Associazione Per l`Expo` della Conoscenza ONLUS

Prefazione
“Il Pensiero Radicale di Luhmann”
Versione italiana del libro
“The Radical Luhmann” di Hans Georg Moeller
con appendice su una proposta del “Governo dei Sistemi Umani”
di Francesco Zanotti
Editore IPOC
Via Aurispa, 7 - 20122 Milano – Italy
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E’ impressionante come la teoria dei sistemi sociali di Niklas Luhmann (1927-1998)
fornisca spesso i più avanzati, adeguati e applicabili modelli per comprendere come
funzionano le cose nella società contemporanea. Per dare un esempio concreto, si può
fare riferimento ad un articolo pubblicato nel 1997, verso la fine della sua vita. In
“Globalizzazione o Società Mondiale? Come immaginare la società moderna?”, egli
non solo rispondeva a queste domande in maniera davvero sistematica ma delineava
anche con sorprendente precisione gli sviluppi economici che portarono più tardi alle
grandi crisi finanziarie del 2008-2009.
Luhmann non predisse la crisi come tale, ma riuscì a dar conto del contesto sociale che
la rese possibile. E poté farlo in quanto il suo approccio teorico si diparte radicalmente
dalla teoria politica mainstream che, secondo lui, si è preoccupata principalmente degli
ideali utopici di felicità e solidarietà. Luhmann dichiara: “Dobbiamo scendere a patti,
una volta e per tutte, con una società senza felicità umana e, ovviamente, senza sapore,
senza solidarietà, senza similarità di condizioni di vita. Non ha senso insistere su queste
aspirazioni, rivitalizzare o integrare la lista rinnovando vecchi nomi come società civile
o comunità.” Egli fa appello ai teorici sociali per abbandonare certe latenti pretese
“idealiste” e moraliste: “I sociologi non presumano di giocare il ruolo di preti laici della
modernità”. Secondo Luhmann, la tendenza moralista di una buona parte del pensiero
politico e sociale affonda le radici nell’arretratezza teorica. I “preti-laici” della teoria
sociale considerano ancora la società nei termini dei grandi maestri del diciottesimo e
diciannovesimo secolo, vale a dire in termini di stratificazione, cioè di una società
divisa in classi di oppressori ed oppressi. Scrive Luhmann: “se guardiamo la
stratificazione tenderemo a vedere… ingiustizia, sfruttamento, repressione; e possiamo
desiderare di trovare stratagemmi correttivi o almeno di formulare schemi normativi e
ordinanze morali che stimolano una retorica di critica e protesta”. Luhmann esorta un
allontanamento radicale da tale attitudine retorica. Per allontanarsi bisogna riconoscere
che la società è cambiata: si è passati dalla differenziazione stratificata alla
differenziazione funzionale: “Se leggiamo la società in termini di differenziazione
funzionale, la nostra descrizione mirerà all’autonomia dei sistemi di funzione, al loro
alto grado di indifferenza, combinato con l’alta sensitività e irritabilità, in modi molto
specifici che variano da sistema a sistema. Allora, vedremo una società senza “alto” e
senza “centro”; una società che si evolve ma che non può controllare se stessa.”
Questo cambio di prospettiva, da quello di prete-laico a quello di teorico radicale, è ciò
che esploro in questo libro o, in altre parole, cerco di controbattere le errate
interpretazioni della teoria di Luhmann, che, come disse Michael King, fallirono nel
“riconoscere la sua natura radicale e il paradigma che introduce.”
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Per una miglior comprensione, lasciatemi andare indietro e descrivere come, nel 1997,
Luhmann delineò le condizioni sociali di una crisi finanziaria che si presentò molto
tempo dopo la sua morte.
In una società globale basata sulla differenziazione funzionale, il cosiddetto fenomeno
della “internazionalizzazione, infatti, non si riferisce più alla relazione tra due (o più)
nazioni ma ai problemi politici ed economici del sistema globale.”
