ISTITUTO DI RICERCA DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI RAPPORTO ITALIA Stato, Imprese e Professioni Maggio 2010 IRDCEC Area di Economia e Statistica Tommaso Di Nardo ha curato la redazione del Rapporto al quale hanno collaborato Gianluca Scardocci, Barbara Guardabascio e Stefano Ranucci. Rapporto chiuso il 12 maggio 2010. 2 INDICE SINTESI p. 4 INTRODUZIONE p. 8 Contro il declino meno spesa pubblica e più trasparenza p. 8 Il quadro macroeconomico p. 10 La lunga marcia della spesa pubblica e gli squilibri degli anni ottanta p. 15 STATO p. 19 Il peso del settore pubblico p. 19 Il conto economico del settore pubblico p. 20 L’economia sommersa e la pressione fiscale reale p. 28 Il debito pubblico p. 30 La simulazione contabile sui conti 2001-2008 p. 35 IMPRESE p. 37 Le Pmi italiane p. 37 Le grandi imprese p. 43 Le medie imprese p. 47 Le piccole imprese p. 51 Le microimprese p. 54 PROFESSIONI p. 58 Liberi professionisti e Ordini professionali p. 58 APPENDICE STATISTICA p. 66 La struttura delle imprese e dell’occupazione p. 66 Indice delle tavole p. 68 3 SINTESI STATO, IMPRESE E PROFESSIONI. Il Rapporto propone un’analisi dell’economia italiana tra stato, imprese e professioni. L’analisi economica si è sempre occupata del rapporto tra stato e mercato, tra pubblico e privato, tra primo e secondo settore dell’economia moderna. I protagonisti sono da sempre lo stato e le imprese o, per meglio dire, lo stato e le grandi imprese. Le professioni, istituite e riconosciute quando lo stato era ancora poco presente nell’economia e si limitava ad avere un ruolo per lo più regolatorio ed essenziale, hanno progressivamente perduto il loro ruolo e il loro peso socio-economico man mano che lo stato cresceva e con esso le grandi imprese pubbliche e i grandi sindacati. L’avvento della globalizzazione dei mercati ha cambiato profondamente i destini delle nazioni, soprattutto di quelle di più antica civilizzazione. L’Italia ha subito un vero e proprio crack economico, finanziario e istituzionale tra il 1992 e il 1993. Si impose una politica di risanamento e di ricostruzione del clima economico, sociale e istituzionale. Nacque la cosiddetta Seconda Repubblica, furono fatte le privatizzazioni, fu varato un piano di risanamento strutturale, si cercò di alleggerire lo stato. La manovra è riuscita in parte, lo stato è ancora troppo esteso e il suo debito pubblico pesa come un macigno sul futuro del paese. La grande impresa italiana fatica nel confronto internazionale, si assiste alla rivincita della media impresa, soprattutto industriale, e alla tenuta della piccola impresa che, anche grazie ai distretti e alla flessibilità del modello italiano, riesce a difendere la nostra economia dalle minacce della globalizzazione. Le professioni, senza nascondere alcuni limiti e difficoltà oggettive di un sistema dimenticato e abbandonato a se stesso, hanno svolto un ruolo fondamentale garantendo la tenuta del sistema attraverso la loro funzione istituzionale di regolatori sociali che si esplica soprattutto nella generazione e rigenerazione di quei sistemi esperti fatti di saperi codificati che sono alla base dei funzionamenti dei sistemi economici e sociali moderni. Il Rapporto è strutturato in una introduzione e in tre capitoli ognuno dedicato ai tre cardini della presente analisi: lo Stato, inteso come Settore Pubblico, le Imprese e le Professioni. Nell’analisi viene dato particolare rilievo alla serie dei conti pubblici 1980-2008 elaborata e diffusa dall’Istat nel 2009. Sono, inoltre, analizzati ì più recenti dati sui conti pubblici italiani, tra cui il conto consolidato del 2009, diffuso dall’Istat nello scorso mese di marzo, e le proiezioni contenute nella Relazione Unificata sull’Economia e la Finanza presentata il 6 maggio scorso dal Ministro dell’Economia e delle Finanze. STATO. Sulla base dei più recenti e aggiornati dati Istat e Mef è stata rielaborato il quadro macroeconomico italiano relativo agli anni 2008-2010 comprendente l’aggiornamento delle stime della pressione fiscale reale già elaborate per il 2008 4 in occasione della II Conferenza annuale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. I principali dati sono esposti nella tabella 1. La pressione fiscale reale balza dal 50,8% del 2008 al 51,6% del 2009 seguendo e ampliando l’aumento della pressione fiscale ufficiale che, come è noto, incorpora per il 2009 le entrate straordinarie dello scudo fiscale. Per il 2010, infatti, è previsto un calo della pressione fiscale reale fino al 51% del Pil. Nel Rapporto sono anche riportate le più recenti stime di F. Schneider sull’economia sommersa dei principali paesi Ocse. Per l’Italia, si stima un peso del sommerso in costante crescita nel triennio fino a raggiungere il 22,2% nel 2010. Anche in questo caso, l’Italia è seconda solo alla Grecia. Il Pil sommerso definibile in qualche modo ufficiale, così come viene calcolato e diffuso dall’Istat, e secondo dati medi relativi al periodo 2000-2006, utilizzato per la stima della pressione fiscale reale è pari, invece, al 16,4%. Tab. 1 Economia sommersa e Pressione fiscale Indicatori 2008 2009 Pressione fiscale ufficiale (Istat) 42,9% 43,2% Pressione fiscale reale* 50,8% 51,6% Economia sommersa (stime F. Scheider) 21,4% 22,0% Pil sommerso (stime Istat)** 17,6% 17,6% Pil sommerso (stime Istat)*** 16,4% 16,4% * Stime Irdcec; **Media 2000-2006; ***Media 2004-2006 2010 42,8% 51,0% 22,2% 17,6% 16,4% Per comprendere la portata di una spesa pubblica particolarmente elevata in rapporto al Pil e di un’economia sommersa così estesa, soprattutto sull’equilibrio macroeconomico e finanziario dei conti pubblici italiani è stato svolto un esercizio di simulazione contabile sui conti 2001-2008. Si segnala che la simulazione ha un valore puramente indicativo ed è finalizzata a mostrare cosa può succedere ai conti pubblici italiani se la spesa diminuisce e viene mantenuta a un livello sostenibile e se lo stesso accade per l’economia sommersa. Il principale risultato sarebbe ovviamente rappresentato da un calo significativo del deficit e del debito pubblico come mostrato nella tabella 2 e nel grafico per il solo rapporto Debito/Pil. Tab. 2 Bilancio pubblico reale e simulato** Voci economiche 2008* 2008** Var. Spesa pubblica 49,4% 46,2% -3,2% Entrate pubbliche 46,7% 48,2% 1,5% Deficit totale -2,7% 4,4% 7,1% Debito/Pil 106,1% 71,8% -34,3% *Dati Istat - **Dati simulati **Risultati della simulazione - Rapporto Irdcec Italia 2010. La simulazione contabile 20012008 contenuta nel Rapporto è basata sull'ipotesi che la spesa pubblica cresca annualmente a un tasso pari ad uno più il tasso di inflazione e che nello stesso anno il Pil sommerso sia pari ad un livello considerato fisiologico del 12%. 5 IMPRESE. Nello scenario globale l’Italia è l’unico paese industriale nel quale le micro e piccole imprese realizzano più del 50% del valore aggiunto totale. Ciò accade perché l’Italia presenta una particolare struttura imprenditoriale caratterizzata dalla diffusione della piccola impresa e dalla varietà dei tipi imprenditoriali piuttosto unica nel panorama globale. La prevalenza della piccola impresa in Italia è segno di vivacità e flessibilità del sistema che al suo interno però presenta cospicue differenze e disparità non poco rilevanti. Perciò le performance medie raffrontate con quelle degli altri paesi industrializzati sono quasi sempre negative. Evidentemente gli aspetti negativi del sistema prevalgono su quelli positivi e la disattenzione verso la piccola impresa assume connotati sempre più drammatici. Nella composizione della forza lavoro impiegata dal sistema imprenditoriale, in Italia si riscontra un livello particolarmente elevato di addetti indipendenti. Gli indici di produttività media sono sistematicamente inferiori a quelli medi dei paesi più industrializzati. Le grandi imprese faticano a tenere il passo dei mercati globali e se non fosse per la particolare dinamicità delle medie imprese, soprattutto di quelle industriali, il sistema italiano presenterebbe dati ancora più negativi. Tabella 1. Indicatori di struttura e di performance delle imprese per gruppi dimensionali. Anno 2007. Valori in percentuale del totale. Dati Istat 2009 Micro Piccole Medie Grandi Imprese Imprese Imprese Imprese TOTALE Imprese (numero) 94,8% 4,7% 0,5% 0,1% 4.401.827 Addetti (numero) 47,4% 21,5% 12,6% 18,5% 17.034.452 Dipendenti (numero) 25,1% 28,8% 18,5% 27,6% 11.412.276 Fatturato 27,1% 23,5% 20,0% 29,4% 2.961.492.237 Valore aggiunto 32,5% 23,2% 16,0% 28,3% 721.951.626 Costo del lavoro 18,0% 27,2% 20,9% 33,9% 365.705.261 Investimenti 30,0% 17,8% 17,1% 35,1% 125.323.598 6 PROFESSIONI. L’Italia vanta un tasso di disoccupazione tra i più bassi del mondo occidentale sviluppato, ma resta un paese con una scarsa propensione al lavoro; il tasso di attività e il tasso di occupazione sono tra i più bassi. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro è ancora molto lontana dalle medie occidentali. I liberi professionisti rappresentano l’unica componente del mercato del lavoro italiano che continua a crescere nonostante la crisi e nonostante il calo generalizzato che ha colpito il lavoro autonomo; è, infatti, la componente che negli ultimi 15 anni è cresciuta a ritmo più elevato. La crescita maggiore ha riguardato il comparto dei servizi alle imprese, significativa però è anche la crescita del comparto dei servizi alla persona e alla pubblica amministrazione. Secondo l’Istat nel 2009 i liberi professionisti occupati in Italia sono 1.148.400, pari al 5% dell’occupazione totale e al 20% degli occupati indipendenti. Dal 2000 al 2009 l’occupazione totale è cresciuta in Italia del 9,2%. La variazione complessiva è il risultato di un aumento degli occupati dipendenti pari al 14,2% e di una diminuzione degli occupati indipendenti pari al 3,4%. Nello stesso periodo i liberi professionisti sono aumentati del 13,6%. Tabella 1. Occupati per posizione nella professione. Anni 2000 e 2009. POSIZIONE NELLA PROFESSIONE INDIPENDENTI 2000 5.948.583 2009 5.748.274 Quote 2000 28,2% Var. 00-09 -3,4% Quote 2009 25,0% 524.876 261.032 2,5% -50,3% 1,1% Liberi professionisti 1.010.856 1.148.400 4,8% 13,6% 5,0% Lavoratori in proprio Imprenditori 3.301.456 3.546.323 15,7% 7,4% 15,4% Soci di cooperativa di produzione 273.157 34.329 1,3% -87,4% 0,1% Coadiuvanti familiari, Co.co.co., Prestatori d'opera occasionali 838.238 362.640 4,0% -56,7% 1,6% 75,0% 71,8% 14,2% Dirigenti 348.065 465.651 1,7% 33,8% 2,0% Direttivi-Quadro 972.771 1.198.563 4,6% 23,2% 5,2% Impiegati o Intermedi 6.519.165 7.319.074 30,9% 12,3% 31,8% Operai, Subalterni ed Assimilati 7.081.338 8.072.445 33,6% 14,0% 35,1% 179.849 213.005 0,9% 18,4% 30.005 7.980 0,1% -73,4% 0,9% 0,0% 9,2% 100,0% DIPENDENTI Apprendisti Lavoranti a domicilio per conto imprese TOTALE OCCUPATI 15.131.192 17.276.718 21.079.775 23.024.992 100,0% Nel 2009, secondo i dati raccolti ed elaborati dal Censis e rielaborati dall’Irdcec, gli iscritti ai 25 Ordini e Collegi professionali sono 2.020.905 unità. Rispetto al 2000, gli iscritti a Ordini e Collegi professionali sono cresciuti del 26,6%. Nello stesso periodo, secondo l’Istat, gli occupati liberi professionisti sono 1.148.400 pari al 57% degli iscritti agli Ordini. Nel 2008 gli iscritti contribuenti alle casse previdenziali private dei professionisti sono stati pari a 1.039.599 unità*. * I dati relativi agli iscritti ad albi professionali provengono direttamente dagli Ordini e sono dati di natura amministrativa. I dati relativi agli occupati liberi professionisti derivano dalle rilevazioni condotte dall’Istat nell’ambito del mercato del lavoro e sono, pertanto, dati di natura statistica. La 7 INTRODUZIONE Contro il declino meno spesa pubblica e più trasparenza MENO SPESA PUBBLICA – MIGLIORE SPESA PUBBLICA. In uno scenario economico globale contrassegnato da un’accesa competizione dei mercati per l’emergere di nuove economie caratterizzate da una forte dinamica industriale, i sistemi produttivi di più antica formazione sono esposti a squilibri di carattere competitivo e sono costretti ad innovare perennemente per garantire la crescita della produttività e quindi in definitiva della redditività. Nella maggior parte dei paesi più industrializzati la crescita del settore pubblico, quale produttore e fornitore di numerosi beni e servizi fondamentali e meno fondamentali per il benessere sociale, condiziona fortemente lo sviluppo del settore produttivo privato da cui proviene essenzialmente la spinta all’innovazione. In Italia, il settore pubblico ha subito una crescita notevole e relativamente più ampia rispetto alle altre economie europee, soprattutto a partire dagli anni sessanta, condizionando fortemente la capacità del sistema produttivo di tenere il passo della globalizzazione. La pressione fiscale, l’economia sommersa e il debito pubblico hanno raggiunto livelli insostenibili che sono la causa delle difficoltà del sistema imprenditoriale a confrontarsi con la globalizzazione. La riduzione della pressione fiscale richiede la riduzione continua e sistematica della spesa pubblica. L’alternativa riposta nella crescita più sostenuta del Pil, quale meccanismo di leva per la riduzione della pressione fiscale e la sostenibilità dei livelli attuali di spesa pubblica, appare decisamente illusoria. L’analisi retrospettiva mostra come l’Italia abbia imboccato la strada giusta tra il 1992 e il 2000, assicurando un rientro della spesa di livello significativo, basato soprattutto sul contenimento degli interessi sul debito. Dal 2001, la spesa è ritornata a crescere e cresce ancora di più dopo la crisi finanziaria e la recessione mondiale. discrepanza rispetto agli iscritti è dovuta in parte alla disoccupazione e in parte alla posizione lavorativa da dipendente di molti iscritti ad albi. Il dato relativo agli iscritti alle casse di previdenza private è relativo alla sommatoria delle seguenti casse: ENPAP (psicologi), INPGI (giornalisti), INARCASSA (ingegneri e architetti), ENPAV (veterinari), CNPADC (commercialisti), CNPR (ragionieri), CF (avvocati), EPAP (attuari, agronomi, geologi, chimici), ENPAF (farmacisti), ENPACL (consulenti), ENPAPI (infermieri), ENPAM (medici), ENPAB (biologi), EPPI (periti industriali), ENPAIA (agrotecnici e periti agrari), CIPG (geometri), fondo spedizionieri. 8 Un nuovo piano di rientro della spesa basato sul recupero della quota di interessi passivi è praticamente impossibile, anzi un eventuale improvviso rialzo del costo del denaro in Europa presenterebbe rischi notevoli per l’Italia, poiché aggiungerebbe alla crescita attuale della spesa anche la componente dovuta alla ripresa della spesa per interessi sul debito. In questo quadro è, dunque, fondamentale agire sulla spesa pubblica. L’azione può essere di tipo quantitativo ed è quindi basata su tagli di spesa da tradurre automaticamente in riduzioni della pressione fiscale. L’azione può e deve essere però anche di tipo qualitativo, basata sul miglioramento del rendimento della spesa a parità di voci di bilancio. UN MODELLO DI SVILUPPO IN DECLINO. Il modello di sviluppo italiano conserva una forte dimensione sociale che protegge il sistema economico dagli shock internazionali ma allo stesso tempo ne blocca lo sviluppo. È caratterizzato da un basso livello di indebitamento delle famiglie, da un elevato debito pubblico e dalla presenza relativamente maggiore rispetto alla media europea di lavoro autonomo. La crisi del modello italiano nasce negli anni ’80 e si manifesta negli anni ’90 nei termini di un vero e proprio crack istituzionale. L’entrata nell’euro garantisce protezione e affidabilità ma non genera sviluppo. Il modello di welfare entra in azione svolgendo un importante ruolo protettivo e manifestando direttamente le funzioni di assicurazione e di efficienza insite nella spesa sociale e nei sistemi di ammortizzazione naturali della società come ad esempio la famiglia, ma limita fortemente e in molti casi impedisce il funzionamento del meccanismo delle capability (A. Sen) alla base della moderna teoria dello sviluppo economico. Il sistema produttivo italiano presenta un’impressionante varietà di imprese. Punto di forza del modello di sviluppo italiano dal dopoguerra agli anni ’70-’80, la varietà imprenditoriale italiana diventa punto debole. Si accentuano i problemi del nanismo imprenditoriale e si manifestano gli endemici problemi della bassa produttività e del modello di specializzazione. L’incapacità di risolvere il dualismo territoriale accentua il problema della produttività del sistema e genera la “questione settentrionale” da cui parte il progetto federale. La forte tensione nel sistema industriale si associa al manifestarsi di un lento e continuo deterioramento del terziario. Da un lato, l’eccessiva polverizzazione del terziario tradizionale, soprattutto nei trasporti e nel commercio, dall’altro lato, le difficoltà del terziario avanzato che manifesta una reazione più di tipo adattativo che propulsivo. Ne viene fuori un’economia a minore intensità di capitale rispetto a quelle più sviluppate e avanzate che genera necessariamente meno competitività e meno redditività. 9 LO SLACK (INEFFICIENZA SISTEMICA). Il Paese non ha ancora capito la crisi che ha colpito il proprio sistema economico. Siamo passati dal miracolo al declino senza capire bene quel che è successo. L’aver perso la spinta vitale della ricostruzione è spiegazione troppo semplicistica. La crisi va interpretata essenzialmente in termini di slack (inefficienza sistemica) che ha colpito il Paese quando l’equilibrio tra stato e mercato, tra pubblico e privato si è rotto a favore del pubblico per ragioni interne (dovute al compromesso tra forze produttive e improduttive) e per ragioni esterne (dovute alla globalizzazione e alla nascita dell’euro). Lo slack ha generato una sorta di assuefazione, l’improduttività si è estesa come un cancro arrivando in molti casi a paralizzare il sistema che è sopravvissuto grazie a ripetute operazioni di aggiustamento (quante manovre riuscite e quante riforme fallite). CONTROLLO, VALUTAZIONE E TRASPARENZA. L’improduttività (o la bassa produttività) si combatte soprattutto attraverso riforme di sistema che non toccano il bilancio pubblico. Interventi normativi e pratici che bloccano i comportamenti improduttivi e incentivano quelli produttivi. Ad esempio, politiche di aumento della trasparenza (che non siano semplicemente limitate alla questione dell’accesso agli atti amministrativi) che riducono le asimmetrie informative e i costi di transazione (O. Williamson). La trasparenza fa parte delle strategie di miglioramento (dell’efficienza e della produttività) basate su valutazione e accountability. Un sistema di valutazione del servizio pubblico (inteso in senso generale) che abbia un alto valore normativo, un forte approccio gestionale e che sia basato su un metodo di calcolo del valore economico del servizio che valuti gli input in termini di costo-opportunità e non semplicemente in termini di spesa come accade adesso. Il quadro macroeconomico LO SHOCK ECONOMICO-FINANZIARIO DEL 2009. L’economia italiana, come la maggior parte delle economie mondiali più sviluppate, è entrata in recessione nel 2009, anno nel quale il pil ha fatto registrare il crollo del 5% in termini reali e del 3% in termini nominali. La crisi finanziaria internazionale ha colpito duramente la domanda aggregata che è diminuita notevolmente sia per il calo dei consumi e degli investimenti interni che per la diminuzione della domanda estera e degli investimenti dall’estero. Il pil nominale calcolato a prezzi correnti nel 2009 è stato inferiore a quello del 2008 per 47 miliardi di euro. È l’unico caso riscontrabile dal 1980 di riduzione del pil in valore nominale ovvero al lordo dell’inflazione che nel 2009 è stata pari allo 10 0,7%. Nello stesso anno, però, la spesa pubblica è aumentata di 24 miliardi di euro e le entrate sono calate di 14 miliardi di euro. Di conseguenza il deficit è aumentato di 38 miliardi di euro pari al 2,5% del pil. Il debito pubblico complessivo è salito di 98 miliardi di euro (il 6,4% del pil). Infine, gli interessi passivi sono calati di 10 miliardi di euro e, nonostante ciò, la spesa corrente al netto degli interessi è aumentata di 27 miliardi di euro. La crisi finanziaria internazionale 2007-2008 ha provocato un vero e proprio shock nei conti pubblici italiani del 2009, uno dei più potenti shock in assoluto che una finanza pubblica nazionale abbia mai subito in tempo di pace. Nonostante ciò, per il 2010 è prevista una ripresa dell’economia con un tasso di crescita reale vicino all’1% e, almeno fino a maggio, il debito pubblico italiano ha conservato il rating del 2008. Le conseguenze dello shock per il futuro sono rintracciabili in un livello più elevato della spesa pubblica, che nel 2010 non ritorna ai livelli pre-crisi, e in un livello permanentemente alto della pressione fiscale che rende impossibile qualsiasi ipotesi e qualsiasi piano di riduzione delle tasse sulle imprese e sulle famiglie. ECONOMIA SOMMERSA E PRESSIONE FISCALE. Le ultime stime di F. Schneider sull’economia sommersa italiana rivelano un aumento dell’incidenza della stessa sul pil tra il 2008 e il 2010 di 0,8 punti di pil, che risulta però inferiore all’aumento previsto per la Grecia pari a 0,9 punti di pil e a Portogallo, Irlanda e Regno Unito pari a 1 punto di pil. L’Italia resterebbe in ogni caso il paese con l’economia sommersa più alta in rapporto al pil dopo la Grecia che, con tre punti di pil in più, raggiunge un livello di 25,2% nel 2010. Tenendo conto delle stime Istat in tema di economia sommersa e relative al valore aggiunto sommerso che viene contabilizzato nel pil, e aggiornando le stesse al 2010 in misura proporzionale ai valori stimati per il 2006 (ultimo anno per il quale l’Istat ha rilasciato le stime sull’economia sommersa), il sommerso italiano raggiunge i 247 miliardi di euro nel 2009, pari al 16,2% del pil, e la pressione fiscale reale, calcolata rapportando le entrate fiscali al pil al netto del sommerso, raggiunge il 51,7% contro il 43,3% ufficiale. Pertanto, l’evasione fiscale nel 2009 sarebbe pari a 128 miliardi di euro. CONFRONTI INTERNAZIONALI. Dal quadro macroeconomico Eurostat del 2008 si evince come l’Italia sia al 1° posto per debito pubblico in rapporto al pil, al 1° posto per livello di interessi passivi in rapporto al pil, all’8° posto per pressione fiscale e rapporto deficit/pil e al 9° posto per rapporto spesa/pil. In confronto ai Pigs, l’Italia ha il rapporto spesa-pil e la pressione fiscale più alti, ma nel 2009 la spesa esplode nei Pigs in misura molto più elevata che in Italia e la pressione fiscale si riduce mentre in Italia aumenta. Ciò determina un forte aumento del deficit nei Pigs che registrano anche grossi problemi di crescita economica e aumenti notevoli dei tassi di disoccupazione. 