Aspetti nutrizionali nelle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali a cura di Renato Caviglia, MD, PhD Introduzione Il termine “malattie infiammatorie croniche intestinali” (MICI) viene usato per indicare principalmente 2 condizioni cliniche caratterizzate da un processo infiammatorio cronico che colpisce una o più parti dell’intestino: la Malattia di Crohn (MdC)e la Rettocolite Ulcerosa (RCU). L’etiologia di tali condizioni non è nota, sebbene sia ormai ben accertato che una disregolazione del sistema immunitario svolga un ruolo fondamentale nella patogenesi del danno tissutale. Caratteristiche cliniche comuni sono la tendenza alla familiarità, il decorso cronicamente recidivante, caratterizzato da periodi di quiescenza alternati a periodi di attività clinica e la elevata frequenza di manifestazioni extraintestinali. La MdC o enterite segmentaria è una malattia infiammatoria cronica transmurale che può colpire qualunque porzione dell’apparato digerente, dalla bocca all’ano, si localizza più frequentemente nell’ultimo tratto dell’ intestino tenue (ileite terminale) o nel colon (colite di Crohn), e, in alcuni casi, può coinvolgere contemporaneamente sia il tenue che il colon (ileo-colite) (Figura 1). La RCU è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino crasso. Le lesioni sono generalmente limitate alla mucosa, causano spesso piccole emorragie e sono localizzate principalemente a livello del retto e tendono ad estendersi prossimalmente in senso caudo-craniale in modo continuo e uniforme (Figura 1). Una caratteristica clinica comune delle MICI è rappresentata da costanti disturbi, di varia natura, a carico dell’apparato digerente. Nella MdC o nella RCU il mangiare o bere “nel modo corretto” rappresentano una costante sfida sia per il paziente che per il gastroenterologo nutrizionista. Sintomi come rapidi movimenti intestinali, diarrea, dolore addominale, nausea e calo ponderale ricordano al paziente che la sua malattia è direttamente associata con la nutrizione. Spesso i pazienti riferiscono l’insorgenza dei sintomi come il dolore addominale e/o la diarrea subito dopo un pasto. Quindi, gli stessi pazienti si aspettano dai nutrizionisti di ricevere delle specifiche regole alimentari che possano spiegare loro come alimentarsi correttamente cercando di evitare quei comportamenti che generano l’insorgenza dei sintomi. Ma, a differenza di alcune patologie metaboliche, strettamente correlate ad alcuni alimenti, come il diabete mellito, le dislipidemie o la gotta, non esistono delle linee guida universali definite per la MdC o la RCU. E’ importante sottolineare che esistono differenti raccomandazioni dietetiche per la MdC e la RCU, ma soprattutto, gli aspetti nutrizionali devono essere valutati nell’ambito delle varie fasi cliniche della malattia. Infatti, il comportamento alimentare durante una fase di riattivazione clinica è completamente differente rispetto a quello che deve essere adottato durante la fase di quiescenza. Inoltre, la sensibilità a certi alimenti è differente da paziente a paziente. Pertanto, non esistendo delle regole universalmente applicabili, l’approccio nutrizionale deve essere adattato al singolo paziente tenendo sempre conto della sua situazione clinica momentanea. D’altra parte, non è corretto affermare che la nutrizione non svolge un ruolo fondamentale nelle MICI, ma soprattutto che non esistono delle regole assolute. Funzioni principali dell’apparato digerente L’apparato digerente è strutturato in modo tale da svolgere 4 funzioni principali: il transito, la digestione, il rimescolamento e l’assorbimento degli alimenti ingeriti. Il compito più importante è quello di modificare chimicamente e strutturalmente il cibo ingerito in modo da consentirne l’assorbimento ed il suo metabolismo. I nutrienti sono richiesti dal corpo come costituenti strutturali (le proteine), come carburante energetico (carboidrati e lipidi) o come riserva energetica (lipidi). Al corpo umano sono anche necessari numerosi minerali e vitamine, fondamentali nella regolazione di varie funzioni organiche. Le principali caratteristiche anatomo-funzionali dell’intestino tenue sono costituite dalle strutture assorbitive; valvole conniventi, villi e microvilli contribuiscono ad aumentare la superficie di contatto con gli alimenti ingeriti. Alcune differenze strutturali, comunque, esistono tra il digiuno e l’ileo: infatti il primo ha un maggior numero di valvole conniventi e villi leggermente più grandi, mentre il secondo presenta una struttura immunologica ben più