Verifica finale: esercizio

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Dalla ricerca bibliografica alla stesura del testo:
linee guida per la redazione di un testo sociologico
Verifica finale
23 giugno 2015
Si leggano i quattro brani seguenti e, dopo aver individuato, all’interno di ciascuno di essi, il
punto essenziale (o un punto essenziale di ciascuno di essi), comporre un breve testo (una decina
di righe è sufficiente) sulla base – almeno – di quei quattro punti essenziali e nel quale le citazioni
bibliografiche dei brani proposti compaiano in nota, a giustificazione delle affermazioni fatte nel
testo redatto dal candidato (si utilizzi il sistema citazionale Autore-Data).
Per la composizione del brano si utilizzi il file “Testo del candidato”, salvandolo nella forma
COGNOME_NOME_SOCIO_PRIM_2015.
I libri o le riviste, nei quali compaiono i brani proposti, devono essere individuati sulla base
delle indicazioni contenute, alla fine di ciascun brano, tra le parentesi quadre; nel caso ci sia
necessità di integrare quelle indicazioni, si potranno utilizzare esclusivamente:

SocIndex with full text per Brano 1;

Catalogo bibliografico trentino-OseeGenius per Brano 2 e per Brano 3;

Registro delle riviste open access dell’Università di Lund per Brano 4.
Le citazioni bibliografiche (complete di tutti gli elementi) dei brani dovranno essere
riportate correttamente ed esattamente nelle note (sia corpo del testo, sia nella bibliografia
finale), utilizzando le informazioni tra le parentesi quadre e le integrazioni desunte dal Catalogo,
dalla banca dati e dalle altre fonti di informazione sopra citate.
1
Il brano dovrà essere consegnato al docente come allegato di una mail inviata a
[email protected]
Nota bene: i brani qui proposti sono utilizzati a scopo didattico esclusivamente ai fini
della presente verifica finale; i loro effettivi riferimenti bibliografici e la loro responsabilità
intellettuale non sono quelli cui le indicazioni tra parentesi quadre si riferiscono. E’ possibile che i
riferimenti bibliografici indichino un testo scritto non scritto in italiano: in quel caso, il brano qui
proposto sarà da considerare tradotto in italiano (dalla lingua originale) esclusivamente per
questa specifica occasione. I nomi degli autori e ogni altro elemento di riconoscimento saranno
resi noti al termine della verifica finale.
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BRANO 1
Tutte le forme che vengono tuttora catalogate come pubblicità outdoor, oltre a utilizzare il mezzo
più classico dell’affissione, si prestano nel migliore dei casi a poter sviluppare creativamente tutti i supporti
a disposizione dello spazio fisico cittadino, considerandolo vero e proprio ambiente di comunicazione.
Il settore outdoor, nella sua declinazione in senso ambient, si presta anche a essere quello
maggiormente integrato con le piattaforme digitali, tanto che sempre più spesso la forma outdoor rimanda
a quella più connettiva, dando ulteriore spazio alle esperienze e alle relazioni. Anzi, il senso più profondo
delle installazioni outdoor che occupano gli spazi cittadini in maniera da costruire un ambiente da esperire
in maniera complessa, è proprio quello di consentire la performatività, l’esperienzialità da parte del suo
fruitore. Infatti, la pubblicità outdoor, in molte delle sue realizzazioni contemporanee più efficaci, tende
sempre di più, attraverso gli strumenti più disparati, a cercare di scuotere, di “irritare” i soggetti attraverso
il richiamo a un protagonismo diretto, inteso non tanto in un’accezione spettacolista, ma piuttosto
inducendo all’azione, alla sperimentazione, alla messa in gioco di sé e della propria sensorialità, allo stesso
tempo coltivando la socialità. Ed è proprio per questo motivo che l’ambient advertising costituisce una
digitalizzazione degli ambienti concreti, ai quali viene appunto applicata la stessa logica performativa e
partecipativa propria degli ambienti digitali.
Il connubio, quindi, tra forme outdoor e piattaforme digitali è quello che, in assoluto, permette
l’espressione del maggior tasso di creatività, sia da parte dei fruitori che da parte dei progettisti degli
interventi comunicativi, ed è quindi in un certo senso una delle espressioni della comunicazione di carattere
promozionale più genuinamente innovativa.
