MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE DELL’INTESTINO: DAL LABORATORIO ALLA PRATICA CLINICA DIAGNOSI Dott. Francesco Costa U.O. di Gastroenterologia Universitaria, Ospedale S. Chiara, Università di Pisa, PISA Fino a non molti anni fa, la scienza medica ha sottovalutato lo studio del grosso intestino; questa mancanza era, almeno in parte, sostenuta dall’osservazione che il colon era considerato un organo non strettamente necessario per la sopravvivenza dell’uomo. Negli ultimi decenni, invece, lo studio del colon e della sua patologia ha avuto un notevole impulso, tanto che le sue funzioni e le sue alterazioni, vengono riconosciute come determinanti per la qualità della vita dell’uomo. Nei Paesi Industrializzati la patologia del grosso intestino risulta in costante aumento che solo in parte può essere ascritto al miglioramento diagnostico ed alle più moderne tecniche di indagine. Questo aumento di frequenza viene riscontrato sia per la patologia organica, infiammatoria e neoplastica, sia per la patologia funzionale. Tra le patologie intestinali che hanno recentemente assunto una notevole rilevanza clinica vi sono le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (MICI), rappresentate dalla Malattia di Crohn (MC) e dalla Colite Ulcerosa (UC), due condizioni morbose, caratterizzate da un processo infiammatorio cronico, ad eziologia e patogenesi sconosciute, che colpisce principalmente uno o più segmenti dell’intestino tenue e/o crasso. La diarrea e/o il dolore addominale sono sintomi frequenti nelle MICI ma del tutto aspecifici in quanto comuni a patologie di tipo funzionale. L’intestino infatti risponde in modo stereotipato ai più differenti insulti (virus, batteri, farmaci, sostanze chimiche, traumi, processi autoimmunitari etc.) determinando una notevole sovrapposizione clinica tra le diverse patologie. La scarsa sensibilità e specificità dei principali markers plasmatici ed ematologici di infiammazione, [proteina C reattiva (PCR), velocità di eritrosedimentazione (VES), alfa-1 glicoproteina acida etc.] rendono attualmente possibile un corretto inquadramento diagnostico solo grazie a complesse ed invasive tecniche strumentali come l’endoscopia e/o metodiche di diagnostica per immagini che comportano l'esposizione a radiazioni ionizzanti. L’ eziologia delle MICI è tuttora ignota ed il loro trattamento è fondamentalmente rivolto al controllo e alla risoluzione della flogosi della parete intestinale, alla remissione della sintomatologia e al miglioramento dell’attività clinica. Quest’ultima viene correntemente valutata mediante indici specifici come il Crohn's disease activity index (CDAI), il Simple Index, l'ulcerative colitis activity index (UCAI) etc. che forniscono tuttavia una informazione approssimativa in quanto basati essenzialmente su parametri clinici in larga parte soggettivi, e in assenza di una diretta valutazione del processo flogistico parietale. In un considerevole numero di pazienti con MICI, quindi, nonostante il miglioramento clinico e la negativizzazione degli indici di attività, permane una flogosi parietale latente ritenuta potenzialmente responsabile di future riaccensioni della malattia. La recente disponibilità di nuovi test per il dosaggio nelle feci di proteine di derivazione leucocitaria sembra promettente per la valutazione oggettiva della flogosi intestinale. La calprotectina è una proteina prodotta prevalentemente da granulociti neutrofili e da monociti ed è la più importante e studiata tra le proteine leucocitarie dosabili nelle feci. Le concentrazioni fecali di calprotectina risultano aumentate nelle MICI, nelle infezioni e nelle neoplasie del tratto gastro-intestinale, in particolare nel cancro colo-rettale, e dopo terapia con farmaci anti-infiammatori non steroidei . Sia in studi trasversali che in studi prospettici il dosaggio delle concentrazioni fecali di calprotectina si è dimostrato altamente sensibile per la diagnosi di flogosi intestinale e di notevole utilità nella discriminazione tra patologia organica e non organica dell’intestino, con risultati significativamente migliori rispetto a PCR e VES. Le concentrazioni fecali di calprotectina, nei pazienti con CU e MC correlano positivamente con l’escrezione fecale di granulociti neutrofili marcati con 111In, ritenuta il gold standard per la valutazione della flogosi in corso di MICI. In entrambe le patologie i pazienti con malattia clinicamente attiva presentano valori di calprotectina significativamente più elevati rispetto a quelli con malattia quiescente e positivamente correlati con i rispettivi indici di attività clinica. Nei pazienti con CU, una correlazione significativa è stata evidenziata anche con il grading endoscopico ed istologico. Recentemente è stato dimostrato, inoltre, che il dosaggio fecale della calprotectina può essere considerato un indice affidabile del rischio di recidiva in pazienti affetti da MICI in remissione clinica.