RAPPORTO ITALIA Stato, Imprese e Professioni Maggio 2010

ISTITUTO DI RICERCA
DEI DOTTORI COMMERCIALISTI
E DEGLI ESPERTI CONTABILI
RAPPORTO ITALIA
Stato, Imprese e Professioni
Maggio 2010
IRDCEC
Area di Economia e Statistica
Tommaso Di Nardo ha curato la redazione del Rapporto al quale hanno collaborato Gianluca
Scardocci, Barbara Guardabascio e Stefano Ranucci.
Rapporto chiuso il 12 maggio 2010.
2
INDICE
SINTESI
p. 4
INTRODUZIONE
p. 8
Contro il declino meno spesa pubblica e più trasparenza
p. 8
Il quadro macroeconomico
p. 10
La lunga marcia della spesa pubblica e gli squilibri degli anni ottanta
p. 15
STATO
p. 19
Il peso del settore pubblico
p. 19
Il conto economico del settore pubblico
p. 20
L’economia sommersa e la pressione fiscale reale
p. 28
Il debito pubblico
p. 30
La simulazione contabile sui conti 2001-2008
p. 35
IMPRESE
p. 37
Le Pmi italiane
p. 37
Le grandi imprese
p. 43
Le medie imprese
p. 47
Le piccole imprese
p. 51
Le microimprese
p. 54
PROFESSIONI
p. 58
Liberi professionisti e Ordini professionali
p. 58
APPENDICE STATISTICA
p. 66
La struttura delle imprese e dell’occupazione
p. 66
Indice delle tavole
p. 68
3
SINTESI STATO, IMPRESE E PROFESSIONI. Il Rapporto propone un’analisi dell’economia
italiana tra stato, imprese e professioni. L’analisi economica si è sempre occupata
del rapporto tra stato e mercato, tra pubblico e privato, tra primo e secondo settore
dell’economia moderna. I protagonisti sono da sempre lo stato e le imprese o, per
meglio dire, lo stato e le grandi imprese. Le professioni, istituite e riconosciute
quando lo stato era ancora poco presente nell’economia e si limitava ad avere un
ruolo per lo più regolatorio ed essenziale, hanno progressivamente perduto il loro
ruolo e il loro peso socio-economico man mano che lo stato cresceva e con esso le
grandi imprese pubbliche e i grandi sindacati. L’avvento della globalizzazione dei
mercati ha cambiato profondamente i destini delle nazioni, soprattutto di quelle di
più antica civilizzazione. L’Italia ha subito un vero e proprio crack economico,
finanziario e istituzionale tra il 1992 e il 1993. Si impose una politica di
risanamento e di ricostruzione del clima economico, sociale e istituzionale.
Nacque la cosiddetta Seconda Repubblica, furono fatte le privatizzazioni, fu
varato un piano di risanamento strutturale, si cercò di alleggerire lo stato.
La manovra è riuscita in parte, lo stato è ancora troppo esteso e il suo debito
pubblico pesa come un macigno sul futuro del paese. La grande impresa italiana
fatica nel confronto internazionale, si assiste alla rivincita della media impresa,
soprattutto industriale, e alla tenuta della piccola impresa che, anche grazie ai
distretti e alla flessibilità del modello italiano, riesce a difendere la nostra
economia dalle minacce della globalizzazione. Le professioni, senza nascondere
alcuni limiti e difficoltà oggettive di un sistema dimenticato e abbandonato a se
stesso, hanno svolto un ruolo fondamentale garantendo la tenuta del sistema
attraverso la loro funzione istituzionale di regolatori sociali che si esplica
soprattutto nella generazione e rigenerazione di quei sistemi esperti fatti di saperi
codificati che sono alla base dei funzionamenti dei sistemi economici e sociali
moderni.
Il Rapporto è strutturato in una introduzione e in tre capitoli ognuno dedicato ai
tre cardini della presente analisi: lo Stato, inteso come Settore Pubblico, le
Imprese e le Professioni. Nell’analisi viene dato particolare rilievo alla serie dei
conti pubblici 1980-2008 elaborata e diffusa dall’Istat nel 2009. Sono, inoltre,
analizzati ì più recenti dati sui conti pubblici italiani, tra cui il conto consolidato
del 2009, diffuso dall’Istat nello scorso mese di marzo, e le proiezioni contenute
nella Relazione Unificata sull’Economia e la Finanza presentata il 6 maggio
scorso dal Ministro dell’Economia e delle Finanze.
STATO. Sulla base dei più recenti e aggiornati dati Istat e Mef è stata rielaborato il
quadro macroeconomico italiano relativo agli anni 2008-2010 comprendente
l’aggiornamento delle stime della pressione fiscale reale già elaborate per il 2008
4
in occasione della II Conferenza annuale dei Dottori Commercialisti e degli
Esperti Contabili.
I principali dati sono esposti nella tabella 1. La pressione fiscale reale balza dal
50,8% del 2008 al 51,6% del 2009 seguendo e ampliando l’aumento della
pressione fiscale ufficiale che, come è noto, incorpora per il 2009 le entrate
straordinarie dello scudo fiscale. Per il 2010, infatti, è previsto un calo della
pressione fiscale reale fino al 51% del Pil. Nel Rapporto sono anche riportate le
più recenti stime di F. Schneider sull’economia sommersa dei principali paesi
Ocse. Per l’Italia, si stima un peso del sommerso in costante crescita nel triennio
fino a raggiungere il 22,2% nel 2010. Anche in questo caso, l’Italia è seconda solo
alla Grecia. Il Pil sommerso definibile in qualche modo ufficiale, così come viene
calcolato e diffuso dall’Istat, e secondo dati medi relativi al periodo 2000-2006,
utilizzato per la stima della pressione fiscale reale è pari, invece, al 16,4%.
Tab. 1 Economia sommersa e Pressione fiscale Indicatori
2008 2009
Pressione fiscale ufficiale (Istat)
42,9% 43,2%
Pressione fiscale reale*
50,8% 51,6%
Economia sommersa (stime F. Scheider) 21,4% 22,0%
Pil sommerso (stime Istat)**
17,6% 17,6%
Pil sommerso (stime Istat)***
16,4% 16,4%
* Stime Irdcec; **Media 2000-2006; ***Media 2004-2006
2010
42,8%
51,0%
22,2%
17,6%
16,4%
Per comprendere la portata di una spesa pubblica particolarmente elevata in
rapporto al Pil e di un’economia sommersa così estesa, soprattutto sull’equilibrio
macroeconomico e finanziario dei conti pubblici italiani è stato svolto un esercizio
di simulazione contabile sui conti 2001-2008. Si segnala che la simulazione ha un
valore puramente indicativo ed è finalizzata a mostrare cosa può succedere ai
conti pubblici italiani se la spesa diminuisce e viene mantenuta a un livello
sostenibile e se lo stesso accade per l’economia sommersa. Il principale risultato
sarebbe ovviamente rappresentato da un calo significativo del deficit e del debito
pubblico come mostrato nella tabella 2 e nel grafico per il solo rapporto
Debito/Pil.
Tab. 2 Bilancio pubblico reale e simulato** Voci economiche 2008* 2008** Var.
Spesa pubblica
49,4% 46,2% -3,2%
Entrate pubbliche 46,7% 48,2% 1,5%
Deficit totale
-2,7% 4,4%
7,1%
Debito/Pil
106,1% 71,8% -34,3%
*Dati Istat - **Dati simulati
**Risultati della simulazione - Rapporto Irdcec Italia 2010. La simulazione contabile 20012008 contenuta nel Rapporto è basata sull'ipotesi che la spesa pubblica cresca
annualmente a un tasso pari ad uno più il tasso di inflazione e che nello stesso anno il Pil
sommerso sia pari ad un livello considerato fisiologico del 12%. 5
IMPRESE. Nello scenario globale l’Italia è l’unico paese industriale nel quale le
micro e piccole imprese realizzano più del 50% del valore aggiunto totale. Ciò
accade perché l’Italia presenta una particolare struttura imprenditoriale
caratterizzata dalla diffusione della piccola impresa e dalla varietà dei tipi
imprenditoriali piuttosto unica nel panorama globale. La prevalenza della piccola
impresa in Italia è segno di vivacità e flessibilità del sistema che al suo interno
però presenta cospicue differenze e disparità non poco rilevanti. Perciò le
performance medie raffrontate con quelle degli altri paesi industrializzati sono
quasi sempre negative. Evidentemente gli aspetti negativi del sistema prevalgono
su quelli positivi e la disattenzione verso la piccola impresa assume connotati
sempre più drammatici. Nella composizione della forza lavoro impiegata dal
sistema imprenditoriale, in Italia si riscontra un livello particolarmente elevato di
addetti indipendenti. Gli indici di produttività media sono sistematicamente
inferiori a quelli medi dei paesi più industrializzati. Le grandi imprese faticano a
tenere il passo dei mercati globali e se non fosse per la particolare dinamicità delle
medie imprese, soprattutto di quelle industriali, il sistema italiano presenterebbe
dati ancora più negativi.
Tabella 1. Indicatori di struttura e di performance delle imprese per gruppi
dimensionali. Anno 2007. Valori in percentuale del totale. Dati Istat 2009
Micro
Piccole
Medie
Grandi
Imprese Imprese Imprese Imprese
TOTALE
Imprese (numero)
94,8%
4,7%
0,5%
0,1%
4.401.827
Addetti (numero)
47,4%
21,5%
12,6%
18,5%
17.034.452
Dipendenti (numero)
25,1%
28,8%
18,5%
27,6%
11.412.276
Fatturato
27,1%
23,5%
20,0%
29,4% 2.961.492.237
Valore aggiunto
32,5%
23,2%
16,0%
28,3%
721.951.626
Costo del lavoro
18,0%
27,2%
20,9%
33,9%
365.705.261
Investimenti
30,0%
17,8%
17,1%
35,1%
125.323.598
6
PROFESSIONI. L’Italia vanta un tasso di disoccupazione tra i più bassi del mondo
occidentale sviluppato, ma resta un paese con una scarsa propensione al lavoro; il
tasso di attività e il tasso di occupazione sono tra i più bassi. La partecipazione
delle donne al mercato del lavoro è ancora molto lontana dalle medie occidentali.
I liberi professionisti rappresentano l’unica componente del mercato del lavoro
italiano che continua a crescere nonostante la crisi e nonostante il calo
generalizzato che ha colpito il lavoro autonomo; è, infatti, la componente che
negli ultimi 15 anni è cresciuta a ritmo più elevato. La crescita maggiore ha
riguardato il comparto dei servizi alle imprese, significativa però è anche la
crescita del comparto dei servizi alla persona e alla pubblica amministrazione.
Secondo l’Istat nel 2009 i liberi professionisti occupati in Italia sono 1.148.400,
pari al 5% dell’occupazione totale e al 20% degli occupati indipendenti. Dal 2000
al 2009 l’occupazione totale è cresciuta in Italia del 9,2%. La variazione
complessiva è il risultato di un aumento degli occupati dipendenti pari al 14,2% e
di una diminuzione degli occupati indipendenti pari al 3,4%. Nello stesso periodo
i liberi professionisti sono aumentati del 13,6%.
Tabella 1. Occupati per posizione nella professione. Anni 2000 e 2009.
POSIZIONE NELLA PROFESSIONE
INDIPENDENTI
2000
5.948.583
2009
5.748.274
Quote
2000
28,2%
Var.
00-09
-3,4%
Quote
2009
25,0%
524.876
261.032
2,5%
-50,3%
1,1%
Liberi professionisti
1.010.856
1.148.400
4,8%
13,6%
5,0%
Lavoratori in proprio
Imprenditori
3.301.456
3.546.323
15,7%
7,4%
15,4%
Soci di cooperativa di produzione
273.157
34.329
1,3%
-87,4%
0,1%
Coadiuvanti familiari, Co.co.co.,
Prestatori d'opera occasionali
838.238
362.640
4,0%
-56,7%
1,6%
75,0%
71,8%
14,2%
Dirigenti
348.065
465.651
1,7%
33,8%
2,0%
Direttivi-Quadro
972.771
1.198.563
4,6%
23,2%
5,2%
Impiegati o Intermedi
6.519.165
7.319.074
30,9%
12,3%
31,8%
Operai, Subalterni ed Assimilati
7.081.338
8.072.445
33,6%
14,0%
35,1%
179.849
213.005
0,9%
18,4%
30.005
7.980
0,1%
-73,4%
0,9%
0,0%
9,2%
100,0%
DIPENDENTI
Apprendisti
Lavoranti a domicilio per conto imprese
TOTALE OCCUPATI
15.131.192 17.276.718
21.079.775 23.024.992 100,0%
Nel 2009, secondo i dati raccolti ed elaborati dal Censis e rielaborati dall’Irdcec,
gli iscritti ai 25 Ordini e Collegi professionali sono 2.020.905 unità. Rispetto al
2000, gli iscritti a Ordini e Collegi professionali sono cresciuti del 26,6%. Nello
stesso periodo, secondo l’Istat, gli occupati liberi professionisti sono 1.148.400
pari al 57% degli iscritti agli Ordini. Nel 2008 gli iscritti contribuenti alle casse
previdenziali private dei professionisti sono stati pari a 1.039.599 unità*.
*
I dati relativi agli iscritti ad albi professionali provengono direttamente dagli Ordini e sono dati di
natura amministrativa. I dati relativi agli occupati liberi professionisti derivano dalle rilevazioni
condotte dall’Istat nell’ambito del mercato del lavoro e sono, pertanto, dati di natura statistica. La
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INTRODUZIONE
Contro il declino meno spesa pubblica e più trasparenza
MENO SPESA PUBBLICA – MIGLIORE SPESA PUBBLICA. In uno scenario
economico globale contrassegnato da un’accesa competizione dei mercati per
l’emergere di nuove economie caratterizzate da una forte dinamica industriale, i
sistemi produttivi di più antica formazione sono esposti a squilibri di carattere
competitivo e sono costretti ad innovare perennemente per garantire la crescita
della produttività e quindi in definitiva della redditività.
Nella maggior parte dei paesi più industrializzati la crescita del settore pubblico,
quale produttore e fornitore di numerosi beni e servizi fondamentali e meno
fondamentali per il benessere sociale, condiziona fortemente lo sviluppo del
settore produttivo privato da cui proviene essenzialmente la spinta
all’innovazione.
In Italia, il settore pubblico ha subito una crescita notevole e relativamente più
ampia rispetto alle altre economie europee, soprattutto a partire dagli anni
sessanta, condizionando fortemente la capacità del sistema produttivo di tenere il
passo della globalizzazione.
La pressione fiscale, l’economia sommersa e il debito pubblico hanno raggiunto
livelli insostenibili che sono la causa delle difficoltà del sistema imprenditoriale a
confrontarsi con la globalizzazione.
La riduzione della pressione fiscale richiede la riduzione continua e sistematica
della spesa pubblica. L’alternativa riposta nella crescita più sostenuta del Pil,
quale meccanismo di leva per la riduzione della pressione fiscale e la sostenibilità
dei livelli attuali di spesa pubblica, appare decisamente illusoria.
