trasversalità della causa: oltre l`illuminismo

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TRASVERSALITÀ DELLA CAUSA: OLTRE L’ILLUMINISMO SOCIOLOGICO
DI LUHMANN
E’ certamente operazione non facile quella di addentrarsi nel complesso sistema concettuale
della teoria sistemica luhmanniana, che offre per il suo grado di astrazione possibilità di interpretazione
divergenti e in alcuni casi addirittura opposte1. Tale astrazione del resto nasce da una “pretesa di
universalità”2 che l’autore tedesco assegna alla propria teoria, strutturandola a partire da una serie di
originali ricognizioni che si muovono nelle più disparate direzioni: da Hegel a Parsons, dalla
fenomenologia trascendentale di Husserl al pragmatismo di Dewey; dalla logica di Spencer Brown alla
cibernetica; dalla filosofia di Whitehead alla biologia della conoscenza di Maturana e Varala; dalla
antropologia di Helmut Plessner alla teoria generale dei sistemi, ecc.
Questa pluralità di riferimenti “interdisciplinari” viene usata in un’ottica di rifondazione e di
sintesi della sociologia e della gnoseologia: operazione resasi necessaria per confrontarsi efficacemente
con la complessità del mondo contemporaneo3. Le condizioni e i motivi a partire dalle quali ciò sia
possibile sono lo stesse che spingono Luhmann a rivendicare l’universalità della sua teoria, dal
momento che questa intende operare uno scardinamento di presupposti e finalità della conoscenza su
cui la sociologia ha costruito il proprio sapere; conseguenza inevitabile di questa pretesa teorica è
l’introduzione nuove categorie logico-concettuali che permettano una potenza conoscitiva maggiore4.
La tautologia di questo percorso, secondo Luhmann, non vanifica il tentativo, ma piuttosto lo rafforza
fino al punto da diventare essa stessa dato costitutivo di una conoscenza rinnovata che pur libera di
attingere dalle acquisizioni del passato deve ora fare riferimento solo a se stessa5; in altre parole la
tautologia viene non soltanto ammessa, ma anche tematizzata6 e problematizzata, aprendo alla
sociologia anche la possibilità di guardare alla conoscenza scientifica da un’ottica per certi versi
privilegiata, in grado di operare una chiarificazione 7 anche dei suoi stessi fondamenti, che in quest’ottica
vengono valutati come strumenti efficaci di asimmetrizzazione di una tautologicità costitutiva di ogni
sistema, compreso quello scientifico8.
Prendere atto di questa considerazione naturalmente non significa puntare ad una deriva
relativistica, ma viceversa tentare di inserirla proficuamente in qualità di tappa importante della
conoscenza. Già qui possiamo evidenziare un primo punto interessante per la nostra analisi: se infatti la
causalità viene intesa soprattutto come fondamento esclusivo del sapere sociologico risultando però per
Dal punto di vista politico, ad es., accanto alle critiche di conservatorismo e di negazione di ogni possibilità di mutamento,
che si fanno risalire all’impostazione funzionalistica di Luhmann, si trovano anche apprezzamenti da parte del pensiero
marxista, specialmente per quanto riguarda l’analisi delle moderne società occidentali.
2 In “Sistemi sociali” si legge: “la teoria generale dei sistemi sociali avanza la pretesa di comprendere l’insieme degli oggetti
della sociologia, e di essere, in questo senso una teoria sociologica universale”, N. Luhmann Sistemi sociali, Bologna, Il
Mulino,1990, p. 84.
3 L’intento è quello di “collegare le tradizioni scientifiche di ispirazione umanistica a quelle di stampo tecnologico” e creare
“superfici di proficuo contatto con i grandi sistemi della tradizione filosofica”. N. Luhmann, Illuminismo sociologico, Milano, Il
Saggiatore, 1983, p. XXXV.
4 “Se una tale teoria pretende di avere validità universale per tutto ciò che è sistema, essa comprende anche i sistemi del
comportamento analitico e conoscitivo...”, quindi “...la teoria sistemica si prende, per così dire, cura della teoria della
conoscenza..”, N. Luhmann, Sistemi sociali, pp. 81 e 82.
5 “Una tale teoria costringe sé stessa ad occuparsi di sé quale uno dei propri oggetti e può a questo punto confrontare sé
stessa con altri suoi oggetti”, ibidem.
6 Tale tematizzazione viene compiutamente elaborata attraverso il concetto di sistema autoreferenziale che caratterizza la
produzione teorica del cosiddetto “secondo Luhmann”, coincidente con la stesura dell’opera già citata “Sistemi Sociali”. Il
concetto viene mutuato dagli sviluppi della teoria dei sistemi e soprattutto dalle teorie biologiche di H.Maturana e F.J.
