Programma nazionale
per le linee guida
DOCUMENTO D ’ INDIRIZZO
DOCUMENTO 3
maggio 2002
ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
L’uso del vaccino
anti epatite A in Italia
Sicurezza, efficacia, indicazioni d’impiego
nei gruppi a rischio e in caso di epidemia
Nota per gli utilizzatori
I documenti di indirizzo del Programma nazionale linee guida (PNLG) contengono sintesi
critiche delle prove di efficacia, sicurezza e impatto degli interventi sanitari.
Lo scopo è di mettere in grado amministratori e operatori sanitari di compiere
scelte appropriate su presidi preventivi, terapie farmacologiche, procedure diagnostiche,
cliniche e organizzative.
I documenti di indirizzo si differenziano dalle linee guida in quanto non contengono
raccomandazioni graduate sulla forza delle prove, ma suggerimenti per l’attuazione
di interventi che devono essere valutati nel contesto decisionale locale.
Questi documenti vengono prodotti in alternativa alle linee guida nei casi in cui si
verifichino una o più delle seguenti condizioni:
• le prove disponibili sono scarse;
• le prove disponibili sono di qualità variabile;
• vi è notevole incertezza sui criteri applicativi degli interventi;
• la realtà sanitaria analizzata presenta caratteristiche epidemiologiche, geografiche
o socioeconomiche fortemente eterogenee.
Progetto finanziato nell’ambito del programma «Percorsi diagnostico-terapeutici» dell’Istituto superiore di sanità.
3
PNLG
L’uso del vaccino
anti epatite A in Italia
DOCUMENTO D ’ INDIRIZZO
Data di pubblicazione: maggio 2002
Data di aggiornamento: maggio 2004
Redazione
Chiara Cecchi, Zadig, Milano
Progetto grafico
Chiara Gatelli
Impaginazione
Giovanna Smiriglia
Stampa
Arti Grafiche Passoni srl, Milano
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Presentazione
Questo documento nasce come aggiornamento di una conferenza di consenso sell’epatite A
e sull’uso del vaccino tenuta all’Istituto superiore di sanità nel 1995. I quesiti a cui intende rispondere prendono spunto da dati epidemiologici nazionali e rapporti degli organi preposti al controllo dell’infezione, e riguardano i possibili gruppi a rischio, i focolai epidemici, l’uso della profilassi nella postesposizione. L’attuale versione si è arricchita di una
revisione sistematica sull’efficacia e sicurezza del vaccino e di una analisi economica che
configura diversi scenari nel contesto italiano. L’elaborazione del documento, secondo una
metodologia ormai consolidata, ha visto la collaborazione di un gruppo di esperti e il coinvolgimento attivo di rappresentanti delle società scientifiche rappresentative dei temi affrontati. Esso è rivolto principalmente a clinici e operatori di sanità pubblica che si tovano nella condizione di dover decidere una strategia di intervento in caso di epidemia, oppure di suggerire l’uso del vaccino a persone che per motivi diversi potrebbero essere potenzialmente a rischio di contrarre l’infezione. Inoltre, una versione per i cittadini-utenti sarà
a disposizione degli interessati sul sito Internet del PNLG.
Presentazione 3
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
AUTORI
Brunella Adamo, epidemiologa, ASL Napoli 1
Piero Luigi Almasio, epatologo, Università di Palermo
Pietro Amoroso, infettivologo, AO Cotugno, Napoli
Emanuela Carniglia, economista, ASL 20 Alessandria
Rosalia Cirrincione, sociologa, Istituto superiore di sanità
Rosa Cristina Coppola, igienista, Università di Cagliari
Paolo D’Argenio, epidemiologo, Istituto superiore di sanità
Vittorio Demicheli, epidemiologo, ASL 20 Alessandria
Elisabetta Franco, igienista, Università di Roma «Tor Vergata»
Stefania Fucci, economista, ASL 20 Alessandria
Giovan Battista Gaeta, infettivologo, Università di Napoli
Giovanni Gallo, igienista, Regione Veneto
Cristina Giambi, igienista, Università di Roma «Tor Vergata»
Rita Ialacci, igienista, Università di Roma «Tor Vergata»
Alfonso Mele, epidemiologo, Istituto superiore di sanità
Gloria Taliani, infettivologa, Università di Firenze
Alessandro Zanetti, virologo, igienista, Università di Milano
COMITATO DI REDAZIONE
T.O. Jefferson, A. Mele, R. Cirrincione, E. Bianco, L. Sagliocca, V. Wenzel,
Istituto superiore di sanità, Progetto «Percorsi diagnostico-terapeutici»
REFEREE
S. Corrao, epidemiologo, AO Civico e Benefratelli, Palermo
C.M. Maffei, igienista, AO Umberto I, Ancona
T. Stroffolini, epatologo, Istituto superiore di sanità
COLLABORATORI/ESPERTI
A. Tozzi, pediatra, epidemiologo, Istituto superiore di sanità
M.G. Pompa, igienista, Ministero della salute
M. Rapicetta, virologa, Istituto superiore di sanità
G. Gentili, immunologo, Istituto superiore di sanità
SOCIETA’ SCIENTIFICHE RAPPRESENTATE
N. Caporaso, Società italiana di gastroenterologia e Ass. italiana per lo studio del fegato
A. Moiraghi, Società italiana di igiene
R. Piazzolla, Federazione italiana medicina pediatrica
F. Piccinino, Società italiana di malattie infettive e tropicali
A. Rossi, Società italiana di medicina generale
F. Tancredi, Società italiana di pediatria
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PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Indice
Riassunto
Introduzione
Metodi
Epidemiologia dell’infezione da virus dell’epatite A in Italia
Efficacia e sicurezza del vaccino
Modello economico-decisionale
Possibili gruppi a rischio
• Viaggiatori
• Militari
• Personale sanitario
• Addetti allo smaltimento rifiuti
• Alimentaristi
• Personale asili nido
• Soggetti istituzionalizzati con handicap mentali
• Politrasfusi
• Emofiliaci
• Tossicodipendenti
• Omosessuali
• Detenuti
• Soggetti HIV sieropositivi
• Epatopatici cronici
Interventi in corso di epidemia in base a 3 diversi scenari
epidemiologici
Profilassi postesposizione
Indicatori di monitoraggio e verifica
Notifica di casi di epatite A
Avvertenza
Glossario
Appendice. Valutazione economica
della vaccinazione anti epatite A
Sintesi delle principali prove disponibili
Bibliografie
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Indice 5
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Riassunto
L’epatite A è una malattia infettiva acuta causata dall’infezione del virus HAV. Una volta contratto il virus, la persona infettata non presenta subito i sintomi della malattia, che
ha un tempo di latenza mediamente di 28 giorni. Quando è sintomatica, l’epatite A si
manifesta in modo aspecifico, con sintomi di malessere generale, fatica, dolori articolari, febbre, e una fase conclamata di ittero. Il virus HAV si contrae in seguito a ingestione
di cibo contaminato, viaggi in aree ad alta endemia e contatti con soggetti itterici. La
diagnosi consiste nella determinazione degli anticorpi anti-HAV della classe IgM.
Il presente documento d’indirizzo è stato elaborato in seguito alle tematiche discusse
durante la conferenza di consenso tenutasi nel 1995 presso l’Istituto superiore di sanità
sull’utilità della vaccinazione anti-HAV di massa o dei gruppi ritenuti a rischio di infezione. Il documento discute l’epidemiologia, l’efficacia e la sicurezza del vaccino, il suo
utilizzo nel controllo delle epidemie, e la valutazione economica del suo impiego nella
vaccinazione di massa e nella profilassi postesposizione.
Scopo del presente documento è fornire raccomandazioni e suggerimenti su come evitare il contagio da HAV, su come comportarsi nei confronti della vaccinazione preventiva, e su come procedere in caso di contrazione del virus. Si tratta di raccomandazioni comportamentali, stabilite sulla base di un processo di revisione sistematica della letteratura e di pareri da parte di esperti nel settore.
• Epidemiologia: si registra una riduzione dei casi e dell’incidenza da 10 casi (1985) a
3 casi per 100.000.
• Efficacia del vaccino: per prevenire l’epatite A, il vaccino mostra un’efficacia protettiva pari all’86%.
• Strategia vaccinali a confronto: alla luce di una valutazione di tipo economico, il documento suggerisce la vaccinazione di massa solo in presenza di situazioni epidemiche, mentre conferma l’utilizzo di routine della vaccinazione dei contatti.
• Possibili gruppi a rischio: dall’analisi di 14 potenziali gruppi più esposti il documento suggerisce di vaccinare i viaggiatori (solo se si recano in paesi ad alta endemia), così come i militari, gli addetti allo smaltimento rifiuti, gli emofiliaci, i soggetti istituzionalizzati con handicap mentali (a seconda dei contesti), i tossicodipendenti, i detenuti, gli epatopatici cronici.
• Terapia dell’epatite A: per quanto riguarda la terapia in caso di infezione, o profilassi
postesposizione, due sono i presidi a disposizione: immunoglobuline e vaccino. Il documento ne analizza i rispettivi vantaggi e raccomanda la somministrazione di immunoglobuline entro 14 giorni dall’inizio dei sintomi del caso indice, e intervento con
vaccino entro 8 giorni dall’esposizione. Con una preferenza per il vaccino.
Riassunto 7
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Introduzione
Argomento, scopi e destinatari
Con questo documento l’Istituto superiore di sanità intende fornire suggerimenti sull’uso del vaccino epatite A (HAV) in Italia in corso di epidemie e in contesti specifici di
prevenzione primaria.
Dopo aver analizzato l’epidemiologia dell’epatite A in Italia e i dati relativi a efficacia e
sicurezza del vaccino, il documento confronta costi e benefici di due diverse strategie
vaccinali (di massa e dei contatti). Si passa quindi all’analisi dei possibili gruppi a rischio
per suggerire, per ciascuno di questi, l’opportunità di un eventuale intervento di prevenzione primaria e di vaccinazione immediata in caso di epidemia.
Al documento di indirizzo seguono:
➜ un’appendice di approfondimento sulla valutazione economica comparata delle due
diverse strategie vaccinali;
➜ la sintesi delle principali prove disponibili;
➜ le bibliografie.
Il documento è rivolto rivolto a tutti gli operatori coinvolti nell’uso del vaccino (operatori dei servizi di sanità pubblica e in particolare dei dipartimenti di prevenzione, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, direzioni delle aziende sanitarie e
opinione pubblica). E’ prevista una versione divulgativa per i cittadini finalizzata ad aumentare le conoscenze e l’autonomia nella decisione d’uso del vaccino.
Metodi
Secondo la metodologia seguita dal Programma nazionale per le linee guida (PNLG),
il documento viene elaborato attraverso i seguenti passaggi:
➜ individuazione di un gruppo multidisciplinare di esperti che comprenda tutte le competenze e le esperienze utili alla elaborazione del documento. Attraverso la consultazione con gli esperti si individuano i quesiti specifici clinici e organizzativi ai quali è chiesto di dare risposta;
➜ elaborazione di una strategia di ricerca che permetta di reperire le prove scientifiche
disponibili in letteratura;
➜ valutazione delle prove scientifiche che seguono alla revisione rapida;
➜ sintesi dei dati derivanti dagli studi presi in esame;
➜ trasformazione di tali prove in suggerimenti (si ricorda che il documento di indirizzo non dà raccomandazioni ma offre suggerimenti e consigli);
➜ redazione del documento secondo i criteri già esposti nel Manuale metodologico;
➜ aggiornamento periodico del documento.
Introduzione 9
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Nel 1995 si è tenuta presso l’Istituto superiore di sanità una conferenza di consenso sul
possibile utilizzo del vaccino anti-HAV con l’obiettivo di definire l’utilità di una strategia di vaccinazione di massa o di gruppi ritenuti a rischio di infezione. L’elaborazione
del presente documento riprende i temi della consensus conference e la completa, con l’attiva collaborazione dei rappresentati delle società scientifiche, trattando la questione dell’efficacia e sicurezza del vaccino, l’uso del vaccino per il controllo delle epidemie e la
valutazione economica del suo impiego in due diversi scenari quali quelli della vaccinazione di massa e della profilassi post esposizione.
La ricerca delle prove relative ai quesiti clinico-organizzativi sull’efficacia degli interventi
nei diversi contesti è stata effettuata ricercando i trial clinici disponibili su varie banche
dati. Per il vaccino sono stati consultati i seguenti database: The Cochrane Controlled
Trial Register (Issue 4-2001); Medline (1966-Dic 2001 inclusi); Embase (1974-2001
inclusi); SciSearch (Science Citation Index 1974-2001 inclusi); PubScience (1974-2001
inclusi) con la seguente combinazione di termini: (HEPATITIS-A-VACCINES or HEPATITIS-A or hepatitis A) and (VACCINES-ATTENUATED or VACCINES-INACTIVATED or explode VACCINES or VACCINATION or explode IMMUNIZATION
or vaccin* or immuni* or inoculat*).
E’ stata altresì condotta una ricerca bibliografica sulle stesse banche dati di prove di efficacia delle immunoglobuline.
Sono inoltre stati contattati tutti i produttori del vaccino per individuare eventuali altri
trial non pubblicati.
I metodi utilizzati per il modello economico seguono quelli indicati dalla check-list del
British Medical Journal,1 che propone una struttura per la conduzione e il reporting delle valutazioni economiche. La check-list è stata validata in contesti economici e metodologici differenti e rappresenta l’unico strumento del suo genere al mondo.
Per la valutazione della vaccinazione delle categorie a rischio, in assenza di trial, sono
stati utilizzati tutti gli studi non randomizzati disponibili per verificare l’utilità dell’intervento.
Epidemiologia dell’infezione
da virus dell’epatite A in Italia
L’epatite A è una malattia infettiva virale acuta caratterizzata, quando sintomatica, da
un periodo prodromico con sintomi aspecifici (malessere generale, fatica, dolori articolari, febbre ecc.) e una fase conclamata itterica.
La diagnosi eziologica viene posta attraverso la determinazione degli anticorpi anti-HAV
della classe IgM. Nelle ultime decadi, l’epidemiologia dell’epatite A, in Italia, come de10 Epidemiologia
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
sumibile dal sistema di sorveglianza SEIEVA, è mutata: assieme a una riduzione dei casi e dell’incidenza, passata dai 10 casi per 100.000 nel 1985 ai 3 casi per 100.000 nel
1999, è stata osservata una riduzione di soggetti naturalmente immuni, con uno spostamento dell’età di massima incidenza della malattia sintomatica dall’infanzia all’età giovane adulta.
Tale riduzione non è stata uniforme sul territorio nazionale né costante nel tempo: in
alcune aree, la circolazione del virus è oggi scarsa mentre da alcune regioni si segnalano ogni anno alcune centinaia di casi, e si riportano epidemie estese, la più importante
delle quali in Puglia negli anni 1996-1997.2
I fattori di rischio più frequenti in Italia sono il consumo di frutti di mare, i viaggi in
aree ad alta endemia e i contatti con soggetto itterico. Quest’ultimo fattore è riportato
da circa il 15% dei casi notificati.3
Lo spostamento della suscettibilità all’infezione verso un’età più adulta comporta un aumento di incidenza tra i giovani e gli adulti nei quali la malattia ha un’espressione clinica più grave. Inoltre le epidemie da virus dell’epatite A, talvolta di grandi dimensioni, determinano un notevole impatto sia sociale sia economico. Esistono tuttavia incertezze relativamente all’impiego del vaccino in interventi di prevenzione primaria e in
corso di epidemie.
Efficacia e sicurezza del vaccino
La revisione sistematica sull’efficacia e sicurezza del vaccino anti epatite A ha consentito di identificare complessivamente 7 studi. Per quanto riguarda l’efficacia nella prevenzione dei casi di epatite A (con conferma di laboratorio) sono stati identificati 3 studi riguardanti il vaccino inattivato (1 in cui il vaccino è confrontato con placebo e 2 con
vaccino ricombinante anti epatite B come controllo). E’ stata analizzata una popolazione
complessiva di 41.417 bambini. L’efficacia protettiva del vaccino è risultata pari all’86%
(95% IC 63-95%).
In nessuno dei trial riportati in altri studi sulla sicurezza del vaccino inattivato sono state segnalate reazioni avverse gravi.4-9 L’impiego su più ampia scala del vaccino fornirà
maggiore informazione sulla frequenza e gravità di reazioni avverse.
In uno degli studi identificati viene utilizzato il vaccino inattivato per la prevenzione
dei casi secondari (definiti come casi confermati in contatti familiari a oltre due settimane dal caso primario), ed è stata analizzata una popolazione complessiva di 404
soggetti giovani e adulti.
L’efficacia protettiva del vaccino è risultata pari all’82% (95% IC 23-96%).10
Efficacia 11
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Modello economico-decisionale
I benefici prevedibili della vaccinazione sono stati considerati in due diversi scenari, la
vaccinazione di massa e la vaccinazione dei contatti (vedi anche Appendice pag. 21). Il
primo scenario ha a sua volta due alternative:
a) vaccinazione di tutti i nuovi nati entro 15 mesi (il vaccino è somministrato in contemporanea al vaccino trivalente) e vaccinazione di tutti i dodicenni con un vaccino combinato «epatite A+epatite B»;
b) vaccinazione dei soli dodicenni con un vaccino combinato «epatite A+epatite B» e vaccinazione dei contatti dei casi acuti.
Sono state utilizzate le stime di efficacia ottenute dalla revisione sistematica;11,12 in particolare, per quanto riguarda l’efficacia nella prevenzione dei casi di epatite A (con conferma di laboratorio), l’efficacia protettiva del vaccino è stata assunta pari all’86% (95%
IC 63-95%). Il vaccino inattivato per la prevenzione dei casi secondari, definiti come
casi confermati in contatti familiari a oltre 2 settimane dal caso primario, ha efficacia
protettiva assunta pari all’82% (95% IC 23-96%).10
Strategia 1
Vaccinazione della popolazione di riferimento
➜ Vaccinazione di tutti i nuovi nati entro 15 mesi in contemporanea al vaccino trivalente, e di tutti i dodicenni con un vaccino combinato «epatite A+epatite B»;
➜ vaccinazione dei soli dodicenni con un vaccino combinato «epatite A+epatite B»;
➜ si ipotizza una durata protettiva del vaccino compresa fra i 24 e i 47 anni;
➜ efficacia del vaccino dell’86% (95% IC 63-95%) e riduzione annua dell’incidenza del
5% a partire dal settimo anno.
Conclusioni
➜ I valori di costo per caso evitato e di costo netto per caso evitato sono risultati sempre molto elevati;
➜ il modello appare sensibile ai valori di incidenza e, in minima misura, ai valori del costo per caso evitato;
➜ nell’analisi di sensitività i costi si riducono solo utilizzando i valori di incidenza rilevati durante l’epidemia pugliese e i costi netti diventano molto bassi nel caso si scelga di vaccinare sia i nuovi nati sia i dodicenni, e addirittura negativi nel caso si scelga di vaccinare soltanto i dodicenni.
Dal punto di vista economico la vaccinazione di massa appare raccomandabile solo in situazioni epidemiche.
12 Modello economico-decisionale
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Strategia 2
Vaccinazione dei contatti
➜ Si vaccinano i contatti dei casi segnalati di HAV;
➜ si considera un arco temporale di un anno cercando di valutare i costi evitabili derivanti da questa strategia di vaccinazione;
➜ efficacia del vaccino dell’82% (95% IC 23–96%);
➜ numero di contatti per caso 2,77;
➜ percentuale di casi evitabili 4,78.
Conclusioni
➜ I valori di costo per caso evitato appaiono decisamente contenuti;
➜ il modello è costruito secondo parametri derivati da un singolo studio, che sono insensibili ai valori di incidenza presenti nella popolazione e che quindi potrebbe rivelare problemi di generalizzazione;
➜ l’analisi di sensitività condotta secondo 2 scenari estremi non mostra variazioni rilevanti del costo per caso evitato. I costi netti per caso evitato sono sempre negativi
mostrando, quindi, la presenza potenziale di un beneficio assoluto.
Dal punto di vista economico la vaccinazione dei contatti è senz’altro utilizzabile come provvedimento di routine.
Possibili gruppi a rischio
Viaggiatori
Due rassegne di studi relativi all’incidenza o alla prevalenza di pregressa infezione di
epatite A tra i viaggiatori13,14 mettono in evidenza il rischio di questa malattia tra coloro che, provenendo da aree a bassa endemia, si recano in aree a elevata circolazione
di questo virus. Uno studio italiano caso-controllo condotto sui dati della sorveglianza dell’epatite virale acuta (SEIEVA) conferma questo rischio e mostra un suo gradiente
in relazione al livello di endemicità dell’area di destinazione dei viaggiatori.15
La mappa delle aree secondo il livello di endemia, sviluppata dall’Organizzazione mondiale della sanità, è accessibile sul sito:
http://www.who.int/emc-documents/hepatitis/whocdscsredc20007c.html.
La vaccinazione è suggerita per i viaggiatori che si recano in aree caratterizzate da elevata endemia.
Gruppi a rischio 13
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Militari
Sebbene siano state descritte epidemie di epatite A durante le due guerre mondiali tra
i militari impegnati in operazioni belliche,16 non esistono prove che la vita militare di
per sé sia un fattore di rischio per questa infezione.17
La vaccinazione è suggerita per i militari che si recano in servizio in aree a elevata endemia.
Personale sanitario
Studi di sieroprevalenza non dimostrano che il personale sanitario sia a maggior rischio di infezione rispetto alla popolazione generale.18,19
Epidemie di epatite A segnalate in ambito ospedaliero sono causate dalla mancata osservanza delle comuni norme igieniche.
Interventi di informazione/educazione all’osservanza delle misure di prevenzione non
immunitarie hanno il vantaggio di essere aspecifici ed efficaci sulla trasmissione di tutte le malattie a trasmissione oro-fecale.
