VOL. XL1II-XLIV 2002 e 2003 ATTI del Sodalizio Glottologico Milanese MILANO 2006 AITI DLL SODALIZIO GLOTTOLOGICO MILANESE presso il Dipartimento di Scienze dell'Antichità Sezione di Glottologia e Orientalistica Università degli Studi Via Festa del Perdono, 7 - 2 0 1 2 2 Milano Direttore GIANCARLO BOLOGNESI Comitato di redazione ROSA BIANCA FINAZZI ROBERTO GIACOMELLI PAOLA PONTANI PAOLA TORNAGHI INDICE DEI VOLUMI XLIII e XLIV (E.'omunicazioni: BAZZARELLI, Marrismo e Stalin I ( ì. I ANNACCARO, Nuovi spunti per lo studio dei confini linguistici C. DE PALMA, La lamina plumbea di Pech Maino 17 17 Gevorg B. Jahowkyan, Sul possibile carattere armeno di formule introduttive di iscrizioni urartee M. MORANI, Un problema di idronimìa ossolana: il nome del Toce 27 A. SCALA, Novità linguistiche dall'Armenia: traduzione dell'articolo di Considerazioni sui verbi atematici indeuropei A. RIZZA, Congiunzioni elee: problemi di semantica (I. BOLOGNESI, Carlo Ottavio Castiglioni, Jakob Grimm, Hans Ferdinand Massmann e i palinsesti gotici ambrosiani L. MACINI, L'etrusco lingua dell'Oriente indoeuropeo IV: nomi di dèi e moti di astri I ). BERTOCCI, Seduci congiunta del SGM con il CUSCUS (Centro Studi CamitoScmitici) G . BOLOGNESI, Introduzione ( ). ( ARRI MIA, /.(/ traduzione delle traduzioni I'. B RANCA. Considerazioni linguistiche sulle 34 48 48 49 49 62 63 antiche 63 traduzioni italiane del Corano 63 V B RI K INATEI I i, l.e traduzioni del Corano in berbero e il lessico religioso berbero 63 R. SciARBI, L'aulica letteratura armena di traduzione tra ossequio alla norma e creatività 63 V. TOMI i LERI, Alcune riflessioni sull'aspetto verbale di tipo slavo 71 M . l'i li AI i. La /invila sardiana o dei Protosardi 7I ( i. FAI « i ii i ii, Flessione ninni un le e pronominale in etrusco 71 A. GRU I i. Presentazione del libro di Ludovica Radif, Scoivi catulliani virtuali, // l'onte Vecchia. ( 'esena :<M>.\p,>. SO 72 \seuue ni III di coi>ertii\a\ L. RADIF, Una battuta di caccia... linguistica in Ter. eun. 410-429: dav- vero il soldato non faceva ridere? culturale della "Scuola Ellenistica" in Armenia ... Seduta straordinaria di Linguistica e Filologia Indoaria G. BOLOGNESI, Presentazione G. BOCCALI, Sanscrito e Indologia all'Università degli Studi di Milano M . R CANDOTTI, Come la lingua può parlare di se stessa: breve storia della fortuna del sutra 1.1.68 di Panini S.FEDALTO, // "protosanscrito" di Vittore Pisani P Rossi, // termine mandala in epoca vedica: tra speculazioni, rìtitalistica e studi etimologici T. PONTILLO, / cosiddetti "composti sintetici" nella grammatica di Panini A . D E ANGELIS, Casi sconosciuti di tmesi in Omero M . IODICE, Nomi maledetti di Sicilia F. ALTIMARI, Alcune particolarità del lessico di una parlata arbereshe dell'area Lausberg, San Costantino Albanese M . CUNEO, Presentazione del volume Le parole dell'ardesia M . MARIANI - R. RONZITTI, Presentazione del volume Ricerche di linguistica diacronica prospettica e retrospettiva R. RONZITTI, Alternanza suffissale nel Rgveda: problemi e proposte R. BROGGINI, Propaganda Fide e ricerche linguistiche E. BAZZARELLI. Voprosy jazykoznanija ("Problemi di linguistica"): cinquantanni di vita M . MORANI, Premesse per uno studio della toponomastica dell'Ossola superiore M . NEGRI, / segni incisi di Monte Grande (II millennio a.C.) F. CORDANO. Presentazione del volume di Giuseppe Castellana. La Sicilia nel II millennio a.C R. SGARBI. Analisi diacronica di una deriva opposizionale: SUOCERA-SUOCERO in area indeuropea L. MAGINI. L'etrusco, lingua dell'Oriente indoeuropeo V: toponimi etruschi e lessico indo-iranico C . DE PALMA. Nuove letture di iscrizioni etrusche alto arcaiche E MOSINO. Parlare ai Celti: un cristiano greco poliglotta (Lione, secc. II-UD M . PITTAU. L'iscrizione etnisca del Cippo di Perugia (CIE 4 5 3 8 : Pe 8.4 - ree) G. FACCHETTI. Presentazione del libro di G. Facchetti. Antropologia della scrittura, Arcipelago Edizioni, Milano 2002 L. RADIF, Parole nel vino (Plaut. most. 313-347) D. BERTOCCI. Arcaismo e mutamento nel sistema del congiuntivo Ialino: il caso di attigas A. SCALA, // nucleo lessicale zingaro nei gerghi italiani: nuove acquisizioni F. RAIMONDO. // contributo di De Rada alla dialettologia albanese: La grammatica della lingua albanese ( 1870) E. SCARPANTI. Pellegrino in luoghi sperduti. Note su alcuni toponimi rari del De Situ Terrae Sanctae di Teodosio (VI sec. d.C.i O. CARRUBA, Gli Indoeuropei. l'Anatolia e l'Egeo — C. MILANI, Lacedemoni e Tebani a confronto nelle nuove tavolette di Tebe R. SGARBI, // milieu In commissione presso le Edizioni