L’analisi retrospettiva mostra come l’Italia abbia imboccato la strada giusta tra il
1992 e il 2000, assicurando un rientro della spesa di livello significativo, basato
soprattutto sul contenimento degli interessi sul debito. Dal 2001, la spesa è
ritornata a crescere e cresce ancora di più dopo la crisi finanziaria e la recessione
mondiale.
discrepanza rispetto agli iscritti è dovuta in parte alla disoccupazione e in parte alla posizione
lavorativa da dipendente di molti iscritti ad albi. Il dato relativo agli iscritti alle casse di previdenza
private è relativo alla sommatoria delle seguenti casse: ENPAP (psicologi), INPGI (giornalisti),
INARCASSA (ingegneri e architetti), ENPAV (veterinari), CNPADC (commercialisti), CNPR
(ragionieri), CF (avvocati), EPAP (attuari, agronomi, geologi, chimici), ENPAF (farmacisti),
ENPACL (consulenti), ENPAPI (infermieri), ENPAM (medici), ENPAB (biologi), EPPI (periti
industriali), ENPAIA (agrotecnici e periti agrari), CIPG (geometri), fondo spedizionieri.
8
Un nuovo piano di rientro della spesa basato sul recupero della quota di interessi
passivi è praticamente impossibile, anzi un eventuale improvviso rialzo del costo
del denaro in Europa presenterebbe rischi notevoli per l’Italia, poiché
aggiungerebbe alla crescita attuale della spesa anche la componente dovuta alla
ripresa della spesa per interessi sul debito.
In questo quadro è, dunque, fondamentale agire sulla spesa pubblica. L’azione
può essere di tipo quantitativo ed è quindi basata su tagli di spesa da tradurre
automaticamente in riduzioni della pressione fiscale. L’azione può e deve essere
però anche di tipo qualitativo, basata sul miglioramento del rendimento della
spesa a parità di voci di bilancio.
UN MODELLO DI SVILUPPO IN DECLINO. Il modello di sviluppo italiano conserva
una forte dimensione sociale che protegge il sistema economico dagli shock
internazionali ma allo stesso tempo ne blocca lo sviluppo. È caratterizzato da un
basso livello di indebitamento delle famiglie, da un elevato debito pubblico e dalla
presenza relativamente maggiore rispetto alla media europea di lavoro autonomo.
La crisi del modello italiano nasce negli anni ’80 e si manifesta negli anni ’90 nei
termini di un vero e proprio crack istituzionale. L’entrata nell’euro garantisce
protezione e affidabilità ma non genera sviluppo. Il modello di welfare entra in
azione svolgendo un importante ruolo protettivo e manifestando direttamente le
funzioni di assicurazione e di efficienza insite nella spesa sociale e nei sistemi di
ammortizzazione naturali della società come ad esempio la famiglia, ma limita
fortemente e in molti casi impedisce il funzionamento del meccanismo delle
capability (A. Sen) alla base della moderna teoria dello sviluppo economico.
Il sistema produttivo italiano presenta un’impressionante varietà di imprese. Punto
di forza del modello di sviluppo italiano dal dopoguerra agli anni ’70-’80, la
varietà imprenditoriale italiana diventa punto debole. Si accentuano i problemi del
nanismo imprenditoriale e si manifestano gli endemici problemi della bassa
produttività e del modello di specializzazione. L’incapacità di risolvere il
dualismo territoriale accentua il problema della produttività del sistema e genera
la “questione settentrionale” da cui parte il progetto federale. La forte tensione nel
sistema industriale si associa al manifestarsi di un lento e continuo deterioramento
del terziario. Da un lato, l’eccessiva polverizzazione del terziario tradizionale,
soprattutto nei trasporti e nel commercio, dall’altro lato, le difficoltà del terziario
avanzato che manifesta una reazione più di tipo adattativo che propulsivo. Ne
viene fuori un’economia a minore intensità di capitale rispetto a quelle più
sviluppate e avanzate che genera necessariamente meno competitività e meno
redditività.
9
LO SLACK (INEFFICIENZA SISTEMICA). Il Paese non ha ancora capito la crisi che
ha colpito il proprio sistema economico. Siamo passati dal miracolo al declino
senza capire bene quel che è successo. L’aver perso la spinta vitale della
ricostruzione è spiegazione troppo semplicistica. La crisi va interpretata
essenzialmente in termini di slack (inefficienza sistemica) che ha colpito il Paese
quando l’equilibrio tra stato e mercato, tra pubblico e privato si è rotto a favore
del pubblico per ragioni interne (dovute al compromesso tra forze produttive e
improduttive) e per ragioni esterne (dovute alla globalizzazione e alla nascita
dell’euro). Lo slack ha generato una sorta di assuefazione, l’improduttività si è
estesa come un cancro arrivando in molti casi a paralizzare il sistema che è
sopravvissuto grazie a ripetute operazioni di aggiustamento (quante manovre
riuscite e quante riforme fallite).
CONTROLLO, VALUTAZIONE E TRASPARENZA. L’improduttività (o la bassa
produttività) si combatte soprattutto attraverso riforme di sistema che non toccano
il bilancio pubblico. Interventi normativi e pratici che bloccano i comportamenti
improduttivi e incentivano quelli produttivi. Ad esempio, politiche di aumento
della trasparenza (che non siano semplicemente limitate alla questione
dell’accesso agli atti amministrativi) che riducono le asimmetrie informative e i
costi di transazione (O. Williamson). La trasparenza fa parte delle strategie di
miglioramento (dell’efficienza e della produttività) basate su valutazione e
accountability. Un sistema di valutazione del servizio pubblico (inteso in senso
generale) che abbia un alto valore normativo, un forte approccio gestionale e che
sia basato su un metodo di calcolo del valore economico del servizio che valuti gli
input in termini di costo-opportunità e non semplicemente in termini di spesa
come accade adesso.
Il quadro macroeconomico
LO SHOCK ECONOMICO-FINANZIARIO DEL 2009. L’economia italiana, come la
maggior parte delle economie mondiali più sviluppate, è entrata in recessione nel
2009, anno nel quale il pil ha fatto registrare il crollo del 5% in termini reali e del
3% in termini nominali. La crisi finanziaria internazionale ha colpito duramente la
domanda aggregata che è diminuita notevolmente sia per il calo dei consumi e
degli investimenti interni che per la diminuzione della domanda estera e degli
investimenti dall’estero.
Il pil nominale calcolato a prezzi correnti nel 2009 è stato inferiore a quello del
2008 per 47 miliardi di euro. È l’unico caso riscontrabile dal 1980 di riduzione del
pil in valore nominale ovvero al lordo dell’inflazione che nel 2009 è stata pari allo
10
0,7%. Nello stesso anno, però, la spesa pubblica è aumentata di 24 miliardi di euro
e le entrate sono calate di 14 miliardi di euro. Di conseguenza il deficit è
aumentato di 38 miliardi di euro pari al 2,5% del pil. Il debito pubblico
complessivo è salito di 98 miliardi di euro (il 6,4% del pil). Infine, gli interessi
passivi sono calati di 10 miliardi di euro e, nonostante ciò, la spesa corrente al
netto degli interessi è aumentata di 27 miliardi di euro.
La crisi finanziaria internazionale 2007-2008 ha provocato un vero e proprio
shock nei conti pubblici italiani del 2009, uno dei più potenti shock in assoluto
che una finanza pubblica nazionale abbia mai subito in tempo di pace. Nonostante
ciò, per il 2010 è prevista una ripresa dell’economia con un tasso di crescita reale
vicino all’1% e, almeno fino a maggio, il debito pubblico italiano ha conservato il
rating del 2008.
Le conseguenze dello shock per il futuro sono rintracciabili in un livello più
elevato della spesa pubblica, che nel 2010 non ritorna ai livelli pre-crisi, e in un
livello permanentemente alto della pressione fiscale che rende impossibile
qualsiasi ipotesi e qualsiasi piano di riduzione delle tasse sulle imprese e sulle
famiglie.
ECONOMIA SOMMERSA E PRESSIONE FISCALE. Le ultime stime di F. Schneider
sull’economia sommersa italiana rivelano un aumento dell’incidenza della stessa
sul pil tra il 2008 e il 2010 di 0,8 punti di pil, che risulta però inferiore
all’aumento previsto per la Grecia pari a 0,9 punti di pil e a Portogallo, Irlanda e
Regno Unito pari a 1 punto di pil. L’Italia resterebbe in ogni caso il paese con
l’economia sommersa più alta in rapporto al pil dopo la Grecia che, con tre punti
di pil in più, raggiunge un livello di 25,2% nel 2010.
Tenendo conto delle stime Istat in tema di economia sommersa e relative al valore
aggiunto sommerso che viene contabilizzato nel pil, e aggiornando le stesse al
2010 in misura proporzionale ai valori stimati per il 2006 (ultimo anno per il quale
l’Istat ha rilasciato le stime sull’economia sommersa), il sommerso italiano
raggiunge i 247 miliardi di euro nel 2009, pari al 16,2% del pil, e la pressione
fiscale reale, calcolata rapportando le entrate fiscali al pil al netto del sommerso,
raggiunge il 51,7% contro il 43,3% ufficiale. Pertanto, l’evasione fiscale nel 2009
sarebbe pari a 128 miliardi di euro.
CONFRONTI INTERNAZIONALI. Dal quadro macroeconomico Eurostat del 2008 si
evince come l’Italia sia al 1° posto per debito pubblico in rapporto al pil, al 1°
posto per livello di interessi passivi in rapporto al pil, all’8° posto per pressione
fiscale e rapporto deficit/pil e al 9° posto per rapporto spesa/pil. In confronto ai
Pigs, l’Italia ha il rapporto spesa-pil e la pressione fiscale più alti, ma nel 2009 la
spesa esplode nei Pigs in misura molto più elevata che in Italia e la pressione
fiscale si riduce mentre in Italia aumenta. Ciò determina un forte aumento del
deficit nei Pigs che registrano anche grossi problemi di crescita economica e
aumenti notevoli dei tassi di disoccupazione.
11
QUADRO MACROECONOMICO 2008-2010*
Tab 1. Dati in miliardi di euro
2008 2009 2010
1.568 1.521 1.554
PIL
775
799
806
SPESA AP
732
718
728
ENTRATE AP
43
81
78
DEFICIT AP
672
657
665
ENTRATE F.
1.663 1.761 1.836
DEBITO AP
81
71
71
INTERESSI P.
635
662
675
SCP**
*I dati 2008-2009 sono di fonte Istat, 1 marzo 2010.
I dati 2010 sono stime tratte dalla RUEF del MEF
(maggio 2010)
**Spesa Corrente Primaria (al netto degli interessi
passivi)
Tab. 2 Variazioni percentuali
2008
2009 2010
1,40% -3,0% 2,2%
PIL
3,60%
3,1% 0,9%
SPESA AP
ENTRATE AP 1,10% -1,9% 1,4%
83,60% 88,4% -3,7%
DEFICIT AP
0,90% -2,2% 1,2%
ENTRATE F.
4,00%
5,9% 4,4%
DEBITO AP
INTERESSI P. 5,20% -12,3% 0,0%
4,50%
4,3% 2,0%
SCP**
*I dati 2008-2009 sono di fonte Istat, 1 marzo 2010.
I dati 2010 sono stime tratte dalla RUEF del MEF (maggio
2010)
**Spesa Corrente Primaria (al netto degli interessi passivi)
Tab. 3 Valori in percentuale del Pil
2008
2009
2010
100,0% 100,0% 100,0%
PIL
49,4% 52,5% 51,9%
SPESA AP
ENTRATE AP 46,7% 47,2% 46,8%
2,7%
5,3%
5,0%
DEFICIT AP
42,9% 43,2% 42,8%
ENTRATE F.
106,1% 115,8% 118,3%
DEBITO AP
5,2%
4,7%
4,6%
INTERESSI P.
40,5% 43,5% 43,4%
SCP**
*I dati 2008-2009 sono di fonte Istat, 1 marzo 2010.
I dati 2010 sono stime tratte dalla RUEF del MEF (maggio 2010)
**Spesa Corrente Primaria (al netto degli interessi passivi)
12
Tab. 4 Pressione fiscale ufficiale e Pressione fiscale reale
Valori assoluti e valori in % del Pil
2008
2009
2010
1.567.851 1.520.870 1.564.796
PIL
244.077
247.041
250.044
VAS*
1.323.774 1.273.829 1.314.752
PIL-VAS*
672.148
658.861
665.268
ENTRATE F.
PF ufficiale
PF reale
42,9%
50,8%
43,3%
51,7%
42,5%
50,6%
*Ns stime su dati Istat. Cfr. Appendice.
Tab. 5 Economia sommersa – Stime F. Schneider OECD
Valori in % del Pil
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
PAESI
GRECIA
ITALIA
PORTOGALLO
SPAGNA
BELGIO
SVEZIA
NORVEGIA
GERMANIA
DANIMARCA
FINLANDIA
OECD (21)
IRLANDA
CANADA
FRANCIA
AUSTRALIA
REGNO UNITO
OLANDA
NUOVA ZELANDA
GIAPPONE
AUSTRIA
SVIZZERA
STATI UNITI
2008
24,3
21,4
18,7
18,7
17,5
14,9
14,7
14,2
13,9
13,8
13,3
12,2
12,0
11,1
10,6
10,1
9,6
9,4
8,8
8,1
7,9
7,0
2009
25,0
22,0
19,5
19,5
17,8
15,4
15,3
14,6
14,3
14,2
13,8
13,1
12,6
11,6
10,9
10,9
10,2
9,9
9,5
8,47
8,3
7,6
2010
25,2
22,2
19,7
19,8
17,9
15,6
15,4
14,7
14,4
14,3
14,0
13,2
12,7
11,7
11,1
11,1
10,3
9,9
9,7
8,67
8,34
7,8
13
Tab. 6 Quadro macroeconomico Eurostat 2008
Valori in % del Pil
PAESI
1 Italy
SPESA INTERESSI ENTRATE DEFICIT DEBITO
49,4%
5,1%
46,7%
-2,7%
106,1%
2 Greece
46,8%
4,6%
39,1%
-7,7%
99,2%
3 Belgium
50,0%
3,8%
48,8%
-1,2%
89,8%
46,9%
3,0%
44,9%
-2,0%
69,6%
4 France
52,7%
2,8%
49,3%
-3,4%
67,4%
5 Portugal
46,1%
3,0%
43,2%
-2,8%
66,3%
6 Germany
43,7%
2,7%
43,7%
0,0%
65,9%
7 Malta
44,9%
3,3%
40,2%
-4,7%
63,7%
8 Austria
48,9%
2,6%
48,4%
-0,4%
62,6%
46,9%
2,7%
44,6%
-2,3%
61,5%
45,9%
2,1%
46,6%
0,7%
58,2%
10 United Kingdom
47,3%
2,3%
42,4%
-6,3%
54,6%
11 Cyprus
42,6%
2,8%
43,5%
0,9%
48,4%
12 Ireland
42,0%
1,0%
34,7%
-7,3%
43,9%
13 Spain
41,1%
1,6%
37,0%
-4,1%
39,7%
14 Finland
49,1%
1,5%
53,5%
4,5%
34,2%
15 Slovakia
34,8%
1,2%
32,5%
-2,2%
27,7%
16 Latvia
38,8%
0,8%
34,6%
-5,9%
27,6%
17 Slovenia
44,2%
1,1%
42,4%
-1,8%
22,5%
18 Luxembourg (Grand-Duché)
37,7%
0,3%
40,2%
2,5%
13,5%
19 Poland
43,3%
2,2%
39,6%
-1,0%
11,4%
20 Bulgaria
37,3%
0,8%
39,1%
0,9%
7,2%
21 Lithuania
37,4%
0,6%
34,2%
-0,9%
4,5%
22 Denmark
51,8%
1,4%
55,3%
0,5%
4,5%
23 Sweden
53,0%
1,7%
55,5%
0,3%
3,5%
24 Romania
37,6%
0,7%
32,1%
-1,5%
3,3%
25 Czech Republic
42,9%
1,1%
40,9%
-0,1%
1,1%
26 Estonia
39,9%
0,2%
37,1%
-0,2%
0,3%
27 Hungary
49,2%
4,1%
45,5%
0,0%
0,3%
Euro area
European Union
9 Netherlands
Tab. 7 I PIGS e l’Italia
Valori in % del Pil
SPESA
S 08
S 09
ENTRATE
E 08
E 09
DEFICIT
D 08
D 09
DEBITO
VAR. DB 08
DB 09
VAR.