La vaccinazione non è suggerita.
Addetti allo smaltimento dei rifiuti
La segnalazione di focolai epidemici tra gli addetti allo smaltimento di rifiuti20-22 e il riscontro di prevalenza più elevata rispetto a gruppi di riferimento in tale categoria di soggetti,23-29 suggeriscono un maggior rischio di infezione.
La vaccinazione è suggerita.
Alimentaristi
Sebbene siano stati segnalati numerosi focolai epidemici di epatite A causati da cibo contaminato, non esistono dati a supporto di un rischio maggiore di infezione per gli addetti alla preparazione e distribuzione di alimenti.30,31 La trasmissione di infezione a opera di un alimentarista infetto è evitabile mediante l’osservanza delle comuni norme igieniche (vedi anche personale sanitario).
La vaccinazione non è suggerita.
14 Gruppi a rischio
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Personale di asili nido
Sono stati descritti diversi focolai epidemici che hanno origine da asili nido e che hanno coinvolto anche il personale addetto.32-36 Non esistono comunque studi osservazionali o di sieroepidemiologia condotti con metodologia appropriata che mostrino complessivamente un rischio maggiore di contrarre l’epatite A da parte del personale che lavora negli asili nido rispetto a gruppi di confronto.
La vaccinazione non è suggerita.
Soggetti istituzionalizzati con handicap mentali
Esistono tre studi37-39 di sieroprevalenza di scarsa qualità che riportano un rischio di
epatite A più alto nei soggetti istituzionalizzati. Questo argomento è poco studiato.
L’indicazione alla vaccinazione può essere data a livello locale ed è legata alla
valutazione della capacità della struttura di mantenere adeguati standard di
norme igieniche.
Politrasfusi
Gli studi non documentano un eccesso di rischio di epatite A associato a trasfusioni.40,41
La vaccinazione non è suggerita.
Emofiliaci
E’ stata documentata la trasmissione di epatite A in seguito a somministrazione di fattori della coagulazione (VIII/IX) che includono nel ciclo di produzione un solo trattamento di inattivazione virale basato sul metodo solvente/detergente.42 Tale metodo
è inefficace per l’inattivazione di virus sprovvisti di envelope. Gli attuali metodi di produzione prevedono l’applicazione di trattamenti aggiuntivi, quali trattamento al calore
e filtrazione. Non sono stati descritti ulteriori casi di trasmissione di HAV. Tuttavia
l’inattivazione/rimozione di virus sprovvisti di envelope rimane un argomento di studio.
I fattori della coagulazione prodotti con metodologie di ricombinazione genica sono
esenti da rischio di trasmissione di HAV.
Si suggerisce la vaccinazione per tutti i casi in cui non sia possibile garantire
ai pazienti trattamenti basati sull’esclusiva applicazione di prodotti derivati da
ricombinazione genica.
Gruppi a rischio 15
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Tossicodipendenti
Descrizione di focolai epidemici, studi di sieroprevalenza e studi caso-controllo43-45
documentano un eccesso di rischio di epatite A per soggetti che fanno uso di sostanze stupefacenti.
Vi è la prova che i tossicodipendenti presentano un rischio di contrarre l’epatite A modicamente superiore rispetto alla popolazione generale dovuto a fattori socioeconomici e alla promiscuità sessuale, oltre che allo scambio di siringhe e alla contaminazione
degli strumenti utilizzati per l’assunzione delle droghe.
La vaccinazione è suggerita contestualmente alla vaccinazione per l’epatite B.
Omosessuali
Sono stati segnalati focolai epidemici tra omosessuali.46 Il rischio di contrarre l’infezione è legato soprattutto alla promiscuità sessuale e alla frequentazione di dark rooms.
Studi di sieroprevalenza non documentano però che gli omosessuali siano a rischio maggiore di epatite A rispetto a gruppi di confronto.47
La vaccinazione non è suggerita.
Detenuti
Le carceri sono un ambiente in cui confluiscono diversi fattori di rischio quali la promiscuità sessuale, l’uso di droghe e lo scarso livello igienico.48
La vaccinazione è suggerita.
Soggetti HIV sieropositivi
Non è provato che i pazienti HIV sieropositivi costituiscano una categoria a rischio; infatti la possibilità dei soggetti affetti da AIDS di contrarre l’epatite virale A non nasce
dalla loro condizione di immunodeficienza, bensì è legata all’appartenenza a categorie
di persone di cui è discusso il maggior rischio di esposizione all’HAV, cioè gli omosessuali, i tossicodipendenti, i politrasfusi e gli emofilici.
La vaccinazione non è suggerita.
16 Gruppi a rischio
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Epatopatici cronici
I soggetti con epatopatia cronica e cirrosi hanno mostrato un maggior rischio di complicanze anche se gli studi sono spesso di qualità modesta, di piccole dimensioni campionarie ed eterogenee nei risultati.49-54
La vaccinazione è comunque suggerita per i soggetti con malattia cronica allo
stadio avanzato e cirrotici previo screening sierologico.
Interventi in corso di epidemia in base
a tre diversi scenari epidemiologici
In base alle esperienze descritte in letteratura in Italia e in paesi dalle caratteristiche
simili, si sono ipotizzati alcuni scenari in cui è prevedibile che epidemie di epatite A
si possano sviluppare.55-58
Comunità chiusa
Comunità chiuse, come scuole materne e asili nido, in cui gran parte degli individui sono suscettibili, il contatto tra le persone è frequente e intimo, le infrastrutture sono spesso di comune utilizzo ed è quindi alto il rischio di trasmissione da persona a persona.
Si suggerisce la vaccinazione di familiari conviventi, compagni di classe, insegnanti e personale direttamente a contatto dopo segnalazione del primo caso.
Per i ragazzi più grandi, a partire dalla scuola media inferiore (età superiore a 11 anni),
in cui l’infezione è più spesso sintomatica ed è minore la probabilità di contatti a rischio
la vaccinazione è suggerita quando vi è prova di trasmissione secondaria all’interno della comunità: deve verificarsi almeno un nuovo caso secondario dopo 15 giorni dall’inizio dei sintomi del caso indice.
Comunità aperta
Per quanto riguarda le comunità aperte bisogna distinguere comunità di ridotte dimensioni (orientativamente al di sotto dei 5.000 abitanti), in cui è possibile raggiungere in breve tempo elevate coperture vaccinali dei suscettibili o potenzialmente tali (orientativamente
l’80%), da comunità di grandi dimensioni in cui questo obiettivo non è realistico.
Interventi 17
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Piccole comunità aperte
Sono comunità aperte di piccole dimensioni, per esempio, comuni di limitata ampiezza demografica (minori di 5.000 abitanti), in cui si verificano più casi collegati di HAV,
in distinti nuclei familiari.
Si suggerisce la vaccinazione a coorti di età che sono maggiormente suscettibili, soprattutto a bambini e adolescenti.
E’ stato osservato che questo intervento si dimostra efficace solo se si raggiungono coperture superiori all’80% della popolazione.
Grandi comunità aperte
Vi è poi il caso di grandi comunità aperte in cui si verificano periodiche riaccensioni epidemiche a distanza di anni, mentre nei periodi interepidemici continuano a verificarsi
casi come quelli nella regione Puglia.
L’offerta attiva della vaccinazione a coorti di suscettibili non è praticabile per
la difficoltà di raggiungere coperture elevate in tempi brevi. La strategia alternativa praticabile è la vaccinazione di conviventi dei casi acuti combinata alle
misure di controllo non immunitarie.59-61
Questi suggerimenti si riferiscono all’intervento in caso di epidemia e non entrano nel
merito delle strategie che sono state proposte o adottate per prevenire le epidemie di
epatite A in aree endemico-iperendemiche.
Profilassi postesposizione
Due sono i presidi a disposizione per la profilassi postesposizione: immunoglobuline e
vaccino. Non sono stati individuati studi che ne confrontino direttamente l’efficacia.
Si raccomanda come profilassi standard post esposizione dell’epatite da HAV la somministrazione di 0,02 ml/kg di immunoglobuline (Ig) entro 14 giorni dall’inizio dei
sintomi del caso indice. L’efficacia stimata negli studi individuati (Ig vs placebo)62-64
mostrano un’efficacia di circa l’80% nei riceventi.
Tuttavia emergono differenze nell’efficacia profilattica di lotti diversi di Ig:62 sono stati dimostrati titoli anticorpali più bassi in lotti di produzione recente65 che rendono meno efficace o di efficacia variabile la profilassi passiva con preparati standard di Ig di cui
si ignora il titolo in anti-HAV.66
E’ disponibile un unico trial recente a supporto dell’efficacia post esposizione del vaccino: la sua protezione, se somministrato entro 8 giorni dall’inizio dei sintomi del caso
indice, è dell’82% e ha limiti di confidenza piuttosto ampi (IC 23-96%) per le ridotte
dimensioni campionarie.
18 Profilassi
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Considerata la breve durata della protezione, la variabilità e la tendenza alla diminuzione del titolo anticorpale nelle immunoglobuline, l’intervento con vaccino entro 8 giorni dall’esposizione67 è da considerare preferibile all’impiego
delle gammaglobuline.
Indicatori di monitoraggio e verifica
L’uso di indicatori è di ausilio nella sorveglianza dell’epatite A nonché nella valutazione dell’efficacia degli interventi suggeriti in questo documento. Vengono di seguito proposti indicatori di possibile utilizzo:
➜ rilevazione attraverso questionari o interviste della modalità di impiego del vaccino
da parte delle aziende sanitarie;
➜ copertura vaccinale e appropriatezza d’uso del vaccino attraverso indagini ad hoc;
➜ incidenza nel tempo dei casi notificati e descrizione dei fattori di rischio riportati utilizzando il SEIEVA (Sorveglianza epidemiologica integrata delle epatiti virali acute);
➜ indagini sieroepidemiologiche;
➜ registrazione di focolai epidemici.
Notifica di casi di epatite A
Il medico deve notificare tempestivamente un caso di epatite A come a norma di legge
(decreto ministeriale del 15 dicembre 1990 pubblicato sulla Gazzetta ufficiale serie generale numero 6 dell’8 gennaio 1991, circolare ministeriale del 17 dicembre 1990).
La scheda di notifica delle malattie infettive di classe II è reperibile in formato PDF nel
sito dell’Istituto superiore di sanità all’indirizzo:
http://www.simi.iss.it/files/sch2.PDF;
mentre la scheda di riepilogo mensile è reperibile all’indirizzo:
http://www.simi.iss.it/files/mod16.PDF.
Avvertenza
Si ricorda che l’osservanza delle norme igieniche è premessa essenziale per evitare la trasmissione dell’epatite A.
Indicatori 19
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Glossario
Allerta epidemica: caso di epatite A in una comunità chiusa in cui la maggior parte delle persone è verosimilmente suscettibile all’infezione.
Analisi economica: valutazione analitica dei costi e delle conseguenze di interventi sanitari alternativi.
Caso di epatite A: diagnosi eziologica attraverso la determinazione degli anticorpi antiHAV della classe IgM.
Caso secondario: soggetto che manifesta l’esordio clinico dopo almeno 14 giorni dall’inizio dei sintomi nel caso indice e non oltre 6 settimane.
Comunità aperta: gruppo di persone che vive nella stessa regione, provincia o città, ma
non condivide la stessa abitazione, luogo di lavoro, svago eccetera.
Comunità chiusa: gruppo di persone che condivide la stessa abitazione, luogo di lavoro, svago. Esempi di comunità chiuse sono, oltre alle abitazioni, ospedali, asili, scuole, residenze per anziani.
Contatto: individuo che è o è stato in contatto con il caso.
Endemia: livello di presenza superiore alla norma di una caratteristica o di una malattia.
Epatopatia cronica: malattia del fegato di durata superiore a 6 mesi.
Epidemia: incremento non casuale, rispetto a quanto atteso, dell’incidenza di epatite A.
Focolaio epidemico: epidemia limitata a un incremento localizzato nell’incidenza di una
malattia.
HAV: epatite da virus A.
Ipertransaminasemia: aumento dei valori normali delle transaminasi.
Ittero: comparsa di colore giallo alle sclere o sul corpo.
Modello economico-decisionale: rappresentazione sintetica delle alternative decisionali
basata sull’analisi economica.
Revisione sistematica (Cochrane): individuazione, raccolta, valutazione e sintesi delle evidenze disponibili sull’efficacia e sicurezza di un intervento sanitario.
20 Glossario
Appendice:
valutazione economica
della vaccinazione
anti epatite A
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Si sono ipotizzate e messe a confronto due strategie:
• prima strategia: vaccinazione di massa
• seconda strategia: vaccinazione dei contatti
Vittorio Demicheli, Emanuela Carniglia, Stefania Fucci
PRIMA STRATEGIA
Si considerano due possibilità:
• vaccinazione di tutti i nuovi nati entro 15 mesi in contemporanea al vaccino trivalente e vaccinazione
di tutti i dodicenni con un vaccino combinato «epatite A+epatite B»;
• vaccinazione dei soli dodicenni con un vaccino combinato «epatite A+epatite B».
Si ipotizza un periodo di vaccinazione di 12 anni che permetta di arrivare a una copertura totale per i soggetti fino a 24 anni. In questo modo si riesce a coprire il periodo di massima incidenza della malattia.
Si ipotizza una durata protettiva del vaccino compresa fra i 24 e i 47 anni.1
A partire dal terzo anno viene abolita la vaccinazione combinata per i dodicenni. Questo provoca un cambiamento nei costi di vaccinazione:
• il costo di vaccinazione dei dodicenni nel primo e secondo anno equivale alla differenza tra il costo
del vaccino combinato e il costo del vaccino dell’epatite B;
• il costo di vaccinazione dei dodicenni dopo il secondo anno equivale al costo del vaccino dell’epatite A ricaricato del 15%: questo rappresenta la stima minima dei costi di somministrazione derivata da
una revisione dei costi della vaccinazione antiepatite B.2
A partire dal settimo anno l’incidenza della malattia diminuisce di una quota pari al 5% ogni 2 anni, per
approssimare l’effetto della scomparsa dei casi di origine inter-umana.
Le fonti e i valori dei parametri utilizzati nell’analisi sono presentati nella tabella che segue:
PARAMETRI
FONTE
VALORE
ANALISI DI SENSITIVITA’
CAMPIONE
Assunto
100.000 (15 mesi+12 anni)
50.000 (solo dodicenni)
-
TASSO
DI SCONTO
Arbitrario
3%
0-5%
COSTO
DEL VACCINO
Prezzi di vendita
• 15 mesi: 12,91 euro
• 12 anni:
10,33 euro per i primi 2 anni;
14,72 euro dal terzo anno in poi.
-
EFFICACIA
DEL VACCINO
RCT3
86%
63-95%
INCIDENZA
SEIEVA
Dati a livello nazionale
per fasce d’età 0-14 e 15-24
Dati:
• Nord
• Sud
• Puglia
COSTO MEDIO
PER CASO
Studio Lucioni4
Costi espressi per fasce d’età
• Costi
diretti+costi indiretti
• Costi diretti
decurtati
del 75%+costi indiretti
22 Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Per ciascun anno di vaccinazione sono stati calcolati i costi per caso evitato e i corrispondenti costi
netti, accumulando i casi evitati fino a quel momento e attualizzando opportunamente i costi di vaccinazione e dei casi evitati.
∑ Costi totali vaccinazione
Costi per caso evitato (anno X) =
x
∑ Casi evitati
x
∑ Costi totali vaccinazione – ∑ Costi casi di epatite evitati
Costi netti per caso evitato (anno X) =
x
x
∑ Casi evitati
x
dove i casi evitati derivano dalla somma di quelli nelle fasce d’età considerate nei diversi anni.
A conclusione della strategia in questione sono proposte le seguenti tabelle (vedi pp. 24-31):
• 2 tabelle con i costi per caso evitato e i costi netti per caso evitato nella situazione di vaccinazione
sia dei nuovi nati a 15 mesi sia dei dodicenni, ipotizzando valori di incidenza crescenti rispetto ai valori nazionali, definiti «di base», a quelli dell’Italia del Sud e a quelli riscontrati durante l’epidemia del
1996 in Puglia;
• 2 tabelle con i costi per caso evitato e i costi netti per caso evitato nella situazione di vaccinazione
solo dei dodicenni, ipotizzando valori di incidenza crescenti rispetto ai valori nazionali, definiti «di base», a quelli dell’Italia del Sud e a quelli riscontrati durante l’epidemia del 1996 in Puglia;
• 2 tabelle con i costi per caso evitato e i costi netti per caso evitato nella situazione di vaccinazione
sia dei nuovi nati a 15 mesi sia dei dodicenni, ipotizzando differenti livelli di efficacia del vaccino;
• 2 tabelle con i costi per caso evitato e i costi netti per caso evitato nella situazione di vaccinazione
solo dei dodicenni, ipotizzando differenti livelli di efficacia del vaccino.
Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A 23
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
VALUTAZIONE
PER INCIDENZA
Vaccinazione nuovi nati + dodicenni
COSTI TOTALI PER CASO EVITATO (EURO)
Anno dall’inizio della
campagna vaccinale
Incidenza basale
Incidenza Sud
Incidenza Puglia
128.685,27
84.503,33
66.482,86
53.992,28
45.114,50
38.543,26
33.564,18
29.650,42
26.518,95
23.947,41
21.810,29
20.000,20
41.575,00
27.301,00
21.479,00
17.443,00
14.575,00
12.452,00
10.843,00
9.579,00
8.567,00
7.736,00
7.046,00
6.461,00
4.851,69
3.185,94
2.506,54
2.035,62
1.700,91
1.453,16
1.265,44
1.117,88
999,82
902,86
822,29
754,05
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Tabella 1. Costi per caso evitato nei primi 12 anni di campagna vaccinale e per 3 livelli crescenti di incidenza dell’epatite A. Costi di vaccinazione attualizzati a un tasso di sconto del 3%. L’incidenza di base
è pari a quella media italiana derivata dai casi notificati di epatite A.
Costo per caso evitato
140.000,00
Incidenza di base
120.000,00
Incidenza Italia
meridionale
Costi
100.000,00
Incidenza Puglia
80.000,00
60.000,00
40.000,00
20.000,00
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Anni
Figura 1. Andamento dei costi per caso evitato nei primi 12 anni di vaccinazione contro l’epatite A.
24 Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
COSTI NETTI PER CASO EVITATO (EURO)
Anno dall’inizio della
campagna vaccinale
Incidenza basale
Incidenza Sud
Incidenza Puglia
127.352,00
83.627,81
65.836,02
53.482,49
44.695,96
38.189,78
33.261,24
29.386,00
26.286,14
23.739,80
21.624,19
19.831,80
40.252,99
26.432,81
20.837,60
16.938,10
14.160,38
12.101,89
10.543,39
9.317,13
8.336,77
7.530,97
6.861,84
6.294,60
3.529,37
2.317,62
1.865,02
1.530,02
1.285,80
1.102,58
964,99
855,63
768,92
696,97
637,72
587,03
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Tabella 2. Costi netti per caso evitato nei primi 12 anni di campagna vaccinale e per 3 livelli crescenti
di incidenza dell’epatite A. Costi di vaccinazione e costi dei casi evitati attualizzati a un tasso di sconto del 3%. L’incidenza di base è pari a quella media italiana derivata dai casi notificati di epatite A.
Costo netto per caso evitato
140.000,00
Incidenza di base
120.000,00
Incidenza Italia
meridionale
Costi
100.000,00
Incidenza Puglia
80.000,00
60.000,00
40.000,00
20.000,00
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Anni
Figura 2. Andamento dei costi netti per caso evitato nei primi 12 anni di vaccinazione anti epatite A.
Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A 25
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Vaccinazione dodicenni
COSTI TOTALI PER CASO EVITATO (EURO)
Anno dall’inizio della
campagna vaccinale
Incidenza basale
Incidenza Sud
Incidenza Puglia
85.790,18
56.335,55
47.697,91
39.985,29
34.007,22
29.383,62
25.788,74
22.912,76
20.583,00
18.651,54
17.034,68
15.657,08
14.298,00
9.389,00
7.949,00
6.664,00
5.667,00
4.897,00
4.298,00
3.818,00
3.430,00
3.108,00
2.839,00
2.609,00
1.668,14
1.095,41
927,46
777,49
661,25
571,35
501,45
445,53
400,22
362,67
331,23
304,44
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Tabella 3. Costi per caso evitato nei primi 12 anni di campagna vaccinale e per 3 livelli crescenti di incidenza dell’epatite A. Costi di vaccinazione attualizzati a un tasso di sconto del 3%. L’incidenza di base
è pari a quella media italiana derivata dai casi notificati di epatite A.
Costo per caso evitato
100.000,00
Incidenza di base
90.000,00
Incidenza Italia
meridionale
80.000,00
Costi
70.000,00
Incidenza Puglia
60.000,00
50.000,00
40.000,00
30.000,00
20.000,00
10.000,00
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Anni
Figura 3. Andamento dei costi per caso evitato nei primi 12 anni di vaccinazione contro l’epatite A.
26 Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
COSTI NETTI PER CASO EVITATO (EURO)
Anno dall’inizio della
campagna vaccinale
Incidenza basale
Incidenza Sud
Incidenza Puglia
84.277,29
54.837,79
46.215,05
38.517,10
32.553,49
27.944,14
24.363,45
21.501,50
19.185,70
17.268,04
15.664,91
14.300,88
12.785,47
7.891,49
6.466,79
5.196,03
4.214,14
3.457,79
2.872,83
2.407,54
2.033,20
1.725,10
1.469,34
1.253,31
155,25
-402,35
-555,41
-690,69
-792,47
-868,13
-923,84
-965,73
-997,07
-1.020,82
-1.038,54
-1.051,76
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Tabella 4. Costi netti per caso evitato nei primi 12 anni di campagna vaccinale e per 3 livelli crescenti
di incidenza dell’epatite A. Costi di vaccinazione e costi dei casi evitati attualizzati a un tasso di sconto del 3%. L’incidenza di base è pari a quella media italiana derivata dai casi notificati di epatite A.
