla sua densità, che dall'indice di elasticità, il quale a sua volta dipende dalle caratteristiche strutturali della componente organica dell’osso ed è intimamente legato alla resistenza dell'osso agli stress meccanici (28). L'obiettivo di questo esame è, come per la DXA, la precoce identificazione delle modificazioni che si verificano a livello osseo e che da uno stato di osteopenia portano gradualmente verso l'osteoporosi conclamata (27). Lo screening con metodiche ad ultrasuoni può quindi essere proposto per identificare con una metodica non invasiva e a basso costo un numero significativo di donne osteopeniche ad alto rischio per osteoporosi nelle quali la prevenzione dovrebbe essere presa in considerazione prima della menopausa (27). La determinazione della massa ossea è necessaria in qualsiasi soggetto si reputi presente un rischio di osteoporosi, al fine di ottimizzare i rapporti tra i costi e i benefici per permettere una diagnosi precoce e per un’adeguata prevenzione. Per questi motivi, in ogni donna, nel periodo perimenopausale, deve essere presa in considerazione l’opportunità di misurare la densità ossea (27). In ogni singolo soggetto il rischio di sviluppare osteoporosi dipende fondamentalmente da due fattori: il picco di massa ossea e l’entità della perdita di massa ossea in postmenopausa. L’entità del picco di massa ossea raggiunto da ogni donna dipende da fattori genetici, ma anche da condizioni endocrino-metaboliche (come l’oligomenorrea ipoestrogenica), dall’ esercizio fisico e dall’apporto di calcio nell’età evolutiva (29). La prevenzione dell'osteoporosi può essere attuata sia ottimizzando il picco di massa ossea (prevenzione primaria) sia riducendo l'entità della perdita correlata alla menopausa e all'invecchiamento (prevenzione secondaria). Per prevenzione terziaria si intendono, invece, tutte quelle misure terapeutiche tese a bloccare l'evoluzione della malattia conclamata, cercando di ridurne le complicanze (fratture). La prevenzione primaria dell’osteoporosi implica interventi di tipo educativo e/o informativo a favore dell’adozione di uno stile di vita che coadiuvi il raggiungimento del picco di massa ossea in età giovanile e il suo successivo preservamento nel tempo, con particolare attenzione al periodo di transizione verso la menopausa in cui la sedentarietà, il fumo e una scorretta alimentazione vanno ad aggravare gli effetti deleteri sul metabolismo osseo indotti dal progressivo esaurimento della funzione endocrina dell’ovaio (9). Le donne in età premenopausale che presentano cicli oligomenorroici con deficit estrogenico, sono possibili candidate al trattamento ormonale per la prevenzione dell'osteopenia (7). La terapia estroprogestinica normalizza rapidamente sia il riassorbimento che la formazione ossea, riportando in equilibrio il bilancio osseo; in queste donne il trattamento può avvalersi efficacemente delle formulazioni contraccettive a basso dosaggio (7). E’ ormai consolidato che l’uso del contraccettivo orale in perimenopausa prevenga la demineralizzazione ossea sia a livello vertebrale che radiale e femorale (30-32). Infatti, i contraccettivi orali quando assunti in premenopausa o in epoca fertile avanzata conferiscono una protezione contro il rischio di frattura femorale in postmenopausa (33). Secondo uno studio caso-controllo effettuato in donne in epoca post-menopausale (5081 anni), quelle che avevano fatto uso della pillola presentavano una riduzione del 25% del rischio di frattura del femore rispetto alle donne che non avevano mai assunto la pillola (33). Ovviamente l’uso dei contraccettivi orali riduce significativamente l’incidenza di fratture osteoporotiche solo quando assunto in età premenopausale correggendo l’incipiente stato di ipoestrogenismo. Nelle donne più giovani (di età inferiore ai 40 anni), invece, l’uso della pillola non si associa ad un effetto protettivo sull’osso, in quanto si sostituisce ad una funzione gonadica normale che di per sé è in grado di mantenere in equilibrio il turnover osseo, alterato invece nelle donne oligomenorroiche (33) (Fig.1). Inoltre, le diverse molecole progestiniche contenute in pillole a basso dosaggio non modificano l’effetto protettivo esercitato da esse nei confronti del depauperamento osseo tipico del periodo perimenopausale (34) (Fig.2). Figura 1 Uso di contraccettivi orali e rischio di frattura d’anca: studio caso controllo (1327 casi, 3312 Controlli) ODDS RATIOS FOR HIP FRACTURE RISK NEVER use after age 40 use at ages 30-39 0,82 1 (0.57-1.16) 0,8 0,6 0,4 0,2 0 Michaelsson et al, Lancet May 1999 0,69 (0.51-0.94) use before age 30 1,26 (0.76-2.09) FIGURA 2 : Andamento della densità minerale ossea (BMD, gr/cm 2) in donne normomestruate (n=15), oligomenorroiche (n=15), and oligomenorroiche trattate con contraccettivi orali (n=15 in ciascun gruppo). I risultati sono espressi come percentuale di variazione rispetto ai valori basali. # p<0.05 vs i corrispondenti valori di base; * p<0.01 vs i corrispondenti valori di base e quelli misurate in donne normomestruate e quelle trattate con contraccettivi orali. ( modificata da ref. 34) REFERENZE 1) Consensus development conference: diagnosis, prophylaxis, and treatment of osteoporosis. Am J Med. 1993; 94: 646-50. 2) Seifert-Klauss V et al. Influence of pattern of menopausal transition on the amount of trabecular bone loss. Results from a 6-year prospective longitudinal study. 3) Riggs BL, Melton LJ. Evidence for two distinct syndromes of involutional osteoporosis. Am J Med 1993; 75:899-901 4) Gambacciani M, Spinetti A, Piaggesi L, Cappagli B, Taponeco F, Manetti p, Teti GC, La Commare P, Facchini V. Ipriflavone prevents the bone mass reduction in premenopausal women treated with gonadotropin hormone-releasing hormone agonists. Bone Miner. 1994 Jul;26(1):19-26 5) Gambacciani M et al. 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Maturitas. 2006 May 20;54(2):176-80. Quali contraccettivi usare in perimenopausa? I contraccettivi a bassissimo dosaggio garantiscono gli stessi vantaggi non contraccettivi? L’uso dei contraccettivi a basso dosaggio (< 20 mcg di etinilestradiolo) è da preferire nella donne di età superiore a 35 anni in cui non esistono controindicazioni assolute all’uso di estro-progestinici, mentre è da evitare in donne di uguale età ma fumatrici, ipertese, diabetiche, iperlipidemiche, con familiarità di primo grado per malattia cardiovascolare . Nelle donne in cui esiste una controindicazione relativa o assoluta all’assunzione degli estrogeni, è possibile suggerire l’uso di metodi contraccettivi contenenti il solo progestinico, gravati peraltro da una percentuale maggiore di insuccessi anticoncezionali ed uno scarso controllo della ciclicità mestruale. Il contraccettivo con il solo progestinico può essere rivolto alle donne con controindicazione agli estrogeni, anche se le irregolarità mestruali che spesso tali metodi comportano potrebbero portare la donna a sottostimare l’importanza dei sanguinamenti intermestruali così da far misconoscere la presenza di lesioni preneoplastiche o neoplastiche a carico dell’endometrio. La pillola al solo progestinico non allevierebbe comunque l’iniziale sintomatologia climaterica da ipoestrogenismo. AL contrario le pillole a basso dosaggio (EE 20 mcg ) hanno dimostrato un ottimo controllo del ciclo con riduzione della durata e della quantità del flusso mestruale, oltre ad un impattopositivo sulla sintomatologia vasomotoria e sulla qualità di vita (benessere psicologico, sessuale, psico-sociale. (1-12) Referenze 6) Weiseberg E, Fraser IS, Perimenopausal mestrual disturbances, fertility and the need of contraception. 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Contraccettivi orali in perimenopausa e rischio metabolico I primi studi effettuati in questo senso, dimostravano l’esistenza di una associazione significativa tra uso di pillola ed un aumento degli episodi tromboembolici e di ischemia miocardiaca. Tuttavia, questi studi non tenevano conto di molti fattori confondenti come il fumo, il peso corporeo, l’anamnesi primaria positiva per eventi cardiovascolari che negli studi successivi sono stati considerati invece fattori di esclusione dall’arruolamento. Dati emersi dal WHI study e presentati al Annual Meeting of the American Society of Reproductive Medicine, documentano una riduzione di circa l’8% della patologia cardiovascolare in donne di età tra i 50 e 79 anni che in passato avevano usato contraccettivi orali. Quando si parla di patologia cardiovascolare e contraccettivi orali, va comunque ricordato che l’incidenza di tali patologie quali l’infarto del miocardio, lo stroke ischemico e emorragico e la trombosi venosa profonda in età riproduttiva è molto bassa e aumenta con il progredire dell’età. L’incidenza di infarto del miocardio è 3 casi su un milione sotto i 35 anni e sale a 3 casi/ 100,000 dopo i 35 anni. Ugualmente il rischio di stroke ischemico sale da 6 casi/1,000,000 a 20-24 anni a 16/1000,000 a 40-44 anni. Lo stroke emorragico aumenta da 13 casi/1,000,000 a 20-24 anni a 46 casi/1000,000 a 40-44 anni. L’incidenza di trombosi venosa profonda è di 32 casi/1,000,000 a 20-24 anni e sale a 59 casi/1,000,000 a 40-44 anni. L’uso della pillola in donne di età superiore ai 35 anni non fumatrici non espone a maggior rischio cardiovascolare. Recentemente è stato riportato che l’uso di pillola conrtaccettiva in età premenopausale si associa ad una riduzione della malattia coronarica, dimostrata dalla angiografia in donne con sospetta ischemia coronarica. Queste osservazioni suggeriscono che l’uso di contraccettivi orali in età premenopausale possa prevenire la malattia coronarica. L’uso della pillola deve comunque essere usato con cautela dopo i 35 anni in donne che presentano fattori di rischio per tali patologie (fumo, emicrania, ipertensione, storia familiare di trombosi venosa). Dato che l’età di per se e la tendenza all’incremento ponderale possono essere fattori di rischio potenziali per fatti tromboembolici è comunque preferibile la scelta di contraccettivi a basso contenuto di etinilestradiolo (1-4) REFERENZE 1. The practice Committeee of the American Society of Reproductive Medicine. Hormonal contraception: recent advances and controversies, Fertil Steril 2004;82:S26. 2. Kovacs L. 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Fax: +39-55-4271413 e-mail: [email protected] A) Sintesi e azione del testosterone Il testicolo rappresenta l‟organo principe per la capacità riproduttiva e la salute sessuale maschile. Esso sintetizza due prodotti, entrambi essenziali per una strategia riproduttiva vincente: il testosterone, l‟androgeno più rappresentato nell‟organismo maschile, e gli spermatozoi. Testosterone e spermatozoi sono prodotti in due aree distinte del testicolo, le cellule di Leydig e i tubuli seminiferi, rispettivamente, che comunicano tra loro continuamente. L‟attività testicolare è, infatti, regolata da fattori intra-testicolari (incluso il testosterone), e da fattori trofici extra-testicolari prodotti dall‟ipofisi, come le gonadotropine LH e FSH, la cui secrezione è strettamente regolata dal peptide ipotalamico GnRH [Figura 1]. Il testosterone circolante (T) si lega con elevata affinità ad una proteina di trasporto, la globulina legante gli ormoni sessuali (“sex hormon binding globulin”, SHBG). L‟SHBG, oltre al T, lega anche altri steroidi, come gli estrogeni, sebbene con minor affinità. La frazione di T non legata alla SHBG è detta “T-libero”, ed è ritenuta la frazione biologicamente attiva del T-totale. La misurazione del T-libero rappresenta il principale strumento per valutare lo stato androgenico di un maschio. Tuttavia, misurare il T-libero non è così semplice, perché i metodi diretti disponibili in commercio, che impiegano analoghi marcati del T, sono spesso inaffidabili, e perché la separazione della frazione non legata del T mediante la tecnica della dialisi all‟equilibrio risulta piuttosto indaginosa. Di conseguenza, ad oggi, il metodo principe per la determinazione del T-libero è rappresentato dal calcolo della frazione libera del T [1] eseguito impiegando una formula matematica [2, disponibile sul sito http: //www.issam.ch/freetesto.htm] che tiene conto del valore della sua frazione totale e della sua quota legata all‟SHBG. Il T esercita la sua azione biologica sui tessuti bersaglio mediante l‟interazione con specifici recettori, i recettori androgenici. Nei tessuti bersaglio, l‟attività biologica del T può essere ulteriormente amplificata dalla sua riduzione a diidrotestosterone (DHT), operata da due distinte isoforme della 5-reduttasi (5R), la 5R tipo 1, che non è regolata dagli androgeni, e la 5R tipo 2, più strettamente modulata dagli androgeni [Figura 1]. Inoltre, il T e il suo precursore, il 4 androstenedione, possono essere trasformati dall‟enzima aromatasi P450 in altri metaboliti attivi, quali l‟estrone e l‟estradiolo (E2). Quindi, il T esercita la sua azione biologica in parte come tale, in parte mediante la sua riduzione a DHT o aromatizzazione a estrogeni [Figura 1]. Tuttavia, la misurazione del DHT circolante è spesso considerata inutile, perché essa non riflette la produzione dell‟ormone da parte dei tessuti bersaglio, mentre la misurazione dell‟E2 nel soggetto di sesso maschile è spesso considerata inaffidabile, perché le metodiche disponibili per la sua misurazione sono state concepite per rilevare il picco ovulatorio di E2 durante il ciclo mestruale femminile [3]. La Figura 1 riassume i principali effetti biologici del testosterone. L‟asse ipotalamo-ipofisi-testicolo è mantenuto in equilibrio costante mediante il feedback negativo operato dai prodotti testicolari sulla secrezione dell‟ormone ipotalamico GnRH e delle gonadotropine ipofisarie. Il testosterone e i suoi metabolici attivi, DHT ed estrogeni, regolano negativamente la secrezione di GnRH e LH, mentre fattori rilasciati dai tubuli seminiferi, prevalentemente appartenenti alla famiglia delle inibine, determinano un feedback negativo parallelo sull‟FSH. Un‟alterazione dell‟asse ipotalamo-ipofisi-testicolo è alla base dell‟ipogonadismo maschile, definito come uno stato patologico caratterizzato da un deficit di secrezione o attività biologica del T e da una diminuita produzione di spermatozoi. B) Ipogonadismo maschile La classificazione dell‟ipogonadismo maschile si basa generalmente sulla distinzione della specifica sede dell‟asse ipotalamo-ipofisi-testicolo caratterizzata da un deficit funzionale. Si distinguono un‟ipogonadismo primitivo, quando la sede disfunzionale è il testicolo, incapace di rilasciare i propri prodotti, cui consegue un tentativo di compenso mediante l‟aumento della secrezione delle gonadotropine da parte dell‟ipofisi, e un‟ipogonadismo secondario, quando la sede disfunzionale è la regione ipotalamo-ipofisaria, cui consegue un‟inadeguata stimolazione da parte delle gonadotropine ipofisarie su un testicolo sano. In base a queste considerazioni, i due tipi di ipogonadismo considerati sono definiti rispettivamente ipogonadismo ipergonadotropo ed ipogonadismo ipogonadotopo. Inoltre, una condizione clinica simile all‟ipogonadismo può derivare anche da una ridotta sensibilità, o insensibilità, dei tessuti bersaglio al T e ai suoi metaboliti (DHT e estrogeni), o da una ridotta biodisponibilità dell‟ormone, causata dall‟aumento dei livelli plasmatici della sua proteina di trasporto, SHBG. Infine, l‟ipogonadismo può essere distinto in congenito o acquisito più tardivamente, durante l‟infanzia o la vita adulta. La Tabella 1 riassume le principali cause di ipogonadismo maschile, classificate in base alle caratteristiche sopra menzionate. E‟ interessante notare che i segni e i sintomi dell‟ipogonadismo sono abbastanza simili indipendentemente dalla diversa sede di origine dell‟affezione [4]. Tuttavia, essi sono profondamente diversi quando valutati in base all‟età di insorgenza dell‟ipogonadismo. In altre parole, il fenotipo del paziente ipogonadico è più spesso condizionato dall‟età di insorgenza piuttosto che dalla sede del deficit funzionale. Tali considerazioni sono riassunte in Figura 2. Nel caso di un “ipogonadismo ad insorgenza molto precoce” (“very early onset hypogonadism”, VEOH), che origina durante la vita fetale, la sintomatologia può rivelarsi persino drammatica, manifestandosi con uno spettro fenotipico molto vario, che può includere soggetti con un aspetto fisico quasi completamente femminilizzato (sindrome da insensibilità totale agli androgeni o difetti enzimatici che portano al blocco della sintesi androgenica), fino a soggetti con difetti variabili di virilizzazione (micropene, ipospadia, criptorchidismo), come nel caso di individui che presentano un‟alterazione nella secrezione o nell‟attività del GnRH. Nel caso della comparsa dell‟ipogonadismo in epoca peripuberale (“ipogonadismo a insorgenza precoce”, “early onset hypogonadism”, EOH), a fronte di un più modesto difetto centrale o periferico (come nella S. di Klinefelter), vi può essere un ritardo nello sviluppo puberale associato alla comparsa di un fenotipo eunucoide, presenza di scarsi peli corporei, tono di voce acuto, testicoli, pene e prostata di piccole dimensioni. Nel caso di un “ipogonadismo a insorgenza tardiva” (“late onset hypogonadism”, LOH), i sintomi possono risultare relativamente modesti, insidiosi e difficili da riconoscere e, di conseguenza, da trattare. Inoltre, nel caso di LOH, è spesso presente una compromissione organica o funzionale che coinvolge contemporaneamente i testicoli, l‟ipofisi e l‟ipotalamo, per cui la sede di origine della patologia è frequentemente poco chiara. Mentre l‟EOH e, in particolare, il VEOH, sono patologie relativamente poco frequenti (sebbene non così rare, presentando un‟incidenza variabile da 1:500 nuovi casi/anno per la S.di Klinefeklter a 1:100000 per la S. da insensibilità totale agli androgeni) e tali da richiedere la gestione da parte specialisti esperti, il LOH è un disordine molto comune. Di conseguenza, i medici dovrebbero imparare a riconoscere sempre di più le sue caratteristiche ed i suoi sintomi [4]. C) Ipogonadismo e disfunzione erettile Il disturbo della sessualità può essere considerato il marchio dell‟ipogonadismo, essendo in qualche modo presente in tutte le forme, indipendentemente dalla sede di origine e dall‟età di insorgenza. Infatti, nel maschio adulto, il T è considerato il carburante ormonale del desiderio sessuale, ed inoltre gioca un ruolo importante nel regolare altri aspetti della risposta sessuale maschile, come l‟erezione peniena (sia spontanea, sia indotta da stimoli sessuali), la frequenza dei rapporti sessuali e la masturbazione. E‟ stata riportata anche un‟associazione tra bassi livelli di T, eiaculazione ritardata [5] e basso volume dell‟eiaculato (il T è il principale fattore trofico sia della prostata sia delle vescichette seminali). La Figura 3 mostra l‟associazione tra i livelli di T e i sopra citati aspetti della sessualità maschile in un‟ampia coorte di soggetti adulti afferenti al Servizio Ambulatoriale dell‟Unità di Andrologia dell‟Università di Firenze. Sebbene l‟associazione tra i livelli plasmatici di T e la frequenza di erezioni spontanee/notturne sia sostenuta da diversi studi [6-9], la relazione tra livelli plasmatici di T ed erezioni indotte da stimoli sessuali è meno evidente, o non del tutto documentata [4, 9-12]. Una possibile spiegazione di questo fenomeno deriva da studi sperimentali. La più importante via coinvolta nell‟induzione dell‟erezione peniena è quella nonadrenergica/noncolinergica (NANC), che, mediante il rilascio di ossido nitrico (NO) conduce all‟incremento dei livelli intracellulari di GMP ciclico (cGMP), il principale secondo messaggero implicato nel raggiungimento di uno stato di tumescenza del pene. E‟ interessante notare che sia la formazione sia la degradazione del cGMP sono regolate dal T. Infatti, oltre al ben noto ruolo del T nel regolare la formazione di NO [13-16], recenti evidenze sperimentali, ottenute sia su roditori [16-19] sia nell‟uomo [18], hanno dimostrato che il T regola anche l‟espressione della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5), l‟enzima idrolitico coinvolto nella degradazione del cGMP. Questa azione antitetica del T sembra spiegare il principale meccanismo con cui si realizza la regolazione ormonale periferica dell‟erezione peniena. Poiché il T modula positivamente sia l‟inizio (NOS) sia la fine (PDE5) del processo erettile, il suo effetto netto sull‟induzione dell‟erezione è modesto. Ne deriva che la comparsa delle erezioni è ancora possibile in condizioni di ipogonadismo, dove una diminuita formazione di cGMP, causata da una alterata produzione di NO, è controbilanciata da una diminuita attività della PDE5 e da una diminuita idrolisi del cGMP. La principale azione fisiologica del T è quindi quella di regolare temporalmente il processo erettile in funzione del desiderio sessuale, in modo tale da finalizzare la comparsa dell‟erezione all‟atto sessuale. Questo è, molto probabilmente, il principale motivo per cui il T controlla il processo di inizio (NOS) e di termine (PDE5) dell‟erezione. Di conseguenza, l‟erezione peniena non è un fenomeno casuale, ma un evento discreto, temporizzato, associato al desiderio sessuale e all‟eccitamento. Il T presenta, inoltre, un effetto trofico sull‟architettura peniena, come è stato dimostrato in esperimenti condotti su diverse specie animali [4, 19]. La deprivazione androgenica, condotta su modelli sperimentali animali mediante castrazione chirurgica o medica, determina perdita di tessuto muscolare liscio trabecolare ed incremento di matrice extracellulare, cui consegue una condizione di fibrosi diffusa e di disfunzione erettile [4, 20-22]. Tale condizione viene solitamente ripristinata dalla terapia con T [4, 19, 21]. Inoltre, è stato evidenziato come il T sia coinvolto anche nella maturazione della composizione del tessuto penieno, promuovendo la differenziazione delle cellule staminali pluripotenti verso la linea miogenica e inibendo quella orientata in senso adipogenico [2325]. L‟accumulo di cellule adipose subalbuginee nei corpi cavernosi