Probabilmente il maggior utilizzo, nelle economie emergenti o già emerse, delle forme di
comunicazione outdoor ha anche motivazioni di carattere socio-culturale. Infatti queste forme possono
essere considerate come maggiormente vicine, adatte o sincronizzate con i pubblici e le culture alle quali
debbono riferirsi e con le modalità comunicative considerate più abituali e allo stesso tempo maggiormente
impattanti. Oltre a essere i settori nei quali si registrano i maggiori incrementi in termini di investimento.
Un altro motivo che porta a riconoscere l’ambito outdoor e quello digitale come quelli dalla carica
maggiormente innovativa e sui quali si concentra l’attenzione degli inserzionisti, è costituito dal fatto che si
tratta di media dal costo inferiore rispetto ai mezzi tradizionali, nonché dalle potenzialità infinite. In altre
parole si tratta dei mezzi che permettono le maggiori versatilità ed espressione di creatività perché
disponibili a declinazioni infinite e imprevedibili.
Tra gli innumerevoli casi che potrebbero essere citati, tra le installazioni di grandi dimensioni una
menzione può essere dedicata all’enorme doccia brandizzata da Sprite per la spiaggia di Buzios, Rio de
Janeiro, e riproducente un gigante dispenser di bibite. In questo caso l’insight è molto evidente nella sua
banalità e dona un beneficio immediato ed effettivo ai suoi utilizzatori. Si gioca, quindi, sull’aumento
dell’awareness del brand facendo in modo che sia percepito non come un “usurpatore” di spazio, bensì
come un risolutore di problemi.
[SocIndex with full text: il saggio (da cui è tratto il presente brano) pubblicato nel 2008 ha per soggetto
l’origine dei nomi delle razze, dei popoli e delle etnie. Il brano qui sopra trascritto si trova precisamente a p.
450.]
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BRANO 2
In ambito pubblicitario, l’idea del raccontare storie non è certo nuova: ne sono una testimonianza,
ad esempio, i famosi spot Levi’s degli anni Ottanta, le campagne di Barilla, Mulino Bianco e Telecom che
hanno fatto della serialità, unita a una narrazione forte, la loro peculiarità. Quello che invece è
un’importante novità è la possibilità di combinare la narrazione con l’engagement del consumatore
attraverso l’utilizzo di media differenti, realizzando un effetto storytelling che si avvicina all’idea del content
marketing.
Lo storytelling inteso come arte di saper raccontare storie ha accompagnato l’essere umano sin
dalle sue origini. Come nota Barthes (1969, p. 7), “il racconto comincia con la storia stessa dell’umanità;
non esiste, non è mai esistito in nessun luogo un popolo senza racconti”. Negli anni Novanta, lo storytelling
ha subito un processo di vera e propria disseminazione sociale con l’applicazione alle scienze economiche,
in particolare al marketing e al campo del change management e nella formazione. In controtendenza,
Salmon (2008) mette in luce anche le criticità dell’uso dello storytelling, che conduce spesso a narrazioni
deteriori e ingannevoli.
L’applicazione dello storytelling al campo del brand management è interessante per quei brand che
vogliono creare o rafforzare un’identità di marca, costruendo di fatto una brand experience che si espande
oltre i limiti del mezzo e diventa esperienza virale ed estremamente distintiva. L’utilizzo strategico dello
storytelling applicato alla marca è fondamentale per rafforzarne l’identità, più che per promuovere questo
o quel prodotto: l’assunto di base è che per una marca narrare sia diverso da comunicare e significhi
piuttosto far vivere una storia creando engagement.
Il brand storytelling suscita emozioni, spiega i perché, invoglia l’utente a partecipare alla storia
aziendale, riconoscendosi all’interno di un immaginario di marca.
Gli elementi che permettono di distinguere il brand storytelling da una tradizionale comunicazione
pubblicitaria sono molteplici: prima di tutto, uno storytelling è fortemente legato a dei valori identitari, più
che a delle caratteristiche estrinseche del prodotto o del servizio; vengono quindi messi in scena immagini,
sensazioni, suggestioni e ricordi sedimentati nell’immaginario collettivo. Altro elemento distintivo del brand
storytelling è proprio la ricchezza di emozioni legate alla storia della marca (vera o fittizia che sia), più che
non dei fatti che descrivono il prodotto/servizio; il forte impatto emotivo rende la storia ben più
memorabile di una semplice massa di dati o di informazioni. Infine, l’obiettivo dello storytelling non è tanto
quello di convincere, quanto piuttosto quello di coinvolgere il destinatario, creando nella sua mente un
nuovo mondo, una nuova concezione dell’azienda alla quale aderire completamente.