In una società mondiale radicalmente de-regionalizzata, “tutti i confini interni
dipendono dall’auto-organizzazione dei sottosistemi e non più da una ‘origine’ nella
storia o dalla natura o logica del sistema che li comprende.” Questo porta ad una
situazione in cui “la società mondiale ha raggiunto un più alto livello di complessità con
più elevate possibilità strutturali, maggiori cambiamenti inattesi ed impredicibili (alcuni
lo chiamano “caos”) e, sopra tutto, dipendenze e interdipendenze maggiormente
connesse. In tal modo la costruzione causale, (calcoli, pianificazioni) non è più possibile
da un punto di vista centrale e pertanto ‘obiettivo’.“
All’interno di una società così caoticamente complessa, “non c’è più una quasi
cosmologica garanzia che sviluppi strutturali all’interno di sistemi di funzione
rimangano compatibili gli uni con gli altri.” Questo significa, per esempio, che “la
medicina moderna altamente efficiente ha conseguenze demografiche” – cioè
“progressi” in medicina portano a tutta una serie di problemi economici e sociali, come
uno squilibrio tra il numero di giovani e vecchi e l’aumento dei costi della sanità. Allo
stesso modo la “nuova centralità dei mercati finanziari internazionali, la corrispondente
marginalizzazione della produzione, del lavoro, del commercio, e il trasferimento dei
titoli economici da beni reali e debitori di prima qualità alla speculazione stessa, porta
ad una perdita di posti di lavoro; inoltre tenta e induce i politici a ‘promettere’ posti di
lavoro (senza mercati?)”. In altri termini la virtualizzazione dell’economia, lo
spostamento verso un’economia che si focalizza sui prodotti finanziari piuttosto che sui
beni crea immensa ricchezza (per alcuni) ma indebolisce il tradizionale accoppiamento
dell’economia con infrastrutture, mezzi di produzione, lavoro, sistema del diritto, e
politica. In questo modo la società affronta una novella “volatilità del mercato
finanziario con i suoi strumenti derivativi per massimizzare simultaneamente titolo e
rischio con effetti impredicibili.” In altre parole: “Il sistema economico ha spostato le
sue basi di sicurezza da proprietà e debitori affidabili (come stati o grandi aziende) alla
speculazione stessa. Colui che cerca di mantenere la sua proprietà perderà la sua
fortuna, e colui che tenta di mantenere e accrescere la sua ricchezza dovrà cambiare i
suoi investimenti un giorno dopo l’altro. Può o usare i nuovi strumenti derivativi o deve
avere fiducia dei molti fondi che fanno questo per lui.” Per Luhmann, tutto questo non
può essere spiegato sulla base del vocabolario tradizionale dello “sfruttamento” o con
categorie morali come “avidità”. Gli sviluppi nel settore finanziario dell’economia e i
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quasi catastrofici effetti di questi sviluppi – per esempio sul sistema educativo in Irlanda
– dimostrano abbastanza chiaramente che Luhmann aveva ragione quando diceva: “non
siamo in una fase di ‘post-storicismo’ ma, al contrario, in una fase di evoluzione
turbolenta senza esiti predicibili.” In questa situazione, restando fedeli al vocabolario
della teoria politica che è stata sviluppata dai filosofi dei tre o quattro secoli passati, non
sembra esserci una strategia promettente. Luhmann dice: “Al momento, i problemi
irrisolti che accerchiano il concetto di società sembrano prevenire progressi teorici.
L’idea di una società buona, o almeno migliore, domina ancora la scena.
Sociologi, interessati alla teoria, continuano ad esplorare il vecchio labirinto con
risultati sempre più deludenti invece di muoversi verso labirinti totalmente nuovi.
Potrebbe essere gratificante, infatti, non cercare migliori soluzioni ai problemi, problemi
che sono costruiti dai mass-media, ma chiedere prima di tutto ‘quale è il problema’.”
Allora, qual è il problema? E, inoltre, come dobbiamo cambiare il nostro punto di vista
così da essere in grado di vederlo meglio? I capitoli seguenti esplorano il cambio di
paradigma di Luhmann dalla filosofia alla teoria che schiude nuove prospettive sul
mondo contemporaneo.
Inizio la mia esposizione con un tentativo di caratterizzare il preciso sistema sociale
all’interno del quale gli scritti di Luhmann furono prodotti, cioè la “scena” accademica
tedesca dell’ultima decade del ventesimo secolo. All’interno di questo ambiente sociale,
Luhmann fu capace di affermarsi nonostante, o forse grazie a, la sfida che pose alla
dottrina dominante di Habermas che vede la società basata sulla “discorso libero da
condizionamenti” (herrschaftsfreier Diskurs). Luhmann offrì un’alternativa radicale a
questa filosofia politica normativa. Concepì la sua teoria come un cavallo di Troia
sovversivo che, una volta nel campo nemico, potrebbe distruggerlo dall’interno.
Sostengo che una delle tattiche impiegate da Luhmann per mascherare questa minaccia
fu il suo stile di scrittura spesso piuttosto contorto. Adottando il gergo di Habermas e
altri che costituivano l’élite accademica dell’epoca, a Luhmann fu concesso l’ingresso
nella loro Troia.
Dopo queste considerazioni preliminari, mi sposto nel dare uno sguardo ai vari aspetti
di quello che credo essere uno spostamento dalla filosofia alla teoria nei lavori di
Luhmann. Egli rompe con la tradizione antropocentrica della moderna filosofia
occidentale. Ancor più di qualsiasi altra disciplina umanistica, la filosofia ha sempre
considerato gli esseri umani come “la misura di tutte le cose”, in particolare nella
filosofia politica e sociale. Quello che può essere definito il “quarto insulto” di
Luhmann alla vanità umana consiste nel negare alla nozione di “essere umano” un posto
centrale nella teoria sociale. Egli segue i precedenti shift che accaddero in cosmologia
(Copernico), biologia (Darwin), e psicologia (Freud). Prevedibilmente questo insulto,
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proprio come i suoi predecessori storici, è stato percepito da molti come scandaloso e
continua a fare di Luhmann persona non gradita in alcuni ambiti ideologici.