Spain
41,1% 45,9% 37,0% 34,7% -4,1% -11,2%
7,1%
39,7%
53,2% 13,5%
Greece
46,8% 50,4% 39,1% 36,9% -7,7% -13,6%
5,9%
99,2% 115,1% 15,9%
Ireland
42,0% 48,4% 34,7% 34,1% -7,3% -14,3%
7,0%
43,9%
64,0% 20,1%
Portugal 46,1% 51,0% 43,2% 41,6% -2,8%
-9,4%
6,6%
66,3%
76,8% 10,5%
Italy
-5,3%
2,6% 106,1% 115,8%
49.4% 51,9% 46,2% 46,6% -2,7%
9,7%
14
La lunga marcia della spesa pubblica e gli squilibri
strutturali degli anni ottanta
Nel 1870 la spesa pubblica nei principali paesi sviluppati era di poco superiore
al 10% del pil. Lo stato si limitava a regolare i mercati e a produrre beni e
servizi pubblici puri, come la difesa e l’ordine pubblico. La prima spinta
all’aumento della spesa e conseguentemente del debito arriva dalle spese
belliche. Tra la prima e la seconda guerra mondiale l’aumento è di circa 10
punti di Pil e il rapporto supera il 20%. Il suffragio universale e la crescente
domanda sociale di beni pubblici misti e meritevoli condurranno ad un
aumento della spesa pubblica nei principali paesi europei di circa 20 punti di
Pil fino al 1980, portando il rapporto a superare il 40%.
Nel 1960, all’indomani della seconda guerra mondiale, il confronto
internazionale non rileva particolari differenze nel rapporto spesa/Pil che si
attesta intorno al 30%, con valori molto bassi in Giappone e Svizzera, intorno
al 17%, e valori più alti in Francia e Austria, intorno al 35%. Nel 1980, la
Svezia ha portato il rapporto spesa/Pil al 60%, la Germania e l’Austria al 48%,
la Francia al 46% e l’Italia al 42% in linea con la media internazionale del
43%. Il Giappone e gli Usa restano ancorati al 30%, mentre Australia e
Canada presentano rapporti più alti ma comunque inferiori al 40%.
Le medie internazionali continueranno a salire nei decenni successivi, ma la
spinta alla crescita della spesa pubblica è chiaramente un fenomeno europeo.
Dopo la Svezia, anche la Norvegia e l’Italia sfondano la quota del 50% del Pil
e successivamente toccherà anche alla Francia e all’Austria. Nel 1990, la
media è salita al 43% e l’Italia è il paese che fa registrare l’aumento maggiore
nel decennio che va dal 1980 al 1990.
Concentriamo adesso l’attenzione sull’Italia e in particolare sul periodo che va
dal 1980 ai giorni nostri in modo da seguire anno per anno l’evoluzione della
spesa pubblica. All’inizio il trend è crescente e nel 1993 raggiunge il picco
assoluto del 57% del pil. Chiameremo questa prima fase dell’analisi il
“periodo grasso” della spesa pubblica italiana. A partire dal 1994 la spesa
pubblica si riduce non tanto in valore assoluto ma quanto in rapporto al Pil. Il
trend dura fino al 2000 quando il rapporto scende al 46%. Chiameremo questa
seconda fase dell’analisi il “periodo magro”. A partire dal 2001, la spesa
riprende a crescere in maniera più veloce del Pil fino a portarsi al 53% del
2009.
L’analisi e il ciclo delle tre fasi sono rappresentati nei grafici seguenti.
15
La spesa pubblica
56,6%
La grande dieta
52,5%
Il grande "spending"
46,2%
Il ritorno dello "spending"
41,4%
80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10
La pressione fiscale
2007: 1993: La grande manovra 42,9%
(Governo Amato)
43,7% L'eurotassa
42,5%
40,4%
2005: Ultimo anno interamente imputabile al Governo Berlusconi
31,4%
80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10
16
L’economia sommersa
Il debito pubblico
121,8%
118,1%
Il grande spending
La galoppata del debito si ferma al 121,8% nel 1994
56,1%
+13,9
La grande dieta
Il rientro del debito dura fino al 2004: 103,8
103,8%
Il ritorno dello spending
Il debito scende fino al record del 103,4 nel 2007, poi stacca rapidamente verso l'alto, ai livelli della prima fase
80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10
17
La spesa e le entrate
Il Prodotto Interno Lordo
4,2%
3,2%
0,4%
1,9%
1,5%
1,5%
0,5%
80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09
Il grande spending
Il pil galoppa insieme alla spesa pubblica, ma alla fine crolla.
La grande dieta
Meno brillante di prima, il pil ritorna a galoppare.
Il ritorno dello spendig
Il pil, colpito anche da shock esogeni, ‐5,0%
crolla di nuovo.
18
STATO
Il peso del settore pubblico
IL SETTORE PUBBLICO. Nell’ultimo secolo, a partire dai paesi di più antica
formazione e storia industriale, il ruolo dello stato nell’economia è cresciuto
considerevolmente, fino a raggiungere livelli insostenibili.
PRODUZIONE E REDISTRIBUZIONE. Lo stato, qui inteso come l’insieme dei
soggetti pubblici che formano il complesso delle pubbliche amministrazioni di un
paese, e più genericamente definito come settore pubblico, esercita la sua azione
attraverso la produzione di beni e servizi (meritori), la redistribuzione del reddito
nazionale (trasferimenti) e la regolamentazione del settore privato dell’economia e
della vita sociale in generale. L’azione dello stato esercita un notevole impatto sul
benessere collettivo di un paese, benessere che viene normalmente misurato
attraverso il pil, ma che richiederebbe nuove misure per tenere conto anche di altri
effetti e risultati che non sono ricompresi nel pil. Se le attività di
regolamentazione si possono misurare attraverso analisi e metodi di valutazione a
partire dalla tradizionale analisi costi-benefici, e ciò accade molto spesso quando
si calcolano ad esempio i costi della burocrazia per le imprese e per i cittadini, le
altre attività dello stato, comprese quelle necessarie a far funzionare gli istituti che
governano la regolamentazione, vengono normalmente misurate attraverso la
spesa pubblica e vengono finanziate attraverso la pressione fiscale, le altre entrate
pubbliche e il deficit di bilancio che, come è noto, genera annualmente una parte
determinante della variazione del debito pubblico.
LE DETERMINANTI DELLA SPESA. Il considerevole aumento della spesa pubblica
avvenuto nel corso dell’ultimo secolo è stato determinato dall’aumento della
produzione e distribuzione di beni e servizi da parte dello stato alla collettività e
dall’aumento dei trasferimenti in denaro alle famiglie e alle imprese per soddisfare
un bisogno sociale sempre maggiore in economie e società sempre più strutturate
e complesse. La volontà di garantire al maggior numero possibile di cittadini
alcuni servizi pubblici fondamentali, tra cui l’istruzione, la sanità e la previdenza
sociale, ha determinato nel tempo un ampliamento notevole della domanda e
conseguentemente dell’offerta perdendo di vista i principi basilari dell’economia,
vale a dire l’efficienza e la sostenibilità.
LE CONSEGUENZE FISCALI. Per garantire il funzionamento del sistema, lo stato ha
dovuto introdurre e gestire un sistema fiscale capace di drenare risorse dal pil alla
spesa pubblica. Nel tempo la pressione fiscale, ovvero la parte di pil che viene
impiegata per finanziare la spesa pubblica, è cresciuta enormemente sottraendo
sempre più risorse al mercato per trasferirle al settore pubblico. Ciò ha
19
penalizzato, tra l’altro, i settori e i luoghi nei quali il mercato era più diffuso e
sviluppato, determinando forti asimmetrie settoriali e territoriali. Il mercato stesso
ha risposto aumentando la flessibilità e, a seconda delle possibilità, ha provato a
trattenere quote di pil cercando di evitare la pressione fiscale. Né è scaturito il
circolo vizioso “più tasse più evasione” che ha portato alla formazione di
un’economia sommersa di enormi dimensioni e conseguentemente ha appesantito
la pressione fiscale sul mercato più strutturato e meno flessibile rappresentato
dalle medie e grandi imprese e dal lavoro dipendente.
IL SISTEMA SOCIALE. Ciò di fatto ha legittimato il sistema di potere sociale
rappresentato dalla grande politica, dalla grande impresa e dai grandi sindacati
relegando ai margini del sistema la piccola impresa e il mondo delle professioni.
In questo capitolo del rapporto vedremo quanto è cresciuta negli ultimi anni la spesa
pubblica, quale livello ha raggiunto nel 2009, quali sono le proiezioni per il futuro e
come si colloca il nostro paese nello scenario europeo e internazionale. Vedremo, inoltre,
quanto è cresciuta di conseguenza la pressione fiscale e quanto pesa oggi realmente il
fisco se consideriamo l’esistenza dell’economia sommersa. Il capitolo si chiude con la
presentazione di un esercizio retrospettivo di simulazione contabile che mostra cosa
sarebbe potuto succedere se la spesa pubblica fosse aumentata a un ritmo pari a quello
del tasso di inflazione e se l’economia sommersa fosse rimasta a un livello considerato
fisiologico mediamente in linea con quello degli altri paesi europei.
Il conto economico del settore pubblico
USCITE, ENTRATE E SALDI DI FINANZA PUBBLICA NEL 2009. Secondo i dati più
recenti diffusi dall’Istat, nel 2009 la spesa pubblica italiana ha raggiunto i 799
miliardi di euro pari al 52,5% del pil (+3,1% sul 2008). Le entrate complessive
sono state pari a 718 miliardi di euro pari al 47,2% del pil (-2,3%). Il saldo finale
tra entrate e uscite è risultato negativo per 80,8 miliardi di euro pari al 5,3% del
pil (+90%). Per la prima volta dopo molti anni, il saldo primario è risultato
negativo per 9,5 miliardi di euro, lo 0,6% del pil (-125%). Il saldo corrente è
risultato negativo per 31 miliardi di euro, pari al 2% del pil (-358%). Il fabbisogno
del settore pubblico è stato pari a 87,9 miliardi, la variazione del debito pubblico è
stata di 97,3 miliardi e il debito pubblico finale ha raggiunto i 1.760,7 miliardi di
euro pari al 115,8% del pil (+5,9%). Il pil è stato pari a 1.520,9 miliardi euro (3%).
20
Tabella 1. Il conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche.
Valori 2009 in milioni di euro, valori in % del Pil e variazioni % rispetto al 2008
2009
% del
Pil
Tasso di
crescita
327.814
171.578
92.718
21,6%
11,3%
6,1%
3,3%
1,0%
7,5%
44.481
2,9%
4,0%
291.335
752
41.895
661.796
71.288
733.084
37.040
24.445
4.285
65.770
798.854
19,2%
0,0%
2,8%
43,5%
4,7%
48,2%
2,4%
1,6%
0,3%
4,3%
52,5%
5,1%
-7,0%
5,4%
4,2%
-12,2%
2,3%
7,0%
10,3%
165,8%
12,7%
3,1%
ENTRATE
Imposte dirette
Imposte indirette
Contributi sociali effettivi
Contributi sociali figurativi
Altre entrate correnti
Totale entrate correnti
Imposte in c/capitale
Altre entrate in c/capitale
Totale entrate in c/capitale
Totale entrate complessive
ENTRATE FISCALI
222.655
206.956
210.917
4.086
57.341
701.955
12.247
3.852
16.099
718.054
656.861
14,6%
13,6%
13,9%
0,3%
3,8%
46,2%
0,8%
0,3%
1,1%
47,2%
43,2%
-7,1%
-4,2%
-0,5%
5,3%
1,1%
-3,6%
2409,6%
19,7%
334,4%
-1,9%
-2,3%
SALDI
Saldo corrente
Saldo primario
-31.129
-9.512
-2,0%
-0,6%
-357,5%
-124,7%
Voci economiche
USCITE
Spesa per consumi finali
di cui: redditi da lavoro dipendente
consumi intermedi
prestazioni sociali in natura acquistate
direttamente sul mercato
Prestazioni sociali in denaro
Imposte dirette pagate dalla PA
Altre uscite correnti
Uscite correnti al netto interessi
Interessi passivi
Totale uscite correnti
Investimenti fissi lordi
Contributi agli investimenti
Altre uscite in c/capitale
Totale uscite in c/capitale
Totale uscite complessive
Fabbisogno del settore pubblico
Indebitamento netto
Variazione del debito pubblico
DEBITO PUBBLICO
PIL
-5,8%
-87.910
-5,3%
-80.800
6,4%
97.312
1.760.765 115,8%
1.520.870 100,0%
71,8%
89,8%
52,8%
5,9%
-3,0%
Fonte: Ns. Elaborazione su dati Istat
USCITE, ENTRATE E SALDI DI FINANZA PUBBLICA TRA IL 1980 E IL 2008. Tra il
1980 e il 2008, la spesa complessiva passa dal 41% al 49% del pil, mentre le
21
entrate totali passano dal 34% al 47% del pil: +8 per la spesa e +13 per le entrate.
Il divario spesa-entrate nel 1980 era di 7 punti di pil, nel 2008 diventa pari a 2
punti di pil. La pressione fiscale, che rappresenta il 91-92% delle entrate totali,
passa dal 31% del 1980 al 43% del 1993 e resterà su questi livelli fino al 2008.
Nel 2009, la spesa subisce un balzo dal 49 al 53% del pil (anche perché il pil in
valore assoluto diminuisce del 3%), mentre le entrate totali restano ferme al 47%
del pil.
Tabella 2. Conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche.