Costo netto per caso evitato
90.000,00
Incidenza di base
80.000,00
Incidenza Italia
meridionale
70.000,00
Costi
60.000,00
Incidenza Puglia
50.000,00
40.000,00
30.000,00
20.000,00
10.000,00
0
-10.000,00
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Anni
Figura 4. Andamento dei costi netti per caso evitato nei primi 12 anni di vaccinazione anti epatite A.
Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A 27
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
VALUTAZIONE
PER
EFFICACIA
Vaccinazione nuovi nati + dodicenni
COSTI NETTI PER CASO EVITATO (EURO)
Anno dall’inizio della
campagna vaccinale
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
86%
(caso base)
63%
95%
128.685,27
84.503,33
66.482,86
53.992,28
45.114,50
38.543,26
33.564,18
29.650,42
26.518,95
23.947,41
21.810,29
20.000,20
175.665,61
115.353,75
90.754,39
73.703,74
61.584,88
52.614,61
45.817,77
40.475,18
36.200,47
32.690,11
29.772,78
27.301,87
116.494,04
76.497,75
60.184,49
48.877,22
40.840,50
34.891,80
30.384,41
26.841,44
24.066,63
21.678,70
19.744,05
18.105,45
Tabella 5. Costi per caso evitato nei primi 12 anni di campagna vaccinale e per 3 diversi livelli di efficacia del vaccino contro l’epatite A. Costi di vaccinazione e costi dei casi evitati attualizzati a un tasso di sconto del 3%.
Costo per caso evitato
200.000,00
Efficacia 63%
180.000,00
Efficacia 86%
160.000,00
Efficacia 95%
Costi
140.000,00
120.000,00
100.000,00
80.000,00
60.000,00
40.000,00
20.000,00
0,00
1
2
3
4
5
6
7
Anni
8
9
10
11
12
Figura 5. Andamento dei costi per caso evitato nei primi 12 anni di vaccinazione per differenti livelli di
efficacia del vaccino contro l’epatite A.
28 Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
COSTI NETTI PER CASO EVITATO (EURO)
Anno dall’inizio della
campagna vaccinale
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
86%
(caso base)
63%
95%
127.352,00
83.627,81
65.836,02
53.482,49
44.695,96
38.189,78
33.261,24
29.386,00
26.286,14
23.739,80
21.624,19
19.831,80
174.332,34
114.478,23
90.107,55
73.193,95
61.166,33
52.261,13
45.514,83
40.210,76
35.967,66
32.482,51
29.586,67
27.133,47
115.160,76
75.622,23
59.537,65
48.367,43
40.421,95
34.538,31
30.081,48
26.577,01
23.773,81
21.471,10
19.557,95
17.937,05
Tabella 6. Costi netti per caso evitato nei primi 12 anni di campagna vaccinale e per 3 differenti livelli
di efficacia del vaccino contro l’epatite A. Costi di vaccinazione e costi dei casi evitati attualizzati a un
tasso di sconto del 3%.
Costo netto per caso evitato
200.000,00
Efficacia 63%
180.000,00
Efficacia 86%
160.000,00
Efficacia 95%
Costi
140.000,00
120.000,00
100.000,00
80.000,00
60.000,00
40.000,00
20.000,00
0,00
1
2
3
4
5
6
7
Anni
8
9
10
11
12
Figura 6. Andamento dei costi netti per caso evitato nei primi 12 anni di vaccinazione per 3 differenti
livelli di efficacia del vaccino contro l’epatite A.
Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A 29
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Vaccinazione dodicenni
COSTI PER CASO EVITATO (EURO)
Anno dall’inizio della
campagna vaccinale
86%
(caso base)
63%
95%
85.790,18
56.335,55
47.697,91
39.985,29
34.007,22
29.383,62
25.788,74
22.912,76
20.583,00
18.651,54
17.034,68
15.657,08
117.110,41
76.902,50
65.111,43
54.583,09
46.422,55
40.110,97
35.203,68
31.277,74
28.097,43
25.460,83
23.253,69
21.373,16
77.662,69
50.998,50
43.179,16
36.197,21
30.785,48
26.599,91
23.345,60
20.742,08
18.633,03
16.884,55
15.420,87
14.173,78
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Tabella 7. Costi per caso evitato nei primi 12 anni di campagna vaccinale e per 3 diversi livelli di efficacia del vaccino contro l’epatite A. Costi di vaccinazione e costi dei casi evitati attualizzati a un tasso di sconto del 3%.
Costi
Costo per caso evitato
140.000,00
Efficacia 63%
120.000,00
Efficacia 86%
100.000,00
Efficacia 95%
80.000,00
60.000,00
40.000,00
20.000,00
0
1
2
3
4
5
6
7
Anni
8
9
10
11
12
Figura 7. Andamento dei costi per caso evitato nei primi 12 anni di vaccinazione per differenti livelli di
efficacia del vaccino contro l’epatite A.
30 Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
COSTI NETTI PER CASO EVITATO (EURO)
Anno dall’inizio della
campagna vaccinale
86%
(caso base)
63%
95%
84.277,29
54.837,79
46.215,05
38.517,10
32.553,49
27.944,14
24.363,45
21.501,50
19.185,70
17.268,04
15.664,91
14.300,88
115.597,51
75.404,73
63.628,57
53.114,90
44.968,83
38.671,49
33.778,39
29.866,48
26.700,13
24.077,34
21.883,92
20.016,96
76.149,80
49.500,73
41.696,30
34.729,02
29.331,76
25.160,43
21.920,31
19.330,82
17.235,73
15.501,06
14.051,10
12.817,58
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Tabella 8. Costi netti per caso evitato nei primi 12 anni di campagna vaccinale e per 3 differenti livelli
di efficacia del vaccino contro l’epatite A. Costi di vaccinazione e costi dei casi evitati attualizzati a un
tasso di sconto del 3%.
Costi
Costo netto per caso evitato
140.000,00
Efficacia 63%
120.000,00
Efficacia 86%
100.000,00
Efficacia 95%
80.000,00
60.000,00
40.000,00
20.000,00
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Anni
Figura 8. Andamento dei costi netti per caso evitato nei primi 12 anni di vaccinazione per 3 differenti
livelli di efficacia del vaccino contro l’epatite A.
Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A 31
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
SECONDA STRATEGIA
Si vaccinano i contatti dei casi segnalati di epatite A. Si considera un arco temporale di un anno cercando di valutare i costi evitabili derivanti da questa strategia di vaccinazione.
I parametri fondamentali di stima derivano dallo studio Sagliocca L, Amoroso P, Stroffolini T, Adamo B,
Tosti ME, Lettieri G, Esposito C, Buonocore S, Pierri P, Mele A. Efficacy of hepatitis A vaccine in prevention of secondary hepatitis A infection: a randomised trial. Lancet 1999; 353: 1136-39, che da ora in
poi chiameremo semplicemente TRIAL.
Le fonti e i valori dei parametri utilizzati nell’analisi sono presentati nella seguente tabella:
PARAMETRI
FONTE
VALORE
ANALISI DI SENSITIVITA’
CAMPIONE
Assunto
1.000.000
-
COSTO DEL VACCINO
Prezzo di vendita
Euro 15,49
-
EFFICACIA DEL VACCINO
TRIAL
82%
23-96%
INCIDENZA
SEIEVA
Dati Nord e Sud
-
NUMERO DI CONTATTI
PER CASO
TRIAL
2,77
2,4-3,2
PERCENTUALE
DEI CASI EVITABILI
TRIAL
5,8
-
Numero soggetti da vaccinare = incidenza malattia x numero contatti per caso
Numero casi evitabili = numero soggetti da vaccinare x % casi evitabili
Costo per caso evitato =
Costi netti per caso evitato =
Costi totali della vaccinazione
Numero casi evitati
Costi totali della vaccinazione – Costi casi di epatite evitati
Casi evitati
Vengono proposti i risultati dei valori di base e di due scenari:
• in quello pessimista è massimo il numero dei contatti da vaccinare, è minima l’efficacia del vaccino
e, di conseguenza, è minimo anche il numero dei casi evitati;
• in quello ottimista il numero dei contatti da vaccinare è minimo, l’efficacia del vaccino è massima così come il numero di casi evitati.
32 Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
BASALE
CAMPIONE
SCENARIO
PESSIMISTA
SCENARIO
OTTIMISTA
1.000.000
1.000.000
1.000.000
EFFICACIA DEL VACCINO
0,82
0,23
0,96
INCIDENZA DELLA MALATTIA
160
160
160
CONTATTI PER CASO
2,77
3,2
2,4
NUMERO SOGGETTI
DA VACCINARE
443
512
384
COSTO DEL VACCINO (euro)
15,49
15,49
15,49
6.862,07
7.930,88
5.948,16
INDICE CASI EVITABILI
0,04756
0,01334
0,05568
NUMERO CASI EVITABILI
21,06908
6,83008
21,38112
COSTO TOTALE DEI CASI EVITATI (euro)
38.084,45
12.346,05
38.648,49
325,00
1.161,17
278,20
-1.481,91
-646,43
-1.529,40
COSTO DELLA VACCINAZIONE (euro)
COSTI PER CASO EVITATO (euro)
COSTI NETTI PER CASO EVITATO (euro)
CONCLUSIONI
E
RACCOMANDAZIONI
Strategia 1
I valori di costo per caso evitato e di costo netto per caso evitato sono risultati sempre molto elevati. Il
modello appare sensibile ai valori di incidenza e, in minima misura, ai valori del costo per caso evitato.
Nell’analisi di sensitività i costi si riducono solo utilizzando i valori di incidenza rilevati durante l’epidemia
pugliese e i costi netti diventano molto bassi nel caso si scelga di vaccinare sia i nuovi nati sia i dodicenni, e addirittura negativi nel caso si scelga di vaccinare soltanto i dodicenni.
Dal punto di vista economico la vaccinazione di massa appare raccomandabile solo in situazioni epidemiche o comunque a incidenza elevatissima.
Strategia 2
I valori di costo per caso evitato appaiono decisamente contenuti. Il modello è costruito secondo parametri derivati da un singolo studio, che sono insensibili ai valori di incidenza presenti nella popolazione e
potrebbe rivelare problemi di generalizzazione. L’analisi di sensitività condotta secondo due scenari estremi non mostra variazioni rilevanti del costo per caso evitato. I costi netti per caso evitato sono sempre negativi mostrando, quindi, la presenza potenziale di un beneficio assoluto.
Dal punto di vista economico la vaccinazione dei contatti è senz’altro da raccomandare come provvedimento di routine.
Appendice: valutazione economica della vaccinazione anti epatite A 33
Sintesi delle principali
prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra i viaggiatori una maggior incidenza,
diffusione, gravità dell’infezione da virus dell’epatite A?
I viaggiatori costituiscono un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
Una review del 19931 raccoglie dati sull’incidenza e sulla prevalenza dell’epatite A nella popolazione, pubblicati dal 1978 al 1991, evidenziando il rischio di infezione da HAV per i viaggiatori che si recano da paesi a bassa endemia verso zone a endemia più elevata.
Una review del 1994,2 che racchiude gli studi pubblicati su Index Medicus e Medline risalenti al periodo
compreso tra il 1973 e 1993 e i dati provenienti dai Centers for Diseases Control and Prevention, conclude che i viaggiatori sono a rischio di infezione da HAV e raccomanda il vaccino a tutti coloro che non sono immuni e si recano in paesi in via di sviluppo.
Il tasso di incidenza per i viaggiatori non protetti (inclusi i soggiornanti in hotel di lusso), è stimato essere
3/1000 viaggiatori/1 mese di villeggiatura in paesi in via di sviluppo e raggiunge 20/1000 viaggiatori/1 mese per campeggiatori o altre persone che consumano cibi o bevande in scarse condizioni igieniche.
Questi dati sono stati ribaditi per i paesi europei in un ulteriore studio3 e in seguito sono stati presi nuovamente in considerazione per gli americani.4
Vari autori di numerosi paesi hanno emesso raccomandazioni per la vaccinazione dei viaggiatori5-10 e anche la consensus conference pubblicata dall’Istituto superiore di sanità nel 19952 la raccomanda.
OBIETTIVO
Stabilire se esistono prove per poter considerare i viaggiatori un gruppo a rischio di contrarre l’infezione
da HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questa categoria.
METODO
Banche dati consultate: Medline ed Embase, limitatamente agli ultimi 10 anni.
Parole chiave utilizzate sia come termini controllati che come parole libere: Hepatitis A (MESH), Hepatitis A virus human (MESH), HAV.mp, Travel (MESH), Travel, Risk, Risk factor, Risk group. Sono stati trovati
46 articoli considerati pertinenti, di cui 15 irreperibili nelle biblioteche italiane. Quattro articoli sono risultati non pertinenti alla lettura del testo completo. E’ stato inoltre considerato il documento finale dellaconsensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995.11
RISULTATI
Sono stati esaminati 15 articoli5-10,12 che riportano raccomandazioni e linee guida emesse in vari paesi dal
1995 al 2001, e che sottolineano l’importanza della profilassi nei viaggiatori, insistendo perché essa venga praticata.
Le indicazioni pubblicate su «The medical letter on drugs and therapeutics» sono state tradotte anche in
italiano.13
Un articolo14 pubblicato nel 2000 raccomanda ai medici di medicina generale di vaccinare i viaggiatori verso aree endemiche prima della partenza.
C’è un accordo generale sulla necessità di insistere affinché aumenti la percentuale di viaggiatori che si
sottopongono a vaccinazione. Da uno studio francese15 pubblicato nel 1998, che ha preso in considerazione 9.156 soggetti reclutati all’aeroporto di Parigi prima della partenza verso 12 destinazioni tropicali, è
emerso che solo il 18% dei francesi (7.955), il 32% degli europei del Nord (908) e l’8,5% degli europei del
Sud (293) presentavano una copertura vaccinale.
Sono state analizzate 3 ampie review2-4 che raccomandano il vaccino per i viaggiatori non immuni diretti
verso aree endemiche, prese in considerazione nell’introduzione.
Le prove sul rischio per i viaggiatori sono derivate essenzialmente da studi condotti prima del 1990; alcuni studi successivi, comunque, continuano a segnalare lo stesso rischio.
36 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
I due studi seguenti2-3 sono già stati citati nella review di Steffen.2 Il primo17 valuta la percentuale di casi
di epatite A associati a viaggiatori rispetto al totale di casi di epatite A in Svezia, dove l’incidenza dell’infezione risulta molto bassa. Lo studio rileva che, nonostante il calo dell’incidenza dell’epatite A nella popolazione generale dal 7,3 al 3/100.000 tra il 1985 e il 1990, la quota attribuita ai viaggi è rimasta costante,
con un rischio più elevato in Africa e in Asia (1/300 e 1/100 rispettivamente).
Il secondo articolo16 valuta il rischio di epatite A nei missionari americani in Africa, segnalando una sieroprevalenza del 16% prima della partenza e del 42% al ritorno dalla missione, con una sieroprevalenza maggiore del 90% per soggetti con più di 20 anni di servizio. Gli autori hanno anche riscontrato un
tasso di incidenza maggiore nei primi 2 anni di servizio (pari al 28%) e minore nei successivi 10 anni (5,4%).
I missionari americani vengono presi in considerazione anche in un altro lavoro18 che, a fronte di una sieroprevalenza iniziale di 50,9%, rileva un tasso d’incidenza di 0,8/100 persone/anno di servizio.
Uno studio condotto in Nepal19 ha mostrato che l’epatite A è la più frequente infezione a trasmissione orofecale che determina l’ospedalizzazione dei turisti, mentre l’ epatite E è la forma predominante tra i residenti, che raggiungono l’immunità per l’HAV già all’età di 5 anni.
Sono stati, infine, valutati 4 studi di prevalenza,20-23 visualizzati in tabella 1, che non evidenziano i viaggi
verso aree endemiche come significativi fattori di rischio per inglesi e svizzeri. Nei marinai scandinavi il
rischio legato a viaggi internazionali compare solo per soggetti con età superiore a 40 anni.
Uno studio italiano caso-controllo,24 che confronta 1.102 casi di epatite A con 3.671 casi di epatite B, rileva un’associazione tra epatite A e viaggi statisticamente significativa per soggetti con età superiore a 14
anni che vivono nel Nord Italia; i viaggi verso paesi del Mediterraneo, Europa dell’Est, Africa, Asia, America centrale e del Sud sono considerati a maggior rischio.
LACUNE CONOSCITIVE
Gli studi che mostrano prove sul rischio di epatite A per i viaggiatori sono datati.
COMMENTO
Le prove sul rischio dei viaggiatori risalgono a studi degli anni ottanta e dei primi anni novanta. Comunque tuttora, nonostante il miglioramento del livello socioeconomico, il viaggio è segnalato come fattore di
rischio di acquisire l’epatite A, con una gradazione dipendente dal livello di endemia dell’area visitata e
dalle precauzioni igieniche osservate. Rimane, perciò, un accordo generale sulla raccomandazione della
vaccinazione in questa categoria di soggetti.
Sintesi delle principali prove disponibili 37
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Art n.
Luogo
Anno
22
Paesi scandinavi
20
Inghilterra
TABELLA 1: STUDI DI PREVALENZA NEI VIAGGIATORI
Popolazione
studiata
Controlli
Risultato
apriledicembre
1993
515 marinai
///
La prevalenza degli anticorpi anti-HAV
corrisponde a 0,3% in soggetti di età
inferiore a 40 anni, mentre aumenta
sopra i 40 anni.
La prevalenza risulta maggiore in
marinai implicati nel commercio
internazionale
marzo 1988ottobre 1989
///
104 soggetti distinti in
3 gruppi in base
all’esposizione al rischio:
• 52 senza fattori di rischio;
• 27 con fattori di rischio
maggiori (essere nati
o aver vissuto in area
endemica, storia
di ittero);
• 25 con fattori di rischio
minori (viaggi in aree
ad alto rischio, abuso
di droghe, contatti
con persone infette).
Età media: 30 anni
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
• popolazione generale:
• gruppo n.1:
• gruppo n.2:
• gruppo n.3:
42%(44/104)
9,6% (5/52)
100% (27/27)
48% (12/25)
21
Svizzera
luglio-agosto
1990
1.091 turisti reclutati
presso il Centro
vaccinazioni
dell’Università di Zurigo:
Età media: 34,7 anni.
• maschi: 49%
• femmine: 51%
Popolazioni
di studi
precedenti,
condotti
principalmente
tra donatori
di sangue
svizzeri
La prevalenza risulta minore rispetto
alla popolazione di riferimento, eccetto
per i nati prima del 1.940. Da ciò segue
che non è necessario testare
i viaggiatori a meno che non siano nati
prima del 1940, e non abbiano storia
di ittero e di viaggi in zone endemiche.
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV (%):
Paese nativo
Residenza
Svizzera
14,9
16,2
Nord America
0
0
Sud Europa
34,8
15,4
zone tropicali/
subtropicali
48,8
71,4
Viaggi in aree tropicali:
11,4%
• mai
• 1-30 giorni
17,1%
• un mese-un anno
15,3%
35 %
• più di un anno
23
Inghilterra
1987-1988
1.111 viaggiatori inglesi
///
La sieroprevalenza anticorpi anti-HAV
risulta associata con l’età e la storia
di ittero, mentre non risulta alcuna
associazione con la destinazione
e la durata del viaggio
38 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra i militari una maggior incidenza,
diffusione, gravità dell’infezione da virus dell’epatite A?
Questa categoria costituisce un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
Un lavoro del 19921 descrive numerose epidemie di epatite infettiva che hanno colpito il personale militare durante le guerre mondiali. Si tratta di epidemie che hanno coinvolto un così alto numero di persone
da devastare interi eserciti e influenzare le strategie militari. Gran parte degli articoli che riportano epidemie di epatite A nelle truppe è stata pubblicata precedentemente al 1990. Quasi tutti gli studi raccolti
dopo tale anno vertono sull’efficacia del vaccino e propongono vari trial di vaccinazione per i militari, dando ormai per scontato che essi costituiscono un gruppo a rischio in cui è necessaria la profilassi. Un articolo2 esamina due diversi trial di vaccinazione in militari norvegesi e ne dimostra l’efficacia e l’importanza, soprattutto in una zona, come la Norvegia, in cui il rischio di contrarre l’epatite A è alto poiché si
tratta di un’area geografica a bassissima endemia. Prima il rischio di acquisire l’epatite A veniva considerato legato alle scarse condizioni igienico-sanitarie in cui si trovavano a vivere i militari; attualmente,
con il miglioramento del livello socioeconomico, il rischio è attribuito principalmente a viaggi in aree ad
alta endemia in analogia con i viaggiatori.
La consensus conference 3 pubblicata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995 propone la vaccinazione
delle truppe destinate a operazioni in zone ad alta endemia senza screening vaccinale, ma non dei militari di leva al momento dell’arruolamento.
OBIETTIVO
Stabilire se esistono prove per poter considerare i militari un gruppo a rischio di contrarre l’infezione da
HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questa categoria.
METODO
Sono state consultate 2 banche dati, Medline ed Embase, limitatamente agli ultimi 10 anni. La strategia di
ricerca ha utilizzato termini con vocabolario controllato e parole libere: hepatitis A (MESH), hepatitis A virus human (MESH), HAV.mp, Army.mp, soldier.mp, military personnel (MESH), risk (MESH), risk factors (MESH), risk group.mp. Sono stati trovati 36 articoli considerati pertinenti di cui: 9 irreperibili nelle biblioteche
italiane; 3 sono stati scartati perché utilizzati come punto di partenza per un ulteriore articolo; altri 6 sono
stati esclusi perché risultati assolutamente non pertinenti dopo la lettura del testo per esteso.
E’ stato quindi raggiunto un totale di 18 articoli.