è stato associato ad un‟alterazione del meccanismo veno-occlusivo penieno [17]. In conclusione, gli androgeni rivestono un ruolo importante sia esercitando un‟azione trofica sul tessuto penieno, sia modulando la sintesi e la degradazione del suo principale fattore rilasciante, il cGMP (vedi ref. n. 4 per revisione). D) Ipogonadismo e desiderio sessuale ipoattivo La condotta sessuale maschile è un fenomeno molto complesso, influenzato, oltre che dall‟azione degli androgeni, anche da fattori intrapsichici, relazionali, sociali e culturali. Tuttavia, c‟è ormai un consenso generale sul fatto che il T sia un chiaro determinante della spinta sessuale e della motivazione sessuale. Molti studi controllati e non controllati, condotti su popolazioni di maschi ipogonadici, hanno dimostrato il ruolo inequivocabile del T nel ripristinare il desiderio sessuale, l‟ideazione sessuale spontanea, e l‟attrazione per stimoli erotici [vedi per revisione ref. n. 26-28]. E‟ invece meno noto quali siano gli specifici siti cerebrali su cui il T agisce e con quale meccanismo esso eserciti effetti positivi sulla sessualità nel cervello umano. Studi condotti su modelli animali indicano chiaramente che nel Sistema Nervoso Centrale (SNC) sono presenti i recettori per gli steroidi sessuali, e che il T regola l‟attività di diversi neurotrasmettitori coinvolti nella modulazione della condotta sessuale, come la dopamina [29, 30]. Comunque, ad oggi, sono poche le informazioni relative alla localizzazione dei recettori per gli steroidi sessuali nel SNC umano. I recettori androgenici sono presenti in aree distinte del cervello umano, che includono le aree temporale, preottica, frontale e prefrontale, l‟ipotalamo, l‟amigdala, il mesencefalo e il giro del cingolo (Area di Brodman 24, BA24) [31-36]. Il giro del cingolo, in particolare, è una parte del sistema limbico profondamente coinvolta nella modulazione comportamentale ed emozionale, e risulta coinvolta anche nell‟eccitamento sessuale indotto dalla visione di filmati erotici, come osservato in due diversi studi condotti mediante l‟impiego della tomografia ad emissione di positroni (PET) [37] e della risonanza magnetica nucleare funzionale (fMRI) [39], rispettivamente. E‟ interessante notare che il ripristino di normali livelli plasmatici di T in maschi ipogonadici che lamentavano perdita del desiderio sessuale, determina, parallelamente al miglioramento della sintomatologia dell‟ipogonadismo, anche un aumento della perfusione ematica nella BA24, nel mesencefalo e nel giro frontale superiore (BA8), valutato utilizzando la tomografia a emissione di singolo fotone (SPECT) [36]. Stoleru e collaboratori [37], in uno studio condotto mediante l‟impiego della PET, avevano precedentemente identificato un‟altra area cerebrale sensibile agli androgeni, descrivendo una chiara associazione positiva tra i livelli plasmatici di T e l‟attivazione del giro occipitale mediano (BA37) durante la visione di filmati erotici, mentre con la visione di filmati a contenuto neutro l‟associazione continuava ad essere significativa, ma in senso negativo. L‟attivazione dell‟area 37 di Brodman indotta dalla visione di filmati erotici è stata confermata da un ulteriore studio ed è stata correlata all‟elaborazione di stimoli visivi, soprattutto a contenuto sessuale [39]. Dunque, molte aree cerebrali strettamente correlate alla spinta sessuale sono sensibili agli androgeni, e in particolare al testosterone. Tuttavia, deve essere osservato che il desiderio e la motivazione sessuale sono entità distinte, sebbene strettamente correlate, rispetto all‟eccitazione sessuale. Quest‟ultima rappresenta, infatti, la componente cognitiva ed emozionale che conduce il maschio alla soglia per iniziare un rapporto sessuale (sentirsi sessualmente eccitato), e include l‟erezione peniena [40]. E‟ importante sottolineare che molti degli studi di diagnostica per immagini cerebrale condotti sull‟uomo si sono rivolti principalmente allo studio dell‟eccitazione sessuale piuttosto che al desiderio sessuale. Lo studio dell‟associazione tra livelli androgenici e condotta sessuale è ulteriormente complicato dal fatto che essi sono mutuamente dipendenti e possono dunque modularsi a vicenda. Infatti, non soltanto il T modula l‟attività sessuale, ma quest‟ultima regola positivamente la produzione di T. Una singola osservazione aneddotica pubblicata circa 40 anni fa sulla rivista Nature [41], ha aperto questo secondo scenario. Un autoctono islandese osservò che, il giorno precedente e nel corso delle visite occasionali alla sua amata, la sua barba cresceva più del solito [41]. Negli anni successivi, solo sporadici studi hanno supportato questa osservazione, dimostrando che durante i rapporti sessuali [42, 43], o nel corso della visione di filmati erotici [44], si realizzava un aumento dei livelli di testosterone temporalmente correlato. Al contrario, altri studi rivolti a indagare l‟aumento dei livelli ematici di testosterone indotti dall‟attività sessuale hanno dato una risposta negativa [45-49]. Tuttavia, Stoleru e collaboratori [50], prelevando campioni ematici ogni dieci minuti per dodici ore, hanno dimostrato un incremento del rilascio pulsatile di LH, con conseguente aumento di testosterone, immediatamente dopo la visione di filmati erotici. Su questa linea, negli ultimi anni, si sono ottenuti risultati significativi a supporto dell‟ipotesi di una spinta alla produzione di testosterone LH-mediato indotto dall‟attività sessuale [51-53]. In conclusione, il T regola strettamente la risposta erettile a stimoli sessuali, regolando sia la fase iniziale che finale dell‟erezione, sincronizzandole con il desiderio sessuale, anch‟esso fortemente modulato dagli androgeni. Ciò potrebbe spiegare perché, anche in assenza di T, è possibile il verificarsi di erezioni peniene (come accade nei bambini e negli eunuchi); queste ultime, comunque, non sono generalmente finalizzate all‟atto sessuale, a causa della scarsa motivazione sessuale correlata ai bassi livelli di T. REFERENZE BIBLIOGRAFICHE 1. Rosner W, Auchus RJ, Azziz R et al. Position statement: Utility, limitations, and pitfalls in measuring testosterone: an Endocrine Society position statement. J Clin Endocrinol Metab. 2007;92:405-13. 2. Vermeulen A, Verdonck L, Kaufman JM. A critical evaluation of simple methods for the estimation of free testosterone in serum. J Clin Endocrinol Metab. 1999;84:3666-72. 3. Nelson RE, Grebe SK, OKane DJ et al. Liquid chromatography-tandem mass spectrometry assay for simultaneous measurement of estradiol and estrone in human plasma. Clin Chem. 2004;50:373-84. 4. Morelli A, Corona G, Filippi S et al. 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La superficie dell‟ellisse riflette sulle ascisse (scala logaritmica): età di insorgenza della patologia, e sull‟ ordinata (scala logaritmica): incidenza (a destra) e fenotipo, variabile da femminile a maschile (a sinistra, indici arbitrari di virilizzazione) del soggetto ipogonadico.VEOH: ipogonadismo a insorgenza molto precoce (“very early onset hypogonadism”), es. ad esordio durante la vita fetale per deficit di sintesi o azione del testosterone (es. ipoplasia delle cellule di Leydig di tipo 2, insensibilità totale agli androgeni o deficit di 17betaidrossisteroidodeidrogenasi, ellissi gialla) o deficit di secrezione o attività del GnRH (per le cause vedere la Tabella 1, ellissi rossa). EOH: ipogonadismo a insorgenza precoce (“early onset hypogonadism”), es. ad insorgenza nel periodo peri-puberale (es. S. di Klinefelter, ellissi blu). LOH: ipogonadismo a insorgenza tardiva (“late onset hypogonadism”), es. nell‟età adulta o anziana (definita anche andropausa, ellisse grigia). Adattata dalla ref. n. 4. Figura 3. Livelli plasmatici di testosterone in 2218 pazienti con disturbo della sessualità afferenti all‟Unità di Andrologia dell‟Università di Firenze. I parametri in ascissa sono stati valutati attraverso l‟intervista strutturata SIEDY e la sua Appendice A (ref. n. 54): A) Desiderio sessuale ipoattivo: no: il desiderio sessuale del paziente è invariato o aumentato; lieve: il desiderio sessuale è moderatamente ridotto, ma in meno del 50% delle occasioni; moderato: il desiderio sessuale è ridotto in più del 50% delle occasioni; grave: il paziente riferisce la totale assenza di desiderio sessuale. B) Assenza di erezione durante un rapporto sessuale: no= < 25%, lieve= 26-50%, moderato= 51-75% e severo= >75% delle occasioni). C) Riduzione nel numero delle erezioni notturne: no: il paziente riferisce la presenza di erezioni spontanee notturne/al risveglio, lieve: le erezioni notturne sono presenti, ma la loro frequenza è inferiore rispetto a quanto osservato precedentemente; moderata: la frequenza delle erezioni notturne è ridotta di almeno il 50%; grave: completa assenza di erezioni notturne. D) Frequenza di rapporti sessuali mensili. E) Frequenza di masturbazione mensile. * p<0.01, **p<0.005, ***p<0.001, ****p<0.0001 vs. il primo punto. Estratto da ref. n. 4 e 13 e osservazioni non pubblicate. TT= testosterone totale. Recettore androgenico Ipofisi Testosterone Testicolo Figura 1 Estrogeni Completa virilizzazione Virilizzazione Incidenza Completa femminilizzazione Età (anni) Figura 2 No Lieve Moderato Severo Desiderio sessuale ipoattivo No Lieve Moderato Severo Perdita delle erezioni correlate all’attività sessuale Rapporti sessuali/mese Figura 3 No Lieve Moderato Severo Perdita delle erezioni notturne Masturbazione/mese I. TABELLA 1. Eziologia dell’ipogonadismo maschile 1) Deficit di produzione del testosterone a) Patologie ipotalamiche ( gonadotropine, testosterone) - Congenite I) Sindrome di Kallmann (include le mutazioni di KAL 1, FGFR1, PROK2, PROKR2) II) Delezione del gene del GnRH III) Mutazione della leptina e del recettore della leptina IV) Mutazione di GPR-54 V) Mutazione del proormone convertasi 1 VI) Mutazione di DAX-1 VII) Mutazione di SF-1 VIII) Displasia setto-ottica (include la mutazione di Hesx-1) II. IX) Sindrome di Prader-Willi III. X) Sindrome di Laurence-Moon IV. XI) Sindrome di Bardet-Biedl - Acquisite I) Tumori ipotalamici - Germinomi e altri tumori delle cellule germinali - Gliomi - Astrocitomi - Craniofaringiomi - Meningiomi - Metastasi II) Affezioni infiltrative and infettive - Istiocitosi di Langerhans - Sarcoidosi e tuberculosi, sifilide - Encefalite III) Trauma cranico IV) Idiopatico V) Disordini funzionali - Iperprolattinemia (prolattinoma, ipotiroidismo, indotta da farmaci antidopaminergici e serotoninergi, indotta da oppiacei) - Fattizia - Patologie severe/acute - Esercizio strenuo (raro) - Diabete mellito - Sindrome metabolica - Sindrome di Cushing VI) Farmaci - Estrogeni - Steroidi anabolizzanti - Progestinici (includono il ciproterone acetato) b) Patologie ipofisarie ( gonadotropine, testosterone) - Congenite I) Deficit ormonale multiplo (include mutazioni di Prop1, LHX3, DAX-1) II) Mutazioni del GnRHR III) Mutazioni di FSH e LH IV) Aplasia o ipoplasia ipofisaria V) Emocromatosi - Acquisite I) Tumori ipofisari - Adenomi funzionanti e non-funzionanti - Craniofaringiomi - Metastasi - Tumori ematologici maligni - Cisti di Rathke II) Infiltrative - Ipofisite primitiva - Sarcoidosi e tuberculosi, sifilide - Miceti, parassiti, virus III) Trauma cranico IV) Sella vuota V) Vascolare VI) Farmaci - Analoghi del GnRH (agonisti e antagonisti) - Estrogeni - Steroidi anabolizzanti - Progestinici (includono il ciproterone acetato e lo spironolattone) VII) Radiazioni ionizzanti c) Patologie testicolari ( gonadotropine ± testosterone) - Congenite I. Sindrome di Klinefelter II. Deficit nella biosintesi del testosterone (STAR, 20-22 desmolasi, 3-HSD, 17HSD, 17-20 desmolasi,17-HSD) III. Disgenesia gonadica pura (46 XX e 46 XY) IV. Anorchia congenita V. Ipoplasia delle cellule di Leydig (includono il tipo I e II per mutazioni del recettore dell‟LH/HCG) VI. Distrofia miotonica (include il tipo I e II) VII. Criptorchidismo (include mutazioni di INSL3 e LGR8) VIII. Aplasia germinale (Sindrome di Del Castillo, sindrome a sole cellule di Sertoli) IX. Microdelezioni del cromosoma Y X. Traslocazioni autosomiche XI. Mutazioni di FSHR XII. Adrenoleucodistrofia - Acquisite I) Orchite (include patologie autoimmuni) II) Chemioterapia - Agenti alchilanti - Metotraxato III) Inibitori della sintesi del testosterone - Ketoconazolo - Aminoglutetimide - Mitotane - Metirapone IV) Irradiazione testicolare V) Torsione testicolare bilaterale VI) Varicocele VII) Trauma testicolare bilaterale VIII) Patologie croniche (incluse insufficienza renale, cirrosi epatica, diabete mellito) 2) Deficit della bioattività del testosterone ( gonadotropine, testosterone) - Congenite I) Deficit dell‟aromatasi II) Deficit della 5 reduttasi di tipo II III) Alterazioni del recettore androgenico - Sindromi da insensibilità totale gli androgeni - Sindromi da insensibilità parziale gli androgeni - Sindrome di Kennedy e altre sindromi con ripetizioni delle triplette CAG -Acquisite I) Blocco del recettore androgenico farmaco-indotto - Antiandrogeni steroidei (ciproterone acetato, spironolattone) - Antiandrogeni non-steroidei (flutamide, bicalutamide, nilutamide) II) Blocco dell’attività 5 reduttasica farmaco-indotta - Finasteride (tipo II) - Dutasteride (tipo I e II) III) Blocco del recettore estrogenico farmaco-indotto - Clomifene, tamoxifene, raloxifene IV) Blocco dell’attività aromatasica farmaco-indotta - Letrozolo, anastrazolo, exemestano V) Livelli aumentati di SHBG (Sex Hormone Binding Globulin) - Farmaco indotta (antiepilettici, estrogeni, ormoni tiroidei) - Ipertiroidismo - Patologie epatiche - Invecchiamento Tabella 1. Eziologia dell’ipogonadismo maschile. Il pattern ormonale specifico è specificato tra parentesi. E‟ da notare che le condizioni riportate in italico sono caratterizzate soltanto da un deficit di produzione di spermatozoi e non da una alterata sintesi e/o attività del testosterone. KAL-1: anosmina o proteina di Kallmann; FGFR-1: recettore del fattore di crescita dei fibroblasti di tipo 1 (fibroblastic growth factor receptor-1); PROK-2: prokineticina di tipo 2 (prokineticin-2); PROKR2: recettore della prokineticina di tipo 2 (prokineticin-2 receptor), GnRH: ormone di rilascio delle gonadotropine (gonadotrophin releasing hormone); GPR-54: recettore 54 accoppiato alla proteina G (G-protein-coupled receptor-54); DAX-1: gene 1 della regione critica sul cromosoma 1 dell‟ipoplasia surrenale congenita e dell‟inversione sessuale sensibile al dosaggio (dosage-sensitive sex reversal congenital adrenal hypoplasia critical region on the X chromosome-1); SF-1: fattore steroidogenico di tipo 1 (steroidogenic factor-1); HESX1: HESX homeobox 1; PROP-1: profeta di Pit1 (prophet of Pit1, paired-like homeodomain transcription factor); LHSX-3: LIM homeobox 3; GnRHR: recettore dell‟ormone di rilascio delle gonadotropine (gonadotrophin releasing hormone receptor); FSH: subunità dell‟ormone follicolo-stimolante (follicle-stimulating hormone subunit); LH: subunità dell‟ormone luteinizzante (luteinizing hormone -subunit); STAR: proteina di regolazione acuta della steroidogenesi (steroidogenic acute regulatory protein); 3-HSD: 3--idrossisteroidodeidrogenasi (3--hydroxysteroid dehydrogenase); 17-HSD: 17-idrossisteroidodeidrogenasi (17--hydroxysteroid dehydrogenase); 17-HSD: 17-idrossisteroidodeidrogenasi (17--hydroxysteroid dehydrogenase); INSL3: peptide simile all‟insulina di tipo 3 (insulin like-3 peptide); LGR8: recettore 8 accoppiato alla proteina G, contenente ripetizioni ricche di leucina, o recettore del peptide simile all‟insulina di tipo 3 (leucinerich repeat-containing, G protein-coupled receptor-8, o insulin like-3 peptide receptor); FSHR: recettore dell‟ormone follicolo-stimolante (follicle-stimulating hormone receptor). IL LIQUIDO SEMINALE PAOLA PIOMBONI*#, FRANCESCA SERAFINI°#, LAURA GAMBERA°# *Dip. di Chirurgia, Sezione Biologia, Università di Siena; °Dip. Pediatria, Ostetricia e medicina della Riproduzione, Università di Siena; °#Centro per la Diagnosi e la Terapia della Sterilità di Coppia, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese. Il potenziale fecondante di un individuo dipende principalmente dalle caratteristiche del liquido seminale. Per tutto l’arco della vita, numerosi fattori possono influenzare negativamente la capacità riproduttiva di un uomo, determinando situazioni di infertilità transitorie o definitive . Errati stili di vita o fattori ambientali possono determinare una riduzione della produzione spermatica e, di conseguenza, della fertilità. Diverse patologie del tratto riproduttore maschile, come il criptorchidismo, l’orchite ed il varicocele influiscono negativamente sulla struttura e sulla funzione del testicolo stesso. Anche le infezioni del tratto riproduttivo maschile (epididimiti, prostatiti, etc.) rappresentano un fattore di rischio importante così come traumi, torsioni, squilibri ormonali o malattie sistemiche quali il diabete mellito, le epatopatie, le nefropatie, etc. Infine, nel 15% dei casi, alterazioni cromosomiche o mutazioni di singoli geni possono essere responsabili dell’infertilità. In tutti questi casi, è necessario valutare la qualità degli spermatozoi mediante l’analisi dei principali parametri quali concentrazione, motilità e morfologia, riferiti a specifici valori di normalità. Tuttavia “normalità” non implica necessariamente “fertilità”, dal momento che molte delle caratteristiche funzionali che contribuiscono a definire la fertilità non sono del tutto note. Per questo si possono avere gravidanze con liquidi seminali definiti “patologici”, e non averne con altri classificati come “normali”. Si deve poi aggiungere il contributo della componente femminile alla fertilità di coppia: una partner con un elevato potenziale di fertilità, infatti, può compensare deficit seminali considerevoli. L’analisi del liquido seminale è in ogni caso il punto di partenza per una valutazione della fertilità maschile e deve essere eseguita in strutture specializzate, in cui il personale, con una adeguata preparazione in questo settore, sia in grado di interpretare esattamente i parametri seminali fondamentali. L’eiaculato è la risultante di componenti distinte, provenienti dal testicolo, dalle vie seminali e dalle ghiandole annesse. Funzionalmente, le diverse componenti costituiscono un insieme il cui significato biologico è quello di rendere lo spermatozoo capace di fecondare. L’eiaculato normalmente viene emesso in quattro frazioni differenti: 1) la frazione pre-eiaculatoria, prodotta dalle ghiandole di Cowper e Littrè, non presenta spermatozoi; 2) la frazione iniziale, di produzione prostatica, anch’essa non contiene spermatozoi, rappresenta il 13-33% del volume dell’eiaculato, ha pH acido per l’elevata concentrazione di fosfatasi acida e di acido citrico. 3) la frazione più ricca di spermatozoi proviene dall’epididimo, dal deferente e dall’ampolla deferenziale. 