dell'Orso. Alessandria 72 81 87 87 87 87 87 88 88 88 88 89 89 89 89 105 105 106 106 106 107 115 123 134 136 14" 147 154 154 155 169 178 178 SEDUTA DEL 4.3.2002 Presenti: Aspesi, Canedi, De Marchi, Digiovinazzo, Facchetti, Finazzi, Granucci, Magini, Milani, Negri, Pittau, Restelli, Scala, Sgarbi, Tornaghi, Vai. Presiede Bolognesi. La seduta ha inizio alle ore 17.30. Viene ammesso Alfredo Rizza. COMUNICAZIONI: G. BOLOGNESI, Carlo Ottavio Castiglioni, Jakob Grìmm, Hans Ferdinand Massmann e i palinsesti gotici ambrosiani Il testo appare col titolo La scoperta e l'edizione dei palinsesti gotici ambrosiani in V. Dolcetti Corazza - R. Gendre (a cura di), Antichità germaniche, II Parte. II Seminario avanzato in filologia germanica, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2002, pp. 131-172. L . MAGINI, L'etrusco di dei e moti di astri1 lingua dell'Oriente indoeuropeo TV: nomi 1. Premessa Il calendario numano ha un fondamento astronomico; il suo ignoto ideatore conosce modalità e cadenze dei moti celesti. Le cadenze delle festività del Feriale antiquissimum concordano con le cadenze del sole, della luna e del pianeta Venere. Miti e riti legati alle festività, riletti e interpretati, mostrano una simbologia astrale. Gli stessi nomi, o gli appellativi, delle divinità nascono dalle modalità con cui si muovono in cielo gli astri che le rappresentano. 2. Gli appellativi di Luna/Fortuna e i nomi delle sue ancelle, Necessitas e Spes. Prendiamo il caso di Fortuna. La dea ha caratteri lunari, è notturna, mutevole, incostante come il gioiello della notte. È una generica "meravigliosa buona fortuna" a determinare "al concepimento e alla generazione di Romolo un'eclissi di sole, col sole in esatta congiun1. Gli argomenti della relazione sono sviluppati più ampiamente in L. Magini, Le feste di Venere - Fertilità femminile e configurazioni astrali nel calendario di Roma antica, Roma 1996, pp. 25-34 e pp. 81-96, e in L. Magini, Astronomia etrusco-romana, Roma 2003, pp. 39-52 e 122-131. 49 zione con la luna, fintanto che il dio Marte rimase congiunto con la mortale Silvia"; ma è la dea Fortuna in persona che, di notte, sveglia le oche del Campidoglio; è ancora la dea che "è solita entrare in casa di notte da una piccola finestra, dalla quale prende nome la porta Finestrella", per andare dal suo protetto Servio Tullio, "discendendo nella sua camera attraverso una piccola finestra"2. E gli esempi potrebbero continuare. Ecco, allora, che due degli appellativi di Fortuna, Obsequens e Respiciens, acquistano una valenza astronomica: la Fortuna Obsequens "che va dietro a" è rappresentata dalla luna crescente che, notte dopo notte, segue docilmente il sole al tramonto nel suo tuffo oltre l'orizzonte; la Fortuna Respiciens "che si volge a guardare all'indietro" è rappresentata dalla luna calante che, notte dopo notte, si sposta da occidente a oriente con 'la gobba a levante' e con volto e sguardo rivolti all'indietro, a ponente, verso la zona del cielo da cui proviene. La medesima spiegazione si applica anche al caso in cui Obsequens sia l'appellativo di Venere e la dea sarà rappresentata in cielo dalla "stella della sera" che, al pari della luna crescente, "va dietro al" sole del tramonto, mentre l'immagine di Afrodite Kallipygos che imita la Fortuna Respiciens nell'atteggiamento di chi si guarda alle spalle e "deve vedere e considerare tutto quanto è avanti ai suoi occhi e dietro, e non deve perciò dimenticare da cosa è partito per divenire quale è attualmente"3 - nasce dall'osservazione del moto retrogrado del pianeta, che ripercorre a ritroso il cammino già percorso in avanti nel moto diretto. Anche i nomi delle ancelle di Fortuna, Necessitas e Spes, mostrano di avere una base nei dati astronomici. Così le descrive Orazio, invocando la loro padrona: «Sempre ti precede la dura Necessità, / che porta nella mano di bronzo / grandi chiodi e cunei, e non le manca / il forte uncino e liquido piombo. / Con te si muove Speranza...»4 2. Plutarco, La Fortuna dei Romani 320B; Ovidio, Fasti 6.577-8; Plutarco, La Fortuna dei Romani 322E. 3. Vedi Cassio Dione Al26A, citato da M. Torelli, Lavinio e Roma, Roma 1984,p.l26,n.26. 4. Orazio, Odi 7,35.17-21. 