11 QUADRO MACROECONOMICO 2008-2010* Tab 1. Dati in miliardi di euro 2008 2009 2010 1.568 1.521 1.554 PIL 775 799 806 SPESA AP 732 718 728 ENTRATE AP 43 81 78 DEFICIT AP 672 657 665 ENTRATE F. 1.663 1.761 1.836 DEBITO AP 81 71 71 INTERESSI P. 635 662 675 SCP** *I dati 2008-2009 sono di fonte Istat, 1 marzo 2010. I dati 2010 sono stime tratte dalla RUEF del MEF (maggio 2010) **Spesa Corrente Primaria (al netto degli interessi passivi) Tab. 2 Variazioni percentuali 2008 2009 2010 1,40% -3,0% 2,2% PIL 3,60% 3,1% 0,9% SPESA AP ENTRATE AP 1,10% -1,9% 1,4% 83,60% 88,4% -3,7% DEFICIT AP 0,90% -2,2% 1,2% ENTRATE F. 4,00% 5,9% 4,4% DEBITO AP INTERESSI P. 5,20% -12,3% 0,0% 4,50% 4,3% 2,0% SCP** *I dati 2008-2009 sono di fonte Istat, 1 marzo 2010. I dati 2010 sono stime tratte dalla RUEF del MEF (maggio 2010) **Spesa Corrente Primaria (al netto degli interessi passivi) Tab. 3 Valori in percentuale del Pil 2008 2009 2010 100,0% 100,0% 100,0% PIL 49,4% 52,5% 51,9% SPESA AP ENTRATE AP 46,7% 47,2% 46,8% 2,7% 5,3% 5,0% DEFICIT AP 42,9% 43,2% 42,8% ENTRATE F. 106,1% 115,8% 118,3% DEBITO AP 5,2% 4,7% 4,6% INTERESSI P. 40,5% 43,5% 43,4% SCP** *I dati 2008-2009 sono di fonte Istat, 1 marzo 2010. I dati 2010 sono stime tratte dalla RUEF del MEF (maggio 2010) **Spesa Corrente Primaria (al netto degli interessi passivi) 12 Tab. 4 Pressione fiscale ufficiale e Pressione fiscale reale Valori assoluti e valori in % del Pil 2008 2009 2010 1.567.851 1.520.870 1.564.796 PIL 244.077 247.041 250.044 VAS* 1.323.774 1.273.829 1.314.752 PIL-VAS* 672.148 658.861 665.268 ENTRATE F. PF ufficiale PF reale 42,9% 50,8% 43,3% 51,7% 42,5% 50,6% *Ns stime su dati Istat. Cfr. Appendice. Tab. 5 Economia sommersa – Stime F. Schneider OECD Valori in % del Pil 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 PAESI GRECIA ITALIA PORTOGALLO SPAGNA BELGIO SVEZIA NORVEGIA GERMANIA DANIMARCA FINLANDIA OECD (21) IRLANDA CANADA FRANCIA AUSTRALIA REGNO UNITO OLANDA NUOVA ZELANDA GIAPPONE AUSTRIA SVIZZERA STATI UNITI 2008 24,3 21,4 18,7 18,7 17,5 14,9 14,7 14,2 13,9 13,8 13,3 12,2 12,0 11,1 10,6 10,1 9,6 9,4 8,8 8,1 7,9 7,0 2009 25,0 22,0 19,5 19,5 17,8 15,4 15,3 14,6 14,3 14,2 13,8 13,1 12,6 11,6 10,9 10,9 10,2 9,9 9,5 8,47 8,3 7,6 2010 25,2 22,2 19,7 19,8 17,9 15,6 15,4 14,7 14,4 14,3 14,0 13,2 12,7 11,7 11,1 11,1 10,3 9,9 9,7 8,67 8,34 7,8 13 Tab. 6 Quadro macroeconomico Eurostat 2008 Valori in % del Pil PAESI 1 Italy SPESA INTERESSI ENTRATE DEFICIT DEBITO 49,4% 5,1% 46,7% -2,7% 106,1% 2 Greece 46,8% 4,6% 39,1% -7,7% 99,2% 3 Belgium 50,0% 3,8% 48,8% -1,2% 89,8% 46,9% 3,0% 44,9% -2,0% 69,6% 4 France 52,7% 2,8% 49,3% -3,4% 67,4% 5 Portugal 46,1% 3,0% 43,2% -2,8% 66,3% 6 Germany 43,7% 2,7% 43,7% 0,0% 65,9% 7 Malta 44,9% 3,3% 40,2% -4,7% 63,7% 8 Austria 48,9% 2,6% 48,4% -0,4% 62,6% 46,9% 2,7% 44,6% -2,3% 61,5% 45,9% 2,1% 46,6% 0,7% 58,2% 10 United Kingdom 47,3% 2,3% 42,4% -6,3% 54,6% 11 Cyprus 42,6% 2,8% 43,5% 0,9% 48,4% 12 Ireland 42,0% 1,0% 34,7% -7,3% 43,9% 13 Spain 41,1% 1,6% 37,0% -4,1% 39,7% 14 Finland 49,1% 1,5% 53,5% 4,5% 34,2% 15 Slovakia 34,8% 1,2% 32,5% -2,2% 27,7% 16 Latvia 38,8% 0,8% 34,6% -5,9% 27,6% 17 Slovenia 44,2% 1,1% 42,4% -1,8% 22,5% 18 Luxembourg (Grand-Duché) 37,7% 0,3% 40,2% 2,5% 13,5% 19 Poland 43,3% 2,2% 39,6% -1,0% 11,4% 20 Bulgaria 37,3% 0,8% 39,1% 0,9% 7,2% 21 Lithuania 37,4% 0,6% 34,2% -0,9% 4,5% 22 Denmark 51,8% 1,4% 55,3% 0,5% 4,5% 23 Sweden 53,0% 1,7% 55,5% 0,3% 3,5% 24 Romania 37,6% 0,7% 32,1% -1,5% 3,3% 25 Czech Republic 42,9% 1,1% 40,9% -0,1% 1,1% 26 Estonia 39,9% 0,2% 37,1% -0,2% 0,3% 27 Hungary 49,2% 4,1% 45,5% 0,0% 0,3% Euro area European Union 9 Netherlands Tab. 7 I PIGS e l’Italia Valori in % del Pil SPESA S 08 S 09 ENTRATE E 08 E 09 DEFICIT D 08 D 09 DEBITO VAR. DB 08 DB 09 VAR. Spain 41,1% 45,9% 37,0% 34,7% -4,1% -11,2% 7,1% 39,7% 53,2% 13,5% Greece 46,8% 50,4% 39,1% 36,9% -7,7% -13,6% 5,9% 99,2% 115,1% 15,9% Ireland 42,0% 48,4% 34,7% 34,1% -7,3% -14,3% 7,0% 43,9% 64,0% 20,1% Portugal 46,1% 51,0% 43,2% 41,6% -2,8% -9,4% 6,6% 66,3% 76,8% 10,5% Italy -5,3% 2,6% 106,1% 115,8% 49.4% 51,9% 46,2% 46,6% -2,7% 9,7% 14 La lunga marcia della spesa pubblica e gli squilibri strutturali degli anni ottanta Nel 1870 la spesa pubblica nei principali paesi sviluppati era di poco superiore al 10% del pil. Lo stato si limitava a regolare i mercati e a produrre beni e servizi pubblici puri, come la difesa e l’ordine pubblico. La prima spinta all’aumento della spesa e conseguentemente del debito arriva dalle spese belliche. Tra la prima e la seconda guerra mondiale l’aumento è di circa 10 punti di Pil e il rapporto supera il 20%. Il suffragio universale e la crescente domanda sociale di beni pubblici misti e meritevoli condurranno ad un aumento della spesa pubblica nei principali paesi europei di circa 20 punti di Pil fino al 1980, portando il rapporto a superare il 40%. Nel 1960, all’indomani della seconda guerra mondiale, il confronto internazionale non rileva particolari differenze nel rapporto spesa/Pil che si attesta intorno al 30%, con valori molto bassi in Giappone e Svizzera, intorno al 17%, e valori più alti in Francia e Austria, intorno al 35%. Nel 1980, la Svezia ha portato il rapporto spesa/Pil al 60%, la Germania e l’Austria al 48%, la Francia al 46% e l’Italia al 42% in linea con la media internazionale del 43%. Il Giappone e gli Usa restano ancorati al 30%, mentre Australia e Canada presentano rapporti più alti ma comunque inferiori al 40%. Le medie internazionali continueranno a salire nei decenni successivi, ma la spinta alla crescita della spesa pubblica è chiaramente un fenomeno europeo. Dopo la Svezia, anche la Norvegia e l’Italia sfondano la quota del 50% del Pil e successivamente toccherà anche alla Francia e all’Austria. Nel 1990, la media è salita al 43% e l’Italia è il paese che fa registrare l’aumento maggiore nel decennio che va dal 1980 al 1990. Concentriamo adesso l’attenzione sull’Italia e in particolare sul periodo che va dal 1980 ai giorni nostri in modo da seguire anno per anno l’evoluzione della spesa pubblica. All’inizio il trend è crescente e nel 1993 raggiunge il picco assoluto del 57% del pil. Chiameremo questa prima fase dell’analisi il “periodo grasso” della spesa pubblica italiana. A partire dal 1994 la spesa pubblica si riduce non tanto in valore assoluto ma quanto in rapporto al Pil. Il trend dura fino al 2000 quando il rapporto scende al 46%. Chiameremo questa seconda fase dell’analisi il “periodo magro”. A partire dal 2001, la spesa riprende a crescere in maniera più veloce del Pil fino a portarsi al 53% del 2009. L’analisi e il ciclo delle tre fasi sono rappresentati nei grafici seguenti. 15 La spesa pubblica 56,6% La grande dieta 52,5% Il grande "spending" 46,2% Il ritorno dello "spending" 41,4% 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 La pressione fiscale 2007: 1993: La grande manovra 42,9% (Governo Amato) 43,7% L'eurotassa 42,5% 40,4% 2005: Ultimo anno interamente imputabile al Governo Berlusconi 31,4% 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 16 L’economia sommersa Il debito pubblico 121,8% 118,1% Il grande spending La galoppata del debito si ferma al 121,8% nel 1994 56,1% +13,9 La grande dieta Il rientro del debito dura fino al 2004: 103,8 103,8% Il ritorno dello spending Il debito scende fino al record del 103,4 nel 2007, poi stacca rapidamente verso l'alto, ai livelli della prima fase 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 17 La spesa e le entrate Il Prodotto Interno Lordo 4,2% 3,2% 0,4% 1,9% 1,5% 1,5% 0,5% 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 Il grande spending Il pil galoppa insieme alla spesa pubblica, ma alla fine crolla. La grande dieta Meno brillante di prima, il pil ritorna a galoppare. Il ritorno dello spendig Il pil, colpito anche da shock esogeni, ‐5,0% crolla di nuovo. 18 STATO Il peso del settore pubblico IL SETTORE PUBBLICO. Nell’ultimo secolo, a partire dai paesi di più antica formazione e storia industriale, il ruolo dello stato nell’economia è cresciuto considerevolmente, fino a raggiungere livelli insostenibili. PRODUZIONE E REDISTRIBUZIONE. Lo stato, qui inteso come l’insieme dei soggetti pubblici che formano il complesso delle pubbliche amministrazioni di un paese, e più genericamente definito come settore pubblico, esercita la sua azione attraverso la produzione di beni e servizi (meritori), la redistribuzione del reddito nazionale (trasferimenti) e la regolamentazione del settore privato dell’economia e della vita sociale in generale. L’azione dello stato esercita un notevole impatto sul benessere collettivo di un paese, benessere che viene normalmente misurato attraverso il pil, ma che richiederebbe nuove misure per tenere conto anche di altri effetti e risultati che non sono ricompresi nel pil. Se le attività di regolamentazione si possono misurare attraverso analisi e metodi di valutazione a partire dalla tradizionale analisi costi-benefici, e ciò accade molto spesso quando si calcolano ad esempio i costi della burocrazia per le imprese e per i cittadini, le altre attività dello stato, comprese quelle necessarie a far funzionare gli istituti che governano la regolamentazione, vengono normalmente misurate attraverso la spesa pubblica e vengono finanziate attraverso la pressione fiscale, le altre entrate pubbliche e il deficit di bilancio che, come è noto, genera annualmente una parte determinante della variazione del debito pubblico. LE DETERMINANTI DELLA SPESA. Il considerevole aumento della spesa pubblica avvenuto nel corso dell’ultimo secolo è stato determinato dall’aumento della produzione e distribuzione di beni e servizi da parte dello stato alla collettività e dall’aumento dei trasferimenti in denaro alle famiglie e alle imprese per soddisfare un bisogno sociale sempre maggiore in economie e società sempre più strutturate e complesse. La volontà di garantire al maggior numero possibile di cittadini alcuni servizi pubblici fondamentali, tra cui l’istruzione, la sanità e la previdenza sociale, ha determinato nel tempo un ampliamento notevole della domanda e conseguentemente dell’offerta perdendo di vista i principi basilari dell’economia, vale a dire l’efficienza e la sostenibilità. LE CONSEGUENZE FISCALI. Per garantire il funzionamento del sistema, lo stato ha dovuto introdurre e gestire un sistema fiscale capace di drenare risorse dal pil alla spesa pubblica. Nel tempo la pressione fiscale, ovvero la parte di pil che viene impiegata per finanziare la spesa pubblica, è cresciuta enormemente sottraendo sempre più risorse al mercato per trasferirle al settore pubblico. Ciò ha 19 penalizzato, tra l’altro, i settori e i luoghi nei quali il mercato era più diffuso e sviluppato, determinando forti asimmetrie settoriali e territoriali. Il mercato stesso ha risposto aumentando la flessibilità e, a seconda delle possibilità, ha provato a trattenere quote di pil cercando di evitare la pressione fiscale. Né è scaturito il circolo vizioso “più tasse più evasione” che ha portato alla formazione di un’economia sommersa di enormi dimensioni e conseguentemente ha appesantito la pressione fiscale sul mercato più strutturato e meno flessibile rappresentato dalle medie e grandi imprese e dal lavoro dipendente. IL SISTEMA SOCIALE. Ciò di fatto ha legittimato il sistema di potere sociale rappresentato dalla grande politica, dalla grande impresa e dai grandi sindacati relegando ai margini del sistema la piccola impresa e il mondo delle professioni. In questo capitolo del rapporto vedremo quanto è cresciuta negli ultimi anni la spesa pubblica, quale livello ha raggiunto nel 2009, quali sono le proiezioni per il futuro e come si colloca il nostro paese nello scenario europeo e internazionale. Vedremo, inoltre, quanto è cresciuta di conseguenza la pressione fiscale e quanto pesa oggi realmente il fisco se consideriamo l’esistenza dell’economia sommersa. Il capitolo si chiude con la presentazione di un esercizio retrospettivo di simulazione contabile che mostra cosa sarebbe potuto succedere se la spesa pubblica fosse aumentata a un ritmo pari a quello del tasso di inflazione e se l’economia sommersa fosse rimasta a un livello considerato fisiologico mediamente in linea con quello degli altri paesi europei. Il conto economico del settore pubblico USCITE, ENTRATE E SALDI DI FINANZA PUBBLICA NEL 2009. Secondo i dati più recenti diffusi dall’Istat, nel 2009 la spesa pubblica italiana ha raggiunto i 799 miliardi di euro pari al 52,5% del pil (+3,1% sul 2008). Le entrate complessive sono state pari a 718 miliardi di euro pari al 47,2% del pil (-2,3%). Il saldo finale tra entrate e uscite è risultato negativo per 80,8 miliardi di euro pari al 5,3% del pil (+90%). Per la prima volta dopo molti anni, il saldo primario è risultato negativo per 9,5 miliardi di euro, lo 0,6% del pil (-125%). Il saldo corrente è risultato negativo per 31 miliardi di euro, pari al 2% del pil (-358%). Il fabbisogno del settore pubblico è stato pari a 87,9 miliardi, la variazione del debito pubblico è stata di 97,3 miliardi e il debito pubblico finale ha raggiunto i 1.760,7 miliardi di euro pari al 115,8% del pil (+5,9%). Il pil è stato pari a 1.520,9 miliardi euro (3%). 20 Tabella 1. Il conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche. Valori 2009 in milioni di euro, valori in % del Pil e variazioni % rispetto al 2008 2009 % del Pil Tasso di crescita 327.814 171.578 92.718 21,6% 11,3% 6,1% 3,3% 1,0% 7,5% 44.481 2,9% 4,0% 291.335 752 41.895 661.796 71.288 733.084 37.040 24.445 4.285 65.770 798.854 19,2% 0,0% 2,8% 43,5% 4,7% 48,2% 2,4% 1,6% 0,3% 4,3% 52,5% 5,1% -7,0% 5,4% 4,2% -12,2% 2,3% 7,0% 10,3% 165,8% 12,7% 3,1% ENTRATE Imposte dirette Imposte indirette Contributi sociali effettivi Contributi sociali figurativi Altre entrate correnti Totale entrate correnti Imposte in c/capitale Altre entrate in c/capitale Totale entrate in c/capitale Totale entrate complessive ENTRATE FISCALI 222.655 206.956 210.917 4.086 57.341 701.955 12.247 3.852 16.099 718.054 656.861 14,6% 13,6% 13,9% 0,3% 3,8% 46,2% 0,8% 0,3% 1,1% 47,2% 43,2% -7,1% -4,2% -0,5% 5,3% 1,1% -3,6% 2409,6% 19,7% 334,4% -1,9% -2,3% SALDI Saldo corrente Saldo primario -31.129 -9.512 -2,0% -0,6% -357,5% -124,7% Voci economiche USCITE Spesa per consumi finali di cui: redditi da lavoro dipendente consumi intermedi prestazioni sociali in natura acquistate direttamente sul mercato Prestazioni sociali in denaro Imposte dirette pagate dalla PA Altre uscite correnti Uscite correnti al netto interessi Interessi passivi Totale uscite correnti Investimenti fissi lordi Contributi agli investimenti Altre uscite in c/capitale Totale uscite in c/capitale Totale uscite complessive Fabbisogno del settore pubblico Indebitamento netto Variazione del debito pubblico DEBITO PUBBLICO PIL -5,8% -87.910 -5,3% -80.800 6,4% 97.312 1.760.765 115,8% 1.520.870 100,0% 71,8% 89,8% 52,8% 5,9% -3,0% Fonte: Ns. Elaborazione su dati Istat USCITE, ENTRATE E SALDI DI FINANZA PUBBLICA TRA IL 1980 E IL 2008. Tra il 1980 e il 2008, la spesa complessiva passa dal 41% al 49% del pil, mentre le 21 entrate totali passano dal 34% al 47% del pil: +8 per la spesa e +13 per le entrate. Il divario spesa-entrate nel 1980 era di 7 punti di pil, nel 2008 diventa pari a 2 punti di pil. La pressione fiscale, che rappresenta il 91-92% delle entrate totali, passa dal 31% del 1980 al 43% del 1993 e resterà su questi livelli fino al 2008. Nel 2009, la spesa subisce un balzo dal 49 al 53% del pil (anche perché il pil in valore assoluto diminuisce del 3%), mentre le entrate totali restano ferme al 47% del pil. Tabella 2. Conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche. Anni 1980, 1993, 2000, 2008-09 Valori in percentuale del Pil Voci economiche Redditi da lavoro dipendente Acquisto di beni e servizi prodotti da produttori market Consumi intermedi SPESA PER CONSUMI FINALI Interessi passivi Prestazioni sociali in denaro TOTALE USCITE CORRENTI Investimenti fissi lordi Contributi agli investimenti TOTALE USCITE IN CONTO CAPITALE TOTALE USCITE COMPLESSIVE Imposte indirette Imposte dirette Contributi sociali effettivi Contributi sociali figurativi TOTALE ENTRATE CORRENTI Imposte in conto capitale TOTALE ENTRATE IN CONTO CAPITALE TOTALE ENTRATE COMPLESSIVE Risparmio lordo (+) o disavanzo (-) Indebitamento (-) o Accredit.(+) Saldo primario ENTRATE FISCALI 1980 1993 2000 2008 2009 11% 12% 10% 11% 11% 2% 2% 2% 3% 3% 4% 5% 5% 6% 6% 17% 20% 18% 20% 22% 4% 13% 6% 5% 5% 12% 17% 16% 18% 19% 37% 52% 44% 46% 48% 3% 3% 2% 2% 2% 1% 1% 1% 1% 2% 4% 4% 3% 4% 4% 41% 57% 46% 49% 53% 8% 12% 15% 14% 14% 9% 16% 14% 15% 15% 12% 13% 12% 14% 14% 1% 2% 0% 0% 0% 34% 46% 45% 46% 46% 0% 1% 0% 0% 1% 0% 1% 0% 0% 1% 34% 47% 45% 47% 47% -3% -7% 1% 1% -2% -7% -10% -1% -3% -5% 0% 0% 0% 2% -1% 31% 43% 42% 43% 43% Fonte: Ns. Elaborazione su dati Istat Osservando le variazioni tra un periodo e l’altro, si vede come il +8 della spesa registrato tra il 1980 e il 2008 è pari a un +15,3 nel “periodo grasso”, a un -10,4 nel “periodo magro” e +3,2 nell’ultimo periodo. Le entrate complessive, invece, nel “periodo grasso” sono salite di 12,2 punti, in quello “magro” hanno perso 1,2 punti per poi recuperare 1,3 punti nell’ultimo periodo. Nel “periodo grasso” il recupero fiscale è avvenuto molto più rapidamente sul lato delle imposte dirette. Queste, infatti, hanno permesso di drenare 6,4 punti contro i 3,5 delle imposte indirette. Nei periodi successivi, invece, le imposte indirette hanno fornito il contributo maggiore recuperando in parte lo svantaggio iniziale. Nessun contributo, invece, è arrivato dai contributi sociali, il cui livello complessivo in rapporto al pil non è variato significativamente. 22 Tabella 3. Conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche. 1980-2009 Variazioni tra periodi calcolate in termini di punti percentuali di Pil tra l’anno iniziale e l’anno finale Voci economiche I* II* III* X* 2009* Redditi da lavoro dipendente 1,3% -1,6% 0,4% 0,1% 0,5% Acquisto di beni e servizi prodotti da produttori market 0,4% 0,0% 0,4% 0,8% 0,2% Consumi intermedi 1,6% -0,3% 0,5% 1,8% 0,6% 1,8% 3,3% 1,3% SPESA PER CONSUMI FINALI 3,0% -1,5% Interessi passivi 8,2% -6,3% -1,2% 0,7% -0,5% Prestazioni sociali in denaro 4,3% -0,2% 1,3% 5,4% 1,5% TOTALE USCITE CORRENTI 15,6% -8,9% 2,1% 8,8% 2,5% Investimenti fissi lordi -0,4% -0,2% -0,1% -0,8% 0,2% 0,1% 0,3% 0,2% Contributi agli investimenti 0,3% -0,1% TOTALE USCITE IN CONTO CAPITALE -0,3% -1,6% 1,1% -0,7% 0,6% TOTALE USCITE COMPLESSIVE 15,3% -10,4% 3,2% 8,1% 3,1% Imposte indirette 3,5% Imposte dirette 6,4% 3,0% -0,9% -1,2% 0,9% 5,6% -0,2% 6,0% -0,7% Contributi sociali effettivi 0,7% -1,0% 1,4% 1,0% 0,3% Contributi sociali figurativi 0,5% -1,4% -0,1% -1,0% 0,0% TOTALE ENTRATE CORRENTI 11,6% -0,8% 1,5% 12,3% -0,3% Imposte in conto capitale 0,6% -0,6% -0,1% -0,1% TOTALE ENTRATE IN CONTO CAPITALE 0,6% -0,4% -0,2% 0,0% 0,8% 1,3% 12,3% 0,5% TOTALE ENTRATE COMPLESSIVE 12,2% -1,2% 0,8% Risparmio lordo (+) o disavanzo (-) -4,0% 8,1% -0,6% 3,5% -2,8% Indebitamento (-) o Accredit.(+) -3,1% 9,2% -1,9% 4,3% -2,6% 0,0% 0,0% 2,3% -2,9% 11,5% -1,3% Saldo primario ENTRATE FISCALI 2,3% 1,2% 11,5% 0,3% * I è il periodo grasso che va dal 1980 al 1993; II è il periodo della grande dieta che va dal 1994 al 2000; III è il periodo del ritorno della spesa che va dal 2001 al 2008; X indica l’intero periodo che va dal 1980 al 2008; 2009 è la variazione annuale rispetto al 2008 Il grande balzo della spesa pubblica tra il 1980 e il 1993 è dovuto interamente alla spesa corrente. La spesa in c/capitale è addirittura diminuita. La spesa corrente è salita, invece, di 15,60 punti di pil, passando dal 36,9 al 52,5%. Più della metà del balzo della spesa corrente nel “periodo grasso” è dovuto però alla crescita degli interessi passivi necessari a finanziare il servizio del debito pubblico. Altri 3 punti sono addebitabili ai consumi finali e 4,3 punti alle prestazioni sociali in denaro. La dieta successiva (fino al 2000) è imputabile alla riduzione degli interessi passivi per 6,3 punti di pil, unica voce questa a produrre risparmi anche nel periodo successivo con una riduzione di altri 1,2 punti di pil. Tra le altre voci di spesa, le più colpite dalla dieta saranno le uscite in c/capitale che perderanno 1,56 punti e le retribuzioni lorde che perderanno 1,22 punti di pil. 23 Nel periodo considerato, la quota di consumi finali sul pil è passata dal 16,9 al 21,6%, con un incremento di 4,7 punti di pil. Durante il periodo della grande dieta, i consumi finali sono scesi al livello minimo del 18% del pil, per poi riprendere a crescere dal 2001 fino a raggiungere il livello massimo del 2008 del 21,6%. La componente rappresentata dalla spesa per il personale pubblico presenta un incremento limitato nel periodo pari a 0,6 punti di pil. Gli altri 4,1 punti sono dovuti ai consumi intermedi e agli acquisti di beni e servizi. La spesa per il personale pubblico si è ridotta dal 63,4% al 52,3% dei consumi finali. LA SPESA PER FUNZIONI. A partire dal 1990, l’Istat diffonde i dati relativi alla spesa per funzioni elaborati secondo il modello della Cofog adottato a livello internazionale, e in particolare europeo, che articola la spesa pubblica per dieci macrofunzioni (livello 1) e per 68 micro funzioni (livello 2). L’analisi della spesa per funzioni, relativamente alla spesa per consumi finali, sembrerebbe mostrare come la crescita della spesa nel primo periodo non interessi né la sanità né l’istruzione, mentre penalizzi molte altre funzioni, dagli affari economici alla protezione dell’ambiente, alle abitazioni e alla cultura che o sono stazionarie o soffrono di veri e propri tagli. Nel periodo della grande dieta i tagli interessano tutte le funzioni di spesa, con la sola eccezione della sanità che risulta perfettamente stazionaria e della cultura che guadagna un decimo di punto. Nell’ultimo periodo, sono solo tre le funzioni che subiscono riduzioni, i servizi generali (per effetto della riduzione degli interessi passivi), l’ordine pubblico e la sicurezza e le abitazioni e assetto del territorio. Le altre funzioni, ad eccezione della cultura e dell’istruzione che sono stazionarie, riprendono a crescere e in particolare la protezione sociale, la sanità e gli affari economici. 