E’ evidente che il Web 2.0 ha aumentato a dismisura le potenzialità di engagement del
consumatore. Le storie narrate dai brand trovano nei social media un potentissimo amplificatore,
trasformando i destinatari in creatori di contenuti: essi partecipano a vario titolo alla narrazione,
interagendo con il brand e con gli altri consumatori o anche esplorando attivamente e intervenendo in un
universo narrativo che si articola attraverso diverse piattaforme, dal blog ai video, dai profili social al sito,
senza dimenticare i media non digitali.
Come sostiene Dom Robertson (1986) a proposito della campagna Gatorade Replay, “ciò che rende
questa campagna così straordinaria è il livello di engagement del pubblico che riesce a raggiungere; la
partecipazione dei consumatori nella creazione della storia dimostra quanto sia importante invitare il
4
proprio pubblico a interagire con la propria marca, offrendo una storia così coinvolgente che loro stessi
sceglieranno di condividere”.
Si attua così un passaggio definitivo dalla storia, spesso raccontata in forma embrionale dalla
pubblicità (si pensi alle saghe di SIP, del Paradiso Lavazza o, ancor prima, alle micro-narrazioni di Carosello),
ad uno storytelling transmediale definito da Jenkins (1987) come “un processo in cui elementi integrali di
una storia si diramano sistematicamente attraverso molteplici canali con l’obiettivo di creare un’esperienza
di intrattenimento omogenea e coordinata; idealmente, ogni medium contribuisce in maniera unica allo
svolgimento della storia”. Ciò rende “attivi” e tangibili i valori del brand.
Si possono individuare tre categorie di brand storytelling, ciascuna delle quali corrisponde a
differenti funzioni della marca:



storytelling brand myth maker;
storytelling brand value builder;
storytelling brand value activator.
[OseeGenius: il saggio (da cui è tratto il presente brano), scritto da J.B. Smith-Olson e N.W. White e dal
titolo "Storytelling in Osaka", è contenuto, da p. 240 a p. 279, in una miscellanea il cui soggetto è la figura
femminile nella letteratura del Giappone. La miscellanea è stata pubblicata nel 1987. Il brano qui sopra
trascritto compare tra la pagina 250 e la pagina 251.]
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BRANO 3
Le caratteristiche dell’iperconsumo sono intrinsecamente legate alla matrice capitalistica che ne è
la struttura portante: è infatti una stimolazione continua della domanda, della commercializzazione e di una
moltiplicazione infinita dei bisogni che la sorregge e la sostenta, determinando, in ultimo, il subentrare di
un capitalismo dei consumi alle precedenti economie di produzione, di cui l’evoluzione tecnologica digitale
e la proliferazione mediatica ne costituiscono gli elementi cardine.
In questo scenario, esperti di marketing e creativi sono alla continua ricerca di: spazi, tempi e
format di rottura, che cerchino di catturare l’attenzione di un’audience sempre più evanescente.
I processi di digitalizzazione dei contenuti, la pervasività di dispositivi mobili, le piattaforme social
media e la loro coesistenza con media tradizionali creano un contesto in cui la distinzione reale-virtuale
tende a essere sempre meno netta e probabilmente anche priva di significato se letta secondo i postulati
della realtà aumentata e del dualismo reale-digitale.
Il termine prosumer poi, introdotto da Toffler facendo riferimento all’unione in un unico soggetto
dei ruoli di produttore e di consumatore, a seguito della rivoluzione digitale e il proliferare dell’User
Generated Content si arricchisce di nuovi e importanti significati, imponendo un ripensamento di entrambi i
progetti, sia nel mondo digitale che in quello materiale.
Ne consegue una trasformazione delle logiche classiche dei processi di produzione e consumo a
vantaggio di soggetti – i prosumers, i pubblici connessi, i fan – che giocano un ruolo da protagonisti nel
processo di creazione del valore sia a livello simbolico, rivoluzionando le logiche promozionali e la
dicotomia classica professionista/amatore, che a livello della cultura materiale come nel caso degli hackers
e dei makers.
All’interno di questo frame prende così forma quello che si può considerare come il paradosso
dell’empowerment/exploitment del prosumer digitale, che attraverso la sua capacità di adottare
comportamenti coerenti o devianti rispetto ai valori proposti dalla marca lo rende soggetto attivo e critico,
oppure passivo e succube nei confronti delle strategie messe in atto dal brand.