Anni 1980, 1993, 2000, 2008-09
Valori in percentuale del Pil
Voci economiche
Redditi da lavoro dipendente
Acquisto di beni e servizi prodotti da produttori market
Consumi intermedi
SPESA PER CONSUMI FINALI
Interessi passivi
Prestazioni sociali in denaro
TOTALE USCITE CORRENTI
Investimenti fissi lordi
Contributi agli investimenti
TOTALE USCITE IN CONTO CAPITALE
TOTALE USCITE COMPLESSIVE
Imposte indirette
Imposte dirette
Contributi sociali effettivi
Contributi sociali figurativi
TOTALE ENTRATE CORRENTI
Imposte in conto capitale
TOTALE ENTRATE IN CONTO CAPITALE
TOTALE ENTRATE COMPLESSIVE
Risparmio lordo (+) o disavanzo (-)
Indebitamento (-) o Accredit.(+)
Saldo primario
ENTRATE FISCALI
1980 1993 2000 2008 2009
11% 12% 10% 11% 11%
2%
2% 2% 3% 3%
4%
5% 5% 6% 6%
17% 20% 18% 20% 22%
4% 13% 6% 5% 5%
12% 17% 16% 18% 19%
37% 52% 44% 46% 48%
3%
3% 2% 2% 2%
1%
1% 1% 1% 2%
4%
4% 3% 4% 4%
41% 57% 46% 49% 53%
8% 12% 15% 14% 14%
9% 16% 14% 15% 15%
12% 13% 12% 14% 14%
1%
2% 0% 0% 0%
34% 46% 45% 46% 46%
0%
1% 0% 0% 1%
0%
1% 0% 0% 1%
34% 47% 45% 47% 47%
-3% -7% 1% 1% -2%
-7% -10% -1% -3% -5%
0%
0% 0% 2% -1%
31% 43% 42% 43% 43%
Fonte: Ns. Elaborazione su dati Istat
Osservando le variazioni tra un periodo e l’altro, si vede come il +8 della spesa
registrato tra il 1980 e il 2008 è pari a un +15,3 nel “periodo grasso”, a un -10,4
nel “periodo magro” e +3,2 nell’ultimo periodo. Le entrate complessive, invece,
nel “periodo grasso” sono salite di 12,2 punti, in quello “magro” hanno perso 1,2
punti per poi recuperare 1,3 punti nell’ultimo periodo. Nel “periodo grasso” il
recupero fiscale è avvenuto molto più rapidamente sul lato delle imposte dirette.
Queste, infatti, hanno permesso di drenare 6,4 punti contro i 3,5 delle imposte
indirette. Nei periodi successivi, invece, le imposte indirette hanno fornito il
contributo maggiore recuperando in parte lo svantaggio iniziale. Nessun
contributo, invece, è arrivato dai contributi sociali, il cui livello complessivo in
rapporto al pil non è variato significativamente.
22
Tabella 3. Conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche.
1980-2009
Variazioni tra periodi calcolate in termini di punti percentuali di Pil tra
l’anno iniziale e l’anno finale
Voci economiche
I*
II*
III*
X*
2009*
Redditi da lavoro dipendente
1,3%
-1,6%
0,4%
0,1%
0,5%
Acquisto di beni e servizi prodotti da produttori market
0,4%
0,0%
0,4%
0,8%
0,2%
Consumi intermedi
1,6%
-0,3%
0,5%
1,8%
0,6%
1,8%
3,3%
1,3%
SPESA PER CONSUMI FINALI
3,0%
-1,5%
Interessi passivi
8,2%
-6,3% -1,2%
0,7% -0,5%
Prestazioni sociali in denaro
4,3%
-0,2%
1,3%
5,4%
1,5%
TOTALE USCITE CORRENTI
15,6%
-8,9%
2,1%
8,8%
2,5%
Investimenti fissi lordi
-0,4%
-0,2% -0,1%
-0,8%
0,2%
0,1%
0,3%
0,2%
Contributi agli investimenti
0,3%
-0,1%
TOTALE USCITE IN CONTO CAPITALE
-0,3%
-1,6%
1,1%
-0,7%
0,6%
TOTALE USCITE COMPLESSIVE
15,3% -10,4%
3,2%
8,1%
3,1%
Imposte indirette
3,5%
Imposte dirette
6,4%
3,0% -0,9%
-1,2%
0,9%
5,6% -0,2%
6,0% -0,7%
Contributi sociali effettivi
0,7%
-1,0%
1,4%
1,0%
0,3%
Contributi sociali figurativi
0,5%
-1,4% -0,1%
-1,0%
0,0%
TOTALE ENTRATE CORRENTI
11,6%
-0,8%
1,5% 12,3% -0,3%
Imposte in conto capitale
0,6%
-0,6% -0,1%
-0,1%
TOTALE ENTRATE IN CONTO CAPITALE
0,6%
-0,4% -0,2%
0,0%
0,8%
1,3% 12,3%
0,5%
TOTALE ENTRATE COMPLESSIVE
12,2%
-1,2%
0,8%
Risparmio lordo (+) o disavanzo (-)
-4,0%
8,1% -0,6%
3,5% -2,8%
Indebitamento (-) o Accredit.(+)
-3,1%
9,2% -1,9%
4,3% -2,6%
0,0%
0,0%
2,3% -2,9%
11,5%
-1,3%
Saldo primario
ENTRATE FISCALI
2,3%
1,2% 11,5%
0,3%
* I è il periodo grasso che va dal 1980 al 1993; II è il periodo della grande dieta che va dal 1994
al 2000; III è il periodo del ritorno della spesa che va dal 2001 al 2008; X indica l’intero periodo
che va dal 1980 al 2008; 2009 è la variazione annuale rispetto al 2008
Il grande balzo della spesa pubblica tra il 1980 e il 1993 è dovuto interamente alla
spesa corrente. La spesa in c/capitale è addirittura diminuita. La spesa corrente è
salita, invece, di 15,60 punti di pil, passando dal 36,9 al 52,5%. Più della metà del
balzo della spesa corrente nel “periodo grasso” è dovuto però alla crescita degli
interessi passivi necessari a finanziare il servizio del debito pubblico. Altri 3 punti
sono addebitabili ai consumi finali e 4,3 punti alle prestazioni sociali in denaro.
La dieta successiva (fino al 2000) è imputabile alla riduzione degli interessi
passivi per 6,3 punti di pil, unica voce questa a produrre risparmi anche nel
periodo successivo con una riduzione di altri 1,2 punti di pil. Tra le altre voci di
spesa, le più colpite dalla dieta saranno le uscite in c/capitale che perderanno 1,56
punti e le retribuzioni lorde che perderanno 1,22 punti di pil.
23
Nel periodo considerato, la quota di consumi finali sul pil è passata dal 16,9 al
21,6%, con un incremento di 4,7 punti di pil. Durante il periodo della grande
dieta, i consumi finali sono scesi al livello minimo del 18% del pil, per poi
riprendere a crescere dal 2001 fino a raggiungere il livello massimo del 2008 del
21,6%. La componente rappresentata dalla spesa per il personale pubblico
presenta un incremento limitato nel periodo pari a 0,6 punti di pil. Gli altri 4,1
punti sono dovuti ai consumi intermedi e agli acquisti di beni e servizi. La spesa
per il personale pubblico si è ridotta dal 63,4% al 52,3% dei consumi finali.
LA SPESA PER FUNZIONI. A partire dal 1990, l’Istat diffonde i dati relativi alla
spesa per funzioni elaborati secondo il modello della Cofog adottato a livello
internazionale, e in particolare europeo, che articola la spesa pubblica per dieci
macrofunzioni (livello 1) e per 68 micro funzioni (livello 2).
L’analisi della spesa per funzioni, relativamente alla spesa per consumi finali,
sembrerebbe mostrare come la crescita della spesa nel primo periodo non interessi
né la sanità né l’istruzione, mentre penalizzi molte altre funzioni, dagli affari
economici alla protezione dell’ambiente, alle abitazioni e alla cultura che o sono
stazionarie o soffrono di veri e propri tagli.
Nel periodo della grande dieta i tagli interessano tutte le funzioni di spesa, con la
sola eccezione della sanità che risulta perfettamente stazionaria e della cultura che
guadagna un decimo di punto.
Nell’ultimo periodo, sono solo tre le funzioni che subiscono riduzioni, i servizi
generali (per effetto della riduzione degli interessi passivi), l’ordine pubblico e la
sicurezza e le abitazioni e assetto del territorio. Le altre funzioni, ad eccezione
della cultura e dell’istruzione che sono stazionarie, riprendono a crescere e in
particolare la protezione sociale, la sanità e gli affari economici.
24
1990 18.170 2,6%
9.860
1991 19.639 2,6% 10.783
1992 20.396 2,5% 11.701
1993 21.415 2,6% 11.528
1994 22.839 2,6% 11.553
1995 23.288 2,5% 10.903
1996 25.248 2,5% 11.133
1997 26.232 2,5% 10.935
1998 27.067 2,5% 11.184
1999 28.710 2,5% 12.301
2000 30.941 2,6% 12.992
2001 33.826 2,7% 13.992
2002 36.632 2,8% 15.718
2003 39.278 2,9% 18.158
2004 41.356 3,0% 19.410
2005 43.145 3,0% 20.014
2006 42.447 2,9% 19.623
2007 42.649 2,8% 20.450
2008 43.801 2,8% 21.969
Fonte: Ns. Elaborazione su dati Istat
1,4%
1,4%
1,5%
1,4%
1,3%
1,2%
1,1%
1,0%
1,0%
1,1%
1,1%
1,1%
1,2%
1,4%
1,4%
1,4%
1,3%
1,3%
1,4%
13.723
14.742
15.568
16.812
17.728
18.431
20.546
21.171
21.751
21.750
22.664
23.057
23.622
24.864
26.240
26.709
27.426
26.812
27.729
2,0%
1,9%
1,9%
2,0%
2,0%
1,9%
2,0%
2,0%
2,0%
1,9%
1,9%
1,8%
1,8%
1,9%
1,9%
1,9%
1,8%
1,7%
1,8%
9.673
10.755
11.174
11.593
11.897
12.425
13.004
13.411
14.048
14.251
14.744
15.784
15.801
16.706
17.580
18.852
19.976
20.562
21.319
1,4%
1,4%
1,4%
1,4%
1,4%
1,3%
1,3%
1,3%
1,3%
1,3%
1,2%
1,3%
1,2%
1,3%
1,3%
1,3%
1,3%
1,3%
1,4%
1183
1334
1339
1546
1671
1696
1631
1760
1799
2262
2336
2790
2915
3338
3544
3890
4105
4363
4584
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,3%
0,3%
0,3%
0,3%
0,3%
2802
3060
3226
3341
3447
3605
4003
4499
4584
4935
5074
5250
5369
5600
5866
5941
6191
6390
6894
0,4% 41730 5,9% 2964
0,4% 47017 6,1% 3312
0,4% 48561 6,0% 3351
0,4% 48388 5,8% 3611
0,4% 48228 5,5% 3703
0,4% 47588 5,0% 3866
0,4% 51195 5,1% 4234
0,4% 55487 5,3% 4553
0,4% 57495 5,3% 4485
0,4% 60246 5,3% 4474
0,4% 67445 5,7% 4738
0,4% 74487 6,0% 4953
0,4% 78553 6,1% 5191
0,4% 81159 6,1% 5201
0,4% 89252 6,4% 5437
0,4% 95231 6,7% 5908
0,4% 100409 6,8% 6078
0,4% 100832 6,5% 6592
0,4% 107647 6,9% 6936
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
Protezione
sociale
Istruzione
Cultura
Sanità
Abitazioni e
assetto del
territorio
Protezione
dell'ambiente
Affari economici
Ordine pubblico
e sicurezza
Difesa
Servizi generali
Tabella 4. La spesa per consumi finali per funzioni dal 1990 al 2008. Valori in milioni di euro e rapporti in % del Pil
35454
38225
40212
40711
40756
41303
44729
46147
47257
48150
49378
52090
53969
57032
55710
59085
60113
62515
63690
5,1%
5,0%
5,0%
4,9%
4,6%
4,4%
4,5%
4,4%
4,3%
4,3%
4,1%
4,2%
4,2%
4,3%
4,0%
4,1%
4,0%
4,0%
4,1%
5657
6032
6472
6685
7175
7046
7539
7886
8000
8390
9416
10628
11013
11606
11843
12043
12892
13202
13543
TOTALE
0,8%
0,8%
0,8%
0,8%
0,8%
0,7%
0,8%
0,8%
0,7%
0,7%
0,8%
0,9%
0,9%
0,9%
0,9%
0,8%
0,9%
0,9%
0,9%
141.216
154.899
162.000
165.630
168.997
170.151
183.262
192.081
197.670
205.469
219.728
236.857
248.783
262.942
276.238
290.818
299.260
304.367
318.112
20,1%
20,2%
20,1%
20,0%
19,3%
18,0%
18,3%
18,3%
18,1%
18,2%
18,4%
19,0%
19,2%
19,7%
19,9%
20,3%
20,1%
19,7%
20,3%
25
Tabella 5. Principali voci del conto economico delle A.P. dal 1980 al 2009. Valori in percentuale del pil.
Voci economiche/Anni
80
81
82
83
84
85
86
87
88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
07
08 09
Redditi da lavoro dipendente
11
12
12
12
12
11
11
12
12
12
12
12
12
12
12
11
11
11
11
11
10
11
11
11
11
11
11
11
11 11
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
3
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
3
3
3
3
3
3
3
Acquisto di beni e servizi
Consumi intermedi
3
3
6
6
4
4
4
4
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
17
18
18
19
19
19
18
19
20
19
20
20
20
20
19
18
18
18
18
18
18
19
19
20
20
20
20
20
4
5
7
8
8
8
9
8
8
9
10
11
12
13
11
12
12
9
8
7
6
6
6
5
5
5
5
5
Prestazioni sociali in denaro
12
14
14
15
14
15
15
15
15
15
15
15
16
17
17
16
17
17
17
17
16
16
17
17
17
17
17
17
18 19
TOTALE USCITE CORRENTI
37
40
42
45
45
45
46
45
45
47
48
50
51
52
50
48
49
47
45
44
44
44
44
44
44
44
44
44
46 48
Investimenti fissi lordi
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Contributi agli investimenti
1
1
1
1
1
1
2
2
2
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
2
2
1
2
2
2
1
2
4
4
SPESA PER CONSUMI FINALI
Interessi passivi
TOTALE USCITE IN CONTO CAPITALE
TOTALE USCITE COMPLESSIVE
Imposte indirette
Imposte dirette
20 22
5
5
4
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
4
4
4
4
4
3
4
4
3
4
4
4
4
4
5
4
41
45
47
49
50
50
51
50
51
52
53
54
56
57
54
53
53
50
49
48
46
48
47
49
48
49
49
48
49 53
8
8
8
9
9
9
9
9
10
10
10
11
11
12
11
12
12
12
15
15
15
14
14
14
14
14
15
15
14 14
9
10
11
12
12
12
12
12
13
14
14
14
14
16
15
14
15
16
14
15
14
15
14
13
13
13
14
15
15 15
Contributi sociali effettivi
12
12
12
13
12
12
12
12
12
12
13
13
13
13
13
13
14
15
12
12
12
12
12
12
12
13
13
13
14 14
Contributi sociali figurativi
1
1
1
1
2
2
2
1
1
1
1
2
2
2
2
2
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
TOTALE ENTRATE CORRENTI
0
0
34
34
36
38
38
38
39
38
39
40
42
43
43
46
44
44
45
47
46
46
45
45
44
43
44
44
46
47
Imposte in conto capitale
0
0
1
1
0
0
0
0
0
0
0
0
2
1
0
1
0
1
0
0
0
0
0
1
1
0
0
0
0
1
TOTALE ENTRATE IN CONTO CAPITALE
0
0
1
1
0
0
0
0
0
0
0
0
2
1
0
1
0
1
1
0
0
0
0
2
1
0
0
0
0
1
TOTALE ENTRATE COMPLESSIVE
34
34
37
39
38
38
39
39
40
41
42
43
45
47
45
45
46
48
46
46
45
45
45
45
44
44
46
47
Risparmio lordo (+) o disavanzo (-)
-3
-6
-6
-7
-7
-8
-7
-6
-6
-7
-6
-7
-8
-7
-6
-4
-4
0
0
2
1
1
0
-1
0
-1
1
2
1
-2
Indebitamento (-) o Accredit.(+)
-7
-11
-10
-10
-11
-12
-12
-12
-11
-11
-11
-11
-10
-10
-9
-7
-7
-3
-3
-2
-1
-3
-3
-3
-3
-4
-3
-1
-3
-5
2
-1
Saldo primario
-3
-6
-3
-2
-3
-4
-3
-4
-3
-2
-1
0
2
3
2
4
5
7
5
5
6
3
3
2
1
0
1
3
ENTRATE FISCALI
31
31
34
36
35
35
35
35
37
37
38
39
42
43
41
41
42
44
42
42
42
41
41
41
41
40
42
43
46 46
47 47
43 43
Fonte: Ns. Elaborazione su dati Istat
26
Tabella 6. Principali voci del conto economico delle A.P. dal 1980 al 2009. Valori in percentuale delle uscite totali.