50 Se si accetta di legare il nome di Necessìtas alla radice indoeuropea che dà in sanscrito la forma verbale nas-, naks-, o asti- "raggiungere, avvicinarsi, arrivare", si identifica la prima delle due ancelle con la luna calante che, notte dopo notte, raggiunge il sole fino a congiungersi con esso e a scomparire nel novilunio, mentre la provenienza del nome di Spes dalla radice che dà in sanscrito l'altra forma verbale sphay- "crescere, ingrossare" identifica la seconda ancella con la luna crescente che, notte dopo notte, incrementa le proprie dimensioni fino a diventare la luna piena della metà del mese. Necessìtas, come luna calante, 'precede' nel tempo la luna del novilunio; Spes, come luna crescente, 'segue' nel tempo la stessa luna del novilunio; Fortuna, preceduta da Necessìtas e seguita da Spes, è rappresentata in cielo proprio dalla luna invisibile del novilunio5. La natura lunare di Fortuna riconduce al moto irregolare dell'astro. Irregolarità segnalata - tra i tanti esempi possibili - da Plutarco: "Non di un unico movimento si muove la luna: la si invoca come Trivia appunto perché retrocede sullo zodiaco contemporaneamente in longitudine, latitudine e profondità"6. Questa irregolarità si contrappone con evidenza, anche al più distratto degli osservatori, alla regolarità assoluta del moto dell'altro luminare maggiore. 3. Breve sguardo sul materiale onomastico. L'opinione corrente vuole che, al tempo in cui il mito cede il passo alla storia, i popoli indoeuropei - e in particolare i loro rappresentanti nell'Italia centrale, nel Lazio, a Roma - non conoscano culti astrali. Eppure i versi di Ovidio rinviano esplicitamente l'associazione tra corpi celesti e divinità all'età romulea quando "Gli astri scorrevano liberi nelle loro rivoluzioni e nessuno / li osservava, anche se tutti sapevano che erano dèi" 7 . 5. Le tre creature divine replicano in Roma le Grazie greche, con Fortuna che, al centro del gruppo, esibisce la schiena - il caecum corpus - e, assieme a questa, quel qualcosa in più che, almeno nella Città eterna, risulta ancor oggi di grande giovamento nei più diversi frangenti. Sempre a Roma, caeca nox è la "notte tenebrosa", sulla quale veglia Fortuna caeca, la "luna buia", la "luna che non illumina", la luna di una delle "tre notti oscure", la luna della luna nuova. 6. Plutarco, // volto della luna 937E. 7. Ovidio, Fasti 3.111-2. 51 Comunque stiano le cose, quanto ad area semantica, il materiale onomastico che si esaminerà adesso è omogeneo. E disomogeneo, invece, quanto a provenienza: in parte sicuramente etrusco, in parte sicuramente latino, in parte latino di probabile provenienza etrusca; disomogeneità obbligata, che nasce dalla situazione delle attuali conoscenze. Si consideri - ad esempio - il caso di Venus. Anche qui l'opinione comune vuole che a Roma il culto della dea arrivi tardi e che prima del III secolo si conosca solo uno dei suoi culti, resole sotto l'appellativo di Calva*. Ciò non toglie che tra IV e III secolo dati anche la lamina bronzea di Lavinio che, assieme a Cerere, menziona Vesperna: CERERE(M) AULIQUOQUIBUSI VESPERNAM PORO, «(si propizino) Cerere con (viscere) cotte in pentola / Vesperna con il porro». Vesperna è rappresentata in cielo dal pianeta Venere nella sua veste di "stella della sera" - cioè nell'intervallo di tempo in cui, visto dalla terra, l'astro sembra seguire il sole al tramonto nel suo tuffo oltre l'orizzonte - e Cerere è rappresentata in cielo dalla luna9. Così nella Lavinio del 400 a.C. si riscontra la presenza della luna - che sarà crescente, dato che è visibile di sera - e di Venere al tramonto, le "due sorelle" dell'astronomia babilonese. Per di più la Vesperna di Lavinio rimanda al passo virgiliano matre dea monstrante viam - e al commento in cui Servio spiega, come se fosse la cosa più naturale del mondo: «... dal momento in cui Enea fu uscito da Troia, ogni giorno continuò a vedere la stella Venere, fino a quando giunse all'agro di Laurento»10. Sempre al IV secolo risale il coperchio circolare di una cista prenestina, sul quale è incisa una scena di due quadrighe montate da fi8. Secondo la tradizione il culto risale "al tempo di Anco" o, al più tardi, "all'assedio gallico". 9 Per l'identificazione Cerere-luna si veda Macrobio, Saturnalìa 1.16.43 che si rifa a Virgilio, Georgiche 1.5-7. 10. Servio, Aen. 1.382. Notizia confermata, in qualche modo, tra gli altri da Solino (2.14) quando ricorda che Enea, giunto sul suolo italico, erige un santuario Veneri Mairi, quae Frutis dicitur, dove Frutis dovrebbe essere la versione etrusca del greco Afrodite. Cfr. Torelli, op. cit., pp.162-6. 