Il marketing tradizionale fatto di push, advertising e segmentazione dei consumatori secondo
logiche proposte dai brand è stato dichiarato morto e risorto varie volte. Il marketing informativo, fatto da
manager che tentano di catturare l’attenzione di clienti e prospect, misurabile attraverso il Return on
Investment dell’era dei new, cede il passo al marketing emotivo, dell’epoca del now, fatto da attori non
necessariamente professionisti, che condividono storie, vengono affascinati e partecipano al discorso con il
brand attraverso le varie modalità che gli vengono offerte dalle tecnologie digitali. L’efficacia delle azioni di
marketing oggi si misura in base al Return on Engagement costituita da tre semplici parametri: se il
contenuto/stimolo che ho ricevuto mi è piaciuto allora lo vorrò rivedere, lo vorrò condividere e lo vorrò
upgradare.
I così detti consumatori non consumano semplicemente, ma raccomandano ciò che a loro piace ai
loro amici, che a loro volta lo raccomandano di nuovo ad altri. Non si compera più un bene ma si entra in un
sistema economico culturale che rivendica la partecipazione attiva durante tutto il processo e non solo nel
momento dell’acquisto. Lo stesso termine consumatore appare sempre più inappropriato a descrivere la
complessità degli attori che parecipano al processo di consumo. I prosumer rivendicano il loro ruolo
attraverso un processo reso evidente dall’evoluzione delle tecnologie digitali. Produttore e consumatore,
6
professionista e amatore, si fondono in un unico soggetto, il prosumer appunto, che produce, crea, usa,
condivide, upgrada o remixa, significati, messaggi, prodotti o servizi, in altre parole collabora all’incremento
del valore economico e al consolidamento del valore del brand.
[OseeGenius: il saggio (da cui è tratto il presente brano), scritto da Janet van Rosenbaum e da Werner L. de
Boovhaler e dal titolo “Iperconsumo religioso”, compare, da p. 100 a p. 138, in una miscellanea il cui
soggetto è la psicologia della religione, pubblicata a Roma nel 2002. Il brano qui sopra trascritto compare
tra la pagina 109 e la pagina 110.]
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BRANO 4
Negli ultimi decenni le imprese hanno sempre più dovuto affrontare la necessità di trovare nuovi
modi di raggiungere i propri consumatori vieppiù frammentati e bombardati da anni di clutter mediatico.
Su base mondiale, il calo degli investimenti pubblicitari televisivi, complice anche la crisi economica, è stato
continuo a partire dal 2010 (-17,9% tra il 2012 e il 2011). Crescono invece gli investimenti nel canale
internet (oltre il 1000% dal 2005 a oggi) che hanno superato 1,5 miliardi di euro. Ed è proprio la pervasività
della rete, che, tra gli altri effetti, ha contribuito a rendere l’engagement del consumatore un presupposto
per l’efficacia della pubblicità, a offrire alle imprese un numero sempre crescente di piattaforme e canali
attraverso cui raggiungere il proprio target. Accanto al sito internet, la presenza di corporate blog, un
account Facebook e Twitter, un canale dedicato su YouTube o una bacheca di Pinterest costituiscono lo
scenario su cui sempre più si declinano i contenuti della pubblicità classica.
In questo panorama di grande incertezza, l’advertising classico, a cui le grandi aziende in particolare
non hanno rinunciato, ha fatto spesso ricorso a tecniche nuove1, ad esempio utilizzando quella disciplina
ampia e articolata che, basandosi sui principi della narrazione applicata all'impresa, genera un vasto
assortimento di strumenti, cartacei, digitali e relazionali che possono essere applicati a diverse aree o
funzioni aziendali, come per esempio:
principi strategici
brand management
comunicazione integrata
advertising
formazione
product design.
Questa fabbricazione di storie nella comunicazione d'impresa è sempre più intesa come strategia in
grado di costruire e fortificare la marca attraverso il coinvolgimento emotivo dell’audience.
[Registro delle riviste open access dell’Università di Lund: le parole chiave dell’articolo (pubblicato nel 2009
e da cui è tratto il presente brano) fanno riferimento al disturbo dissociativo dell'identità. Il brano qui sopra
trascritto si trova precisamente a p. 217.]
1
Un’altra strada imboccata con notevole successo è quella, e.g., del c.d. out-of-home advertising.
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