E’ stato inoltre considerato il documento finale della consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995.3
RISULTATI
Nella maggior parte degli articoli4-11 i militari vengono considerati soltanto in quanto campione della popolazione generale, di cui viene studiata la prevalenza. Da questi lavori e da un ulteriore studio7 risulta un
calo della sieroprevalenza in tutta la popolazione se confrontata con gli anni precedenti.
Uno studio effettuato nella Repubblica ceca12 confronta la prevalenza di anticorpi nei militari e quella nella popolazione generale e riscontra valori paragonabili.
Sono pochi gli studi che esaminano l’associazione tra epatite A e vita militare. Uno studio norvegese13 correla l’infezione al sovraffollamento e al consumo di cibo e acqua contaminati e rileva una riduzione dei
giorni di astensione dal servizio e dei decessi per epatite A in seguito all’introduzione di profilassi passiva con immunoglobuline.
Un lavoro14 ha ricercato i marker sierologici per l’epatite in indigeni africani e in militari francesi stabilitisi nel Djibouti con le loro famiglie, al fine di individuare l’eziologia virale di un’epidemia di epatite lì osservata nel 1993 associata alla contaminazione dell’acqua. I risultati ottenuti identificano sia l’HAV che l’HEV
Sintesi delle principali prove disponibili 39
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
come responsabili, con una diversa distribuzione nella popolazione studiata: infatti, mentre le infezioni da
epatite A erano osservate principalmente in soggetti francesi, le infezioni da HEV coinvolgevano quasi
esclusivamente gli indigeni.
Da uno studio pubblicato nel 1992,15 che valuta la prevalenza di epatite A in 2.072 soldati americani, emerge una maggiore prevalenza nei militari che avevano prestato servizio per più di un anno nei Caraibi, a testimoniare che l’infezione è associata con viaggi in zone a endemia medio-alta.
Un ulteriore studio italiano condotto nel 199016 riscontra un tasso di incidenza di epatite A nei militari notevolmente alto, pari a 1,3/100 persone/anno. La popolazione oggetto del lavoro è però composta da 1.268
militari osservati durante un periodo di 8 mesi in Campania, regione ad alta endemia; perciò questi dati
non sono rappresentativi della situazione dei militari italiani. Infatti un articolo recente17 riporta un tasso
d’incidenza di epatite A nei militari sovrapponibile a quello della popolazione generale.
Infine, uno studio francese18 identifica un solo caso di epatite A su 4.500 militari che avevano prestato servizio nella ex Jugoslavia in un periodo in cui il virus circolava nella popolazione. Questa bassa incidenza
risulta legata sia all’efficacia della somministrazione di immunoglobuline che all’imposizione di severe misure igieniche.
LACUNE CONOSCITIVE
La maggior parte degli articoli valutati si riferisce a studi di prevalenza in cui i militari sono presi in considerazione come campione della popolazione generale e le infezioni vengono correlate ai comuni fattori di
rischio.
COMMENTO
In passato le epidemie di epatite A tra i militari erano principalmente correlate al sovraffollamento e alle
scarse condizioni igieniche. Attualmente il fattore di rischio maggiore per i militari è il soggiorno in aree
endemiche ed è quindi una condizione sovrapponibile a quella dei viaggiatori.
I lavori esaminati hanno uno scarso significato per quanto riguarda l’identificazione del gruppo a rischio,
poiché è ormai dato per scontato che per i militari è raccomandabile la profilassi, specialmente se sono
destinati a paesi a endemia elevata.
40 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra gli operatori sanitari una maggior incidenza,
diffusione, gravità dell’infezione da virus dell’epatite A?
Gli operatori sanitari costituiscono un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
Una review del 1996,1 che si riferisce a tutti gli articoli in lingua inglese pubblicati tra il 1983 e il 1996, riporta 6 focolai epidemici in ambiente ospedaliero, 4 dei quali pubblicati precedentemente al 1990, che hanno coinvolto essenzialmente le infermiere dei reparti pediatrici.
Un ulteriore articolo2 riporta altre 4 epidemie, precedenti al 1990, di cui 2 coincidono con quelle descritte
nella pubblicazione già citata.1
Il principale fattore di rischio riconosciuto è stato il consumo di cibo e bevande nei reparti ospedalieri.
E’ opportuno, infine, ricordare che la consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità
nel 19953 non riteneva necessario raccomandare alla categoria degli operatori sanitari la vaccinazione
contro l’epatite A.
OBIETTIVO
Stabilire se vi sono prove per poter considerare gli operatori sanitari un gruppo a rischio di contrarre l’infezione da HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questa categoria.
METODO
Banche dati consultate: Medline, limitatamente agli ultimi 10 anni. La strategia di ricerca ha utilizzato termini MESH e parole libere: Hepatitis A (MESH); Hepatitis A virus, human (MESH), Health Personnel (MESH), nursing staff (MESH), personnel hospital (MESH), physicians (MESH), Occupational Health, Risk factors (MESH), Health Workers. Sono stati individuati 20 articoli, incluso il documento finale della consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995;3 due erano irreperibili nelle biblioteche italiane.
RISULTATI
Sono stati valutati 5 studi4-8 che riferiscono di epidemie insorte tra gli operatori sanitari, le cui caratteristiche sono riportate nella tabella 1.
Sono stati riportati 7 studi di prevalenza,2,9-14 i cui risultati sono visualizzati nella tabella 2. Tre articoli prendono in considerazione un diverso aspetto della questione. Uno studio,15 che confronta la sieroprevalenza degli anticorpi anti-HAV in addetti alla lavanderia dell’ospedale (54,5%) con quella di aiuto infermieri
(13,5%), conclude che i primi sono esposti a maggior rischio occupazionale e ipotizzano come fattore di
rischio il contatto con tessuti contaminati.
Un altro lavoro16 non rileva alcuna differenza nella sieroprevalenza di anticorpi anti-HAV tra infermieri pediatrici e controlli impiegati in un reparto chirurgico, non evidenziando, quindi, un’associazione tra contatto con i bambini e rischio di infezione da HAV. Un altro studio17 riporta la prevalenza di anticorpi antiHAV in 1.051 soggetti operanti in ambito sanitario, suddivisi in 4 gruppi in base all’esposizione a diverso rischio biologico, e non riscontra tra di essi un differente rischio di contrarre l’epatite A.
E’ stata analizzata un’ampia review,1 menzionata nell’introduzione.
E’ stato, infine, esaminato un ulteriore articolo18 che estende l’inquadratura dell’HAV, includendo il problema della vaccinazione e sottolineando che molti autori, sebbene consapevoli dell’assenza di una sieroprevalenza di anticorpi anti-HAV elevata tra gli operatori sanitari, continuano a proporre la vaccinazione in questa categoria, considerandola comunque esposta a un rischio di contrarre l’infezione maggiore
rispetto alla popolazione generale.
LACUNE CONOSCITIVE
Gli studi di prevalenza sono studi di qualità non elevata.
Sintesi delle principali prove disponibili 41
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
COMMENTO
Dallo studio degli articoli raccolti è assolutamente evidente la possibilità di insorgenza di focolai epidemici tra gli operatori sanitari ed è indubbio che l’esiguo numero di epidemie descritte si é verificato per la
mancata osservazione delle basilari norme igieniche e comportamentali in ambiente ospedaliero. Infatti
gli unici fattori di rischio riscontrati sono il consumo di cibi e bevande nei reparti ospedalieri, il mancato
uso dei guanti e l’inadeguata pulizia delle mani.
Gli studi di prevalenza analizzati, sebbene non risultino essere di elevata qualità, mostrano una sieroprevalenza degli anticorpi anti-HAV tra gli operatori sanitari sovrapponibile a quella delle popolazioni di controllo; tuttavia molti autori preferiscono raccomandare la vaccinazione di questa categoria.18
La possibilità di attuare le universali misure precauzionali e la mancanza di una prova di una maggiore
sieroprevalenza anticorpale in questa categoria lavorativa rispetto alla popolazione generale, ci consentono di affermare che gli operatori sanitari non costituiscono un particolare gruppo a rischio di contrarre
l’HAV.
TABELLA 1: DESCRIZIONE DI FOCOLAI EPIDEMICI TRA OPERATORI SANITARI
Art n. Luogo
Anno
Caso indice
Diffusione
operatori sanitari
Diffusione
altre persone
Fattori di rischio
4
USA
novembre
1988
2 neonati ricoverati
• 22 infermieri (24%)
nell’Unità di terapia
• 8 altri membri dello
intensiva neonatale
staff ospedaliero
sottoposti a trasfusione
hanno ricevuto sangue
infetto da donatore
nella fase prodromica
di HAV
• 13 neonati
• 4 contatti
familiari
• Consumare cibi e
bevande nel reparto
• non usare guanti
• fumare in reparto
• turni di notte
• avere unghie lunghe
5
USA
gennaio-marzo
1990
Uomo di 32 anni e suo
figlio di 8 mesi,
ricoverati in un centro
ustioni
11 operatori sanitari
(su 154 esposti)
1 paziente
• Consumare cibi e
bevande nel reparto
• inadeguata pulizia
delle mani
6
USA
luglio-ottobre
1991
Bambina di 14 mesi
ricoverata in Clinica
pediatrica per diarrea
profusa
19 operatori sanitari
(su 151 esposti)
1 paziente
Inadeguata pulizia
delle mani
7
Norvegia
aprile-giugno
1996
Senzatetto alcolista di 25 infermieri
56 anni ricoverato per
polmonite in un reparto
di medicina interna
• 5 pazienti
• 2 contatti
familiari
• Inadeguata pulizia
delle mani
• consumare cibi e
bevande nel reparto
USA
1989
Bambino trasfuso con
plasma fresco
congelato
• 1 bambino
• 1 contatto
familiare
(madre)
Inadeguata pulizia
delle mani
8
42 Sintesi delle principali prove disponibili
9 infermiere
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
TABELLA 2: STUDI DI PREVALENZA
Art n. Luogo
Anno
Popolazione
studiata
Popolazione
di riferimento
Risultati
9
Germania
1990
2.293 operatori
sanitari
Popolazione generale La prevalenza degli anticorpi anti-HAV
(caratteristiche non
negli operatori sanitari è sovrapponibile a
specificate)
quella riscontrata nella popolazione generale.
Non risulta alcuna differenza tra le diverse
categorie lavorative sanitarie (medici,
infermieri, eccetera)
2
Francia
1992
406 infermieri
132 impiegati in
ospedale con altre
mansioni (tecnici,
impiegati
amministrativi,
eccetera)
La prevalenza degli anticorpi anti-HAV
nella popolazione studiata è del 57,1%; mentre
nella popolazione di riferimento è del 36,4%.
La prevalenza negli operatori sanitari
è significativamente maggiore nelle classi
d’età oltre i 30 anni
10
Francia
dicembre
1992-aprile
1993
325 operatori sanitari
in diretto contatto
con i pazienti
(medici, infermieri,
eccetera)
115 impiegati in
ospedale con altre
mansioni (tecnici,
farmacisti, impiegati
amministrativi,
eccetera)
La sieroprevalenza aumenta con l’età.
Non c’è nessuna differenza tra la popolazione
studiata (51,2%) e quella di riferimento (54,3%).
Non c’è differenza tra le 2 categorie
di operatori
11
Francia
febbraiomaggio
1994
525 operatori sanitari Popolazione generale Non è stata riscontrata alcuna differenza tra
di un altro studio
la popolazione studiata e la popolazione
(controllo storico)
generale
12
Belgio
1986-1987
5.064 impiegati in 22
diversi ospedali
13
Francia
1999
926 operatori
(anno di
sanitari, di cui 45,4%
pubblicazione) infermieri e 42%
assistenti infermieri
• 322 impiegati in
ospedale con
mansioni d’ufficio
• 268 cuochi o addetti
alla cucina
Gli operatori sanitari non hanno un rischio
maggiore di contrarre l’infezione rispetto
agli impiegati (sieroprevalenza= 53,8%).
Tra gli operatori sanitari, la sieroprevalenza
è maggiore negli assistenti degli infermieri
che negli infermieri.
La sieroprevalenza negli addetti alla cucina
è del 53,4%
14
Israele
2001
115 soggetti
(anno di
impiegati in ambito
pubblicazione) dentistico, di cui
• 82 dentisti
• 21 assistenti
• 8 igienisti
• 4 tecnici
di laboratorio
///
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
• globale 51,3%
• dentisti 50,0%
• non dentisti 54,4%
E’ stata riscontrata una sieroprevalenza
maggiore, ma non statisticamente significativa,
nei soggetti che avevano lavorato in ospedale
e in quelli che avevano lavorato con bambini.
E’ invece risultata statisticamente significativa
l’associazione tra il rischio di contrarre l’HAV
e il numero di anni di servizio
Popolazione generale La prevalenza è significativamente inferiore
(caratteristiche
nel gruppo di operatori sanitari nelle classi
non specificate)
di età compresa tra i 25 e i 54 anni
Sintesi delle principali prove disponibili 43
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra gli addetti allo smaltimento delle acque reflue
e dei liquami una maggior incidenza, diffusione o gravità dell’infezione
dell’epatite A? Questi lavoratori costituiscono un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
La consensus conference1 organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995 raccomandava, oltre a una
valida formazione, la vaccinazione selettiva del personale addetto al trattamento e smaltimento delle acque reflue e dei liquami, preceduta dallo screening per la ricerca degli anticorpi anti-HAV. Effettivamente
esiste una plausibilità biologica di rischio di contrarre l’epatite A in questa categoria, per lo sviluppo di
aerosol e per il contatto diretto con materiali potenzialmente contaminati, come confermato anche dalla
descrizione di un’epidemia.2
OBIETTIVO
Stabilire se vi sono prove per poter considerare gli addetti al trattamento e allo smaltimento delle acque
reflue un gruppo a rischio di contrarre l’infezione da HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questa categoria.
METODO
Sono state consultate 2 banche dati, Medline ed Embase, limitatamente agli ultimi 10 anni. La strategia di
ricerca ha utilizzato termini MESH e parole libere: Hepatitis A (MESH), hepatitis viral, human (MESH),
HAV.mp, Sewage (MESH), waste management (MESH), water purification (MESH), sewage.mp, occupational diseases (MESH). Sono stati selezionati 18 articoli considerati pertinenti, di cui 2 irreperibili nelle biblioteche italiane. Un articolo è stato scartato a causa della lingua (danese), considerando che possediamo altri articoli che trattano lo stesso aspetto dell’argomento in lingue più accessibili. Un altro è stato
spostato dopo la lettura del testo completo in un altro gruppo. E’ stato raggiunto un totale di 14 articoli pertinenti. E’ stato inoltre considerato il documento finale della consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995.1
RISULTATI
Sono stati esaminati 9 studi di prevalenza,3-11 sette dei quali concordano su un rischio per questa categoria (tabella 1). Un lavoro12 consiste in una lettera di commento allo studio riportato nell’articolo 3. Un ulteriore lavoro,13 ambientato in Israele, non riscontra una maggiore prevalenza degli anticorpi anti-HAV in
questa categoria, come confermato anche dall’articolo 10.
Vi sono 3 studi,2,14,15 risalenti ad alcuni anni fa, che riferiscono di focolai epidemici che hanno coinvolto
alcuni membri del personale addetto allo smaltimento dei liquami.
COMMENTO
Nella maggior parte degli studi si riscontra una più alta sieroprevalenza in questa categoria che è esposta a rischio di infettarsi nel caso di un’epidemia nella comunità, specialmente in zone a bassa endemia, dove è alta la frequenza di adulti suscettibili. Infatti, in paesi ad alta endemia, dove la circolazione
del virus è maggiore, gran parte degli adulti sono naturalmente immuni. Uno studio condotto in Israele8
non riporta differenze significative con una popolazione di controllo, ma la popolazione a 20 anni ha una
sieroprevalenza superiore all’80%. Alcuni studi6,7,10 in cui non si riscontrano differenze significative nella sieroprevalenza fra gli addetti agli impianti di depurazione e le popolazioni di riferimento, mostrano
evidenza di un rischio, anche se limitato, associato all’esposizione a liquami. Sebbene siano descritti
focolai epidemici che hanno coinvolto personale addetto allo smaltimento dei liquami, nessuno riporta
epidemie in cui essi rappresentino la sorgente di infezione. In conclusione, vi è la prova che, pur con
l’osservanza di misure igieniche adeguate, questa categoria è esposta a un maggior rischio correlato
con la professione.
44 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
TABELLA 1: STUDI DI PREVALENZA IN ADDETTI ALLO SMALTIMENTO DEI LIQUAMI
Art n. Luogo
Anno
Popolazione
di riferimento
Risultati
3
Inghilterra
40 addetti allo
1993
smaltimento dei liquami
(anno di
pubblicazione) Età media: 42,2 anni.
53 tutori di persone
con difficoltà
d’apprendimento.
Età media: 41,3 anni
18 addetti alla
lavorazione dell’asfalto:
età media: 38,7 anni.
20 lavoratori in ufficio:
età media: 41 anni
La prevalenza degli anticorpi anti-HAV
negli addetti allo smaltimento
dei liquami è maggiore di quella
riscontrata nella popolazione
di riferimento.
Fattori di rischio:
• aerosol;
• abbigliamento ed equipaggiamento
contaminati;
• consumo di cibo sul posto di lavoro;
• abitudine al fumo sul posto di lavoro
4
Singapore
novembre
1992gennaio
1993
453 adulti sani che
facevano test clinici
di routine
Sieroprevalenza degli anticorpi
anti-HAV:
• popolazione studiata: 72,7%
(436/600);
• controlli 50% (230/453).
La prevalenza negli addetti allo
smaltimento dei liquami è 2,2 volte
maggiore di quella riscontrata
nei controlli nelle classi d’età oltre
i 30 anni
5
Canada
1995
76 addetti
(anno di
allo smaltimento
pubblicazione) dei liquami.
Età media 41 anni
Anni di lavoro: 10
2 controlli presi dalla
popolazione generale
della stessa età
e sesso per ogni caso
Sieroprevalenza degli anticorpi
anti-HAV (%):
<40
>40
• popolazione studiata: 54
81
• controlli:
49
65
La differenza non è significativa,
diventa significativa dopo i 40 anni
6
Francia
novembredicembre
1993
155 impiegati
in un impianto di
depurazione
dell’acqua esposti
al contatto con i liquami
70 lavoratori
nello stesso impianto
non esposti al contatto
con i liquami
Sieroprevalenza degli anticorpi
anti-HAV:
• popolazione studiata: 60% (93/155);
• popolazione di riferimento:
47,1% (33/70).
La differenza non è significativa,
ma correggendo i fattori
di confondimento, emerge che
l’esposizione ai liquami rappresenta
un rischio, seppur modesto
7
Inghilterra
giugno 1995febbraio 1996
228 impiegati
in un impianto
di depurazione
///
Sieroprevalenza degli anticorpi
anti-HAV:
• 34,6% (79/228)
• <40 anni 19% (22/79)
• >40 anni 50% (57/79)
Associazione tra prevalenza
e esposizione ai liquami,
ma non ai liquami trattati
Popolazione
studiata
600 addetti
allo smaltimento
dei liquami
continua
Sintesi delle principali prove disponibili 45
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Art n.
Luogo
8
TABELLA 1: STUDI DI PREVALENZA IN ADDETTI ALLO SMALTIMENTO DEI LIQUAMI
Anno
Popolazione
studiata
Popolazione
di riferimento
Risultati
Israele
novembre
1996-aprile
1997
100 addetti
allo smaltimento
dei liquami
Età: 22-27 anni
Esposizione
ai liquami
da 0,5 a 3,5 anni
100 impiegati
con mansione
d’ufficio
Sieroprevalenza degli anticorpi anti-HAV:
• popolazione studiata 82%
• controlli 91%
Non ci sono differenze significative
tra popolazione studiata e popolazione
di controllo.
Si tratta di una zona ad alta endemia
e basso livello socioeconomico, con alta
sieroprevalenza anche nella popolazione
generale
9
USA
1998-1999
163 addetti
allo smaltimento
dei liquami.
Età media
46 anni
139 elettricisti
e addetti alla
ristorazione
Sieroprevalenza degli anticorpi anti-HAV:
• popolazione studiata: 26% (42/163)
• popolazione controllo: 12% (17/139)
L’impiego allo smaltimento dei liquami
non risulta, dopo il controllo dei fattori
di confondimento, significativamente
associato a un aumento di prevalenza
10
USA
1996-1997
359 addetti
allo smaltimento
dei liquami.
Età media
41,3 anni
89 lavoratori
in acquedotti.
Età media
41,2 anni
Sieroprevalenza degli anticorpi anti-HAV:
• popolazione studiata: 28,4% (102/359)
• popolazione controllo: 23,6% (21/89)
La differenza della prevalenza nei 2 gruppi
non è significativa, ma dopo controllo
dei fattori di confondimento, risulta esserci
associazione tra HAV ed esposizione
ai liquami.
Fattori di rischio:
• consumo di cibo sul posto di lavoro;
• più di 8 anni di servizio;
• non indossare la maschera di protezione;
• contatto con liquame almeno 1 volta
al giorno
11
Italia
2001
65 addetti allo
(anno di
smaltimento
pubblicazione) dei liquami
• uomini 94%
• donne 6%
laurea
universitaria 2%
160 altri lavoratori
nella stessa area
della popolazione di
riferimento:
• uomini 69%
• donne 31%
laurea
universitaria 11%
Sieroprevalenza degli anticorpi anti-HAV:
• popolazione studiata: 50,7% (33/65)
• popolazione controllo: 45,7% (70/160)
La differenza della prevalenza nei 2 gruppi
non è significativa, neanche dopo
aggiustamento.
Associazione con basso titolo di studio,
nascita nel Sud Italia
46 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra gli alimentaristi una maggiore incidenza,
diffusione, gravità dell’infezione da virus dell’epatite A?