Voci economiche/Anni
Redditi da lavoro dipendente
Acquisto di beni e servizi
Consumi intermedi
SPESA PER CONSUMI FINALI
Interessi passivi
Prestazioni sociali in denaro
TOTALE USCITE CORRENTI
Investimenti fissi lordi
Contributi agli investimenti
TOTALE USCITE IN CONTO CAPITALE
TOTALE USCITE COMPLESSIVE
Imposte indirette
Imposte dirette
Contributi sociali effettivi
Contributi sociali figurativi
TOTALE ENTRATE CORRENTI
Imposte in conto capitale
TOTALE ENTRATE IN CONTO CAPITALE
TOTALE ENTRATE COMPLESSIVE
Risparmio lordo (+) o disavanzo (-)
Indebitamento (-) o Accredit.(+)
Saldo primario
ENTRATE FISCALI
80
26
5
9
41
11
30
89
7
3
11
81
26
4
9
40
11
31
89
8
3
11
82
25
4
9
39
14
30
89
7
3
11
83
24
4
9
38
16
30
90
7
3
10
84
23
4
9
37
17
29
90
7
3
10
85
23
4
9
37
17
29
90
7
3
10
86
22
4
9
36
17
29
90
7
3
10
87
23
5
10
38
16
29
89
7
4
11
88
23
5
10
38
16
29
90
6
4
10
89
22
5
10
37
18
29
90
6
3
10
90
23
5
9
38
19
28
90
6
3
10
91
23
5
9
37
21
28
91
6
3
9
92
22
4
9
36
22
29
92
5
2
8
93
21
4
9
35
22
29
93
4
3
7
94
22
4
10
36
21
31
93
4
2
7
95
21
4
9
34
22
31
91
4
2
9
96
21
4
9
35
22
31
93
4
3
7
97
23
4
10
36
18
34
93
4
2
7
98
22
4
10
37
16
34
92
5
3
8
99
22
4
10
38
14
35
92
5
3
8
00
23
5
11
40
14
36
94
5
3
6
01
22
5
11
39
13
34
91
5
3
9
02
22
5
11
41
12
35
92
4
4
8
03
22
5
11
41
11
35
91
5
4
9
04
22
6
11
41
10
35
92
5
3
8
05
23
6
11
42
10
35
92
5
3
8
06
22
6
11
41
9
35
90
5
3
10
07
22
6
11
41
10
35
92
5
3
8
08
22
6
11
41
10
36
92
4
3
8
09
21
6
12
41
9
36
92
5
3
8
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
20 17 18 18 18 18 17 18 20 19 19 20 20 21 21 22 22
22 22 24 24 24 24 24 25 25 26 26 26 26 28 27 27 29
30 26 26 26 24 24 24 24 24 23 24 24 23 23 24 24 27
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
1
83 75 77 77 76 75 76 77 78 77 78 78 78 81 82 84 86
0
0
1
2
1
0
0
0
0
0
0
0
3
1
0
1
1
1
1
2
2
1
1
1
0
1
1
0
1
4
2
1
2
1
83 76 79 80 77 75 76 77 78 78 79 79 81 82 83 86 87
-7 -14 -12 -13 -14 -15 -14 -13 -12 -13 -12 -13 -15 -12 -11
-7
-7
-17 -24 -21 -20 -23 -25 -24 -23 -22 -22 -21 -21 -19 -18 -17 -14 -13
-6 -13
-7
-5
-6
-8
-6
-7
-5
-4
-3
0
3
5
4
8
9
76 69 72 73 71 69 69 71 72 72 72 72 75 76 76 78 79
24
31
29
1
93
1
2
95
0
-5
13
87
31
29
25
1
93
1
1
94
1
-6
10
86
31
31
25
1
95
0
1
96
4
-4
10
88
32
31
26
1
97
0
1
98
3
-2
12
90
29
31
25
1
93
0
1
94
2
-6
7
86
30
29
26
1
93
0
1
94
1
-6
6
86
29
28
25
1
89
3
3
93
-2
-7
3
85
29
28
26
1
91
1
2
93
-1
-7
3
85
29
27
26
1
90
0
1
91
-1
-9
1
83
30
29
25
0
93
0
1
93
3
-7
3
85
30
31
27
1
96
0
1
97
5
-3
7
89
28 26
31 28
27 26
1
1
94 88
0
2
0
2
95 90
2 -4
-5 -10
5 -1
87 82
Fonte: Ns. Elaborazione su dati Istat
27
L’economia sommersa e la pressione fiscale reale
DEFINIZIONE DI ECONOMIA SOMMERSA. L’economia sommersa è quella parte
dell’economia “che non si vede”, che viene svolta in condizioni che ne occultano
la presenza al “contabile nazionale” e al fisco. Il problema dell’economia
sommersa nasce di riflesso a quello della misurazione e rendicontazione
dell’economia in generale. Il contabile nazionale, per ovvi motivi, non ha
difficoltà nel rilevare la produzione e i corrispondenti redditi dichiarati in quanto
noti e registrati, ma non riesce, almeno in prima istanza, a rilevare la produzione e
il reddito che non vengono dichiarati. L’Istat definisce il “Sommerso Economico”
come quella attività di produzione di beni e servizi che, pur essendo legale, sfugge
all’osservazione diretta in quanto connessa al fenomeno della frode fiscale e
contributiva.
IL PRINCIPIO DI ESAUSTIVITÀ NEL CALCOLO DEL PIL. Dagli anni Settanta ad oggi
nei principali Paesi industrializzati, presso gli organismi internazionali (UN,
OSCE, EUROSTAT) e in molti Paesi in via di sviluppo si è discusso intorno alla
necessità di includere nelle stime del PIL anche la produzione e il reddito “che
non si vede” (sommerso) e si sono approntati metodi via via più evoluti che, nel
tempo, hanno favorito effettivamente l’inclusione nel PIL di quote anche
consistenti di economia sommersa. Per l’Unione europea assume particolare
importanza la direttiva PNL (direttiva 89/130/CEE, Euratom del Consiglio del 13
febbraio 1989) che ha fissato le procedure per facilitare la verifica, il
miglioramento della comparabilità, dell’attendibilità e dell’esaustività delle stime
del PNL (Prodotto Nazionale Lordo).
LE STIME UFFICIALI DELL’ECONOMIA SOMMERSA. L’inclusione nel PIL
dell’economia sommersa determina la non corrispondenza tra il PIL e il valore
aggiunto dichiarato al fisco. Ciò vuol dire che nel sistema economico vi sono
lavoratori e imprenditori che producono e realizzano redditi in nero sui quali non
pagano imposte e/o tasse e/o contributi e ogni altro onere imposto dalla legge a
seconda del tipo di attività svolta, ma che vengono, almeno in parte, inclusi nei
conti nazionali e quindi nel PIL.
IL VAS. L’Istat periodicamente calcola e diffonde le stime dell’economia
sommersa così come sono state utilizzate nell’ambito della contabilità nazionale
per la determinazione del Pil. In particolare, l’Istat misura il Valore Aggiunto
Sommerso (VAS) già ricompresso nelle stime di contabilità nazionale e quindi già
integrato nel valore aggiunto complessivo. Nella tabella 7 sono riportate le stime
del VAS calcolate e diffuse dall’Istat dal 2000 al 2006. Per gli anni dal 2007 al
2010 si è provveduto a proiettare le stime Istat in proporzione dei valori medi
registrati nel periodo 2000-2006.
28
LA DEFINIZIONE DI PRESSIONE FISCALE. La pressione fiscale è il rapporto tra la
somma di tutte le entrate provenienti da tributi e contributi registrate nel Conto
Economico Consolidato delle Amministrazioni Pubbliche e il reddito nazionale o
prodotto interno lordo. Si tratta di un indicatore di finanza pubblica la cui
misurazione viene effettuata dall’Istituto Nazionale di Statistica nell’ambito della
Contabilità Nazionale e viene diffusa il 1° marzo di ogni anno (successivo a
quello di riferimento) così come previsto dal protocollo sui deficit eccessivi
annesso al Trattato di Maastricht e come stabilito dal SEC95 e dal Regolamento
(CE) n. 2223/96. Essendo calcolata nell’ambito della contabilità nazionale, la
pressione fiscale comprende tutti i pagamenti effettuati a titolo di imposta o di
contributo, compresi quelli degli enti pubblici locali e degli enti pubblici non
territoriali (ad esempio l’Inps e l’Inail). Le entrate fiscali sono costituite da tutte le
imposte, comprese quelle in c/capitale, e dai contributi sociali. Esse formano in
pratica il prelievo o gettito tributario, cioè la somma di tutti i versamenti netti
effettuati dagli operatori economici nell’arco di un anno a titolo fiscale. Si tratta
quindi di un aggregato macroeconomico e, in quanto tale, di un insieme di
comportamenti individuali che non può essere osservato in termini
microeconomici. La pressione fiscale indica la quota di reddito nazionale che il
Settore Pubblico preleva coattivamente e legalmente per finanziare la spesa
pubblica. Il reddito nazionale è invece la somma di tutti i redditi realizzati
nell’anno dai fattori della produzione (lavoro, capitale e terra) e di proprietà delle
famiglie. La pressione fiscale è quindi la misura del sacrificio imposto alla
collettività dal Settore Pubblico.
PROBLEMI DI MISURAZIONE. La misura della pressione fiscale e quindi la misura
del numeratore “Entrate fiscali” e del denominatore “Pil” è un passaggio
apparentemente semplice che nasconde però insidie e problematiche di non poco
conto. Le entrate fiscali sono un problema relativo e riguardano semplicemente le
procedure e le regole di imputazione delle voci e si identificano più come un
problema di contabilità fiscale vero e proprio che come un problema di calcolo
statistico. Il denominatore, cioè il prodotto interno lordo, è, invece, un aggregato
che risulta da una stima effettuata dalla Contabilità Nazionale dell’Istat
nell’ambito del Sistema Europeo dei Conti (SEC95). Il problema non è costituito
dalla stima in sé o dal sistema dei conti o dalle procedure utilizzate, ma dal
principio di esaustività del Pil. In particolare, l’inclusione nelle stime del Pil del
lavoro sommerso pone non pochi problemi in relazione alle specifiche
metodologie di rilevazione utilizzate dai singoli Paesi che non risultano
standardizzate e che possono falsarne il confronto. La questione di fondo è che le
metodologie di calcolo del Pil, prevedendo l’inclusione nel reddito nazionale di
quella parte dell’evasione fiscale che si riesce a stimare indirettamente e di quella
parte del reddito proveniente dall’economia informale che in larga parte non è
assoggettato ad obblighi fiscali, possono determinare disomogeneità sostanziali
che si ripercuotono sullo stesso indicatore della pressione fiscale.
29
LA PRESSIONE FISCALE REALE. In conclusione, se il VAS è valore aggiunto
prodotto dall’economia sommersa e quindi reddito sul quale non sono stati pagati
gli oneri, esso andrebbe scomputato dal calcolo della pressione fiscale. Sulla base
delle stime effettuate e riportate nella tabella 7, nel 2009 il VAS raggiunge i 247
miliardi di euro e la pressione fiscale reale si attesta sul livello del 51,6%.
Tab. 7 Il VAS e la stima della pressione fiscale reale
VAS
PIL
Anni VAS min VAS max
216.514
227.994
222.254
1.191.057
2000
PIL E
968.803
EF
PF
PF*
495.972 41,6% 51,2%
2001
231.479
245.950
238.715 1.248.648 1.009.934 515.838 41,3% 51,1%
2002
223.721
241.030
232.376 1.295.226 1.062.850 528.989 40,8% 49,8%
2003
223.897
247.566
235.732 1.335.354 1.099.622 552.223 41,4% 50,2%
2004
224.203
252.064
238.134 1.391.530 1.153.397 565.175 40,6% 49,0%
2005
229.706
254.096
241.901 1.429.479 1.187.578 577.867 40,4% 48,7%
2006
226.564
249.974
238.269 1.485.377 1.247.108 624.096 42,0% 50,0%
2007
228.317
253.991
241.154 1.546.177 1.305.023 665.833 43,1% 51,0%
2008
230.083
258.072
244.077 1.567.851 1.323.774 672.148 42,9% 50,8%
2009
231.863
262.218
247.041 1.520.870 1.273.829 656.861 43,2% 51,6%
Legenda tabella
VAS: VALORE AGGIUNTO SOMMERSO (il VAS 2007 e 2008 è stimato sulla
base del tasso di crescita medio annuale del periodo 2000-2006 pari a +1,2%)
PIL: PIL AI PREZZI DI MERCATO
PIL E: PIL EMERSO
EF: ENTRATE FISCALI (Imposte indirette + Imposte dirette + Contributi sociali +
Imposte in c/capitale)
PF: PRESSIONE FISCALE UFFICIALE/NORMALE
PF*: PRESSIONE FISCALE REALE/SUL PIL EMERSO
Il debito pubblico
IL DEBITO PUBBLICO. Il debito pubblico, inteso quale valore nominale delle
passività lorde consolidate delle amministrazioni pubbliche (amministrazioni
centrali, enti locali e istituti previdenziali pubblici), ha da sempre costituito un
importante indicatore dello stato di benessere di un'economia: un rapporto debito
/PIL basso è sinonimo di una forte solidità finanziaria da parte di uno Stato.
Per analizzare la dinamica del debito pubblico occorre riferirsi a tre variabili
cardine:
1) debito pregresso: ammontare (stock) del debito maturato nel corso degli
anni.