Varela.
7 E’ anche in questo senso che va interpretato il programma teorico esposto nell’opera “Illuminismo sociologico”. (Nella
lingua tedesca con il termine Aufklärung si esprime sia illuminismo che chiarificazione.)Cfr: N.Luhmann, Illuminismo
sociologico,Milano, Il Saggiatore, 1983.
8 “La scienza - non è più un segreto per nessuno – può apprendere soltanto entro contesti che essa stessa garantisce. La
tautologia presente in questa situazione, lungi dal poter essere evitata, deve essere utilizzata e resa feconda in termini
operativi”: così si legge nella “Risposta dell’autore all’Introduzione italiana” di Illuminismo sociologico. Op. cit., p. XXXVI.
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esso limitante, è possibile rinunciare a questo suo aspetto costitutivo senza dovervi rinunciare in toto,
quindi continuando a farvi ricorso solo come importante schema conoscitivo tra gli altri? Ancora una
volta questa possibilità coincide con la possibilità di un’autofondazione della sociologia, che non ha mai
messo in dubbio il ruolo della causalità come “giudice supremo” delle proprie acquisizioni: lo sforzo di
cambiare questo stato di cose può apparire certamente a prima vista velleitario, anche se occorrerebbe
giudicarlo alla luce dell’esigenza di superare le gravi impasse di una disciplina che non ha mai trovato un
suo fondamento autonomo, che ha sempre illusoriamente rincorso uno statuto commensurabile a
quello delle scienze naturali, fino a divenire quasi una sorta di appendice della scienza statistica, capace
di produrre risultati sicuramente apprezzabili, ma rinunciando in definitiva a produrre una teoria
generale della società. Un’operazione del genere è stata tentata secondo Luhmann dalla sociologia
funzionalista di Talcott Parsons, che nasce e si sviluppa con lo scopo di fornire una visione generale
dell’azione sociale, fornendo una griglia interpretativa che possa contemplarla analiticamente a tutti i
livelli sociali; Luhmann, valutando le critiche che alla teoria parsonsiana ed al funzionalismo in generale
sono rivolte, tenta di riproporre mutatis mutandis un tentativo analogo, a partire da importanti
ridefinizioni. Tra queste vi è appunto quella del rapporto tra il metodo funzionalsta e la categoria della
causalità: risulta essenziale, per il superamento degli ostacoli epistemologici che una teoria sociologica
generale necessariamente incontra, intervenire proprio sul senso di tale rapporto. Una prima e
sostanziosa analisi a tal proposito si trova nella raccolta di saggi intitolata Illuminismo sociologico 9,
considerata il primo momento delle speculazioni propriamente sociologiche dell’autore tedesco, la cui
formazione accademica originaria si è sviluppata invece nell’ambito del diritto. Nel primo capitolo
dell’opera, sotto il titolo di “Funzione e causalità”, Luhmann presenta le novità della sua concezione
rispetto allo struttural-funzionalismo classico, esaminando contestualmente le critiche che a
quest’ultimo vengono rivolte sul piano epistemologico, in particolare da esponenti del neoempirismo (o
positivismo) logico quali Hempel e Nagel 10: il funzionalismo non risulta a loro parere in grado di
pervenire ad una verifica empirica dei propri asserti, né tantomeno può produrre enunciati esplicativi e
predittivi, dal momento che non risponde ai requisiti fondamentali della spiegazione scientifica,
consistenti in sostanza nell’utilizzo del modello delle “leggi di copertura” (covering law model of
explanation)11; il funzionalismo postula indebitamente l’esistenza di sistemi e di funzioni, senza riuscire a
spiegare perché i sistemi esistono ed in base a quali leggi le funzioni operano al loro interno. Secondo
Luhmann tali critiche hanno buon gioco fintantoché “il metodo funzionalista definisce la propria
posizione nei limiti della tradizionale concezione causale di tipo ontologico”….”Viceversa esse
mancano il bersaglio non appena il metodo funzionalista viene determinato autonomamente e, invece di
considerare il rapporto funzionale come un tipo speciale di rapporto causale, la causalità viene al
contrario individuata come un caso di applicazione particolare di categorie funzionali”12. L’errore delle
teorie funzionaliste è stato dunque quello di subordinare il proprio patrimonio concettuale al metodo
della cosiddetta scienza causalistica, invece di far leva su questo patrimonio al fine di costruire
un’epistemologia corrispondente: ma ciò risulta impossibile già dal momento in cui “le funzioni sono
definite come prestazioni adatte a raggiungere un determinato scopo”13. Questa tendenza viene rilevata
da Luhmann in ogni versione del funzionalismo classico, a partire da quella antropologica di
Malinowski che, facendo leva sul concetto di bisogno come causa di un’azione tesa al suo
soddisfacimento, identificava tale azione con il concetto di funzione, equiparandolo così a quello di
effetto. Anche quelle teorie che insistono sul concetto di equilibrio dei sistemi presuppongono in
definitiva “la presenza di determinate cause necessarie che conferiscono stabilità al sistema” e l’
“esistenza di collegamenti causali in modo che le conseguenze del cambiamento di una causa
Op. cit..