Questi lavoratori costituiscono un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
Gli alimentaristi svolgono un duplice ruolo nella catena di trasmissione dell’HAV; essi possono:
• contrarre l’infezione, mediante la manipolazione di alimenti contaminati;
• rappresentare, una volta infettati, la sorgente d’infezione attraverso la contaminazione del cibo durante le fasi di preparazione.
Pur essendo descritte1 numerose epidemie di HAV legate all’ingestione di cibo contaminato (soprattutto molluschi e frutti di mare crudi), sono poche le segnalazioni di focolai in cui sono coinvolti gli alimentaristi come portatori ed escretori del virus e, in questi casi, la trasmissione risulta legata a una scarsa osservanza delle universali norme igieniche. In caso di alimentaristi che contraggono l’infezione, non
c’è dimostrazione di contagio come conseguenza diretta dell’attività lavorativa.
E’ opportuno, infine, ricordare che la consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità
nel 19952 non riteneva necessario raccomandare alla categoria degli alimentaristi la vaccinazione contro l’epatite A, sottolineando, invece, l’importanza di una valida formazione del personale e di un’efficace vigilanza sulle strutture.
OBIETTIVO
Stabilire se esistono prove per considerare gli alimentaristi un gruppo a rischio di contrarre o essere
sorgenti di infezione da HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questa categoria.
METODO
Banche dati consultate: Medline ed Embase, limitatamente agli ultimi 10 anni, inserendo termini controllati e parole libere: hepatitis A (MESH), hepatitis A virus, human (MESH), HAV.pm, Food Handling (MESH), Occupational Diseases (MESH), Risk Factor (MESH), risk, risk group.mp.
Sono stati selezionati 10 articoli considerati pertinenti, 1 dei quali è risultato non pertinente dopo la lettura del testo completo.
E’ stato aggiunto a questo gruppo un ulteriore lavoro,1 menzionato nell’introduzione, ma non indicizzato su Medline, inerente alla correlazione tra HAV, alimenti e relative misure di prevenzione, raggiungendo
un totale di 9 articoli pertinenti.
E’ stato inoltre considerato il documento finale della consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995.2
RISULTATI
Uno studio di prevalenza,3 di qualità non elevata, ricerca la sieroprevalenza di anticorpi anti-HAV in varie categorie lavorative tra cui alimentaristi e operatori sanitari con differenti mansioni in ambiente ospedaliero e rileva un lievissimo aumento di prevalenza (10%) negli alimentaristi di età inferiore a 30 anni,
rispetto alla popolazione generale (4,4%). Un altro studio del 19904 riscontra una sieroprevalenza di anticorpi anti-HAV maggiore nel personale addetto alla cucina che nel personale medico, senza però considerare i fattori di tipo socioeconomico.
Un dato interessante, che emerge da un lavoro italiano del 1996,5 è l’eventuale seppur modesto rischio
di contrarre l’infezione in seguito a manipolazione di alimenti crudi. Un altro lavoro italiano6 riscontra
un’associazione significativa tra sieropositività e anzianità lavorativa degli alimentaristi.
Cinque articoli4,7-10 descrivono focolai epidemici potenzialmente associati ad alimentaristi infetti (tabella
1); in 1 di essi, l’assenza di IgM anti-HAV nel siero degli alimentaristi ha escluso il loro possibile ruolo
quale sorgente d’infezione.
Sintesi delle principali prove disponibili 47
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
COMMENTO
Dalla revisione della letteratura dal 1990 non emerge alcuna prova di rischio per l’epatite A tra gli alimentaristi.
L’evenienza di una contaminazione alimentare da parte di alimentaristi portatori del virus o di un’infezione degli stessi attraverso la manipolazione di cibi infetti è facilmente evitabile mediante l’osservanza delle più comuni e basilari norme igieniche.
Pertanto non ci sono motivazioni valide per considerarli un gruppo a rischio e consigliare la vaccinazione di tutti gli alimentaristi.
Art n.
Luogo
7
TABELLA 1: DESCRIZIONE DI FOCOLAI EPIDEMICI CAUSATI DA ALIMENTARISTI
Anno
Caso indice
Persone coinvolte
Fattori di rischio
USA
maggiodicembre 1996
///
170 soggetti
L’assenza di IgM anti-HAV nel siero di
730 alimentaristi impiegati nelle mense
dove si servivano i soggetti infettati ha
escluso il possibile ruolo degli stessi
quale sorgente d’infezione
4
Germania
1990
(anno di
pubblicazione)
1 cuoco
7 persone, di cui
• 4 infermieri
• 1 donna delle pulizie
• 1 medico
• 1 paziente
Cibo contaminato dal caso indice
8
USA
luglio-agosto
1988
1 alimentarista
tossicodipente
68 persone
Manipolazione di hamburger dopo
la cottura
9
USA
aprile-maggio
1994
1 fornaio
79 persone, di cui
• 9 impiegate nel club
rifornito dal fornaio
• 55 clienti del club
• 2 casi secondari
Manipolazione di prodotti dolciari
10
USA
ottobre 1994
1 alimentarista
impiegato
in un’impresa
di catering
91 persone
Manipolazione di alimenti crudi
48 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra il personale degli asili nido e delle scuole materne
una maggior incidenza, diffusione, gravità dell’infezione da epatite A?
Questo personale costituisce un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
Il riconoscimento dell’asilo quale sorgente di trasmissione di HAV risale alla metà degli anni settanta,
come descritto in una review del 19941 che riporta diversi studi focalizzati sulla segnalazione di focolai
epidemici in asili.
Negli asili il virus dell’epatite A è trasmesso attraverso cibo infetto, giocattoli e fonti contaminati, e mediante il contatto interpersonale. Sono perciò a rischio, oltre ai bambini, tra cui è più facile e comprensibile la trasmissione dell’infezione, anche i familiari e i membri del personale, tra cui il contagio è subordinato all’inosservanza delle basilari norme igieniche.
E’ opportuno, infine, ricordare che la consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità
nel 19952 non riteneva necessario raccomandare alla categoria degli assistenti all’infanzia la vaccinazione contro l’epatite A, migliorando invece, per superare il problema, la formazione del personale.
OBIETTIVO
Stabilire se esiste la prova per poter considerare il personale dell’asilo nido un gruppo a rischio di contrarre l’infezione da HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questa categoria.
METODO
Sono state consultate 2 banche dati, Medline ed Embase, limitatamente agli ultimi 10 anni. La strategia
di ricerca ha utilizzato termini di vocabolario controllato (MESH) e parole libere. I termini impiegati sono stati: hepatitis A (MESH), hepatitis A virus, human (MESH), HAV.pm, Day Care Centre. Sono stati trovati 18 articoli considerati pertinenti, di cui 9 irreperibili nelle biblioteche italiane.
E’ stato inoltre considerato il documento finale della consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995.2
RISULTATI
Quattro degli studi valutati3-6 riferiscono diverse epidemie, le cui caratteristiche sono riportate nella tabella 1, che vedono l’asilo nido quale sorgente dell’infezione. Uno di questi articoli6 evidenzia come spesso l’infezione decorra in maniera asintomatica nei bambini, che possono quindi rappresentare una fonte di contagio silente. Epidemie precedenti al 1990 sono riportate in una review del 1994,1 menzionata
nell’introduzione. Sono stati esaminati 2 studi di prevalenza,7,8 i cui risultati sono visualizzati nella tabella 2. Il primo di questi due articoli2 ricerca la sieroprevalenza di anticorpi anti-HAV nel personale di
un asilo nido belga e sebbene si tratti di 2 popolazioni numericamente sproporzionate (413 vs 24), i risultati indicano un aumento della prevalenza nei membri esposti a maggior rischio perché a diretto contatto con i bambini, rispetto a quelli meno esposti perché impiegati in mansioni d’ufficio.
E’ stata anche riscontrata nel personale di età compresa tra i 35 e i 44 anni una prevalenza maggiore
rispetto ai controlli, scelti tra i donatori di sangue.
Il secondo studio8 rileva una sieroprevalenza del 13% tra impiegati in un asilo nido statunitense e non
trova alcuna associazione tra sieropositività e altri parametri, quali anzianità di servizio nell’asilo nido,
frequenza del cambio di pannolini, consumo di cibo sul luogo di lavoro, uso dei guanti, etnia, età.
Un ulteriore articolo testimonia che, anche in realtà a elevata endemia e alta sieroprevalenza anticorpale, quale il Brasile, il rischio di contrarre l’HAV è proporzionale al tempo di permanenza nell’asilo.9
Un lavoro sul tasso di incidenza annuale di epatite A in diverse categorie professionali conclude che il
personale che lavora con i bambini non presenta un rischio significativamente maggiore rispetto alla
popolazione generale.10
Sintesi delle principali prove disponibili 49
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
LACUNE CONOSCITIVE
I dati sul ruolo del personale nelle epidemie originatesi in asili nido sono limitati e non univoci. Non ci
sono documenti a riguardo dal 1996.
COMMENTO
Dall’analisi degli studi raccolti è assolutamente evidente la possibilità di insorgenza di focolai epidemici di HAV nell’ambito di asili nido tra i bambini, ma non c’è alcuna prova che il personale di assistenza
sia a rischio.
Dalla lettura degli articoli che descrivono l’insorgenza e diffusione di epidemie in asili nido emerge che
il rischio di contrarre l’infezione è maggiore nei familiari che nel personale; nei primi il rischio è legato
allo stretto contatto con i bambini, nel secondo è facilmente evitabile attraverso un’adeguata osservanza
delle universali norme igieniche. Esigui e non univoci sono i lavori che studiano la sieroprevalenza anticorpale nei membri dello staff. Pertanto non ci sono motivazioni valide per considerare il personale un
gruppo a rischio e suggerirne la vaccinazione.
Art n.
Luogo
3
TABELLA 1: DESCRIZIONE DI FOCOLAI EPIDEMICI ORIGINATI IN ASILI NIDI
Anno
Caso indice
Casi secondari
Fattori di rischio
USA
1988-1989
///
311 casi di epatite A:
111 casi, su 302 di cui si
hanno informazioni, hanno
avuto contatti con l’asilo
nido:
• 33 bambini
• 4 impiegati
• 74 contatti familiari
Asili nidi sovraffollati
4
Francia
marzo-luglio
1994
1 compagno
di classe
di un fratello
maggiore
di un bambino
dell’asilo
17 persone coinvolte:
• 11 bambini (2-3 anni)
• 2 membri del personale
(su 19)
• 3 genitori
• 1 genitore educatore
Giochi dei bambini nella stessa piscina
5
Israele
luglio 1997febbraio
1998
Probabilmente casi
asintomatici in
un asilo nido
23 persone coinvolte, di cui
17 avevano contatti con
l’asilo nido:
• 14 con figlio all’asilo nido
• 3 contatti delle 14 persone
sopra riportate
Uso dello stesso lavandino
per la preparazione dei pasti
e il cambio dei pannolini
6
Italia
maggiosettembre
1994
2 bambini
asintomatici,
in una comunità
per bambini orfani
provenienti
dal Ruanda
6 persone coinvolte,
di cui 5 facenti parte
del personale volontario
di questa comunità
e 1 figlia di uno
dei volontari
Contatto con bambini asintomatici
50 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
TABELLA 2: STUDI DI PREVALENZA NEL PERSONALE DI ASILI NIDO
Art n. Luogo
Anno
Popolazione
studiata
Popolazione
riferimento
Risultati
7
Belgio
1991
560 impiegate in 40
asili nido:
• 413 esposti
a > rischio (contatto
con i bambini)
• 24 esposti a
< rischio (lavoro
d’ufficio)
• 123 con mansioni
non specificate
560 donatrici di sangue
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
• popolazione studiata: 48,4%
• popolazione di riferimento: 42,9%.
Nell’ambito della popolazione studiata,
la prevalenza nelle 413 impiegate
esposte a maggior rischio è 3 volte
maggiore di quella nelle 24 esposte
a minor rischio.
Nelle classi di età 35-39 e 40-44 anni
la sieroprevalenza tra i casi supera
del 26 e 34% rispettivamente quella
registrata tra i controlli
8
USA
maggioagosto
1994
360 impiegati in asili
nido
///
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
13% (48/360)
La sieropositività è fortemente associata
al non essere nati in USA; ma non
è associata ad altre variabili (sesso,
livello d’istruzione, anzianità di servizio
nell’asilo, frequenza del cambio
pannolini, uso dei guanti, consumo
di cibo sul luogo di lavoro)
Sintesi delle principali prove disponibili 51
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
Sono state riscontrate una maggior incidenza, diffusione e gravità
dell’infezione da virus dell’epatite A tra i soggetti con handicap
istituzionalizzati o tra i membri del personale di tali istituzioni?
Questi soggetti costituiscono un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
I soggetti con handicap fisici e, soprattutto, mentali istituzionalizzati possono più facilmente contrarre l’HAV
attraverso la trasmissione oro-fecale a causa della maggiore difficoltà nel rispettare le comuni norme igieniche.
Nonostante il declino dell’incidenza dell’epatite A in seguito a notevoli miglioramenti in campo igienico e
sanitario, focolai epidemici sono stati riportati nell’ambito di comunità dal 1970.1
La consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995 non menziona questi soggetti tra i potenziali gruppi a rischio di acquisire l’HAV.2
OBIETTIVO
Stabilire se esistono prove per poter considerare i soggetti istituzionalizzati o il personale di tali istituzioni un gruppo a rischio di contrarre l’infezione da HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questa categoria.
METODO
Banche dati consultate: Medline ed Embase; limitatamente agli ultimi 10 anni.
Parole chiave, sia in vocabolario controllato che in termini liberi: Hepatitis A; Hepatitis A virus, human; Institutionalization; Residential Facilities; Community Mental Health Center, Hospice, Nursing Home, Residential Home, Health Care Facility. Sono stati individuati 7 articoli considerati pertinenti, di cui 3 irreperibili nelle biblioteche italiane, raggiungendo un totale di 4 articoli pertinenti.
E’ stato inoltre considerato il documento finale della consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995.3
RISULTATI
Sono stati valutati 4 studi di prevalenza1,2,4,5 i cui risultati sono visualizzati in tabella 1. I primi due lavori,1,4
di qualità non elevata, sono stati effettuati in concomitanza con l’insorgenza di focolai epidemici in due
comunità per soggetti con handicap mentali. Il terzo articolo,5 di qualità migliore, evidenzia una prevalenza superiore nella popolazione studiata.
Il quarto lavoro3 non presenta una popolazione di confronto, ma non riscontra un’associazione tra la durata del ricovero e la prevalenza di Ig anti-HAV né tra i bambini istituzionalizzati né tra il personale di 13
istituti in Francia.
LACUNE CONOSCITIVE
I lavori che studiano il rischio di soggetti istituzionalizzati di contrarre HAV sono pochi; oltretutto, 2 dei 4
studi di prevalenza raccolti sono di qualità non elevata.
COMMENTO
Il problema del rischio di focolai epidemici tra soggetti con handicap mentali o fisici residenti in questi
centri sta emergendo, in quanto il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie ha determinato un declino della sieroprevalenza di anticorpi anti-HAV nella popolazione generale, con conseguente incremento
della suscettibilità all’infezione.
Gli articoli, sebbene 2 di essi siano di qualità non elevata, vanno tutti nella stessa direzione, mostrando
una maggiore prevalenza anticorpale nei soggetti istituzionalizzati. Perciò, tenendo presente la scarsità
52 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
numerica di dati disponibili, sembra che ci sia per i pazienti una modesta prova di rischio nell’ambito delle istituzioni.
Nessuno degli articoli raccolti menziona il rischio di contrarre l’ HAV per il personale delle comunità, che,
rispettando le basilari norme igieniche, può facilmente tutelarsi dall’esposizione al virus. Il lavoro, che considera il rischio di contrarre l’ HAV per il personale delle comunità,3 non trova un’associazione con la durata dell’attività negli istituti; infatti il personale, rispettando le basilari norme igieniche, può facilmente tutelarsi dall’esposizione al virus.
TABELLA 1: STUDI DI PREVALENZA IN SOGGETTI ISTITUZIONALIZZATI
Art n. Luogo
Anno
Popolazione
studiata
Popolazione
riferimento
Risultati
4
Australia
febbraio
1993
270 soggetti con difficoltà
di sviluppo,
istituzionalizzati
permanentemente.
La popolazione è stata
studiata in seguito a
un’epidemia che ha
coinvolto:
• 11 residenti permanenti
del centro
• 2 residenti temporanei
• 1 membro del personale
///
In 128 dei 270 soggetti istituzionalizzati
sono stati riscontrati segni sierologici
di infezione recente o passata: 117 sono
risultati positivi alla ricerca delle Ig totali
anti-HAV, ma negativi alle IgM, 11 sono
risultati positivi alla ricerca delle IgM.
Fattori di rischio:
• età dei residenti
• tempo di permanenza nel centro
Circa la metà dei residenti del centro
(52,6%) sono suscettibili all’HAV:
è proposta la vaccinazione
1
Francia
ottobre
1992febbraio
1993
280 soggetti con difficoltà
di apprendimento
istituzionalizzati.
Età media 31,1 anni:
• uomini: 133
• donne: 147
La popolazione è stata
studiata in seguito
all’identificazione di 3 casi
nella comunità
Popolazione generale
francese
(le caratteristiche
non sono specificate)
Sieroprevalenza degli anticorpi
anti-HAV:
globale 49,8%, di cui:
• uomini 39,1% (52/133)
• donne 59,6% (87/147)
Il rischio di contrarre l’HAV è maggiore
per i soggetti ricoverati che
per la popolazione generale
5
Spagna
giugno
1996gennaio
1997
157 pazienti con ritardo
mentale.
Età media 24,4±3 anni.
Durata
istituzionalizzazione:
9,7±5 anni
157 pazienti non
ritardati (con cecità).
Età media 19,2±5 anni.
Durata
istituzionalizzazione:
4,6±3 anni
Sieroprevalenza degli anticorpi
anti-HAV:
• popolazione studiata:
54%
• controlli:
22%
I soggetti mentalmente ritardati hanno
rischio di contrarre HAV maggiore
dei non ritardati
2
Francia
1989-1991
811 bambini
istituzionalizzati.
Età media 12,6 anni.
Durata media
istituzionalizzazione:
3,2 anni
///
Sieroprevalenza degli anticorpi
anti-HAV nella popolazione studiata:
20%.
Gli unici fattori associati al rischio
d’infezione da HAV sono l’origine
geografica e l’età
Sintesi delle principali prove disponibili 53
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra i politrasfusi una maggiore incidenza,
diffusione o gravità dell’infezione da epatite A?
I politrasfusi costituiscono un gruppo a rischio ?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
Data la breve durata del periodo di viremia nell’epatite A, l’infezione da HAV non è una complicanza significativa delle trasfusioni di sangue; tuttavia, sebbene rari, alcuni casi di trasmissione sono stati riportati in seguito a trasfusione di sacche di sangue da donatori nella fase d’incubazione e tra tossicodipendenti per via endovenosa.1 Una review del 19942 riferisce che nessuno degli studi prospettici condotti negli anni settanta e ottanta per stabilire l’incidenza di epatite A post trasfusionale ha identificato
casi di infezione da HAV trasmessa per via parenterale.
I primi dati in letteratura a favore di una trasmissione attraverso il sangue risalgono al 1981 quando un’epidemia di epatite A si è verificata in una clinica pediatrica in Svezia, causata da una bambina che aveva ricevuto sangue infetto alla nascita. Simili episodi risalenti al 1984 sono riportati nella stessa review.
Attualmente in Francia viene raccomandata la vaccinazione ai politrasfusi.3
La consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995 affrontava l’argomento dei
politrasfusi occupandosi solo del problema degli emofiliaci, da noi esaminato in una categoria separata.4
OBIETTIVO
Stabilire se esistono evidenze per poter considerare i politrasfusi un gruppo a rischio di contrarre l’infezione da HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questa categoria.
METODO
Sono state consultate 2 banche dati, Medline ed Embase, limitatamente agli ultimi 10 anni. La strategia
di ricerca ha utilizzato termini con vocabolario controllato e termini liberi: Hepatitis A (MESH), Hepatitis
A virus, human (MESH) Vaccination, Transfusion, Risk, Risk Factor, Risk group, con l’esclusione degli articoli riguardanti l’HIV e l’emofilia; sono stati individuati 21 articoli considerati pertinenti, di cui 9 irreperibili nelle biblioteche italiane. Non sono stati reperiti 2 articoli redatti in lingua cinese e giapponese. Dei
10 articoli esaminati, 4 sono risultati non pertinenti. E’ stato inoltre considerato il documento finale della
consensus conference, organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995.4
RISULTATI
Sono stati valutati 2 articoli5,6 dei primi anni novanta che descrivono 2 focolai epidemici negli USA, in cui
il caso indice era rappresentato da bambini trasfusi con plasma o sangue infetto. Uno studio condotto in
Sicilia nel 1997,7 che ricerca i marcatori sierologici per l’epatite A in 75 pazienti talassemici politrasfusi,
mostra una bassa prevalenza degli anticorpi anti-HAV (2,7% nella fascia d’età tra 0 e 19 anni e 11,4% nella fascia tra i 20 e i 39 anni). Sono stati infine esaminati 3 lavori1-3 già menzionati nell’introduzione.
LACUNE CONOSCITIVE
E’ presente un solo studio di prevalenza nel gruppo dei politrasfusi.
COMMENTO
Dalla revisione della letteratura dal 1990 è assolutamente evidente, sebbene rara, la possibilità di trasmissione del virus dell’epatite A per via parenterale. Infatti gli articoli esaminati riportano diversi episodi di trasmissione dell’HAV post trasfusionale nei bambini.
Non ci sono però dati di prevalenza a sostegno dell’ipotesi di un rischio aumentato; l’unico studio disponibile è un articolo italiano che mostra una sieroprevalenza degli anticorpi anti-HAV molto bassa in soggetti talassemici politrasfusi, probabilmente legata a una minor esposizione ai generici fattori di rischio.