4) la frazione terminale, la più abbondante, rappresenta il 50-80% dell’eiaculato. È prodotta dalle vescicole seminali, perciò è ricca in fruttosio, ha reazione alcalina e contiene spermatozoi prevalentemente immobili. Il campione seminale deve essere raccolto, preferibilmente per masturbazione, dopo un periodo di astinenza sessuale compreso tra 48 ore e 6 giorni . Dopo 30 minuti dalla raccolta, si esegue l’esame macroscopico che consiste nella valutazione dell’aspetto, liquefazione, viscosità, volume e pH. Successivamente si esegue l’osservazione microscopica che prevede la valutazione della concentrazione e della motilità degli spermatozoi, della presenza di zone di agglutinazione tra spermatozoi, e l’identificazione di altri tipi cellulari eventualmente presenti nell’eiaculato, quali cellule germinali immature, leucociti e cellule epiteliali. Un campione seminale in cui non si riscontrano spermatozoi si definisce azoospermico; se gli spermatozoi sono evidenziabili solo dopo centrifugazione si parla di criptozoospermia. Il termine oligozoospermia indica una concentrazione spermatica <20 milioni/mL, normozoospermia si riferisce ad un numero compreso tra 20 e 250 milioni di spermatozoi/mL mentre polizoospermia si riferisce a campioni di seme che presentano un numero >250 milioni/mL. La concentrazione spermatica è un parametro fisiologicamente variabile ed alcuni fattori esogeni possono ridurla temporaneamente. Quindi, qualsiasi parametro di valutazione del liquido seminale è da riferirsi esclusivamente al momento in cui si esegue l’analisi stessa e nessuno ha valore definitivo, ma deve essere confermato da almeno due esami eseguiti a distanza di 7-30 giorni. I leucociti si riscontrano in quasi tutti gli eiaculati ed il tipo più comune è il granulocita neutrofilo. L’elevata concentrazione di leucociti, nota come leucospermia, può indicare la presenza di una infezione del tratto riproduttivo e può associarsi a riduzione del volume dell’eiaculato, della concentrazione e della motilità degli spermatozoi, e ad alterazioni della funzionalità degli spermatozoi, conseguenti allo stress ossidativo o all’azione citotossica delle citochine. Talora è possibile osservare la presenza di zone di agglutinazione tra spermatozoi mobili; questo fenomeno può essere correlato ad una infertilità immunologica che tuttavia deve essere identificata mediante test specifici. La motilità dello spermatozoo costituisce uno dei parametri qualitativi fondamentali nell’esame del liquido seminale. Essa dipende sia da caratteristiche intrinseche allo spermatozoo (struttura del flagello, attività enzimatica della dineina), sia da fattori estrinseci (composizione biochimica del mezzo extracellulare in cui si trova lo spermatozoo: plasma seminale, muco cervicale, etc.). Con il termine “motilità” si indicano fondamentalmente due concetti differenti: la motilità lineare progressiva e la percentuale generale di spermatozoi dotati di movimento. La valutazione quantitativa della motilità viene espressa come percentuale totale di spermatozoi mobili, mentre l’aspetto qualitativo, inteso come tipo di velocità e direzione degli spermatozoi mobili, viene espresso in percentuale suddiviso nelle diverse categorie cinetiche. La motilità è classificata secondo quattro diverse categorie: motilità attiva di grado 3 o di “tipo a” caratterizzata da un movimento d’avanzamento dello spermatozoo rapido, rettilineo e quantitativamente più importante rispetto allo spostamento laterale; motilità attiva di grado 2 o di “tipo b” caratterizzato da un movimento progressivo più lento e frequentemente non rettilineo; motilità attiva di grado 1 o “tipo c” caratterizzato da un movimento d’avanzamento minimo o addirittura assente (in situ); motilità di grado 0 o “tipo d” comprende solo spermatozoi immobili. L’OMS definisce un campione seminale “normale” quando almeno il 50% degli spermatozoi è dotato di motilità progressiva (tipo a + tipo b) o si rileva un 25% di “tipo a”, mentre definisce astenozoospermico un campione di seme che presenta una motilità inferiore (1). Nei casi in cui la percentuale degli spermatozoi immobili sia superiore al 50%, è opportuno eseguire la valutazione della vitalità spermatica, espressa in percentuale, utilizzando tecniche di colorazione sopravitale (ad es. eosina Y). Si definisce necrozoospermico un campione con una percentuale di cellule morte maggiori del 50%; d’altra parte la presenza di un elevato numero di elementi immobili vitali può essere indicativa di difetti strutturali del flagello. Per la valutazione della morfologia spermatica è necessario applicare criteri il più possibile rigidi, in quanto la percentuale di spermatozoi morfologicamente normali è una delle variabili che meglio si correla con la capacità fertilizzante di un eiaculato. La testa di uno spermatozoo normale deve presentare una forma ovale, di lunghezza 4-5,5 μm e di larghezza 2,5-3,5 μm. La regione acrosomiale ben definita occupa un’area tra il 40 e il 70% della testa. Non devono evidenziarsi difetti del collo, del segmento intermedio o principale del flagello. Per valutare con accuratezza la percentuale di spermatozoi con morfologia alterata, si devono contare un minimo di cento spermatozoi, ed definito teratozoospermico un campione seminale che presenti una percentuale di spermatozoi morfologicamente normale inferiore al 30% oppure, secondo il ristretto criterio di Kruger, una percentuale di spermatozoi con anomalie superiore al 14% (1). Per analizzare le anomalie morfologiche si utilizzano colorazioni specifiche e le più utilizzate sono Papanicolau modificata, Giemsa e BryanLeishman. Un altro aspetto qualitativo importante da valutare è ad esempio la maturità nucleare, che può essere evidenziata attraverso differenti metodi, quali il blu di anilina un colorante acido che colora di blu intenso le teste degli spermatozoi immaturi legandosi agli istoni ricchi di lisina. La persistenza di proteine nucleari ricche in lisina potrebbe indicare difetti di condensazione nucleare. Anche la colorazione vitale con arancio di acridina è utilizzata per differenziare gli spermatozoi con cromatina nucleare normale da quella anomala. In particolare, mediante questo test, possiamo distinguere gli spermatozoi con DNA frammentato, a singola catena, da quelli normali. Di fondamentale importanza, nei casi di infertilità, rimane comunque lo studio delle alterazioni strutturali degli spermatozoi mediante microscopia elettronica. Con questa tecnica è stato possibile dimostrare che due tipi di anomalie appaiono più gravi e frequenti: le alterazioni del complesso acrosomiale e quelle dell’apparato assonemale. Entrambe queste strutture, in differenti modi, risultano coinvolte nella motilità spermatica, nella capacità di riconoscere e penetrare nell’ovocita e nel processo di fecondazione. La manifestazione più estrema dei difetti acrosomiali è la totale assenza dell’acrosoma oppure la presenza di un complesso acrosomiale di dimensioni fortemente ridotte, mentre per quanto riguarda l’assonema, i casi più estremi comprendono l’agenesia del flagello o l’assenza totale dell’ assonema. Poiché tali anomalie si riscontrano nell’intera popolazione spermatica di un individuo, si suppone che esse abbiano un’origine genetica, che induce un difettoso assemblaggio dei componenti assonemali o di quelli acrosomiali. Anche gli altri componenti citoscheletrici assonemali, (ponti della guaina centrale, proiezioni, legami radiali, legami periferici) e periassonemali, (guaina fibrosa, fibre accessorie, colonne striate) coinvolti nella motilità spermatica, sono stati esaminati in microscopia elettronica a trasmissione nei pazienti infertili ed è stato dimostrato essere affetti da una serie di alterazioni responsabili di una riduzione della motilità o di una completa immotilità. Importanti e frequenti difetti riguardano la cromatina non completamente condensata o in disfacimento, i mitocondri non organizzati a formare la guaina mitocondriale e la membrana plasmatica che può risultare frammentata. Queste anomalie strutturali, che si manifestano in percentuali variabili in una popolazione spermatica, sembrano manifestazioni secondarie a situazioni patologiche più generali e non sembrano correlate a specifiche mutazioni geniche. Con questo tipo di approccio è stato possibile caratterizzare le anomalie strutturali degli spermatozoi di soggetti infertili con grave teratospermia associata a specifiche patologie andrologiche quali varicocele (2), criptorchidismo (3) e infezioni (4). Le caratteristiche ultrastrutturali dei singoli organelli spermatici, in particolare quelle acrosomiali e nucleari, possono influire significativamente sull’esito delle tecniche di procreazione assistita (5, 6, 7). Inoltre, specifiche anomalie della forma del nucleo e dello stato della cromatina possono rivelare la presenza di apoptosi, un’affezione estremamente frequente negli spermatozoi degli uomini infertili ed evidentemente implicata nel fallimento della riproduzione assistita. Questa patologia è caratterizzata da frammentazione del DNA che può essere dimostrata mediante marcatura delle estremità libere del DNA (tecnica TUNEL). Per una completa valutazione della qualità degli spermatozoi oltre all’analisi morfologica e funzionale può essere opportuno esaminare la presenza di eventuali anomalie della segregazione cromosomica mediante FISH (Fluorescence In Situ Hibridization), tecnica che consente di analizzare un elevato numero di nuclei spermatici in tempi abbastanza brevi. L’analisi FISH in pazienti infertili affetti da varicocele ha dimostrato che le frequenze delle disomie e delle diploidie sono generalmente più elevate rispetto ai valori di riferimento, indicando un errato processo di segregazione meiotica (8). Nei soggetti infertili con difetto genetico “displasia della guaina fibrosa” a carico del flagello spermatico la FISH ha evidenziato una aumentata frequenza delle disomie e delle diploidie dei cromosomi 18, X, ed Y (9), suggerendo che in presenza di gravi difetti assonemali non solo le strutture citoscheletriche del flagello, ma anche il processo di segregazione meiotica risultano alterati. Anche in pazienti infertili con inversione pericentrica del cromosoma 9, riarrangiamento cromosomico strutturale considerato un polimorfismo, è stato dimostrato un incremento delle diploidie spermatiche associato ad anomalie dei principali parametri seminali quali concentrazione, morfologia e motilità (10). Infine l’esame FISH eseguito negli spermatozoi di uomini infertili prima e dopo 3 mesi di terapia con FSH ricombinante ha evidenziato che il miglioramento della morfologia e motilità spermatica si accompagna ad una diminuzione statisticamente significativa delle percentuali delle aneuploidie. In conclusione, l’analisi del liquido seminale fornisce informazioni di base sul numero, sulla motilità e la morfologia degli spermatozoi, parametri che talora non sono del tutto sufficienti per un corretto inquadramento clinico. In alcuni casi è quindi opportuno approfondire l’indagine mediante analisi più sofisticate, quali microscopia elettronica, valutazione della maturità nucleare e FISH, allo scopo di individuare le cause delle alterazioni riscontrate ed eventualmente intervenire con una idonea terapia per migliorare la qualità degli spermatozoi. Referenze 1. World Health Organization, WHO laboratory manual for the examination of human semen and semen-cervical mucus interaction, 4th ed, Cambridge: Cambridge University Press; 1999. 2. B. Baccetti, A.G. Burrini, S. Capitani et al., Studies on varicocele. 1. Submicroscopical and endocrinological features. J Submicr Cytol Pathol (1991) 23: 659–65. 3. B. Baccetti, E. Bigliardi, M. Vegni-Talluri et al., The fine structure of the testis in the cryptorchid man. In: J.R. Bierich and A. Giarola, Editors, Proc Serono Symposia, 25, Academy Press, New York (1979), pp. 91–123. 4. B. Baccetti, A.G. Burrini, R. Bilenchi et al., Ultrastructural and biochemical alterations in human spermatozoa and correlation of some of them with microbial infections. In: G. Spera and L. Gnessi, Editors, Unexplained infertility: basic and clinical aspects, Raven Press (1989), pp. 139–148 Serono Symposia 62 . 5. P. Piomboni, E. Strehler, S. Capitani et al., Submicroscopic mathematical evaluation of spermatozoa in assisted reproduction. 2. In vitro fertilization (Notulae seminologicae 7). J Assisted Reprod and Genetics (1996) 13: 635–46. 6. E. Strehler, S. Capitani, G. Collodel et al., Submicroscopic mathematical evaluation of spermatozoa in assisted reproduction. I. Intracytoplasmic sperm injection (Notulae seminologicae 6). J Submicrosc Cytol Pathol (1995) 27: 573–86. 7. E. Strehler, K. Sterzik, M. De Santo et al., Submicroscopic mathematical evaluation of spermatozoa in assisted reproduction. 3. partial zona dissection (PZD) (Notulae Seminologicae 12). J Submicrosc Cytol Pathol (1997) 29: 387–91. 8. Baccetti BM, Bruni E, Capitani S, Collodel G, Mancini S, Piomboni P, Moretti E. Studies on varicocele III: ultrastructural sperm evaluation and 18, X and Y aneuploidies. J Androl. (2006) 27:94-101. 9. Baccetti B, Collodel G, Gambera L, Moretti E, Serafini F, Piomboni P. Fluorescence in situ hybridization and molecular studies in infertile men with dysplasia of the fibrous sheath. Fertil Steril. (2005) 84:123-29. 10. Collodel G, Moretti E, Capitani S, Piomboni P, Anichini C, Estenoz M, Baccetti B. TEM, FISH and molecular studies in infertile men with pericentric inversion of chromosome 9. Andrologia (2006) 38:122-7. Cause genetiche di infertilità maschile Prof. C. Foresta Le cause genetiche di infertilità hanno una prevalenza di circa il 15% negli uomini infertili e di circa il 10% nelle donne infertili. Le alterazioni genetiche riscontrate sono sia alterazioni cromosomiche che mutazioni di singoli geni. La selezione naturale impedisce molto spesso la trasmissione di mutazioni che causano infertilità, ma tale meccanismo viene meno con l‟utilizzazione delle tecniche di riproduzione assistita. Esiste pertanto il rischio di trasmissione di difetti genetici nei figli, ed in effetti è stato ormai dimostrato che i figli nati da fecondazioni in vitro presentano un aumentato rischio di malformazioni congenite ed alterazioni cromosomiche. L‟identificazione di possibili fattori genetici è quindi pratica clinica e diagnostica di routine nel management della coppia infertile e nella coppia candidata a tecniche di fecondazione assistita. Alterazioni cromosomiche La prevalenza delle alterazioni cromosomiche è elevata nei soggetti infertili e correla con la conta spermatica. L‟incidenza generale delle aberrazioni cromosomiche nei maschi infertili è del 2-8%, con una media del 5%. Questa frequenza arriva al 15% nei soggetti azoospermici. Le alterazioni dei cromosomi sessuali sono le più frequenti, ma esiste anche tutta una serie di alterazioni di numero e di struttura dei cromosomi autosomici. I dati più recenti della letteratura indicano che i figli nati da ICSI hanno un maggior rischio di alterazioni dei cromosomi sessuali, con un rischio relativo di circa 3. La metà di queste alterazioni cromosomiche nei nati da fecondazioni assistite viene trasmessa dai padri e l‟altra metà dalle madri. L‟alterazione cromosomica più frequente è rappresentata dalla sindrome di Klinefelter, in forma pura 47,XXY o in forma di mosaicismo (46,XY/47,XXY). La prevalenza della sindrome di Klinefelter è molto elevata, circa il 5% nella gravi oligozoospermia e il 10% nelle azoospermie. Altre alterazioni dei cromosomi sessuali includono il cariotipo 47,XYY, la sindrome del maschio 46,XX, le alterazioni strutturali del cromosoma Y e le traslocazioni Y-autosoma. Le aberrazioni autosomiche comprendono le traslocazioni robertsoniane (soprattutto tra i cromosomi 13;14 e 14;21) e le traslocazioni reciproche, che incidono entrambe per lo 0.5-1.0% nell‟infertilità maschile. È importante sottolineare che i soggetti che presentano alterazioni cromosomiche costitutive determinate con l‟analisi del cariotipo producono un‟alta percentuale di spermatozoi con alterazioni cromosomiche. Tali aneuploidie si possono determinare mediante analisi FISH degli spermatozoi (vedi sopra). Delezioni del cromosoma Y Le microdelezioni del cromosoma Y (non visibili all‟analisi standard del cariotipo, ma solo con metodiche di biologia molecolare) rappresentano la causa genetica molecolare più frequente di infertilità maschile, con una prevalenza del 10-15% nelle azoospermie non ostruttive e gravi oligozoospermie. Le microdelezioni possono comprendere tre regioni, AZFa, AZFb o AZFc. Quest‟ultima rappresenta la regione che più frequentemente viene rimossa, comprendendo circa il 60% delle delezioni. La maggior parte dei pazienti con delezioni delle regioni AZFa e AZFb sono azoospermici e non producono spermatozoi. Circa il 60% dei pazienti con delezione AZFc invece presenta spermatozoi nel liquido seminale o nel testicolo. Tali soggetti sono quindi candidati a tecniche di fecondazione assistita, ma hanno un‟alta probabilità di trasmettere delle anomalie genetiche ai figli. Infatti gli spermatozoi di questi soggetti portano la stessa delezione del cromosoma Y riscontrata nei linfociti periferici e quindi trasmettono la condizione di infertilità ai figli maschi. Gli spermatozoi però hanno anche un‟aumentata incidenza di aneuploidie spermatiche (vedi sopra) con conseguente rischio di trasmissione anche di alterazioni cromosomiche, come la sindrome di Klinefelter o la sindrome di Turner. Una delezione particolare scoperta di recente è quella che coinvolge solo una parte della regione AZFc (delezioni parziali AZFc). In questo caso l‟effetto fenotipico è più lieve, potendo risultare non soltanto in azoospermia o grave oligozoospermia, ma anche in oligozoospermia moderata. Tali delezioni rappresentano quindi un fattore di rischio per l‟infertilità e possono essere trasmesse mediante fecondazioni in vitro. Mutazioni geniche Diverse centinaia di geni regolano lo sviluppo sessuale, la determinazione del sesso e la spermatogenesi. Negli ultimi anni è entrata a far parte della pratica clinica l‟analisi di alcuni di questi geni importanti per l‟infertilità maschile, sia al fine di migliorare l‟impostazione diagnostica che di offrire un‟accurata consulenza genetica pre-fecondazioni assistite. Il gene CFTR causa la fibrosi cistica, che rappresenta la malattia autosomica più frequente nei paesi occidentali. In questi paesi la frequenza dei portatori sani è molto elevata (1/25). Attualmente sono state dimostrate oltre 900 mutazioni in questo gene: tra le mutazioni che causano fibrosi cistica l‟80% è rappresentata dalla delezione di tre paia di basi F508. Più del 95% dei soggetti con fibrosi cistica presenta un‟azoospermia ostruttiva ed il 60-70% dei soggetti con assenza bilaterale di vasi deferenti (CBAVD) senza sintomi di fibrosi cistica ha un amutazione del gene CFTR. La prevalenza di mutazioni nei soggetti infertili non selezionati è più bassa, di circa il 5%. I soggetti con infertilità di mutazione del gene CFTR sono candidati a fecondazione assistita con recupero di spermatozoi dal testicolo o dall‟epididimo. Vista la gravità della malattia fibrosi cistica, l‟alta incidenza di portatori sani nella popolazione generale e l‟alta prevalenza di mutazione nei soggetti infertili, è ormai diventata pratica clinica comune lo screening per mutazioni del gene CFTR almeno in uno dei due componenti la coppia in previsione di tecniche di riproduzione assistita. Il gene per il recettore degli androgeni (AR) è localizzato sul cromosoma X e media l‟azione del testosterone e del DHT. Mutazioni di questo gene causano una alterata funzione del recettore androgenico con conseguente sindrome da insensibilità agli androgeni (AIS) di vario grado. I pazienti con mutazioni gravi dell‟AR presentano una AIS completa con fenotipo femminile. Mutazioni più lievi invece causano una AIS moderata il cui unico segno può essere rappresentato dall‟infertilità maschile da danno alla spermatogenesi. Nei soggetti infertili infatti la prevalenza delle mutazioni del gene AR è del 2-3%. Anche questi soggetti, presentando quindi una azoospermia o grave oligozoospermia, sono candidati a tecniche di fecondazioni assistita. Il rischio di trasmissione è limitato alle figlie femmine, che diventano pertanto portatrici della mutazione e potranno trasmettere ai loro figli la medesima mutazione e quindi la stessa patologia di loro padre. Il gene INSL3 regola la discesa del testicolo durante la vita fetale agendo sul gubernaculum per mezzo del suo specifico recettore LGR8. Negli ultimi anni diversi studi hanno individuato mutazioni dei geni INSL3-LGR8 nei soggetti criptorchidi o ex-criptorchidi, con una prevalenza del 4-5%. Molto spesso questi soggetti presentano anche una infertilità da testicolopatia primaria come conseguenza del criptorchidismo. Tuttavia studi recenti sembrerebbero indicare un ruolo del sistema INSL3-LGR8 anche nella spermatogenesi e mutazioni di questi geni sono stati ricontrati nei soggetti con infertilità idiopatica o con tumore del testicolo. Fisiopatologia dell’ipofisi F.Mantero e E.Zulian U.O. Endocrinologia,Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Padova FISIOLOGIA IPOFISARIA: l‟ipofisi puo‟ essere considerata la piu‟ importante ghiandola endocrina,in quanto controlla e regola la secrezione della maggior parte delle altre ghiandole a secrezione interna.Essa è a sua volta al centro di un complesso sistema di regolazione,sia da parte di strutture superiori(ipotalamo e strutture corticali-releasing hormones e neurotrasmettitori) sia da parte di ormoni periferici tramite meccanismi di feed-back a vari livelli. Un quadro schematico riassuntivo dei vari assi ipotalamo-ipofisi-ghiandole bersaglio è illustrato nella figura allegata. ) FISIOPATOLOGIA DELL’ADENO- E DELLA NEUROIPOFISI L’adenoipofisi può essere sede di patologie neoplastiche primarie o, più raramente, di metastasi di tumori a diversa localizzazione. I tumori ipofisari primari sono per lo più adenomi e solo eccezionalmente sono descritti carcinomi. In rapporto alle dimensioni gli adenomi ipofisari vengono suddivisi in microadenomi(con diametro < 10 mm) e macroadenomi(con diametro >10 mm). Gli adenomi ipofisari vengono anche classificati in base all’estensione (intrasellari ed extrasellari) e alla eventuale infiltrazione di strutture circostanti quali dura, osso, seno cavernoso (non-invasivi ed invasivi). La prevalenza dei tumori ipofisari nella popolazione generale è di circa 200 casi per milione di individui (22). Tuttavia va rilevato che circa il 20% dei soggetti asintomatici che eseguono TAC o RMI per altra ragione sono portatori di un adenoma ipofisario di diametro maggiore di 3 mm. Questa alta prevalenza di microadenomi asintomatici è del tutto sovrapponibile ai dati autoptici. Circa la metà degli adenomi ipofisari è costituita dai prolattinomi mentre i tumori non-funzionanti e quelli secernenti GH rappresentano circa il 20-25% (Tabella 1). Tabella 1: Frequenza degli adenomi ipofisari in rapporto alle loro caratteristiche secretive PRL secernenti (PRL-omi) 40-50 % non secernenti (NFPA) 20-25% GH-secernenti (GH-omi)20-25 % ACTH-secernenti (ACTH-omi) 8-10 % gonadotropinomi (Gn-omi) 1-2 % tireotropinomi (TSH-omi) 1-2 % Per quanto riguarda i prolattinomi (40-50%dei tumori ipofisari), la loro prevalenza è stimata attorno a 60100 casi per milione. Va quindi sottolineato che solo in una minoranza dei casi l’ iperprolattinemia, che è assai frequente essendo riscontrabile nel 25-30% delle donne con disordini del ciclo mestruale, è sostenuta da prolattinomi; all’origine vi può essere un adenoma ipofisario clinicamente non funzionante, una lesione ipotalamica (malformativa, neoplastica, metastatica, granulomatosa), lo stress, venipuntura, l’iperprolattinemia può essere secondaria a cause fisiologiche (gravidanza), iatrogene (farmaci) o ad altre patologie (ipotiroidismo, insufficienza renale, lesione della parete toracica), a stimolazione del capezzolo, può essere idiopatica e talora può comparire nel quadro di MEN I. Mentre per i macroprolattinomi la frequenza è uguale nei due sessi, i microPRL-omi sono circa 20 volte più frequenti nel sesso femminile. L’iperprolattinemia si manifesta con alterazioni del ciclo mestruale e galattorrea nella femmina, deficit erettile, ridotta libido e ginecomastia nel maschio, infertilità, difetti visivi, cefalea. L‟acromegalia è una malattia rara (prevalenza di 40/70 casi per milione), che colpisce entrambi i sessi con una lieve prevalenza di quello femminile (F/M: 4/1). L‟adenoma ipofisario GH secernente (macroadenoma 75%, microadenoma 25%) è la causa più frequente di acromegalia, e solo raramente sono stati descritti casi sostenuti da una eccessiva produzione di GHRH da parte di tumori ipotalamici o ectopici (carcinoide polmonare, pancreatico). Le caratteristiche cliniche dell‟acromegalia sono dovute agli effetti locali di compressione intra o extra sellare sulle strutture circostanti e agli effetti diretti o indiretti della ipersecrezione di GH e fattori di crescita ad esso correlati: la deformazione delle ossa facciali, la proliferazione ossea, la tumefazione dei tessuti molli delle mani e dei piedipresentano uno sviluppo lento e insidioso, altre caratteristiche cliniche sono iperidrosi, macroglossia, disturbi