2) disavanzo primario: trattasi di una variabile flusso determinata quale
differenza tra le entrate e le uscite correnti dello stato al netto degli
interessi passivi; se negativo va ad incrementare lo stock di debito
pubblico.
30
3) differenza tra il tasso di interesse sul debito e il tasso di crescita del PIL:
quanto più ampia è la forbice di detti tassi tanto maggiore è la variazione
del debito.
L’ACCUMULARSI DEL DEBITO DALL’UNITÀ AD OGGI. Il debito pubblico italiano,
dall’Unità ad oggi, è sempre stato relativamente elevato e, in modo particolare, nel
corso di quattro fasi storiche di accumulo. La prima comprende tutta la seconda
parte del diciannovesimo secolo con un massimo assoluto nella seconda metà
degli anni novanta; la seconda e la terza (i cui massimi sono raggiunti nel 1920 e
nel 1945) sono connesse alle due guerre mondiali; la quarta parte inizia dopo il
minimo registrato nel 1963-1964, quando l'incidenza del debito riprende a salire
rapidamente. Il punto di massimo si raggiunge nel 1994 (121,8%), mentre, negli
anni successivi, l'adesione al trattato di Maastricht ha prodotto un processo di
progressiva riduzione del debito*.
GLI ULTIMI ANNI. Nonostante l'adesione all'Euro, negli ultimi cinque anni il
rapporto debito/PIL si mantiene ancora su valori elevatissimi (tasso medio
107,49%). La dinamica dei dati suggerisce che l'Italia sta attraversando un'altra
fase di accumulo del debito.
CONFRONTO INTERNAZIONALE. Da un confronto a livello mondiale l'Italia risulta
l'unico paese industrializzato con un livello di debito superiore al 100% del PIL.
In particolare, effettuando un confronto (in termini assoluti) del dato italiano
relativo alla sola attività del governo centrale con quello di altri paesi (intra ed
extra-europei), ne emerge che, se si escludono gli U.S.A., l'Italia presenta il debito
pubblico di più elevate dimensioni, con un valore pari a 2.138 milioni di dollari.
All'Italia seguono, nell'area euro, la Francia con 1.470 milioni, la Germania con
1.348 milioni, la Gran Bretagna con 1.225 milioni, in coda vi è l'Irlanda con
79.138 milioni.
ANALISI TENDENZIALE. Per poter analizzare la natura del debito e la sua
incidenza sull’economia occorre valutare (secondo quanto indicato nella
premessa) alcune variabili quali: il tasso di interesse, l’avanzo (disavanzo)
pubblico e il tasso di crescita del PIL. Considerando la serie storica relativa agli
anni 2000-2006 (ultimo dato disponibile – vedi tabella 3), si può osservare che
sulla crescita del debito pubblico italiano incide, in modo rilevante, la spesa per
interessi il cui tasso distacca quasi sempre di almeno due punti percentuali il tasso
di crescita del PIL. A tale risultato si associa l'accumulo di disavanzi primari dai
quali deriva un ulteriore incremento del debito in conto capitale**. Una situazione
simile a quella italiana la ritroviamo nella maggior parte delle economie
sviluppate: U.S.A., Gran Bretagna, Francia ed Australia; fanno eccezione Canada
*
Maura Francese e Angelo Pace, Questioni di Economia e Finanza – Il debito pubblico italiano
dall'Unità a oggi. Una ricostruzione della serie storica, Banca d'Italia.
**
Situazione differente è quella relativa agli anni Settanta in cui l'aumento del disavanzo primario
era compensato dalla discesa del tasso di interesse molto al di sotto del tasso di crescita del PIL.
31
e Germania che, sebbene presentino una crescita del PIL inferiore al tasso di
interesse, registrano un avanzo primario (dettato probabilmente da una più
efficiente politica fiscale e/o da un calo della spesa pubblica). Proprio la
produzione di un avanzo primario ha permesso alla Germania di ridurre (negli
ultimi anni) di due punti percentuali il valore del debito pubblico.
Tabella 8. Variabili di misurazione del debito*
Paese
Variabile
Variazione PIL
Avanzo
Australia
Canada
Francia
2,68
2,81
2,46
-5,2
-5,9
-5,6
-5,27
5,84
5,37
5,59
5,34
5,59
2,92
1,88
3,07
3,07
2,76
Avanzo
2,72
2,27
1,71
1,21
2,25
2,03
1,63
Tasso di int.
5,93
5,48
5,3
4,8
4,58
4,07
4,21
Variazione PIL
3,91
1,85
1,03
1,09
2,47
1,71
1,99
Avanzo
1,65
1,95
1,36
0,82
0,51
-0,9
-1,25
Tasso di int.
5,39
4,94
4,86
4,13
4,1
3,41
3,8
3,21
1,24 -
-0,2
1,06
0,78
2,87
0,02
2,03
1,92
4,29
4,61
4,94
-1,68
Tasso di int.
5,27
4,8
4,78
4,07
4,04
3,35
3,76
Variazione PIL
4,48
4,49
3,9
5,04
4,58
3,83
4,19
-7,85
-7,3
-6,8
-6,6
-5,9
-7,2
-11
6,11
5,3
5,12
4,27
4,26
3,59
4,07
Tasso di int.
9,37
6,07
6,58
4,46
4,38
6,02
5,74
-0,37
-0,7
-0,9
0,05
-0,6
-3,6
-4,15
Tasso di int.
5,48
5,02
4,99
4,13
4,06
3,32
3,79
Variazione PIL
3,58
1,8
0,34
0,04
1,2
0,09
1,87
-0,53
-0,1
-0,8
-1,3
-0,9
-1,6
-2,57
5,58
5,19
5,03
4,3
4,26
3,56
4,05
3,92
2,02
0,76
-0,8
1,52
0,74
1,2
-10,2
-9,9
-8,1
-6,1
-7,7
-9,7
-9,41
Tasso di int.
Variazione PIL
Avanzo
Tasso di int.
Variazione PIL
Avanzo
Tasso di int.
Variazione PIL
Avanzo
Gran Bretagna Tasso di int.
Variazione PIL
Avanzo
U.S.A.
4,05
-3,7
5,62
Avanzo
Spagna
3,15
-2
1,78
Avanzo
Portogallo
3,77
6,31
Variazione PIL
Italia
1,95
-3,64
5,23
Avanzo
Irlanda
2006
Tasso di int.
Avanzo
Grecia
2001 2002 2003 2004 2005
Variazione PIL
Variazione PIL
Germania
2000
Tasso di int.
5,6
5,16
5,01
4,18
4,14
3,44
3,91
5,05
3,65
2,7
3,1
3,27
3,62
3,86
-3,96
-3,9
-3,3
-3,5
-5,3
-7,4
-8,64
5,53
5,12
4,96
4,13
4,1
3,39
3,78
3,8
2,37
2,05
2,77
3,26
1,84
2,85
-2,59
-2,2
-1,6
-1,3
-1,6
-2,5
-3,22
5,33
4,93
4,9
4,53
4,88
4,41
4,5
3,69
0,76
1,61
2,52
3,65
3,08
2,87
-4,27
-3,8
-4,4
-4,8
-5,5
-6,1
-6,18
6,03
5,02
4,61
4,02
4,27
4,29
4,79
IL DEBITO DEI PIGS. Situazione totalmente differente è quella di Portogallo,
Irlanda, Grecia e Spagna (PIGS) per i quali la differenza tra il tasso di interesse e
*
Fonte: dati OCSE.
32
la crescita del PIL si rivela meno significativa. Addirittura, per alcuni di questi
paesi si presenta di segno opposto: la Grecia, e in modo più rilevante l’Irlanda,
presentano un tasso di crescita del PIL che supera il tasso di interesse sul debito.
Tale differenza, tuttavia, non si rivela sufficiente a compensare la quota di
disavanzo primario prodotta annualmente: ne consegue una ulteriore crescita del
debito pubblico. Non è un caso, dunque, che il valore più rilevante in termini di
disavanzo primario sia quello registrato dalla Grecia; sui medesimi livelli si
attestano anche Spagna e Portogallo*. Un disavanzo primario è da considerare in
termini strettamente negativi se destinato alla copertura di spese correnti
improduttive (sprechi o inefficienze); può, invece, essere considerato in termini
non fortemente negativi se giustificato da investimenti produttivi di reddito (quali
infrastrutture). Pertanto occorre valutare se l'accumulo di disavanzi primari, per i
paesi in esame, sia frutto di investimenti che nei prossimi anni potranno produrre
un incremento e una variazione positiva del PIL oppure di sprechi e inefficienze
per cui occorre trovare una soluzione finanziaria di copertura al più presto.
ANALISI GRAFICA. La figura che segue definisce il rapporto debito/PIL per
ciascun paese considerato. Come si può notare, i paesi che risultano avere
un’economia trainante (a parte gli Stati Uniti che si distaccano totalmente dal
gruppo) risultano essere Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna che, avendo
economie di maggiori dimensioni, hanno anche debiti pubblici più elevati. La
posizione di tutti i paesi rispetto alla bisettrice dà conto dello sbilanciamento
relativo tra debito e PIL. In particolare l'Italia risulta il paese con lo
sbilanciamento più elevato seguita da Francia, Gran Bretagna e Germania
(quest'ultima si attesta in una situazione di quasi parità). Da rilevare è il caso della
Grecia la quale, pur avendo un PIL piuttosto ridotto, si trova sbilanciata in termini
di debito pubblico a differenza di Irlanda, Portogallo, Canada, Australia e Spagna
che si mantengono al di sotto della bisettrice.
NEL 2020 IL DEBITO POTREBBE SUPERARE IL PIL DI UNA VOLTA E MEZZA.
Effettuando una proiezione al 2010 e al 2020 è possibile affermare che, se la
situazione attuale non si modifica, il rapporto debito/PIL in Italia potrebbe
raggiungere il 119,60% nel 2010 e il 152% nel 2020**, risultato che non tiene
conto di un possibile aumento dei tassi di interesse.
*
Se si osserva la serie del disavanzo primario greco è facile constatere come esso si sia
incrementato in modo esponenziale passando da -5.89 nel 2004 all'11,02 nel 2006.
**
Tale risultato è stato prodotto considerando un valore di i = 1,29% (tasso medio BOT). Per un
dettaglio della metodologia si rimanda a: Angelo Marano, La dinamica del debito pubblico
un'analisi del caso italiano, 1980-1996, Liuc Papers n.33, Serie Econimia e Impresa 8, settembre
1996.
33
IL RIENTRO DEL DEBITO. Tale risultato è frutto di un circolo vizioso legato al
continuo accumulo di disavanzi primari cui sono seguiti maggiori interessi e una
crescita esponenziale del debito. Se si vuole, dunque, invertire il processo di
crescita del debito, occorre produrre avanzi primari di notevole entità in grado di
coprire la quota interessi e abbattere parzialmente la quota capitale. Ma ampi
avanzi primari richiedono, in assenza di una rilevante crescita economica, imposte
elevate che di fatto producono distorsioni nell'economia. In tal senso, dinanzi alla
prospettiva di un lungo periodo di rigidità fiscale, vista la rilevante criticità del
momento, una strategia di rientro del debito che, non punti esclusivamente
all'ottenimento di avanzi primari, è quanto mai auspicabile.
Un'alternativa potrebbe derivare dall'elaborazione di una buona politica di
bilancio tesa a ridurre sprechi ed inefficienze nel settore pubblico e limitare le
uscite di cassa imponendo una migliore qualità alla spesa.
34
Simulazione contabile sui conti 2001-2008
Per comprendere la portata di una spesa pubblica così elevata in rapporto al pil e
di un’economia sommersa così estesa, soprattutto sull’equilibrio macroeconomico
e finanziario dei conti pubblici italiani, è stato svolto un esercizio di simulazione
contabile sui conti 2001-2008. Si ravvisa che la simulazione ha un valore
puramente indicativo ed è finalizzata a mostrare cosa può succedere ai conti
pubblici italiani se le cose si aggiustano, se la spesa diminuisce e viene mantenuta
a un livello sostenibile e se lo stesso accade per l’economia sommersa. Il
principale risultato sarebbe ovviamente rappresentato da un calo significativo del
debito pubblico e della pressione fiscale reale.
La simulazione è stata condotta sulla base delle seguenti ipotesi:
1. La spesa pubblica al netto degli interessi cresce annualmente a un tasso
pari all’inflazione aumentato di una unità;
2. Il pil subisce una variazione in valore assoluto identica a quella della spesa
pubblica;
3. Le entrate fiscali si riducono in una misura pari alla riduzione del pil
moltiplicata per la pressione fiscale;
4. La variazione del deficit che ne deriva genera una variazione degli
interessi passivi per l’anno successivo calcolata in ragione del rapporto
annuale tra interessi passivi e debito pubblico dell’anno in questione;
5. La variazione del deficit e degli interessi passivi si traduce in una pari
variazione del debito pubblico.
A una prima simulazione realizzata utilizzando le ipotesi di cui sopra, ne è stata
aggiunta un’altra formulando l’ulteriore ipotesi di recupero dell’evasione fiscale e
contributiva. L’ipotesi in questione è stata formulata nel modo seguente: si
considera un livello (fisiologico) di economia sommersa pari al 12% del Pil e si
assume di recuperare l’intero valore aggiunto sommerso che eccede il 12% del Pil
calcolando le maggiori entrate fiscali sulla base della pressione fiscale ufficiale.
Se si utilizzasse, invece, la pressione fiscale reale le maggiori entrate sarebbero
più elevate con effetti sul deficit e sul debito ancora più consistenti.
I risultati delle due simulazioni sono riportati nelle tabelle seguenti.
Legenda
INFL: Tasso di inflazione annuale
PIL R.: Tasso di crescita del Pil nominale al netto del tasso di inflazione annuale
SP: Spesa pubblica totale al netto degli interessi passivi
EF: Entrate fiscali
IP: Interessi passivi
ET: Entrate totali
ST: Spesa pubblica totale
PF: Pressione fiscale
IN/PIL: Rapporto deficit/Pil
D/PIL: Rapporto debito/Pil
35
DATI UFFICIALI
Anni
PIL
2000
1.191.057
VAR.
INFL
PIL R.
SP
2001
1.248.648
4,8%
2,7%
2,1%
522.078
2002
1.295.226
3,7%
2,5%
1,2%
2003
1.335.354
3,1%
2,7%
2004
1.391.530
4,2%
2,2%
2005
1.429.479
2,7%
2006
1.485.377
2007
2008
VAR.