organizzata. L’assorbimento dei carboidrati, proteine e vitamine idrosolubili avviene generalmente nei primi 100-200 cm. del digiuno. Viceversa, l’assorbimento dei grassi e delle vitamine liposolubili si sviluppa su una superficie assorbitivi più lunga. La parte più prossimale dell’intestino tenue, comprendendo il duodeno, è responsabile per l’assorbimento di micronutrienti (calcio, magnesio, fosforo, ferro, ed ac. folico). L’epitelio digiunale è caratterizzato dalla presenza sull’orletto a spazola degli enterociti di molecole di trasporto trans-membrana per monosaccaridi, aminoacidi e dipeptidi. Per ciò che concerne l’assorbimento dei grassi questa avviene attraverso la digestione enzimatica degli ac. grassi a catena lunga, con successiva liberazione di monogliceridi che si combinano con gli ac. biliari per formare le micelle che diffondono liberamente attraverso l’orletto a spazola degli eneterociti. FABBISOGNO NUTRIZIONALE Per fabbisogno calorico quotidiano s'intende la quantità di calorie che si devono assumere dagli alimenti per mantenere il proprio peso invariato. Il fabbisogno calorico giornaliero di una persona adulta è di circa 2400 Kcal/die. Il fabbisogno proteico giornaliero indicato in 0.8 g per kg di massa corporea copre sicuramente le necessità metaboliche della maggior parte delle persone, indipendentemente dal loro livello di attività fisica. Non esistono indicazioni precise in termini di fabbisogno giornaliero di lipidi e carboidrati. Una valida raccomandazione è quella di contenere al di sotto del 30% la quota calorica fornita dai lipidi; inoltre la maggior parte di questa quota dovrebbe derivare da acidi grassi polinsaturi. Per soggetti fisicamente attivi, il 60%, almeno, del contributo calorico deve provenire dai carboidrati, in particolare polisaccaridi del tipo complesso, non raffinati. Ciò corrisponde a un'assunzione di 400-600 g di carboidrati al giorno. Anche mantenendo una dieta con contenuto in carboidrati normale, dopo alcuni giorni di allenamento pesante si verifica un depauperamento delle scorte di glicogeno. Questo induce il quadro dell'affaticamento che rende meno tollerabile l'allenamento stesso (Figura 4). Aspetti nutrizionali nelle MICI Il calo ponderale è una caratteristica clinica peculiare nei pazienti affetti da MICI, in particolare il ritardo di crescita negli adolescenti e la malnutrizione calorico-proteica negli adulti sono frequentemente osservati nei soggetti con malattia in fase di attività. Generalmente, queste complicanze sono state attribuite ad un ridotto introito calorico, al malassorbimento od alla protido-dispersione intestinale. Tuttavia, recentemente, numerosi studi scientifici hanno messo in evidenza come il processo infiammatorio stesso possa giocare un ruolo fondamentale nell’eziopatogenesi del ritardo di crescita e nel deperimento organico (Figura 5). Infatti, la malnutrizione può svilupparsi anche in quei pazienti che presentano una malattia in remissione. Una possibile causa del deficit nutrizionale è l’inadeguato apporto di nutrienti nella dieta. Molti pazienti temono che il cibo possa contenere qualcosa di nocivo per l’organismo o perché induce la comparsa di dolore addominale e quindi preferiscono non mangiare. Inoltre, durante la fase acuta di malattia l’assorbimento di nutrienti e sostanze attive è modificato o ridotto. Allo stesso tempo, durante i periodi di attività infiammatoria, vengono perse molte proteine attraverso le aree infiammate della superficie mucosale. Quest’ultimo aspetto è molto importante poiché induce debolezza, calo ponderale, abbassamento delle difese immunitarie e ritardata guarigione delle ferite. Sempre durante le fasi acute, la diarrea determina la perdita non soltanto di acqua ma anche di minerali ed altre sostanze. Infine, lo stato infiammatorio causa una aumentata richiesta di energia, nutrienti e sostanze attive (Figura 6). La nutrizione in particolari situazioni cliniche Nelle fasi di riacutizzazione Nel corso di una recidiva clinica o di una fase di acuzie, oltre all’utilizzo di un’appropriata strategia farmacologica, la priorità assoluta deve essere rivolta ad alleviare lo “stress” metabolico a carico dell’apparato digerente coinvolto dalla malattia. Generalmente si consiglia al paziente di ridurre al massimo l’introito alimentare, limitandosi ad ingerire cibi liquidi. Al contrario, è necessario far assumere al paziente adeguate quantità di calorie sotto forma di nutrizione parenterale totale (NPT) e/o soluzionei liquide ipercaloriche. Un adeguato supporto idro-elettrolitico