24 1990 18.170 2,6% 9.860 1991 19.639 2,6% 10.783 1992 20.396 2,5% 11.701 1993 21.415 2,6% 11.528 1994 22.839 2,6% 11.553 1995 23.288 2,5% 10.903 1996 25.248 2,5% 11.133 1997 26.232 2,5% 10.935 1998 27.067 2,5% 11.184 1999 28.710 2,5% 12.301 2000 30.941 2,6% 12.992 2001 33.826 2,7% 13.992 2002 36.632 2,8% 15.718 2003 39.278 2,9% 18.158 2004 41.356 3,0% 19.410 2005 43.145 3,0% 20.014 2006 42.447 2,9% 19.623 2007 42.649 2,8% 20.450 2008 43.801 2,8% 21.969 Fonte: Ns. Elaborazione su dati Istat 1,4% 1,4% 1,5% 1,4% 1,3% 1,2% 1,1% 1,0% 1,0% 1,1% 1,1% 1,1% 1,2% 1,4% 1,4% 1,4% 1,3% 1,3% 1,4% 13.723 14.742 15.568 16.812 17.728 18.431 20.546 21.171 21.751 21.750 22.664 23.057 23.622 24.864 26.240 26.709 27.426 26.812 27.729 2,0% 1,9% 1,9% 2,0% 2,0% 1,9% 2,0% 2,0% 2,0% 1,9% 1,9% 1,8% 1,8% 1,9% 1,9% 1,9% 1,8% 1,7% 1,8% 9.673 10.755 11.174 11.593 11.897 12.425 13.004 13.411 14.048 14.251 14.744 15.784 15.801 16.706 17.580 18.852 19.976 20.562 21.319 1,4% 1,4% 1,4% 1,4% 1,4% 1,3% 1,3% 1,3% 1,3% 1,3% 1,2% 1,3% 1,2% 1,3% 1,3% 1,3% 1,3% 1,3% 1,4% 1183 1334 1339 1546 1671 1696 1631 1760 1799 2262 2336 2790 2915 3338 3544 3890 4105 4363 4584 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,3% 0,3% 0,3% 0,3% 0,3% 2802 3060 3226 3341 3447 3605 4003 4499 4584 4935 5074 5250 5369 5600 5866 5941 6191 6390 6894 0,4% 41730 5,9% 2964 0,4% 47017 6,1% 3312 0,4% 48561 6,0% 3351 0,4% 48388 5,8% 3611 0,4% 48228 5,5% 3703 0,4% 47588 5,0% 3866 0,4% 51195 5,1% 4234 0,4% 55487 5,3% 4553 0,4% 57495 5,3% 4485 0,4% 60246 5,3% 4474 0,4% 67445 5,7% 4738 0,4% 74487 6,0% 4953 0,4% 78553 6,1% 5191 0,4% 81159 6,1% 5201 0,4% 89252 6,4% 5437 0,4% 95231 6,7% 5908 0,4% 100409 6,8% 6078 0,4% 100832 6,5% 6592 0,4% 107647 6,9% 6936 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% 0,4% Protezione sociale Istruzione Cultura Sanità Abitazioni e assetto del territorio Protezione dell'ambiente Affari economici Ordine pubblico e sicurezza Difesa Servizi generali Tabella 4. La spesa per consumi finali per funzioni dal 1990 al 2008. Valori in milioni di euro e rapporti in % del Pil 35454 38225 40212 40711 40756 41303 44729 46147 47257 48150 49378 52090 53969 57032 55710 59085 60113 62515 63690 5,1% 5,0% 5,0% 4,9% 4,6% 4,4% 4,5% 4,4% 4,3% 4,3% 4,1% 4,2% 4,2% 4,3% 4,0% 4,1% 4,0% 4,0% 4,1% 5657 6032 6472 6685 7175 7046 7539 7886 8000 8390 9416 10628 11013 11606 11843 12043 12892 13202 13543 TOTALE 0,8% 0,8% 0,8% 0,8% 0,8% 0,7% 0,8% 0,8% 0,7% 0,7% 0,8% 0,9% 0,9% 0,9% 0,9% 0,8% 0,9% 0,9% 0,9% 141.216 154.899 162.000 165.630 168.997 170.151 183.262 192.081 197.670 205.469 219.728 236.857 248.783 262.942 276.238 290.818 299.260 304.367 318.112 20,1% 20,2% 20,1% 20,0% 19,3% 18,0% 18,3% 18,3% 18,1% 18,2% 18,4% 19,0% 19,2% 19,7% 19,9% 20,3% 20,1% 19,7% 20,3% 25 Tabella 5. Principali voci del conto economico delle A.P. dal 1980 al 2009. Valori in percentuale del pil. Voci economiche/Anni 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 Redditi da lavoro dipendente 11 12 12 12 12 11 11 12 12 12 12 12 12 12 12 11 11 11 11 11 10 11 11 11 11 11 11 11 11 11 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 3 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 3 3 3 3 3 3 3 Acquisto di beni e servizi Consumi intermedi 3 3 6 6 4 4 4 4 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 17 18 18 19 19 19 18 19 20 19 20 20 20 20 19 18 18 18 18 18 18 19 19 20 20 20 20 20 4 5 7 8 8 8 9 8 8 9 10 11 12 13 11 12 12 9 8 7 6 6 6 5 5 5 5 5 Prestazioni sociali in denaro 12 14 14 15 14 15 15 15 15 15 15 15 16 17 17 16 17 17 17 17 16 16 17 17 17 17 17 17 18 19 TOTALE USCITE CORRENTI 37 40 42 45 45 45 46 45 45 47 48 50 51 52 50 48 49 47 45 44 44 44 44 44 44 44 44 44 46 48 Investimenti fissi lordi 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Contributi agli investimenti 1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 2 1 2 2 2 1 2 4 4 SPESA PER CONSUMI FINALI Interessi passivi TOTALE USCITE IN CONTO CAPITALE TOTALE USCITE COMPLESSIVE Imposte indirette Imposte dirette 20 22 5 5 4 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 4 4 4 4 4 3 4 4 3 4 4 4 4 4 5 4 41 45 47 49 50 50 51 50 51 52 53 54 56 57 54 53 53 50 49 48 46 48 47 49 48 49 49 48 49 53 8 8 8 9 9 9 9 9 10 10 10 11 11 12 11 12 12 12 15 15 15 14 14 14 14 14 15 15 14 14 9 10 11 12 12 12 12 12 13 14 14 14 14 16 15 14 15 16 14 15 14 15 14 13 13 13 14 15 15 15 Contributi sociali effettivi 12 12 12 13 12 12 12 12 12 12 13 13 13 13 13 13 14 15 12 12 12 12 12 12 12 13 13 13 14 14 Contributi sociali figurativi 1 1 1 1 2 2 2 1 1 1 1 2 2 2 2 2 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 TOTALE ENTRATE CORRENTI 0 0 34 34 36 38 38 38 39 38 39 40 42 43 43 46 44 44 45 47 46 46 45 45 44 43 44 44 46 47 Imposte in conto capitale 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 2 1 0 1 0 1 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 1 TOTALE ENTRATE IN CONTO CAPITALE 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 2 1 0 1 0 1 1 0 0 0 0 2 1 0 0 0 0 1 TOTALE ENTRATE COMPLESSIVE 34 34 37 39 38 38 39 39 40 41 42 43 45 47 45 45 46 48 46 46 45 45 45 45 44 44 46 47 Risparmio lordo (+) o disavanzo (-) -3 -6 -6 -7 -7 -8 -7 -6 -6 -7 -6 -7 -8 -7 -6 -4 -4 0 0 2 1 1 0 -1 0 -1 1 2 1 -2 Indebitamento (-) o Accredit.(+) -7 -11 -10 -10 -11 -12 -12 -12 -11 -11 -11 -11 -10 -10 -9 -7 -7 -3 -3 -2 -1 -3 -3 -3 -3 -4 -3 -1 -3 -5 2 -1 Saldo primario -3 -6 -3 -2 -3 -4 -3 -4 -3 -2 -1 0 2 3 2 4 5 7 5 5 6 3 3 2 1 0 1 3 ENTRATE FISCALI 31 31 34 36 35 35 35 35 37 37 38 39 42 43 41 41 42 44 42 42 42 41 41 41 41 40 42 43 46 46 47 47 43 43 Fonte: Ns. Elaborazione su dati Istat 26 Tabella 6. Principali voci del conto economico delle A.P. dal 1980 al 2009. Valori in percentuale delle uscite totali. Voci economiche/Anni Redditi da lavoro dipendente Acquisto di beni e servizi Consumi intermedi SPESA PER CONSUMI FINALI Interessi passivi Prestazioni sociali in denaro TOTALE USCITE CORRENTI Investimenti fissi lordi Contributi agli investimenti TOTALE USCITE IN CONTO CAPITALE TOTALE USCITE COMPLESSIVE Imposte indirette Imposte dirette Contributi sociali effettivi Contributi sociali figurativi TOTALE ENTRATE CORRENTI Imposte in conto capitale TOTALE ENTRATE IN CONTO CAPITALE TOTALE ENTRATE COMPLESSIVE Risparmio lordo (+) o disavanzo (-) Indebitamento (-) o Accredit.(+) Saldo primario ENTRATE FISCALI 80 26 5 9 41 11 30 89 7 3 11 81 26 4 9 40 11 31 89 8 3 11 82 25 4 9 39 14 30 89 7 3 11 83 24 4 9 38 16 30 90 7 3 10 84 23 4 9 37 17 29 90 7 3 10 85 23 4 9 37 17 29 90 7 3 10 86 22 4 9 36 17 29 90 7 3 10 87 23 5 10 38 16 29 89 7 4 11 88 23 5 10 38 16 29 90 6 4 10 89 22 5 10 37 18 29 90 6 3 10 90 23 5 9 38 19 28 90 6 3 10 91 23 5 9 37 21 28 91 6 3 9 92 22 4 9 36 22 29 92 5 2 8 93 21 4 9 35 22 29 93 4 3 7 94 22 4 10 36 21 31 93 4 2 7 95 21 4 9 34 22 31 91 4 2 9 96 21 4 9 35 22 31 93 4 3 7 97 23 4 10 36 18 34 93 4 2 7 98 22 4 10 37 16 34 92 5 3 8 99 22 4 10 38 14 35 92 5 3 8 00 23 5 11 40 14 36 94 5 3 6 01 22 5 11 39 13 34 91 5 3 9 02 22 5 11 41 12 35 92 4 4 8 03 22 5 11 41 11 35 91 5 4 9 04 22 6 11 41 10 35 92 5 3 8 05 23 6 11 42 10 35 92 5 3 8 06 22 6 11 41 9 35 90 5 3 10 07 22 6 11 41 10 35 92 5 3 8 08 22 6 11 41 10 36 92 4 3 8 09 21 6 12 41 9 36 92 5 3 8 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 20 17 18 18 18 18 17 18 20 19 19 20 20 21 21 22 22 22 22 24 24 24 24 24 25 25 26 26 26 26 28 27 27 29 30 26 26 26 24 24 24 24 24 23 24 24 23 23 24 24 27 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 1 83 75 77 77 76 75 76 77 78 77 78 78 78 81 82 84 86 0 0 1 2 1 0 0 0 0 0 0 0 3 1 0 1 1 1 1 2 2 1 1 1 0 1 1 0 1 4 2 1 2 1 83 76 79 80 77 75 76 77 78 78 79 79 81 82 83 86 87 -7 -14 -12 -13 -14 -15 -14 -13 -12 -13 -12 -13 -15 -12 -11 -7 -7 -17 -24 -21 -20 -23 -25 -24 -23 -22 -22 -21 -21 -19 -18 -17 -14 -13 -6 -13 -7 -5 -6 -8 -6 -7 -5 -4 -3 0 3 5 4 8 9 76 69 72 73 71 69 69 71 72 72 72 72 75 76 76 78 79 24 31 29 1 93 1 2 95 0 -5 13 87 31 29 25 1 93 1 1 94 1 -6 10 86 31 31 25 1 95 0 1 96 4 -4 10 88 32 31 26 1 97 0 1 98 3 -2 12 90 29 31 25 1 93 0 1 94 2 -6 7 86 30 29 26 1 93 0 1 94 1 -6 6 86 29 28 25 1 89 3 3 93 -2 -7 3 85 29 28 26 1 91 1 2 93 -1 -7 3 85 29 27 26 1 90 0 1 91 -1 -9 1 83 30 29 25 0 93 0 1 93 3 -7 3 85 30 31 27 1 96 0 1 97 5 -3 7 89 28 26 31 28 27 26 1 1 94 88 0 2 0 2 95 90 2 -4 -5 -10 5 -1 87 82 Fonte: Ns. Elaborazione su dati Istat 27 L’economia sommersa e la pressione fiscale reale DEFINIZIONE DI ECONOMIA SOMMERSA. L’economia sommersa è quella parte dell’economia “che non si vede”, che viene svolta in condizioni che ne occultano la presenza al “contabile nazionale” e al fisco. Il problema dell’economia sommersa nasce di riflesso a quello della misurazione e rendicontazione dell’economia in generale. Il contabile nazionale, per ovvi motivi, non ha difficoltà nel rilevare la produzione e i corrispondenti redditi dichiarati in quanto noti e registrati, ma non riesce, almeno in prima istanza, a rilevare la produzione e il reddito che non vengono dichiarati. L’Istat definisce il “Sommerso Economico” come quella attività di produzione di beni e servizi che, pur essendo legale, sfugge all’osservazione diretta in quanto connessa al fenomeno della frode fiscale e contributiva. IL PRINCIPIO DI ESAUSTIVITÀ NEL CALCOLO DEL PIL. Dagli anni Settanta ad oggi nei principali Paesi industrializzati, presso gli organismi internazionali (UN, OSCE, EUROSTAT) e in molti Paesi in via di sviluppo si è discusso intorno alla necessità di includere nelle stime del PIL anche la produzione e il reddito “che non si vede” (sommerso) e si sono approntati metodi via via più evoluti che, nel tempo, hanno favorito effettivamente l’inclusione nel PIL di quote anche consistenti di economia sommersa. Per l’Unione europea assume particolare importanza la direttiva PNL (direttiva 89/130/CEE, Euratom del Consiglio del 13 febbraio 1989) che ha fissato le procedure per facilitare la verifica, il miglioramento della comparabilità, dell’attendibilità e dell’esaustività delle stime del PNL (Prodotto Nazionale Lordo). LE STIME UFFICIALI DELL’ECONOMIA SOMMERSA. L’inclusione nel PIL dell’economia sommersa determina la non corrispondenza tra il PIL e il valore aggiunto dichiarato al fisco. Ciò vuol dire che nel sistema economico vi sono lavoratori e imprenditori che producono e realizzano redditi in nero sui quali non pagano imposte e/o tasse e/o contributi e ogni altro onere imposto dalla legge a seconda del tipo di attività svolta, ma che vengono, almeno in parte, inclusi nei conti nazionali e quindi nel PIL. IL VAS. L’Istat periodicamente calcola e diffonde le stime dell’economia sommersa così come sono state utilizzate nell’ambito della contabilità nazionale per la determinazione del Pil. In particolare, l’Istat misura il Valore Aggiunto Sommerso (VAS) già ricompresso nelle stime di contabilità nazionale e quindi già integrato nel valore aggiunto complessivo. Nella tabella 7 sono riportate le stime del VAS calcolate e diffuse dall’Istat dal 2000 al 2006. Per gli anni dal 2007 al 2010 si è provveduto a proiettare le stime Istat in proporzione dei valori medi registrati nel periodo 2000-2006. 28 LA DEFINIZIONE DI PRESSIONE FISCALE. La pressione fiscale è il rapporto tra la somma di tutte le entrate provenienti da tributi e contributi registrate nel Conto Economico Consolidato delle Amministrazioni Pubbliche e il reddito nazionale o prodotto interno lordo. Si tratta di un indicatore di finanza pubblica la cui misurazione viene effettuata dall’Istituto Nazionale di Statistica nell’ambito della Contabilità Nazionale e viene diffusa il 1° marzo di ogni anno (successivo a quello di riferimento) così come previsto dal protocollo sui deficit eccessivi annesso al Trattato di Maastricht e come stabilito dal SEC95 e dal Regolamento (CE) n. 2223/96. Essendo calcolata nell’ambito della contabilità nazionale, la pressione fiscale comprende tutti i pagamenti effettuati a titolo di imposta o di contributo, compresi quelli degli enti pubblici locali e degli enti pubblici non territoriali (ad esempio l’Inps e l’Inail). Le entrate fiscali sono costituite da tutte le imposte, comprese quelle in c/capitale, e dai contributi sociali. Esse formano in pratica il prelievo o gettito tributario, cioè la somma di tutti i versamenti netti effettuati dagli operatori economici nell’arco di un anno a titolo fiscale. Si tratta quindi di un aggregato macroeconomico e, in quanto tale, di un insieme di comportamenti individuali che non può essere osservato in termini microeconomici. La pressione fiscale indica la quota di reddito nazionale che il Settore Pubblico preleva coattivamente e legalmente per finanziare la spesa pubblica. Il reddito nazionale è invece la somma di tutti i redditi realizzati nell’anno dai fattori della produzione (lavoro, capitale e terra) e di proprietà delle famiglie. La pressione fiscale è quindi la misura del sacrificio imposto alla collettività dal Settore Pubblico. PROBLEMI DI MISURAZIONE. La misura della pressione fiscale e quindi la misura del numeratore “Entrate fiscali” e del denominatore “Pil” è un passaggio apparentemente semplice che nasconde però insidie e problematiche di non poco conto. Le entrate fiscali sono un problema relativo e riguardano semplicemente le procedure e le regole di imputazione delle voci e si identificano più come un problema di contabilità fiscale vero e proprio che come un problema di calcolo statistico. Il denominatore, cioè il prodotto interno lordo, è, invece, un aggregato che risulta da una stima effettuata dalla Contabilità Nazionale dell’Istat nell’ambito del Sistema Europeo dei Conti (SEC95). Il problema non è costituito dalla stima in sé o dal sistema dei conti o dalle procedure utilizzate, ma dal principio di esaustività del Pil. In particolare, l’inclusione nelle stime del Pil del lavoro sommerso pone non pochi problemi in relazione alle specifiche metodologie di rilevazione utilizzate dai singoli Paesi che non risultano standardizzate e che possono falsarne il confronto. La questione di fondo è che le metodologie di calcolo del Pil, prevedendo l’inclusione nel reddito nazionale di quella parte dell’evasione fiscale che si riesce a stimare indirettamente e di quella parte del reddito proveniente dall’economia informale che in larga parte non è assoggettato ad obblighi fiscali, possono determinare disomogeneità sostanziali che si ripercuotono sullo stesso indicatore della pressione fiscale. 29 LA PRESSIONE FISCALE REALE. In conclusione, se il VAS è valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa e quindi reddito sul quale non sono stati pagati gli oneri, esso andrebbe scomputato dal calcolo della pressione fiscale. Sulla base delle stime effettuate e riportate nella tabella 7, nel 2009 il VAS raggiunge i 247 miliardi di euro e la pressione fiscale reale si attesta sul livello del 51,6%. Tab. 7 Il VAS e la stima della pressione fiscale reale VAS PIL Anni VAS min VAS max 216.514 227.994 222.254 1.191.057 2000 PIL E 968.803 EF PF PF* 495.972 41,6% 51,2% 2001 231.479 245.950 238.715 1.248.648 1.009.934 515.838 41,3% 51,1% 2002 223.721 241.030 232.376 1.295.226 1.062.850 528.989 40,8% 49,8% 2003 223.897 247.566 235.732 1.335.354 1.099.622 552.223 41,4% 50,2% 2004 224.203 252.064 238.134 1.391.530 1.153.397 565.175 40,6% 49,0% 2005 229.706 254.096 241.901 1.429.479 1.187.578 577.867 40,4% 48,7% 2006 226.564 249.974 238.269 1.485.377 1.247.108 624.096 42,0% 50,0% 2007 228.317 253.991 241.154 1.546.177 1.305.023 665.833 43,1% 51,0% 2008 230.083 258.072 244.077 1.567.851 1.323.774 672.148 42,9% 50,8% 2009 231.863 262.218 247.041 1.520.870 1.273.829 656.861 43,2% 51,6% Legenda tabella VAS: VALORE AGGIUNTO SOMMERSO (il VAS 2007 e 2008 è stimato sulla base del tasso di crescita medio annuale del periodo 2000-2006 pari a +1,2%) PIL: PIL AI PREZZI DI MERCATO PIL E: PIL EMERSO EF: ENTRATE FISCALI (Imposte indirette + Imposte dirette + Contributi sociali + Imposte in c/capitale) PF: PRESSIONE FISCALE UFFICIALE/NORMALE PF*: PRESSIONE FISCALE REALE/SUL PIL EMERSO Il debito pubblico IL DEBITO PUBBLICO. Il debito pubblico, inteso quale valore nominale delle passività lorde consolidate delle amministrazioni pubbliche (amministrazioni centrali, enti locali e istituti previdenziali pubblici), ha da sempre costituito un importante indicatore dello stato di benessere di un'economia: un rapporto debito /PIL basso è sinonimo di una forte solidità finanziaria da parte di uno Stato. Per analizzare la dinamica del debito pubblico occorre riferirsi a tre variabili cardine: 1) debito pregresso: ammontare (stock) del debito maturato nel corso degli anni. 2) disavanzo primario: trattasi di una variabile flusso determinata quale differenza tra le entrate e le uscite correnti dello stato al netto degli interessi passivi; se negativo va ad incrementare lo stock di debito pubblico. 30 3) differenza tra il tasso di interesse sul debito e il tasso di crescita del PIL: quanto più ampia è la forbice di detti tassi tanto maggiore è la variazione del debito. L’ACCUMULARSI DEL DEBITO DALL’UNITÀ AD OGGI. Il debito pubblico italiano, dall’Unità ad oggi, è sempre stato relativamente elevato e, in modo particolare, nel corso di quattro fasi storiche di accumulo. La prima comprende tutta la seconda parte del diciannovesimo secolo con un massimo assoluto nella seconda metà degli anni novanta; la seconda e la terza (i cui massimi sono raggiunti nel 1920 e nel 1945) sono connesse alle due guerre mondiali; la quarta parte inizia dopo il minimo registrato nel 1963-1964, quando l'incidenza del debito riprende a salire rapidamente. Il punto di massimo si raggiunge nel 1994 (121,8%), mentre, negli anni successivi, l'adesione al trattato di Maastricht ha prodotto un processo di progressiva riduzione del debito*. GLI ULTIMI ANNI. Nonostante l'adesione all'Euro, negli ultimi cinque anni il rapporto debito/PIL si mantiene ancora su valori elevatissimi (tasso medio 107,49%). La dinamica dei dati suggerisce che l'Italia sta attraversando un'altra fase di accumulo del debito. CONFRONTO INTERNAZIONALE. Da un confronto a livello mondiale l'Italia risulta l'unico paese industrializzato con un livello di debito superiore al 100% del PIL. In particolare, effettuando un confronto (in termini assoluti) del dato italiano relativo alla sola attività del governo centrale con quello di altri paesi (intra ed extra-europei), ne emerge che, se si escludono gli U.S.A., l'Italia presenta il debito pubblico di più elevate dimensioni, con un valore pari a 2.138 milioni di dollari. All'Italia seguono, nell'area euro, la Francia con 1.470 milioni, la Germania con 1.348 milioni, la Gran Bretagna con 1.225 milioni, in coda vi è l'Irlanda con 79.138 milioni. ANALISI TENDENZIALE. Per poter analizzare la natura del debito e la sua incidenza sull’economia occorre valutare (secondo quanto indicato nella premessa) alcune variabili quali: il tasso di interesse, l’avanzo (disavanzo) pubblico e il tasso di crescita del PIL. Considerando la serie storica relativa agli anni 2000-2006 (ultimo dato disponibile – vedi tabella 3), si può osservare che sulla crescita del debito pubblico italiano incide, in modo rilevante, la spesa per interessi il cui tasso distacca quasi sempre di almeno due punti percentuali il tasso di crescita del PIL. A tale risultato si associa l'accumulo di disavanzi primari dai quali deriva un ulteriore incremento del debito in conto capitale**. Una situazione simile a quella italiana la ritroviamo nella maggior parte delle economie sviluppate: U.S.A., Gran Bretagna, Francia ed Australia; fanno eccezione Canada * Maura Francese e Angelo Pace, Questioni di Economia e Finanza – Il debito pubblico italiano dall'Unità a oggi. Una ricostruzione della serie storica, Banca d'Italia. ** Situazione differente è quella relativa agli anni Settanta in cui l'aumento del disavanzo primario era compensato dalla discesa del tasso di interesse molto al di sotto del tasso di crescita del PIL. 31 e Germania che, sebbene presentino una crescita del PIL inferiore al tasso di interesse, registrano un avanzo primario (dettato probabilmente da una più efficiente politica fiscale e/o da un calo della spesa pubblica). Proprio la produzione di un avanzo primario ha permesso alla Germania di ridurre (negli ultimi anni) di due punti percentuali il valore del debito pubblico. Tabella 8. Variabili di misurazione del debito* Paese Variabile Variazione PIL Avanzo Australia Canada Francia 2,68 2,81 2,46 -5,2 -5,9 -5,6 -5,27 5,84 5,37 5,59 5,34 5,59 2,92 1,88 3,07 3,07 2,76 Avanzo 2,72 2,27 1,71 1,21 2,25 2,03 1,63 Tasso di int. 5,93 5,48 5,3 4,8 4,58 4,07 4,21 Variazione PIL 3,91 1,85 1,03 1,09 2,47 1,71 1,99 Avanzo 1,65 1,95 1,36 0,82 0,51 -0,9 -1,25 Tasso di int. 5,39 4,94 4,86 4,13 4,1 3,41 3,8 3,21 1,24 - -0,2 1,06 0,78 2,87 0,02 2,03 1,92 4,29 4,61 4,94 -1,68 Tasso di int. 5,27 4,8 4,78 4,07 4,04 3,35 3,76 Variazione PIL 4,48 4,49 3,9 5,04 4,58 3,83 4,19 -7,85 -7,3 -6,8 -6,6 -5,9 -7,2 -11 6,11 5,3 5,12 4,27 4,26 3,59 4,07 Tasso di int. 9,37 6,07 6,58 4,46 4,38 6,02 5,74 -0,37 -0,7 -0,9 0,05 -0,6 -3,6 -4,15 Tasso di int. 5,48 5,02 4,99 4,13 4,06 3,32 3,79 Variazione PIL 3,58 1,8 0,34 0,04 1,2 0,09 1,87 -0,53 -0,1 -0,8 -1,3 -0,9 -1,6 -2,57 5,58 5,19 5,03 4,3 4,26 3,56 4,05 3,92 2,02 0,76 -0,8 1,52 0,74 1,2 -10,2 -9,9 -8,1 -6,1 -7,7 -9,7 -9,41 Tasso di int. Variazione PIL Avanzo Tasso di int. Variazione PIL Avanzo Tasso di int. Variazione PIL Avanzo Gran Bretagna Tasso di int. Variazione PIL Avanzo U.S.A. 4,05 -3,7 5,62 Avanzo Spagna 3,15 -2 1,78 Avanzo Portogallo 3,77 6,31 Variazione PIL Italia 1,95 -3,64 5,23 Avanzo Irlanda 2006 Tasso di int. Avanzo Grecia 2001 2002 2003 2004 2005 Variazione PIL Variazione PIL Germania 2000 Tasso di int. 5,6 5,16 5,01 4,18 4,14 3,44 3,91 5,05 3,65 2,7 3,1 3,27 3,62 3,86 -3,96 -3,9 -3,3 -3,5 -5,3 -7,4 -8,64 5,53 5,12 4,96 4,13 4,1 3,39 3,78 3,8 2,37 2,05 2,77 3,26 1,84 2,85 -2,59 -2,2 -1,6 -1,3 -1,6 -2,5 -3,22 5,33 4,93 4,9 4,53 4,88 4,41 4,5 3,69 0,76 1,61 2,52 3,65 3,08 2,87 -4,27 -3,8 -4,4 -4,8 -5,5 -6,1 -6,18 6,03 5,02 4,61 4,02 4,27 4,29 4,79 IL DEBITO DEI PIGS. Situazione totalmente differente è quella di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna (PIGS) per i quali la differenza tra il tasso di interesse e * Fonte: dati OCSE. 32 la crescita del PIL si rivela meno significativa. Addirittura, per alcuni di questi paesi si presenta di segno opposto: la Grecia, e in modo più rilevante l’Irlanda, presentano un tasso di crescita del PIL che supera il tasso di interesse sul debito. Tale differenza, tuttavia, non si rivela sufficiente a compensare la quota di disavanzo primario prodotta annualmente: ne consegue una ulteriore crescita del debito pubblico. Non è un caso, dunque, che il valore più rilevante in termini di disavanzo primario sia quello registrato dalla Grecia; sui medesimi livelli si attestano anche Spagna e Portogallo*. Un disavanzo primario è da considerare in termini strettamente negativi se destinato alla copertura di spese correnti improduttive (sprechi o inefficienze); può, invece, essere considerato in termini non fortemente negativi se giustificato da investimenti produttivi di reddito (quali infrastrutture). Pertanto occorre valutare se l'accumulo di disavanzi primari, per i paesi in esame, sia frutto di investimenti che nei prossimi anni potranno produrre un incremento e una variazione positiva del PIL oppure di sprechi e inefficienze per cui occorre trovare una soluzione finanziaria di copertura al più presto. ANALISI GRAFICA. La figura che segue definisce il rapporto debito/PIL per ciascun paese considerato. Come si può notare, i paesi che risultano avere un’economia trainante (a parte gli Stati Uniti che si distaccano totalmente dal gruppo) risultano essere Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna che, avendo economie di maggiori dimensioni, hanno anche debiti pubblici più elevati. La posizione di tutti i paesi rispetto alla bisettrice dà conto dello sbilanciamento relativo tra debito e PIL. In particolare l'Italia risulta il paese con lo sbilanciamento più elevato seguita da Francia, Gran Bretagna e Germania (quest'ultima si attesta in una situazione di quasi parità). Da rilevare è il caso della Grecia la quale, pur avendo un PIL piuttosto ridotto, si trova sbilanciata in termini di debito pubblico a differenza di Irlanda, Portogallo, Canada, Australia e Spagna che si mantengono al di sotto della bisettrice. NEL 2020 IL DEBITO POTREBBE SUPERARE IL PIL DI UNA VOLTA E MEZZA. Effettuando una proiezione al 2010 e al 2020 è possibile affermare che, se la situazione attuale non si modifica, il rapporto debito/PIL in Italia potrebbe raggiungere il 119,60% nel 2010 e il 152% nel 2020**, risultato che non tiene conto di un possibile aumento dei tassi di interesse. * Se si osserva la serie del disavanzo primario greco è facile constatere come esso si sia incrementato in modo esponenziale passando da -5.89 nel 2004 all'11,02 nel 2006. ** Tale risultato è stato prodotto considerando un valore di i = 1,29% (tasso medio BOT). Per un dettaglio della metodologia si rimanda a: Angelo Marano, La dinamica del debito pubblico un'analisi del caso italiano, 1980-1996, Liuc Papers n.33, Serie Econimia e Impresa 8, settembre 1996. 