474.822
EF
IP
ET
ST
DEFICIT
DEBITO
SP/PIL
PF
IN/PIL
D/PIL
495.972
75.561 540.421
550.383
-9.962
1.300.341
46,2%
41,6%
-0,8%
109,2%
10,0%
515.838
78.764 562.341
600.842
-38.501
1.358.333
48,1%
41,3%
-3,1%
108,8%
542.464
3,9%
528.989
71.519 576.898
613.983
-37.085
1.368.512
47,4%
40,8%
-2,9%
105,7%
0,4%
580.123
6,9%
552.223
68.350 601.859
648.473
-46.614
1.393.495
48,6%
41,4%
-3,5%
104,4%
2,0%
602.030
3,8%
565.175
65.769 619.227
667.799
-48.572
1.444.563
48,0%
40,6%
-3,5%
103,8%
1,9%
0,8%
627.334
4,2%
577.867
66.065 631.967
693.399
-61.432
1.512.740
48,5%
40,4%
-4,3%
105,8%
3,9%
2,1%
1,8%
661.822
5,5%
624.096
68.578 680.997
730.400
-49.403
1.582.081
49,2%
42,0%
-3,3%
106,5%
1.546.177
4,1%
1,8%
2,3%
670.481
1,3%
665.833
77.126 724.416
747.607
-23.191
1.599.755
48,4%
43,1%
-1,5%
103,5%
1.567.851
1,4%
3,3%
-1,9%
693.475
3,4%
672.148
81.161 732.061
774.636
-42.575
1.663.452
49,4%
42,9%
-2,7%
106,1%
SIMULAZIONE 1 – La spesa pubblica al netto degli interessi cresce al tasso di inflazione + un punto percentuale di crescita reale
Anni
PIL
2000
1.191.057
VAR.
INFL
PIL R.
2001
1.218.960
2,3%
2,7%
2,1%
492.390
2002
1.262.386
3,6%
2,5%
1,2%
2003
1.283.711
1,7%
2,7%
2004
1.334.892
4,0%
2,2%
2005
1.363.353
2,1%
2006
1.402.160
2007
2008
0
SP
VAR.
474.822
EF
IP
ET
ST
DEFICIT
DEBITO
SP/PIL
PF
IN/PIL
D/PIL
495.972
75.561
540.421
550.383
-9.962
1.300.341
46,2%
41,6%
-0,8%
109,2%
3,7%
503.574
78.764
550.077
571.154
-21.078
1.340.910
46,9%
41,3%
-1,7%
110,0%
509.624
3,5%
515.577
70.608
563.486
580.233
-16.747
1.330.751
46,0%
40,8%
-1,3%
105,4%
0,4%
528.480
3,7%
530.867
66.542
580.503
595.023
-14.520
1.323.640
46,4%
41,4%
-1,1%
103,1%
2,0%
545.392
3,2%
542.171
62.712
596.223
608.104
-11.881
1.338.017
45,6%
40,6%
-0,9%
100,2%
1,9%
0,8%
561.208
2,9%
551.136
61.664
605.236
622.872
-17.636
1.362.398
45,7%
40,4%
-1,3%
99,9%
2,8%
2,1%
1,8%
578.605
3,1%
589.132
62.502
646.033
641.108
4.925
1.377.411
45,7%
42,0%
0,4%
98,2%
1.470.502
4,9%
1,8%
2,3%
594.806
2,8%
633.245
68.042
691.828
662.848
28.980
1.342.914
45,1%
43,1%
2,0%
91,3%
1.494.759
1,6%
3,3%
-1,9%
620.383
4,3%
640.813
69.866
700.726
690.249
10.477
1.353.559
46,2%
42,9%
0,7%
90,6%
SIMULAZIONE 2 – Alla simulazione 1 si aggiunge l’ipotesi di recupero dell’evasione
Anni
PIL
2000
1.191.057
VAR.
INFL
PIL R.
2001
1.218.960
2,3%
2,7%
2,1%
492.390
2002
1.262.386
3,6%
2,5%
1,2%
2003
1.283.711
1,7%
2,7%
0,4%
2004
1.334.892
4,0%
2,2%
2005
1.363.353
2,1%
2006
1.402.160
2007
2008
0
SP
VAR.
474.822
EF
IP
ET
ST
DEFICIT
DEBITO
SP/PIL
PF
IN/PIL
D/PIL
495.972
75.561
540.421
550.383
-9.962
1.300.341
46,2%
41,6%
-0,8%
109,2%
3,7%
548.871
78.764
595.374
571.154
24.219
1.307.877
46,9%
45,0%
2,0%
107,3%
509.624
3,5%
565.706
70.608
613.615
580.233
33.382
1.259.275
46,0%
44,8%
2,6%
99,8%
528.480
3,7%
583.650
66.542
633.286
595.023
38.263
1.217.316
46,4%
45,5%
3,0%
94,8%
2,0%
545.392
3,2%
596.393
62.712
650.445
608.104
42.341
1.195.868
45,6%
44,7%
3,2%
89,6%
1,9%
0,8%
561.208
2,9%
606.765
61.664
660.865
622.872
37.993
1.185.569
45,7%
44,5%
2,8%
87,0%
2,8%
2,1%
1,8%
578.605
3,1%
652.540
62.502
709.441
641.108
68.334
1.165.146
45,7%
46,5%
4,9%
83,1%
1.470.502
4,9%
1,8%
2,3%
594.806
2,8%
691.053
68.042
749.636
662.848
86.787
1.096.283
45,1%
47,0%
5,9%
74,6%
1.494.759
1,6%
3,3%
-1,9%
620.383
4,3%
696.086
69.866
755.999
690.249
65.751
1.072.501
46,2%
46,6%
4,4%
71,8%
36
IMPRESE
Le Pmi italiane
LE PMI PRODUCONO PIÙ DEL 50% DEL VALORE AGGIUNTO PRIVATO. Nello
scenario globale l’Italia è l’unico paese industriale nel quale le micro e piccole
imprese realizzano più del 50% del valore aggiunto totale. Ciò accade perché
l’Italia presenta una particolare struttura imprenditoriale caratterizzata dalla
diffusione della piccola impresa e dalla varietà dei tipi imprenditoriali piuttosto
unica nel panorama globale. La prevalenza della piccola impresa in Italia è segno
di vivacità e flessibilità del sistema che al suo interno però presenta cospicue
differenze e disparità non poco rilevanti. Perciò le performance medie raffrontate
con quelle degli altri paesi industrializzati sono quasi sempre negative.
Evidentemente gli aspetti negativi del sistema prevalgono su quelli positivi e la
disattenzione verso la piccola impresa assume connotati sempre più drammatici.
Nella composizione della forza lavoro impiegata dal sistema imprenditoriale, in
Italia si riscontra un livello particolarmente elevato di addetti indipendenti. Gli
indici di produttività media sono sistematicamente inferiori a quelli medi dei paesi
più industrializzati. Le grandi imprese faticano a tenere il passo dei mercati
globali e se non fosse per la particolare dinamicità delle medie imprese,
soprattutto di quelle industriali, il sistema italiano presenterebbe dati ancora più
negativi.
STRUTTURA E COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE ITALIANE. Il 99,4% delle imprese
appartenenti ai settori industriale e dei servizi privati è costituito da micro e
piccole imprese. Le micro e piccole imprese (imprese fino a 49 addetti) occupano
il 68,8% del totale addetti e realizzano il 55,7% del valore aggiunto complessivo.
Le restanti quote di addetti e di valore aggiunto sono rappresentate dalle imprese
medie e grandi che rappresentano appena lo 0,6% del totale delle imprese.
Tabella 1. Indicatori di struttura e di performance delle imprese per gruppi
dimensionali. Anno 2007. Valori assoluti. Dati Istat 2009
MC
PI
MI
GI
TOT
MC+PI
Imprese (numero)
4.170.848
205.350
22.211
3.418
4.401.827
4.376.198
Addetti (numero)
Dipendenti
(numero)
8.066.535
3.657.349
2.151.287
3.159.281
17.034.452
11.723.884
2.863.044
3.285.720
2.111.830
3.151.682
11.412.276
6.148.764
Fatturato 804.039.729 694.489.971 591.629.281 871.333.256 2.961.492.237 1.498.529.700
Valore aggiunto 234.447.122 167.629.947 115.870.778 204.003.779
721.951.626
402.077.069
Costo del lavoro
65.692.620
99.534.423
76.433.005 124.045.213
365.705.261
165.227.043
Investimenti
37.574.512
22.362.336
21.369.282
125.323.598
59.936.848
44.017.468
37
Tabella 1. Indicatori di struttura e di performance delle imprese per gruppi
dimensionali. Anno 2007. Valori in percentuale del totale. Dati Istat 2009
MC
Imprese (numero) 94,8%
PI
MI
GI
4,7%
0,5%
0,1%
TOT
MC+PI
4.401.827
99,4%
Addetti (numero) 47,4% 21,5% 12,6% 18,5%
17.034.452
68,8%
Dipendenti (numero) 25,1% 28,8% 18,5% 27,6%
11.412.276
53,9%
Fatturato 27,1% 23,5% 20,0% 29,4% 2.961.492.237
50,6%
Valore aggiunto 32,5% 23,2% 16,0% 28,3%
721.951.626
55,7%
Costo del lavoro 18,0% 27,2% 20,9% 33,9%
365.705.261
45,2%
Investimenti 30,0% 17,8% 17,1% 35,1%
125.323.598
47,8%
Nel confronto europeo, l’Italia risulta essere il paese con il più alto indice di micro
e piccole imprese e presenta indicatori di performance medi inferiori agli altri
principali partner economici europei quali Francia, Germania e Regno Unito.
Il fatturato per addetto è di poco inferiore* alla media dei 5 paesi europei più
industrializzati (Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna). Il valore
aggiunto per addetto è anch’esso inferiore di circa 18 punti percentuali rispetto
alla media, mentre la l’indice di competitività è inferiore di 10 punti percentuali e
la redditività lorda è al disotto della media di ben 24 punti.
*
È pari a circa il 95% della media dei 5 paesi europei più industrializzati.
38
Tabella 2. Quote percentuali di addetti delle Microimprese industriali e dei
servizi nei paesi europei. Anno 2007. Dati Istat 2009.
PAESI
MC IND MC SERV
Italia
15,6
31,3
Grecia
14,2
44,3
Portogallo
12,4
30
Cipro
12,1
27,1
Spagna
10,8
26,9
Polonia
10,5
28,1
Slovenia
10,3
18,2
Repubblica Ceca
10
19
Ungheria
9,1
26,4
Francia
8,2
16,5
Belgio
7,7
22,2
Svezia
7,3
17,4
Finlandia
7,2
15,6
Estonia
6,5
17,8
Paesi Bassi
6,1
23
Danimarca
5,7
14
Austria
5,5
20,1
Lituania
5,3
17,5
Bulgaria
5
21,7
Regno Unito
4,9
16,6
Germania
4,8
14,6
Romania
4,7
16,4
Lettonia
4,2
17,6
Slovacchia
3,4
11,7
Lussemburgo
3,2
16,1
Irlanda
0,9
18,8
Ue 27
8,3
21,4
Osservando la struttura finanziaria delle imprese italiane nel confronto con quelle
europee si nota un livello di indebitamento superiore alla media dei principali
paesi industrializzati per le società di capitale con fatturato inferiore a 10 milioni
di euro, con quote particolarmente elevate di debiti a breve e indici di liquidità
piuttosto bassi e inferiori a quelli medi europei.
Box 1 – La determinazione delle classi di impresa
La metodologia utilizzata per la ripartizione in classi dimensionali omogenee delle
imprese è mutuata dalle disposizioni contenute nella Raccomandazione 1422 del 6
maggio 2003 formulata della Commissione della Comunità Europea e recepite in Italia
con il Decreto del Ministero delle Attività Produttive (oggi Ministero dello Sviluppo
Economico) del 18 aprile 2005.
In base alle indicazioni contenute nei documenti richiamati, “si considera impresa ogni
entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica. In
particolare sono considerate tali le entità che esercitano un’attività artigianale o altre
attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che
esercitano un’attività economica”.
39
Le classi dimensionali sono individuate in relazione a due fattori:
1.
la forza lavoro impiegata*;
2.
la dimensione economico-patrimoniale**;
Sulla base delle indicazioni contenute nei disposti ministeriali e comunitaria, le categorie
di imprese individuate sono: la microimpresa, la piccola impresa, la media impresa e la
grande impresa.
È definita microimpresa l’impresa che:
a)
b)
ha meno di 10 occupati;
ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 2
milioni di euro.
È definita piccola impresa l’impresa che:
a)
b)
ha meno di 50 occupati;
ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 10
milioni di euro.
È definita media impresa l’impresa che:
a)
b)
ha meno di 250 occupati;
ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 2
milioni di euro.
È definita grande impresa l’impresa che:
a)
b)
ha un numero di occupati superiore a 250;
ha un fatturato annuo superiore ai 50 milioni di euro ed un totale di bilancio
annuo superiore ai 43 milioni di euro.
Lo schema che segue offre un riepilogo dei parametri utilizzati per la suddivisione in
classi delle imprese italiane.
Classe
dimensionale
N. Dipendenti
Fatturato netto
Totale Valore
Attivo
Micro Impresa
Meno di 10
occupati
Meno di 2 mln di
euro
Meno di 2 mln di
euro
Piccola Impresa
Da 10 a 49 occupati
Da 2 a 10 mln di
euro
Da 2 a 10 mln di
euro
Media Impresa
Da 50 a 249
occupati
Da 10 a 50 mln di
euro
Da 10 a 43 mln di
euro
Grande Impresa
Più di 250 occupati
Più di 50 mln di
euro
Più di 43 mln di
euro
L’analisi delle imprese italiane sarà condotta sulla base della divisione in classi
dimensionali così come individuate al punto precedente, prescindendo da considerazioni
relative alla natura proprietaria delle imprese stesse e dalla esistenza o meno di rapporti di
controllo di natura proprietaria tra le imprese (non saranno considerati i gruppi di imprese
come entità oggetto di indagine).
40
ANALISI COMPARATA PER CLASSI DI IMPRESA. L’analisi comparata dei dati sui
principali indicatori reddituali, patrimoniali, finanziari ed occupazionali conferma
la presenza di differenze tra le performance ottenute dalle imprese appartenenti
alle diverse classi dimensionali, confermando la significatività di un’analisi basata
sulle dimensioni aziendali.
Da una prima lettura dei dati emerge la migliore posizione competitiva delle
grandi imprese rispetto alle imprese di dimensioni minori. La grande impresa
italiana ha infatti i più elevati livelli di valore aggiunto e fatturato per addetto ed
investe proporzionalmente di più in capitale fisso ed in risorse umane. Proprio i
parametri legati al sostenimento di investimenti in capitale fisso e in risorse
umane diminuiscono al diminuire delle dimensioni aziendali.
Le micro imprese e le piccole imprese basano invece la propria capacità
competitiva su di un basso costo medio del personale e sullo sviluppo di logiche
di natura collaborative che consentono di sostenere minori costi per investimenti e
di ottenere i più elevati margini nel rapporto tra valore aggiunto e fatturato.
Il settore delle media impresa italiana si caratterizza per essere un settore a forte
intensità di capitale umano; il costo del personale assorbe infatti circa il 66% del
valore aggiunto prodotto, la percentuale più elevata nel confronto con le imprese
di differenti dimensioni.
Tabella 4. Indicatori di performance
Voci economiche
Fatturato medio per addetto (in migliaia di euro)
Grandi
Medie Piccole Micro
267,6
271
184,4
104,8
Valore aggiunto medio per addetto (in migliaia di euro)
60,8
52
43,3
29
Investimenti fissi medi per addetto (in migliaia di euro)
13,3
9
5,8
4,6
Spese di personale medie per addetto (in migliaia di euro)
37,9
35
28,7
22,3
Valore aggiunto su Fatturato in percentuale
22,70%
19%
24% 27,70%
Spese per il Personale sul valore aggiunto in percentuale
62,20%
66%
59% 27,40%
IL VALORE AGGIUNTO. Il valore aggiunto complessivo su base nazionale
suddiviso per classi dimensionali fa registrare una percentuale pari a circa il
33,5% per la classe delle micro imprese (anche in relazione all’elevato numero di
imprese); le grandi imprese contribuiscono al valore aggiunto nazionale per circa
il 28,2%, mentre le piccole imprese si fermano al 23,2% e le medie imprese si
collocano attorno ad un valore del 16%.