del campo visivo, oligomenorrea, impotenza, ridotta tolleranza glucidica o diabete mellito, fibromi cutanei, ipertensione arteriosa e cardiomiopatia, gozzo, osteoartrosi, sindrome del tunnel carpale, apnea del sonno e associazione con neoplasie. Anche per gli adenomi ACTH secernenti è stata riscontrata una prevalenza del sesso femminile (F/M: 4/1), con diagnosi soprattutto tra i 20 e i 40 anni di età. Gli adenomi ACTH secernenti (microadenomi 95%, macroadenomi 5%) rappresentano il 60-70% della totalità degli ipercortisolismi e l’85 % degli ACTH dipendenti (all’origine di un’ ipercortisolismo ACTH dipendente vi può essere anche l’iperplasia delle cellule ipofisarie ACTH secernenti, la sindrome di Cushing da ACTH ectopico da tumore neuroendocrino— carcinoide polmonare, pancreatico, timico, microcitoma polmonare, carcinoma midollare della tiroide, feocromocitoma; la causa infine può essere occulta). Tra i sintomi di sospetto della sindrome di Cushing ricordiamo: obesità centripeta, facies lunare, gibbo dorsale, accumulo del grasso in sede sovraclaveare, aspetto caratteristico della cute (ipotrofica, ecchimosi, strie rubrae, acne, difficoltà di guarigione delle ferite), ipotrofia muscolare, irsutismo, oligomenorrea, edemi, astenia, labilità emotiva, depressione, psicosi, ipertensione arteriosa, intolleranza glucidica e diabete mellito, osteoporosi, trombofilia, immunosoppressione. L’inappropriata secrezione di TSH da adenoma ipofisario (macroadenoma 92%spesso invasivo, microadenoma 8%) è un’evenienza rara che si manifesta con gozzo diffuso (95%), ipertiroidismo franco (50%) con fT3 e fT4 elevato e TSH non soppresso, difetti visivi (40%), disturbi mestriali e galattorrea Per quanto riguarda infine gli adenomi non funzionanti, la malatttia ha uguale frequenza nel maschio e nella femmina. Per la mancanza di segni specifici, la diagnosi viene generalmente posta più tardivamente quando l’adenoma è ad uno stadio di macroadenoma e sono già presenti segni legati all’espansione dell’adenoma. Le manifestazioni cliniche comuni ai diversi tumori ipofisari sono quelle dovute alla presenza di una massa endocranica occupante spazio e sono rappresentate da: cefalea (a sede retroorbitaria, frontotemporale, o al vertice) dovuta alla pressione su strutture algogene meningee; alterazioni oculari sostenute da compressione delle vie ottiche (con riduzione del campo visivo e possibile atrofia ottica) che sono assai frequenti nei portatori di macroadenomi con espansione sovrasellare e costituiscono uno dei sintomi di presentazione più comuni soprattutto negli adenomi non secernenti, o da compressione del III, IV e VI nervo cranico (con ptosi palpebrale, strabismo, diplopia); idrocefalo nei tumori ad estensione sovrasellare con obliterazione dei forami di Monroe (cefalea generalizzata, vomito, e sintomi ipotalamici quali diabete insipido, bulimia od anoressia, sonnolenza od insonnia, disregolazione termica, disforia, torpore e disorientamento temporospaziale); rinoliquorrea (rara) e ipopituitarismo (difetti uni o pluritropniici). A questo quadro clinico comune, che si presenta nella sua complessità, soprattutto in presenza di macroadenomi, si associano i quadri specifici delle sindromi da eccesso ormonale, quali l’acromegalia, l’amenorrea-galattorrea, la sindrome di Cushing e l’ipetiroidismo da inappropriata secrezione di TSH, dovuti alla ipersecrezione di specifiche tropine ipofisarie. L‟ipopituitarismo è una condizione patologica caratterizzata da una secrezione scarsa o totalmente assente di uno o più ormoni ipofisari. Può essere sia un evento primitivo, causato dalla distruzione dell‟ipofisi anteriore che un fenomeno secondario dovuto a una mancanza di fattori ipotalamica stimolanti o inibenti l‟ipofisi (tabella 2) Tabella 2: Eziologia dell’ipopitutitarismo Lesioni espansive SNC Adenomi ipofisari (macroadenomi non secernenti per effetto massa sulle tropine ipofisarie, talora reversibile dopo la rimozione della lesione, o secernenti sia per effetto massa nel caso di macroadenoma sia per effetto funzionale dei microadenomi) Lesioni ipotalamiche tumorali (craniofaringioma, disgerminoma, linfoma) o cerebrali Lesioni ipotalamiche granulomatose (istiocitosi X, sarcoidosi, TBC , malattia di Wegener) Apoplessia ipofisaria Cisti della tasca di Rathke Ipofisite Metastasi cerebrali Chirurgia ipofisaria/Neurochirurgia Radioterapia Ipofisaria Ipotalamica Ca. nasofaringeo Trauma cranico/emorragia subaracnoidea Malattie genetiche (mutazione di Prop-1 e Pit-1) Idiopatica Post partum (sindrome di Sheean) Empty sella Encefalopatia ischemica Tali cause eziologiche coinvolgono generalmente più di una tropina ipofisaria ma esistono forme isolate determinenti ipopituitarismo selettivo. La più frequente interessa le gonadotropine e si manifesta con deficit dello sviluppo puberale. Le cause più frequenti di questo ipogonadismo ipogonadotropo (caratterizzato da bassi livelli di LH, FSH e steroidi sessuali) dipendono da assenza funzionale della secrezione di GnRH da parte dei neuroni ipotalamici (sdr di Kallmann associata ad anosmia) o da un difetto della sua azione per mutazione di un recettore ipofisario. La condizione di ipogonadismo ipogonadotropo può essere anche di tipo funzionale (psicogena, nutrizionale, dismetabolica). L‟ipopituitarismo si manifesta con astenia, deficit della funzione sessuale (amenorrea, calo della potenza sessuale), cefalea, difetti visivi o campimetrici ed è possibile l‟associazione con il diabete insipido. Diabete insipido E‟ un disordine che risulta dal deficit dell‟azione di ADH ed è caratterizzato dal passaggio di una gran quantità di urina molto diluita. questo disordine deve essere distinto da altri stati poliurici come ad esempio la polidipsia primaria e la diuresi osmotica. Il diabete insipido centrale (o neurogeno) è dovuto al deficit dell‟ipofisi posteriore nel produrre adeguate quantità di ADH, il diabete insipido nefrogeno si ha quando il rene non è in grado di rispondere all‟ADH circolante. La risultante incapacità del rene di concentrare porta alla perdita di grandi quantità di urina diluita. Questo provoca disidratazione cellulare ed extracellulare che stimolano la sete e causa la polidipsia. Tabella 3. Classificazione: Diabete insipido centrale o neurogenico ipofisectomia, completa o parziale chirurgia per la rimozione dei tumori soprasellari idiomatica familiare tumori e cisti (intra e soprasellari) istiocitosi granulomi infezioni granulomi infezioni interruzione della perfusione autoimmune Diabete insipido nefrogenico malattie renali croniche ipokaliemia mancata introduzione di proteine ipercalcemia anemia falciforme sindrome di Siogren farmaci (litio fluoro, demeclociclina, colchicina) difetti congeniti familiare FISIOPATOLOGIA TIROIDEA: CASI CLINICI Prof. F. Pacini La tiroide è una ghiandola endocrina posta nella regione anteriore del collo al davanti e lateralmente alla laringe ed ai primi anelli tracheali, il cui compito principale è quello di produrre ormoni iodati. L’unità funzionale della tiroide è il follicolo tiroideo, costituito da un singolo strato di cellule epiteliali (tireociti) che circonda il lume contenente una sostanza vischiosa denominata “colloide”. La tireoglobulina (Tg) è il principale costituente proteico della colloide ed è il precursore degli ormoni tiroidei. Gli ormoni tiroidei (tiroxina T4 e triiodotironina T3 controllano importanti processi biologici quali, nella vita fetale lo sviluppo del sistema nervoso centrale, nell’età evolutiva l’accrescimento corporeo e, nell’età adulta, la regolazione di numerose funzioni metaboliche. La T4 è prodotta esclusivamente dalla ghiandola tiroide, mentre solo il 20% della T3 circolante è direttamente secreto dalla tiroide e la quota rimanente deriva dalla trasformazione periferica della T4 in T3. Il costituente principale degli ormoni tiroidei è lo iodio che, assunto con gli alimenti, viene incorporato nella tiroide dal circolo ematico. Affinché la tiroide possa sintetizzare e secernere quantità sufficienti di ormoni è necessario che l’apporto iodico giornaliero sia adeguato, ovvero che sia almeno uguale a 150 mg al giorno. La tiroide è infatti avida di iodio e capta tutto lo iodio a disposizione in circolo, mediante un trasportatore tiroideo dello iodio (sodium iodine symporter, NIS) che è presente sulla membrana basolaterale dei tireociti. Una volta internalizzato nel tireocita, lo ione ioduro attraversa la cellula tiroidea e, raggiunta la membrana apicale, viene esportato nel lume del follicolo. Nella colloide lo iodio viene incorporato nei radicali tirosinici della Tg. Questo processo, denominato organificazione dello iodio, è catalizzato dalla tireoperossidasi (TPO), un enzima sintetizzato dai tireociti ed espresso sulla loro membrana apicale. Lo iodio viene così depositato come tiroxina o T4 (contenente quattro molecole di iodio) o come triiodiotironina o T3 (contenente tre molecole di iodio), nell’ambito della molecola di tireoglobulina. Il rilascio degli ormoni tiroidei da parte del tireocita avviene mediante l’internalizzazione della Tg (endocitosi) contenuta nella colloide seguita dalla degradazione lisosomiale della stessa e dal rilascio degli ormoni tiroidei dalla membrana basolaterale dei tireocita nel circolo ematico. Nel sangue gli ormoni tiroidei si trovano in gran parte legati alle proteine (Thyroxine binding globulin TBG, la thyroxine binding pre-albumin TBPA e l’albumina) e solo lo 0.030.05% della T4 e lo 0.3-0.5% della T3 circolano in forma libera. La forma ritenuta attiva dell’ormone è quella libera (FT3, FT4), pertanto la funzione tiroidea è più strettamente correlata alla concentrazione di ormone circolante libero che legato. Gli ormoni tiroidei esplicano i loro effetti prevalentemente attraverso il legame a recettori nucleari. Regolano quindi l’espressione genica, promuovendo la trascrizione di acidi ribonucleici messaggeri (mRNA) tessuto-superfici, il cui messaggio è tradotto in proteine con funzioni enzimatiche o strutturali. La sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei sono principalmente regolate dal TSH, ormone sintetizzato e secreto a livello dell’ipofisi anteriore. Il TSH si lega ad uno specifico recettore presente sulla membrana dei tireociti e induce la sintesi delle proteine coinvolte nella produzione degli ormoni tiroidei nonché la crescita del tireocita e l’endocitosi della tireoglobulina. La stimolazione del TSH determina pertanto l’aumento della sintesi e della secrezione degli ormoni tiroidei circolanti. La produzione del TSH è a sua volta regolata dalla concentrazione sierica degli ormoni tiroidei venendosi così a determinare un meccanismo di regolazione a “feedback” negativo. L’alterazione di questo equilibrio porta a due opposte condizioni patologiche, l’ipotiroidismo e l’ipertiroidismo. In condizioni di ridotta produzione di ormoni tiroidei, mancando il meccanismo inibitorio sulla secrezione del TSH, la sintesi e la secrezione di questo ormone aumentano nel tentativo di compensare la ridotta produzione degli ormoni tiroidei. Pertanto nell’ipotiroidismo primitivo i livelli sierici di TSH sono elevati mentre quelli degli ormoni tiroidei sono bassi (ipotiroidismo franco) o normali (ipotiroidismo sub-clinico). Al contrario, l’eccesso degli ormoni tiroidei determina la soppressione del TSH da parte dell’ipofisi. Ne consegue che nell’ipertiroidismo primitivo il TSH sierico è indosabile mentre gli ormoni tiroidei sono elevati o normali (ipertiroidismo sub-clinico). La causa più frequente di ipotiroidismo primitivo è quella legata all’infiltrazione linfocitaria della tiroide che si osserva nella tiroide autoimmune, oppure all’asportazione chirurgica della tiroide o alla sua distruzione mediante iodio radioattivo. Un’altra causa di ipotiroidismo primitivo è quella dovuta ad alterazioni genetiche delle proteine responsabili della sintesi e della secrezione degli ormoni tiroidei. Ad esempio le alterazioni a carico del NIS (proteina di trasporto dello iodio) sono responsabili di una ridotta captazione dello iodio da parte dei tireociti con conseguente ridotta sintesi degli ormoni tiroidei. Un’alterazione a carico della TPO (enzima responsabile della organificazione dello iodio) determina invece una ridotta organificazione dello iodio che esita in una condizione di ipotiroidismo. In genere, in tali condizioni, l’ipotiroidismo è accompagnato da gozzo (aumento di volume della tiroide). Tali difetti molecolari sono comunque tra le cause più rare di ipotiroidismo, così come lo sono i difetti di secrezione del TSH (ipotiroidismo centrale). Una severa carenza alimentare di iodio può essere responsabile di un fenotipo simile a quello che si osserva nei difetti molecolari. Essendo lo iodio il costituente principale degli ormoni tiroidei, un suo ridotto apporto alimentare comporta una ridotta produzione degli ormoni tiroidei con secrezione compensatoria di TSH. Permanendo la carenza iodica, il continuo stimolo esercitato dal TSH è responsabile di alterazioni organiche a carico della ghiandola tiroidea quali l’ipertrofia e l’iperplasia delle cellule follicolari tiroidee con conseguente ingrandimento della ghiandola stessa. Inizialmente si tratta di un ingrandimento diffuso che, tuttavia, nel corso degli anni, può evolvere verso la forma nodulare e successivamente portare ad un quadro di ipertiroidismo da gozzo nodulare tossico. Nelle aree a normale apporto iodico, la causa più frequente di ipertiroidismo è invece quella autoimmune (morbo di Basedow). Il meccanismo patogenetico che sta alla base di questa forma di ipertiroidismo è la presenza di anticorpi rivolti contro il recettore del TSH (Trab). Tali anticorpi sono in grado di legare e attivare il recettore stesso stimolando così la crescita tiroidea e la produzione di ormoni da parte della tiroide. L’unica alterazione molecolare in grado di determinare ipertiroidismo è rappresentata dalle mutazioni attivanti il recettore del TSH che sono responsabili dell’ipertiroidismo che si osserva nel gozzo nodulare tossico e nell’adenoma tossico, due condizioni frequenti in aree geografiche di grave carenza iodica. Anche alcuni farmaci contenenti iodio (amiodarone) o mezzi di contrasto iodato possono determinare un aumento della sintesi o della secrezione degli ormoni tiroidei con vari meccanismi. Raramente l’ipertiroidismo è dovuto ad aumentata secrezione di TSH (ipertiroidismo secondario o centrale). FISIOPATOLOGIA DEGLI IPERANDROGENISMI Antonio Cianci, Marco Farina. Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche – Sezione di Ginecologia – Università degli Studi di Catania, C/o Ospedale Santo Bambino, Catania. _______________ Gli androgeni costituiscono una componente fisiologica indispensabile per gli organismi di sesso femminile, rappresentando i principali precursori degli estrogeni e partecipando direttamente al determinismo dei caratteri sessuali secondari ed alla genesi dell‟identità e del comportamento sessuale. Esercitando numerosi ed importanti effetti metabolici, intervengono, inoltre, nella regolazione di svariate funzioni a carico dell‟organismo femminile. Un'adeguata e bilanciata produzione ovarica e surrenalica di questa frazione ormonale risulta essenziale per l‟espletamento e la modulazione di importanti funzioni fisiologiche quali: 1) il mantenimento e la regolazione dei normali processi steroidogenetici, come precursori fondamentali per la produzione globale degli steroidi sessuali; 2) l‟induzione del processo di atresia follicolare successiva alla selezione del follicolo dominante; 3) il trofismo di alcuni tessuti (in particolar modo il tessuto cutaneo, osseo e muscolare); 4) la modulazione della libido e della procettività sessuale, in sinergia con i fattori psicoemotivi e socio-comportamentali. Una condizione di iperandrogenismo, tuttavia, conseguente ad un eccesso della quota steroidea o ad un incremento della sua attività biologica, può determinare conseguenze negative alquanto rilevanti, che, il più delle volte, vanno ben oltre gli aspetti estetici investendo, accanto alla funzione riproduttiva, anche la sfera psichica ed i rapporti interpersonali. Non meno importanti appaiono le ripercussioni a carico dell‟assetto metabolico e, in epoche successive della vita, del rischio cardiovascolare. Tale evenienza appare ancora più importante in considerazione del fatto che ben il 10% delle donne in età adolescenziale presenta disturbi riconducibili ad un‟eccessiva azione androgenica, anche se i valori di prevalenza possono essere assai diversi a seconda dei criteri diagnostici utilizzati. Con il termine di iperandrogenismi si definiscono tutte quelle condizioni clinico-patologiche caratterizzate dalla presenza di livelli circolanti sovrafisiologici di steroidi androgenici e/o l‟aumentata sensibilità recettoriale nei loro confronti, a carico dei tessuti target, con conseguente esaltazione dell‟effetto biologico terminale. (1) Si identificano, invece, con stati di iperandrogenismo le condizioni patologiche, ad eziologia multifattoriale, caratterizzate da: 1) abnorme crescita pilifera in zone cutanee normalmente glabre e/o con pochi follicoli piliferi (viso, torace, addome, glutei, linea alba, ecc.) nonché aumentata velocità di accrescimento delle strutture pilifere; (2) 2) aumentata produzione sebacea a livello cutaneo (in zone normalmente ricche di ghiandole sebacee) (3) ed a livello del cuoio capelluto; 3) alopecia; (4) 4) gradi variabili di insulino-resistenza e/o iperinsulinemia; (5) 5) riduzione dei livelli di colesterolo HDL, e modifica del suo rapporto con il colesterolo totale; 6) Sovvertimento dei regolari processi di follicologenesi ovarica, con aumentata atresia follicolare e fallita selezione e dominanza del follicolo pre-ovulatorio; incremento dello stroma ovarico, ispessimento dell‟albuginea e formazione di microcisti follicolari. (6) Escludendo l‟eziologia neoplastica e iatrogena, le cause cosiddette funzionali di iperandrogenismo si caratterizzano, generalmente, per un‟eziopatogenesi multifattoriale. (Tab. 1) La Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) rappresenta, indubbiamente, la causa più frequente di iperandrogenismo in epoca postpuberale. Questa complessa disendocrinia, che presenta caratteri di cronicità ed automantenimento, si caratterizza per un profondo sovvertimento dei principali meccanismi di feed-back intra- ed extra-ovarici, manifestandosi con una grande variabilità clinica, endocrino-metabolica e morfologica. Fra tutte le cause di iperandrogenismo, risulta essere la più importante sotto il profilo eziopatogenetico e prognostico, associandosi, con elevata frequenza, a dismetabolismi caratteristici, quali dislipidemia (bassi livelli di colesterolo HDL, alterato rapporto colesterolo totale/colesterolo), ridotta tolleranza ai carboidrati, insulino-resistenza, sovrappeso ed obesità. A tal proposito l‟obesità si associa frequentemente ad una condizione clinica di iperandrogenismo. Il tessuto adiposo è infatti implicato nel metabolismo di una grande quantità di colesterolo che in parte viene convertito in androgeni. Con l'aumento ponderale si assiste ad un‟aumentata resistenza all'azione dell'insulina che partecipa all'iperandrogenismo condizionando la funzione di aromatizzazione degli androgeni ed il rilascio delle gonadotropine. È ben nota anche l'azione di facilitazione all'iperandrogenismo indotta dalla prolattina (PRL). Il rallentamento dell'attività aromatasica a livello ovarico si può, infatti, rendere responsabile dell'elevazione dei livelli circolanti di PRL, giustificando il suo incremento nelle condizione di aumentata sintesi androgenica. (6-7) Anche gli ormoni tiroidei interferiscono sul controllo metabolico e sulle sintesi di molte sostanze tra cui gli ormoni steroidei e, a livello epatico, della loro proteina vettrice (SHBG). L'ipertiroidismo fa aumentare la sintesi di SHBG, accelerando quella degli steroidi, tra cui gli androgeni. Il risultato finale si identifica nell‟aumento delle quote libere circolanti, e quindi biologicamente attive, di questi ormoni. Nell'ipotiroidismo la situazione appare lievemente diversa, potendosi osservare una riduzione della sintesi di SHBG ed una modesta variazione dei livelli degli steroidi, che risultano in un incremento delle quote libere steroidee e degli androgeni in particolare. (7) Ove non sia possibile evidenziare una chiara patologia surrenalica od ovarica e non risulti, all'anamnesi, l'assunzione di farmaci condizionanti la manifestazione clinica, si parla di “irsutismo idiopatico”. Alla luce di un adeguato inquadramento diagnostico è necessario, peraltro, sottolineare che, alcune delle forme in un primo momento considerate idiopatiche possono essere successivamente ricondotte ad una delle cause sopraccitate, con particolare riferimento alle forme fruste "late onset" di iperplasia surrenalica congenita. La diagnosi di irsutismo idiopatico viene posta, comunque, in esclusione. Sotto tale denominazione rientra, infatti, un complesso clinico-sintomatologico rappresentato fondamentalmente da un grado variabile di irsutismo, ma anche (possibilmente ma non necessariamente) dalla concomitante evidenza di manifestazioni acneiche/seborroiche e di alopecia, anche in presenza di cicli eumenorroici. È certamente riconosciuto che il marker più sensibile di aumentata produzione androgenica sia rappresentato dall'irsutismo; in circa il 40% delle donne affette da alopecia è possibile, infatti, evidenziare una condizione di iperandrogenismo. (8) Nelle forme idiopatiche (percentualmente abbastanza frequenti) i comuni esami ormonali di screening, così come la valutazione ultrasonografica degli annessi, non mettono in evidenza nulla di patologico rispetto a quanto abitualmente si evidenzia nelle donne sane. Sul piano clinico e strumentale, le condizioni di iperandrogenismo troveranno delle sequele sintomatologiche peculiari, rispettivamente caratterizzate da: 1) 2) 3) 4) 5) gradi variabili di irsutismo; presenza di manifestazioni cutanee acneiche e seborroiche ed alopecia fronto-temporale; gradi variabili di sovrappeso od obesità con possibile riduzione della tolleranza