è fondamentale in quanto il paziente che presenta 10-15 evacuazioni/die perde significative quantità di acqua ed elettroliti. Normalmente si suggerisce di far assumere al paziente notevoli quantità di acqua o thè, mentre i succhi di frutta non sono ben tollerati. La NPT o le soluzioni ipercaloriche, assieme al restrizione alimentare, devono essere portate avanti per circa 4-5 settimane. La caratteristica peculiare delle diete elementari ipercaloriche è l’assenza di strutture complesse, che richiederebbero un processo digestivo da parte delle strutture epiteliali intestinali danneggiate, coinvolte dallo stato infiammatorio, e l’assenza di fibre, in modo da rendere la soluzione rapidamente ed efficacemente assorbibile nei segmenti intestinali prossimali. Infatti, maggiore è lo stato infiammatorio della parete intestinale deputata all’assorbimento, minore è la capacità digestiva e, quindi, assorbitiva. L’assenza di fibre fa si che i segmenti più distali del piccolo intestino siano messi a riposo, contribuendo efficacemente al miglioramento dei sintomi. Inoltre, l’assenza di residui in queste formulazioni dietetiche fa si che, in presenza di stenosi del lume intestinale, il transito non sia ostacolato non determinando, quindi, l’insorgenza di sintomatologia dolorosa. Con il progressivo miglioramento delle condizioni cliniche, il paziente può gradualmente tornare ad alimentarsi normalmente. Dopo una nutrizione esclusivamente liquida può iniziare ad inserire cibi a scarso contenuto in fibre fino a raggiungere una quasi normalità alimentare. Nelle fasi di quiescenza La maggior parte dei pazienti in remissione clinica si domanda quali misure precauzionali dietetiche possono essere prese per prevenire una riacutizzazione della malattia. In realtà la risposta è molto semplice: come non esistono cibi in grado di far insorgere le MICI, non esistono cibi che ne determinino la riacutizzazione. Però, e’ altrettanto vero che possono essere individuati degli alimenti che sono in grado di elicitare i sintomi e, quindi, è suggeribile evitarne l’assunzione. In particolare, si dovrebbero evitare la frutta e la verdura ad alto contenuto di fibre, favorire la frutta matura rispetto a quella acerba ed adottare delle misure precauzionali come il centrifugare la frutta o passare la verdura. Questa metodica consente di continuare ad assumere quotidianamente le vitamine ed i sali minerali contenuti in abbondanza in questi alimenti. Infine, in presenza di una stenosi intestinale è stato suggerito di svolgere un giorno la settimana di “washing diet” cioè assumere solo cibi liquidi (anche il pesce o le uova sono ammessi), questo consentirebbe all’intestino di eliminare tutti i residui di scorie ed evitare l’insorgenza di dolori addominali. Intolleranza al lattosio Generalmente i pazienti affetti da MdC che superano un episodio di riacutizzazione clinica sviluppano ex novo o presentano un peggioramento della intolleranza al lattosio. L’attività della lattasi (cioè dell’enzima responsabile della digestione del lattosio in glucosio e galattosio) viene ad essere ridotta a causa del processo infiammatorio che coinvolge le cellule epiteliali che costituiscono la barriera mucosale intestinale. Questo risulta in una maggiore quantità di lattosio che raggiunge i segmenti intestinali più distali. In queste condizioni, i batteri che costituiscono la flora batterica del colon utilizzano il lattosio disponibile come substrato energetico producendo grandi quantità di acido lattico che determina un incremento della motilità intestinale. L’aumento della peristalsi ha come conseguenza un minore riassorbimento di acqua ed elettroliti che a sua volta determina un incremento della diarrea. Pertanto, se un paziente, nel corso di una riacutizzazione, sviluppa una intolleranza al lattosio non nota in precedenza, è plausibile che con la risoluzione dell’episodio acuto la stessa possa gradualmente sparire; viceversa, in alcuni casi la riacutizzazione clinica può far insorgere un’intolleranza che poi diviene permanente. Pertanto, anche in questo caso regole alimentari universali non esistono, infatti la maggior parte dei pazienti con MICI possono assumere latte ed i suoi derivati se non ne risentono negativamente, mentre negli altri casi è meglio astenersi dall’assumere i latticini così da non provocare l’insorgenza di dolori addominali e diarrea. Diarrea da Sali biliari I sali biliari sintetizzati nel fegato ed immessi nel tubo digerente, fondamentali per l’assorbimento dei grassi, vengono riassorbiti nell’ileo terminale. Se