33 IL RIENTRO DEL DEBITO. Tale risultato è frutto di un circolo vizioso legato al continuo accumulo di disavanzi primari cui sono seguiti maggiori interessi e una crescita esponenziale del debito. Se si vuole, dunque, invertire il processo di crescita del debito, occorre produrre avanzi primari di notevole entità in grado di coprire la quota interessi e abbattere parzialmente la quota capitale. Ma ampi avanzi primari richiedono, in assenza di una rilevante crescita economica, imposte elevate che di fatto producono distorsioni nell'economia. In tal senso, dinanzi alla prospettiva di un lungo periodo di rigidità fiscale, vista la rilevante criticità del momento, una strategia di rientro del debito che, non punti esclusivamente all'ottenimento di avanzi primari, è quanto mai auspicabile. Un'alternativa potrebbe derivare dall'elaborazione di una buona politica di bilancio tesa a ridurre sprechi ed inefficienze nel settore pubblico e limitare le uscite di cassa imponendo una migliore qualità alla spesa. 34 Simulazione contabile sui conti 2001-2008 Per comprendere la portata di una spesa pubblica così elevata in rapporto al pil e di un’economia sommersa così estesa, soprattutto sull’equilibrio macroeconomico e finanziario dei conti pubblici italiani, è stato svolto un esercizio di simulazione contabile sui conti 2001-2008. Si ravvisa che la simulazione ha un valore puramente indicativo ed è finalizzata a mostrare cosa può succedere ai conti pubblici italiani se le cose si aggiustano, se la spesa diminuisce e viene mantenuta a un livello sostenibile e se lo stesso accade per l’economia sommersa. Il principale risultato sarebbe ovviamente rappresentato da un calo significativo del debito pubblico e della pressione fiscale reale. La simulazione è stata condotta sulla base delle seguenti ipotesi: 1. La spesa pubblica al netto degli interessi cresce annualmente a un tasso pari all’inflazione aumentato di una unità; 2. Il pil subisce una variazione in valore assoluto identica a quella della spesa pubblica; 3. Le entrate fiscali si riducono in una misura pari alla riduzione del pil moltiplicata per la pressione fiscale; 4. La variazione del deficit che ne deriva genera una variazione degli interessi passivi per l’anno successivo calcolata in ragione del rapporto annuale tra interessi passivi e debito pubblico dell’anno in questione; 5. La variazione del deficit e degli interessi passivi si traduce in una pari variazione del debito pubblico. A una prima simulazione realizzata utilizzando le ipotesi di cui sopra, ne è stata aggiunta un’altra formulando l’ulteriore ipotesi di recupero dell’evasione fiscale e contributiva. L’ipotesi in questione è stata formulata nel modo seguente: si considera un livello (fisiologico) di economia sommersa pari al 12% del Pil e si assume di recuperare l’intero valore aggiunto sommerso che eccede il 12% del Pil calcolando le maggiori entrate fiscali sulla base della pressione fiscale ufficiale. Se si utilizzasse, invece, la pressione fiscale reale le maggiori entrate sarebbero più elevate con effetti sul deficit e sul debito ancora più consistenti. I risultati delle due simulazioni sono riportati nelle tabelle seguenti. Legenda INFL: Tasso di inflazione annuale PIL R.: Tasso di crescita del Pil nominale al netto del tasso di inflazione annuale SP: Spesa pubblica totale al netto degli interessi passivi EF: Entrate fiscali IP: Interessi passivi ET: Entrate totali ST: Spesa pubblica totale PF: Pressione fiscale IN/PIL: Rapporto deficit/Pil D/PIL: Rapporto debito/Pil 35 DATI UFFICIALI Anni PIL 2000 1.191.057 VAR. INFL PIL R. SP 2001 1.248.648 4,8% 2,7% 2,1% 522.078 2002 1.295.226 3,7% 2,5% 1,2% 2003 1.335.354 3,1% 2,7% 2004 1.391.530 4,2% 2,2% 2005 1.429.479 2,7% 2006 1.485.377 2007 2008 VAR. 474.822 EF IP ET ST DEFICIT DEBITO SP/PIL PF IN/PIL D/PIL 495.972 75.561 540.421 550.383 -9.962 1.300.341 46,2% 41,6% -0,8% 109,2% 10,0% 515.838 78.764 562.341 600.842 -38.501 1.358.333 48,1% 41,3% -3,1% 108,8% 542.464 3,9% 528.989 71.519 576.898 613.983 -37.085 1.368.512 47,4% 40,8% -2,9% 105,7% 0,4% 580.123 6,9% 552.223 68.350 601.859 648.473 -46.614 1.393.495 48,6% 41,4% -3,5% 104,4% 2,0% 602.030 3,8% 565.175 65.769 619.227 667.799 -48.572 1.444.563 48,0% 40,6% -3,5% 103,8% 1,9% 0,8% 627.334 4,2% 577.867 66.065 631.967 693.399 -61.432 1.512.740 48,5% 40,4% -4,3% 105,8% 3,9% 2,1% 1,8% 661.822 5,5% 624.096 68.578 680.997 730.400 -49.403 1.582.081 49,2% 42,0% -3,3% 106,5% 1.546.177 4,1% 1,8% 2,3% 670.481 1,3% 665.833 77.126 724.416 747.607 -23.191 1.599.755 48,4% 43,1% -1,5% 103,5% 1.567.851 1,4% 3,3% -1,9% 693.475 3,4% 672.148 81.161 732.061 774.636 -42.575 1.663.452 49,4% 42,9% -2,7% 106,1% SIMULAZIONE 1 – La spesa pubblica al netto degli interessi cresce al tasso di inflazione + un punto percentuale di crescita reale Anni PIL 2000 1.191.057 VAR. INFL PIL R. 2001 1.218.960 2,3% 2,7% 2,1% 492.390 2002 1.262.386 3,6% 2,5% 1,2% 2003 1.283.711 1,7% 2,7% 2004 1.334.892 4,0% 2,2% 2005 1.363.353 2,1% 2006 1.402.160 2007 2008 0 SP VAR. 474.822 EF IP ET ST DEFICIT DEBITO SP/PIL PF IN/PIL D/PIL 495.972 75.561 540.421 550.383 -9.962 1.300.341 46,2% 41,6% -0,8% 109,2% 3,7% 503.574 78.764 550.077 571.154 -21.078 1.340.910 46,9% 41,3% -1,7% 110,0% 509.624 3,5% 515.577 70.608 563.486 580.233 -16.747 1.330.751 46,0% 40,8% -1,3% 105,4% 0,4% 528.480 3,7% 530.867 66.542 580.503 595.023 -14.520 1.323.640 46,4% 41,4% -1,1% 103,1% 2,0% 545.392 3,2% 542.171 62.712 596.223 608.104 -11.881 1.338.017 45,6% 40,6% -0,9% 100,2% 1,9% 0,8% 561.208 2,9% 551.136 61.664 605.236 622.872 -17.636 1.362.398 45,7% 40,4% -1,3% 99,9% 2,8% 2,1% 1,8% 578.605 3,1% 589.132 62.502 646.033 641.108 4.925 1.377.411 45,7% 42,0% 0,4% 98,2% 1.470.502 4,9% 1,8% 2,3% 594.806 2,8% 633.245 68.042 691.828 662.848 28.980 1.342.914 45,1% 43,1% 2,0% 91,3% 1.494.759 1,6% 3,3% -1,9% 620.383 4,3% 640.813 69.866 700.726 690.249 10.477 1.353.559 46,2% 42,9% 0,7% 90,6% SIMULAZIONE 2 – Alla simulazione 1 si aggiunge l’ipotesi di recupero dell’evasione Anni PIL 2000 1.191.057 VAR. INFL PIL R. 2001 1.218.960 2,3% 2,7% 2,1% 492.390 2002 1.262.386 3,6% 2,5% 1,2% 2003 1.283.711 1,7% 2,7% 0,4% 2004 1.334.892 4,0% 2,2% 2005 1.363.353 2,1% 2006 1.402.160 2007 2008 0 SP VAR. 474.822 EF IP ET ST DEFICIT DEBITO SP/PIL PF IN/PIL D/PIL 495.972 75.561 540.421 550.383 -9.962 1.300.341 46,2% 41,6% -0,8% 109,2% 3,7% 548.871 78.764 595.374 571.154 24.219 1.307.877 46,9% 45,0% 2,0% 107,3% 509.624 3,5% 565.706 70.608 613.615 580.233 33.382 1.259.275 46,0% 44,8% 2,6% 99,8% 528.480 3,7% 583.650 66.542 633.286 595.023 38.263 1.217.316 46,4% 45,5% 3,0% 94,8% 2,0% 545.392 3,2% 596.393 62.712 650.445 608.104 42.341 1.195.868 45,6% 44,7% 3,2% 89,6% 1,9% 0,8% 561.208 2,9% 606.765 61.664 660.865 622.872 37.993 1.185.569 45,7% 44,5% 2,8% 87,0% 2,8% 2,1% 1,8% 578.605 3,1% 652.540 62.502 709.441 641.108 68.334 1.165.146 45,7% 46,5% 4,9% 83,1% 1.470.502 4,9% 1,8% 2,3% 594.806 2,8% 691.053 68.042 749.636 662.848 86.787 1.096.283 45,1% 47,0% 5,9% 74,6% 1.494.759 1,6% 3,3% -1,9% 620.383 4,3% 696.086 69.866 755.999 690.249 65.751 1.072.501 46,2% 46,6% 4,4% 71,8% 36 IMPRESE Le Pmi italiane LE PMI PRODUCONO PIÙ DEL 50% DEL VALORE AGGIUNTO PRIVATO. Nello scenario globale l’Italia è l’unico paese industriale nel quale le micro e piccole imprese realizzano più del 50% del valore aggiunto totale. Ciò accade perché l’Italia presenta una particolare struttura imprenditoriale caratterizzata dalla diffusione della piccola impresa e dalla varietà dei tipi imprenditoriali piuttosto unica nel panorama globale. La prevalenza della piccola impresa in Italia è segno di vivacità e flessibilità del sistema che al suo interno però presenta cospicue differenze e disparità non poco rilevanti. Perciò le performance medie raffrontate con quelle degli altri paesi industrializzati sono quasi sempre negative. Evidentemente gli aspetti negativi del sistema prevalgono su quelli positivi e la disattenzione verso la piccola impresa assume connotati sempre più drammatici. Nella composizione della forza lavoro impiegata dal sistema imprenditoriale, in Italia si riscontra un livello particolarmente elevato di addetti indipendenti. Gli indici di produttività media sono sistematicamente inferiori a quelli medi dei paesi più industrializzati. Le grandi imprese faticano a tenere il passo dei mercati globali e se non fosse per la particolare dinamicità delle medie imprese, soprattutto di quelle industriali, il sistema italiano presenterebbe dati ancora più negativi. STRUTTURA E COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE ITALIANE. Il 99,4% delle imprese appartenenti ai settori industriale e dei servizi privati è costituito da micro e piccole imprese. Le micro e piccole imprese (imprese fino a 49 addetti) occupano il 68,8% del totale addetti e realizzano il 55,7% del valore aggiunto complessivo. Le restanti quote di addetti e di valore aggiunto sono rappresentate dalle imprese medie e grandi che rappresentano appena lo 0,6% del totale delle imprese. Tabella 1. Indicatori di struttura e di performance delle imprese per gruppi dimensionali. Anno 2007. Valori assoluti. Dati Istat 2009 MC PI MI GI TOT MC+PI Imprese (numero) 4.170.848 205.350 22.211 3.418 4.401.827 4.376.198 Addetti (numero) Dipendenti (numero) 8.066.535 3.657.349 2.151.287 3.159.281 17.034.452 11.723.884 2.863.044 3.285.720 2.111.830 3.151.682 11.412.276 6.148.764 Fatturato 804.039.729 694.489.971 591.629.281 871.333.256 2.961.492.237 1.498.529.700 Valore aggiunto 234.447.122 167.629.947 115.870.778 204.003.779 721.951.626 402.077.069 Costo del lavoro 65.692.620 99.534.423 76.433.005 124.045.213 365.705.261 165.227.043 Investimenti 37.574.512 22.362.336 21.369.282 125.323.598 59.936.848 44.017.468 37 Tabella 1. Indicatori di struttura e di performance delle imprese per gruppi dimensionali. Anno 2007. Valori in percentuale del totale. Dati Istat 2009 MC Imprese (numero) 94,8% PI MI GI 4,7% 0,5% 0,1% TOT MC+PI 4.401.827 99,4% Addetti (numero) 47,4% 21,5% 12,6% 18,5% 17.034.452 68,8% Dipendenti (numero) 25,1% 28,8% 18,5% 27,6% 11.412.276 53,9% Fatturato 27,1% 23,5% 20,0% 29,4% 2.961.492.237 50,6% Valore aggiunto 32,5% 23,2% 16,0% 28,3% 721.951.626 55,7% Costo del lavoro 18,0% 27,2% 20,9% 33,9% 365.705.261 45,2% Investimenti 30,0% 17,8% 17,1% 35,1% 125.323.598 47,8% Nel confronto europeo, l’Italia risulta essere il paese con il più alto indice di micro e piccole imprese e presenta indicatori di performance medi inferiori agli altri principali partner economici europei quali Francia, Germania e Regno Unito. Il fatturato per addetto è di poco inferiore* alla media dei 5 paesi europei più industrializzati (Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna). Il valore aggiunto per addetto è anch’esso inferiore di circa 18 punti percentuali rispetto alla media, mentre la l’indice di competitività è inferiore di 10 punti percentuali e la redditività lorda è al disotto della media di ben 24 punti. * È pari a circa il 95% della media dei 5 paesi europei più industrializzati. 38 Tabella 2. Quote percentuali di addetti delle Microimprese industriali e dei servizi nei paesi europei. Anno 2007. Dati Istat 2009. PAESI MC IND MC SERV Italia 15,6 31,3 Grecia 14,2 44,3 Portogallo 12,4 30 Cipro 12,1 27,1 Spagna 10,8 26,9 Polonia 10,5 28,1 Slovenia 10,3 18,2 Repubblica Ceca 10 19 Ungheria 9,1 26,4 Francia 8,2 16,5 Belgio 7,7 22,2 Svezia 7,3 17,4 Finlandia 7,2 15,6 Estonia 6,5 17,8 Paesi Bassi 6,1 23 Danimarca 5,7 14 Austria 5,5 20,1 Lituania 5,3 17,5 Bulgaria 5 21,7 Regno Unito 4,9 16,6 Germania 4,8 14,6 Romania 4,7 16,4 Lettonia 4,2 17,6 Slovacchia 3,4 11,7 Lussemburgo 3,2 16,1 Irlanda 0,9 18,8 Ue 27 8,3 21,4 Osservando la struttura finanziaria delle imprese italiane nel confronto con quelle europee si nota un livello di indebitamento superiore alla media dei principali paesi industrializzati per le società di capitale con fatturato inferiore a 10 milioni di euro, con quote particolarmente elevate di debiti a breve e indici di liquidità piuttosto bassi e inferiori a quelli medi europei. Box 1 – La determinazione delle classi di impresa La metodologia utilizzata per la ripartizione in classi dimensionali omogenee delle imprese è mutuata dalle disposizioni contenute nella Raccomandazione 1422 del 6 maggio 2003 formulata della Commissione della Comunità Europea e recepite in Italia con il Decreto del Ministero delle Attività Produttive (oggi Ministero dello Sviluppo Economico) del 18 aprile 2005. In base alle indicazioni contenute nei documenti richiamati, “si considera impresa ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica. In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un’attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitano un’attività economica”. 39 Le classi dimensionali sono individuate in relazione a due fattori: 1. la forza lavoro impiegata*; 2. la dimensione economico-patrimoniale**; Sulla base delle indicazioni contenute nei disposti ministeriali e comunitaria, le categorie di imprese individuate sono: la microimpresa, la piccola impresa, la media impresa e la grande impresa. È definita microimpresa l’impresa che: a) b) ha meno di 10 occupati; ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 2 milioni di euro. È definita piccola impresa l’impresa che: a) b) ha meno di 50 occupati; ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 10 milioni di euro. È definita media impresa l’impresa che: a) b) ha meno di 250 occupati; ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 2 milioni di euro. È definita grande impresa l’impresa che: a) b) ha un numero di occupati superiore a 250; ha un fatturato annuo superiore ai 50 milioni di euro ed un totale di bilancio annuo superiore ai 43 milioni di euro. Lo schema che segue offre un riepilogo dei parametri utilizzati per la suddivisione in classi delle imprese italiane. Classe dimensionale N. Dipendenti Fatturato netto Totale Valore Attivo Micro Impresa Meno di 10 occupati Meno di 2 mln di euro Meno di 2 mln di euro Piccola Impresa Da 10 a 49 occupati Da 2 a 10 mln di euro Da 2 a 10 mln di euro Media Impresa Da 50 a 249 occupati Da 10 a 50 mln di euro Da 10 a 43 mln di euro Grande Impresa Più di 250 occupati Più di 50 mln di euro Più di 43 mln di euro L’analisi delle imprese italiane sarà condotta sulla base della divisione in classi dimensionali così come individuate al punto precedente, prescindendo da considerazioni relative alla natura proprietaria delle imprese stesse e dalla esistenza o meno di rapporti di controllo di natura proprietaria tra le imprese (non saranno considerati i gruppi di imprese come entità oggetto di indagine). 40 ANALISI COMPARATA PER CLASSI DI IMPRESA. L’analisi comparata dei dati sui principali indicatori reddituali, patrimoniali, finanziari ed occupazionali conferma la presenza di differenze tra le performance ottenute dalle imprese appartenenti alle diverse classi dimensionali, confermando la significatività di un’analisi basata sulle dimensioni aziendali. Da una prima lettura dei dati emerge la migliore posizione competitiva delle grandi imprese rispetto alle imprese di dimensioni minori. La grande impresa italiana ha infatti i più elevati livelli di valore aggiunto e fatturato per addetto ed investe proporzionalmente di più in capitale fisso ed in risorse umane. Proprio i parametri legati al sostenimento di investimenti in capitale fisso e in risorse umane diminuiscono al diminuire delle dimensioni aziendali. Le micro imprese e le piccole imprese basano invece la propria capacità competitiva su di un basso costo medio del personale e sullo sviluppo di logiche di natura collaborative che consentono di sostenere minori costi per investimenti e di ottenere i più elevati margini nel rapporto tra valore aggiunto e fatturato. Il settore delle media impresa italiana si caratterizza per essere un settore a forte intensità di capitale umano; il costo del personale assorbe infatti circa il 66% del valore aggiunto prodotto, la percentuale più elevata nel confronto con le imprese di differenti dimensioni. Tabella 4. Indicatori di performance Voci economiche Fatturato medio per addetto (in migliaia di euro) Grandi Medie Piccole Micro 267,6 271 184,4 104,8 Valore aggiunto medio per addetto (in migliaia di euro) 60,8 52 43,3 29 Investimenti fissi medi per addetto (in migliaia di euro) 13,3 9 5,8 4,6 Spese di personale medie per addetto (in migliaia di euro) 37,9 35 28,7 22,3 Valore aggiunto su Fatturato in percentuale 22,70% 19% 24% 27,70% Spese per il Personale sul valore aggiunto in percentuale 62,20% 66% 59% 27,40% IL VALORE AGGIUNTO. Il valore aggiunto complessivo su base nazionale suddiviso per classi dimensionali fa registrare una percentuale pari a circa il 33,5% per la classe delle micro imprese (anche in relazione all’elevato numero di imprese); le grandi imprese contribuiscono al valore aggiunto nazionale per circa il 28,2%, mentre le piccole imprese si fermano al 23,2% e le medie imprese si collocano attorno ad un valore del 16%. IL FATTURATO. I dati sul fatturato sono allineati a quelli sulla ripartizione del valore aggiunto; circa il 28% del fatturato delle imprese italiane è prodotto da 41 grandi imprese, stessa percentuale per le micro imprese. La piccola impresa contribuisce per il 22% e le imprese di media dimensione per il 20%. GLI ADDETTI. Sotto il profilo occupazionale circa il 47% della forza lavoro nazionale è impiegato in imprese con meno di 10 dipendenti, con un costo medio per dipendente pari a circa 22.300 euro annui. Il costo medio per personale annuo più elevato, pari a 38.000 euro, si registra nelle imprese di grandi dimensioni che impiegano circa il 20% della forza lavoro nazionale. Il costo medio per addetto diminuisce al diminuire della dimensione dell’impresa; nella media impresa il costo medio per personale è pari a circa 35.000 euro, nella piccola impresa è di 28.000. INDICATORI DI PRODUTTIVITÀ. La media e la grande impresa presentano i livelli più elevati anche in termini di fatturato medio e di valore aggiunto per addetto. La combinazione tra elevato costo per addetto ed elevata produttività può essere letta anche in funzione del migliore livello di professionalità e del più altro grado di formazione che caratterizza il personale delle imprese di maggiori dimensioni rispetto alle imprese di dimensioni più piccole. INVESTIMENTI. Anche il dato relativo alla spesa per investimenti è proporzionale alle dimensioni aziendali. Sia la spesa complessiva per investimenti fissi che la spesa per investimenti per addetto evidenziano la maggiore propensione al sostenimento di spesa per investimenti delle imprese di grandi dimensioni rispetto alle imprese di dimensioni minori. IL COSTO DEL PERSONALE. Altro elemento di interesse nella descrizione del sistema produttivo italiano è rappresentato dall’incidenza del costo del personale sul valore aggiunto. Nelle medie imprese circa il 66% del valore aggiunto creato dall’impresa è assorbito dal salario dei dipendenti o dagli oneri ad esso connessi. Valori simili si registrano nelle imprese di grandi dimensioni (circa il 62%) e nelle imprese di piccole dimensioni (circa il 59%); estremamente distante è il dato legato alle micro imprese dove il costo del personale rappresenta appena il 27% del valore aggiunto. CLASSI DI IMPRESE E SETTORI ECONOMICI. La micro impresa è prevalentemente un’impresa di servizi; il 29% delle micro imprese opera infatti nel settore del commercio, ed il 25% nei servizi alle imprese. Le piccole e medie imprese italiane sono imprese manifatturiere: circa il 46% delle medie imprese ed il 39% delle piccole imprese operano, infatti in tale settore. La grande impresa, anch’essa a vocazione manifatturiera, presenta elevati livelli percentuali nei settori dei servizi alle imprese 19%, del commercio 12% e nel settore dei trasporti 10%; settore nel quale la grande impresa rappresenta la dimensione competitiva prevalente su base nazionale. Elevata è infine la presenza nel settore edile di micro e piccole imprese, mentre la dimensione prevalente per il settore alberghiero e della ristorazione è rappresentata da imprese con un numero di addetti inferiori ai 20. 42 Le grandi imprese MIGLIORE PERFORMANCE. Un primo dato che emerge dall’analisi* dei dati reddituali e patrimoniali delle imprese italiane è rappresentato dai migliori livelli di perfomance che la grande impresa consegue nel confronto con le imprese appartenenti alle altre classi dimensionali. I tassi di redditività del capitale investito e del capitale proprio sono superiori a quelli delle imprese di dimensioni minori; così come maggiore risulta essere la propensione agli investimenti ed il tasso di sfruttamento del capitale. LIVELLO DI CAPITALIZZAZIONE BASSI. La struttura delle fonti di finanziamento è più equilibrata nel rapporto tra fonti proprie e di terzi rispetto alla media delle imprese di dimensioni minori, sebbene i dati confermino anche per le grandi imprese un dato caratteristico dell’intero sistema imprenditoriale italiano, vale a dire un basso livello di capitalizzazione**. PRODUTTIVITÀ ELEVATA. I livelli di produttività delle grandi imprese sono i più elevati su base nazionale. In termini di valore aggiunto per singolo addetto si superano i 60.000 euro e l’indice di competitività, misurato dal rapporto tra valore aggiunto e costo medio del personale è pari al 160%, ovvero per ogni euro di costo del personale il valore aggiunto prodotto equivale ad un euro e sessanta centesimi. ANALISI DELLA REDDITIVITÀ. L’analisi degli indicatori sulla redditività conferma una buona capacità delle grandi imprese di agire sulle politiche di prezzo. Il markup, calcolato come rapporto tra ricavi di vendita e costi variabili di produzione, è pari a circa l’11%, sebbene si registrino forti differenziazioni tra i diversi settori di attività. Le grandi imprese del settore dei trasporti raggiungono percentuali vicine al 30% e nel settore dell’industria estrattiva ed energetica le percentuali di markup sono vicine al 17%. Gli elevati valori registrati nel rapporto tra ricavi di vendita e costi variabili di produzione si giustificano anche in relazione alla presenza, più elevata nella grande azienda rispetto alle altre classi dimensionali, dei costi fissi legati agli investimenti in capitale immobilizzato. Le grandi imprese fanno registrare livelli di redditività in linea con quelli delle imprese di dimensioni minori e in particolare delle medie e delle piccole imprese. La redditività operativa del capitale, che rappresenta una misura di sintesi della perfomance operativa dell’impresa, raggiunge il valore del 7%. Livelli più elevati si registrano nei settori dell’industria estrattiva ed energetica e dell’industria manifatturiera, che possono contare su di una più elevata intensità del capitale*. Negli altri settori economici di attività si registrano, invece, più bassi livelli di intensità del capitale, inferiori al valore medio, che influenzano la produttività del lavoro. Migliori sono i dati sulla redditività del capitale proprio misurato dal rapporto tra l’utile 43 d’esercizio e il capitale proprio. Il valore medio per le grandi imprese è pari al 12% prima delle imposte e al 7% dopo le imposte. La lettura in chiave aziendalistica del dato sul ROE conferma due caratteristiche del sistema produttivo italiano al quale non si sottraggono nemmeno le imprese di grandi dimensioni, ovvero: uno scarso ricorso all’equity (capitale proprio) quale fonte di finanziamento; un’elevata incidenza delle imposte sulla redditività complessiva d’azienda. In relazione a tale ultimo aspetto, l’analisi su base settoriale dimostra che l’incidenza delle imposte sulla redditività del capitale investito è maggiore nei settori dei servizi alle famiglie (istruzione e sanità ad esempio), nel commercio, nel settore alberghiero e nella ristorazione, ovvero in quei settori caratterizzati dalla prevalenza nell’utilizzo del capitale umano nel processo produttivo e nel contributo alla produzione del reddito. ANALISI DELLA STRUTTURA FINANZIARIA. Anche gli indicatori sulla struttura finanziaria confermano performance migliori per le imprese di grandi dimensioni rispetto alle imprese di dimensioni inferiori. Il rapporto di indebitamento, calcolato come quota dei debiti finanziari sul totale delle fonti di finanziamento è pari circa al 40%, con quote più elevate nel settore alberghiero e della ristorazione e nel settore commerciale, dove di supera il 50%. Una quota pari a circa il 70% del totale dei debiti (debiti di finanziamento e debiti di funzionamento) è composta da debiti con data di scadenza inferiore ad un anno, con punte dell’87% nel commercio e dell’82% nel settore dei servizi alla famiglia. Il rapporto tra l’attivo circolante e le passività correnti, misurato dall’indice di disponibilità, assume valori superiori all’unità, a conferma di una soddisfacente condizione di equilibrio finanziario di breve periodo per le imprese di grandi dimensioni. Altro elemento caratteristico della struttura patrimoniale di tale classe di imprese è rappresentato dalla prevalenza, tra gli impieghi di breve periodo, delle rimanenze e dei crediti verso clienti; le disponibilità liquide di cassa e banca rappresentano infatti percentuali in media inferiori al 9% del totale dell’attivo circolante. Molto variabili su base settoriale sono i dati relativi al periodo medio di pagamento dei debiti e la durata complessiva del ciclo finanziario; si riscontrano valori negativi come nel caso delle imprese della ristorazione e alberghiere per le quali la durata media del ciclo finanziario è di -7 giorni, e settori nei quali il ciclo finanziario ha una durata pari a circa 461 giorni, come nel caso delle imprese del settore delle costruzioni. In ottica manageriale all’aumentare della durata media del ciclo finanziario la disponibilità di adeguate risorse finanziarie e la capacità di accesso al credito diviene una variabile gestionale critica delle imprese, tale da determinare in ipotesi di contrazione del credito la sopravvivenza stessa dell’impresa. 