Mors et Vita Duello Mors et Vita Duello Pasqua di risurrezione Sora-Chiesa Cattedrale, 27 marzo 2016 Mors et vita duello conflixere mirando: dux vitae mortuus, regnat vivus. Il duello tra la morte e la vita, combattuto drammaticamente nel silenzio e nell’oscurità della grande Notte del sepolcro, si è risolto definitivamente con il trionfo della Vita: “O Notte veramente beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi” (Exsultet). La tomba vuota scoperta dalle donne accorse per ungere il corpo del Signore, è interpretata dai “due uomini…in abito sfolgorante” con le seguenti parole: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,4-5). La pienezza della vita Gesù è il “Vivente”, la pienezza della vita, che un luogo di morte non può trattenere. Egli è risorto, letteralmente “è stato risvegliato” (per iniziativa di Dio) e strappato alla sfera della morte. L’iniziativa divina sovrasta l’azione mortifera degli esseri umani: la vita divina vince ogni resistenza di morte e trionfa su ogni tentativo di soffocamento del respiro divino. L’Annuncio pasquale esalta il duello nella “notte in cui hai vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco…notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro” (Exsultet). “La storia dell’uomo e del mondo è segnata dal mistero della morte, segnata col marchio del morire, da un capo all’altro. Hai preso questo marchio su di te, Figlio eternamente generato, Figlio consustanziale al Padre: vita da vita, e l’hai portato attraverso i confini della morte, che grava sulla creazione, attraverso i confini della nostra morte umana, per rivelare in essa lo Spirito che dà la vita […]. Nella tua morte, o Cristo, la morte è apparsa inerme di fronte all’amore. E la vita ha vinto” (Giovanni Paolo II, 19 aprile 1987). Il desiderio d’immortalità così evidente nelle aspirazioni umane si esprime soprattutto nei tentativi di prolungamento della propria esistenza, con l’illusione di evitare persino la barriera della morte. L’anelito alla pienezza della vita non si concretizza nel semplicistico desiderio di non morire, ma sapendo per quale via si passa dalla morte alla vita. Dove si può riconoscere l’esistenza di questa lotta tra la morte e la vita? La pasqua della creazione Esiste un teatro ‘universale’ dove si svolge il duello mortevita, quello della natura. Ci sono segni di morte e di sofferenza nell’universo: “La creazione è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi” (Rm 8, 20-22). Papa Francesco ha alzato la voce contro i peccati inferti dall’uomo alla creazione, compromettendo la sua stessa sopravvivenza: “(La creazione) protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi (Laudato si’, 2). Il grido della creazione è un anelito pasquale perché che richiede l’urgenza di riscatto per una condizione redenta dalla morte. La lotta interiore Il duello morte-vita si svolge in modo devastante anche nella coscienza di ogni uomo. “Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? “ (Rm 7,21-24). Il peccato, dunque, divide il cuore dell’uomo, mettendolo in guerra contro se stesso, contro Dio e contro i suoi fratelli. Il linguaggio “agonistico” e “bellico” usato con insistenza nei Padri della Chiesa sottolinea, ancora una volta, la serietà di questa lotta: si tratta di una vera e propria guerra, implacabile e senza quartiere, non meno difficile delle guerre materiali e non meno dolorosa delle torture subite dai confessori e dai martiri della fede. La sua posta in gioco è radicale poiché, come dice lo Pseudo-Macario, si tratta di “spezzare la morte per giungere alla vita”, ovvero di spogliarsi dell’uomo vecchio, “per rivestire l’uomo celeste e nuovo che è il Cristo”. Ma chi sono questi “nemici interni” che nel cuore dell’uomo combattono contro l’uomo stesso? Si tratta di immagini, di impulsi, di inclinazioni negative che, insinuandosi nel cuore, turbano la mente spingendola al peccato. Secondo tutta la tradizione patristica questi “pensieri cattivi” traggono origine da una suggestione demoniaca ben distinta, sono inizialmente indipendenti dalla sua volontà e sembrano provenire dal cuore stesso dell’uomo (cf. Mt 15,19). S. Paolo suggerisce un catalogo delle opere dell’uomo attraverso le quali si può ben riconoscere la sua chiara condizione di morte oppure di vita: “Sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere… Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé…Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri” (Rm 7, 19-24). In questa lotta interiore l’uomo può contare sull’aiuto decisivo del Signore risorto che combatte a suo favore, rendendolo partecipe della sua vittoria pasquale. Morire per la vita Il duello morte-vita si svolge anche nella nostra realtà fisica. La morte del nostro corpo è la malattia mortale che si contrae nascendo. Forse più che una vita mortale la nostra è da considerarsi una “morte vitale”, un vivere morendo (S. Agostino, Confessioni, I,6,7). Questo pensiero cristiano che guarda con realismo all’ineluttabilità della morte, è stato però ripreso in chiave secolarizzata dal filosofo Heidegger, il quale definisce l’esistenza dell’uomo “un-essere-per-lamorte” (cfr. Essere e Tempo, Milano 1976, p. 308). Heidegger definisce la morte non un incidente che pone fine alla vita, ma la sostanza stessa della vita. La vita, a suo dire, è fatta di morte, anzi è fatta per la morte. Vivere è morire, e basta. Si vive per morire, e vivere per la morte significa che la morte non è soltanto la fine ma soprattutto il fine della vita. Il guaio di questo pensiero è che non consola, e non dissolve la paura. Gesù “morendo ha distrutto la morte, e risorgendo ha ridato a noi vita” (Prefazio pasquale I). Con la pasqua di Gesù la morte umana non è più quella di prima; il muro della morte è stato abbattuto dalla risurrezione, divenuto solo una porta, un passaggio. Infatti, nella esperienza umana c’è un ultimo “mar rosso” da attraversare, quello della morte. “Esci da questo mondo anima cristiana…” recita la preghiera al capezzale dei morenti, significando la dimensione “pasquale” e la caratteristica “esodale” della morte. Nella veglia pasquale è vivo il pensiero della nostra futura risurrezione come incontro finale e definitivo con il Signore risorto. Si chiama morte, ma è una Pasqua. + Gerardo Antonazzo