Pertanto non ci sono prove che ci consentono di considerare i politrasfusi un gruppo a rischio.
54 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra gli emofiliaci una maggior incidenza,
diffusione o gravità dell’infezione da virus dell’epatite A?
Gli emofiliaci costituiscono un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
I concentrati dei fattori della coagulazione prodotti da pool di donazioni possono essere contaminati da
virus dell’epatite A, presente anche in un singolo donatore fortemente viremico. I metodi di inattivazione con solvente/detergente non sono attivi contro il virus dell’epatite A. E’ stato dimostrato che emofiliaci trattati con tali prodotti sono a rischio di contrarre l’infezione. La consensus conference del 1995
dell’Istituto superiore di sanità1 raccomandava la vaccinazione per gli emofiliaci.
OBIETTIVO
Stabilire se esistono prove per poter considerare i soggetti emofiliaci un gruppo a rischio per l’infezione da HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questa categoria.
METODO
Banche dati consultate: Medline (1966-2000) ed Embase (1988-2000), limitatamente agli ultimi 10 anni. E’
stata seguita una strategia di ricerca attraverso termini di vocabolario controllato (MESH) e parole libere: Hepatitis A (MESH), hepatitis A virus, human (MESH), hepatovirus (MESH), hemophilia (MESH), risk (MESH), risk group.mp, risk factor.mp. Sono stati trovati 39 articoli considerati pertinenti, di cui 14 irreperibili nelle biblioteche italiane. Dei 25 articoli pervenuti, alla lettura del testo completo 1 è risultato
non inerente: in totale sono pertanto 24 gli articoli pertinenti. E’ stato inoltre considerato il documento
finale della consensus conference, organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995.1
RISULTATI
Dal 1989 al 1997 sono stati pubblicati vari studi che riferiscono di numerosi focolai epidemici di epatite A
in soggetti emofiliaci trattati con fattore VIII e IX della coagulazione precedentemente inattivati col metodo solvente/detergente.2,3,4C-10 I risultati, riportati nella tabella 1, vengono raccolti e analizzati in 2 recenti review.11,12 Gli studi di prevalenza e caso controllo effettuati,13-23 riportati in tabella 2, e un lavoro del
19924A non riscontrano una maggior evidenza di infezione da epatite A nei pazienti emofiliaci. Una lettera
del 19924B riferisce che è stato costituito un gruppo di studio internazionale per definire la situazione. Un
lavoro del 199324 raccomanda la sterilizzazione terminale del sangue con calore secco a 100° C per distruggere anche i virus privi di involucro lipidico. Da uno studio retrospettivo del 199625 emerge la possibilità di trasmissione dell’HAV, seppur rara, e viene trovato l’HAV-RNA mediante PCR nel fattore IX trattato con solvente/detergente.
COMMENTO
Una recente review12 riporta numerosi casi di epatite A in emofiliaci, trattati con concentrati di fattore VIII
e IX inattivati con solvente/detergente, verificatisi tra il 19872,3 e il 1997.10 Il principale fattore di rischio era
da ricondurre all’inefficacia del trattamento con solvente/detergente nell’inattivare il virus dell’epatite A.
Inoltre la diminuita incidenza dell’infezione da virus dell’epatite A nei paesi industrializzati è responsabile
della presenza di un maggior numero di giovani e di adulti suscettibili all’infezione anche fra gli emofiliaci. E’ anche aumentata la probabilità che un donatore possa presentare un’epatite A in fase di incubazione e che vi sia una ridotta quantità di anticorpi specifici nei pool di donazioni. Attualmente non vi sono più
segnalazioni di epatite A negli emofiliaci, in quanto il sistema di inattivazione è stato completato con un
trattamento al calore capace di neutralizzare il virus dell’epatite A ed è sempre maggiore l’uso di prodotti ottenuti con tecniche di ricombinazione genetica. Dall’esame della letteratura appare evidente che, utilizzando concentrati privi di HAV o trattati con metodi capaci di inattivare il virus, gli emofiliaci non presentano un rischio di contrarre l’epatite A superiore a quello della popolazione generale.
Sintesi delle principali prove disponibili 55
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Art n. Luogo
Anno
2
Italia
3
TABELLA 1: DESCRIZIONE DI FOCOLAI EPIDEMICI TRA EMOFILIACI
Numero dei casi
Fattori di rischio/
conclusioni
1989-1992
41 casi inpazienti con emofilia A in 10 centri
italiani
C’è una maggiore incidenza
nei pazienti con emofilia A grave
Germania
1988-1992
13 casi di infezione su 46 pazienti trattati
con FVIII S/D
E’ stato trovato HAV-RNA
in un lotto di sangue sospetto
4c
Irlanda
maggio-agosto
1992
17 casi di infezione su 343 pazienti trattati
con FVIII S/D
Vi è una notevole coincidenza
tra trasfusione di FVIII S/D e casi
di epatite A
5
Belgio
1992
6 emofiliaci trattati con FVIII S/D su 250
emofiliaci studiati
In Belgio un simile cluster
di epatite A è insolito
6
Sud Africa
giugno 1993febbraio 1994
7 pazienti con emofilia A trattati con FVIII S/D
1 paziente con malattia di Von Willebrand
In 3 dei pazienti studiati erano presenti
sequenze di HAV cDNA identiche al
100% in un lotto di sangue
7
8
USA
settembrenovembre 1995
3 casi in pazienti affetti da emofilia A
1 caso in pazienti affetti da emofilia B
I fattori della coagulazione S/D sono
riconosciuti come fattore di rischio
9
USA
1995
4 casi in emofiliaci A
2 casi in emofiliaci B
L’HAV è stato identificato nei FVIII e FIX
trasfusi
10
Germania
gennaio 1997
5 casi in pazienti con emofilia A
1 caso in pazienti con malattia di von Villebrand
L’epatite A può essere trasmessa
tramite FVIII S/D
TABELLA 2: STUDI DI PREVALENZA E CASO-CONTROLLO
Art n. Luogo
Anno
Popolazione
studiata
Popolazione
riferimento
Risultati
13
Italia
1992
53 pazienti con emofilia A
9 pazienti con malattia
di Von Villebrand
67 parenti in buono
stato di salute
Prevalenza anticorpi anti HAV:
• popolazione studiata:
63% (39/62)
• popolazione riferimento: 72% (48/67)
Nessuna differenza significativa tra i 2 gruppi
14
Germania
1993
58 pazienti con emofilia A
37 pazienti con malattia
di Von Villebrand trattati
con concentrati di FVIII
pastorizzato
Età media: 8 anni
61 bambini ricoverati
nel reparto di
chirurgia e bambini
con difetti della
coagulazione ma
senza necessità di
terapia sostitutiva
Prevalenza anticorpi anti HAV:
• popolazione studiata: 3,16%
• popolazione riferimento: 4,82%
La pastorizzazione risulta un metodo sicuro
per prevenire la trasmissione di HAV
15
USA
1993
339 soggetti trattati
dal 1985 al 1990
con preparati di fattori
della coagulazione, inclusi
quelli trattati con S/D. Di
questi 130 erano anti-HAV
negativi all’entrata
///
Sieroconversione in 11/130 emofiliaci (8,5%).
Sembra che la sieroconversione sia avvenuta
per trasferimento passivo di anticorpi
continua
56 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
TABELLA 2: STUDI DI PREVALENZA E CASO-CONTROLLO
Art n. Luogo
Anno
Popolazione
studiata
Popolazione
riferimento
Risultati
16
Norvegia
1992
202 emofiliaci
Donatori di sangue
stratificati per età
28/202 emofiliaci erano IgG-antiHAV positivi.
Nessuna differenza significativa rispetto
al gruppo di controllo
17
USA
1993
41 emofiliaci
///
I pazienti con emofilia, principalmente quelli HIV
positivi, hanno una maggior prevalenza di
anticorpi anti-HBV (75,6%) e anti-HCV (90,2%)
che di anti-HAV (24,4%)
18
Svezia
1994
50 emofiliaci
Caratteristiche
non specificate
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
• popolazione studiata: 20% (10/50)
• popolazione riferimento: 5%
La maggior parte delle sieroconversioni nella
popolazione studiata risale a prima del 1983.
Non c’è stata una recente conversione
19
Italia
1994
29 pazienti emofiliaci con
epatite e ittero
Età media: 22 anni
71 pazienti emofiliaci
senza segni
di infezione
Età media: 22 anni
La trasfusione di FVIII è ritenuta un fattore di
rischio.
L’identificazione di sequenze di HAV-RNA in 5
dei 12 lotti testati indica che la contaminazione
virale dei preparati di FVIII S/D avviene
abbastanza frequentemente
20
Francia
1995
69 bambini con emofilia A
10 bambini con emofilia B
Età media: 7,5 anni
Origine:
• 73 Nord Europa
• 6 Africa
1.061 bambini
francesi non
emofiliaci
Età: range 6-15 anni
Sieroprevalenza di anticorpi anti-HAV:
• popolazione studiata: 7,6% (6/79)
1/6 europeo (1,4%)
5/6 africani (83,3%)
• popolazione riferimento: 9%
L’infezione è associata a fattori ambientali e
geografici piuttosto che all’uso do concentrati
antiemofilici
21
Irlanda
1993
29 emofiliaci residenti in
Irlanda con epatite A acuta
Età media: 16 anni
78 emofiliaci
residenti in Irlanda
anti-HAV negativi
Età media: 22 anni
L’incidenza di epatite A acuta tra gli emofiliaci
eccede quella nella popolazione generale.
L’associazione dell’infezione con FVIII risulta
il più importante fattore di rischio. E’ stato
dimostrato un effetto dose-risposta
22
USA
1995
1) STUDIO DI PREVALENZA
///
46 bambini emofiliaci trattati
con concentrati di FVIII,
inattivato con varie metodiche
tra cui melATE (S/D)
2) STUDIO CASO-CONTROLLO
37 emofiliaci trattati con
37 emofiliaci non
melATE
trattati con melATE
1) 1 bambino su 46 risulta positivo.
292 emofiliaci A
42 emofiliaci B
7 pazienti affetti da malattia
di Von Villebrand
suddivisi per età
Prevalenza:
• casi:
17%
(58/341)
• controlli:
41%
(8047/19746)
La prevalenza nei pazienti emofiliaci è minore
di quella dei donatori
23
Olanda
19931994
19.746 donatori
di sangue suddivisi
per età
2) Prevalenza IgG anti-HAV:
• casi:
41%
(15/37)
• controlli:
43%
(16/37)
Non c’è maggior prevalenza di infezione
in pazienti che hanno usato melATE
Sintesi delle principali prove disponibili 57
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
Sono state riscontrate una maggior incidenza, diffusione e gravità
dell’ infezione da epatite A tra i tossicodipendenti?
Questi soggetti costituiscono un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
La questione dell’epatite A nei tossicodipendenti1 è strettamente correlata con la variazione della prevalenza nella popolazione generale.
Infatti, i primi paesi in cui si è riscontrato un aumento dei casi di epatite A in tossicodipendenti sono quelli scandinavi, in cui la prevalenza nella popolazione è bassa.2
Con l’aumento del fenomeno della tossicodipendenza, nei paesi a bassa incidenza di epatite A si è assistito, durante la prima metà degli anni ottanta, a una crescita parallela della prevalenza di epatite A in tossicodipendenti in cui l’immunità naturale era ridotta.3
In Italia la consensus conference organizzata dall’ Istituto superiore di sanità nel 1995 consigliava la vaccinazione di individui tossicodipendenti.4
OBIETTIVO
Stabilire se esistono prove per considerare i tossicodipendenti un gruppo a rischio di contrarre l’infezione da HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questi soggetti.
METODO
Banche dati consultate: Medline (1966-2001) ed Embase (1988-2001).
E’ stata utilizzata una strategia di ricerca con termini di vocabolario controllato (MESH) e parole libere.
Substance abuse, intravenous (MESH), drug abuse.mp, drug dependance.mp, drug addiction.mp, drug
user.mp, risk factors (MESH), risk (MESH), risk group.mp, hepatitis A (MESH), hepatitis A virus, human (MESH), hepatovirus (MESH). Sono stati considerati pertinenti, e inseriti in bibliografia, 16 articoli.
E’ stato inoltre considerato il documento finale della consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995.4
RISULTATI
Sono stati analizzati 8 studi di prevalenza,5-12 la maggior parte dei quali concordano su una prevalenza di
anticorpi anti-HAV lievemente superiore nei tossicodipendenti rispetto ai gruppi di controllo (tabella 1).
Uno studio, che descrive 5 epidemie verificatesi in Australia, riporta la scarsa igiene personale come il
più probabile fattore di rischio.13
Altri articoli identificano come fattori di rischio lo scambio di siringhe12,14 e l’assunzione orale di droghe
potenzialmente contaminate.14
Alcuni studi riferiscono l’insorgenza di epidemie tra tossicodipendenti e omosessuali, che diventano importanti fonti di epatite A.2,6,15
È stato esaminato un ulteriore articolo già menzionato nell’introduzione.3
COMMENTO
Tutti i dati in nostro possesso concordano su una prevalenza di epatite A lievemente superiore nei tossicodipendenti rispetto a varie popolazioni di riferimento, anche se i reali fattori di rischio non sono altrettanto chiari.
La trasmissione è legata a fattori di tipo socioeconomico, alla promiscuità sessuale, allo scambio di siringhe e alla contaminazione degli strumenti per utilizzare la droga, ma non c’è accordo nello stabilire quali siano i principali.
Non si riscontrano inoltre lavori in cui i tossicodipendenti siano causa di epidemia.
58 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
TABELLA 1: STUDI DI PREVALENZA IN TOSSICODIPENDENTI
Art n.
Luogo
Anno
5
Polonia
gennaio 1998marzo 1999
Popolazione studiata
Popolazione
riferimento
Risultati
100 tossicodipendenti ev
• 74 uomini
• 26 donne
Età media: 23,7 anni
120 donatori
di sangue*
di uguale sesso
ed età
Sieroprevalenza di anticorpi anti-HAV:
• popolazione studiata: 65%
• popolazione riferimento: 55%
La differenza non è significativa.
Però la Polonia è una zona ad alta endemia,
scarso livello socioeconomico generale e
alta sieroprevalenza nella popolazione
*prima dello
screening
6
Svezia
1990
171 tossicodipendenti
Popolazione
svedese generale
(la Scandinavia
è un’area a
bassissima
endemia)
La prevalenza degli anticorpi anti-HAV
nei tossicodipendenti (52%) è 10 volte
maggiore rispetto a quella riscontrata
nella popolazione generale.
Associazione con durata di
tossicodipendenza, numero di partner
tossicodipendenti negli ultimi 3 anni
7
Italia
1990-1991
645 tossicodipendenti ev
Popolazione
generale, da uno
studio dello stesso
autore del 1987
La prevalenza degli anticorpi anti-HAV
nei tossicodipendenti (50,9%)
è sovrapponibile a quella riscontrata
nella popolazione generale
8
Francia
174 omosessuali
122 tossicodipendenti ev
76 membri
del personale
ospedaliero
Sieroprevalenza di anticorpi anti-HAV:
<35 anni >35 anni
• omosessuali:
41,3%
80%
• tossicodipendenti ev: 65,5%
79%
• controlli:
33%
83%
La prevalenza nei tossicodipendenti è maggiore
che nei controlli, nella fascia di età <35 anni
9
USA
1993-1994
292 tossicodipendenti
294 omosessuali
300 donatori
di sangue
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
• omosessuali 32,3% (95/294)
• tossicodipendenti 66,4% (194/292)
• controlli 13,7% (41/300)
Nei tossicodipendenti il rischio è correlato
alle scarse condizioni igieniche piuttosto che
all’abuso di droga
10
Australia
1990-1992
2.175 detenuti;
293 tossicodipendenti
2.983 donatori
di sangue
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV (%):
globale
• tossicodipendenti
51,2 19,6
39,2
• detenuti
44,6
• controlli
30,1 27
33
11
Svizzera
1997
175 tossicodipendenti:
• 70% uomini
• 30% donne
Età media: 30,6
///
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
63,6% (110/175).
Non c’è correlazione tra durata della storia di
tossicodipendenza e HAV
12
Canada
marzo-agosto
1998
235 tossicodipendenti
51 omosessuali
111 giovani di
strada
E’ stata riscontrata una prevalenza
di anticorpi anti-HAV significativamente più
elevata nei tossicodipendenti che nella
popolazione di controllo
Sintesi delle principali prove disponibili 59
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra gli omosessuali una maggior incidenza,
diffusione, gravità dell’infezione da virus dell’epatite A?
Gli omosessuali costituiscono un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
L’ipotesi di considerare gli omosessuali come un potenziale gruppo a rischio di contrarre l’HAV risale ai
primi anni novanta. Sebbene i risultati dei primi studi siano contrastanti, il sospetto nasce dalla dimostrazione di una frequenza elevata di epatite A nei soggetti di età compresa tra i 20 e i 40 anni di sesso
maschile rispetto ai soggetti di sesso femminile, in un contesto di netto decremento dell’infezione, legato al miglioramento delle condizioni socioeconomiche nei paesi industrializzati. La plausibilità del rischio è correlata a rapporti oro-anali. La consensus conference organizzata dall’Istituto superiore di sanità nel 1995 non menzionava gli omosessuali tra i potenziali gruppi a rischio e prima di tale anno era riportato solo un esiguo numero di documenti. Si tratta per lo più di descrizioni di focolai epidemici tra gli
omosessuali; uno studio prospettico del 1994 non rivela alcuna differenza nella sieroprevalenza di anticorpi anti-HAV tra omosessuali ed eterosessuali.
OBIETTIVO
Stabilire se esistono prove per considerare gli omosessuali un gruppo a rischio di contrarre l’infezione da
HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questi soggetti.
METODO
Sono state consultate 2 banche dati, Medline ed Embase, limitatamente agli ultimi 10 anni. Nella strategia di ricerca sono stati utilizzati termini controllati (MESH) e parole libere: Hepatitis A (MESH), hepatitis
A virus, human (MESH), Homosexual.mp homosexuality, MSM.mp, risk (MESH), risk factors (MESH), risk
group.mp. Sono stati trovati 34 articoli considerati pertinenti, di cui 8 irreperibili nelle biblioteche italiane.
E’ stato raggiunto quindi un totale di 26 articoli pertinenti.
RISULTATI
Sono stati valutati 12 studi1-12 che riferiscono di focolai epidemici insorti tra gli omosessuali (tabella 1). Alcuni di questi articoli sono commentati in un ulteriore lavoro.13 Tre studi caso-controllo,14-16 condotti nell’ambito di epidemie insorte tra soggetti omosessuali, identificano come principali fattori di rischio la promiscuità sessuale, la frequenza di dark rooms e i rapporti oro-anali (tabella 2). Gli studi che indagano la
prevalenza di anticorpi anti-HAV in omo/bisessuali17-23 non riscontrano differenze significative rispetto alle popolazioni scelte come controllo (popolazione generale/tossicodipendenti) come emerge dalla tabella 3. Un lavoro è un commento pubblicato su BMJ 24 che si esprime criticamente sull’ipotesi della vaccinazione anti epatite A per gli omosessuali.
COMMENTO
Numerosi studi, a partire dal 1991 e intensificatisi nel corso degli anni successivi, descrivono l’insorgenza di focolai epidemici tra gli omosessuali. Dall’analisi di diversi lavori, che studiano l’associazione di tali
epidemie con potenziali fattori di rischio, emerge che il rischio di contrarre l’HAV è legato non all’omosessualità in sé quanto alle pratiche oro-anali e alla promiscuità sessuale, come anche confermato da
una review del 1998.25 Tra gli omosessuali, infatti, i soggetti a maggior rischio presentano una storia di frequenti rapporti casuali, numerosi partner e frequentazione di dark rooms. Nonostante ciò, gli studi di prevalenza esaminati non rivelano importanti differenze della prevalenza di anticorpi anti-HAV tra omosessuali e gruppi di controllo. Questo dato è segnalato anche in una review del 1998,26 che conclude che vi
è prova di trasmissione dell’epatite A solo in un modesto numero di omosessuali che abbiano un comportamento sessuale a rischio, mentre la maggioranza non sembra presentare un rischio aumentato.
Pertanto è evidente che ci sono dei comportamenti a rischio più frequenti tra gli omosessuali che tra gli
eterosessuali, ma non tali da determinare un significativo incremento di prevalenza nei primi.
60 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Art n. Luogo
TABELLA 1: DESCRIZIONE DI FOCOLAI EPIDEMICI TRA OMOSESSUALI
Anno
Numero dei casi
Risultati
1
Inghilterra 1989-1990
• 2.913 casi nel 1989, di cui 1 tra omosessuali
• 4.087 casi nel 1990, di cui 17 tra omosessuali
Rapporti oro-anali
2,3
USA
1991
Denver: 24 casi tra omosessuali.
New York: 632 casi, di cui 254 a Brooklyn
e 253 a Manhattan. Tra questi ultimi 221 (87%)
si sono verificati tra uomini, 115 (45%) dei quali
risedevano in zone tipiche di omosessuali.
San Francisco: 350 casi. 293 (84%) tra uomini,
186 (78%) dei quali erano omo/bisessuali
(su 237 intervistati).
Nel 1990 254 casi: 189 (74%) tra uomini,
di cui 64 (68%) omo/bisessuali (su 94).
Toronto: 274 casi. 235 (85%) tra uomini, di cui
94 (56%) omo/bisessuali (su 169 intervistati).
Nel 1990 68 casi.
Montreal: 389 casi. 234 (60%) tra uomini, di cui
45 (42%) omosessuali (su 107 intervistati).
Sidney: 134 casi. 102 (76%) tra uomini,
di cui 35 (34%) omosessuali.