44 Le imprese italiane quotate nel confronto internazionale Nella presente sezione si illustra la posizione competitiva delle grandi imprese italiane quotate nel contesto internazionale. L’opportunità di un confronto limitato alle imprese multinazionali si giustifica in relazione a due ordini di motivi: in primo luogo, attraverso il confronto con altre imprese di grandi dimensioni, si cerca di sterilizzare l’effetto della componente dimensionale sulla capacità competitiva e sui livelli di performance; in secondo luogo, si reputa lo scenario internazionale quale contesto competitivo naturale per le imprese di grandi dimensioni e pertanto la valutazione del livello di competitività non può che essere effettuata in ambito internazionale. Le considerazioni che seguono sono tratte dalla elaborazione dei risultati di uno studio edito da R&S Centro Ricerche e Studi di Mediobanca che ha analizzato i dati dei bilanci delle imprese multinazionali negli ultimi dieci anni dal 1998 al 2008. L’analisi è stata condotta su un campione di 368 aziende prevalentemente operanti nei settori manifatturiero, energetico, delle telecomunicazioni e delle utilities, ubicate in prevalenza in Europa, Nord America, Giappone, e in misura minore nell’Area Russo-Asiatica e nel Resto del Mondo. I parametri di valutazione dei percorsi evolutivi delle multinazionali sono stati individuati nel livello di crescita dimensionale, nel tasso di internazionalizzazione, nei livelli di produttività e di redditività raggiunti e nelle modifiche della struttura finanziaria. Dall’analisi risulta che il prototipo dell’azienda multinazionale, prevalente in tutte le aree geografiche, è rappresentato dall’impresa energetica, seguita dall’industria automobilistica e da quella chimico farmaceutica. Unica eccezione è il Giappone dove l’industria energetica è assente e dove sono prevalenti le multinazionali del settore automobilistico e del settore elettronico. Le imprese del settore energetico e del settore automobilistico sono anche le imprese che hanno le dimensioni maggiori in termini di totale attivo (al netto delle immobilizzazioni immateriali) e presentano inoltre la più elevata capitalizzazione di borsa. Tra le maggiori dieci società, sette operano nel settore energetico e petrolifero e tre nel settore automobilistico; nel 2008 la società con il maggior valore dell’attivo è stata la giapponese Toyota Motor, seguita dall’inglese Royal Dutch Shell, mentre la multinazionale con il più alto valore di capitalizzazione in borsa è la ExxonMobil, impresa statunitense, seguita dalla cinese PetroChina, entrambe operanti nel settore energetico. In Italia sono 17 le imprese analizzate nello studio; l’impresa di maggiori dimensioni è l’ENI, 14ª impresa a livello mondiale come valore dell’attivo. L’ENI, operante nel settore energetico, realizza circa il 50% del totale del fatturato di tutte le imprese multinazionali italiane. Seguono nell’ordine l’ENEL, anch’essa operante nel settore energetico, la FIAT che opera nel settore degli autoveicoli, la Telecom nel settore delle telecomunicazioni e la Finmeccanica che opera nel settore aereo spaziale. Dato caratteristico delle multinazionali italiane è rappresentato dalla elevata presenza di imprese a partecipazione pubblica; tra le prime cinque società multinazionali italiane, tre sono sotto il controllo pubblico, ENI, ENEL e Finmeccanica e un’altra, la Telecom è una ex impresa pubblica ora privatizzata. Altri paesi nei quali si registra una presenza elevata di multinazionali a controllo pubblico sono la Scandinavia (6 imprese) e la Cina (4 imprese). Nel decennio 1998-2008 le imprese multinazionali sono cresciute di dimensioni aumentando il valore delle attività; la crescita dimensionale, rilevata in tutte le macro aree geografiche, è stata più accentuata in Europa. Le italiane sono quelle che, però, hanno registrato i minori tassi di crescita; la crescita, misurata dall’aumento degli investimenti tecnici, per le imprese italiane si è fermata al 7,7% a fronte di una media europea di circa 45 nove punti percentuali. I dati relativi agli investimenti in ricerca e sviluppo delle multinazionali italiane sono in linea con le imprese europee che presentano le percentuali più elevate su base mondiale. Tra i paesi europei, le percentuali più elevate di spesa in ricerca e sviluppo sul fatturato si registrano in Svizzera, Germania ed Italia, dove l’unica impresa operante in un settore ad alta tecnologia, la Finmeccanica, fa registrare i tassi di investimento in ricerca e sviluppo (circa il 13,7%) tra i più elevati a livello europeo nel settore aerospaziale e della difesa. Altra tendenza che emerge dall’analisi delle multinazionali è l’aumento del tasso di internazionalizzazione, misurato dalla percentuale del fatturato conseguito all’estero e dal rapporto tra i dipendenti residenti nel paese di appartenenza e i dipendenti all’estero. Le multinazionali italiane hanno i tassi di internazionalizzazione più bassi in ambito europeo e tra i più bassi al mondo. Circa il 36,7% del fatturato delle multinazionali italiane è infatti conseguito in Italia, e solo i due terzi sono conseguiti all’estero. Il dato italiano è molto lontano da quello fatto registrato in Svizzera, dove il 96,7% del fatturato è prodotto all’estero, o in Svezia (94,2%) ed è inferiore alla media europea pari a circa il 78%. Le multinazionali italiane sono però le imprese che hanno ottenuto la maggiore crescita del fatturato internazionale nel corso del decennio di analisi, con un incremento di ben 9 punti percentuali. Anche il dato sui dipendenti assunti in paesi diversi da quello di origine presenta valori tra i più bassi in Europa, con circa 4 dipendenti all’estero per ogni 3 dipendenti in Italia, lontano dalla media europea di 3 dipendenti all’estero ogni due nazionali, e dal dato Nord Americano con circa due dipendenti all’estero ogni dipendente nazionale. In ultimo i dati relativi alla produttività e redditività fanno registrare per le multinazionali italiane i livelli di valore aggiunto procapite per dipendente più basso nel confronto con gli altri paesi europei, così come pure il costo del lavoro per dipendente è il più basso nel confronto con le altre multinazionali europee. Valori inferiori a quelli italiani si rilevano solo nei paesi dell’area russo-asiatica. La redditività delle multinazionali, misurata dagli indici di redditività del capitale proprio e del capitale investito, presenta per le imprese europee un andamento positivo. Nel decennio analizzato le multinazionali dell’area euro raggiungono una redditività del capitale proprio (ROE) superiore rispetto alle multinazionali Nord Americane. Le multinazionali europee riducono inoltre il divario della redditività del capitale proprio (ROI) che passa da una distanza di 9 punti percentuali del 1998 ai 5 del 2007. Tra le italiane l’ENI fa registrare un rapporto tra reddito netto e fatturato pari al 10% e si attesta al 10° posto a livello mondiale per il reddito netto conseguito più elevato (calcolato in milioni di euro). In ultimo, i dati relativi alla composizione della struttura delle fonti di finanziamento evidenziano un complessivo aumento del capitale proprio tra le fonti di finanziamento rispetto al debito, sebbene l’andamento non sia stato lineare negli anni. La struttura finanziaria media delle multinazionali italiane è rappresentata da 59% di capitale proprio e 41% di capitale di terzi. Inoltre il capitale di terzi è composto per circa il 56% da debiti verso le banche, per il 31% da prestiti obbligazionari e per il 13% da altri debiti, confermando un dato caratteristico del capitalismo italiano già emerso nell’analisi condotta al paragrafo precedente e rappresentato dall’elevata incidenza del finanziamento bancario rispetto alle altre fonti di finanziamento. Le multinazionali italiane sono le più indebitate tra le multinazionali europee ed assieme alle multinazionali giapponesi le più indebitate a livello mondiale. 46 Le medie imprese BUONA COMPETIVITÀ. Il modello organizzativo delle media impresa italiana si caratterizza per la maggiore vitalità e per la capacità di raggiungere elevati livelli di competitività e di performance economico patrimoniali. Da una lettura di sintesi dei dati elaborati* è possibile cogliere elementi sicuramente positivi relativi alla dinamica reddituale, affiancati ad elementi meno positivi legati alla struttura finanziaria e ai livelli di produttività. Gli indici di produttività registrano, a fronte di un valore aggiunto medio per addetto di circa 52.000 euro, un costo medio per dipendente di circa 35.000 euro da cui deriva un indice di competitività pari al 149%, valore inferiore a quelli registrati nella grande impresa. MIGLIORE REDDITIVITÀ. In termini di redditività le medie imprese italiane raggiungono i risultati migliori all’interno del panorama imprenditoriale nazionale. I valori dei margini di redditività del capitale investito e del capitale proprio raggiungono i livelli più elevati, in virtù della capacità di realizzare le combinazioni produttive con i migliori rapporti tra capitale impiegato (costi di produzione) e ricavi conseguiti. Il dato è di estremo interesse se collegato ai non elevati margini sulle vendite (circa il 5,3%) e agli alti valori di fatturato per addetto (circa 270.000 euro per addetto). La redditività del capitale investito si attesta per l’anno 2007 ad un valore medio del 7,1%, con punte del 9,6% nel settore manifatturiero e nel commercio. La redditività del capitale proprio, prima e dopo le imposte, è la più alta nel confronto con le altre classi, con valori rispettivamente del 14% e dell’8% che confermano anche per tale tipologia di imprese quanto in precedenza detto sulla elevata incidenza delle imposte sulla redditività del capitale proprio. IL VANTAGGIO DELLA FLESSIBILITÀ. La lettura combinata degli indicatori reddituali conferma lo spostamento del modello di organizzazione della produzione verso la esternalizzazione di sempre maggiori fasi della produzione, con conseguente aumento dei costi variabili in proporzione ai costi fissi e la costituzione di strutture produttive più snelle in termini di risorse umane impiegate. La caratteristica distintiva del modello produttivo delle medie imprese è individuabile nella capacità di sviluppare strategie competitive basate sulla relazione (accordi interaziendali, distretti, esternalizzazione, partnership, joint venture) che consentono l’ottenimento di dimensioni competitive affini a quelle delle grandi imprese senza sopportare gli oneri che scaturiscono da strutture produttive ed organizzative di grandi dimensioni. I LIMITI NELLA STRUTTURA FINANZIARIA. I dati sulla struttura finanziaria indicano un forte livello di dipendenza delle imprese dalle fonti di finanziamento di terzi e in particolare dai debiti finanziari, associata a una bassa capitalizzazione. 47 Il 45% delle fonti di finanziamento è rappresentato da debiti finanziari, con circa l’80% di debiti in scadenza entro un anno. Il dato, omogeneo in relazione ai diversi settori di attività, conferma la prevalenza dell’attivo corrente sul totale delle attività investite e, all’interno delle attività correnti, dei crediti di natura commerciale e delle rimanenze rispetto alle disponibilità liquide. La lettura combinata del dato reddituale e di quello finanziario evidenziano la rilevanza e la criticità dell’attività di gestione delle fonti di finanziamento e dell’indebitamento finanziario nello specifico. Il verificarsi di flessioni nei livelli di vendita (data la bassa capacità di agire sui prezzi di vendita) determina peggioramenti nella redditività dell’impresa e peggioramenti nella dinamica delle fonti finanziarie in entrata (allungamento del tempo di incasso dei crediti, aumento della giacenza media delle rimanenze) che determinano a loro volta il peggioramento delle condizioni di equilibrio finanziario di breve periodo. Allo stesso modo, una contrazione del finanziamento bancario, sebbene non alteri le dinamiche reddituali, determina il peggioramento del ciclo finanziario (riduzione dell’ammontare dei debiti di finanziamento per mancato rinnovo, riduzione del periodo medio di durata dei debiti finanziari, aumento dei crediti verso clienti in sofferenza) che porta anch’esso al verificarsi di condizioni di squilibrio finanziario che possono degenerare in situazioni di illiquidità. In conclusione, per tale classe di imprese, più che per le grandi imprese, il governo della dinamica finanziaria e la gestione delle relazioni con i finanziatori diviene, soprattutto durante i periodi di crisi dei consumi e dei mercati finanziari, un elemento in grado di determinare la sopravvivenza o meno dell’impresa. La middle class italiana un esempio di eccellenza competitiva L’analisi dei dati sulla produttività, redditività e solidità patrimoniale appena analizzati confermano che le medie imprese rappresentano il vero motore dell’economia italiana, ma rappresentano anche la categoria di imprese che risentono maggiormente delle flessioni nella domanda e in particolare di quella internazionale e degli shock dei mercati finanziari. Le considerazioni che sono contenute in questa sezione si rifanno alle concettualizzazioni ed analisi elaborate in altri studi* che individuano all’interno del cluster delle medie imprese uno specifico segmento denominato“middle class” che, per caratteristiche distintive e livelli di performance storicamente conseguiti, rappresenta la via italiana al capitalismo. Sulla base del modello interpretativo proposto sono cinque le caratteristiche ricorrenti in tutte le imprese che appartengono alla cosiddetta “middle class”: il numero di addetti compreso tra i 50 e 249; la sistematicità nelle esportazioni; il frequente ricorso ad accordi di cooperazione con altre imprese; l’appartenenza a gruppi di imprese o distretti; la forma di giuridica di società di capitale. Il modello della media impresa italiana è stato individuato in letteratura come un autonomo e peculiare modello imprenditoriale caratteristico del nostro paese ed affiancato agli altri modelli di capitalismo europeo. Il riferimento è ai modelli renano, anseatico e francese che presentano molteplici elementi di differenziazione rispetto al tessuto produttivo e agli stili imprenditoriali che caratterizzano la via italiana al 48 capitalismo. Le caratteristiche distintive delle imprese che appartengono alla middle class e che rappresentano la fonte del loro vantaggio competitivo sono individuabili nella elevata attitudine a cogliere ed interpretare le evoluzioni del contesto competitivo nel quale operano. Tali imprese dimostrano una elevata capacità di adattamento che consente di reagire in tempi rapidi alle modifiche e turbolenze che interessano i mercati di sbocco. Inoltre le imprese della middle class possiedono un’elevata abilità nel coniugare le dinamiche internazionali con le logiche territoriali e locali. Il modello interpretativo utilizzato per l’analisi della posizione competitiva di tale classe di imprese si basa sull’assunto che il mantenimento, il recupero o la perdita di competitività di un’impresa dipende dalla capacità dinamica di interpretare e rispondere alle modifiche e alle evoluzioni nelle relazioni tra tecnologia, preferenze e prezzi relativi. Tecnologia, preferenze e prezzo si incorporano in specifici prodotti la cui valorizzazione, economica e finanziaria, avviene nel momento della cessione o scambio. Ed è proprio nello scambio che si misura la capacità di cogliere, interpretare e soddisfare le esigenze del mercato e dei propri clienti e quindi la capacità competitiva. Il modello capitalistico della middle class italiana ha dimostrato di aver sviluppato una elevata attitudine nello svelamento/creazione delle preferenze dei mercati, sia nazionali che internazionali. Interi settori dell’economia italiana, e l’industria manifatturiera in particolare, si sono affermati proprio intorno a tale competenza che nel corso degli anni si è sempre più identificata con le caratteristiche di tipicità, qualità e legame con il territorio sintetizzati nell’unico concetto di “made in italy”. In altre parole il “made in italy” rappresenta la sintesi della capacità dimostrata dalle imprese della middle class italiana di rispondere, prima e meglio degli altri modelli, alle esigenze dei consumatori dei paesi avanzati ovvero di fare business all’italiana. Una ulteriore fase evolutiva delle imprese della middle class è rappresentata dalla progressiva delocalizzazione delle produzioni. Il concetto di made in italy è stato interpretato nel senso di “fatto all’italiana” e non di fatto in Italia. “È il caso di imprese (Tod’s, Guzzini) dove il principale elemento di caratterizzazione e competitività del sistema di offerta è rappresentato dal richiamo alla tradizione italiana, senza che sia necessario un diretto collegamento con il territorio per la realizzazione dei processi produttivi. I singoli componenti e perfino i prodotti stessi potrebbero, infatti, essere realizzati anche in altri contesti territoriali, senza alterare il contenuto di tipicità territoriale”*. Tale processo è stato accelerato dalle dinamiche di internazionalizzazione dei mercati dei consumi e dall’avvento dell’euro che hanno eroso uno dei fattori di competitività che ancoravano al territorio italiano la produzione delle piccole e medie imprese, ovvero il sistema dei prezzi relativi che rendeva basso il livello dei prezzi di produzione nel confronto con le altre aree economiche. In tale prospettiva può essere letto il processo di ristrutturazione che ha interessato il sistema industriale italiano della media impresa e che si è sostanziato in un incremento della terziarizzazione del settore industriale e manifatturiero e nel ricorso alla internazionalizzazione nei processi di produzione, spesso attraverso l’esternalizzazione delle fasi “non core”. La strategia della internazionalizzazione e terziarizzazione delle produzioni ha rappresentato una valida risposta alla crisi finanziaria e di consumi che ha interessato i mercati nazionali ed internazionali. Il processo di ristrutturazione e riorganizzazione, in particolare del sistema industriale, sembra aver condotto ad un rafforzamento della 49 competitività delle medie imprese italiane, allargando il divario con le imprese di dimensioni minori (le piccole e micro imprese). Una conferma del consolidamento della capacità competitiva della media impresa è data dal livello di apertura delle medie imprese italiane sui mercati internazionali. I dati relativi alle esportazioni evidenziano la tenuta della fascia di aziende che operano sul mercato estero, a fronte di un ridimensionamento di un sistema della piccola impresa, spesso conto-terzista che opera prevalentemente sul mercato interno e che sta pagando la crisi della domanda interna. Va comunque sottolineato che esiste un nucleo consistente di imprese che, pur non affacciandosi direttamente sui mercati internazionali, opera in stretto contatto con le aziende esportatrici, costituendo di fatto un sistema di produzione a rete in cui la performance di chi esporta condiziona e allo stesso tempo dipende dalla capacità produttiva e competitiva dell’indotto. 50 Le piccole imprese IMPRESE A PIÙ ALTA INTENSITÀ DI LAVORO. I dati* sulla produttività, redditività e solidità patrimoniale delle piccole imprese, nel confronto con le imprese di dimensioni maggiori, evidenziano livelli di produttività in linea con le altre classi dimensionali associati ad un basso livello di capitalizzazione. Il dato si spiega nella prevalenza del “lavoro” sul “capitale” nella partecipazione ai processi produttivi e nei bassi valori di costo medio per addetto. L’indice di competitività** è il più alto nel confronto con le altre classi dimensionali, attestandosi al 151%. LA REDDITIVITÀ È BUONA. I dati reddituali evidenziano un basso markup (appena 4,5%), in linea con i dati della media impresa, e una redditività del capitale investito (7,1%) e del capitale proprio (6%) non lontana dai risultati delle grandi e medie imprese. Bassi livelli di capitalizzazione e di markup e livelli di redditività allineati a quelli delle imprese di dimensioni maggiori si spiegano in funzione dei seguenti aspetti: • una bassa propensione agli investimenti in fattori produttivi immobilizzati che, a parità di reddito, aumenta la redditività del capitale investito; • un basso livello di capitale proprio investito che, a parità di reddito, aumenta la redditività del capitale proprio. I livelli di redditività del capitale investito più elevati, su base settoriale, si registrano nei settori della manifattura, delle costruzioni e del commercio. IL PESO DEI DEBITI A BREVE. Per le piccole imprese la gestione finanziaria rappresenta una delle variabili gestionali di maggiore importanza, in grado di incidere sulla capacità competitiva attuale e prospettica. Ed è proprio il mantenimento dell’equilibrio finanziario di breve periodo a rappresentare il principale elemento di attenzione per garantire la sopravvivenza delle imprese appartenenti alla categoria delle piccole e micro imprese. Le piccole imprese dipendono al 47% da debiti finanziari in prevalenza con istituti bancari. Del totale dei debiti una quota pari a a circa l’80% è rappresentata da debiti a breve, in prevalenza composti da debiti verso fornitori, debiti bancari e da debiti tributati. Per tali imprese la conservazione delle condizioni di liquidità dipende da due elementi: • dalla possibilità di ottenere e mantenere una durata del ciclo finanziario bassa (i dati individuano una durata media di 97 giorni); • dalla capacità di credito che è di volta in volta negoziata con gli istituti di credito. 