Il Capitolo 4, “Dalla Necessità alla Contingenza”, affronta un confronto tra Luhmann ed
Hegel. Dal mio punto di vista, Hegel ha la più importante influenza filosofica su
Luhmann. Tuttavia, la relazione tra i due grandi pensatori sistemici è piuttosto ambigua.
A mio parere Luhmann tentò un Aufhebung (sublazione, trascendimento e inclusione)
della filosofia di Hegel. Proprio come Hegel tentò di sublare la religione attraverso la
filosofia (nel triplice senso di alzarla ad un più alto livello, superarla e preservarla),
Luhmann intese includere e trascendere la filosofia attraverso la teoria. Per Hegel il
compito della filosofia consisteva nel trasformare contingenza in necessità. La teoria di
Luhmann punta a trasformare la necessità in contingenza.
Nel capitolo 5, “Le ultime note a fondo pagina su Platone”, delineo quello che credo sia
il più ovvio, e ancora più sottovalutato, risultato dello shift di Luhmann sulla teoria: una
soluzione ad un problema centrale della tradizionale filosofia occidentale, il dualismo
mente-corpo. Dopo Cartesio, e in reazione negativa a lui, i tentativi di occuparsi del suo
forte dualismo puntavano tipicamente a riconciliare il corpo e la mente in modo da
emancipare il corpo. L’ossessione verso il discorso mente-corpo porta ad una incapacità
a pensare “outside the box” e a sviluppare alternative più radicali a questo dualismo.
Luhmann mostra in modo convincente che esiste almeno un’altra dimensione
aggiuntiva a quelle intellettuale e fisica, cioè la comunicazione. Questa terza
dimensione gli ha permesso di sostituire il tradizionale dualismo sostanziale con una
teoria funzionale dell’accoppiamento strutturale tra differenti reami sistemici.
Nel capitolo 6, discuto dell’approccio “metabiologico” (per usare un termine coniato da
Habermas) di Luhmann alla teoria sociale, che stabilisce un’altra rottura col pensiero
moderno mainstream politico e sociale. La filosofia illuminista e post-illuminista
tendeva a osservare la società civile e gli individui che si riteneva la costituissero in
termini di agente autonomo. Liberi desideri, razionalità, e responsabilità consentono agli
umani di dare forma alla società e di emergere dalla loro “immaturità auto-inflitta”. In
questo modo gli esseri umani diventano auto-creatori. Essi sono i sommi maestri del
loro fato e della società in cui vivono. Da una prospettiva evoluzionistica, tuttavia, tale
auto-guida o auto-governo è un’illusione. Da una prospettiva della teoria dei sistemi, il
mondo sociale, proprio come la natura, consiste di molte relazioni complesse sistemaambiente che non danno spazio o possibilità d’uso per qualsivoglia progettista
intelligente o governatore autonomo.
Nel capitolo 7, “Costruttivismo come realismo post-moderno”, discuto dell’autoidentificazione di Luhmann come “costruttivista radicale”. Faccio notare che
costruttivismo e realismo non sono intrinsecamente contraddittori – specificatamente
non nel caso di Luhmann. Il suo costruttivismo è un costruttivismo cognitivo, cioè,
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epistemologico. La costruzione cognitiva è la “costruzione della possibilità” per
l’emergere della realtà; essa distingue quello che è da quello che non è, e così realizza il
reale. In questo modo, la costruzione cognitiva radicalizza l’idealismo tedesco e inverte
la relazione tra ontologia ed epistemologia. Per Luhmann, la realtà non è una condizione
a priori per l’esperienza. Invece, egli sostiene che le funzioni cognitive sono capaci di
generarsi “autopoieticamente” di costruire pertanto la realtà e possono farlo in vari
modi. La realtà, come un effetto di costruzione e auto-generazione cognitiva, non è
basata su identità, ma su differenze, e questo non la rende meno reale.
Nel capitolo 8, la mia analisi della visione di Luhmann della democrazia esamina le
limitazioni della guida della società in maniera più concreta. Luhmann mette in
discussione la nozione profonda di partecipazione democratica. Secondo lui, l’idea di
democrazia come governo del popolo non è nulla di più che una fantasia utopica. Essa
fallisce nel descrivere in modo significativo il funzionamento della politica nella società
contemporanea. Piuttosto che riflettere su come la società possa essere capace di
diventare più democratica e consentire in definitiva alle persone di governare se stesse,
Luhmann suggerisce un concetto funzionalista di democrazia come una narrazione
simbolica che consente al sistema politico di costruire legittimità. Paradossalmente,
tentativi di fare la società più democratica possono mettere a repentaglio il
funzionamento della politica democratica. Il radicalismo politico di Luhmann non è
pertanto un radicalismo ideologico ma anti-ideologico.
La conclusione tenta di rispondere a ciò che forse è una domanda inappropriata: dove ci
porta in ultima analisi il radicalismo di Luhmann? Come può essere descritto
l’atteggiamento di Luhmann verso la società e persino la vita? Suggerisco che questo
atteggiamento possa essere definito come la coltivazione e lo sviluppo di modestia,
ironia ed equanimità.
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