Nel 1990 41 casi
• elevato numero di partner
• rapporti oro-anali
• scarsa conoscenza
delle modalità di STD
Canada
Australia
4
Inghilterra
1989-1992
65 casi tra il 1989-1992 con aumento
di prevalenza negli omosessuali
• Rapporti oro-anali
• promiscuità sessuale
5
Canada
novembre 1994dicembre 1995
261 casi, di cui il 78,5% tra uomini: il numero
di casi tra omosessuali è aumentato nel 1995
///
6
Inghilterra
1994-1996
Incremento del numero di casi di HAV da 270
a 481. Tra omosessuali l’aumento è del 346%:
da 13 casi nel 1994 a 58 casi nel 1995
Rapporti oro-anali
7
Inghilterra
1995-1996
48 casi di cui 41 tra uomini; dei 33 uomini adulti
il 40% è omosessuale e del 60% non si
conoscono le abitudini sessuali
Rapporti oro-anali
8
Australia
1991-1992
570 casi di cui 33 tra omo/bisessuali
///
9
USA
gennaio-settembre 1996
222 casi, di cui il 75% tra omosessuali
///
10
Australia
gennaio 1991-agosto 1992
settembre-agosto 1992
settembre 1994-giugno 1995
luglio 1995-dicembre 1996
561 casi di cui 323 tra omosessuali
98 casi di cui 36 tra omosessuali
126 di cui 42 tra omosessuali
330 di cui 186 tra omosessuali
///
11
Canada
agosto 1996
376 casi tra omosessuali
///
12
Inghilterra
gennaio 1996dicembre 1997
175 casi di cui 161 tra uomini. Di questi 100
erano omosessuali, 3 eterosessuali e in 53 casi
l’orientamento sessuale non era determinato
///
Sintesi delle principali prove disponibili 61
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Art n.
Luogo
Anno
14
Olanda
15
16
TABELLA 2: STUDI CASO-CONTROLLO
Popolazione
studiata
Popolazione
di riferimento
Fattori
di rischio
dicembre 1991marzo 1993
37 omo/bisessuali
con HAV.
Età media: 30 anni
68 omo/bisessuali
sieronegativi per
anticorpi anti-HAV.
Età media: 36 anni
Frequentazione
di dark rooms, saune,
bar, discoteche
USA
1991
25 omo/bisessuali
con HAV
42 omo/bisessuali
sieronegativi per
anticorpi anti-HAV
• Rapporti sessuali
casuali;
• rapporti oro-anali
Olanda
gennaio-maggio 1998
19 omo/bisessuali
con HAV.
Età media: 33 anni
46 omo/bisessuali
frequentanti club gay,
con esclusione di quelli
con storia di ittero
o vaccinati per HAV.
Età media: 35 anni
• Rapporti sessuali
casuali
• frequentazione
di dark rooms
TABELLA 3: STUDI DI PREVALENZA
Art n. Luogo
Anno
Popolazione
studiata
Popolazione
di riferimento
Risultati
17
Inghilterra
1993
185 omosessuali
ricoverati in una clinica
di Londra.
Età media: 32,6 anni
70 eterosessuali
ricoverati in
una clinica
di Londra.
Età media: 32,2 anni
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
• omosessuali 32,4% (60/185)
• eterosessuali 30,0% (21/70)
• soggetti (115/185) praticanti rapporti
oro-anali 33%
• soggetti (70/185) non praticanti
rapporti oro-anali 31,4%.
Non ci sono evidenti differenze nella
sieroprevalenza tra omosessuali ed
eterosessuali; non c’è associazione
tra aumento della prevalenza
e rapporti oro-anali
18
Spagna
marzo-giugno
1994
74 omosessuali ricoverati
in una clinica per STD
a Madrid.
Età media: 28±5 anni
74 eterosessuali
ricoverati in una
clinica per STD a
Madrid.
Età media: 29±5 anni
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
• omosessuali, di cui il 48% pratica
rapporti oro-anali: 47% (35/74)
• eterosessuali, di cui l’8% pratica
rapporti oro-anali: 43% (32/74)
In aree a endemia intermedia,
gli omosessuali non sono esposti
a maggior rischio di contrarre HAV
rispetto agli eterosessuali.
La frequenza di rapporti oro-anali,
maggiore tra gli omosessuali,
non influenza la sieroprevalenza
anticorpale
continua
62 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
TABELLA 3: STUDI DI PREVALENZA
Art n. Luogo
Anno
Popolazione
studiata
Popolazione
di riferimento
Risultati
19
Francia
1996
(anno di
pubblicazione)
• 174 omosessuali;
• 122 tossicodipendenti ev
76 infermieri in corsia
pediatrica e impiegati
nella mensa
ospedaliera
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
• omosessuali età
<35 anni: 41%
>35 anni: 80,8%
• tossicodipendenti età <35 anni: 65,5%
>35 anni 79,2%
• controlli età
<35 anni: 33%
>35 anni: 82,5%
Tossicodipendenti ev di età <35 anni
mostrano una sieroprevalenza
superiore ai controlli.
Non c’è differenza tra omosessuali e
controlli.
20
USA
1993-1994
• 294 omosessuali;
• 292 tossicodipendenti ev
300 donatori di sangue
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
• omosessuali
32,3% (95/294)
• tossicodipendenti 66,4% (194/292)
• controlli
13,7% (41/300)
Associazione tra sieroprevalenza
in omosessuali e numero di partner
sessuali
21
USA
luglio 1992
aprile 1993
411 omo/bisessuali
115: età 17-19 anni
296: età 20-22 anni
///
Sieroprevalenza anticorpi
anti-HAV: 28,0%.
Presentano maggior prevalenza
i gruppi di etnia latina, basso grado
di istruzione, alto numero di partner
sessuali, rapporti oro-anali, abuso
di droga
22
Italia
gennaiodicembre 1997
146 omosessuali, pazienti
di una clinica per STD,
a Roma
286 eterosessuali,
pazienti di una clinica
per STD, a Roma
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV:
• omosessuali
60,3% (88/146)
• eterosessuali
62,2% (178/286)
Non c’è differenza di sieroprevalenza
tra le 2 popolazioni studiate
23
Canada
marzo-agosto
1998
51 omosessuali
111 ragazzi di strada
Sieroprevalenza anticorpi anti-HAV
più elevata negli omosessuali,
con differenza ai limiti
della significatività
Sintesi delle principali prove disponibili 63
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra i detenuti una maggior incidenza
e diffusione dell’infezione da virus dell’epatite A?
Questi soggetti costituiscono un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
Le carceri sono considerate un ambiente a rischio per la trasmissione delle malattie infettive. La diminuita incidenza dell’infezione da HAV e, di conseguenza, l’aumento della popolazione suscettibile anche nelle classi socioeconomiche più disagiate sono alla base di un potenziale rischio di trasmissione dell’HAV
all’interno degli istituti di detenzione.
OBIETTIVO
Stabilire se esistono prove per poter considerare i soggetti detenuti un gruppo a rischio di contrarre l’infezione da HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questa categoria.
METODO
Banche dati consultate: Medline ed Embase, limitatamente agli ultimi 10 anni. La strategia di ricerca ha
utilizzato termini MESH e parole libere. Hepatitis A (MESH), Hepatitis A virus human (MESH), HAV.mp,
Prisoners (MESH), prisoner.mp, prisons (MESH), risk (MESH), risk factors (MESH), risk group.mp. In totale gli articoli pertinenti sono 6, di cui 2 irreperibili nelle biblioteche italiane, raggiungendo un totale di
4 articoli utili.
RISULTATI
L’unica descrizione di epidemia in un carcere riferisce di persone che hanno sviluppato i sintomi della
malattia subito dopo la reclusione, ma che avevano contratto il virus all’esterno.1
Da uno studio di prevalenza2 la sieropositività risulta maggiore in detenuti e ancor più in tossicodipendenti, molti dei quali con una storia di prigionia, rispetto a una popolazione di riferimento rappresentata da donatori di sangue.
Un altro lavoro3 riporta l’associazione della sieropositività con scadenti condizioni socioeconomiche e
abuso di droga. Mentre le scadenti condizioni socioeconomiche rendono la maggior parte dei detenuti già sieropositivi all’ingresso nell’istituto di detenzione, l’abuso di droga sembra essere il maggior fattore di rischio per gli individui sieronegativi. Un lavoro recente riscontra una bassa prevalenza di antiHAV nei detenuti4 e ne consiglia la vaccinazione.
COMMENTO
I dati in nostro possesso su un’eventuale maggior prevalenza dell’epatite A nei detenuti sono pochi, contrastanti e poco conclusivi.
Le carceri possono essere considerate un ambiente in cui confluiscono svariati fattori di rischio per l’infezione da epatite A, come la promiscuità sessuale, l’abuso di droghe, lo scarso livello igienico-sanitario.
64 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra gli HIV sieropositivi una maggior incidenza
e diffusione dell’infezione da virus dell’epatite A?
L’HAV si manifesta in forma clinica più grave nei soggetti con AIDS?
Questi ultimi costituiscono un gruppo a rischio?
Rosa Cristina Coppola, Elisabetta Franco, Alessandro Zanetti
INTRODUZIONE
Non è segnalato in letteratura un rischio maggiore di contrarre l’infezione da HAV nei soggetti HIV positivi. Questi ultimi vengono però presi in considerazione, essendo la loro condizione di immunodeficienza
spesso legata a maggiore gravità del decorso clinico delle patologie.
OBIETTIVO
Stabilire se esistono prove per poter considerare i soggetti sieropositivi un gruppo a rischio di contrarre
l’infezione da HAV e quindi per giustificare la proposta di vaccinazione in questa categoria.
METODO
Sono state consultate 2 banche dati, Medline ed Embase, attraverso una strategia di ricerca che ha utilizzato termini controllati (MESH) e parole libere: HIV (MESH), Hepatitis A (MESH), Hepatitis A virus human (MESH), HAV.mp, hiv infections (MESH). Sono stati trovati 12 articoli considerati pertinenti, di cui 7 irreperibili nelle biblioteche italiane. Dei 5 articoli pervenuti, 2 sono risultati non pertinenti alla lettura del
testo completo, raggiungendo un totale di 3 articoli pertinenti.
RISULTATI
Dalla ricerca bibliografica effettuata non emergono lavori che descrivono una correlazione tra HAV e HIV.
I tre articoli1-3 analizzati ci confermano l’assenza di prove convincenti di un’interazione tra le 2 infezioni,
né di una più grave manifestazione clinica dell’HAV in soggetti sieropositivi.
COMMENTO
Manca la prova che i pazienti HIV sieropositivi costituiscano una categoria a rischio. Infatti la possibilità
dei soggetti affetti da AIDS di contrarre l’epatite virale A non nasce dalla loro condizione di immunodeficienza, bensì è legata all’appartenenza a categorie di persone di cui è discusso il maggior rischio di esposizione all’HAV, cioè gli omosessuali, i tossicodipendenti, i politrasfusi e gli emofiliaci.
Sintesi delle principali prove disponibili 65
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
E’ stata riscontrata tra gli epatopatici cronici una maggior incidenza,
diffusione o gravità dell’infezione da virus dell’epatite A?
Questi soggetti costituiscono un gruppo a rischio?
Piero Luigi Almasio, Pietro Amoroso
INTRODUZIONE
L’infezione da virus dell’epatite A (HAV) presenta un decorso benigno e spesso asintomatico nella prima
infanzia, mentre nei soggetti adulti è in grado di determinare frequentemente una malattia clinicamente
rilevante, a volte anche con l’evoluzione fatale in epatite fulminante in una percentuale che oscilla tra lo
0,1 e lo 0,5% dei casi infetti. Tra i fattori che promuovono questo infausto decorso vanno indicati l’età avanzata dei pazienti e la coesistenza di una malattia cronica al fegato, o epatopatia. Se quest’ultima condizione può essere ragionevolmente considerata rilevante nell’influenzare il decorso dell’infezione da HAV,
ne consegue che, nell’ambito di una valutazione costi/benefici, è necessario valutare l’opportunità di una
copertura vaccinale dei soggetti con questa malattia cronica, al fine di evitare che una possibile esposizione al virus dell’epatite A possa indurre l’insorgenza di una forma di epatite fulminante.
OBIETTIVO
Gli scopi della presente revisione bibliografica sono stati i seguenti:
• stima della percentuale suscettibile all’infezione da HAV nei pazienti con epatopatia cronica attraverso
lo studio della prevalenza degli anticorpi anti-HAV;
• analisi del decorso clinico dell’infezione da HAV in pazienti con epatopatia cronica per valutare la mortalità e i possibili fattori di rischio responsabili dell’insorgenza di un’epatite fulminante;
• valutazione dell’immunogenicità e sicurezza del vaccino anti-HAV nei pazienti affetti da epatopatia cronica.
METODO
La ricerca bibliografica si è basata sull’uso di alcune parole chiave, sia come termini controllati (MESH)
che parole libere (hepatitis A, hepatitis A vaccine, chronic liver disease, fulminant hepatitis, acute liver
failure, mortality rates, epidemiology, anti-HAV, vaccine, vaccination) attraverso la revisione di 2 banche
dati: Medline ed Embase. Questo ha prodotto l’identificazione di 7 pubblicazioni per il primo obiettivo,1-7 di
18 lavori per il secondo obiettivo8-25 e di 5 lavori per il terzo obiettivo.26-30
RISULTATI
• La revisione della letteratura mostra come le percentuali di soggetti con epatopatia cronica già sieroconvertiti per anti-HAV siano estremamente alte; tuttavia se i pazienti vengono stratificati per età, la protezione scende notevolmente con tassi inferiori al 30%;
• l’evoluzione in epatite fulminante e i tassi di mortalità in epatopatici cronici sono stati rivisti in 18 studi
con diversa dimensione campionaria. La maggior parte di questi studi sono basati su piccole casistiche
retrospettive e in essi la mortalità per epatite fulminante da HAV varia dallo 0 al 100%. Tre studi si differenziano per il numero dei soggetti studiati e uno, in particolare, per il disegno prospettico seguito. In
questi lavori la mortalità secondaria all’infezione da HAV sembra essere diversa per i pazienti con infezione da HBV, rispetto a quelli con infezione da HCV, in cui il tasso di mortalità è più alto e raggiunge il
35,3%.
• La vaccinazione anti epatite A è sicura e ugualmente immunogenica nei soggetti con epatopatie croniche lievi o moderate, raggiungendo livelli di protezione superiori al 95%, similmente a quanto avviene
nella popolazione sana; l’efficacia invece nei soggetti con cirrosi scompensata e nei trapiantati potrebbe essere inferiore, dal momento che meno del 50% dei pazienti produce anticorpi.
LACUNE CONOSCITIVE
L’analisi della prevalenza della positività per anti-HAV è stata fatta in studi trasversali con una numerosità
66 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
del campione non sempre adeguata allo scopo. Sembra emergere comunque una nuova coorte di epatopazienti che hanno una copertura naturale contro l’HAV sempre più bassa come conseguenza della ridotta circolazione del virus.
La valutazione della gravità del decorso clinico dell’infezione da HAV è stata fatta spesso su casistiche
molto piccole e con dati retrospettivi, e con un’imprecisa caratterizzazione del tipo di danno epatico preesistente dei soggetti con sovrainfezione da HAV. Questo spiega la notevole eterogeneità dei dati raccolti, che mostrano tassi oscillanti tra lo 0 e il 100%.
A riguardo della sicurezza e dell’immunogenicità del vaccino, gli studi rinvenibili in letteratura, sono poco numerosi e riguardano casistiche molto spesso esigue e assai eterogenee.
COMMENTO
L’infezione da HAV ha un decorso più sfavorevole nei soggetti con epatopatia cronica, come dimostrato
dal numero dei decessi osservati in seguito a epatite virale acuta. Tuttavia non tutte le casistiche concordano su questo punto, dal momento che diversi epatopazienti sviluppano un’infezione acuta da HAV
senza alcun deterioramento della malattia al fegato. Il dato epidemiologico più rilevante appare comunque quello di una progressiva riduzione della protezione naturale contro l’HAV man mano che l’età dei
pazienti con epatopatia cronica va diminuendo. Ciò determinerà nel giro di pochi anni una nuova coorte
di soggetti più suscettibile all’infezione da HAV di quanto succedeva nel passato quando la sovrainfezione da HAV in epatopazienti, specie nelle regioni meridionali italiane, era un evento del tutto eccezionale.
Il vaccino negli epatopazienti appare egualmente sicuro che nella popolazione generale. Nelle epatopatie non avanzate le modalità vaccinali possono rimanere le stesse raccomandate per la popolazione generale, giacché l’immunogenicità del vaccino risulta sostanzialmente sovrapponibile nelle 2 popolazioni.
Per le epatopatie scompensate invece, in cui secondo alcuni studi la produzione di anticorpi si verifica
in meno del 50% dei vaccinati, vanno verosimilmente valutate differenti modalità.
PROPOSTE DI RACCOMANDAZIONI
Sulla base dell’analisi dei dati in letteratura, sembra opportuno proporre una vaccinazione anti-HAV in
soggetti con malattia epatica cronica di età inferiore ai 40 anni, previo screening sierologico, data l’alta
circolazione che comunque il virus ha tuttora nel nostro paese.
Nelle epatopatie non avanzate non si raccomanda la verifica dell’avvenuta protezione post vaccinale, dato che l’immunogenicità del vaccino in questi soggetti è elevata, come nella popolazione generale.
Sintesi delle principali prove disponibili 67
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
Qual è l’efficacia del vaccino anti epatite A nel controllo
di focolai epidemici in comunità chiuse o aperte,
rispetto ad altri interventi o a nessun intervento?
Paolo D’Argenio, Brunella Adamo, Giovanni Gallo
INTRODUZIONE
Nelle ultime decadi, l’epidemiologia dell’epatite da virus A in Italia, è mutata: assieme a una riduzione dei casi e dell’incidenza, passata dai 10 ai 3 casi per 100.000 dal 1985 al 1999, è stata osservata
una riduzione della prevalenza di adulti immuni e lo spostamento dell’età di massima incidenza della
malattia sintomatica e delle notifiche, dall’infanzia all’età giovane adulta.
Ma tale riduzione non è stata uniforme sul territorio nazionale, né costante nel tempo: in alcune aree,
la circolazione del virus è oggi scarsa mentre da alcune regioni sono segnalati ogni anno alcune centinaia di casi, e sono state riportate epidemie estese: la più importante in Puglia negli anni 1996-1997.
I dati della sorveglianza mostrano che, negli anni novanta, l’esposizione al virus è stata legata al consumo dei frutti di mare e ai viaggi in aree a elevata endemia, mentre un minore impatto è stato attribuito alla convivenza con bambini che frequentano l’asilo. D’altra parte, studi di epidemie in comunità aperte sottolineano il ruolo svolto dai bambini che frequentano gli asili, più spesso soggetti a infezioni asintomatiche, e tra i quali sono frequenti i contatti molto stretti.
Nelle aree a scarsa circolazione del virus, molti sono i suscettibili nelle prime età della vita e tra i giovani adulti. Nelle aree endemiche, la frequenza di suscettibili è minore ma il rischio di esposizione al
virus è più elevato. Nel primo caso epidemie possono verificarsi a seguito dell’introduzione del virus,
nel secondo le epidemie si verificano periodicamente quando, tra i soggetti in più giovane età, si è
accumulato un consistente pool di suscettibili. Nel controllo dei focolai, accanto alle misure igieniche, possono essere utilizzate le immunoglobuline e il vaccino, ma non esistono indicazioni univoche.
Pertanto è stato deciso di effettuare una revisione della letteratura per giungere a raccomandazioni
adatte alla realtà italiana attuale.
OBIETTIVO
• Tenendo conto dell’epidemiologia dell’epatite A in Italia negli ultimi anni, descrivere i tipi di epidemie e focolai epidemici possibili, considerando un orizzonte temporale di 1-5 anni;
• valutare le misure di prevenzione alla luce delle prove di efficacia, di sicurezza e accettabilità e gli
aspetti organizzativi connessi alla loro attuazione;
• sviluppare raccomandazioni per l’uso del vaccino durante focolai epidemici in Italia.
METODO
La strategia per la ricerca bibliografica è stata mirata a:
• identificare studi che documentino epidemie e focolai epidemici di epatite A in Italia nel periodo
1990–2000;
• identificare studi che documentino l’attuazione di misure di controllo durante epidemie, focolai epidemici e allerta epidemici senza delimitazioni geografiche.
Banche dati consultate: Medline (1966-2001) ed Embase (1988-2001), limitatamente agli ultimi 10 anni. vista la mutata epidemiologia dell’epatite A in Italia. E’ stata seguita una strategia di ricerca attraverso termini di vocabolario controllato (MESH) e parole libere: epidemic, disease outbreaks, virus transmission, disease transmission, hepatitis A, viral hepatitis vaccines. Inoltre sono stati consultati: rapporti elaborati dal Ministero della sanità nel periodo 1990-2000; rapporti elaborati dall’Istituto superiore di sanità nel periodo 1990-2000; rapporti elaborati dalle strutture regionali deputate al
controllo delle malattie infettive nel periodo 1990-2000.
Il risultato della ricerca bibliografica consta di 2 parti distinte:
• studi di tipo descrittivo che hanno permesso di delineare scenari e condizioni per lo sviluppo di focolai epidemici, nel breve e medio periodo in Italia;
68 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
• studi comparativi che documentano l’attuazione di misure di controllo in corso di epidemie e focolai epidemici, in comunità aperte e chiuse.
Criteri di inclusione/esclusione degli studi per l’obiettivo 1
Sono stati esclusi:
• lavori che non trattavano di epidemie, rapporti di sorveglianza, studi di laboratorio;
• articoli del tipo di rassegne e commenti;
• articoli su epidemie in gruppi a rischio;
• articoli su aspetti particolari di epidemie come costi, analisi economiche, eccetera.