51 L’ACCESSO AL CREDITO. Di norma per le imprese di piccole dimensioni l’attività di gestione finanziaria e le relazioni con gli istituti di credito sono condotte personalmente dall’imprenditore che non sempre dispone del livello di preparazione professionale adeguato per la valutazione delle opportune scelte di finanziamento e degli strumenti per la gestione della struttura finanziaria. Sull’assunzione di tali decisioni il contributo di professionisti e dei professionisti contabili in particolare può rappresentare un elemento in grado di migliorare il processo decisionale aumentando il livello di consapevolezza delle scelte da effettuare. Tale contributo appare ancor più determinante proprio in periodi di crisi dei consumi e di stretta creditizia da parte degli istituti di credito, come quelli che caratterizzano gli ultimi anni e che hanno generato una riduzione delle risorse finanziarie disponibili* per le imprese. È evidente che in periodi di contrazione delle vendite e di contrazione del credito le risorse finanziare necessarie a garantire la continuità dell’attività di impresa sono assicurate dall’imprenditore attraverso il ricorso al proprio patrimonio personale, laddove possibile. Tale dinamica è accentuata in quei settori nei quali la durata media del ciclo finanziario è elevata, quali ad esempio il settore delle costruzioni, il settore dei servizi alle imprese e il settore manifatturiero. Il modello di sviluppo per linee esterne Il concetto di piccola impresa intesa quale impresa che è agli inizi del proprio ciclo di sviluppo è da tempo e da più parti messa in discussione; così come appare oggi sempre meno confermato nella realtà delle imprese italiane anche il concetto che la sopravvivenza e il successo di un’impresa sia commisurata alla sua capacità di crescita. In realtà, è il concetto stesso di crescita inteso come aumento delle strutture organizzative interne delle aziende che deve essere ridiscusso e reinterpretato alla luce dei più recenti percorsi di sviluppo di un’impresa per linee esterne. La costruzione di rapporti tra imprese, nelle diverse forme ed intensità (partnership, joint venture, contratti di franchising, consorzi, accordi di collaborazione, costituzione di distretti) rappresentano sempre più un’alternativa strategica all’aumento della dimensioni aziendali e del numero dei dipendenti. Lo sviluppo d’impresa perseguito per linee esterne attraverso il ricorso ad accordi di collaborazione con altre imprese, spesso su base territoriale, rappresenta la modalità di crescita che le piccole imprese utilizzano con sempre maggiore frequenza. La crescita per linee esterne consente di massimizzare i benefici derivanti dall’aumento dimensionale senza elevare i livelli di rigidità burocratica che deriverebbero dalla crescita delle strutture organizzative. In termini aziendali il modello di sviluppo della crescita attraverso la collaborazione e la costituzione di accordi non si basa sull’aumento proporzionale degli investimenti o del numero dei dipendenti, quanto sull’incremento dell’attività di coordinamento con i partner (fornitori e clienti) e con i processi di esternalizzazione delle produzioni e dei servizi. Tale dinamica ha interessato in particolar modo i settori manifatturiero e dei servizi che rappresentano i settori dove le piccole imprese sono maggiormente presenti. Per le piccole imprese appartenenti a tali settori (ma la dinamica ha interessato anche le medie imprese) si è assistito ad un’evoluzione nell’organizzazione dell’intero processo produttivo. Le fasi di progettazione, ma anche la realizzazione dei prodotti e servizi, la 52 loro commercializzazione e infine l’assistenza post vendita si organizzano sempre più attraverso logiche di collaborazione e coordinamento dei contributi di imprese diverse ma collegate, spesso localizzate sul medesimo territorio geografico. All’interno di tale modello di sviluppo, il distretto industriale è senza dubbio la fattispecie che maggiormente si è affermata nello scenario capitalistico italiano, rappresentando un caso di successo studiato anche in ambito internazionale. La struttura tipica di un distretto industriale prevede l’aggregazione di piccole imprese con strutture reticolari attorno ad una azienda di medie o grandi (raramente) dimensioni. Attraverso la partecipazione ad un distretto industriale le imprese, aumentando la numerosità e l’intensità dei legami con le altre imprese, migliorano le proprie capacità competitive e ciò porta ad ottenere incrementi di fatturato e dei ricavi senza incrementi nei correlati costi legati agli investimenti ed al personale. Le caratteristiche dei processi di crescita per linee esterne delle piccole imprese italiane possono essere riepilogate nei seguenti punti: • • • • • Nelle piccole e medie imprese italiane l’intensificazione e lo sviluppo delle relazioni collaborative con altre imprese rappresenta un fattore in grado di determinare la crescita dell’impresa senza alterarne la dimensione in termini di addetti. Il ricorso alla crescita esterna è un’alternativa che meglio si adatta alle caratteristiche delle piccole imprese, nella misura in cui consente lo svolgimento delle attività senza incrementare gli investimenti. Per le piccole imprese lo sviluppo interno è difficilmente praticabile in quanto necessita della disponibilità di elevate risorse finanziarie che raramente si registrano in tale realtà imprenditoriale. Tra i fattori che determinano limiti alla crescita interna e che favoriscono le logiche di crescita per linee esterne devono essere annoverati gli aspetti culturali legati allo stile direzionale. Il timore eall’imprenditore (spesso fondatore) di perdere il controllo della gestione dell’impresa rappresenta un limite ai processi di crescita dimensionale che di norma si accompagnano all’attribuzione ai manager di sempre maggiori compiti dirigenziali. I processi di crescita per linee esterne richiedono una necessaria attività di riorientamento degli investimenti per lo sviluppo di risorse e competenze finalizzate alla gestione delle relazioni. 53 Le microimprese PROBLEMI DI ANALISI. Effettuare una lettura nella prospettiva economico aziendale dei dati reddituali e patrimoniali delle micro imprese è un’attività di difficile realizzazione e di scarsa utilità, per i seguenti motivi: • un’elevata eterogeneità delle tipologie, modalità operative e finalità delle imprese appartenenti alla categoria delle micro imprese; • una bassa capacità informativa ed attendibilità delle informazioni contabili reperite dai documenti contabili e fiscali. All’interno della categoria delle micro imprese sono infatti raccolte ed aggregate differenti realtà imprenditoriali e produttive del nostro paese. Profonde differenze caratterizzano le imprese individuali rispetto alle imprese familiari o alle imprese con dipendenti. SCARSITÀ DI INFORMAZIONI CONTABILI. Difficoltà nell’interpretazione delle informazioni economiche, patrimoniali e finanziarie sono strettamente collegate alla forma giuridica prevalente delle micro imprese ovvero la forma di ditta individuale e di società di persone che influenza il processo di produzione delle informazioni di natura contabile. La mancanza di un bilancio di esercizio che consenta di rappresentare attraverso il linguaggio contabile l’attività di gestione rende difficile la valutazione delle caratteristiche di produttività, redditività e solidità patrimoniale di tale categoria di imprese; pertanto i dati presentati evidenzieranno soltanto alcuni degli aspetti analizzati nelle precedenti classi dimensionali. COMPETITIVITÀ LIMITATA. In termini di produttività le micro imprese presentano i valori più bassi rispetto alle imprese di dimensioni maggiori. Il valore aggiunto per addetto è pari a circa 29.000 euro, non molto distante dal costo medio per dipendete che è di circa 22.290 euro. Anche il fatturato lordo per addetto ha il valore più basso nel confronto con le imprese di dimensioni maggiori. In termini di competitività le micro imprese hanno la peggiore posizione competitiva, il rapporto tra valore aggiunto e costo medio del personale si attesta, infatti, ad un valore di circa 130% contro valori di 150% e 160% delle imprese appartenenti alle altre classi dimensionali. PRODUTTIVITÀ E REDDITIVITÀ LIMITATE. L’analisi degli indicatori sulla redditività conferma i risultati della bassa capacità competitiva; le micro imprese, infatti, hanno un bassa intensità del capitale derivante dalla scarsa propensione per gli investimenti fissi. Bassa produttività e ridotta propensione per gli investimenti determinano bassi livelli anche nei saggi di redditività che sono sotto la media delle imprese di dimensioni maggiori. 54 DIFFERENZE SETTORIALI. Il dato sulla produttività e redditività presenta una eterogeneità tra settori di attività; l’industria estrattiva e le imprese dei servizi alle famiglie ed alle imprese presentano saggi di competitività di molto superiori a quelli delle altre attività, mentre il settore alberghiero e della ristorazione, il settore dei trasporti e in misura minore le imprese del commercio registrano risultati peggiori. LA STRUTTURA FINANZIARIA. Migliori sono i dati sui costi della struttura finanziaria, il rapporto tra oneri finanziari e totale dei ricavi, indica che le micro imprese non sopportano elevati esborsi finanziari; il rapporto di indebitamento oscilla tra un massimo del 3% del settore dei servizi alle imprese allo 0,85% del settore commerciale. Valori del rapporto di indebitamento così contenuti si giustificano in considerazione della prevalenza di imprese che non sopportano alcun onere finanziario, la maggioranza delle micro imprese e tra queste delle imprese con un massimo di tre addetti, è autosufficiente dal punto di vista finanziario oppure ha difficoltà nell’accesso al credito. Tale considerazione porta a concludere che il mantenimento delle condizioni di equilibrio finanziario è strettamente dipendente dall’andamento della dinamica reddituale e dalla durata media del ciclo finanziario ed è quindi molto legato alla gestione corrente lasciando poche o nulle risorse da destinare ai progetti di investimento. Il nanismo imprenditoriale italiano: origini culturali e di contesto La strutturale incapacità di crescita delle imprese italiane rappresenta una tematica largamente affrontata ed analizzata in ambito scientifico. L’approccio utilizzato, anche negli studi di matrice internazionale è finalizzato all’individuazione delle condizioni di contesto che impediscono oppure facilitano il processo di crescita per vie interne delle imprese. Tali studi individuano gli elementi che facilitano o limitano la crescita delle imprese nei seguenti fattori: le caratteristiche del sistema finanziario; il livello di istruzione della forza lavoro del paese; gli investimenti in ricerca e sviluppo; il funzionamento del sistema giudiziario e fiscale; Principale elemento che influenza la dinamica di crescita delle imprese è il funzionamento del sistema finanziario. In ambito nazionale ancora elevata è l’incidenza del settore bancario nel condizionare le scelte delle piccole e micro imprese che desiderano intraprendere percorsi di crescita. Sebbene, infatti, i dati della Banca d’Italia evidenzino un progressivo ammodernamento del sistema e il raggiungimento di dimensioni competitive internazionali per alcuni gruppi bancari nazionali, ancora elevato è il numero di micro e piccole imprese che non effettuano investimenti a medio lungo termine. Sono prevalentemente due i vincoli alla crescita individuabili nel rapporto tra banca ed impresa: in primo luogo, la scarsa propensione degli imprenditori ad indebitarsi a medio lungo termine; in secondo luogo, vi è una altrettanto scarsa propensione degli istituti di credito a finanziare quei soggetti con bassi livelli di merito creditizio. La mancanza di finanziamenti di medio lungo periodo non consente un’adeguata pianificazione degli investimenti per la crescita che di norma hanno orizzonti temporali di ritorno finanziario di medio lungo periodo. 55 Inoltre, la capacità di valutazione del merito creditizio da parte degli istituti di credito è fortemente ancorata a logiche di natura fiduciaria e alla capacità di fornire adeguate garanzie di natura patrimoniale, piuttosto che a coerenti progetti di investimento. Altra caratteristica del sistema finanziario italiano è individuabile nello scarso o quasi nullo ricorso a strumenti di finanziamento basati sul ricorso all’equity; il venture capital e il private equity non hanno avuto un adeguato sviluppo nel nostro paese, così come i processi di apertura del capitale a soggetti esterni e al mercato dei capitali. La scarsa attitudine degli imprenditori italiani all’apertura del capitale delle proprie aziende legato alla paura di perdere il controllo della propria attività ha da sempre rappresentato un elemento culturale caratteristico del sistema imprenditoriale italiano. Ulteriore elemento che determina un vincolo alla crescita delle imprese è rappresentato dal basso livello di istruzione della forza lavoro. Il livello di istruzione e la formazione professionale sono di norma connessi al settore produttivo prevalente di un sistema paese; il settore dei servizi alle imprese detiene un livello medio di istruzione dei propri addetti decisamente superiore a quello che si registra ad esempio nel settore manifatturiero e delle costruzioni. La disponibilità di risorse umane maggiormente qualificate e specializzate all’interno di un’impresa può rappresentare una spinta verso il miglioramento dei processi produttivi, l’innovazione di prodotto, il miglioramento ed il riassetto organizzativo, tutti elementi che rappresentano precondizioni che facilitano e favoriscono i processi di crescita. Tale elemento ha un effetto negativo nel determinare la propensione alla crescita delle imprese italiane in quanto sia il dato legato alla struttura per settori di appartenenza delle imprese italiane, sia il dato legato al costo medio per addetto evidenziano un basso livello di formazione e specializzazione delle risorse umane. Altro rilevante elemento in grado di favorire la crescita aziendale è rappresentato dagli investimenti in ricerca e sviluppo. In Italia il rapporto tra PIL e investimenti in ricerca e sviluppo è tra i più bassi in Europa, in particolare la quota investita dal settore privato e dalle imprese. Accanto all’esiguità degli investimenti, il nostro paese si caratterizza anche per la qualità degli investimenti in ricerca e sviluppo e per le logiche di governo e spesa di tali investimenti. Gran parte della spesa per investimenti in ricerca e sviluppo è effettuata da strutture pubbliche e non segue criteri legati al merito, quali la produttività, la rilevanza e l’utilità delle ricerche effettuate. Ai limiti qualitativi della spesa per ricerca di natura pubblica, si aggiunge l’incapacità delle piccole imprese e le micro imprese italiane di dotarsi di adeguate strutture e centri per ricerca e sviluppo necessari per l’innovazione dei prodotti e dei processi produttivi. In ultimo, le caratteristiche del sistema giudiziario e fiscale di un paese dimostrano avere un effetto rilevante nel processo di crescita delle imprese. Un interessante studio di Kumar, Rajan e Zingales (2003) dal titolo “What Determines Firm Size?”, ha analizzato un campione di imprese di differenti dimensioni appartenenti a 15 paesi europei. Dall’analisi è emerso che la dimensione media delle imprese è maggiore in quei paesi nei quali il sistema giudiziario funziona in tempi rapidi e con maggiore efficienza, e nei paesi dove il sistema fiscale funziona meglio. I dati sulla situazione del sistema giudiziario italiano descrivono uno scenario ben lontano 56 da quello dell’efficienza e della rapidità nella erogazione del servizio pubblico. Troppo numerose sono, infatti, le cause civili pendenti e troppo lunghi i tempi per la risoluzione di una causa; tali fattori determinano un elevato livello di inefficienza che spesso influenza, paralizzandola, l’attività di un’impresa e determina un’influenza negativa sui processi di crescita. Altra influenza diretta del sistema giudiziario di un paese sulla dinamica di crescita delle imprese è rappresentato dal sistema normativo che disciplina i settori del lavoro, del fallimento, oltre che la normativa civilistica commerciale e la normativa fiscale e tributaria. La legislazione in materia di diritto fallimentare, ad esempio, ha in passato penalizzato eccessivamente la figura dell’imprenditore determinando un vincolo alla crescita delle imprese, così come un assetto istituzionale volto a privilegiare la piccola dimensione in termini di oneri fiscali e contributivi, di vincoli normativi e amministrativi e di gestione dei rapporti di lavoro non incentiva gli imprenditori a far crescere le proprie aziende. 57 PROFESSIONI Liberi professionisti e Ordini professionali IL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA. L’Italia vanta un tasso di disoccupazione tra i più bassi del mondo occidentale sviluppato, ma resta un paese con una scarsa propensione al lavoro; il tasso di attività e il tasso di occupazione sono tra i più bassi. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro è ancora molto lontana dalle medie occidentali. Il numero di disoccupati relativamente più basso è dovuto alla presenza di un gran numero di soggetti che pur non avendo un lavoro non ne sono alla ricerca. Hanno, molto probabilmente, un lavoro non regolare o preferiscono usufruire più della media occidentale dei sistemi di protezione sociale naturali come la famiglia ovvero sono usciti anzitempo dal mercato del lavoro. Più che il tasso di disoccupazione, quindi, dovremmo guardare al tasso di occupazione; è questo infatti che genera reddito e quindi entrate tributarie e contributive. MOLTO ELEVATO IL GAP ITALIANO CON LA MEDIA UE. Nel 2009 il tasso di attività è stato pari al 62,4% della popolazione tra i 15 e i 64 anni (51,1% al Sud e 51,1% per le donne); il tasso di occupazione è stato pari al 57,5% (44,6% al Sud e 46,4% per le donne); il tasso di disoccupazione è stato pari al 7,9% (12,6% al Sud e 9,3% per le donne). La media Ue27 del tasso di occupazione 2009 è pari a 64,6% (58,6% per le donne), mentre la media Ue15 è 65,9% (59,9% per le donne). I tassi più elevati si riscontrano in Danimarca (75,7%) e Olanda (77%), mentre la Germania è al 70,9% e gli Usa e il Giappone sono intorno al 70%. Il gap dell’Italia per il tasso di occupazione con l’Ue27 per il 2009 è di 7,1 punti percentuali. Gap che sale a 12,4 punti nel confronto con la Germania. UN LAVORATORE SU QUATTRO È INDIPENDENTE. Oltre ad avere uno dei tassi di occupazione più bassi, l’Italia ha la percentuale di occupati indipendenti più alta. Nel 2009 il rapporto è stato di uno a tre, per una quota di lavoratori indipendenti pari al 25% del totale. I PROFESSIONISTI. Nel 2009, secondo i dati raccolti ed elaborati dal Censis e rielaborati dall’Irdcec, gli iscritti ai 25 Ordini e Collegi professionali sono 2.020.905 di unità. Nello stesso periodo, secondo l’Istat, gli occupati liberi professionisti sono 1.148.400 pari al 57% degli iscritti agli Ordini. Nel 2008 gli iscritti contribuenti alle casse previdenziali private dei professionisti sono stati pari a 1.039.599 unità. CRESCITA A RITMO ELEVATO. I liberi professionisti rappresentano l’unica componente del mercato del lavoro italiano che continua a crescere nonostante la 58 crisi e nonostante il calo generalizzato che ha colpito il lavoro autonomo ed è la componente che negli ultimi 15 anni è cresciuta a ritmo più elevato. La crescita maggiore ha riguardato il comparto dei servizi alle imprese; significativa però è anche la crescita del comparto dei servizi alla persona e alla pubblica amministrazione. DAL 2000 AL 2009 +13,6% CONTRO IL 9,2% DELL’OCCUPAZIONE TOTALE. Secondo l’Istat nel 2009 i liberi professionisti occupati in Italia sono 1.148.400, pari al 5% dell’occupazione totale e al 20% degli occupati indipendenti. Dal 2000 al 2009 l’occupazione totale è cresciuta in Italia del 9,2%. La variazione complessiva è il risultato di un aumento degli occupati dipendenti pari al 14,2% e di una diminuzione degli occupati indipendenti pari al 3,4%. Nello stesso periodo i liberi professionisti sono aumentati del 13,6%. NEL 2009 I LIBERI PROFESSIONISTI COPRONO IL 5% DELL’OCCUPAZIONE TOTALE. Il calo degli occupati indipendenti è concentrato tra i coadiuvanti familiari-co.co.co e prestatori d’opera occasionali che subiscono un crollo del 56,7% e gli imprenditori che diminuiscono del 50,3% e i soci di cooperativa di produzione che calano dell’87,4%. Crescono, invece, del 7,4% i lavoratori in proprio. Rispetto al 2000 i liberi professionisti pesano di più nella composizione strutturale dell’occupazione italiana passando dal 4,8 al 5% del totale e dal 17 al 20% del totale indipendenti. Tabella 1. Occupati per posizione nella professione. Anni 2000 e 2009. POSIZIONE NELLA PROFESSIONE INDIPENDENTI 2000 5.948.583 2009 5.748.274 Quote 2000 28,2% Var. 00-09 -3,4% Quote 2009 25,0% 524.876 261.032 2,5% -50,3% 1,1% Liberi professionisti 1.010.856 1.148.400 4,8% 13,6% 5,0% Lavoratori in proprio Imprenditori 3.301.456 3.546.323 15,7% 7,4% 15,4% Soci di cooperativa di produzione 273.157 34.329 1,3% -87,4% 0,1% Coadiuvanti familiari, Co.co.co., Prestatori d'opera occasionali 838.238 362.640 4,0% -56,7% 1,6% 75,0% 71,8% 14,2% Dirigenti 348.065 465.651 1,7% 33,8% 2,0% Direttivi-Quadro 972.771 1.198.563 4,6% 23,2% 5,2% Impiegati o Intermedi 6.519.165 7.319.074 30,9% 12,3% 31,8% Operai, Subalterni ed Assimilati 7.081.338 8.072.445 33,6% 14,0% 35,1% 179.849 213.005 0,9% 18,4% 30.005 7.980 0,1% -73,4% 0,9% 0,0% 9,2% 100,0% DIPENDENTI Apprendisti Lavoranti a domicilio per conto imprese TOTALE OCCUPATI 15.131.192 17.276.718 21.079.775 23.024.992 100,0% Fonte: Istat, Medie Forze di Lavoro, vari anni PROFESSIONI INTELLETTUALI AL 10,3% DEL TOTALE. Nell’analisi della distribuzione per professione, le professioni intellettuali raggiungono la cifra del 10,3% del totale degli occupati nel 2009, mostrando il più elevato tasso di crescita dal 2000 (+45,4%). 59 Tabella 2. Occupati per professione. Anno 2000 e 2009. 