52 gure divine femminili che si inseguono in un carosello celeste che non ha, nella rappresentazione come nella realtà, né inizio né fine; accanto alle figure i nomi di Venus e Aucena. Si tratta di nomi etruschi, come la provenienza della cista? o latini, come sembrerebbe segnalare il primo? o etrusco-latini, com'è già la situazione politica della città di provenienza all'epoca? Lasciando aperta la questione, si noterà come essi rappresentino i due nomi di Venere: alla sera Venus, dea "del desiderio", e al mattino Aucena, dea "dell'aurora". Per il primo nome, il valore nasce - com'è noto - dal confronto col corrispondente sanscrito vanah; per il secondo, da un altro confronto già istituito con la glossa di Esichio: "avKr\X(x)c, è T'aurora' per i Tirreni". Un terzo confronto, da istituire, porta a collegare le voci Aucena e aÙKriA.ooc; con la resa in sanscrito e in avestico dell'"aurora" indoeuropea: rispettivamente usala e usah. Così, i nomi della dea ripetono le posizioni del pianeta in cielo: come già a Babilonia, quando brilla come "stella della sera", rappresenta Venus, divinità femminile e dell'amore; quando brilla come "stella del mattino" rappresenta Aucena, divinità - femminile? maschile? androgina? - della guerra. Analoga incertezza, quanto a provenienza, grava sulla divinità lunare di cui si è parlato prima, Fortuna: straniera a Roma, importata dall'etnisca Praeneste e legata all'etrusco Servio Tullio, eppure presente con ben tredici feste nel calendario romano, di modo che sembra impossibile dire oggi qualcosa di più preciso di questo: Fortuna è la resa latina di un nome etrusco, la cui forma originale e i cui legami restano da identificare. 4. Gli appellativi di Venere. Meno ardua è la situazione degli appellativi della dea. Ma qui s'impone una premessa: a Roma, come già a Babilonia, Venere assume nomi e personalità diverse. È Concordia il primo di giugno di un dato anno - anno che resta da determinare e che per comodità chiameremo Anno MenoUno quando il pianeta che la rappresenta in cielo è alla congiunzione superiore col sole; è Cormenta Postvorta 222 giorni più tardi, il 15 gennaio dello stesso Anno MenoUno, quando il pianeta è alla massima elongazione orientale dal sole e lo segue la sera al tramonto; è Venere Verticordia altri 75 giorni dopo, il primo di aprile dell'Anno Zero, quando il pianeta è alla congiunzione inferiore col sole; è Mater Matuta ancora 71 giorni più tardi, l'il giugno dell'Anno Zero, 53 quando il pianeta è alla massima elongazione occidentale dal sole e lo precede al mattino nel sorgere; è Carmenta Antevorta ulteriori 585 giorni dopo, l'il gennaio dell'Anno PiùUno, quando il pianeta ha compiuto un intero periodo sinodico intorno al sole e di nuovo è alla massima elongazione occidentale dal sole. In più, le cadenze dei moti celesti corrispondono a loro volta - a partire dal primo di aprile dell'Anno Zero - a cadenze terrene della fertilità femminile: alla festa di nozze dei Veneralia, alla festa di concepimento dei Matralia, al settimo mese di gravidanza per i due Carmentalìa. Verticordia è spiegata da Ovidio come colei che "ebbe il suo nome per aver 'volto i cuori'" 11 . In realtà, il sanscrito presenta un nesso delle due forme, verbale e nominale, del tutto parallelo: vrit hridaye, che non ha il valore di "voltare i cuori", ma quello opposto, di "soffermare l'animo o la mente, riflettere, ponderare, ecc." Il valore del nesso sanscrito rispecchia la funzione svolta dalla dea romana nel giorno delle nozze: fare in modo che uomini e donne "soffermino l'animo o la mente" su tutte le ragioni per cui, senza dismettere la pudicizia, essi debbono restare uniti ai rispettivi compagni e lontani dai compagni d'altri. L'aspetto interessante, però, è che la dea assume l'appellativo di Verticordia nel momento in cui - nell'anno ideale codificato dal calendario - il pianeta che la rappresenta in cielo è alla congiunzione inferiore col sole e si muove di moto retrogrado o "inverso" rispetto al moto annuo di questo, da est a ovest, mentre assume quello di Concordia nel momento in cui il pianeta è alla congiunzione superiore e si muove di moto diretto o "concorde", da ovest a est. Dal canto suo, Carmenta ha altri appellativi e svolge altre funzioni. Ovidio la invoca scrivendo: «Si placano Porrima e Postverta, che sono tue sorelle, / dea del Menalo, oppure tue compagne di fuga. / Si ritiene che la prima cantasse ciò che era avvenuto in passato, / la seconda ciò che sarebbe avvenuto in futuro»12. Macrobio conferma Ovidio, ma modifica i nomi: «In seguito Giano rimase solo a regnare. Si dice che avesse due volti, 11. Ovidio Fasti 4.160: Venus verso nomina corde tenet. 12. Ovidio, Fasti 1.633-6. 