ai glucidi; aumentato rischio di patologia vascolare a carattere ischemico; alterazioni ciclo-mestruali a carattere prevalentemente oligomenorroico, amenorroico o, più raramente, con presenza di sanguinamenti uterini disfunzionali, accompagnati da condizioni di anovularietà cronica ed infertilità Tale sintomatologia è presente raramente in tutta la sua interezza, nella stessa paziente, mentre più frequentemente si assiste al manifestarsi di un‟ampia variabilità clinica dei sintomi, sia per l'influenza di fattori ambientali e comportamentali, sia, soprattutto, per la differente sensibilità periferica agli androgeni da parte dei tessuti e delle strutture bersaglio. Anche la diagnosi biochimica può risultare difficoltosa, dal momento che molte donne iperandrogeniche presentano livelli circolanti di androgeni apparentemente normali. Oltretutto, l‟individuazione di criteri biochimici precisi è resa ardua dalla variabilità dei livelli ormonali nel corso del ciclo mestruale e dalla scarsa confrontabilità delle misure effettuate con metodiche di laboratorio differenti. Endpoint primario nell‟iter diagnostico dell‟iperandrogenismo femminile è rappresentato dalla discriminazione tra le cause organiche e quelle funzionali. Le prime, infatti, richiedono un rapido inquadramento ed una terapia tempestiva, dal momento che ogni ritardo si renderebbe responsabile di un sensibile aggravamento del quadro clinico. Un più approfondito e dovizioso approfondimento diagnostico è invece giustificato e più auspicabile per il corretto inquadramento eziopatologico delle forme funzionali. (9) Ai fini di un corretto inquadramento diagnostico è, inoltre, necessario distinguere e classificare le pazienti iperandrogeniche in base alla modalità di insorgenza temporale del quadro clinico sintomatologico, potendosi venire a configurare due ben distinte situazioni. (Figg. 1-2) Una rapida insorgenza del corteo sintomatologico (nell‟arco di un periodo compreso tra qualche mese dopo, e non più di un anno dal menarca), con una quasi assoluta mancanza di precedenti manifestazioni iperandrogeniche, dovrebbe indirizzare l‟attenzione dello specialista verso un tumore ovarico o surrenalico steroido-secernente che, nel sospetto di una patologia oncologica dovrebbero imporre un approfondimento ecografico e/o tomografico. La stragrande maggioranza dei casi che possono giungere alla nostra osservazione è, tuttavia, costituita da pazienti che manifestano una sintomatologia insorta più lentamente nel tempo, con enormi variabilità interindividuali, da uno a cinque anni. Questa categoria di donne riferisce uno o più segni clinici di dipendenza iperandrogenica, come quali acne/seborrea ed irsutismo, lamentando soprattutto disordini della ciclicità mestruale, difficoltà nel rimanere gravide o consistenti incrementi ponderali. La conoscenza dei vari meccanismi patogenetici costituisce la base teorica per il trattamento dei vari quadri clinici degli iperandrogenismi. La terapia degli stati di iperandrogenismo femminile è obbligatoriamente un trattamento "longterm". Soprattutto nelle condizioni patologiche caratterizzate da irsutismo ed alopecia, difatti, i tempi di risposta clinica alla terapia sono strettamente correlati alle varie fasi di crescita pilifera (anagen, telagen, ecc.) che, a loro volta, corrispondono a periodi funzionali differenti della singola unità pilosebacea. Sono inoltre presenti delle influenze stagionali che possono condizionare sia i tempi che l'entità del risultato terapeutico. Abitualmente, sul piano clinico, le manifestazioni acneiche/seborroiche rispondono più precocemente (3-4 mesi) rispetto all‟irsutismo e/o all‟alopecia (risultati apprezzabili si hanno intorno, o a partire dal 6° mese di terapia). È dunque importante che il medico identifichi e sottolinei alla paziente gli iniziali segnali degli effetti terapeutici, sia per valutare più correttamente la risposta clinica, sia per rassicurare la paziente stessa, (la quale normalmente si aspetta dal trattamento un "effetto rasoio", immediato). Inoltre, la scelta del dosaggio e del tipo di associazione farmacologica è comunque relativa alla situazione individuale ed alla risposta terapeutica al prodotto utilizzato. Tuttavia, le formulazioni a basso dosaggio, e a dosi decrescenti nel tempo, permettono sia una somministrazione più prolungata, sia una maggiore latenza di ricomparsa della sintomatologia dopo la sospensione della terapia. Essendo il trattamento degli stati di iperandrogenismo femminile esclusivamente di tipo sintomatico, è infatti pressoché inevitabile il ripresentarsi della sintomatologia a distanza di tempo variabile dalla sospensione della terapia. Tab. 1: Iperandrogenismo: eziopatogenesi ALTERATA FUNZIONE OVARICA FORME PRIMITIVE FORME SECONDARIE ORGANICHE o Tumori ovarici androgeno secernenti o Iperprolattinemia o Acromegalia FUNZIONALI o PCOS o Iperattività citocromo P450 o Ipertecosi o Iperinsulinemia o Tumori LH secernenti ALTERATA FUNZIONE SURRENALICA FORME PRIMITIVE FORME SECONDARIE ORGANICHE o Tumori surrenalici FUNZIONALI o Deficit di 3-OH-steroido-deidrogenasi, 21-idrossilasi e 11-idrossilasi o Resistenza periferica al cortisolo o Ipersecrezione ACTH - Adenomi ipofisari - Iipersecrezione ipofisaria funzionale - Ipersecrezione ectopica paraneoplastica o Iperprolattinemia IRSUTISMO IDIOPATICO Fig. 1: Orientamento diagnostico dell‟iperandrogenismo in base alla modalità di insorgenza temporale: forme insorte rapidamente. (modificato da Genazzani AD. (24)) IPERANDROGENISMO INSORTO RAPIDAMENTE 17-OH-PROGESTERONE TESTOSTERONE > 2 ng/mL < 2 ng/mL NEOFORMAZIONE OVARICA ? IPERANDROGENISMO DA PCOS ? MASSA ANNESSIALE PALPABILE > 200 ng/DL < 200 ng/DL TEST all’ACTH SOPRRESS. con DXM ESCLUSIONE IPERPL. SURRENALICA da DEFICIT 21-IDROSSILASI MASSA ANNESSIALE NON PALPABILE RISPOSTA NORMALE RISPOSTA ANOMALA ECOGRAFIA, RMN , MARKERS TUMORALI NEOFORMAZIONE OVARICA ? ESCLUSIONE IPERPL. SURRENALICA da DEFICIT 21-IDROSSILASI INTERVENTO CHIRURGICO IPERPLASIA SURRENALICA da DEFICIT 21-IDROSSILASI Fig. 2: Orientamento diagnostico dell‟iperandrogenismo in base alla modalità di insorgenza temporale: forme insorte lentamente. (modificato da Genazzani AD. (24)) IPERANDROGENISMO INSORTO LENTAMENTE TESTOSTERONE, DHEA-S, 17-0HPROGESTERONE DHEA-S > 2 mcg/mL 17-OH-P > 200 ng/dL 17-OH-P < 200 ng/dL TEST all’ACTH Soppress. con DXM RISPOSTA NORMALE ESCLUSIONE IPERPLASIA SURRENALICA “late onset” da DEFICIT ENZIMATICO ESCLUSIONE IPERPLASIA SURRENALICA “late onset” da DEFICIT ENZIMATICO PRL RISPOSTA ANOMALA IPERPLASIA SURRENALICA “late onset” da DEFICIT ENZIMATICO PRL < 25 ng/mL PRL > 25 ng/mL PCOS IPER PRL DISFUNZIONALE o da ADENOMA IPOFISARIO TEST al TRH e IMAGING SELLA TURCICA Bibliografia 1- Bardin CW, Lipsett M. Testosterone and androstenedione blood production rates in normal women and women with idiopathic hirsutism and polycystic ovaries. J Clin Invest 1967;46:891. 2- Ferriman D, Gallwey JD. Clinical assessment of body hair growth in women. J Clin Endocrinol Metab 1961;21:1440-7. 3- Carmina E, Lobo RA. Evidence for increased androsterone metabolism in some normoandrogenic women with acne. 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UNIVERSITA’ degli STUDI di CATANIA Facoltà di Medicina e Chirurgia Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche - Sezione di Ginecologia - ANDROGENS Sexual identity genesis Secondary sexual characters determininism Maintainance and regulation of steroidogenesis (sexual steroids precursors) Maintainance of skin, muscle and bone trophism Control of libido patways FISIOPATOLOGIA DEGLI IPERANDROGENISMI Prof. Antonio Cianci 10% of reproductive age women complain with symptoms related to excessive production or excessive androgenic activity Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI METFORMIN POSSIBLE MECHANISM OF INSULIN STIMULATION OF OVARIAN CYTOCROME P450c17 (ALPHA) ACTIVITY AND ANDROGEN PRODUCTION Plasma 17-OHP response to HCG PITUITARY THECA CELL CHOLESTEROL LH PROGESTERONE 17alphaHYDROXILASE + + 17-alpha-HYDROXIPROGESTERONE PREGNENOLONE STEP INVOLVING P450c17 17, 20 LYASE + ANDROSTENEDIONE INSULIN 17-beta-REDUCTASE TESTOSTERONE RESPONSE AFTER METFORMIN TREATMENT WAS SIGNIFICANTLY LOWER (p<0.05) THAN BEFORE Nestler et al, N Engl J Med, 1996 Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI ANDROGENS ACTION AT THE LEVEL OF HAIR-SEBACEOUS FOLLICLE THERAPEUTIC OPTIONS A Total Testosteron SHBG-binded Testosteron FREE TESTOSTERON ORAL CONTRACEPTIVES GnRH ANALOGUES B C DHT Azziz R, 1989 - Semin Reproduct Endocrinol Imperato-McGinley J, 1993 - J Clin Endrocrinol Metab Murphy AA, 1990 - Fertil Steril Pye RJ, 1997 - Br Med J Sebaceous production – body hair growth Androgens receptor antagonists CIPROTERONE ACETATE FLUTAMIDE 5-reductase Androgen receptor at sebaceous gland level Ovarian androgens production inhibitors 5-reductase inhibitors FINASTERIDE DUTASTERIDE D Insulin sensiters METFORMIN ACARBOSE Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI ETIOPATHOGENESIS SHBG CONCENTRATIONS IN RELATION TO EE DOSAGE IN OC - Archer DF, Contraception 1997 + SHBG, IGFBP-1 250 - 200 LH + + + Obesity Hyperinsulinemia + + OC + P<0.001 150 100 50 + 0 + Androgens nM/L - baseline - Androgens 6 mesi 15 mcg 20 mcg Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI 30 mcg Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI “THE PROGESTINIC-TREE” ANTI-ANDROGENIC ACTIVITY PURE AGONIST ANTIESTROGENIC ACTIVITY ESTOGENIC ACTIVITY Progesteron CPA CMA LNG DNG DRSP ANTIANDROGENIC ACTIVITY LNG DSG ANDROGENIC ACTIVITY GSD GLUCOCHORTICOID ACTIVITY Clormadinon CPA NETA MPA MGA Dienogest Mouse prostare reduction (%) TMG NOM ac 40 100 20 15 DRSP ANTI-MINERAL_ CHORTICOID ACTIVITY Progesteron Drospirenon Sitruk-Ware 2005 - Climacteric Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI 30EE/DRSP: Effects on hirsutism in affected PCOS women Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI 30EE/DRSP: Effects on hirsutism in affected PCOS women F-G SCORE 20 60 16 * 12 50 40 Severe Moderate Low No % 30 8 20 4 0 10 Before Guido et al, 2004 – J Clin Endocrinol Metab 6th 12th cycles * P<0.01 vs baseline Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI 0 Before 6th 12th Guido et al, 2004 – J Clin Endocrinol Metab Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI ORAL CONTRACEPTION AND PCOS Hirsutism Score in previous treatment with OC alone and during GNRH-a + OC therapy Ciotta, Cianci ’96 (Fertil Steril) 30 POSSIBILITY OF ASSOCIATION WITH: 25 * 20 ANTIANDROGENS 15 * 10 INSULIN SENSITIZERS 5 0 GnRH ANALOGUE Basal 6 months CPA + EE Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI THERAPEUTIC OPTIONS A B Androgens receptor antagonists Inverted sequential regimen (according to HAMMERSTEIN) 5-reductase inhibitors Low Dosage + GnRH-A FINASTERIDE DUTASTERIDE D CIPROTERONE ACETATE Low Dosage CIPROTERONE ACETATE FLUTAMIDE C RECEPTOR ANTAGONISTS Ovarian androgens production inhibitors ORAL CONTRACEPTIVES GnRH ANALOGUES Low dosage + Oral contraceptives Insulin sensiters METFORMIN ACARBOSE 12 months LA + CPA + EE > Acne/seborrhoea Mild hirsutism Hirsutism score > 15 (FG scrore) Alopecia androgenica Impaired tolerance to E (> 20 g) Poor responders Carmina ’97 (Human Reprod) Same effectiveness vs GnRH-A (secondary choice in severe cases for the absence of pituitary suppression) Kaiser ‘91 (Geburts-hilfe-Frauenheilkd) Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI THERAPEUTIC OPTIONS RECEPTOR ANTAGONISTS CIPROTERONE ACETATE A Ovarian androgens production inhibitors ORAL CONTRACEPTIVES GnRH ANALOGUES Side effects Long-term therapies with CPA + Estrogens Headache Nausea Depression Weight increase Epatic function impairment Increase in triglicerid blood level Corvol ’75 (Endocrinology) Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI B Androgens receptor antagonists CIPROTERONE ACETATE FLUTAMIDE C 5-reductase inhibitors FINASTERIDE DUTASTERIDE D Insulin sensiters METFORMIN ACARBOSE Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI Steroid values during therapy with FLUTAMIDE + OC Gonadotrophin values during therapy with FLUTAMIDE + OC Ciotta, Cianci ’94 (Fertil Steril) Ciotta, Cianci ’94 (Fertil Steril) 600 25 500 400 * * 300 200 mcg/mL * * pg/mL mUI/ml * * 10 0 0 Basal 4 Months LH Basal 8 Months 4 Months 2 0 8 Months Basal DHT FSH 8 Months Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI THERAPEUTIC OPTIONS Hirsutism score in previous treatment with CO alone and during FLUTAMIDE PLUS OC therapy A Ciotta, Cianci ’94 (Fertil Steril) Ovarian androgens production inhibitors ORAL CONTRACEPTIVES GnRH ANALOGUES 34,5 B 24,5 Androgens receptor antagonists CIPROTERONE ACETATE FLUTAMIDE 14,5 C 5-reductase inhibitors 4,5 basal 4 months FINASTERIDE DUTASTERIDE 8 months D period of treatment PR EV I O U S T HER A PY W I T H O C s A LO N E Insulin sensiters METFORMIN ACARBOSE F LU T A M I D E PLU S O C s Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI Levels of LH and FSH in idiopathic hirsutism treated with placebo or FINASTERIDE Levels of tT and DHT in idiopathic hirsutism treated with placebo or FINASTERIDE Ciotta, Cianci ’95 (Fertil Steril) Ciotta, Cianci ’95 (Fertil Steril) 6 0,8 5 0,7 4 0,6 3 2 * * * * 0,5 400 350 300 pg/mL ng/mL mUI/mL 4 Months SHBG Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI -5,5 3 1 100 5 * 4 20 15 * 5 0,4 250 0,3 150 1 0,2 100 0 0,1 50 Basal 3 Months 6 Months 9 Months FSH - PLACEBO LH - PLACEBO FSH - FINASTERIDE LH - FINASTERIDE Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI * 200 * * 0 0 Basal 3 6 9 tT - PLACEBO tT - FINASTERIDE Basal 3 6 9 DHT - PLACEBO DHT - FINASTERIDE Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI THERAPEUTIC OPTIONS Hirsutism Score in idiopathic hirsutism treated with placebo or FINASTERIDE Ciotta, Cianci ’95 (Fertil Steril) A Ovarian androgens production inhibitors ORAL CONTRACEPTIVES GnRH ANALOGUES 25 20 * 15 * B CIPROTERONE ACETATE FLUTAMIDE C 10 Androgens receptor antagonists 5-reductase inhibitors FINASTERIDE DUTASTERIDE 5 0 Basal 3 months 6 months Placebo 9 months Finasteride METFORMIN Clinical and Endocrine Parameters AGE (years) BMI (Kg/m2) LH (IU/l) FSH (IU/l) Oestradiol (pmol/l) Testosterone (nmol/l) 17OHP (nmol/l) Free Testosterone (pmol/l) Androstenedione (nmol/l) SHBG (nmol/l) Fasting insulin concentr. (pmol/l) AUCinsulin (pmol/l/min) 29 ± 4 28.3 ± 3.1 11.2 ± 1.4 5.3 ± 0.8 185 ± 38 2.2 ± 0.4 4.1 ± 05 43 ± 4 12 ± 3 64 ± 10 108 ± 24 65850 ± 11.220 Insulin sensiters METFORMIN ACARBOSE Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI Basal (n = 9) D After Metmorfin (n = 9) 28.1 ± 3.2 10.6 ± 1.9 5.6 ± 1 178 ± 45 2.1 ± 0.3 3.9 ± 0.4 35 ± 4* 11.4 ± 2.9 97 ± 15* 99 ± 34.8 45900 ± 8700* *P <0.05 versus basal Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI NEW PERSPECTIVES ? Clinical, endocrine and metabolic effects of ACARBOSE, an -GLUCOSIDASE INHIBITOR, in PCOS patients with increased insulin response and normal glucose tolerance Lilliana Ciotta, Aldo E. Calogero, Marco Farina, Vincenzo De Leo, Antonio La Marca, Antonio Cianci. HUMAN REPRODUCTION – Vol 16, No 10 pp. 2066-2072, 2001 Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI NEW PERSPECTIVES PRE Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI CONCLUSIONS INSULIN-SENSITIZERS AGENTS POST 3 MONTHS AGE (years) BMI (Kg/m2) HIRSUTISM SCORE ACNE/SEBORRHOEA SCORE LH (mIU/mL) FSH (mIU/mL) T (ng/dL) ANDROSTENEDIONE (ng/dL) DHEAS (mcg(dL) PRL 17-alphaOH-P (ng/dL) SHBG (nmol/L) INSULINOGENIC INDEX 20.6 ± 0.7 22.84 ± 0.52 20.93 ± 0.99 2.1 ± 0.15 10.0 ± 0.6 6.5.± 0.5 96 ± 3 249 ± 12 264.7 ± 15.6 8.5 ± 0.6 89 ± 6 41.1 ± 2.5 1.52 ± 0.09 22.57 ± 0.47 20.07 ± 0.93 1.13 ± 0.12* 6.6 ± 0.4* 5.7 ± 0.5* 54 ± 4* 182 ± 8* 252.7 ± 14.6 7.3 ± 0.4 75 ± 6 54.7 ± 1.7* 0.66 ± 0.03* OUR DATA CONFIRM THAT HYPERINSULINEMIA PLAYS A KEY PATHOGENETIC ROLE IN THE OVARIAN ANDROGEN OVERPRODUCTON OF PCOS REDUCTION OF HYPERINSULINEMIA AMELIORATE THE ANDROGEN EXCESS OF PCOS *P <0.05 versus basal Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI Microb & Gynecol Science Dept. UNIVERSITY OF CATANIA – Prof . A. CIANCI Obesità e ciclo mestruale Paolo Moghetti Sezione di Endocrinologia e Metabolismo Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgiche Università di Verona La nozione che il peso corporeo può influenzare la funzione riproduttiva femminile è ben consolidata. Già nel 1970 Frisch e Revelle avevano osservato che per una normale ciclicità mestruale era indispensabile una quantità critica di tessuto adiposo, anche se all‟epoca i meccanismi che potevano essere responsabili di questo fenomeno rimanevano oscuri. In una visione finalistica non appariva tuttavia sorprendente che fra gli adattamenti, sviluppati nel corso dell‟evoluzione, conseguenti ad uno stato di carenza di riserve energetiche vi potesse essere la messa a riposo della funzione riproduttiva, date le potenziali difficoltà che questa condizione può determinare in rapporto alle esigenze di una eventuale gravidanza. Oggi sappiamo che i meccanismi alla base delle alterazioni riproduttive spesso presenti nei soggetti con peso ridotto sono verosimilmente ascrivibili alla ridotta secrezione da parte del tessuto adiposo di leptina e altre adipochine. Questi ormoni giocano un ruolo chiave nell‟informare i centri superiori sullo stato di replezione energetica dell‟organismo. Studi epidemiologici più recenti hanno evidenziato che i disturbi della funzione riproduttiva presentano una relazione ad U con il BMI. La figura 1 riporta i risultati di un‟analisi condotta sull‟ampia coorte del Nurses‟ Health Study e mostra come il rischio di infertilità riconducibile a disturbi ovulatori sia maggiore nelle donne con valori di BMI inferiori a 18 kg/m 2 ma soprattutto in quelle con BMI aumentato e già a partire da valori ai limiti superiori della norma. Il fenomeno è comunque più evidente sopra i 30 kg/m2, raggiungendo nell‟obesità franca valori di rischio relativo circa 2 volte e mezzo superiori a quello della popolazione con peso normale. Se la presenza di una relazione fra funzione riproduttiva femminile ed eccesso ponderale è chiara, i meccanismi che sottendono questo fenomeno sono ancora controversi. Una spiegazione, almeno parziale, è data dalla possibile coesistenza di questi aspetti nell‟ambito della sindrome dell‟ovaio policistico (PCOS). L‟obesità è infatti un comune riscontro nelle pazienti con PCOS e questa condizione è tipicamente caratterizzata da oligo-anovulazione cronica. Anche se i dati epidemiologici sulla PCOS restano limitati dalla eterogeneità delle casistiche e dalle insufficienti dimensioni dei campioni esaminati, si stima che la prevalenza di obesità o sovrappeso in questi soggetti raggiunga valori intorno al 60%. Inoltre, anche nei soggetti con BMI normale vi è spesso un relativo eccesso di grasso viscerale. I meccanismi che legano eccesso ponderale a PCOS restano tuttavia ancora mal definiti e sono probabilmente molteplici. Queste pazienti sono spesso insulinoresistenti e una larga messe di dati indica che l‟insulinoresistenza, con l‟iperinsulinemia compensatoria che l‟accompagna, costituisce un importante meccanismo patogenetico alla base della sindrome. In questo contesto, l‟obesità potrebbe fungere da fattore facilitante l‟insulinoresistenza e attraverso questa determinare, in soggetti predisposti, le manifestazioni tipiche della PCOS - in primo luogo iperandrogenismo e disturbi ovulatori. Un„altra possibilità è che l‟eccesso di androgeni che caratterizza questi soggetti costituisca il meccanismo iniziale che favorisce un accumulo di adipe a livello centrale, con induzione secondaria di insulinoresistenza. La presenza, nelle ragazze obese, di aumentati livelli di testosterone e bassi livelli di SHBG già negli stadi precoci dello sviluppo puberale suggerisce che l‟eccesso di tessuto adiposo sia verosimilmente un meccanismo iniziale di questo processo. In ogni caso gli stretti legami che esistono fra questi aspetti possono rendere conto di un circolo vizioso che, qualunque sia il problema iniziale, tende a mantenere ed aggravare le diverse manifestazioni tipiche della sindrome. Nel caso dell‟obesità il ruolo svolto dalle adipochine nel determinare le alterazioni del ciclo mestruale e più in generale delle funzioni riproduttive resta ancora poco chiaro. E‟ stato esaminato il potenziale ruolo di leptina, adiponectina, resistina e di altri elementi di questa ampia categoria. Gli studi condotti in proposito non hanno finora dato risultati chiarificatori. Le nostre conoscenze su questo complesso sistema di regolazione ormonale restano peraltro ancora limitate. Non vi è dubbio che, indipendentemente dal suo ruolo primitivo o secondario, l‟obesità rappresenta in molte donne affette da PCOS un elemento clinico e fisiopatologico importante. Diversi recenti dati indicano che la presenza di obesità si associa a quadri di maggior gravità della sindrome. Inoltre nelle donne con PCOS obese sono più frequenti le alterazioni metaboliche che caratterizzano molte di queste pazienti. In particolare, il rischio di sviluppare precocemente alterazioni della tolleranza ai carboidrati (IGT o diabete tipo 2), ipertensione e altri aspetti della sindrome metabolica appare nettamente incrementato nelle pazienti con PCOS obese. E‟ verosimile che sia soprattutto in relazione a questi disordini metabolici che in tali soggetti sono più spesso presenti alterazioni di diversi indici precoci di potenziale maggior rischio cardiovascolare, come gli indici di flogosi cronica e di disfunzione endoteliale, anche se manca ancora la dimostrazione che tale rischio sia effettivamente aumentato in questa patologia. Va tenuto presente, in ogni caso, che l‟epoca della vita in cui le pazienti giungono al medico per gli aspetti tipici della PCOS è molto più precoce rispetto a quella in cui è verosimile possano svilupparsi le complicanze cardiovascolari. Inoltre, anche l‟iperandrogenismo è spesso più severo, in queste donne, in presenza di obesità. Le interrelazioni fra obesità, aspetti metabolici ed aspetti endocrini sono in ogni caso molto complesse. La figura 2 schematizza i risultati dell‟analisi delle componenti