2000 2009 Quote 2000 Var. 00-09 Quote 2009 693.524 990.856 3,3% 42,9% 4,3% Professione Legislatori, dirigenti, imprenditori Professioni intellettuali 1.630.385 2.369.946 7,7% 45,4% 10,3% Professioni tecniche intermedie 4.372.078 4.690.151 20,7% 7,3% 20,4% Professioni esecutive amministrative 2.381.722 2.536.681 11,3% 6,5% 11,0% Professioni connesse alla vendita di servizi 3.551.125 3.797.560 16,8% 6,9% 16,5% Artigiani, operai specializzati, agricoltori 4.443.771 4.327.486 21,1% -2,6% 18,8% Conduttori di impianti e operai macchine 2.023.416 1.836.304 9,6% -9,2% 8,0% Professioni non qualificate 1.778.183 2.225.490 8,4% 25,2% 205.572 250.516 1,0% 21,9% 9,7% 1,1% 9,2% 100,0% Forze armate TOTALE OCCUPATI 21.079.775 23.024.992 100,0% Fonte: Istat, Medie Forze di Lavoro, vari anni IL 59% DEI LIBERI PROFESSIONISTI È OCCUPATO NEI SERVIZI ALLE IMPRESE. Osservando la distribuzione dei liberi professionisti per settore di attività economica, si nota come il 95% sia occupato nei servizi contro il 5% dell’industria. In particolare, il 59% si concentra nei servizi alle imprese. Gli unici settori di attività che vedono incrementare i liberi professionisti sono i servizi alle imprese (+60%), l’istruzione-sanità-altri servizi sociali (+21%) e trasporti e comunicazioni (+24,5%). Nell’industria il calo è del 58,4%. Nelle costruzioni il calo è addirittura del 65%. Tabella 3. Occupati liberi professionisti per settore di attività economica. Anni 2000 e 2009. SETTORI DI ATTIVITA' 2000 2009 Quota 2000 Var. 00-09 Quota 2009 AGRICOLTURA 7.311 3.439 0,70% -53,00% 0,30% INDUSTRIA 137.484 57.132 13,60% -58,40% 5,00% Industria in senso stretto 72.376 34.345 7,20% -52,50% 3,00% Costruzioni ed installazioni impianti 65.108 22.788 6,40% -65,00% 2,00% SERVIZI 866.061 1.087.829 85,70% 25,60% 94,70% Commercio 112.900 102.664 11,20% -9,10% 8,90% Alberghi e ristoranti 6.381 2.835 0,60% -55,60% 0,20% Trasporti e comunicazioni Intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari Servizi alle imprese, altre attività professionali e imprenditoriali Pubblica amministrazione, difesa, assicurazione sociale obbligatoria 12.240 15.241 1,20% 24,50% 1,30% 76.090 57.193 7,50% -24,80% 5,00% 421.799 678.232 41,70% 60,80% 59,10% 19.706 -- 1,90% 0,00% 0,00% Istruzione, sanità, altri servizi sociali 149.981 181.256 14,80% 20,90% 15,80% Altri servizi pubblici, sociali e alle persone 66.963 49.808 6,60% -25,60% 4,30% 13,60% 100,00% TOTALE OCCUPATI LIBERI PROFESSIONISTI 1.010.856 1.148.400 100,00% Fonte: Istat, Medie Forze di lavoro, vari anni. ISCRITTI A ORDINI E COLLEGI PROFESSIONALI. Nel 2009, gli iscritti a ordini e collegi professionali risultano pari a 2.020.905. Il 50,4% è rappresentato da professioni medico-sociali, il 31% da professioni tecniche, il 14,1% dalle professioni economico-giuridiche e il 4,5% da giornalisti. Dal 2000 al 2009 gli 60 iscritti a ordini e collegi professionali sono cresciuti del 27%. Rispetto alla media generale, le professioni medico-sociali sono cresciute del 23%, mentre le professioni tecniche del 29%. È di un solo punto superiore alla media la crescita delle professioni economico-giuridiche. Tabella 4. Iscritti a Ordini e Collegi professionali per gruppi omogenei. Anni 2000 e 2009. 2000 2009 Quota 2000 Quota 2009 Var. 00-09 PROFESSIONI ECONOMICO-GIURIDICHE 222.862 285.435 14,0% 14,1% 28% PROFESSIONI TECNICHE 483.371 625.809 30,3% 31,0% 29% PROFESSIONI MEDICO-SOCIALI 824.967 1.018.037 51,7% 50,4% 23% PROFESSIONI GIORNALISTICHE 64.593 91.625 4,0% 4,5% 42% 1.595.793 2.020.905 100,0% 100,0% 27% PROFESSIONI TOTALE Fonte: Ns elaborazione su dati Rapporto annuale Censis, vari anni Tra le professioni tecniche spiccano gli alti tassi di crescita di architetti e ingegneri, mentre i geometri sono stazionari; nel campo medico-sociale sono le professioni sociali a crescere a ritmi sostenuti, gli psicologi sono più che raddoppiati (+132%), mentre gli assistenti sociali sono aumentati del 35%. Tabella 5. Iscritti a Ordini e Collegi professionali. Anni 2000 e 2009. ORDINI/COLLEGI 2000 2009 Quota 2000 Quota 2009 Var. 00-09 Psicologi 31.127 72.174 2,0% Architetti 83.162 143.995 5,2% 3,6% 132% 7,1% 73% Ingegneri 140.000 220.153 8,8% 10,9% 57% Giornalisti e pubblicisti 64.593 91.625 4,0% 4,5% 42% Assistenti sociali 27.076 36.582 1,7% 1,8% 35% Avvocati e procuratori (dati cassa forense) 110.608 144.443 6,9% 7,1% 31% Veterinari 20.131 26.179 1,3% 1,3% 30% 702 903 0,0% 0,0% 29% 85.793 109.470 5,4% 5,4% 28% Attuari Commercialisti ed esperti contabili Consulenti del lavoro 18.875 23.744 1,2% 1,2% 26% Agronomi e forestali 17.063 20.993 1,1% 1,0% 23% Medici chirurghi ed odontoiatri 327.558 393.727 20,5% 19,5% 20% Farmacisti 61.326 73.080 3,8% 3,6% 19% Infermieri 319.486 376.694 20,0% 18,6% 18% Geologi 13.191 15.488 0,8% 0,8% 17% Ostetriche 15.549 16.665 1,0% 0,8% 7% Biologi 40.386 42.137 2,5% 2,1% 4% Chimici 9.600 9.966 0,6% 0,5% 4% Geometri 92.766 95.266 5,8% 4,7% 3% Tecnici sanitari di radiologia medica 22.714 22.936 1,4% 1,1% 1% Notai 4.607 4.625 0,3% 0,2% 0% Spedizionieri doganali 2.277 2.250 0,1% 0,1% -1% Agrotecnici 15.742 14.695 1,0% 0,7% -7% Periti industriali 48.961 45.382 3,1% 2,2% -7% Periti agrari 22.500 17.734 1,4% 0,9% -21% 1.595.793 2.020.905 100,0% 100,0% 27% Totale 61 Tabella 6. Occupati per posizione nella professione. Anni 2000-2009. INDIPENDENTI Imprenditori 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 08-09 00-09 2009 5.948.583 5.997.659 5.979.968 6.008.068 6.287.176 6.029.227 6.073.400 6.054.775 5.958.831 5.748.274 -3,7% -3,4% 25,0% 1,1% 524.876 546.375 614.138 641.708 402.427 383.035 346.007 317.393 284.981 261.032 -9,2% -50,3% Liberi professionisti 1.010.856 1.067.508 1.089.299 1.095.105 1.123.706 1.111.618 1.107.073 1.142.647 1.170.491 1.148.400 -1,9% 13,6% 5,0% Lavoratori in proprio 3.301.456 3.246.474 3.181.678 3.174.541 3.637.559 3.613.204 3.659.435 3.635.543 3.600.751 3.546.323 -1,5% 7,4% 15,4% 273.157 239.540 203.113 196.023 60.311 43.262 39.262 47.575 34.851 34.329 -1,5% -87,4% 0,1% 838.238 897.762 891.741 900.692 566.022 420.797 424.798 911.668 402.678 362.640 -11,0% -56,7% 1,6% -1,0% 14,2% 75,0% 2,0% Soci di cooperativa di produzione Coadiuvanti familiari, Co.co.co., Prestatori d'opera occasionali DIPENDENTI 15.131.192 15.516.760 15.849.308 16.046.181 16.117.254 16.533.602 16.914.816 17.167.062 17.445.858 17.276.718 Dirigenti 348.065 331.602 330.731 343.769 536.367 460.973 478.053 484.736 500.299 465.651 -7,4% 33,8% Direttivi-Quadro 972.771 1.044.008 1.036.079 1.022.003 1.111.527 1.205.785 1.249.029 1.229.659 1.228.440 1.198.563 -2,5% 23,2% 5,2% Impiegati o Intermedi 6.519.165 6.798.811 7.028.307 7.173.994 6.534.405 6.722.512 6.945.401 7.143.024 7.301.378 7.319.074 0,2% 12,3% 31,8% Operai, Subalterni ed Assimilati 7.081.338 7.142.585 7.255.300 7.313.775 7.643.393 7.888.674 7.980.426 8.037.988 8.149.424 8.072.445 -1,0% 14,0% 35,1% Apprendisti 179.849 171.833 174.245 165.378 274.407 244.441 250.814 260.367 257.096 213.005 -20,7% 18,4% Lavoranti a domicilio per conto imprese 30.005 27.921 24.647 27.262 17.155 11.218 11.093 11.289 9.222 7.980 0,9% 0,0% TOTALE OCCUPATI -15,6% -73,4% 21.079.775 21.514.420 21.829.277 22.054.249 22.404.430 22.562.829 22.988.216 23.221.837 23.404.689 23.024.992 -1,6% 9,2% 100,0% Fonte: Istat, Medie Forze di Lavoro, vari anni Tabella 7. Iscritti Occupati per professione. Anni 2000-2009. 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 693.524 686.826 725.822 752.474 1.063.272 1.040.458 1.153.544 1.143.180 1.095.318 990.856 Professioni intellettuali 1.630.385 1.703.684 1.760.716 1.759.713 2.261.534 2.232.999 2.222.597 2.325.500 2.433.099 2.369.946 -2,7% 45,4% 10,3% Professioni tecniche intermedie 4.372.078 4.538.020 4.676.441 4.809.510 4.392.701 4.418.702 4.921.104 5.096.807 4.934.182 4.690.151 -5,2% 7,3% 20,4% Professioni esecutive amministrative 2.381.722 2.456.336 2.445.954 2.396.620 2.530.496 2.581.107 2.447.858 2.392.578 2.518.044 2.536.681 0,7% 6,5% 11,0% Professioni connesse alla vendita di servizi 3.551.125 3.640.207 3.699.317 3.813.765 3.519.329 3.532.441 3.597.835 3.686.187 3.759.097 3.797.560 1,0% 6,9% 16,5% Artigiani, operai specializzati, agricoltori 4.443.771 4.469.366 4.484.546 4.455.397 4.268.710 4.300.170 4.279.155 4.259.724 4.343.365 4.327.486 -0,4% -2,6% 18,8% Legislatori, dirigenti, imprenditori 00-09 2009 -10,5% 42,9% 08-09 4,3% Conduttori di impianti e operai macchine 2.023.416 1.983.219 1.990.426 2.036.282 2.049.079 2.070.957 2.037.739 2.033.751 1.949.783 1.836.304 -6,2% -9,2% 8,0% Professioni non qualificate 1.778.183 1.822.139 1.829.317 1.797.881 2.061.275 2.129.608 2.078.253 2.032.382 2.126.835 2.225.490 4,4% 25,2% 205.572 214.623 216.737 232.607 258.034 256.386 250.131 252.028 244.965 250.516 2,2% 21,9% 9,7% 1,1% -1,6% 9,2% 100,0% Forze armate TOTALE OCCUPATI 21.079.775 21.514.420 21.829.277 22.054.249 22.404.430 22.562.829 22.988.216 23.221.837 23.404.689 23.024.992 Fonte: Istat, Medie Forze di Lavoro, vari anni 62 Tabella 8. Occupati liberi professionisti per posizione nella professione. Anni 2000-2009. 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 08-09 00-09 2009 7.311 7.030 9.257 8.770 5.012 2.695 2.940 3.260 2.703 3.439 21,4% -53,0% 0,3% INDUSTRIA 137.484 155.738 152.365 144.226 58.247 51.500 54.496 59.705 51.022 57.132 10,7% -58,4% 5,0% Industria in senso stretto 72.376 77.099 74.605 72.276 32.004 28.556 34.388 39.199 31.024 34.345 9,7% -52,5% 3,0% Costruzioni ed installazioni impianti 65.108 76.255 75.345 70.053 26.243 22.944 20.109 20.507 19.998 22.788 12,2% -65,0% 2,0% AGRICOLTURA SERVIZI 866.061 904.740 927.678 942.109 1.060.447 1.057.423 1.049.637 1.079.681 1.116.766 1.087.829 -2,7% 25,6% 94,7% Commercio 112.900 114.904 110.351 118.155 136.945 120.774 114.684 120.491 115.622 102.664 -12,6% -9,1% 8,9% Alberghi e ristoranti 6.381 9.466 7.983 9.984 3.439 2.818 3.422 3.525 2.961 2.835 -4,4% -55,6% 0,2% Trasporti e comunicazioni 12.240 14.151 13.325 13.094 10.187 7.901 13.199 13.053 14.550 15.241 4,5% 24,5% 1,3% Intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari 76.090 79.381 74.529 78.541 94.287 88.623 59.599 55.241 62.290 57.193 -8,9% -24,8% 5,0% 421.799 429.515 466.483 478.592 572.270 601.908 634.041 670.480 692.409 678.232 -2,1% 60,8% 59,1% 19.706 26.091 25.776 25.949 - - - 0 - 0,0% 0,0% Istruzione, sanità, altri servizi sociali 149.981 154.788 150.383 142.128 185.128 175.688 174.241 170.264 176.723 181.256 2,5% 20,9% 15,8% Altri servizi pubblici, sociali e alle persone 66.963 76.446 78.847 75.666 58.191 59.289 50.450 46.626 52.212 49.808 -4,8% -25,6% 4,3% 1.010.856 1.067.508 1.089.299 1.095.105 1.123.706 1.111.618 1.107.073 1.142.647 1.170.491 1.148.400 -1,9% 13,6% 100,0% Servizi alle imprese, altre attività professionali e imprenditoriali Pubblica amministrazione, difesa, assicurazione sociale obbligatoria TOTALE OCCUPATI LIBERI PROFESSIONISTI Fonte: Istat, Medie Forze di Lavoro, vari anni 63 Tabella 9. Iscritti a Ordini e Collegi professionali. Anni 1997-2009 ORDINI/COLLEGI 1995 1996 1997 Psicologi 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007* 2008 2009 27.795 31.029 31.127 35.419 37.742 43.394 44.109 51.065 57.123 62.694 67.815 72.174 Architetti Giornalisti e pubblicisti 68.461 70.763 70.763 78.388 80.000 83.162 92.000 100.165 108.783 111.063 122.608 123.083 128.639 133.677 143.995 58.662 72.214 73.928 62.799 64.593 64.593 68.515 69.322 72.740 75.079 90.218 80.130 98.477 101.221 91.625 Ingegneri 115.662 121.625 121.625 130.506 134.185 140.000 150.000 153.009 153.009 165.148 186.547 183.044 198.433 207.005 220.153 Veterinari 17.074 17.345 18.477 18.524 19.610 20.131 20.872 21.600 22.547 23.528 24.107 25.409 26.179 26.852 26.179 24.227 25.358 27.076 29.121 29.121 30.100 31.937 31.937 30.578 34.770 35.722 36.582 Assistenti sociali Commercialisti ed esperti contabili Avvocati e procurat. (dati cassa forense) 74.416 73.074 80.282 81.923 88.000 85.793 85.830 90.428 92.100 92.916 98.896 100.177 105.981 107.499 109.470 70.413 70.413 71.040 92.202 81.513 110.608 124.437 129.071 129.071 105.307 111.827 121.661 178.134 136.750 144.443 629 629 637 680 697 702 702 702 756 774 810 838 862 881 903 Farmacisti 55.746 57.207 57.914 59.216 60.404 61.326 62.963 65.235 64.130 48.429 69.585 33.549 73.791 75.985 73.080 Consulenti del lav. 16.631 17.153 17.650 17.857 18.412 18.875 19.476 19.897 20.282 20.726 21.239 21.840 22.409 23.074 23.744 Agronomi e forest. 13.641 14.133 14.635 16.034 16.960 17.063 17.257 17.604 18.026 18.584 19.103 19.860 20.240 20.672 20.993 Geologi 10.105 10.811 10.851 12.233 12.998 13.191 13.517 13.854 14.257 14.776 15.094 12.177 15.558 15.502 15.488 Attuari Geometri 83.548 83.548 83.548 88.861 90.654 92.766 92.766 96.176 84.000 101.960 101.960 101.960 108.860 95.007 95.266 Infermieri Medici chirurghi ed odontoiatri 268.796 290.049 304.368 316.805 320.000 319.486 320.657 322.074 329.774 336.994 334.178 336.994 354.623 359.954 376.694 393.727 342.283 312.170 312.170 318.244 321.167 327.558 332.965 316.260 357.219 365.014 370.374 377.726 380.762 385.102 Chimici 8.946 9.074 9.233 9.502 9.500 9.600 9.515 9.528 9.639 9.850 9.877 9.995 9.915 9.952 9.966 Biologi 39.963 40.775 40.138 39.614 39.565 40.386 40.863 40.083 40.778 40.841 41.009 41.230 41.596 41.460 42.137 Ostetriche 15.846 15.483 15.483 15.483 15.560 15.549 14.657 14.565 15.472 14.608 15.821 16.543 16.551 16.608 16.665 Notai 4.490 4.870 4.870 4.480 4.414 4.607 4.680 4.584 4.718 4.765 4.693 4.740 4.671 4.731 4.625 Spedizionieri dog. Tecnici sanitari di radiologia medica 2.600 2.360 2.280 2.312 2.300 2.277 2.320 2.344 2.340 2.467 2.400 2.284 2.195 2.132 2.250 19.261 20.054 21.370 21.370 21.156 22.714 20.799 20.799 20.952 20.960 20.701 21.258 21.837 22.347 22.936 Periti industriali 47.430 47.644 47.525 47.525 48.000 48.961 46.626 46.626 46.661 46.129 46.318 46.513 46.345 46.352 45.382 Agrotecnici 15.967 15.967 15.967 15.016 15.607 15.742 15.730 14.937 14.932 14.873 14.869 14.867 14.782 14.808 14.695 Periti agrari 24.134 24.125 23.639 22.500 22.500 22.500 22.500 21.000 22.005 22.005 22.005 22.005 22.005 18.301 17.734 1.374.704 1.391.486 Totale 1.418.393 1.524.096 1.544.182 1.595.793 1.644.187 1.656.726 1.717.685 1.732.842 1.827.241 1.805.584 1.990.309 1.969.409 2.020.905 Fonte: Ns. elaborazione su dati Rapporto annuale Censis, vari anni 64 Tabella 10. Iscritti a Ordini e Collegi professionali per gruppi omogenei. Anni 2000-2005. PROFESSIONI ECONOMICOGIURIDICHE 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 169.179 168.499 176.759 199.454 195.336 222.862 237.445 247.026 249.267 226.955 239.865 PROFESSIONI TECNICHE 387.894 397.690 397.786 420.565 430.404 442.985 459.911 472.899 471.312 504.388 538.381 PROFESSIONI MEDICO-SOCIALI 758.969 753.083 769.920 841.278 853.849 865.353 878.316 867.479 924.366 926.420 958.777 PROFESSIONI GIORNALISTICHE 58.662 72.214 73.928 62.799 64.593 64.593 68.515 69.322 72.740 75.079 90.218 TOTALE 1.374.704 1.391.486 1.418.393 1.524.096 1.544.182 1.595.793 1.644.187 1.656.726 1.717.685 1.732.842 1.827.241 Fonte: Ns. elaborazione su dati Rapporto annuale Censis, vari anni Tabella 11. Iscritti a Ordini e Collegi professionali per gruppi omogenei. Anni 2006-2009. PROFESSIONI ECONOMICOGIURIDICHE 2006 2007* 2008 2009 251.540 314.252 275.067 285.435 564.777 561.276 583.672 PROFESSIONI TECNICHE 533.504 PROFESSIONI MEDICO-SOCIALI 940.410 PROFESSIONI GIORNALISTICHE 80.130 TOTALE 1.012.803 1.031.845 1.060.174 98.477 101.221 91.625 1.805.584 1.990.309 1.969.409 2.020.905 Fonte: Ns. elaborazione su dati Rapporto annuale Censis, vari anni 65 APPENDICE STATISTICA: STRUTTURA DEL SISTEMA DELLE IMPRESE INDUSTRIALI E DEI SERVIZI La struttura delle imprese e dell’occupazione IMPRESE A ADDETTI NEL 2007. Nel 2007 le imprese attive totali sono 4.480.473 e occupano, complessivamente, 17.586.031 addetti. La prevalenza di micro imprese nel sistema produttivo è confermata da 4.247.181 imprese con meno di 10 addetti che rappresentano il 94,8 per cento del totale ed occupano il 46,42 per cento degli addetti. Il 21 per cento degli addetti, pari a 3.686.875 unità, lavora nelle piccole imprese (da 10 a 49 addetti), mentre la quota rilevata nelle imprese di media dimensione (da 50 a 249 addetti) è il 12,6 per cento (pari a oltre 2,2 milioni di addetti). Le imprese con più di 250 addetti sono 3.630 imprese (0,08 per cento) e assorbono il 20 per cento dell’occupazione complessiva (oltre 3,5 milioni di addetti). La struttura delle imprese, in termini di attività economica si presenta caratterizzata da una forte concentrazione dell’occupazione nel settore manifatturiero con 4.449.481 e oltre il 25 per cento degli addetti totali seguito dal commercio, sia all’ingrosso sia al dettaglio con 3.512.353, che nel complesso raggiunge il 20 per cento dell’occupazione totale e dal settore delle costruzioni dove 1.989.694 di imprese occupano poco più dell’11 per cento degli addetti totali. LA DISTRIBUZIONE TERRITORIALE. Analizzando la distribuzione territoriale delle imprese si evidenzia la regione con il maggior numero di imprese che risulta essere la Lombardia con 899.584 imprese pari al 18,4 per cento del totale seguita dal Lazio con 448.790 (9,19 per cento), dal Veneto con 444.578 (9,10 per cento), dall’Emilia Romagna con 421.906 (8,64 per cento), dal Piemonte con 376.847 (7,7 per cento) e dalla Campania con 373.993 pari al 7,7 per cento del totale. Analizzando la distribuzione territoriale delle imprese per settore di attività economica, si può notare una forte concentrazione di imprese di servizi di informazione e comunicazione al Nord-Ovest (35,2 per cento delle totale italiano delle imprese del settore) seguito dal Centro (24,6 per cento), mentre è interessante rilevare nei dati relativi alle imprese dedite al commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporto e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione il dato del Sud che si attesta al 22,7% del totale italiano delle imprese del settore. LA DISTRIBUZIONE PER FORMA GIURIDICA. Analizzando infine la distribuzione delle imprese e degli addetti per forma giuridica, le imprese individuali 66 rappresentano con 2.886.585 di unità il 64,4 per cento del totale e occupano 4.536.531 di addetti pari al 25,8% del totale, seguite dalle società di persone con 815.299 unità pari al 18,2% del totale e 2.965.565 di addetti pari al 16,9 per cento del totale. Le società di capitali sono 712.765 pari al 15,9 per cento delle imprese totali e occupano 8.880.703 di addetti pari al 50,5 per cento del totale degli occupati. L’ISTAT E L’ARCHIVIO ASIA 2007. L’Istat rende disponibili i dati sulla struttura delle imprese e dell’occupazione per l’anno 2007 e sulle modifiche intervenute rispetto all’anno precedente. Le informazioni derivano dall’Archivio statistico delle imprese attive (ASIA), vale a dire le imprese che hanno svolto un’attività produttiva per almeno sei mesi nell’anno di riferimento. I dati sono pubblicati, per la prima volta, utilizzando la nuova classificazione delle attività economiche Ateco 2007, entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 2008 con un calendario specifico per le singole indagini statistiche ed unico per i paesi della Ue. Il registro Asia è costituito dalle unità economiche che esercitano arti e professioni nelle attività industriali, commerciali e dei servizi alle imprese e alle famiglie e fornisce informazioni identificative (denominazione e indirizzo) e di struttura (attività economica, addetti dipendenti e indipendenti, forma giuridica, data di inizio e fine attività, fatturato) di tali unità. Oltre a costituire la base informativa per le analisi sull’evoluzione della struttura delle imprese italiane e sulla loro demografia, ASIA rappresenta l’universo di riferimento delle indagini sulle imprese condotte dall’Istat. Nelle seguenti tabelle statistiche vengono descritte le caratteristiche dimensionali delle imprese italiane. 67 Indice delle tavole Tavola 1 Imprese e addetti per classi di addetti - Anno 2007 (valori assoluti e percentuali) Tavola 2 Unità locali e classi di addetti per macroregione- Anno 2007 (valori assoluti e percentuali) Tavola 3 Addetti per settori di attività economica e classi di addetti- Anno 2007 (valori assoluti e percentuali) Tavola 4 Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali): Totale Tavola 5 Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali): Attività manifatturiere ed estrattive, altre attività Tavola 6 Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali): Costruzioni Tavola 7 Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali): Commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporto e magazzinaggio attività di alloggio e ristorazione Tavola 8 Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali): Servizi di informazione e comunicazione Tavola 9 Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali): Attività finanziarie e assicurative Tavola 10 Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di 68 attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali): Attività immobiliari Tavola 11 Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori percentuali): Attività professionali, scientifiche e attività amministrative e di servizio di supporto di addetti, settore di assoluti e tecniche, Tavola 12 Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali): Istruzione, sanità e assistenza sociale Tavola 13 Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali): Altre attività di servizi Tavola 14 Imprese e addetti indipendenti e dipendenti per forma giuridica – Anno 2007 (valori assoluti e percentuali) 69 Tavola 1 – Imprese e addetti per classi di addetti – Anno 2007 (valori assoluti) Classi dimensionali 1 Imprese % Imprese Totale addetti % Addetti N. Medio 2.593.079 57,88 2.591.717 14,74 1 1.422.300 31,74 3.929.542 22,34 2,8 231.802 5,17 1.642.079 9,34 7,1 4.247.181 94,79 8.163.337 46,42 11 10-19 148.840 3,32 1.954.006 11,11 13,1 20-49 58.064 1,3 1.732.869 9,85 29,8 Totale piccole imprese 206.904 4,62 3.686.875 20,96 43 50-99 14.770 0,33 1.011.182 5,75 68,5 100-249 7.988 0,18 1.200.107 6,82 150,2 250 e più 3.630 0,08 3.524.529 20,04 970,9 Totale medio-grandi imprese 26.388 0,59 5.735.818 32,62 217 4.480.473 100 17.586.031 100 3,9 2-5 6-9 Totale Micro imprese Totale Tavola 2–Unità locali e classe di addetti per macroregione – Anno 2007 (valori assoluti e percentuali) CLASSE DI ADDETTI NordOvest UNITA' LOCALI NordCentro Sud Est Italia NordOvest NordEst ADDETTI Centro Sud Italia Micro (1-9) 29,2 21,38 21,32 28,1 94,6 29,47 22,5 21,22 26,8 51,01 10-19 31,32 25,69 20,95 22,04 3,36 31,36 25,85 20,9 21,88 12,23 20-49 33,22 27,71 19,49 19,58 1,4 33,65 27,65 19,42 19,28 11,58 Piccole (10-49) Medio- grandi (50 e oltre) 64,53 53,4 40,44 41,62 4,76 65,01 53,5 40,32 41,17 23,81 37,79 26,64 18,9 16,67 0,64 38,06 25,08 20,17 16,69 25,18 Totale 29,38 21,64 21,27 27,7 100 32,35 24,16 20,71 22,78 100 Totale valore assoluto 1.435.041 1.057.191 1.038.888 1.353.193 4.884.313 5.688.962 4.248.365 3.641.936 4.006.782 17.586.044 70 Tavola 3 – Addetti per settore di attività economica e classi di addetti – Anno 2007 (valori assoluti e percentuali) ATTIVITA' ECONOMICHE (a) MICRO (1-9) PICCOLE (10-49) MEDIO-GRANDI (50 e piu') TOTALE N. % N. % N. % 7.327 18,61 13.700 34,8 18.336 46,58 1.079.243 24,26 3.593 4,14 6.449 7,42 76.824 88,44 86.866 17.273 10,68 30.730 18,99 113.790 70,33 161.793 1.262.504 63,45 537.019 26,99 190.171 9,56 1.989.694 2.210.454 62,93 613.918 17,48 687.981 19,59 3.512.353 Trasporto e magazzinaggio Attivita' dei servizi di alloggio e di ristorazione 259.141 23,05 201.999 17,97 663.020 58,98 1.124.161 734.701 61,6 260.046 21,8 197.891 16,59 1.192.638 Servizi di informazione e comunicazione 182.544 32,31 95.784 16,95 286.733 50,74 565.061 Attivita' finanziarie e assicurative 127.823 21,74 31.596 5,37 428.617 72,89 588.036 Attivita' immobiliari Attivita' professionali, scientifiche e tecniche Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese 289.660 94,06 10.949 3,56 7.330 2,38 307.939 930.744 77,93 127.215 10,65 136.352 11,42 1.194.311 259.687 23,94 158.791 14,64 666.358 61,42 1.084.837 Istruzione 43.297 55,44 23.596 30,22 11.200 14,34 78.093 Sanita' e assistenza sociale Attivita' artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento 318.535 49,29 85.710 13,26 241.989 37,45 646.234 99.678 60,74 37.202 22,67 27.224 16,59 164.104 Altre attivita' di servizi 337.134 84,06 41.097 10,25 22.837 5,69 401.067 8.163.337 46,42 Estrazione di minerali da cave e miniere Attivita' manifatturiere Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata Fornitura di acqua Costruzioni Commercio all'ingrosso e al dettaglio TOTALE 1.411.074 31,71 1.959.164 44,03 39.363 4.449.481 3.686.875 20,96 5.735.818 32,62 17.586.031 71 Tavola 4 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MC