Criteri di inclusione/esclusione degli studi per l’obiettivo 2
• correttezza del disegno dello studio: il valore delle conclusioni dello studio dipende dalla assenza
di sostanziali distorsioni presenti nel disegno;
• dimensioni campionarie: il valore dipende dalla potenza statistica dello studio;
• capacità del sistema di sorveglianza di rilevare una variazione di incidenza a seguito dell’attuazione di misure di controllo;
• accuratezza della definizione di caso;
• presenza di potenziale confondimento;
• presenza di potenziali modificatori d’effetto.
Risultati della ricerca bibliografica finalizzata all’obiettivo 1
Sono stati selezionati su Medline 200 articoli; di questi 154 sono stati esclusi perché riguardavano
paesi troppo diversi dall’Italia,a o perché non erano pertinenti.b
Sette erano articoli ripetitivi e 2 non sono risultati reperibili. Sono stati selezionati su Embase 154 articoli e 150 sono stati esclusi perché erano già presenti nel precedente elenco oppure perché non
erano pertinenti.
Successivamente è stata effettuata un’ulteriore ricerca per aggiornare i dati a maggio 2001. Sono stati rintracciati 37 nuovi articoli su Medline e 3 sono stati inclusi. Degli 8 articoli trovati su Embase nessuno è stato selezionato.
In Italia, nel periodo 1997-1999 sono stati notificati al Ministero della sanità 80 focolai epidemici, per
un totale di 319 casi. In virtù della definizione adottata, un focolaio è individuato dalla presenza di 2
o più casi collegati. A fronte di questa numerosità, i rapporti sui focolai pubblicati sulla letteratura
medica e ritenuti appropriati per la costruzione di scenari realistici in Italia sono stati 28. Tra questi
6 riguardano focolai epidemici verificatisi in altri paesi sviluppati simili all’Italia:
• epidemie di origine alimentare, in cui la fonte è stata individuata in frutti di mare contaminati,1-4 frutta (lamponi, fragole congelate),5-8 insalata,9 cipolline.10 In alcuni casi di epidemie da fonte comune alimentare è stato provato che un alimentarista infetto aveva contaminato cibi quali insalata,11
panini,12 bevande;13,14
• 4 focolai erano risultati associati all’acqua da bere proveniente da pozzi inquinati,15,16 e di piscina;17,18
• casi in cui l’epidemia si era diffusa da persona a persona in piccole comunità chiuse:
1. scuole materne o elementari,19-30 in cui a volte, il virus era introdotto in gruppi di suscettibili da
bambini o adulti infettatisi durante un viaggio in area a elevata circolazione;31-33
2. reparti ospedalieri;34-38
3. accoglienza per i rifugiati;39
• epidemie in comunità aperte di medio-grandi dimensioni;17,40-45
• epidemie in villaggi di ridotta ampiezza demografica.46-49
a. Paesi diversi dai 23 definiti «high income economies», gruppo OECD dalla World Bank.
b. Riguardavano epidemie in potenziali gruppi a rischio (omosessuali, tossicodipendenti, persone che ricevono sangue
o derivati), non descrivevano epidemie di epatite A, non erano studi originali bensì rassegne, editoriali, commenti,
descrivevano epidemie avvenute negli anni ottanta.
Sintesi delle principali prove disponibili 69
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
Risultati della ricerca bibliografica finalizzata all’obiettivo 2
Sono stati selezionati su Medline 77 citazioni di articoli pubblicati. Settanta di questi sono stati esclusi
perché non riguardavano interventi vaccinali in corso di epidemie. Sono stati selezionati su Embase 126
citazioni, e 123 non sono state prese in considerazione perché erano già presenti nel precedente elenco
oppure perché non erano pertinenti.20,24,41,46-52
Gli studi descrivono epidemie o focolai in cui è stata impiegata la vaccinazione come misura di controllo. Essi documentano una riduzione dell’incidenza di epatite A tra i vaccinati, rispetto ai non vaccinati, nonché una riduzione dell’incidenza dopo la vaccinazione, ma nessuno di essi è in grado di documentare l’efficacia della vaccinazione nell’interrompere una epidemia di epatite A, mediante un confronto con l’uso di immunoglobuline o placebo. Il disegno e la qualità degli studi non consentono di rispondere al quesito specifico.
Un trial clinico non controllato e non randomizzato sull’uso del vaccino per interrompere una larga epidemia in diversi villaggi rurali dell’Alaska, ha mostrato l’interruzione in un’area dove circa l’80% dei bambini e giovani adulti suscettibili avevano ricevuto una dose di vaccino, ma è continuata nelle aree dove meno del 50% della popolazione bersaglio era stata vaccinata.48
Altri studi descrittivi del tipo pre/post intervento, sia in comunità aperte che chiuse (scuole, day centres eccetera) sembrano accelerare il declino delle epidemie studiate ma il contributo dell’uso del vaccino rispetto al decorso naturale dell’epidemia non è quantificabile. In mancanza di una documentazione sperimentale, la base razionale per le scelte è costituita dalle seguenti considerazioni:40,53,54
• efficacia del vaccino nella profilassi pre esposizione: la vaccinazione dovrebbe essere in grado di
proteggere i suscettibili che non sono ancora stati esposti al contagio;
• efficacia del vaccino nella profilassi post esposizione: la vaccinazione dovrebbe essere in grado di
proteggere gli individui che sono già stati esposti al contagio;
• sono stati descritti fallimenti dell’uso di immunoglobuline per interrompere epidemie, fallimenti attribuibili soprattutto alla durata limitata della protezione rispetto alla durata dell’epidemia, che a sua
volta dipende dal lungo periodo di incubazione dell’epatite A.
LACUNE CONOSCITIVE
• molti focolai in Italia non sono stati descritti e questo limita l’affidabilità della costruzione di scenari
dei possibili focolai epidemici;
• non sono stati effettuati studi sperimentali sull’efficacia del vaccino per interrompere le epidemie;
• mancano studi che confrontano la durata delle epidemie in base alle coperture vaccinali raggiunte.
COMMENTO
Scenari tipo:
E’ possibile individuare gli scenari tipo in cui esiste un potenziale epidemico, in Italia:
• comunità chiusa: in cui la gran parte degli individui sono suscettibili e il contatto tra le persone è frequente e intimo ed è quindi verosimile la trasmissione persona-persona.
a) alto rischio a priori: tipica situazione potrebbe essere quella di una scuola materna in un’area non
endemica in cui si verifica un caso;
b) alto rischio a posteriori: evidenza di trasmissione persona-persona nella comunità, un caso indice e almeno un caso secondario.
• comunità aperta del tipo di comuni di limitata ampiezza demografica, si verificano più casi collegati
di epatite A in distinti nuclei familiari;
• quando, in comunità aperte si verificano periodiche riaccensioni epidemiche, a trasmissione persona-persona, e a distanza di anni e nei periodi interepidemici continuano a verificarsi casi associati a
consumo di alimenti contaminati. La situazione tipo potrebbe essere quella della regione Puglia.
1. Immunoglobuline
In questi casi la profilassi con immunoglobuline (IgG), efficace nel prevenire casi secondari, ha mostrato efficacia limitata. Gli elementi che spiegano il fallimento della strategia con IgG per il controllo
di epidemie in comunità aperte sono:
70 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
• le IgG possono essere somministrate con ritardo: i contatti spesso ignorano il momento dell’esposizione, oppure i casi di epatite sono notificati troppo tardi per una tempestiva profilassi post esposizione;
• i soggetti trattati con IgG, possono avere infezioni subcliniche;
• la durata dell’immunità passiva è troppo breve, considerato che i focolai di epatite A durano a lungo
(8-18 mesi in comunità aperte);
• si può verificare una bassa accettazione delle IgG, perché derivate dal sangue.
2. Vaccinazione anti epatite A per interrompere focolai epidemici
Il fatto che sia stato dimostrato che il vaccino è efficace nel prevenire la malattia nella profilassi post
esposizione e anche nella profilassi pre esposizione (livello di prova di tipo I), costituisce la base razionale per il suo impiego nei focolai epidemici, in quanto il vaccino potrebbe ridurre i casi clinicamente
evidenti e ridurre le infezioni subcliniche, il cui ruolo è importante nel mantenere l’epidemia.
Nonostante queste considerazioni siano a sostegno dell’impiego del vaccino, le prove che esso accorci
i tempi dell’epidemia in comunità aperte, anche quando si raggiungono elevate coperture vaccinali, sono di tipo osservazionale e deboli.
• nelle comunità chiuse la vaccinazione dei membri della comunità è raccomandata quando c’è prova
di trasmissione secondaria all’interno della comunità: almeno un secondo caso sospetto dopo 15 giorni dell’inizio sintomi del caso indice;
• in focolai che si verificano in comunità aperte a ridotta ampiezza demografica, in aree non endemiche, quando il focolaio è mantenuto dalla trasmissione persona-persona, è raccomandata la vaccinazione;
• nelle comunità aperte incluse in aree endemiche in cui periodicamente si verificano riaccensioni epidemiche bisognerebbe considerare la possibilità di impiego della vaccinazione sistematica nelle età
infantili, se è possibile raggiungere elevate coperture vaccinali.
SCENARIO
PROVE DI EFFETTO
O CRITERIO UTILIZZATO
PER LE RACCOMANDAZIONI
PROPOSTA
DI RACCOMANDAZIONE
Comunità chiuse: alto rischio
a priori di trasmissione personapersona (per esempio comunità
prima infanzia)
Nessuna prova sperimentale,
base razionale
Vaccinazione raccomandata
ai contatti del primo caso
(per esempio la stessa classe o
bambini che usano gli stessi bagni
e loro personale di assistenza)
Comunità chiuse: con evidenza
di trasmissione persona-persona
(per esempio caso indice
e un caso secondario
in una scuola elementare)
Nessuna prova sperimentale,
base razionale
Vaccinazione raccomandata
ai contatti (per esempio la stessa
classe o bambini che usano
gli stessi bagni e loro personale
di assistenza)
Comuni di limitata ampiezza
demografica, in cui si verificano
più casi collegati di epatite A
in distinti nuclei familiari
Nessuna prova sperimentale,
base razionale
Raccomandata a coorti di età
suscettibili se prevedibili elevate
coperture. Premettere indagine.
Verifica esistenza focolaio non
limitato a gruppi a rischio,
né da fonte comune
Grandi comunità aperte in aree
endemiche in cui periodicamente
si verificano riaccensioni
epidemiche
Nessuna prova sperimentale,
base razionale
Non raccomandata offerta attiva
della vaccinazione
per interrompere l’epidemia
Sintesi delle principali prove disponibili 71
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
DEFINIZIONI ADOTTATE
epidemia: incremento non casuale, rispetto a quanto atteso, dell’incidenza di epatite A;
focolaio epidemico: epidemia limitata a un incremento localizzato nell’incidenza di una malattia;
comunità chiusa: gruppo di persone che condivide la stessa abitazione, luogo di lavoro, svago. Esempi
di comunità chiuse sono, oltre le abitazioni, ospedali, asili, scuole, residenze per anziani;
comunità aperta: gruppo di persone che vive nella stessa regione, provincia o città, ma non condivide la
stessa abitazione, luogo di lavoro, svago eccetera;
allerta epidemica: caso di epatite A in una comunità chiusa in cui la maggior parte delle persone è verosimilmente suscettibile all’infezione.
72 Sintesi delle principali prove disponibili
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
?
Qual è l’efficacia del vaccino e delle immunoglobuline
nella prevenzione postesposizione dell’epatite da HAV?
Gloria Taliani, Giovanni Battista Gaeta
INTRODUZIONE
L’epatite da virus A (HAV) si trasmette per via fecale e orale e nel 15-20% dei casi acuti il fattore di rischio
è rappresentato dal recente contatto personale con un malato.1 In epoca pre vaccinale, la somministrazione di immunoglobuline standard (Ig) per via intramuscolare al dosaggio di 0,02 ml/kg rappresentava la
procedura raccomandata per prevenire la malattia negli esposti.2 Tuttavia, le Ig standard derivano da ampi pool di donatori e la modificazione del profilo epidemiologico dell’infezione da HAV nei paesi industrializzati rende dubitabile che il titolo degli anticorpi anti-HAV nei preparati standard raggiunga livelli compatibili con un’efficace protezione.3 Inoltre, la recente introduzione del vaccino anti-HAV ha aperto nuove prospettive di prevenzione, e la sua dimostrata capacità di indurre una pronta risposta immune lo rende adatto all’impiego nella profilassi post esposizione.4
OBIETTIVO
Ricerca bibliografica delle prove disponibili in letteratura per identificare la migliore procedura di prevenzione post esposizione dei casi di epatite acuta da HAV tra la somministrazione di immunoglobuline
standard per via intramuscolare e la somministrazione di vaccino inattivato.
METODO
Sono state consultate 2 banche dati Medline (1966-2000) ed Embase (1988-2000). Sono stati utilizzati i seguenti termini sia come termini MESH che come parole libere: prophilaxis.pm, post-exposure.mp, serum
globulins (MESH), Immunoglobulin (MESH), IMMUNOGLOBULIN.mp, HAV.mp, hepatitis a (MESH), hepatitis a virus (MESH). Sono stati presi in considerazione solo lavori in lingua inglese.
RISULTATI
La prima dimostrazione di efficacia delle Ig nella prevenzione post esposizione dell’epatite da HAV deriva da uno studio controllato eseguito negli anni quaranta, che dimostrava una riduzione di incidenza
di epatite acuta A dell’87% nei trattati rispetto ai controlli.5 Studi successivi confermavano che la somministrazione di Ig, al dosaggio di 0,3-0,01 ml/kg, entro le 2 settimane dal contatto, proteggeva dalla malattia nelle 2-24 settimane successive con efficacia del 79-91%,6-10 sebbene l’evenienza di epatite grave sia stata descritta dopo profilassi con Ig.11 Nel 1968 un trial clinico randomizzato ha mostrato che
possono esservi variazioni di efficacia tra diversi lotti di Ig.12 Negli anni successivi è stato dimostrato
che i livelli di Ig nei preparati commerciali potevano variare da un titolo minimo di 200 a un massimo di
40.00013-15 e che la concentrazione di anti-HAV nelle preparazioni più recenti è verosimilmente inferiore rispetto a quelle precedenti.3 In seguito, studi non controllati sull’impiego di Ig per limitare focolai
epidemici di epatite A dimostravano la ricomparsa di eventi acuti dopo 316 o 4 mesi17 dalla somministrazione della profilassi. Ciò indicava che la copertura passiva si era accorciata rispetto alle descrizioni precedenti, forse per effetto della riduzione del titolo anticorpale nei preparati immunoglobulinici.
Alla stessa conclusione giungeva uno studio che misurava i titoli anticorpali ottenuti dopo immunizzazione attiva e passiva.3
La somministrazione post esposizione di vaccino HAV previene la malattia nella marmosa, anche se il
virus è dimostrabile nel fegato.18,19 Nell’uomo, la vaccinazione post esposizione sembra permettere l’escrezione del virus nelle feci, pur prevenendo la malattia.20 La somministrazione di vaccino nel corso di
epidemie è seguita dalla cessazione della comparsa di nuovi casi nei vaccinati nelle 2-3 settimane successive alla vaccinazione.21-23 Un unico trial clinico randomizzato disegnato per stimare l’efficacia protettiva del vaccino somministrato entro 8 giorni dall’esposizione ha dimostrato un’efficacia del 79% (IC
7-95%) nei confronti dell’infezione e la capacità di prevenire la malattia in tutti i soggetti vaccinati.24
Sintesi delle principali prove disponibili 73
PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
LACUNE CONOSCITIVE
Mancano studi di valutazione del contenuto di Ig anti-HAV nelle preparazioni standard di immunoglobuline attualmente in commercio.
Non sembrano esservi studi randomizzati disegnati per la valutazione comparata dell’efficacia protettiva
della somministrazione di Ig verso la somministrazione di vaccino. Non ci sono dati sull’efficacia della somministrazione combinata Ig+vaccino nella prevenzione post esposizione. Non ci risulta indagata la possibilità di potenziare la dose di vaccino nella post esposizione.
COMMENTO
Le prove riguardanti l’efficacia delle Ig nella profilassi post esposizione dell’epatite da HAV sembrano derivare da studi condotti anni fa i quali avevano come obiettivo finale la riduzione del numero di epatiti acute sintomatiche. In tali studi si dimostrava l’efficacia della profilassi passiva: i casi di epatite acuta A erano infatti significativamente inferiori nei riceventi Ig rispetto ai non trattati.5-10 La somministrazione di Ig
ai contatti da un lato sembra essere efficace nel prevenire la malattia o ridurne l’espressività clinica, ma
dall’altro sembra essere permissiva verso l’infezione, non arrestando del tutto la circolazione e la trasmissione del virus.25 Uno studio ha dimostrato che l’intervallo massimo per la somministrazione di Ig dopo l’esposizione è di 2 settimane, mentre se la somministrazione avviene tra le 2 e le 3 settimane dopo il
contatto, non è più in grado di prevenire le manifestazioni cliniche della malattia.26
In seguito si è ipotizzato che l’efficacia dei singoli preparati immunoglobulinici poteva non essere costante
nel tempo. Uno studio comparativo tra vari lotti di Ig ha mostrato una variazione di efficacia nella profilassi post esposizione del 40% tra 2 lotti diversi.12 Trattandosi di uno studio sul campo mancavano test sierologici che dimostrassero titoli diversi di anti-HAV nei preparati immunoglobulinici impiegati, ma gli autori ritenevano responsabile della diversa efficacia proprio la differenza di titolo anticorpale specifico. E
in effetti è stata riscontrata una notevole variabilità nei preparati immunoglobulinici standard13-15, 27 e la
concentrazione di anti-HAV nelle preparazioni più recenti indica la tendenza verso valori più bassi rispetto a quelli degli anni quaranta, legata alla mutata situazione epidemiologica tra i donatori di plasma.3 Un’ulteriore prova indiretta della riduzione del titolo di anti-HAV nei preparati immunoglobulinici deriva dall’osservazione che l’uso di Ig in occasione di recenti focolai epidemici ha permesso un controllo di breve durata del focolaio.16,17 Tutte queste osservazioni sottolineano l’inaffidabilità delle dosi di Ig precedentemente
raccomandate in letteratura per l’uso a scopo profilattico.3
La somministrazione nella marmosa di vaccino a dosaggio pieno in post esposizione si è rivelata capace
di prevenire la malattia e l’escrezione virale, pur consentendo la replica del virus nel fegato.18,19 Nell’uomo, la vaccinazione induce una sieroconversione nel 54-88% dei casi entro 2 settimane, nel 90% dopo 24
giorni e nel 99% dopo 4 settimane,28-30 il che rende ipotizzabile un’efficace profilassi post esposizione nella maggioranza dei casi esposti al contagio entro le 2 settimane precedenti la vaccinazione.31-34 Ciò è possibile in quanto il virus dell’epatite A è caratterizzato da un periodo relativamente lungo di incubazione rispetto ad altri agenti virali, che va da 10 a 50 giorni, con una media di 28 giorni. Questa previsione è stata
confermata sia dal trial clinico randomizzato disegnato con l’obiettivo di valutare l’efficacia post esposizione del vaccino,24 sia dagli studi realizzati nel corso di epidemie.21-23,35 In questi la diffusione dell’epatite è risultata controllabile vaccinando gli esposti, specialmente nei setting pediatrici dove la vaccinazione interrompe efficacemente la trasmissione dell’infezione, prevenendo il 100% dei casi secondari
entro 21 giorni dalla somministrazione.21 Inoltre, in un recente studio il vaccino è risultato più efficace
rispetto alle Ig nel controllare un’epidemia di HAV,36 a ulteriore conferma che la concentrazione di Ig
specifiche nei preparati immunoglobulinici attuali può essere insufficiente ad assicurare un’adeguata
protezione passiva.
D’altra parte va riportata una segnalazione secondo cui la vaccinazione post esposizione permette la replica e l’escrezione virale nel ricevente e in definitiva la trasmissione dell’infezione ai contatti.20 A tale proposito non sono noti dati circa l’utilità di potenziare la dose di vaccino nella profilassi post esposizione.
Tuttavia, considerando che esiste un’eccellente correlazione tra il titolo di anti-HAV e il grado di protezione,4 potrebbe risultare utile colmare questa lacuna conoscitiva.
In tutti i casi la precocità del trattamento degli esposti è considerata critica, sebbene non sia noto l’intervallo massimo accettabile tra esposizione e profilassi attiva.
74 Sintesi delle principali prove disponibili
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PNLG – L’uso del vaccino anti epatite A in Italia
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Sono stati utilizzati anche i seguenti articoli:
Anonymous. An outbreak of hepatitis A associated with a spa pool. Commun Dis Intell 1997;
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Bibliografie 95
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Il Programma nazionale per le linee guida (PNLG)
In Italia, l’elaborazione di linee guida e di altri strumenti
di indirizzo finalizzati al miglioramento della qualità
dell’assistenza avviene all’interno del Programma
nazionale per le linee guida (PNLG).
La legislazione vigente propone l’adozione di linee guida
come richiamo all’utilizzo efficiente ed efficace
delle risorse disponibili e come miglioramento
dell’appropriatezza delle prescrizioni.
Con queste finalità prende il via quindi il Programma
nazionale per le linee guida, coordinato dall’Istituto
superiore di sanità (ISS) e dall’Agenzia per i servizi sanitari
regionali (ASSR) con i compiti specifici di:
• produrre informazioni utili a indirizzare le decisioni
degli operatori, clinici e non, verso una maggiore efficacia
e appropriatezza, oltre che verso una maggiore efficienza
nell’uso delle risorse;
• renderle facilmente accessibili;
• seguirne l’adozione esaminando le condizioni ottimali
per la loro introduzione nella pratica;
• valutarne l’impatto organizzativo e di risultato.
Gli strumenti utilizzati per perseguire questi fini sono
appunto linee guida clinico-organizzative, documenti
di indirizzo all’implementazione e documenti di indirizzo
alla valutazione dei servizi.