applicata agli aspetti caratteristici della sindrome dell‟insulinoresistenza in un campione di 255 donne iperandrogeniche. In questa analisi i diversi aspetti della sindrome dell‟insulinoresistenza risultano raggruppati in tre componenti principali, quella centrale, che contiene il BMI fra i suoi parametri, e quelle dell‟iperglicemia e dell‟ipertensione, legate a quella centrale rispettivamente attraverso l‟iperinsulinemia e l‟eccesso ponderale. Questi dati sono in accordo con quanto già osservato nella popolazione generale del Framingham Study. Includendo gli aspetti endocrini tipici della PCOS a questa analisi, si osserva una quarta componente, anch‟essa associata a quella centrale attraverso l‟iperinsulinemia. Ma i livelli di testosterone libero compaiono anche in altre componenti, a suggerire dei nessi molto complessi in questa patologia fra iperandrogenismo e alterazioni metaboliche. E‟ importante notare che tutti gli approcci che determinano calo ponderale, nelle donne obese con PCOS, dalla dieta ipocalorica, ai farmaci anti-obesità fino alla chirurgia bariatrica - nelle pazienti con obesità massiva, migliorano non solo gli aspetti metabolici ma anche quelli riproduttivi di queste pazienti, consentendo in molti casi il ripristino di cicli regolari e ovulatori e la riduzione dei livelli di testosterone. Inoltre, va ricordato che l‟efficacia della metformina e di altri strumenti terapeutici è ridotta e il rischio di complicanze di una eventuale gravidanza è aumentato nei soggetti con obesità grave. L‟approccio terapeutico alla PCOS deve quindi sempre comprendere il tentativo di correggere l‟eventuale eccesso ponderale. Fig. 1. Fig 2. Componenti della sindrome dell’insulinoresistenza in 255 donne iperandrogeniche Core Iperglicemia Ipertensione lipidi glicemia insulina BMI pressione testosterone testosterone testosterone 17OHP dopo GnRH-a PCOS Da Zanolin et al, Diabetes Care 2006 Sicurezza dell’HRT a basse dosi M.C.Musacchio, A. Delia, G. Morgante, V. De Leo Clinica Ostetrica e Ginecologica Università degli Studi diSiena Per terapia ormonale sostitutiva (Hormone replacement Therapy, HRT) si intende la somministrazione alla donna in menopausa degli ormoni che le gonadi femminili non sono più in grado di produrre in misura adeguata per la sua salute. I benefici di tale trattamento sono noti ormai da tempo e consistono nel contrastare i sintomi precoci e nell‟esercitare un‟azione preventiva sulle manifestazioni tardive da carenza estrogenica. Recentemente, tuttavia, la pubblicazione dei due ben noti studi WHI (Women‟s Health Initiative) e Million Women Study ha messo fortemente in dubbio l‟azione preventiva dell‟HRT sul sistema cardiovascolare e ha generato il timore di un impatto globale negativo sulla salute della donna, soprattutto per quanto riguarda il rischio di sviluppare il carcinoma della mammella, portando di fatto ad una drastica riduzione dell‟utilizzo della terapia ormonale sostitutiva (1,2). Per questo motivo l‟attuale orientamento è quello di trattare esclusivamente le pazienti con sintomi vasomotori o quelle affette da menopausa precoce, personalizzando la terapia con le dosi efficaci più basse possibili e per breve periodo, in modo da ridurre al massimo i rischi e gli effetti collaterali. D‟altra parte, sono ancora pochi gli studi che confermano l‟efficacia e la sicurezza e dell‟HRT a basse dosi. Alcuni autori hanno riportato risultati analoghi con 1 mg di E2 quanto con 2 mg nel ridurre i sintomi vasomotori e quelli urogenitali tipici del periodo post-menopausale (3,4). Inoltre, la terapia ormonale sostitutiva a basse dosi in associazione con calcio e vitamina D si è rivelata efficace anche nell‟incrementare la densità ossea a livello della colonna vertebrale e del collo del femore, riducendo in maniera significativa i markers di turnover osseo (4). Recentemente, un effetto preventivo sulla demineralizzazione ossea è stato riscontrato anche con dosaggi di HRT ultra-ridotti (0.014 mg/die) somministrata per via transdermica (5). Non sono ancora disponibili, tuttavia, studi che dimostrino una riduzione dell‟incidenza di fratture con la terapia ormonale a basse dosi. Buoni risultati sono stati ottenuti anche con la riduzione del dosaggio del tibolone (2.5 mg) sia sulla sintomatologia vasomotoria che sulla densità ossea. Dopo 6 mesi di terapia con tibolone 2.5 mg, infatti, è stata osservata una migliore densità ossea a livello delle vertebre lombari (6). L‟utilizzo dei dosaggi ormonali più bassi si è rivelato efficace anche nel ridurre l‟incidenza di alcuni effetti collaterali riscontrati con le dosi più alte, quali la mastodinia e le irregolarità mestruali (4,7). Per quanto riguarda l‟impatto del dosaggio della terapia ormonale sostitutiva sul carcinoma della mammella, alcuni autori, in passato, hanno indicato come tale rischio correlasse con il dosaggio degli estrogeni: più alto era il dosaggio, maggiore era il rischio (8). Studi più recenti, tuttavia, non hanno confermato questi dati (9,10). D‟altra parte, nel 2002 una metanalisi di 9 studi prospettici ha preso in considerazione 663 donne che hanno sviluppato il carcinoma della mammella e 1765 donne sane e ha riscontrato come il rischio di sviluppare questa neoplasia fosse significativamente più alto nelle donne con livelli plasmatici più alti di estrogeni endogeni e più basso in quelle che avevano i livelli più alti di SHBG (11). Il famoso studio WHI, pubblicato lo stesso anno, analizzava i dati ricavati dalla valutazione di 16.000 donne in postmenopausa metà delle quali sono state trattate con estroprogestinici (0.625 CEE + MPA 2.5 mg) e l‟altra metà trattate con placebo. Dopo 5 anni di trattamento lo studio segnalava un incremento significativo del rischio di sviluppare carcinoma della mammella nel gruppo trattato con E/P (RR: 1.24) (1). Il million Women study, pubblicato un anno più tardi, segnalava, invece, un RR di carcinoma della mammella in donne trattate con E/P pari a 1.45 per 1 anno di utilizzo e 1.74 per un periodo di utilizzo di 5 anni (2). Tali dati non mostravano differenze significative in relazione al diverso dosaggio di estrogeni utilizzato. Entrambi questi studi, tuttavia, presentavano dei limiti considerevoli: il WHI aveva arruolato donne in postmenopausa di età avanzata (età media 63 anni), con un BMI elevato (BMI medio 28.5 kg/m2); il million women study, invece, era uno studio osservazionale i cui dati erano stati raccolti attraverso un questionario, senza nessuna ulteriore valutazione di follow-up, e che aveva arruolato le donne in maniera del tutto casuale, includendo anche quelle con un‟alta prevalenza di fattori di rischio per tumore mammario. Queste considerazioni hanno portato ad interpretare con cautela le conclusioni tratte dagli autori, anche se non hanno impedito un atteggiamento più prudente nei confronti della prescrizione dell‟HRT. Recentemente, infine, è stato segnalato come la terapia ormonale a basse dosi determini un minor incremento della densità radiologica della mammella rispetto alle dosi più alte, facilitando la diagnosi precoce del carcinoma della mammella (12). Per quanto riguarda, invece, l‟impatto del dosaggio della terapia ormonale sostitutiva sulle patologie cardiovascolari, il WHI aveva segnalato un incremento del rischio di sviluppare malattia coronarica (RR 1.29), ictus (RR 1.41) e fenomeni tromboembolici (RR 2.11) in donne che assumevano 0.625 mg CEE + 2.5 mg MPA nei primi 5 anni di assunzione (1). Tali dati, tuttavia, riguardavano, come abbiamo visto, donne di età avanzata, per lo più obese o in sovrappeso, il 35% delle quali effettuava terapia antiipertensiva al momento dell‟arruolamento. Studi successivi non hanno indicato differenze significative nel rischio di patologie cardiovascolari per diversi dosaggi di CEE nell‟HRT (0.3, 0.625 e 1.125 mg di CEE) (13). Per quanto riguarda, invece, gli effetti sui fattori di rischio cardiovascolari, come le lipoproteine LDL e HDL, l‟HRT tradizionale riduceva significativamente i livelli di colesterolo LDL e incrementava quelli di colesterolo HDL. Alcuni studi hanno segnalato che anche i dosaggi più bassi di E2 (1 mg e 0.625 mg) determinano simili effetti benefici sull‟assetto lipidico, mentre un effetto trascurabile sembra essere esercitato dal dosaggio di 0.3 mg (4,14). Alcuni autori hanno affermato che esiste un periodo “finestra” ideale per la somministrazione dell‟HRT: quando quest‟ultima viene somministrata precocemente dopo la menopausa in donne senza aterosclerosi essa riduce il rischio di patologie cardiovascolari. Se invece viene somministrata più tardi, nelle donne più “anziane” con patologia aterosclerotica già in atto allora il rischio di sviluppare patologia cardiovascolare negli anni successivi è più alto (15,16). In conclusione, in attesa di ulteriori studi che comprovino la validità e confermino i risultati del WHI e del Million Women Study, l‟European Medicine Evaluation Agency conclude che la terapia ormonale sostitutiva può essere prescritta in pazienti in perimenopausa con considerevole sintomatologia vasomotoria e neurovegetativa, personalizzandola in relazione al principio attivo e alla modalità di somministrazione, utilizzando il dosaggio efficace più basso possibile e controllandola periodicamente. Bibliografia 1) Writing Group For The Women‟s Health Initiative Investigators. Risks and benefits of estrogen plus progestin in healthy postmenopausal women: principal results from the women‟s health initiative rendomized controlled trial. 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Cause ipotalamiche Amenorrea psicogena E‟ tipica delle ragazze giovani e sottoposte a stress cronico. E‟ un‟amenorrea secondaria conseguente ad una insufficiente produzione di GnRH ipotalamico con conseguente ridotta produzione di gonadotropine ipofisarie, senza lesioni organiche a carico dell‟asse ipotalamo-ipofisiovaio. Ne consegue spesso una difettosa maturazione follicolare e quindi anovulazione. Il ripristino della serenità psicologica o il cessare dell‟evento stressante in genere portano al ripristino del ciclo mestruale. In questo gruppo rientrano anche le forme di amenorrea causate da stress fisico (sport, danza) e da stress metabolico (dimagrimento, anoressia). In funzione dell‟età precoce di inizio di tali disturbi e/o attività stressogena l‟amenorrea potrà essere anche primaria. Anoressia nervosa E‟ un disordine psico-neuro-endocrino che colpisce giovani ragazze sotto i 25 anni, di classe sociale medio-alta, con personalità spesso introverse e complesse. L‟amenorrea si manifesta durante una dieta con perdita di peso ed è di tipo secondario. Il quadro neuroendocrino è caratterizzato anche in questo caso da un‟alterato rilascio di GnRH e di gonadotropine. Il recupero del peso entro i limiti accettabili risolve generalmente l‟amenorrea, anche se la terapia dell‟anorressia nervosa è molto complessa e deve essere fondamentalmente di tipo psicologico/psichiatrico. Cause ipofisarie Adenomi ipofisari prolattino-secernenti e sindromi iperprolattinemiche Definizione e patogenesi L‟amenorrea iperprolattinemica è un tipo di amenorrea che in circa il 50% dei casi si associa a galattorrea, cioè alla secrezione spontanea dal capezzolo di una secrezione lattiginosa al di fuori del periodo dell‟allattamento. E‟ necessario ricordare tutte quelle cause fisiologiche di iperprolattinemia che è importante escludere al fine di una corretta diagnosi. Oltre che in gravidanza e durante l‟allattamento, ci sono infatti altre situazioni quali il sonno, l‟esercizio fisico, lo stress, la suzione del capezzolo e l‟attività sessuale, che possono fisiologicamente determinare iperincrezioni di prolattina. Essa può avere diversi substrati etiopatogenetici: può essere causata sia da tumori dell‟ipofisi (adenomi prolattino-secernenti), sia da una serie di fattori non neoplastici quali l‟ipotiroidismo, la cirrosi epatica e l‟assunzione di alcuni farmaci. Tra i farmaci iperprolattinemici occorre ricordare alcuni antidepressivi, antiemetici, antistaminici e ipotensivi, capaci di agire sul sistema nervoso centrale provocando una ridotta produzione di dopamina o il blocco del suo recettore, che a sua volta determina un aumento di prolattina ipofisaria. L‟iperprolattinemia riduce la produzione di FSH ed LH, con conseguente diminuizione della steroidogenesi ovarica ed amenorrea. L‟iperprolattinemia però si associa, oltre che all‟amenorrea, anche a turbe più generali della sfera riproduttiva come l‟anovulazione e la sterilità. Diagnosi Il problema principale consiste nella diagnosi differenziale delle iperprolattinemie tumorali da quelle funzionali. In tutti i casi è dunque necessario dosare la prolattina plasmatica con metodica radioimmunologica, effettuando sia un dosaggio basale, sia un prelievo dopo 30 minuti, in modo da eliminare gli errori dovuti allo stress del prelievo stesso. In presenza poi di valori di prolattina persistentemente elevati (> 60 ng/ml), dopo aver escluso un ipotiroidismo con il dosaggio di TSH, fT3 ed fT4, verrà eseguita una TAC o una RM della sella turcica nei casi in cui la paziente presenti cefalea e emianopsia bitemporale secondari a compressione del chiasma ottico. Terapia La terapia etiologica avrà lo scopo di eliminare la causa dell‟iperprolattinemia. Questo obiettivo può essere facilmente raggiunto nell‟ipotiroidismo, con un opportuno trattamento sostitutivo e nelle forme iatrogene, interrompendo l‟assunzione del farmaco responsabile. Nei casi di microadenomi ipofisari la terapia medica si fa preferire alla terapia chirurgica che invece risulta elettiva nei casi di macroadenomi con compressione del chiasma ottico e cefalea. La terapia medica è basata sull‟utilizzo di alcuni farmaci derivati dalla segale cornuta, dotati di attività agonista sui recettori della dopamina (bromocriptina e cabegolina). Questi farmaci sono in grado di inibire la sintesi ed il rilascio di prolattina agendo sia a livello ipotalamico, sia a livello ipofisario; inoltre, grazie alla loro capacità di inibire l‟attività mitotica delle cellule lattotrope, risulta molto efficace nel ridurre le dimensioni dell‟adenoma stesso. Cause ovariche Sindrome dell‟ovaio policistico (PCOS) Definizione ed epidemiologia Può essere considerato il più comune disturbo endocrino femminile interessando più del 10% delle donne in età riproduttiva. Patognomoniche di questa sindrome sono l‟iperandrogenismo e l‟anovularietà cronica. Dal punto di vista endocrino nella PCOS si assiste alla produzione aumentata di ormoni steroidei da parte dell‟ovaio in risposta alle gonadotropine; queste pazienti hanno un iprandrogenismo LH dipendente e una diminuzione della dismissione di FSH da parte dell‟ipofisi: questo si traduce in una non adeguata maturazione follicolare ; l‟aumentato livello sierico di LH induce inoltre una iperplasia delle cellule della teca dell‟ovaio favorendo l‟eccesso della secrezione di androgeni ovarici. Le pazienti affette da PCOS presentano inoltre un elevato livello plasmatici di estrogeni a causa della aumentata conversione periferica dell‟androstenedione circolante prodotto in eccesso in estrone. Diagnosi Le manifestazioni cliniche possono essere variamente associate e con diversa frequenza; sono la sterilità o infertilità da mancanza di ovulazione, l‟irsutismo che compare in genere in età perimenarcale e che si rileva nel 65% dei casi, l‟obesita che si rileva nel 40% dei casi, le alterazioni mestruali tra cui la più frequente è l‟oligoamenorrea , l‟acne che compare in età perimenarcale per poi aggravarsi, la virilizzazione che è più frequente nelle forme a componente surrenalica. L‟esame clinico evidenzia in queste pazienti i segni dell‟iperandrogenismo, ma per una corretta diagnosi è necessario ricorrere all‟ecografia ovarica e ad alcuni esami di laboratorio: all‟esame ecografico si rilevano ovaie di volume aumentato con presenza di almeno dieci piccoli follicoli di diametro compreso tra 2 e 8 mm distribuiti prevalentemente in periferia. Gli esami di laboratorio mostrano: 1. elevati livelli sierici di LH con aumento della pulsatilità 2. concentrazioni di FSH normali o ridotte (rapporto LH/FSH 2.5) 3. E2 normale o aumentato 4. iperprolattinemia (nel 15% dei casi i livelli di prolattina solo modicamente aumentati) 5. livelli circolanti di androgeni aumentati (androstenedione, DHEA). Come tutte la patologie in cui la causa è sconosciuta, non esiste per la PCOS una terapia eziologia ma solo l‟obiettivo di regolarizzare i cicli mestruali, curare la sterilità, curare i segni clinici di iperandrogenismo. Terapia Per correggere i segni dell‟iperandrogenismo, sono utilizzati: - lo spironolattone riduce la sintesi degli androgeni a livello ovario oltre ad avere un effetto ipotensivo e diuretico; - il ciproterone acetato, la finasteride e la flutamide vengono usati in pazienti con assetto epatico normale. Per la correzione dei disturbi del ciclo mestruale si ricorre generalmente ad un estroprogestinico. Il farmaco di scelta per l‟induzione dell‟ovulazione in queste pazienti è attualmente il clomifene citrato; vengono usati anche ipoglicemizzanti orali come la metmorfina. Cause uterine Malformazioni congenite La forma più grave è la Sindrome di Rokitansky- Kuster- Hauser che è caratterizzata dalla presenza di ovaie normali, corni uterini atresici generalmente senza cavità e aplasia vaginale in assenza di alterazioni del cariotipo e di alterazioni dello sviluppo dei caratteri sessuali secondari. Possono essere presenti anche malformazioni dell‟apparato urinario. La funzione ovarica di queste pazienti è normale e la diagnosi definitiva viene posta generalmente con l‟esame ecografico e con la laparoscopia solo nei casi dubbi. La terapia in queste pazienti è chirurgica e mira a permettere alla donna di avere rapporti sessuali. Sinechie e aderenze intrauterine La forma più conosciuta di disturbi mestruali da causa acquisita uterina è la Sindrome di Asherman che è caratterizzata dalla presenza di sinechie o aderenze che tendono ad obliterare in maniera più o meno completa la cavità uterina. Le aderenze sono per lo più conseguenza di raschiamenti ripetuti oppure stati di endometrite sia di tipo tubercolare che favoriti dalla presenza in cavità uterina di dispositivi intrauterini a scopo contraccettivo. La sintomatologia varia a seconda della sede delle sinechie e comprende dismenorrea, oligomenorrea, ipomenorrea. La diagnosi di certezza viene raggiunta tramite l‟isterocopia che può anche permettere di procedere alla eliminazione delle sinechie in maniera mirata. Tabella 1: Classificazione delle amenorre in base alle cause 1. Cause ipotalamiche Amenorrea psicogena e da stress cronico - Funzionali Anoressia nervosa - Organiche Neoplasie e traumi ipotalamici Sindrome di Kallman o displasia olfatto-genitale 2. Cause ipofisarie Adenomi ipofisari prolattino secernenti e sindromi iperprolattinemiche Necrosi ipofisaria o Sindrome di Sheehan Sindrome della sella vuota 3. Cause ovariche Sindrome dell‟ovaio policistico Menopausa precoce e sindrome dell‟ovaio resistente Disgenesie gonadiche Neoplasie ovariche ormono secernenti 4. Cause uterine Malformazioni congenite (Sindrome di Rokitansky-Kuster-Hauser) Sinechie congenite o acquisite (Sindrome.di Asherman) 5. Cause vaginali Agenesia/atresia vaginale e sindromi polimalformative Imene imperforato 6. Cause extragenitali Sindrome di Cushing Epatopati Ipo-ipertiroidismo Diabete Alterazioni ponderali (obesità e magrezze) Scompenso cardiaco TERAPIA PROGESTINICA ED ESTROPROGESTINICA PER IL DOLORE PELVICO ASSOCIATO AD ENDOMETRIOSI Raffaella Daguati* M.D. Edgardo Somigliana* M.D., Ph.D. Paola Viganò* Ph.D. Paolo Vercellini* M.D. *Clinica Ostetrica e Ginecologica, Istituto „Luigi Mangiagalli‟, Università di Milano Corrispondenza: Paolo Vercellini Clinica Ostetrica e Ginecologica II, Istituto Luigi Mangiagalli Università di Milano Via Commenda12, 20122 Milano Tel: +39.02.5503.2917; Fax: +39.02.5503.233; e-mail: [email protected] ABSTRACT: E‟ stata eseguita una ricerca bibliografica per identificare tutti gli studi pubblicati in lingua Inglese sull‟utilizzo dei progestinici per il trattamento dell‟endometriosi. Lo scopo dello studio é di chiarire il razionale biologico del trattamento e definire quali farmaci possono essere utilizzati, i loro dosaggi, le vie di somministrazione, la loro efficacia e tollerabilità. I progestinici sono in grado di prevenire l‟impianto e la crescita dell‟endometrio regurgitato inibendo l‟angiogenesi e l‟espressione delle metalloproteinasi, inoltre hanno proprietà anti-infiammatorie in grado di ridurre lo stato infiammatorio creato dall‟attività metabolica dell‟endometrio ectopico e la conseguente risposta immune. I contraccettivi orali aumentano la bassa attività apoptotica dell‟endometrio delle donne con endometriosi. Inoltre, attraverso lo stabilirsi di cicli anovulatori, amenorrea, decidualizzazione e di un clima estro-progestinico stabile contribuiscono alla quiescenza della malattia. I progestinici sono efficaci nel controllo della sintomatologia dolorosa in circa tre donne su quattro con endometriosi e la loro efficacia non sembra essere inferiore a quella ottenuta delle altre terapie usate solitamente per questa patologia. Formulazioni diverse possono essere somministrate per via orale, intramuscolare, sottocutanea, intra-vaginale o intra-uterina, ognuna con specifici vantaggi e svantaggi. Il trattamento medico gioca un ruolo importante nella strategia terapeutica delle pazienti con endometriosi solo se somministrato per un lungo periodo di tempo. Data la loro buona tollerabilità, bassi costi, e scarsi effetti metabolici i progestinici devono essere considerati come terapia di scelta ed attualmente rappresentano l‟unica alternativa sicura ed efficace alla chirurgia. Tuttavia, la loro efficacia contraccettiva limita il loro utilizzo a donne che non desiderano gravidanze a breve termine Il ruolo della laparoscopia nel trattamento medico dell'endometriosi deve essere radicalmente rivisto. Infatti, l'osservazione diretta della pelvi non è essenziale prima dell'inizio di terapie, in quanto la diagnosi non-chirurgica si è dimostrata sufficientemente affidabile. Le linee guida dell'American College of Obstetricians and Gynecologists così come quelle del Royal of Obstetricians and Gynaecologists suggeriscono che in assenza di masse annessiali, combinazione estro-progestiniche possono essere assunte senza il bisogno di eseguire una laparoscopia preliminare. In conclusione, l'esperienza dimostra che una seconda laparoscopia non è importante sia dal punto di vista clinico che dal punto di vista sperimentale perchè serve solo ad appurare ciò che è inevitabile: non abbiamo bisogno della laparoscopia per sapere che gli impianti endometriosici sono "sopravissuti" alla terapia medica. L'endometriosi non è una patologia maligna e l'uso sistematico di un follow-up laparoscopico dovrebbe essere rimosso dalla pratica clinica. REFERENCES 1.Vercellini P, Fedele L, Pietropaolo G, Frontino G, Somigliana E, Crosignani PG. Progestogens for endometriosis: forward to the past. Hum Reprod Update 2003;9:387-96. 