Tali critiche sono contenute in C.G.Hempel The Logic of Functional Analysis in Symposium on Sociological Theory, a cura di
L.Gross, New York 1959, e in E. Nagel A Formalization of Functionalism, in Logic Without Metaphysics, New York, 1956.
11 Secondo tale modello un fenomeno fisico o sociale risulta spiegato quando, stabilite certe condizioni di partenza, esso può
essere dedotto come la conseguenza necessaria di una o più leggi universali oppure come la conseguenza altamente
probabile di una o più leggi statistiche. Va ricordato che questo modello è tutt’ora alla base della metodologia della ricerca
empirica sociologica.
12 Illuminismo sociologico, Milano, Il Saggiatore, 1983, p. 4.
13 Ivi, p. 4.
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provochino l’intervento compensativo da parte di altre”14. Luhmann ammette che questa concezione
del funzionalismo può dar vita alla formulazione di leggi, ma avverte che ciò può avvenire “soltanto
quando il sistema è determinato, cioè quando possiede una sola possibilità di variazione”, sottolineando
che “…tali sistemi determinati non esistono nell’ambito della vita sociale”15.Un tentativo ulteriore di
rimediare a questa difficoltà, prosegue Luhmann, è quello di Gouldner, che introduce il concetto di
reciprocità funzionale, per cui una pluralità di sistemi coesistono in una sorta di rapporto di scambio di
prestazioni funzionali, da cui traggono appunto il proprio equilibrio; qui il problema viene soltanto
spostato ad un livello di astrazione più elevato (quello cioè dell’esistenza di una sorta di macrosistema
che regola tali scambi), ma assolutamente non risolto. Stando a queste proposte teoriche al
funzionalismo non possono essere corrisposti requisiti di scientificità dal punto di vista del “positivismo
tradizionale fondato sulla scienza causalistica” in quanto questo tipo di funzionalismo non riesce “ad
individuare rapporti invarianti fra determinate cause e determinati effetti” non essendo in grado di
“escludere altre possibilità”16. Ma proprio da qui può nascere un cambio di prospettiva, se cioè nella
capacità di indicare altre possibilità si coglie la differenza e la novità del metodo funzionalista.
L’incommensurabilità tra casualismo e funzionalismo risale in ultima analisi alle origini del
pensiero occidentale, e precisamente allo sforzo della metafisica ontologica di “raggiungere la
conoscenza di ciò che è in quanto tale,….escludendo dall’essere ciò che non è” (quindi escludendo altre
possibilità), nonostante il fatto che “un qualcosa che è, in verità è soltanto quando non non-è”17. Il
pensiero funzionalista deve prendere le distanze da questo presupposto ontologico della conoscenza ed
affermare che “l’identità non può essere concepita come esclusione delle altre possibilità dell’essere,
bensì come ordine delle altre possibilità dell’essere. L’identità non è allora una sostanza auto-sufficiente,
ma è una sintesi coordinante che conferisce un determinato ordine ai rinvii ad altre esperienze
possibili”18. Occorre dunque sganciare ’lanalisi sociologica “dalle regole relative all’accertamento di
rapporti di invarianza fra causa ed effetto”19, quindi rivendicare un’autonomia metodologica ed in
sostanza, come detto sopra, rifondare, o meglio fondare su basi diverse, la sociologia stessa. In
quest’ottica Luhmann ritiene che “la funzione non è un tipo particolare di relazione causale; al
contrario, è la relazione causale a costituire un caso di applicazione dell’ordine funzionale”20. Tale
inversione consentirebbe un ampliamento delle possibilità di conoscenza sociologica, che finora
risultano fortemente limitate proprio dal vincolo del casualismo ontologico tradizionale, che permette
ad essa di pervenire a risultati scientificamente accettati solamente con ’laiuto della famosa clausola
ceteris paribus 21: come ci si può anche solo avvicinare alla realtà delle società moderne dovendo sottoporsi
alle restrizioni che il modello della spiegazione scientifica impone? La via d’uscita, comunque non priva
di problemi, sta secondo Luhmann in un funzionalismo in cui il concetto di funzione non viene più
inteso come effetto da realizzare, ma come un concetto che comprende e può andare oltre il concetto
di causa: funzione e causalità rappresentano entrambe degli schemi di senso, ma la funzione risulta in
grado, diversamente dalla causalità, di organizzare “un ambito comparativo fra prestazioni equivalenti”22
e quindi di rendere conto di processi e formazioni strutturali la cui complessità può essere ridotta23 a
Ivi, p. 7.