PI MGI TOT % MC PI MGI TOT % 01 - Piemonte 7,71 7,65 9,56 376.847 7,72 7,74 7,77 10,15 1.469.241 8,35 02 - Valle d'Aosta 0,27 0,23 0,18 13.218 0,27 0,3 0,22 0,18 44.053 0,25 03 - Lombardia 18,21 21,45 25,88 899.584 18,42 18,37 21,98 25,5 3.696.865 21,02 145.392 2,98 2,24 478.802 2,72 5.688.962 32,35 07 - Liguria 3 Nord-Ovest 29,2 31,88 37,79 1.435.041 29,38 29,47 32,47 38,06 021 - Bolzano 0,93 1,24 0,94 46.343 0,95 1,05 1,24 0,84 182.742 1,04 022 - Trento 0,92 1,15 1,02 45.267 0,93 1,01 1,13 0,93 179.164 1,02 04 - Trentino-Alto Adige 1,85 2,39 1,96 91.610 1,88 2,06 2,37 1,76 361.906 2,06 05 - Veneto 8,96 11,6 11,51 444.578 9,1 9,43 11,86 10,36 1.801.251 10,24 2 2,45 2,64 99.097 2,03 2,13 2,47 08 - Emilia-Romagna 8,56 9,85 10,54 421.906 8,64 8,89 Nord-Est 21,38 26,28 26,64 1.057.191 21,64 09 - Toscana 7,52 7,64 5,67 366.807 10 - Umbria 1,57 1,64 1,39 76.963 11 - Marche 2,97 3,59 2,89 12 - Lazio 9,27 7,66 8,95 Centro 21,32 20,52 18,9 13 - Abruzzo 2,27 2,06 2,04 14 - Molise 0,48 0,38 15 - Campania 7,77 5,72 16 - Puglia 5,57 4,43 3,08 17 - Basilicata 0,81 0,61 0,55 18 - Calabria 2,53 1,58 1,17 Sud 19,43 14,77 11,99 19 - Sicilia 6,16 4,5 20 - Sardegna 2,51 2,04 Isole 8,67 ITALIA 94,6 06 - Friuli-Venezia Giulia 2,55 2,17 3,06 2,51 2,63 410.783 2,34 10,03 10,32 1.674.425 9,52 22,5 26,73 25,08 4.248.365 24,16 7,51 7,8 7,45 5,32 1.247.395 7,09 1,58 1,64 1,61 1,18 266.341 1,51 146.328 3 3,14 3,56 2,5 541.539 3,08 448.790 9,19 8,65 7,56 11,16 1.586.660 9,02 1.038.888 21,27 21,22 20,18 20,17 3.641.936 20,71 377.858 2,15 110.217 2,26 2,24 2,04 2,06 0,3 23.326 0,48 0,47 0,36 0,29 69.922 0,4 4,86 373.993 7,66 7,12 5,63 5,01 1.096.313 6,23 268.395 5,5 5,41 4,23 3,27 807.304 4,59 39.175 0,8 0,78 0,6 0,62 122.229 0,7 120.873 2,47 2,31 1,52 0,96 312.720 1,78 935.979 19,16 18,33 14,38 12,2 2.786.344 15,84 3,11 296.149 6,06 5,94 4,3 3,07 848.689 4,83 1,58 121.065 2,48 2,54 1,94 1,42 371.748 2,11 6,54 4,68 417.214 8,54 8,48 6,24 4,49 1.220.438 6,94 4,76 0,64 4.884.313 100 51,01 23,81 25,18 17.586.044 100 72 Tavola 5 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali ) ATTIVITÀ MANIFATTURIERE ED ESTRATTIVE, ALTRE ATTIVITÀ’ UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 01 - Piemonte 7,92 8,31 10,66 44.535 8,04 8,1 8,43 12,19 466.014 9,84 02 - Valle d'Aosta 0,18 0,11 0,14 948 0,17 0,17 0,11 0,16 7.020 0,15 03 - Lombardia 19,44 24,16 26,59 112.459 20,31 21,12 24,4 24,98 1.120.633 23,66 07 - Liguria 2,16 1,57 1,25 11.340 2,05 2,15 1,54 1,65 81.999 1,73 Nord-Ovest 29,69 34,15 38,64 169.282 30,57 29,39 34,48 38,97 1.675.665 35,38 021 - Bolzano 0,74 0,64 0,79 4.021 0,73 0,72 0,65 0,83 34.872 0,74 022 - Trento 0,8 0,84 1,01 4.507 0,81 0,82 0,86 0,91 40.892 0,86 04 - Trentino-Alto Adige 1,54 1,48 1,81 8.528 1,54 1,53 1,51 1,73 75.763 1,6 05 - Veneto 10,43 14,7 14,42 61.800 11,16 11,58 15,07 13,08 628.828 13,28 06 - Friuli-Venezia Giulia 1,92 2,75 3,2 11.503 2,08 2,14 2,82 3,26 133.013 2,81 08 - Emilia-Romagna 8,87 11,29 12,11 51.532 9,31 9,87 11,47 11,98 530.889 11,21 Nord-Est 22,77 30,22 31,53 133.363 24,08 25,12 30,87 30,06 1.368.494 28,9 09 - Toscana 9,37 8,73 5,46 50.809 9,18 9,96 8,31 5,08 348.609 7,36 10 - Umbria 1,67 1,7 1,67 9.255 1,67 1,73 1,68 1,52 76.827 1,62 11 - Marche 3,88 5,18 4,35 22.609 4,08 4,34 5,17 3,72 205.265 4,33 12 - Lazio 5,75 3,47 4,26 29.774 5,38 5,14 3,34 5,35 218.027 4,6 Centro 20,66 19,07 15,75 112.447 20,31 21,17 18,5 15,67 848.728 17,92 13 - Abruzzo 2,36 2,14 2,55 12.915 2,33 2,27 2,17 2,84 116.406 2,46 73 (segue) Tavola 5 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali ) ATTIVITÀ MANIFATTURIERE ED ESTRATTIVE, ALTRE ATTIVITÀ’ UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 14 - Molise 0,46 0,34 0,32 2.444 0,44 0,42 0,33 0,41 18.278 0,39 15 - Campania 7,21 4,58 4,12 37.335 6,74 6,38 4,54 4,35 232.378 4,91 16 - Puglia 5,64 4,09 2,76 29.584 5,34 5,39 3,92 3,26 189.560 4 17 - Basilicata 0,82 0,53 0,73 4.280 0,77 0,74 0,54 0,89 34.678 0,73 18 - Calabria 2,37 0,96 0,57 11.744 2,12 1,95 0,88 0,44 45.894 0,97 Sud 18,87 12,62 11,05 98.302 17,75 17,16 12,38 12,19 637.194 13,45 19 - Sicilia 5,7 2,78 1,99 28.661 5,18 5,07 2,64 2,1 143.303 3,03 20 - Sardegna 2,31 1,16 1,04 11.685 2,11 2,1 1,13 1,01 62.521 1,32 Isole 8,01 3,94 3,04 40.346 7,29 7,17 3,76 3,11 205.824 4,35 ITALIA 82,78 14,76 2,46 553.740 100 25,59 32,85 41,01 4.735.905 100 74 Tavola 6 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) COSTRUZIONI UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 01 - Piemonte 8,74 6,89 6,36 58.322 8,65 8,08 6,88 6,38 152.030 7,66 02 - Valle d'Aosta 0,38 0,41 0,21 2.585 0,38 0,38 0,43 0,14 7.501 0,38 03 - Lombardia 18,89 18,44 21,57 127.311 18,88 17,96 19,12 23,34 369.663 18,62 07 - Liguria 3,14 2,59 2,5 21.025 3,12 2,81 2,6 1,98 53.650 2,7 Nord-Ovest 31,16 28,33 30,64 209.243 31,02 29,24 29,02 31,84 582.843 29,36 021 - Bolzano 0,9 1,53 2,36 6.280 0,93 0,97 1,69 2,04 24.320 1,23 022 - Trento 1,1 1,61 1,36 7.603 1,13 1,11 1,75 0,95 25.118 1,27 2 3,15 3,71 13.883 2,06 2,08 3,44 3 49.438 2,49 10,01 9,9 9,29 67.447 10 9,38 10,16 8,11 188.435 9,49 06 - Friuli-Venezia Giulia 2,1 2,27 2 14.234 2,11 1,99 2,32 1,74 40.784 2,05 08 - Emilia-Romagna 9,68 7,18 9,14 64.498 9,56 8,61 7,08 11,66 167.354 8,43 Nord-Est 23,79 22,5 24,14 160.062 23,73 22,06 22,99 24,5 446.012 22,47 09 - Toscana 8,02 6,57 4,07 53.590 7,95 7,58 6,3 3,94 139.074 7,01 10 - Umbria 1,69 2,12 1,36 11.496 1,7 1,81 2,1 1,1 36.513 1,84 11 - Marche 3,14 2,55 1,36 20.989 3,11 3,07 2,49 1,01 55.183 2,78 12 - Lazio 7,66 9,62 10,71 52.340 7,76 8,1 9,54 10,27 170.968 8,61 Centro 20,51 20,86 17,5 138.415 20,52 20,55 20,43 16,33 401.738 20,24 13 - Abruzzo 2,36 2,32 2 15.927 2,36 2,56 2,22 2,04 48.413 2,44 14 - Molise 0,53 0,6 0,93 3.617 0,54 0,59 0,58 0,79 11.877 0,6 04 - Trentino-Alto Adige 05 - Veneto 75 (segue) Tavola 6 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) COSTRUZIONI UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 15 - Campania 5,91 6,92 7,43 40.167 5,96 6,85 6,83 7,27 136.433 6,87 16 - Puglia 4,89 6,02 5,64 33.361 4,95 5,7 5,77 5,77 113.678 5,73 17 - Basilicata 0,82 0,98 0,57 5.545 0,82 0,97 0,95 0,69 18.696 0,94 18 - Calabria 2,21 2,41 2,64 14.951 2,22 2,46 2,34 2,86 48.760 2,46 Sud 16,72 19,24 19,21 113.568 16,84 19,12 18,69 19,41 377.857 19,03 19 - Sicilia 5,22 5,9 6 35.431 5,25 6 5,86 5,97 118.351 5,96 20 - Sardegna 2,6 3,18 2,5 17.722 2,63 3,02 3 1,95 58.434 2,94 Isole 7,82 9,08 8,5 53.153 7,88 9,02 8,86 7,92 176.785 8,91 ITALIA 95,19 4,6 0,21 674.441 100 67,77 25,43 6,81 1.985.235 100 76 Tavola 7 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) COMMERCIO ALL'INGROSSO E AL DETTAGLIO, TRASPORTO E MAGAZZINAGGIO ATTIVITA' DI ALLOGGIO E RISTORAZIONE REGIONI / PROVINCE AUT. UNITA' LOCALI MICRO PICCOLE ADDETTI MEDIOGRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIOGRANDI TOTALE TOTALE % 01 - Piemonte 7,42 6,73 8 135.229 7,39 7,49 6,73 7,58 428.313 7,33 02 - Valle d'Aosta 0,26 0,26 0,19 4.758 0,26 0,33 0,27 0,18 16.920 0,29 03 - Lombardia 15,12 18,78 24,48 279.955 15,31 15,81 19,37 25,57 1.066.561 18,26 07 - Liguria 3,12 3,36 3,54 57.314 3,13 3,38 3,3 3,69 199.612 3,42 Nord-Ovest 25,92 29,13 36,21 477.256 26,09 27,01 29,66 37,02 1.711.407 29,3 021 - Bolzano 1,12 1,98 1,37 21.144 1,16 1,34 1,97 1,18 84.821 1,45 022 - Trento 0,89 1,38 0,87 16.701 0,91 1,1 1,31 0,9 65.039 1,11 04 - Trentino-Alto Adige 2,01 3,37 2,24 37.845 2,07 2,44 3,28 2,08 149.860 2,57 05 - Veneto 8,46 10,78 10,17 156.655 8,56 9,14 10,92 8,96 555.212 9,51 06 - Friuli-Venezia Giulia 1,97 2,45 2,07 36.448 1,99 2,17 2,44 1,8 126.496 2,17 08 - Emilia-Romagna 7,9 9,86 9,93 146.184 7,99 8,59 10,01 9,21 526.250 9,01 Nord-Est 20,35 26,46 24,4 377.132 20,62 22,33 26,65 22,05 1.357.818 23,25 09 - Toscana 6,98 7,67 6,67 128.151 7,01 7,41 7,62 6,2 423.588 7,25 10 - Umbria 1,54 1,64 1,12 28.155 1,54 1,6 1,62 0,97 87.684 1,5 11 - Marche 2,91 2,94 1,68 53.196 2,91 3,03 2,76 1,38 157.116 2,69 12 - Lazio 8,95 9,18 11,25 164.119 8,97 8,66 9,28 14,33 570.091 9,76 Centro 20,38 21,42 20,72 373.621 20,43 20,71 21,29 22,88 1.238.478 21,21 13 - Abruzzo 2,39 2 1,59 43.345 2,37 2,31 1,96 1,33 120.468 2,06 77 (segue) Tavola 7 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) COMMERCIO ALL'INGROSSO E AL DETTAGLIO, TRASPORTO E MAGAZZINAGGIO ATTIVITA' DI ALLOGGIO E RISTORAZIONE REGIONI / PROVINCE AUT. UNITA' LOCALI MICRO PICCOLE ADDETTI MEDIOGRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIOGRANDI TOTALE TOTALE % 14 - Molise 0,54 0,31 0,24 9.694 0,53 0,49 0,3 0,19 23.251 0,4 15 - Campania 9,48 6,25 5,6 170.658 9,33 8,08 6,19 5,51 421.858 7,22 16 - Puglia 6,67 4,31 3,38 119.979 6,56 6,02 4,09 3,21 298.583 5,11 17 - Basilicata 0,91 0,56 0,35 16.405 0,9 0,82 0,54 0,34 39.357 0,67 18 - Calabria 3,11 1,88 1,63 55.837 3,05 2,67 1,88 1,56 134.670 2,31 Sud 23,1 15,31 12,78 415.918 22,74 20,39 14,96 12,13 1.038.187 17,78 19 - Sicilia 7,43 5,31 3,82 134.011 7,33 6,76 5,13 3,93 345.568 5,92 20 - Sardegna 2,82 2,37 2,08 51.158 2,8 2,79 2,31 2 148.942 2,55 Isole 10,25 7,68 5,9 185.169 10,12 9,56 7,44 5,92 494.510 8,47 ITALIA 95,49 4,1 0,41 1.829.096 100 60,66 22,39 16,96 5.840.399 100 78 Tavola 8 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) SERVIZI DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 01 - Piemonte 7,96 8,91 8,77 9.035 8,03 8,06 9,15 8,89 47.831 8,64 02 - Valle d'Aosta 0,24 0,19 0,3 269 0,24 0,26 0,18 0,28 1.382 0,25 03 - Lombardia 24,23 24,75 27,51 27.360 24,3 23,83 25,02 27,35 141.441 25,55 07 - Liguria 2,61 2,71 1,41 2.932 2,6 2,64 2,82 1,17 11.440 2,07 Nord-Ovest 35,05 36,56 37,99 39.596 35,17 34,78 37,17 37,7 202.094 36,51 021 - Bolzano 0,86 1,08 0,52 974 0,87 0,93 1 0,37 3.934 0,71 022 - Trento 0,91 1,17 0,89 1.043 0,93 1 1,08 0,65 4.820 0,87 04 - Trentino-Alto Adige 1,77 2,26 1,41 2.017 1,79 1,93 2,08 1,02 8.754 1,58 05 - Veneto 8,33 8,4 7,14 9.368 8,32 8,94 8,08 5,58 40.684 7,35 06 - Friuli-Venezia Giulia 2,16 2,13 1,04 2.414 2,14 2,35 1,99 0,84 9.104 1,64 08 - Emilia-Romagna 8,35 9,48 8,25 9.473 8,41 8,58 8,96 5,51 40.867 7,38 Nord-Est 20,61 22,26 17,84 23.272 20,67 21,8 21,12 12,95 99.410 17,96 09 - Toscana 6,86 6,03 3,57 7.622 6,77 7,06 5,87 2,66 27.485 4,97 10 - Umbria 1,47 1,44 1,04 1.645 1,46 1,41 1,24 0,45 5.377 0,97 11 - Marche 2,35 2,29 1,34 2.626 2,33 2,56 2,09 0,9 9.768 1,76 12 - Lazio 13,81 15,21 24,46 15.776 14,01 12,69 16,55 32,05 119.563 21,6 Centro 24,48 24,97 30,41 27.669 24,58 23,72 25,75 36,04 162.192 29,3 13 - Abruzzo 1,77 1,33 1,04 1.960 1,74 1,69 1,26 0,62 6.378 1,15 79 (segue) Tavola 8 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) SERVIZI DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 14 - Molise 0,3 0,28 0,3 333 0,3 0,32 0,31 0,11 1.262 0,23 15 - Campania 5,59 4,81 3,27 6.211 5,52 5,25 4,82 4,86 27.647 4,99 16 - Puglia 3,55 3,24 2,45 3.960 3,52 3,66 3,43 2,11 16.415 2,97 17 - Basilicata 0,57 0,41 0,52 629 0,56 0,61 0,45 0,38 2.638 0,48 18 - Calabria 1,75 1,33 1,56 1.942 1,73 1,71 1,34 1,04 7.497 1,35 Sud 13,53 11,4 9,14 15.035 13,36 13,25 11,61 9,11 61.836 11,17 19 - Sicilia 4,15 3,43 3,27 4.615 4,1 4,23 3,08 2,84 18.829 3,4 20 - Sardegna 2,18 1,38 1,34 2.391 2,12 2,21 1,27 1,35 9.152 1,65 Isole 6,33 4,81 4,61 7.006 6,22 6,44 4,35 4,2 27.981 5,06 ITALIA 93,13 5,67 1,19 112.578 100 36,82 21,43 41,75 553.513 100 80 Tavola 9 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) ATTIVITA' FINANZIARIE E ASSICURATIVE UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 01 - Piemonte 8,35 7,81 8,52 9.303 8,32 8,28 8,03 9,57 50.763 8,65 02 - Valle d'Aosta 0,24 0,22 0,22 271 0,24 0,24 0,22 0,06 1.023 0,17 03 - Lombardia 19,91 24,18 37 22.777 20,36 20,12 25,34 34,03 152.328 25,95 07 - Liguria 3,19 3,07 2,59 3.556 3,18 3,26 3,16 1,42 15.418 2,63 Nord-Ovest 31,7 35,29 48,33 35.907 32,1 31,9 36,75 45,08 219.533 37,4 021 - Bolzano 0,74 1,15 1,19 863 0,77 0,87 1,35 0,76 5.542 0,94 022 - Trento 1,02 0,97 1,29 1.140 1,02 1,03 1,18 0,61 5.427 0,92 04 - Trentino-Alto Adige 1,76 2,12 2,48 2.003 1,79 1,9 2,52 1,36 10.969 1,87 05 - Veneto 9,4 8,63 6,36 10.426 9,32 9,69 8,06 7,55 50.494 8,6 06 - Friuli-Venezia Giulia 2,29 2,02 2,48 2.547 2,28 2,46 2,06 3,31 15.529 2,65 08 - Emilia-Romagna 8,99 8,9 6,9 10.028 8,96 9,58 8,75 8,6 53.173 9,06 Nord-Est 22,44 21,67 18,23 25.004 22,35 23,63 21,4 20,82 130.165 22,18 09 - Toscana 7,28 6,58 5,29 8.067 7,21 7,44 6,74 6,76 41.382 7,05 10 - Umbria 1,82 1,27 0,76 1.981 1,77 1,77 1,17 0,4 6.886 1,17 11 - Marche 3,15 2,54 1,73 3.457 3,09 3,25 2,53 1,29 14.280 2,43 12 - Lazio 9,78 11,23 14,67 11.108 9,93 9,05 11,2 16,92 71.369 12,16 Centro 22,03 21,62 22,44 24.613 22 21,51 21,64 25,36 133.916 22,81 13 - Abruzzo 1,98 1,48 0,97 2.160 1,93 1,9 1,34 0,72 8.097 1,38 81 (segue) Tavola 9 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) ATTIVITA' FINANZIARIE E ASSICURATIVE UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 14 - Molise 0,46 0,35 0 500 0,45 0,43 0,32 0 1.526 0,26 15 - Campania 6,71 5,94 2,27 7.404 6,62 5,93 5,54 2,1 26.810 4,57 16 - Puglia 4,67 4,09 2,37 5.155 4,61 4,71 3,94 1,87 21.084 3,59 17 - Basilicata 0,68 0,46 0,11 734 0,66 0,69 0,39 0,08 2.453 0,42 18 - Calabria 1,93 1,66 0,54 2.120 1,89 1,84 1,67 0,53 8.024 1,37 Sud 16,42 13,98 6,26 18.073 16,15 15,5 13,2 5,3 67.994 11,58 19 - Sicilia 5,61 5,4 3,02 6.236 5,57 5,62 4,99 2,23 25.539 4,35 20 - Sardegna 1,81 2,05 1,73 2.041 1,82 1,83 2,02 1,22 9.821 1,67 Isole 7,42 7,44 4,75 8.277 7,4 7,45 7,02 3,44 35.359 6,02 ITALIA 91,92 7,25 0,83 111.874 100 43,43 23,48 33,09 586.967 100 82 Tavola 10 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) ATTIVITA' IMMOBILIARI UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 01 - Piemonte 8,22 5,74 2,38 16.410 8,21 8,92 6,49 2 26.948 8,74 02 - Valle d'Aosta 0,26 0 0 514 0,26 0,31 0 0 905 0,29 03 - Lombardia 27,48 30,06 40,48 54.974 27,49 27,12 29,05 43,56 84.600 27,42 07 - Liguria 3,1 2,27 0 6.201 3,1 3,23 1,69 0 9.635 3,12 Nord-Ovest 39,06 38,07 42,86 78.099 39,06 39,57 37,22 45,55 122.088 39,58 021 - Bolzano 0,93 1,66 0 1.862 0,93 0,98 1,84 0 3.065 0,99 022 - Trento 1,04 0,45 0 2.078 1,04 1,01 0,39 0 3.012 0,98 04 - Trentino-Alto Adige 1,97 2,11 0 3.940 1,97 1,99 2,23 0 6.077 1,97 05 - Veneto 12,78 10,88 7,14 25.531 12,77 12,56 10,91 5,72 38.262 12,4 06 - Friuli-Venezia Giulia 2,05 1,66 2,38 4.088 2,04 2,19 1,77 1,41 6.675 2,16 08 - Emilia-Romagna 11,96 8,46 11,9 23.895 11,95 12,27 8,89 9,31 37.339 12,1 Nord-Est 28,76 23,11 21,43 57.454 28,74 29,01 23,8 16,44 88.354 28,64 09 - Toscana 9,42 7,1 4,76 18.825 9,42 9,42 6,79 2,89 28.470 9,23 10 - Umbria 1,31 1,06 0 2.613 1,31 1,28 1,11 0 3.880 1,26 11 - Marche 2,91 1,36 0 5.799 2,9 2,92 1,63 0 8.721 2,83 12 - Lazio 8,76 14,65 19,05 17.551 8,78 8,1 15,39 24,21 26.519 8,6 Centro 22,39 24,17 23,81 44.788 22,4 21,72 24,92 27,1 67.590 21,91 13 - Abruzzo 1,13 1,96 0 2.271 1,14 1,13 2,04 0 3.547 1,15 83 (segue) Tavola 10 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) ATTIVITA' IMMOBILIARI UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 14 - Molise 0,15 0,45 0 293 0,15 0,16 0,56 0 519 0,17 15 - Campania 3,07 3,78 4,76 6.150 3,08 3,01 3,42 5,56 9.459 3,07 16 - Puglia 1,9 3,02 0 3.812 1,91 1,8 2,82 0 5.591 1,81 17 - Basilicata 0,15 0,3 0 291 0,15 0,15 0,49 0 492 0,16 18 - Calabria 0,51 1,81 2,38 1.036 0,52 0,52 1,47 1,17 1.749 0,57 Sud 6,91 11,33 7,14 13.853 6,93 6,78 10,81 6,72 21.358 6,92 19 - Sicilia 1,84 2,57 2,38 3.678 1,84 1,85 2,56 2,68 5.834 1,89 20 - Sardegna 1,04 0,76 2,38 2.072 1,04 1,07 0,69 1,5 3.271 1,06 Isole 2,87 3,32 4,76 5.750 2,88 2,92 3,25 4,18 9.104 2,95 ITALIA 99,65 0,33 0,02 199.944 100 94,94 3,61 1,45 308.494 100 84 Tavola 11 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) ATTIVITA' PROFESSIONALI, SCIENTIFICHE E TECNICHE, ATTIVITA' AMMINISTRATIVE E DI SERVIZI DI SUPPORTO UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 01 - Piemonte 7,2 9 10,33 63.545 7,25 7,6 8,97 10,15 195.831 8,57 02 - Valle d'Aosta 0,28 0,24 0,19 2.457 0,28 0,29 0,24 0,1 5.156 0,23 03 - Lombardia 20,12 25,92 27,36 177.748 20,28 20,71 26,06 25,9 526.917 23,07 07 - Liguria 2,96 2,95 2,44 25.948 2,96 3,1 3,01 2,45 66.066 2,89 Nord-Ovest 30,57 38,12 40,32 269.698 30,77 31,71 38,27 38,6 793.970 34,76 021 - Bolzano 0,8 0,85 0,49 7.027 0,8 0,87 0,79 0,49 16.966 0,74 022 - Trento 0,88 0,84 1,06 7.736 0,88 0,92 0,81 1,22 22.650 0,99 04 - Trentino-Alto Adige 1,69 1,69 1,55 14.763 1,68 1,78 1,6 1,71 39.617 1,73 05 - Veneto 8,22 8,99 9,71 72.216 8,24 8,57 8,91 7,68 190.713 8,35 06 - Friuli-Venezia Giulia 1,96 2,19 2,91 17.234 1,97 2,07 2,16 2,68 51.771 2,27 08 - Emilia-Romagna 8,22 8,92 8,8 72.166 8,23 8,48 9,17 8,28 194.579 8,52 Nord-Est 20,08 21,79 22,97 176.379 20,13 20,89 21,85 20,36 476.679 20,87 09 - Toscana 7,19 6 5,27 62.663 7,15 7,34 5,97 5,08 147.493 6,46 10 - Umbria 1,55 1,09 1,04 13.461 1,54 1,56 1,06 0,86 29.132 1,28 11 - Marche 2,63 2,34 1,95 22.923 2,62 2,7 2,33 1,9 54.814 2,4 12 - Lazio 11,16 11,46 11,58 97.880 11,17 10,81 11,5 14,41 274.094 12 Centro 22,52 20,9 19,84 196.927 22,47 22,41 20,86 22,26 505.534 22,13 13 - Abruzzo 2,14 1,77 1,93 18.704 2,13 2,05 1,8 1,86 44.695 1,96 85 (segue) Tavola 11 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) ATTIVITA' PROFESSIONALI, SCIENTIFICHE E TECNICHE, ATTIVITA' AMMINISTRATIVE E DI SERVIZI DI SUPPORTO UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 14 - Molise 0,46 0,42 0,21 4.052 0,46 0,44 0,35 0,16 7.775 0,34 15 - Campania 7,63 5,07 4,91 66.260 7,56 6,93 5,19 6,17 147.120 6,44 16 - Puglia 5,17 4,02 3,21 45.036 5,14 4,88 3,97 3,98 102.176 4,47 17 - Basilicata 0,86 0,57 0,51 7.430 0,85 0,77 0,54 0,62 15.749 0,69 18 - Calabria 2,42 1,35 1,34 20.935 2,39 2,14 1,3 1,09 38.738 1,7 Sud 18,68 13,2 12,11 162.417 18,53 17,2 13,16 13,88 356.254 15,6 19 - Sicilia 5,74 3,92 2,97 49.817 5,68 5,43 3,89 3,21 103.446 4,53 20 - Sardegna 2,42 2,08 1,78 21.122 2,41 2,37 1,98 1,69 48.094 2,11 Isole 8,16 6 4,76 70.939 8,09 7,8 5,86 4,9 151.540 6,63 ITALIA 97,39 2,07 0,54 876.360 100 54,96 14,82 30,22 2.283.977 100 86 Tavola 12 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) ISTRUZIONE, SANITA' E ASSISTENZA SOCIALE UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 01 - Piemonte 7,41 9,04 10,06 19.525 7,47 7,37 9,81 8,8 59.507 8,23 02 - Valle d'Aosta 0,26 0,41 0,21 698 0,27 0,25 0,38 0,2 1.896 0,26 19 13,89 19,28 49.324 18,86 17,78 14,13 21,17 130.285 18,02 3,23 3,18 2,55 8.443 3,23 3,23 3,11 1,9 20.546 2,84 Nord-Ovest 29,9 26,52 32,09 77.990 29,82 28,64 27,43 32,07 212.234 29,36 021 - Bolzano 0,76 0,6 0,41 1.983 0,76 0,82 0,57 0,25 4.450 0,62 022 - Trento 0,84 1,19 1,45 2.240 0,86 0,9 1,21 0,93 7.019 0,97 04 - Trentino-Alto Adige 1,61 1,79 1,86 4.223 1,61 1,73 1,79 1,18 11.469 1,59 05 - Veneto 7,6 6,5 6,89 19.797 7,57 7,71 6,37 8,57 55.597 7,69 06 - Friuli-Venezia Giulia 2,08 1,58 1,72 5.395 2,06 2,18 1,39 2,81 15.905 2,2 08 - Emilia-Romagna 8,16 8,56 9,57 21.386 8,18 8,04 8,57 12,41 67.614 9,35 Nord-Est 19,45 18,42 20,04 50.801 19,43 19,65 18,12 24,96 150.585 20,83 09 - Toscana 6,68 5,48 7,23 17.390 6,65 6,38 5,71 6,91 46.231 6,4 10 - Umbria 1,51 0,85 2 3.904 1,49 1,51 0,88 1,64 10.296 1,42 11 - Marche 2,5 2,51 2,41 6.526 2,5 2,51 2,48 2,62 18.312 2,53 12 - Lazio 12 8,87 11,57 31.156 11,91 11,46 8,88 10,96 78.280 10,83 Centro 22,68 17,71 23,21 58.976 22,55 21,85 17,94 22,13 153.119 21,18 13 - Abruzzo 2,23 2,04 1,72 5.815 2,22 2,11 2,28 1,83 14.916 2,06 03 - Lombardia 07 - Liguria 87 (segue) Tavola 12 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) ISTRUZIONE, SANITA' E ASSISTENZA SOCIALE UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 14 - Molise 0,41 0,62 0,41 1.091 0,42 0,41 0,62 0,34 3.114 0,43 15 - Campania 7,87 9,95 7,92 20.734 7,93 8,41 9,76 6,21 58.252 8,06 16 - Puglia 4,99 5,34 3,03 13.037 4,99 5,3 5,11 2,71 32.869 4,55 17 - Basilicata 0,73 1,18 0,41 1.929 0,74 0,74 1,1 0,23 4.832 0,67 18 - Calabria 2,29 2,7 2,48 6.026 2,3 2,42 2,82 1,63 16.477 2,28 Sud 18,52 21,82 15,98 48.632 18,6 19,4 21,68 12,96 130.460 18,05 19 - Sicilia 6,88 11,38 6,61 18.305 7 7,83 10,97 6,44 58.147 8,04 20 - Sardegna 2,56 4,14 2,07 6.798 2,6 2,64 3,85 1,43 18.324 2,53 Isole 9,44 15,52 8,68 25.103 9,6 10,47 14,83 7,87 76.471 10,58 ITALIA 96,75 2,69 0,56 261.502 100 53,2 19,08 27,72 722.870 100 88 Tavola 13 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) ALTRE ATTIVITA' DI SERVIZI UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 01 - Piemonte 7,93 6,73 7,1 20.943 7,91 7,75 6,5 5 42.003 7,39 02 - Valle d'Aosta 0,27 0,18 0,57 718 0,27 0,29 0,17 2,02 2.249 0,4 03 - Lombardia 17,97 20,14 15,34 47.676 18,01 18,16 20,48 16,79 104.438 18,36 07 - Liguria 3,26 3,11 4,26 8.633 3,26 3,57 3 4,93 20.437 3,59 Nord-Ovest 29,44 30,17 27,27 77.970 29,45 29,76 30,14 28,75 169.127 29,74 021 - Bolzano 0,83 0,78 0,85 2.189 0,83 0,84 0,9 0,68 4.773 0,84 022 - Trento 0,84 1,01 0,85 2.219 0,84 0,89 1,01 0,94 5.186 0,91 04 - Trentino-Alto Adige 1,66 1,8 1,7 4.408 1,66 1,74 1,91 1,62 9.959 1,75 05 - Veneto 8,04 9,08 10,23 21.338 8,06 8,57 9,58 17,31 53.024 9,32 06 - Friuli-Venezia Giulia 1,98 1,91 2,27 5.234 1,98 2,1 1,84 1,47 11.506 2,02 08 - Emilia-Romagna 8,56 10,14 14,2 22.744 8,59 9,42 10,84 13,73 56.360 9,91 Nord-Est 20,24 22,93 28,41 53.724 20,29 21,83 24,17 34,12 130.849 23,01 09 - Toscana 7,41 8,8 6,53 19.690 7,44 8,12 8,29 5,01 45.063 7,92 10 - Umbria 1,68 1,64 1,7 4.453 1,68 1,76 1,58 1,46 9.747 1,71 11 - Marche 3,09 3,55 1,99 8.203 3,1 3,33 3,39 1,08 18.080 3,18 11 9,66 12,78 29.086 10,99 9,96 9,61 13,35 57.750 10,15 23,19 23,65 23,01 61.432 23,2 23,17 22,87 20,9 130.639 22,97 12 - Lazio Centro 89 (segue) Tavola 13 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali) ALTRE ATTIVITA' DI SERVIZI UNITA' LOCALI ADDETTI REGIONI / PROVINCE AUT. MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % 14 - Molise 0,49 0,39 0 1.302 0,49 0,45 0,35 0 2.320 0,41 15 - Campania 7,22 6,41 6,53 19.074 7,2 6,41 6,65 5,69 36.355 6,39 16 - Puglia 5,49 4,33 1,99 14.471 5,47 5,21 4,28 1,31 27.348 4,81 17 - Basilicata 0,73 0,58 0 1.932 0,73 0,64 0,57 0 3.334 0,59 18 - Calabria 2,39 1,41 1,42 6.282 2,37 2,12 1,36 0,74 10.911 1,92 Sud 19,01 16,2 11,36 50.181 18,95 17,54 15,97 9,28 95.206 16,74 19 - Sicilia 5,84 4,42 6,53 15.395 5,81 5,42 4,28 4,66 29.673 5,22 20 - Sardegna 2,29 2,63 3,41 6.076 2,29 2,28 2,57 2,28 13.189 2,32 Isole 8,12 7,05 9,94 21.471 8,11 7,7 6,85 6,95 42.862 7,54 ITALIA 98,23 1,64 0,13 264.778 100 79,71 13,18 7,11 568.684 100 90 Tavola 14 – Imprese e addetti indipendenti e dipendenti per forma giuridica – Anno 2007 (valori assoluti e percentuali) Addetti FORME GIURIDICHE Imprese N. Dipendenti % N. % Totale N. medio Dip. Inipendenti N. % Imprese Individuali 2.886.585 64,43 3.221.975 56,86 1.314.556 11,03 4.536.531 1,6 Imprenditore individuale Libero professionista e lavoratore autonomo 1.779.158 39,71 2.102.150 1.142.343 9,58 3.244.494 1,8 172.213 1,44 1.292.038 1,2 37,1 1.107.427 24,72 1.119.825 19,76 Società di persone 815.299 18,2 1.437.456 12,06 2.966.565 3,6 Società in nome collettivo 451.091 10,07 937.223 16,54 869.118 7,29 1.806.340 4 Altre società di persone 364.208 8,13 591.886 10,45 568.339 4,77 1.160.225 3,2 Società di capitali 712.765 15,91 801.524 14,15 8.079.179 67,78 8.880.703 12,5 Società per azioni (a) 39.460 0,88 45.499 0,8 3.987.312 33,45 4.032.811 102,2 Società a responsabilità limitata 673.305 15,03 756.025 13,34 4.091.867 34,33 4.847.892 7,2 Società cooperative 49.984 1,12 98.122 1,73 956.877 8,03 1.055.000 21,2 Altra forma 15.840 0,35 15.714 0,28 131.518 1,1 147.232 9,3 100 5.666.444 100 11.919.587 100 17.586.031 3,9 Totale 4.480.473 (a) Comprese le società in accomandita per azioni. 1.529.109 26,99 91