2. Olive DL, Pritts EA. Treatment of endometriosis. N Engl J Med. 2001;345:266-75. 3. Harrison RF, Barry-Kinsella C.Efficacy of medroxyprogesterone treatment in infertile women with endometriosis: a prospective, randomized, placebo-controlled study. Fertil Steril 2000;74:2430. 4. Bergqvist A, Theorell T. 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Introduzione La fibromatosi uterina o leiomiomatosi rappresenta il più comune tumore benigno delle cellule muscolari lisce del miometrio. Si ritrova in circa il 20-40% delle donne in età fertile, può essere unico, ma molto spesso si tratta di formazioni multiple. I leiomiomi sono classificati in base alla loro localizzazione nell‟utero: 1) sottosierosi, localizzati sotto la sierosa uterina, peduncolati o sessili; 2) intramurali si ritrovano nello spessore miometriale ; 3) sottomucosi, localizzati sotto la mucosa uterina, sessili o peduncolati. I tumori sottosierosi ed intramurali rappresentano la maggior parte (95%) dei leiomiomi; il rimanente 5% è rappresentato dai sottomucosi. I fibromi si sviluppano spesso come masse pelviche subcliniche e la loro sintomatologia è piuttosto varia. Le donne affette da fibromatosi lamentano: menorragia, forti dolori addominali, incontinenza urinaria, costipazione e disturbi dell‟alvo. Possono inoltre rappresentare una causa di ridotta capacità riproduttiva e di complicanze della gravidanza. La presenza del fibroma uterino è sospettata sulla base di una visita ginecologica bimanuale che riveli un utero aumentato di volume, fisso, a superficie irregolare e consistenza duro-fibrosa. Gli ultrasuoni confermano il sospetto. La progressione verso il leiomiosarcoma maligno è rara. 2.Il trattamento della fibromatosi uterina Ad oggi esistono numerose soluzioni a questo tipo di patologia, sia chirurgiche che mediche. Le tecniche chirurgiche vanno dalla classica laparotomia con miomectomia sino alla isterectomia totale; un nuovo approccio chirurgico è rappresentato dalla laparoscopia con la quale è possibile ottenere lo stesso risultato finale della laparotomia con minore ospedalizzazione e rapido ritorno alla normale vita di relazione. L‟accesso vaginale, utilizzabile quando i leiomiomi non sono di grosso volume, ha gli stessi risultati chirurgici di quello addominale. I leiomiomi sottomucosi possono essere rimossi con resezione isteroscopica. In fase di sperimentazione ci sono i cosiddetti metodi alternativi, come la miolisi e l‟embolizzazione dell‟arteria uterina, che potrebbero rappresentare ulteriori opzioni terapeutiche se offrissero sicurezza ed efficacia in un follow-up a lungo termine. La terapia medica risulta meno invasiva, ma il risultato finale non è sempre buono, in quanto i leiomiomi possono ritornare alle dimensioni pre-trattamento La crescita del fibroma uterino si ferma e regredisce dopo la menopausa, quando i livelli di ormoni sessuali circolanti scendono, suggerendo una loro dipendenza dagli ormoni ovarici, anche se il loro meccanismo d‟azione non è stata ancora completamente chiarito. Gli estrogeni hanno ricevuto particolare attenzione come fattore principale dello sviluppo dei fibromi uterini. I recettori estrogenici(ER) α e β, sono presenti nei fibromi così come nel normale tessuto uterino. L‟espressione degli ER α è maggiore nel tessuto leiomiomatoso rispetto a quello normale adiacente, e ciò si verifica durante tutto il ciclo mestruale. L‟espressione degli ER β, invece, è la stessa o anche inferiore rispetto al tessuto miometriale normale. L‟attività di stimolo esercitata dal progesterone è ancora oggetto di studio anche se sono evidenti i risultati di riduzione del volume dei miomi con farmaci antiprogestinici invece, non è stata ancora completamente chiarita. I principali trattamenti ormonali tendono alla soppressione della secrezione degli ormoni sessuali ovarici (menopausa iatrogena). Analoghi del GnRH Tutti gli analoghi agonisti del GnRH (GnRHa) esplicano la loro azione attraverso una “down regulation” dei recettori ipofisari del GnRH con drastiche riduzioni di LH e FSH e di conseguenza della secrezione di ormoni gonadici e sulla maturazione di gameti. L‟attività degli GnRHa è utilizzata per la completa eliminazione degli effetti stimolatori degli ormoni gonadotropi e\o gonadici, sul sistema riproduttivo o su tessuti patologici. Sono formulate vie di somministrazione intranasale o iniezioni intramuscolari o sottocutanee a lento rilascio. Il regime di terapia più frequente prevede la somministrazione del farmaco per 3 mesi, con iniezioni mensili ripetibili alla ricorrenza dei sintomi. Il marcato ipoestrogenismo, indotto dai GnRHa, produce una significativa riduzione del volume del fibroma uterino in una percentuale di casi compresa tra il 35% e il 65% con studi condotti a doppio-cieco con placebo. Gli effetti collaterali del farmaco sono soprattutto i sintomi vasomotori (vampate di calore), l‟insonnia, la variabilità d‟umore, la cefalea e la secchezza vaginale. Nei casi in cui il trattamento si prolunghi nel tempo, la perdita di osso è un effetto collaterale di frequente riscontro. L‟aggiunta di ormoni steroidei al GnRHa (add-back therapy) è stata adoperata per minimizzare gli effetti collaterali legati al GnRHa, come le vampate di calore, le variazioni delle lipoproteine e la perdita di osso. Basse dosi di estrogeni inibiscono i sintomi menopausali senza stimolare la crescita dei miomi uterini. GnRH ANTAGONISTI Gli antagonisti possono offrire vantaggi sugli analoghi del GnRH (GnRHa). L‟impiego dell‟antagonista produce la desensibilizzazione delle gonadotropine con occupazione competitiva del recettore LH-RH, con immediata riduzione dei livelli di LH e FSH e la conseguente riduzione dei livelli di E2, che potrebbero portare ad un miglioramento dell‟emorragia e restringimento delle dimensioni dell‟utero, particolarmente nei miomi sottomucosi. La massima riduzione è stimata entro 14 gg di trattamento, più breve di quella ottenibile con il GnRHa. Anche la funzionalità ovarica può essere ripristinata molto più velocemente. Nei casi si reazioni di intolleranza locale si dovrebbero prescrivere analoghi e non antagonisti. Danazolo L‟efficacia di un trattamento di danazolo a breve termine per la fibromatosi uterina è un‟osservazione ben riconosciuta. .Il danazolo è un progestinico ben assorbito per via orale, con un‟emivita di circa 15 ore nell‟uomo, descritto come un “androgeno selettivo”. Il danazolo metabolizza, per buona parte, per via epatica, riportando da lieve a moderato danno epatocellulare in molte pazienti. E‟ dunque sconsigliato in presenza di disfunzione epatica. I maggiori effetti collaterali della terapia con danazolo sono, in ordine di frequenza: aumento del peso, edema, riduzione del volume mammario, acne, cute grassa, irsutismo, cambiamento del tono di voce, cefalea, vampate di calore, modificazioni della libido, crampi muscolari. Più dei ¾ delle pazienti va incontro a 1 o più di tali effetti collaterali, anche se è difficile che venga interrotta la terapia per tale motivo (400-800 mg/die). I risultati sono buoni ma sono molti anche gli effetti collaterali. Gli effetti del danazolo sul volume uterino sono inferiori o simili a quelli degli agonisti del GnRH o del mifepristone, escludendolo quindi, come prima scelta. Il danazolo offre una buona alternativa ai GnRHa nelle donne ad alto rischio di osteoporosi, per le quali è necessario evitare uno stato di ipoestrogenismo. Inoltre, il danazolo potrebbe essere prescritto dopo una terapia di 3 mesi con GnRHa, per mantenere più a lungo gli effetti terapeutici. Utile anche l‟utilizzo del danazolo per via vaginale per ridurre l‟entità degli effetti collaterali, mantenendo le capacità terapeutiche a dosi minori (200-400 mg/die). Gestrinone Il gestrinone è uno steroide trienico, con proprietà antiestrogeniche e antiprogestiniche, è un derivato sintetico dell‟etinil-nor-testosterone, riduce il volume dell‟utero e ferma le emorragie. Inoltre,i benefici sono prolungati nel tempo. La somministrazione è di 2.5-5 mg (per os o ovuli vaginali), 2-3 volte la settimana. In molte donne il gestrinone induce amenorrea anche per tutta la durata della terapia. Sono stati riferiti alcuni effetti collaterali, reversibili, associati alla lieve androgenicità, come l‟aumento di peso, seborrea e acne. Meno comuni l‟irsutismo, raucedine, e aumento della libido, che coinvolgono solo il 10-20% delle pazienti e dipendono dalla dose e durata del trattamento. Sono possibili anche alterazioni dei livelli di colesterolo LDL. Nell‟89% dei casi, dopo una terapia di un anno, le dimensioni dell‟utero si sono mantenute ridotte per 18 mesi dopo la fine del trattamento. Non sono stati riscontrati effetti collaterali sulla densità ossea. Antiprogestinici (RU 486) RU486, o mifepristone, è uno steroide sintetico con attività antiprogestinica e antiglucocorticoidea. E‟ il primo antiprogestinico che abbia un reale utilizzo clinico, e la maggior parte degli studi su questa nuova classe di farmaci si è basata sull‟uso di RU486. Sarebbe particolarmente utile possedere un antiprogestinico puro, per quelle patologie che richiedono un lungo tempo di somministrazione, come l‟endometriosi e il leiomioma, anche se in questi casi l‟effetto antiglucocorticoideo non è necessario, e forse dannoso. Gli antagonisti potrebbero agire bloccando la funzionalità recettoriale in molti punti. Il meccanismo con il quale RU486 produce una modificazione di volume del leiomioma è ancora sconosciuto. L‟effetto del RU486 sul flusso sanguigno potrebbe essere mediato dalle sue stesse attività antiprogestiniche e antiglucocorticoidee, o essere imputato ad altri fattori sconosciuti. I dati sulla tollerabilità del mefipristone sono stati ottenuti da studi riguardanti gli effetti abortivi del farmaco. Quando presenti, gli effetti collaterali includono nausea, vomito, dolore addominale, e stanchezza. I pochi studi disponibili sul trattamento con mifepristone, rivelano una buona efficacia e molti di loro individuano un simile comportamento, nella riduzione delle dimensioni dell‟utero, con gli analoghi del GnRH. Modulatori selettivi dei recettori del progesterone (SPRM) I SPRM hanno proprietà di agonitsa ed antagonista del progesterone a seconda del tessuto bersaglio. Ci sono tre diversi tipi di recettori del progesterone a livello intracellulare: α (α omodimero), β (β omodimero) and αβ (α-β-recettore eterodimero). Ognuno dei SPRM ha una diversa affinità in relazione alle isoforme dei recettori. I SPRM hanno evidenziato un‟azione antiproliferativa diretta sull‟endometrio spesso dose dipendente. A livello cellulare, il progesterone induce la crescita delle cellule leiomiomatose, come suggerito dall‟aumento dell‟espressione dei markers di proliferazione durante la fase luteale. L‟azione del progesterone sembra mediata da EGF o IGF-I e attraverso i recettori dell‟estradiolo; inibisce l‟apoptosi in colture di cellule leiomiomatose e quindi può contribuire alla crescita del mioma. Queste caratteristiche dei SPRM giustificano il loro uso nel trattamento dei miomi uterini. E‟ interessante notare che il loro uso non è associato ad ipoestrogenismo e perdita di osso. STRATEGIE FUTURE Somatostatina Lanreotide (30 mg) è un analogo della somatostatina a lungo effetto, ha mostrato una riduzione spontanea della secrezione di GH in soggetti sani. E‟ stato sperimentato in 7 donne con miomi uterini. Dopo 3 mesi di terapia è stata stimata ,ecograficamente, una riduzione significativa del volume, sia uterino, che del leiomioma, mantenedosi anche a distanza di 3 mesi dalla sua interruzione. Lo studio dell‟RNAm di recettori dell‟ormone della crescita (GH) nel miometrio e nei miomi, ha permesso di ipotizzare un possibile ruolo del GH nello sviluppo dei fibromi. E‟ probabile che i maggiori effetti anabolici del GH siano mediati da fattori come l‟insulin-like growth factors (IGFs) e la Somatomedina e che siano prodotti non solo del fegato ma anche di molti altri tessuti IGF-I e i suoi recettori sono stati ritrovati sia nel miometrio che nel leiomioma., ma è in quest‟ultimo che è stata evidenziata maggiore espressione. SERM I selective estrogen receptor modulator (SERM) sono modulatori selettivi dei recettori estrogenaci e rappresentano una nuova classe di farmaci, utilizzata nella osteoporosi postmenopausale. Essi si legano ai recettori estrogenici e mostrano attività agonista o antagonista tessuto-specifica. Raloxifene e tamoxifene, possono inibire l‟attività stimolatoria degli estrogeni e aumentare l‟espressione dei recettori progestinici. Quindi, agendo come antagonisti estrogenici sul tessuto miometriale, questa classe di farmaci è ritenuta utile nel trattamento d‟importanti patologie ginecologiche. Tali farmaci, impiegati per un anno, hanno mostrato una significativa riduzione dell‟incidenza di fibromi uterini nel 40-60% dei casi e una riduzione del volume di quelli già esistenti. Il trattamento con SERMs è stato spesso associato alla formazione di cisti ovariche, modificazioni endometriali e sintomi come vampate di calore e vertigini, occasionali crampi muscolari, nausea e gastralgia. Questi dati pongono dunque il raloxifene tra i farmaci più efficaci nelle donne in post-menopausa affette da miomatosi uterina. CONCLUSIONI Le recenti conoscenze sulla fisiopatologia dei miomi uterini confermano il ruolo degli ormoni steroidei e dei fattori di crescita sulla loro genesi ed evoluzione. Si stanno sperimentando nuove strategie per modulare selettivamente l‟azione degli estrogeni e del progesterone. La perdita di controllo di alcuni geni specifici sul tessuto miomatoso, offre un nuovo spunto di ricerca su strategie farmacologiche per una terapia genica e per la prevenzione. Inibire l‟azione dei fattori di crescita sul miometrio sarà l‟obiettivo delle terapie future. Anche gli analoghi della somatostatina e l‟interferone hanno riscontrato successo ma non sono stati sperimentati ancora a sufficienza Tutti questi risultati suggeriscono che il futuro trattamento non chirurgico dei leiomiomi uterini sarà indirizzato verso il blocco di specifici fattori di crescita che regolano la proliferazione e la produzione di collagene nelle cellule muscolari lisce uterine Sono questi i presupposti per rafforzare la terapia non chirurgica dei leiomiomi. Aborto spontaneo ricorrente A. Caruso, S. De Carolis, S. Garofalo, A. Botta. Università Cattolica del Sacro Cuore. Roma INTRODUZIONE L‟aborto ricorrente è definito come la presenza di 3 o più eventi consecutivi, ma il termine viene oggi utilizzato anche per definire una coppia con 2 o più aborti spontanei consecutivi. L‟incidenza di donne con aborto ricorrente è aumentata negli ultimi decenni; attualmente essa si aggira intorno al 3 %, rispetto allo 0.8-1 % circa, riferito negli anni passati. Il rischio che possa ripetersi un aborto spontaneo successivo é pari al 13.5 % dopo 1 episodio, al 24.4 % dopo 2 episodi e al 33.1 % dopo 3 episodi. Diverse condizioni materne, cliniche o sub-cliniche, possono essere individuate quali fattori eziologici di aborto ricorrente; tuttavia, circa la metà dei casi rimane ancora inspiegata o “sine causa”. CAUSE GENETICHE. Nelle coppie con aborto ricorrente la prevalenza di un genitore portatore di riarrangiamento bilanciato (traslocazione reciproca e robertsoniana, inversione) è stimata intorno al 3-5%, con una diretta proporzionalità tra il numero di aborti spontanei e la frequenza di riarrangiamenti cromosomici parentali (1,2, 3). CAUSE INFETTIVE. Non sono riportati dati convincenti riguardo al ruolo delle infezioni delle vie genito-urinarie nell‟eziopatogenesi dell‟aborto spontaneo ricorrente. La terapia antibiotica non sembra influenzare l‟andamento della gravidanza in donne con storia di poliabortività CAUSE ANATOMICHE. Anomalie congenite uterine. Le più comuni anomalie congenite uterine sono dovute a difetti di fusione durante l’embriogenesi. E’ stato riferito in letteratura che il 10-30% delle donne con aborto spontaneo ricorrente possa presentare anomalie congenite dell’utero. Tale patologia si associa più frequentemente alle perdite fetali del II trimestre di gravidanza. Anomalie acquisite. I leiomiomi uterini sono da considerarsi causa non frequente di aborto ricorrente; i miomi sottomucosi ed intracavitari sono ritenuti una possibile causa di perdite fetali ricorrenti. L’incontinenza cervicale é ritenuta responsabile di circa il 16% degli aborti spontanei del secondo trimestre. CAUSE ENDOCRINE. Deficit della fase luteale. Si ritiene che nelle donne con deficit della fase luteale il corpo luteo produca una quantità di progesterone insufficiente a preparare l‟endometrio all‟impianto; questo potrebbe dipendere da un eccesso di ormone luteinizzante o anche da uno stato iperandrogenico. Attualmente il deficit della fase luteale è ritenuto responsabile di aborto spontaneo ricorrente in una percentuale variabile tra il 10 ed il 40 % (4). Distiroidismi. E‟ oggi ritenuto poco probabile un nesso tra distiroidismi e patologia abortiva. E‟, tuttavia, auspicabile un ottimo controllo della funzionalità tiroidea prima di affrontare una gravidanza. La presenza di anticorpi antitiroide (anti-tireoglobulina, anti-perossidasi tiroidea) identificati durante la gravidanza iniziale o immediatamente dopo, si associa ad un rischio aumentato di perdite fetali. Essi rappresentano tuttavia un marker di insuccesso riproduttivo (5). Sindrome dell’ovaio policistico (PCO).Tale sindrome è stata più spesso correlata a condizioni di sterilità, piuttosto che di abortività ricorrente, tuttavia la sindrome dell‟ovaio policistico, diagnosticata con esame ecografico (8, 9), é stata riscontrata nel 36-56 % delle donne con storia di aborto ricorrente, percentuale significativamente più elevata del gruppo di controllo. Diabete mellito. E‟ da escludere un nesso tra abortività ricorrente e diabete, se non nelle forme più gravi e scompensate, che sono poco frequentemente osservate in gravidanza, grazie ad un più diffuso “compenso pre-concezionale”(6). Nelle donne con poliabortività l‟esecuzione di una curva da carico con 75 g di glucosio può essere ritenuta opportuna qualora si sospetti una intolleranza glucidica (ad es. familiarità per diabete, obesità, PCO, sospetta sindrome da insulino-resistenza etc.). TROMBOFILIE CONGENITE. Gli stati trombofilici sono un gruppo di disordini genetici della cascata della coagulazione che comportano un rischio aumentato di trombosi. Le principali condizioni trombofiliche sono il deficit di proteina C anticoagulante, il deficit di proteina S anticoagulante, il deficit di antitrombina III, la positività per il fattore V Leiden e la resistenza alla Proteina C attivata, la mutazione G20210A del gene della protrombina, l‟iperomocisteinemia. Numerose segnalazioni suggeriscono l‟associazione tra le trombofilie congenite e complicanze ostetriche, tra cui l‟aborto ripetuto (7,8,9, 10). Una recente metanalisi (10) ha evidenziato che il Fattore V Leiden, la resistenza alla Proteina C attivata e la mutazione G20210A del gene della Protrombina, sono associate all‟abortività ricorrente del 1° trimestre, mentre il Fattore V Leiden, la mutazione G20210A della Protrombina, e il deficit di Proteina S si associano alle perdite fetali tardive non ricorrenti. A. CAUSE AUTOIMMUNI. Alcune malattie autoimmuni, come il Lupus eritematoso sistemico (LES) e la sclerodermia sistemica progressiva, possano essere associate con un‟aumentata incidenza di aborto ricorrente e di perdite fetali. B. La sindrome da anticorpi antifosfolipidi è una causa certa di poliabortività (11-12) . E‟ stata riscontrata occasionalmente una percentuale significativa (circa 15%) di positività per gli ANA in donne con poliabortività (13). Si é osservato che, in assenza di trattamento specifico, l’esito delle gravidanze è lo stesso sia nelle donne ANA positive che in quelle ANA negative. L‟aborto ricorrente può essere una prima manifestazione della malattia celiaca sub-clinica. Le donne con morbo celiaco non diagnosticato presentano un rischio di aborto ricorrente e di neonati con basso peso alla nascita di circa 9 volte maggiore rispetto a donne celiache trattate. La percentuale di aborto in donne celiache diminuisce significativamente dopo una dieta priva di glutine (14), da ciò ne deriva l‟importanza di identificare tale malattia anche dal punto di vista della vita riproduttiva. FATTORE PSICOLOGICO La prevalenza del fattore psicologico potrebbe, secondo alcuni autori, essere responsabile di una certa quota di aborto ricorrente. Alcuni studi hanno evidenziato un miglioramento dell‟esito della gravidanza in donne con storia di aborto ricorrente sottoposte ad un assistenza del tipo “tender loving care” rispetto a quelle senza questo tipo di assistenza (15). ABORTO SPONTANEO RICORRENTE SINE CAUSA La causa dell‟aborto ricorrente rimane sconosciuta in circa il 50% delle coppie affette, pur dopo aver vagliato un completo iter diagnostico. Va considerato che le possibilità di avere un nato vivo nella gravidanza successiva oscilla tra il 30 e l‟80 % dei casi a seconda del numero di aborti, della eventuale presenza di un nato vivo nella storia ostetrica e dell‟età materna. BIBLIOGRAFIA 1. Velasquez P, Youlton R: Spontaneous abortion: cytogenetic study of 609 cases. Rav Med Chil 1997, 125(3): 317-22 2. Pantzar JT, Allanson JE, Kalousek DK, Poland BJ: Cytogenetic findings in 318 couples with repeated spontaneous abortion: a review of experience in British Columbia. Am J med Genet 1984; 17(3): 615-20 3. Lasana MC, Hogge WA, Kubic C, Blancato J, Hoffman EP: Higly skewed Xchromosome inactivation is associated with idiopatic recurrent spontaneous abortion. Am J Human Genet 1999; 65:252-54 4. American College of Obstetricians and Gynecologists. 