54 che gli permettevano di vedere davanti e di dietro; ma senza dubbio tale credenza va riferita alla saggezza e all'abilità del re che conosceva il passato e prevedeva il futuro. Analogamente in Roma sono venerate Antevorta e Postvorta»^. Gellio modifica ancora i nomi ma, soprattutto, spiega, citando Varrone: «Quando perciò, contro la natura, (i bambini nell'utero) hanno i piedi rivolti in basso, le braccia si aprono e sogliono trattenere il feto, e allora le donne partoriscono dolorosamente; per scongiurare tale pericolo sono stati eretti a Roma due altari alle due Carmente, l'una delle quali è chiamata Postverta e l'altra Prorsa, e hanno tratto il nome e il potere dal parto naturale e da quello innaturale»14. Dunque, si hanno due serie di nomi per le due Carmente, più variata quella della prima Carmenta: Porrima, Antevorta e Prorsa, più uniforme quella della seconda: Postverta e Postvorta. Qui non è possibile ripetere il ragionamento che individua in Antevorta/Porrima/Prorsa e in Postvorta la dea festeggiata al momento in cui il pianeta che la rappresenta è, rispettivamente, la "stella del mattino" e la "stella della sera". Così Carmenta ProrsalAntevortalPorrima è quella che si osserva quando "si è rivolti verso oriente" e, all'opposto, Carmenta Postvorta è quella che si osserva quando "si è rivolti verso occidente": un diverso modo di dire la "stella del mattino" e la "stella della sera"15. Le due stelle - o meglio, la stessa stella nelle due vesti in cui appare all'osservatore terrestre - compiono un percorso in cielo dall'andamento particolare: in tutte e cinque le diverse forme assunte 13. Macrobio, Saturnalia 1.7.20. 14. Aulo Gellio, Notti attiche 16.16. 15. Si veda Magini 1996, cit., pp. 90-6. Nel vocabolario tecnico della "centuriazione" e della "limitazione" si trova conferma del risultato cui si era giunti per altra via. Frontino (de limitibus La 30.1): "Chiamavano Prorsi i decumani che erano rivolti verso oriente, chiamavano Transversi i cardini che erano diretti verso sud". Igino (de limitibus La 166.3): "La tradizione vuole che la cerimonia più importante di misurazione sia la fissazione dei confini. In realtà, ne è celeste l'origine e ininterrotta la continuità... in effetti i confini sono fissati in base a calcoli sull'universo, dato che i decumani si conformano al corso del sole e i cardini all'asse terrestre. Inizialmente tale arte della misurazione fu stabilita dalla scienza degli aruspici etruschi". 55 dalle sue evoluzioni in cielo, Venere entra sulla scena celeste da una porta16, evoluisce in cielo e, infine, esce di scena da una porta diversa da quella da cui è entrata. La modalità con cui si manifesta l'astro più luminoso del cielo dopo sole e luna spiega il solo aggettivo con il quale già Esiodo descrive la divinità che il pianeta rappresenta: le Muse celebrano - secondo il poeta - èÀ.iKop>A.é(|)apóv x' 'A<|>po8ÌTnv, alla lettera "Afrodite dallo sguardo che descrive una curva"17. La stessa modalità spiega i due fornici della porta Carmentale a Roma e il pregiudizio che grava su di loro. Scrive Ovidio: «Vi è una strada che passa per il fornice destro della porta di Carmenta: / non passare da quella, chiunque tu sia; porta male. / Da lì sono usciti i trecento Fabi, secondo la tradizione: / la porta non ha colpa, però porta male»18. Considerando le evoluzioni di Venere/'Carmenta in cielo, si capisce il perché del pregiudizio. Venere - che a Roma, nella veste di Mater Matuta, protegge l'eroe Furio Camillo - non esce mai dalla porta da cui è entrata in cielo, e non entra mai dalla porta da cui è uscita; ma i Fabi, incuranti dei moti del pianeta, escono dalla porta da cui si deve solo entrare e vanno incontro alla morte... 5. Il nome di Ianus. Marte, Giove e Saturno sono i tre pianeti superiori visibili a occhio nudo, e quindi conosciuti dall'antichità. I loro periodi siderali, via via sempre più lunghi, mostrano l'aumentare progressivo delle distanze dalla terra. Più oltre, per quanto è possibile vedere, vi è solo il cerchio delle stelle fisse. Dei tre, Marte ha il moto più irregolare: impulsivo e irruente o lento, fermo e anche retrogrado, è il più adatto a rappresentare in cielo il dio della guerra, e già svolge questo ruolo a Babilonia per il dio Nergal. Giove è di gran lunga più costante e equilibrato, e simboleggia bene il dio ottimo e massimo che, con tranquilla saggezza, guida e protegge re e popoli. Quanto a Saturno, col suo ritmo lento e 16. La metafora della "porta" del cielo si ritrova fin nelle prime testimonianze scritte dell'astronomia mesopotamica agli inizi del II millennio. 17. Esiodo, Teogonia 16. 18. Ovidio, Fasti 2.201-4. 