Ibidem.
16 Ivi, p. 8.
17 Ivi, p. 26. Luhmann sostiene che questo problema era già ben presente ai filosofi classici greci (v. ibidem, p .27) e deriva
sostanzialmente dal fatto che la conoscenza procede attraverso distinzioni, quindi ciò che è può essere conosciuto solo
distinguendolo da ciò che non è e, conseguentemente, indicando ciò che non è. E’ questo il motivo per cui nelle opere
successive ad “Illuminismo sociologico”, l’autore tedesco affermerà l’esigenza di occuparsi di “distinzioni” piuttosto che di
oggetti, sulla scorta della logica di George Spencer Brown. Cfr.: G.S. Brown, Laws of Form, New York, 1972.
18 Illuminismo sociologico, Milano, Il Saggiatore, 1983, p. 27.
19 Ivi, p. 9.
20 Ivi, p. 13.
21 Tale formula rappresenta secondo Luhmann una exculping phrase, “una sorta di formula magica per le scienze sociali”,
ibidem.
22 ivi, p. 10.
23 Il concetto di riduzione della complessità, collegato al concetto di senso, rappresenta un altro “fondamento” del neofunzionalismo di Luhmann, la cui analisi protrarrebbe troppo il nostro discorso, ai cui fini si può però ricordare che secondo
l’autore la funzione possiede un potenziale di riduzione della complessità maggiore rispetto a quello di cui è dotato lo
schema causa/effetto.
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prescindere dalla ricognizione delle (complesse) catene causali che pure in essa sono operanti. Il
vantaggio per la conoscenza deriverebbe allora dall’adozione di un punto di riferimento non più di
natura ontologica, e quindi tale che ciò che viene scoperto a partire da esso debba poter essere ad esso
ricondotto, ma valido dal punto di vista euristico perché in grado di indicare altre possibilità, a partire
dalle quali possano modificarsi i riferimenti stessi: non è del resto anche questo un modo in cui è stato
possibile il progresso della conoscenza? Ciò non significa abbandonare lo schema causa/effetto
giudicandolo come inservibile: “il funzionalismo delle equivalenze suggerisce questo approccio più
modesto”.......“esso utilizza come criteri di riferimento funzionali quelle cause o quegli effetti che per
motivi teorici o per motivi legati alla vita pratica si pongono al centro dell’attenzione…esso li utilizza
come punto di partenza costante a partire dal quale ricercare relazioni causali”24. La ricerca sociale non
può esaurirsi nell’individuazione di certe cause a partire da effetti o di certi effetti a partire da cause
escludendo tutti i rimandi ad altre possibilità, ma deve individuare nessi causali da assumersi in quanto
problemi fecondi per la ricerca e non da intendersi nella loro fattualità ontologica. Le scienze sociali si
occupano di fenomeni per i quali “non può essere giustificata l’esclusione di tutte le altre cause, insieme
ai rispettivi effetti”25, dunque occorre dotarle di una nuova impostazione che dischiuderebbe loro un
notevole incremento dell’ orizzonte di indagine: in ambito sociologico “le leggi causali di carattere
esclusivo costituiscono tutt’al più un caso limite analitico: una situazione in cui è assente ogni possibilità
diversa, sia nell’ambito delle cause che in quello degli effetti, è ipotizzabile come un caso limite”:
tuttavia ”il senso del collegamento causale non sta….nel raggiungimento di tale caso limite con la
conseguente esclusione di altre possibilità, ma al contrario nel tentativo di cogliere e di ordinare tali
possibilità”26. Questa eccedenza di possibilità si presenta in modo particolarmente evidente nell’ambito
delle scienze sociali a partire da uno dei suoi oggetti più “elementari”, l’azione sociale: quando questa
viene interpretata come atto produttivo di un determinato effetto, si corre il rischio di falsificare
l’oggetto-azione nel momento in cui (e ciò avviene presumibilmente molto spesso) ’lattore non la
intenda anch’egli in chiave causale-strumentale: ma tale rischio può essere agevolmente evitato se “si
concepisce l’interpretazione causalistica dell’azione unicamente come uno schema per confrontare tale
azione con altre possibilità, anziché come un’enunciazione relativa all’essenza vera, obiettiva
dell’azione”27. Il contributo specifico che il metodo funzionale apporta alla conoscenza sta quindi nella