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Am J Obstet Gynecol 1984; 148:140 INFERTILITA' FEMMINILE Prof. Ivo Noci Centro di Fisiopatologia della Riproduzione umana Università di Firenze Come ci dicono i dati ESHRE, una "chiara" causa femminile si ha nel 45 % dei casi di infertilità di coppia: 27% difetti dell'ovulazione, 14% danno tubarico, 5% endometriosi. Ma in quell'ulteriore 30% di casi in cui non c'è una apparente spiegazione, e che viene etichettato come 'sine causa' , c'è molto spesso un contributo femminile importante, in termini di malfunzione tubarica, di endometriosi/adenomiosi minime, di fattore cervicale. Quindi all'interno della infertilità di coppia si trova molto facilmente una componente femminile. Passando da una valutazione negativa (quella della infertilità) ad una positiva (quella della fertilità), il "contributo" della donna alla fertilità di coppia riguarda i seguenti aspetti: 1. L'ovulazione 2. La qualità ovocitaria 3. L'utero (= la cavità uterina) 4. Le tube 1. LA OVULAZIONE Indubbiamente, se una donna non ovula, una gravidanza non è possibile. Ma per poter costituire un problema all'interno della fertilità di una coppia, occorre che la mancanza di ovulazione sia abituale, cronica. Infatti, come è stato ben codificato dal Royal College of Obstetrics & Gynecology, anche in donne che presentano mestruazioni regolari (ritmo 25-35 giorni) il 9% dei cicli ovarici sono privi di ovulazione: come dire, quindi, che l'evento anovulazione è 'normale' che ci sia 1-2 volte all'anno. E' però vero, di massima, che una donna che mestrua regolarmente, di solito ovula. Della ovulazione, abbiamo solo prove indirette; tra queste, la determinazione in fase midluteinica del progesterone è più accurata rispetto a tutti gli altri metodi, compresa la (stressantissima per la donna) misurazione della temperatura basale. Come suggerito dall'OMS, valori midluteinici di progesterone > 18 nmol/L sono indicativi di ovulazione, in quanto questo valore corrisponde al 25° percentile della popolazione esaminata. Se la nostra paziente non ovula (= presenta una anovulazione abituale, cronica) si può parlare di fattore ovulatorio di infertilità; e ci si deve indirizzare al diagnostico, perché solo così possiamo eseguire una terapia specifica ed efficace. In sintesi, una anovulazione può avere una causa cronica ipotalamica (oligo/amenorrea MAP negativa, valori di FSH/LH nella norma/bassi, PRL nel range di normalità; accurata diagnosi ad esclusione di cause anatomiche centrali; terapia, induzione dell'ovulazione singola con FSH + LH); può essere legata ad una iperprolattinemia (esclusione di adenomi ipofisari; terapia con dopaminergici); può dipendere da un difetto del feed-back positivo degli estrogeni (oligo/amenorrea MAP positiva, valori di FSH/LH nella norma, PRL nel range di normalità; terapia, induzione dell'ovulazione con citrato di clomifene); o, situazione di gran lunga più frequente, può essere legata ad una PCOS. La PCOS (polycistic ovary syndrome) è caratterizzata clinicamente da anovulazione cronica associata a segni clinici di iperandrogenismo; spesso, ma non costantemente, sono anche presenti obesità e oligomenorrea. Relativamente tipico il pattern endocrino (androgeni >, possibile inversione del rapporto FSH/LH) così come quello ecografico (iperecogenicità centrale, follicoli disposti alla periferia dell'ovaio come a corona di rosario). Frequente è la presenza di disturbi metabolici (iperinsulismo), per cui devono essere sempre cercati (determinazione di glicemia e insulinemia) e curati. Quanto alla terapia, se c'è tempo (= se la donna è 'sufficientemente' giovane) è indicata all'inizio una correzione ponderale/metabolica, alla quale deve fare seguito l'induzione dell'ovulazione con citrato di clomifene, e solo alla fine e in caso di ripetuto fallimento delle misure precedenti si deve ricorrere all'arma delle gonadotropine esogene. Ovviamente, trattandosi di una coppia che non riesce ad avere una gravidanza, deve essere studiato anche il marito, e non deve esserre trascurata una valutazione della pervietà tubarica. Esiste la possibilità di una terapia chirurgica (resezione a cuneo delle ovaie; 'ovarian drilling') ma la tendenza recente è quella di ritenerle una misura "estrema", per la inevitabile riduzione del patrimonio follicolare che comporta, e che non è più ritenuta accettabile. 2. LA QUALITA' OVOCITARIA Un aspetto che sta emergendo sempre di più come problematica, in relazione all'età sempre più avanzata in cui si inizia la ricerca di una figlio, è rappresentato dalla qualità ovocitaria. Infatti, 'inutile' che la donna ovuli, se ovula un ovocita di bassa qualità, cioè un ovocita che difficilmente viene fertilizzato o/e che difficilmente può completare il proprio impianto a causa delle aneuploidie dell'embrione che si è costituito. Una quantità sempre più numerosa di letteratura biologica mette in evidenza che dopo i 40 anni si ha un deterioramento della qualità degli ovociti, dovuto a frammentazione del DNA e ad anomalie nella formazione del fuso acrosomale. Facile quindi la diagnosi di bassa qualità ovocitaria: l'età della paziente di 40 o più anni. Ovviamente, non esiste una terapia valida (ovodonazione, illegale in Italia) anche se la induzione di una ovulazione multipla può offrire qualche vantaggio: nel senso che di fronte ad un 'pool' di ovociti ovulati, è possibile che ce ne sia uno di qualità 'sufficiente'. 3. L' UTERO Abbiamo già detto che parlando di utero dovremmo parlare in realtà di cavità uterina: questo perchè altri aspetti sono o 'vecchi' o 'troppo nuovi'. 'Vecchi': la insufficienza luteinica (LPD, luteal phase defect). Cavallo di battaglia nella Medicina della riproduzione degli anni '80, oggi si ritiene o che non esista (difficile ed insicura la diagnosi: un po' come per il fattore cervicale ed il PCT) o che comunque non sia causa di infertilità di coppia, ma, forse, di abortività abituale. 'Troppo nuovi': solo recentemente si sta tornando ad analizzare il ruolo di alcune proteine dell'endometrio nel processo dell'impianto embrionario. Ma tutto questo è solo ricerca clinica, per il momento. Tornando allora alla cavità uterina, qualsiasi cosa la deformi può interferire con la fertilità della donna, costituendo appunto fattore uterino di infertilità. Fibroma uterini sottomucosi, polipi dell'endometrio, sinechie, malformazioni mulleriane dell'utero : sono le possibili cause di un fattore uterino, anche se incidono in modo differente. Infatti, mentre le prime tre sono più un ostacolo all'impianto embrionario e perciò sono cause dirette di non inizio di una gravidanza, l'ultima è più causa di fallimenti della gravidanza iniziata (aborti, parti pretermine, ritardo di crescita). Lo strumento diagnostico più adeguato per una corretta valutazione del fattore uterino di infertilità è rappresentato dall'isteroscopia, anche se sono utili sia la ecografia transvaginale che la isterosalpingografia. 4. LE TUBE Data la funzione cruciale svolta dalle tube nelle fasi iniziali di una gravidanza (riserva di spermatozoi; pick-up ovocitario; fertilizzazione dell'ovocita; 'prima sede' per l'embrione, per 3 giorni) si capisce come una malfunzione tubarica si associ a infertilità. E qui nasce uno dei dilemmi, o -se vogliamo- dei crucci della Medicina della riproduzione di oggi: quello della funzione delle salpingi. Nel senso che dobbiamo contentarci di esami di pervietà tubarica (cioè, e in termini molto grossolani, tube probabilmente aperte o probabilmente chiuse) quando invece avremmo bisogno di esami in grado di mostrarci la funzione di queste strutture, cioè molto di più. Comunque, nel 12-33% delle coppie infertili la donna ha una impervietà tubarica, pur in assenza di sintomi clinici di infezione pregressa; perciò, la pervietà delle tube deve essere sempre valutata. Lo studio della pervietà tubarica si pone, di massima, come indagine di secondo livello: nel senso che è 'inutile' in alcune situazioni cliniche come ad esempio un fattore maschile severo che richieda una fertilizzazione assistita. Lo studio della pervietà tubarica si può eseguire con due distinte metodiche: la isterosalpingografia (ISG) e la videolaparoscopia (VLD). Come è stato ben codificato dal Royal College of Obstetrics & Gynecology, la decisione se proporre alla paziente una o l'altra delle due tecniche, dipende dal tipo di rischio di patologia tubarica che la paziente stessa presenta. Se la donna è ad alto rischio di patologia tubarica, l'esame di prima scelta è rappresentato dalla VLD; se invece il rischio di patologia tubarica è basso, è sufficiente la ISG. Un esame più recente, in grado di dare risultati sovrapponibili a quelli della ISG, che non impiega RX e che si può eseguire in modo molto più agevole e totalmente ambulatoriale è rappresntatto dalla sonoisteroscopia (SIS). L'unico punto debole della SIS è la soggettività della lettura, perciò dipende molto dalla cultura e dalla abilità dell'operatore. Una paziente si definisce ad alto rischio tubarico in presenza di una o più delle seguenti condizioni: dismenorrea/dispareunia intense; pregressa chirurgia pelvica; utilizzo di IUD; storia clinica di PID; sterilità decorrente da oltre 3 anni; età 'avanzata' (>35 anni, secondo il Royal College). Terapia di elezione di un fattore tubarico è rappresentata dai programmi di fertilizzazione in vitro; mentre una laparoscopia operativa è riservata ad operatori esperti e solo a situazioni cliniche particolari. Induzione dell’ovulazione V. De Leo, M.C. Musacchio Clinica Ostetrica e Ginecologica Università degli studi di Siena L‟induzione dell‟ovulazione consiste nell‟utilizzo di specifici farmaci somministrati secondo schemi terapeutici per il trattamento dell‟infertilità nelle donne affette da anovulazione cronica. Essa viene inoltre utilizzata nelle tecniche di fecondazione assistita per ottenere numerosi follicoli ed un numero adeguato di ovociti fertilizzabili. L‟anovulazione cronica è una condizione che può essere associata a diverse patologie che causano amenorrea primaria o secondaria. L‟amenorrea primaria è spesso determinata da patologie ipotalamiche, come la sindrome di Kallmann, in cui si realizza un ipogonadismo ipogonadotropo causato dalla soppressione della secrezione pulsatile di GnRH (1). In questi casi l‟induzione dell‟ovulazione può essere determinata attraverso la somministrazione di GnRH pulsatile o gonadotropine. Il GnRH viene somministrato attraverso una micropompa ad infusione, con modalità pulsatile, per via sottocutanea o endovenosa, alla dose di 5-10 g ogni 60-90 minuti. La durata ottimale della terapia prevede la somministrazione del GnRH fino alla comparsa della mestruazione o alla positivizzazione del hCG; in alternativa la terapia può essere sospesa dopo l‟ovulazione ed in questo caso il supporto della fase luteale si ottiene mediante la somministrazione di hCG (2000 UI) ogni 3 giorni o progesterone. Per difficoltà organizzative, tuttavia, spesso in tali pazienti l‟ovulazione viene indotta attraverso la somministrazione di gonadotropine, ricordando che in questi casi oltre all'‟FSH è necessario somministrare anche LH per indurre un‟adeguata steroidogenesi e maturità follicolare. Rispetto al trattamento con GnRH pulsatile, l‟utilizzo delle gonadotropine presenta una maggiore compliance da parte della paziente ma un rischio maggiore di iperstimolo e di gravidanze multiple (1,2). Nei casi, invece, di amenorrea ipotalamica funzionale, in cui la soppressione della produzione del GnRH è determinata dall‟alterazione del controllo neuroendocrino che si realizza in caso di stress, di esercizio fisico intenso o di malnutrizione, i farmaci di prima scelta nell‟induzione dell‟ovulazione sono le gonadotropine ricombinanti o l‟hMG, in associazione a terapie comportamentali e dietetiche (3). L‟anovulazione cronica associata ad amenorrea secondaria caratterizza, invece, nella maggior parte dei casi condizioni in cui si realizza un‟iperprolattinemia e la sindrome dell‟ovaio micropolicistico (PCOS). L‟iperprolattinemia inibisce l‟attività del GnRH attraverso l‟induzione di una maggiore secrezione di dopamina e oppioidi che esercitano un effetto inibitorio sull‟asse ipotalamo-ipofisi-ovaio e può essere determinata da patologie organiche ipotalamiche o ipofisarie, ipotiroidismo, assunzione di farmaci che bloccano i recettori della dopamina o ne impediscono la ricaptazione. In presenza di patologie organiche la somministrazione di farmaci dopaminoagonisti come la bromocriptina o la cabergolina è in grado di ridurre i livelli di prolattina e di ripristinare la funzione gonadica. In particolare, la cabergolina, alla dose di 0.25-2.0 mg/settimana, è meglio tollerata della bromocriptina e induce meno effetti collaterali (4). La sindrome dell‟ovaio micropolicistico è una patologia in cui l‟anovulazione cronica è spesso associata ad oligoamenorrea, irsutismo ed acne. Inoltre, la maggior parte di queste pazienti presenta insulino-resitenza ed obesità. L‟induzione dell‟ovulazione in questo caso prevede atteggiamenti diversi in base al BMI e alla presenza o meno dell‟insulino-resitenza (5,6). Il clomifene citrato è il farmaco maggiormente utilizzato nel trattamento dell‟induzione dell‟ovulazione nelle donne affette da PCOS e sicuramente il farmaco di prima scelta nelle pazienti con PCOS magre non insulino-resitenti. Si tratta di un antiestrogeno il cui principale meccanismo d‟azione sembra essere legato all‟aumentata produzione di gonadotropine FSH e LH da parte dell‟ipofisi. E‟ di solito somministrato alla dose di 50-200 mg nei primi 5-10 giorni del ciclo per 3-6 cicli di trattamento. Il clomifene induce l‟ovulazione in circa l‟80% delle donne affette da PCOS, ma soltanto il 30-40% di queste otterrà la gravidanza. Questa discrepanza sembra essere il risultato dell‟effetto antiestrogenico esercitato dal farmaco sull‟endometrio e sulla produzione di muco cervicale (6). Nelle pazienti obese con PCOS la perdita di peso corporeo del 5-10% è in grado di indurre cicli ovulatori nel 55-100% delle pazienti nell‟arco di 6 mesi, e per questo motivo dovrebbe essere considerata la terapia di prima scelta (6). In tali pazienti, inoltre, come in quelle insulino-resistenti, ottimi risultati si sono ottenuti con la somministrazione di farmaci insulinosensibilizzanti, come la metformina e i tiazolidinedioni. Un‟incidenza di gravidanza del 39% è stata riportata quando la metformina è usata come unica terapia (7), mentre la gravidanza si è verificata nell‟89% dei casi quando è stata somministrata in associazione con clomifene citrato nelle donne obese con PCOS clomifene resistenti (7). Nei casi in cui non c‟è risposta al trattamento con clomifene e metformina si impone l‟impiego terapeutico dell‟FSH esogeno secondo i protocolli terapeutici step-up o step-down. Il protocollo step-up prevede la somministrazione di FSH a dosi crescenti. Questo protocollo comporta lo sviluppo contemporaneo di più follicoli ed anche un rilevante rischio di provocare una sindrome da iperstimolazione ovarica (OHSS). Il protocollo step-down, invece, è stato elaborato con lo scopo di “mimare” l‟andamento dell‟FSH endogeno nella fase follicolare. Si inizia somministrando alte dosi di FSH che vengono poi dimezzate durante il reclutamento ed accrescimento dei follicoli ovarici. Rispetto allo step-up, lo step-down garantisce l‟impiego di minori quantità di FSH, una minore durata del trattamento, ed una più bassa incidenza di OHSS. Recentemente è stato dimostrato che la terapia combinata metformina-FSH sembra essere associata ad una risposta dell‟ovaio più fisiologica con un minor reclutamento follicolare ed una più bassa incidenza di OHSS (8). Inoltre, l‟impiego combinato FSH-metformina sembra essere correlato ad una migliore qualità degli ovociti e degli embrioni nelle donne che si sottopongono a FIVET (9). Per quanto riguarda le tecniche di procreazione assistita, l‟induzione della superovulazione è finalizzata all‟ottenimento di una crescita multifollicolare. In questi casi la scelta tra i diversi protocolli terapeutici tiene conto, oltre all‟eventuale presenza delle patologie già menzionate, anche dell‟età della donna (< o > 35 anni) e dei valori basali di FSH (< o > 10 mUI/ml). Per le pazienti che devono sottoporsi a rapporti mirati o inseminazione intrauterina con età < ai 35 anni e FSH < 10 mUI/ml l‟induzione dell‟ovulazione viene effettuata con clomifene citrato o con gonadotropine a basse dosi (75-150 UI) fino alla somministrazione di hCG. Nelle pazienti di età superiore o con FSH più alto è consigliabile invece utilizzare dosaggi di gonadotropine più alti e secondo alcuni aggiungere LH (10). Nella superovulazione per tecniche FIVET/ICSI, invece, l‟obiettivo principale è controllare il picco endogeno di LH al fine di prevenire la luteinizzazione precoce e la deiscenza non controllata dei follicoli, in modo da ottenere un numero adeguato di ovociti fertilizzabili. A tal fine si possono utilizzare farmaci agonisti o antagonisti del GnRH in associazione con i farmaci induttori (11). Gli agonisti del GnRH sono composti di sintesi strettamente correlati alla struttura chimica dello stesso. L‟effetto degli agonisti del GnRH si manifesta in due tempi: fase stimolatoria (flare-up), la cui durata è di 1-2 settimane, che induce elevate concentrazioni di FSH, LH e di estrogeni; fase soppressiva durante la quale si raggiunge la desensibilizzazione dell‟ipofisi con riduzione della produzione delle gonadotropine e degli steroidi gonadici. I differenti protocolli terapeutici attraverso i quali possono essere utilizzati si basano proprio sul loro duplice meccanismo d‟azione: protocollo lungo, in cui gli agonisti sono somministrati in fase luteale media del ciclo precedente la stimolazione; protocollo corto, in cui gli agonisti vengono somministrati in fase follicolare precoce contemporaneamente alle gonadotropine fino al giorno dell‟hCG; protocollo ultra-corto, in cui gli agonisti vengono somministrati contemporaneamente alle gonadotropine nella fase follicolare precoce e interrotti dopo tre giorni. Il protocollo più utilizzato è quello lungo, che determina l‟eliminazione del picco preovulatorio di LH, una bassa concentrazione di androgeni, lo sviluppo di un maggior numero di follicoli, un miglior tasso di gravidanze e una migliore programmazione dei cicli di stimolazione. Gli svantaggi sono rappresentati da una maggiore durata dei cicli di stimolazione, un alto dosaggio delle gonadotropine utilizzate, un rischio non trascurabile di iperstimolazione ovarica e una possibile comparsa dei sintomi da privazione estrogenica (11). Gli antagonisti del GnRH, introdotti nei protocolli di stimolazione più recentemente, somministrati in dosi multiple o singole durante la fase follicolare tardiva dei cicli di stimolazione con gonadotropine (6° giorno del ciclo o quando il follicolo maggiore raggiunge il diametro medio di 14-13 mm) bloccano i recettori ipofisari per il GnRH determinando una più rapida e completa inibizione della secrezione di LH. Questo può determinare il recupero di un minor numero di ovociti rispetto ai protocolli con GnRH agonisti ma, secondo alcuni autori, di migliore qualità (12,13). Inoltre, i protocolli che prevedono l‟utilizzo dei GnRH-antagonisti prevedono, rispetto all‟impiego degli agonisti secondo il protocollo lungo, una minore durata e dosi minori del trattamento con gonadotropine, un numero inferiore di follicoli sviluppati il giorno del pick-up ovocitario e quindi la riduzione dell‟incidenza della sindrome di iperstimolazione ovarica e degli effetti collaterali legati al deficit estrogenico (11,14,15). Per quanto riguarda il pregnancy rate diversi studi che hanno confrontato gli agonisti con gli antagonisti non hanno rilevato differenze significative nell‟utilizzo dei due farmaci (16-18). Nelle poor responders, tuttavia, cioè quelle pazienti in cui si realizza la formazione di 4 follicoli o i livelli massimi di E2 non superano i 500 pg/ml per ciclo di stimolazione, oppure in cui i livelli basali di FSH sono superiori a 25 mUI/ml, alcuni autori raccomandano l‟utilizzo degli antagonisti per l‟assenza di desensibilizzazione ipofisaria (11). Per quanto riguarda le gonadotropine, sono disponibili gonadotropine urinarie, come quelle menopausali umane (hMG) ottenute da urine di donna in postmenopausa (75 UI di FSH e 75 UI di LH), FSH urinario (75 UI di FSH e meno di 1 UI di LH), HCG urinario ad azione prevalentemente LH simile e gonadotropine ricombinanti che contengono esclusivamente FSH, LH o hCG ottenuti con tecniche di DNA ricombinante. Attualmente si tende sempre più a utilizzare protocolli in cui la dose delle gonadotropine viene modulata a seconda della risposta individuale della paziente, fino ad arrivare alla sospensione dell‟induzione e alla somministrazione di hCG, quando i livelli di estradiolo raggiungono livelli maggiori di 800 e inferiori a 1500 pg/ml e si osservano almeno due follicoli di diametro = o > ai 15-20 mm (10, 11). Per quanto riguarda il tipo di gonadotropine da utilizzare, recenti evidenze indicano nell‟FSH ricombinante il farmaco di scelta per un minor numero di fiale da utilizzare e tempi più brevi di risposta ovarica (10,11). Bibliografia 1) The Practice Committee of the American Society for Reproductive Medicine. Current evaluation of amenorrhea. Fertil Steril 2004;82(suppl 1): S33-9. 2) Master-Hunter T, Heiman DL. Amenorrhea: evaluation and treatment. Am Fam Physician 2006; 73(8): 1374-82. 3) Kalantaridou S, Makrigiannakis A, Zoumakis E, Chrousos G. 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