56 il periodo siderale di trenta anni solari, confrontabile con quello della vita umana dell'antichità, svolge al meglio il ruolo di chi, con una lunga falce, completa il ciclo raccogliendo il frutto di una vita di lavoro. Come è noto, già in Grecia le ultime due divinità - che da un certo momento in avanti, probabilmente seguendo suggestioni di origine orientale, vennero rappresentate in cielo da questi pianeti calmi e solenni - sono unite e contrapposte da rapporti familiari e conflittuali. Lo stesso si ripete a Roma: prima, Saturno vi giunge per sfuggire a Giove, e viene accolto da Giano, che gli cede il Campidoglio e si ritira sul Gianicolo; successivamente, vi arriva anche Giove, che s'impossessa del Campidoglio e confina Saturno alla base del colle. In questo quadro, appena delineato, è tuttavia leggibile il valore del legame esistente tra Saturno e Giano a Roma, a Roma, sia chiaro: "infatti la Grecia non ha alcun nume simile a te" 19 , dice il poeta rivolto al dio bifronte. Per capirne appieno il senso, tanto vale partire dalla testimonianza di Giovanni Lido che spiega senza mezzi termini chi sia e che compito abbia Giano: «Vairone nel XIV libro del de rerum dìvinarum scrive che Giano presso gli etruschi è detto Urano e sorvegliante di ogni azione... Fronteio nel libro de signis scrive che Giano era ritenuto sorvegliante dell'intero tempo e che nel suo tempio vi erano dodici are pari al numero dei mesi»20. Giano è Urano, che è da sempre la divinità associata con la volta celeste, col cielo delle stelle fisse. Il legame tra Giano e Saturno, istituito dalla tradizione romana più antica e collocato nel tempo precedente alla fondazione della città, mostra i tratti del rapporto che lega il cielo delle stelle fisse al più alto e più lontano dei pianeti, quello la cui orbita è la più prossima allo stesso cielo. In questa chiave quel che Ovidio dice di Giano suona come un'illustrazione, più che come una conferma, perché prima il poeta lo descrive così: «Giano bifronte, origine della rivoluzione che scivola in silenzio, / solo degli dèi superni che vedi le tue terga. / ...unico tra i celesti / vedi cosa vi sia dietro e cosa vi sia davanti». 19. Ovidio, Fasti 1.90. 20. Giovanni Lido, de mensibus 4.2. 57 E poi fa parlare il dio di se stesso in questi termini: «Sta solo in mia mano la custodia del vasto mondo / e il diritto di farne ruotare il cardine è riservato a me. / ...controllo le porte del cielo con le miti Ore, / lo stesso Giove va e viene con la mia autorizzazione. / . . .io, portiere della volta celeste, osservo / nello stesso tempo le regioni d'oriente e d'occidente. / . . .e a me, perché non perda tempo a voltare la testa, / è consentito vedere da tutte e due le parti senza muovere il corpo»21. Nell'ultima affermazione che il poeta pone in bocca al diretto interessato è netta la contrapposizione tra l'immobilità della volta celeste e gli altri cieli, via via più bassi e più vicini alla terra, nei quali vanno e vengono i pianeti, con Saturno in testa, che appaiono entrando dalle regioni d'oriente, avanzano di moto diretto, stazionano, retrocedono, si oppongono al sole, stazionano di nuovo, riprendono il moto diretto, per uscire infine dalle regioni d'occidente. Tutti movimenti e fenomeni alieni alla natura di Giano, "solo degli dei superni" e "unico tra i celesti", "origine dell'anno che scivola in silenzio"; tutti movimenti e fenomeni però che il custode del vasto mondo, il portiere della volta celeste, deve tenere sotto controllo senza voltare la testa, senza muovere il corpo. Perciò deve essere, contemporaneamente, Patulcius e Clusius, "Quello che apre" e "Quello che chiude": «... sempre io, una volta Patulcio, / e un'altra Clusio, sono invocato nei sacrifici»22. Sembra di esser di fronte alla prescientifica spiegazione di un prescientifico Grado Zero di longitudine. Che sia il meridiano di Greenwich, che misura le longitudini sulla terra, o il Grado Zero di Ariete, che misura le longitudini sulla sfera celeste, è in ogni caso quel punto dello spazio da cui si conviene di iniziare e finire, di "aprire" e "chiudere", la misura della grandezza di un angolo. Mentre la misura, in giorni, del dominio di Giano la dà «la statua del dio, che per lo più è rappresentato che tiene nella mano destra il numero 300 e nella sinistra il 65, a mostrare la durata dell'anno»23. 21. Ovidio, Fasti 1.65-6,91-2,119-20, 125-6,139-40,143-4. 22. Ovidio, Fasti 1.129-30. 23. Macrobio, Saturnalia 1.9.10. 