possibilità di confronto a partire da un criterio di riferimento astratto, qualificato come problematico, “a
partire dal quale diverse possibilità di azione, determinati fenomeni sociali, che appaiono esternamente
come del tutto diversi, possono essere trattati come funzionalmente equivalenti. Questa
razionalizzazione della problematica attraverso possibilità di confronto a un livello astratto costituisce il
significato vero e proprio del metodo funzionale”28. Il metodo “comparativo” così tratteggiato29, che
trae la sua ragion d’essere nel fatto di discendere direttamente dalla teoria, laddove il neoempirismo
intende viceversa subordinarla al metodo, “consente di prendere distanza dall’oggetto” permettendo
una “chiarificazione di ciò che è con l’ aiuto delle sue possibili variazioni”, e “costituisce una tecnica
conoscitiva specifica dell’era moderna”30. La ricerca relativa a società altamente complesse quali quelle
contemporanee risulta irrimediabilmente limitata, se non addirittura bloccata, finché la teoria deve
necessariamente sottoporre i propri eventuali incrementi conoscitivi alla spiegazione nomologica
fondata su nessi causali empiricamente verificabili, controllabili e ripetibili. Una situazione del genere
non si risolve nemmeno, ovviamente, attraverso l’adozione dei metodi statistici, che costituiscono
un’attenuazione della pretesa di certezza imposta dalla rispondenza alle leggi causali semplicemente
sostituendo alla categoria della “necessità” quella della “probabilità”. Concetti come quelli di funzione,
struttura, processo, sistema, che, seppure astratti e non direttamente dimostrabili al livello empirico,
sono entrati a far parte del patrimonio della conoscenza sociologica, sicuramente non trascendono i
Illuminismo sociologico, Milano, Il Saggiatore, 1983, p. 14.
Ivi, p. 13.
26 Ivi, p. 15.
27 Ivi, p .27.
28 Ivi, p. 37.
29 Gli inconvenienti che questo metodo comparativo presenta possono essere risolti “elaborando un modello teorico con
l’aiuto del concetto di sistema”: Ivi, p. 33.
30 Ivi, p . 38.
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nessi causali ma sono in un certo senso ad essi trasversali: perché allora rinunciare ad una loro
formalizzazione quindi all’incremento conoscitivo che ne deriverebbe? Come giustamente nota Danilo
Zolo nell’introduzione all’edizione italiana ad Illuminismo sociologico, “la riflessione epistemologica di
Luhmann muove esattamente da questo punto, dal tentativo di superare questa impasse”31, tentativo che
potrebbe fungere da filo conduttore anche per l’analisi delle opere e dei passaggi teorici successivi
dell’autore tedesco; tuttavia è proprio all’interno di Illuminismo sociologico che lo sforzo di dimostrare
come la causalità non debba rappresentare un riferimento aprioristicamente vincolante per la disciplina
sociologica occupa un posto di rilievo. Come abbiamo più volte sottolineato, tale sforzo si va ad inserire
nella replica di Luhmann alla critica neoempirista del funzionalismo, replica che, secondo Zolo,
“definisce l’intero statuto epistemologico della sua costruzione teorica e ne fornisce la chiave di
comprensione generale”32. Mentre si può naturalmente convenire con questa osservazione, non è
certamente questa la sede in cui dibattere in che misura tutta la complessa serie di risorse
epistemologiche luhmanniane siano sostanzialmente identificabili come “soluzioni di volta in volta
escogitate nel tentativo di guadagnare una via d’uscita alla crisi della sociologia funzionalistica.”33.
Certamente nell’affrontare un dibattito del genere bisognerebbe prima confrontarsi su cosa si debba
intendere per sociologia: una sua possibile “funzione meta-teorica e meta-empirica di informazione e di
impostazione razionale dei problemi della complessità sociale” appariva circa due decenni or sono un
“ripiegamento strategico”34 da evitare in nome della spiegazione e della previsione dei fatti empirici.
Oggi i termini di questa argomentazione potrebbero essere anche tranquillamente capovolti.
Raffaele Massari
Dottore in sociologia
Università “La Sapienza” di Roma
Ivi, p. XV.
Ibidem.
33 Ibidem.
34 Ivi, p. XXXIV.
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