la superficie epiteliale dell’ileo terminale è danneggiata dal processo infiammatorio o se l’ultima ansa ileale è stata rimossa a seguito di una resezione chirurgica i sali biliari non sono più assorbiti e raggiungono il colon dove svolgono sia un’azione osmotica richiamando acqua sia stimolando la peristalsi e favorendo, quindi, l’insorgenza della diarrea. La diarrea da sali biliari è spesso associata ad una incrementata perdita di vitamine lipo-solubili (A,D,E,K). Per ovviare a questa situazione ai pazienti viene proposto di assumere la colestiramina, una resina a scambio ionico, che lega i sali biliari e ne impedisce, quindi, l’azione osmotica ed irritante. Calcoli renali da acido ossalico I pazienti affetti da MICI, soprattutto coloro che sono affetti da MdC, sviluppano frequentemente litiasi renale (calcoli di ossalato), con una frequenza che è 20-70 volte superiore alle persone non affette da MICI. In situazioni normali, l’acido ossalico, il componente maggiore di questi calcoli, si lega al calcio nell’intestino e forma l’ossalato di calcio, una sostanza insolubile che non è assorbita dall’organismo e che viene escreta con le feci. Poiché i pazienti con MdC o RCU presentano un’alterazione della digestione dei grassi, a causa del ridotto assorbimento intestinale dei sali biliari, grandi quantità di grassi saturi ed insaturi raggiungono il colon legando il calcio e riducendone la disponibilità nell’intestino. Così, l’acido ossalico non legandosi al calcio è maggiormente assorbito dall’intestino nel sangue. Quando raggiunge i reni, l’acido ossalico può precipitare portando alla formazione di calcoli di ossalato. MICI ed allergie alimentari Tutti gli studi condotti fin’ora non hanno dimostrato che l’insorgenza delle MICI può essere ricondotta ad un’allergia alimentare. Inoltre, appare assolutamente improbabile che gli allergeni alimentari possano svolgere un ruolo nel determinare una reazione allergica, responsabile della riaccensione del processo infiammatorio sia nella MdC che nella RCU. Tuttavia, esistono dati che supportano l’ipotesi che alcuni cibi non noti o ingredienti particolari possano svolgere un ruolo specifico nel determinare quella risposta immunologica non controllata che è alla base del processo infiammatorio. Queste ipotesi dovranno comunque essere confermate in futuro. Consigli pratici: individuare quale cibo non viene tollerato La più importante raccomandazione dietetica per i pazienti affetti da MICI è: “Mangiate qualunque cosa vogliate e che ritenete tollerabile (cioè che non vi crea disturbi), ma cercate di mantenere un diario nutrizionale ”. Nessuno può dire ad un paziente con MICI quale cibo o modo di preparazione può essere certamente dannoso o non tollerabile (ad eccezione di frutta e verdura ad alto contenuto di scorie). Un elenco di cibi che, statisticamente, causano intolleranza sono poco utili e causano soltanto un allarme generico ed una “paura” di alimentarsi correttamente. E’ il paziente che deve sperimentare e verificare giorno dopo giorno quali siano gli alimenti tollerabili e quali non lo siano. Per quanto concerne il diario nutrizionale è fondamentale per annotare quali alimenti vengono assunti e, contestualmente, cosa succede a livello intestinale, ovvero la comparsa di gonfiore addominale, borborigmi, meteorismo o dolore addominale. Agendo in questo modo si riesce facilmente ad evidenziare una eventuale correlazione tra l’assunzione di un particolare cibo e l’insorgenza di un sintomo. Conclusioni Benchè la nutrizione sembra giocare un importante ruolo nel trattamento delle MICI, non si può dire che esiste una dieta specifica per il paziente affetto da MdC o RCU. Inoltre, ad oggi non esiste una dieta che renda più efficace la terapia medica o prevenga gli episodi di riacutizzazione. Poiché ogni paziente reagisce differentemente ai vari alimenti ingeriti, no sarà mai possibile, probabilmente, creare “la” dieta per la MdC o la RCU. La riacutizzazione clinica in pazienti affetti da MICI non è causata da un modo “sbagliato di mangiare o bere”. Sia la comparsa della malattia che lo sviluppo di fasi di acuzie sono processi multifattoriali. La nutrizione e la dieta, quindi, sono soltanto uno di molteplici aspetti coinvolti. Inoltre, non esistono cibi che specificatamente determinano la severità della malattia o il numero di recidive. Pertanto, possiamo concludere che solo uno stretto e continuo contatto con il medico gastroenterologo e con il nutrizionista clinico possono aiutare il paziente a pianificare la dieta più appropriata.