58 Un'ulteriore, definitiva, prova della affinità tra Giano e volta del cielo nasce dalla comparazione tra un elemento della visione cosmologica dell'Oriente mesopotamico e un mito di Roma arcaica. L'elemento mesopotamico è riassunto al meglio nella cosmologia biblica, secondo la quale "la terra poggia su pilastri (Giobbe 9.6). Al disopra della terra si distende il cielo, 'paradiso' (shamayim) o 'firmamento' (rakia), una sostanza solida (Genesi 1.6-8) poggiata su pilastri (Giobbe 26.11). Esattamente come la terra, anche il cielo ha un 'estremo limite' (Deuteronomio 4.32). Il sole, la luna e le stelle sono sistemati nel firmamento, o immediatamente sotto di esso (Genesi 1.14-7) e lo attraversano da una parte all'altra (Salmi 19.1-7)... Le acque stanno tanto sopra (Genesi 1.6-7) che sotto il firmamento. Alcune di quelle al disotto del firmamento furono raccolte insieme all'inizio della creazione per formarvi i mari (Genesi 1.9-10), ma in più quelle acque fluiscono sotto la terra (Esodo 20.4; Deuteronomio 4.18; Salmi 24.2) dove sono collegate con le acque di Tehom, il grande abisso (Genesi 1.2). Fontane, pozzi e sorgenti sorgono da queste acque al disotto della terra... La pioggia viene prodotta dalle nuvole (Genesi 9.11-7...). L'acqua contenuta nelle nubi proviene dalle acque che stanno sopra il firmamento di modo che quando il paradiso è 'sprangato' non c'è pioggia (Deuteronomio 11.7), mentre quando il 'tesoro benefico' del cielo è aperto la pioggia cade in abbondanza (Deuteronomio 28.12)." 24 Il mito romano è raccontato ancora da Macrobio: «Durante la guerra sabina, provocata dal ratto delle vergini, i romani avevano fretta di chiudere la porta ai piedi del colle Vicinale, che in seguito fu per questo chiamata Gianuale, perché i nemici facevano impeto in quel punto. Appena chiusa, si aprì da sola; e il fatto si ripetè una seconda e una terza volta. Visto che non era possibile chiuderla, rimasero di guardia armati in gran numero davanti alla soglia. Mentre da un'altra parte si combatteva molto aspramente, all'improvviso corse la voce che i nostri erano stati sbaragliati da Tazio. A questa notizia i romani che difendevano l'accesso fuggirono atterriti. Quando però i sabini stavano per irrompere attraverso la porta aperta, si dice che dal tempio di Giano uscirono attraverso questa porta torrenti impetuosi dalle acque gorgoglianti e molte schiere nemiche perirono bruciate dai flutti bollenti o inghiottite dai gorghi travolgenti. In seguito a ciò si decretò che in tempo 24. L. Jacobs, Cosmologia ebraica, p. 55-7, in C. Blacker-M. Loewe, Antiche cosmologie, Roma 1978, pp. 53-70. 59 di guerra le porte del tempio restassero aperte, come se il dio fosse partito in aiuto della città. Questo per quanto riguarda Giano»25. La comparazione conferma l'identificazione di Giano con la divinità che rappresenta il cielo delle stelle fisse: è dalle acque che stanno "sopra il firmamento" che provengono i flutti impetuosi e i gorghi vorticosi che travolgono i Sabini, sono le porte non "sprangate" del paradisiaco tempio di Giano a non trattenere la pioggia che dà la vittoria ai "nostri". Così - en passant - si svela il mistero delle porte del tempio aperte e chiuse, mistero che da 3.000 anni affatica le menti dei Romani, e non solo.. .26. Può apparire strano rileggere il mito in cui si fondono - e si confondono - memorie di Roma e memorie d'Etruria alla luce di strutture concettuali di origine orientale, e in particolare dell'Oriente semitico, ma questa non è altro che una necessità determinata dall'origine orientale degli Etruschi o, quanto meno, della loro visione del mondo che tanto ha apportato a quella dei Romani. Giunti per questa via a individuare l'essenza di Ianus nel dio "uranico" del cielo delle stelle fisse, si scopre di avere a fianco antichi sostenitori. Scrive Macrobio: «... che Giano fu il primo in Italia ad innalzare templi agli dei e a fissare i riti per il culto... Altri vollero vedere in lui il mondo, cioè il cielo: quindi Ianus da ire (= andare), perché il mondo va sempre, muovendosi in cerchio, e partendo da se stesso a se stesso ritorna»27. 25. Macrobio, Saturnalia 1.9.17-8. 26. Fisicamente - secondo quanto riferisce Vairone (LI. 1.56) - le fonti che con le loro acque travolsero i Sabini furono le Lautulae, chiamate così "dal lavare, perché lì (presso il Senaculum, nel Comizio; nda) vicino a Giano Gemino vi erano delle sorgenti calde". La tradizione romana, conformandosi alle indicazioni della cosmologia mesopotamica, ricorda altri rapporti tra il dio e le acque che emergono di sotterra. Unito a Giuturna, Giano genera Fons o Fontus, divinità delle fonti, alla quale è dedicata un'ara, ancora sul Gianicolo, e una Porta Fontinalis nel Campo Marzio, e alla cui festa - i Fontinalia del 13 ottobre - si gettano corone sulle fonti e intorno alle vere dei pozzi; Giuturna, a sua volta, dà il nome a un lacus che giace a poca distanza dal tempio del dio nel Foro. Unito a Camasena o Camasene, Giano genera Tiberino; unito a Venilia genera una ninfa che sottrae il figlio di Saturno alle attenzioni delle Naiadi di vari fiumi del Lazio, Albula, Numicio, Aniene, Aimone, Nare e Farfara. Non ultimo, il lucus Furrinae, il "bosco di Furrina", ninfa delle sorgenti e divinità delle acque di mezza costa, si leva sul fianco del colle intitolato al dio, il Gianicolo. 27. Macrobio, Saturnalia 1.9.2 e 11. 60 Conferma Arnobio, riportando una tradizione che egli stesso si affretta a contestare: «Cominciamo dunque, secondo le regole, da Giano che anche noi (chiamiamo) padre, e che alcuni di voi (dicono che sia) il mondo, altri Fanno, pochi il sole» . Facendo un passo indietro e tornando alla visione cosmologica semitica, vi si nota la distinzione tra il "firmamento che separa le acque che sono sotto dalle acque che sono sopra, che Dio chiama cielo e crea nel secondo giorno" e le "luci nel firmamento del cielo, che distinguono il giorno dalla notte, servono da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni, e illuminano la terra, e che sono il sole, la luna e le stelle, che Dio crea nel quarto giorno". Il termine "firmamento" rimanda a una nozione di "solidità, forza", ma soprattutto di "fermezza, chiusura" - basti pensare all'espressione latina/zVraa ianua "porta chiusa", o al verbo francese fermer "chiudere". Dunque "firmamento" si presta bene a definire l'involucro che "racchiude" i diversi cieli, da quello più esterno delle stelle fisse al più interno della luna, al centro dei quali sta, immobile, la nostra terra. La nozione di "fermezza" rinvia all'aggettivo sanscrito dhruvàh "fermo, fisso, costante", che diventa, per un dato di natura, il nome proprio della "Stella Polare". La Stella Polare infatti è la più fissa delle stelle fisse, anzi è l'unica vera stella fissa, quella che non si muove mai, il "Perno del Cielo", perno di un Asse del Mondo che nasce da un "Ombelico" sulla terra per arrivare fino al più alto dei cieli e attorno al quale ruota l'intero universo. Una concezione di questo genere è talmente "universale" - non c'è termine più appropriato per definirla - che la si ritrova in tutti i tempi e presso tutti i popoli, con qualche variazione. In molti casi, l'Asse del Mondo è un albero, con le radici in un Ombelico del Mondo sulla terra, che fa da pilastro alla volta celeste; in altri casi, quello che ruota attorno all'asse è un mulino; in altri ancora - per esempio, in India - Cielo e Terra "vengono paragonati alle due ruote poste alle estremità di un assale". In tutti i casi, vi è un pezzo di legno, e a volte un pezzetto di legno - un tappo posto sull'ombelico del mondo o un cavicchio che trattiene la ruota del mulino o una ca28. Arnobio, Contro le genti 3.29.3. 61 viglia che assicura le ruote all'assale - che non si muove, non ruota, sta fermo, ma che, con la sua presenza, garantisce l'eterno moto del mulino, delle ruote, degli astri, dell'universo. In sanscrito, questo piccolo ma essenziale pezzetto di legno ha un nome, ànih, che designa "il perno inserito nell'assale all'esterno della ruota per impedire a questa di fuoriuscire". Dice l'Inno 1.35 del Rìg Veda, al versetto 6: «Le cose immortali hanno bisogno di lui (scil. del cielo di Yama, che è la "casa degli eroi"), come una ruota di carro del perno (ànih)». La domanda cruciale - e finale - è: il termine sanscrito ànih è all'origine del nome etrusco del dio Giano, Ani? Se si risponde di sì, bisogna essere pronti a accettare l'idea che il nome proprio latino di Ianus derivi dall'etrusco Ani e che i nomi comuni latini ianus "passaggio" e ianua "porta" siano delle forme - per così dire - "decadute", entrate nel linguaggio comune per la forza dell'idea che individuano, ma provenienti dal nome proprio del dio bifronte e derivate dalla particolare configurazione del suo tempio con le due porte, di entrata e di uscita, contrapposte. Se si risponde di no, il discorso fatto fin qui serve comunque a inquadrare la figura di Giano in un contesto nuovo, più ricco, più ampio, "universale". Intervengono: Bolognesi, Restelli, Sgarbi, Pittau, De Marchi. La seduta è tolta alle ore 19.00. SEDUTA DEL 18.3.2002 SEDUTA CONGIUNTA SGM-CUSCUS (CENTRO STUDI CAMITO-SEMITICI) Presenti: Aspesi, Bologna, Branca, Brugnatelli, Carruba, De Marchi, Mayer Modena, Milani, Poetto, Restelli, Scala, Sgarbi, oltre a numerosi uditori. Presiedono Bolognesi e Brugnatelli. La seduta ha inizio alle ore 15.00. Viene proposto per l'elezione a socio Igor Fortuna (Brugnatelli e Aspesi). Presentazione dei lavori da parte dei Presidenti sul tema: 62