IL FATTURATO. I dati sul fatturato sono allineati a quelli sulla ripartizione del
valore aggiunto; circa il 28% del fatturato delle imprese italiane è prodotto da
41
grandi imprese, stessa percentuale per le micro imprese. La piccola impresa
contribuisce per il 22% e le imprese di media dimensione per il 20%.
GLI ADDETTI. Sotto il profilo occupazionale circa il 47% della forza lavoro
nazionale è impiegato in imprese con meno di 10 dipendenti, con un costo medio
per dipendente pari a circa 22.300 euro annui. Il costo medio per personale annuo
più elevato, pari a 38.000 euro, si registra nelle imprese di grandi dimensioni che
impiegano circa il 20% della forza lavoro nazionale. Il costo medio per addetto
diminuisce al diminuire della dimensione dell’impresa; nella media impresa il
costo medio per personale è pari a circa 35.000 euro, nella piccola impresa è di
28.000.
INDICATORI DI PRODUTTIVITÀ. La media e la grande impresa presentano i livelli
più elevati anche in termini di fatturato medio e di valore aggiunto per addetto. La
combinazione tra elevato costo per addetto ed elevata produttività può essere letta
anche in funzione del migliore livello di professionalità e del più altro grado di
formazione che caratterizza il personale delle imprese di maggiori dimensioni
rispetto alle imprese di dimensioni più piccole.
INVESTIMENTI. Anche il dato relativo alla spesa per investimenti è proporzionale
alle dimensioni aziendali. Sia la spesa complessiva per investimenti fissi che la
spesa per investimenti per addetto evidenziano la maggiore propensione al
sostenimento di spesa per investimenti delle imprese di grandi dimensioni rispetto
alle imprese di dimensioni minori.
IL COSTO DEL PERSONALE. Altro elemento di interesse nella descrizione del
sistema produttivo italiano è rappresentato dall’incidenza del costo del personale
sul valore aggiunto. Nelle medie imprese circa il 66% del valore aggiunto creato
dall’impresa è assorbito dal salario dei dipendenti o dagli oneri ad esso connessi.
Valori simili si registrano nelle imprese di grandi dimensioni (circa il 62%) e nelle
imprese di piccole dimensioni (circa il 59%); estremamente distante è il dato
legato alle micro imprese dove il costo del personale rappresenta appena il 27%
del valore aggiunto.
CLASSI DI IMPRESE E SETTORI ECONOMICI. La micro impresa è prevalentemente
un’impresa di servizi; il 29% delle micro imprese opera infatti nel settore del
commercio, ed il 25% nei servizi alle imprese. Le piccole e medie imprese italiane
sono imprese manifatturiere: circa il 46% delle medie imprese ed il 39% delle
piccole imprese operano, infatti in tale settore. La grande impresa, anch’essa a
vocazione manifatturiera, presenta elevati livelli percentuali nei settori dei servizi
alle imprese 19%, del commercio 12% e nel settore dei trasporti 10%; settore nel
quale la grande impresa rappresenta la dimensione competitiva prevalente su base
nazionale. Elevata è infine la presenza nel settore edile di micro e piccole imprese,
mentre la dimensione prevalente per il settore alberghiero e della ristorazione è
rappresentata da imprese con un numero di addetti inferiori ai 20.
42
Le grandi imprese
MIGLIORE PERFORMANCE. Un primo dato che emerge dall’analisi* dei dati
reddituali e patrimoniali delle imprese italiane è rappresentato dai migliori livelli
di perfomance che la grande impresa consegue nel confronto con le imprese
appartenenti alle altre classi dimensionali. I tassi di redditività del capitale
investito e del capitale proprio sono superiori a quelli delle imprese di dimensioni
minori; così come maggiore risulta essere la propensione agli investimenti ed il
tasso di sfruttamento del capitale.
LIVELLO DI CAPITALIZZAZIONE BASSI. La struttura delle fonti di finanziamento è
più equilibrata nel rapporto tra fonti proprie e di terzi rispetto alla media delle
imprese di dimensioni minori, sebbene i dati confermino anche per le grandi
imprese un dato caratteristico dell’intero sistema imprenditoriale italiano, vale a
dire un basso livello di capitalizzazione**.
PRODUTTIVITÀ ELEVATA. I livelli di produttività delle grandi imprese sono i più
elevati su base nazionale. In termini di valore aggiunto per singolo addetto si
superano i 60.000 euro e l’indice di competitività, misurato dal rapporto tra valore
aggiunto e costo medio del personale è pari al 160%, ovvero per ogni euro di
costo del personale il valore aggiunto prodotto equivale ad un euro e sessanta
centesimi.
ANALISI DELLA REDDITIVITÀ. L’analisi degli indicatori sulla redditività conferma
una buona capacità delle grandi imprese di agire sulle politiche di prezzo. Il markup, calcolato come rapporto tra ricavi di vendita e costi variabili di produzione, è
pari a circa l’11%, sebbene si registrino forti differenziazioni tra i diversi settori di
attività. Le grandi imprese del settore dei trasporti raggiungono percentuali vicine
al 30% e nel settore dell’industria estrattiva ed energetica le percentuali di markup sono vicine al 17%. Gli elevati valori registrati nel rapporto tra ricavi di
vendita e costi variabili di produzione si giustificano anche in relazione alla
presenza, più elevata nella grande azienda rispetto alle altre classi dimensionali,
dei costi fissi legati agli investimenti in capitale immobilizzato. Le grandi imprese
fanno registrare livelli di redditività in linea con quelli delle imprese di dimensioni
minori e in particolare delle medie e delle piccole imprese. La redditività
operativa del capitale, che rappresenta una misura di sintesi della perfomance
operativa dell’impresa, raggiunge il valore del 7%. Livelli più elevati si registrano
nei settori dell’industria estrattiva ed energetica e dell’industria manifatturiera,
che possono contare su di una più elevata intensità del capitale*. Negli altri settori
economici di attività si registrano, invece, più bassi livelli di intensità del capitale,
inferiori al valore medio, che influenzano la produttività del lavoro. Migliori sono
i dati sulla redditività del capitale proprio misurato dal rapporto tra l’utile
43
d’esercizio e il capitale proprio. Il valore medio per le grandi imprese è pari al
12% prima delle imposte e al 7% dopo le imposte. La lettura in chiave
aziendalistica del dato sul ROE conferma due caratteristiche del sistema
produttivo italiano al quale non si sottraggono nemmeno le imprese di grandi
dimensioni, ovvero:
ƒ
uno scarso ricorso all’equity (capitale proprio) quale fonte di
finanziamento;
ƒ un’elevata incidenza delle imposte sulla redditività complessiva
d’azienda.
In relazione a tale ultimo aspetto, l’analisi su base settoriale dimostra che
l’incidenza delle imposte sulla redditività del capitale investito è maggiore nei
settori dei servizi alle famiglie (istruzione e sanità ad esempio), nel commercio,
nel settore alberghiero e nella ristorazione, ovvero in quei settori caratterizzati
dalla prevalenza nell’utilizzo del capitale umano nel processo produttivo e nel
contributo alla produzione del reddito.
ANALISI DELLA STRUTTURA FINANZIARIA. Anche gli indicatori sulla struttura
finanziaria confermano performance migliori per le imprese di grandi dimensioni
rispetto alle imprese di dimensioni inferiori. Il rapporto di indebitamento,
calcolato come quota dei debiti finanziari sul totale delle fonti di finanziamento è
pari circa al 40%, con quote più elevate nel settore alberghiero e della ristorazione
e nel settore commerciale, dove di supera il 50%. Una quota pari a circa il 70%
del totale dei debiti (debiti di finanziamento e debiti di funzionamento) è
composta da debiti con data di scadenza inferiore ad un anno, con punte dell’87%
nel commercio e dell’82% nel settore dei servizi alla famiglia. Il rapporto tra
l’attivo circolante e le passività correnti, misurato dall’indice di disponibilità,
assume valori superiori all’unità, a conferma di una soddisfacente condizione di
equilibrio finanziario di breve periodo per le imprese di grandi dimensioni.
Altro elemento caratteristico della struttura patrimoniale di tale classe di imprese è
rappresentato dalla prevalenza, tra gli impieghi di breve periodo, delle rimanenze
e dei crediti verso clienti; le disponibilità liquide di cassa e banca rappresentano
infatti percentuali in media inferiori al 9% del totale dell’attivo circolante. Molto
variabili su base settoriale sono i dati relativi al periodo medio di pagamento dei
debiti e la durata complessiva del ciclo finanziario; si riscontrano valori negativi
come nel caso delle imprese della ristorazione e alberghiere per le quali la durata
media del ciclo finanziario è di -7 giorni, e settori nei quali il ciclo finanziario ha
una durata pari a circa 461 giorni, come nel caso delle imprese del settore delle
costruzioni. In ottica manageriale all’aumentare della durata media del ciclo
finanziario la disponibilità di adeguate risorse finanziarie e la capacità di accesso
al credito diviene una variabile gestionale critica delle imprese, tale da
determinare in ipotesi di contrazione del credito la sopravvivenza stessa
dell’impresa.
44
Le imprese italiane quotate nel confronto internazionale
Nella presente sezione si illustra la posizione competitiva delle grandi imprese italiane
quotate nel contesto internazionale. L’opportunità di un confronto limitato alle imprese
multinazionali si giustifica in relazione a due ordini di motivi: in primo luogo, attraverso
il confronto con altre imprese di grandi dimensioni, si cerca di sterilizzare l’effetto della
componente dimensionale sulla capacità competitiva e sui livelli di performance; in
secondo luogo, si reputa lo scenario internazionale quale contesto competitivo naturale
per le imprese di grandi dimensioni e pertanto la valutazione del livello di competitività
non può che essere effettuata in ambito internazionale.
Le considerazioni che seguono sono tratte dalla elaborazione dei risultati di uno studio
edito da R&S Centro Ricerche e Studi di Mediobanca che ha analizzato i dati dei bilanci
delle imprese multinazionali negli ultimi dieci anni dal 1998 al 2008. L’analisi è stata
condotta su un campione di 368 aziende prevalentemente operanti nei settori
manifatturiero, energetico, delle telecomunicazioni e delle utilities, ubicate in prevalenza
in Europa, Nord America, Giappone, e in misura minore nell’Area Russo-Asiatica e nel
Resto del Mondo. I parametri di valutazione dei percorsi evolutivi delle multinazionali
sono stati individuati nel livello di crescita dimensionale, nel tasso di
internazionalizzazione, nei livelli di produttività e di redditività raggiunti e nelle
modifiche della struttura finanziaria.
Dall’analisi risulta che il prototipo dell’azienda multinazionale, prevalente in tutte le aree
geografiche, è rappresentato dall’impresa energetica, seguita dall’industria
automobilistica e da quella chimico farmaceutica. Unica eccezione è il Giappone dove
l’industria energetica è assente e dove sono prevalenti le multinazionali del settore
automobilistico e del settore elettronico.
Le imprese del settore energetico e del settore automobilistico sono anche le imprese che
hanno le dimensioni maggiori in termini di totale attivo (al netto delle immobilizzazioni
immateriali) e presentano inoltre la più elevata capitalizzazione di borsa. Tra le maggiori
dieci società, sette operano nel settore energetico e petrolifero e tre nel settore
automobilistico; nel 2008 la società con il maggior valore dell’attivo è stata la giapponese
Toyota Motor, seguita dall’inglese Royal Dutch Shell, mentre la multinazionale con il più
alto valore di capitalizzazione in borsa è la ExxonMobil, impresa statunitense, seguita
dalla cinese PetroChina, entrambe operanti nel settore energetico.
In Italia sono 17 le imprese analizzate nello studio; l’impresa di maggiori dimensioni è
l’ENI, 14ª impresa a livello mondiale come valore dell’attivo. L’ENI, operante nel settore
energetico, realizza circa il 50% del totale del fatturato di tutte le imprese multinazionali
italiane. Seguono nell’ordine l’ENEL, anch’essa operante nel settore energetico, la FIAT
che opera nel settore degli autoveicoli, la Telecom nel settore delle telecomunicazioni e la
Finmeccanica che opera nel settore aereo spaziale.
Dato caratteristico delle multinazionali italiane è rappresentato dalla elevata presenza di
imprese a partecipazione pubblica; tra le prime cinque società multinazionali italiane, tre
sono sotto il controllo pubblico, ENI, ENEL e Finmeccanica e un’altra, la Telecom è una
ex impresa pubblica ora privatizzata. Altri paesi nei quali si registra una presenza elevata
di multinazionali a controllo pubblico sono la Scandinavia (6 imprese) e la Cina (4
imprese).
Nel decennio 1998-2008 le imprese multinazionali sono cresciute di dimensioni
aumentando il valore delle attività; la crescita dimensionale, rilevata in tutte le macro aree
geografiche, è stata più accentuata in Europa. Le italiane sono quelle che, però, hanno
registrato i minori tassi di crescita; la crescita, misurata dall’aumento degli investimenti
tecnici, per le imprese italiane si è fermata al 7,7% a fronte di una media europea di circa
45
nove punti percentuali.
I dati relativi agli investimenti in ricerca e sviluppo delle multinazionali italiane sono in
linea con le imprese europee che presentano le percentuali più elevate su base mondiale.
Tra i paesi europei, le percentuali più elevate di spesa in ricerca e sviluppo sul fatturato si
registrano in Svizzera, Germania ed Italia, dove l’unica impresa operante in un settore ad
alta tecnologia, la Finmeccanica, fa registrare i tassi di investimento in ricerca e sviluppo
(circa il 13,7%) tra i più elevati a livello europeo nel settore aerospaziale e della difesa.
Altra tendenza che emerge dall’analisi delle multinazionali è l’aumento del tasso di
internazionalizzazione, misurato dalla percentuale del fatturato conseguito all’estero e dal
rapporto tra i dipendenti residenti nel paese di appartenenza e i dipendenti all’estero.
Le multinazionali italiane hanno i tassi di internazionalizzazione più bassi in ambito
europeo e tra i più bassi al mondo. Circa il 36,7% del fatturato delle multinazionali
italiane è infatti conseguito in Italia, e solo i due terzi sono conseguiti all’estero. Il dato
italiano è molto lontano da quello fatto registrato in Svizzera, dove il 96,7% del fatturato
è prodotto all’estero, o in Svezia (94,2%) ed è inferiore alla media europea pari a circa il
78%. Le multinazionali italiane sono però le imprese che hanno ottenuto la maggiore
crescita del fatturato internazionale nel corso del decennio di analisi, con un incremento
di ben 9 punti percentuali.
Anche il dato sui dipendenti assunti in paesi diversi da quello di origine presenta valori
tra i più bassi in Europa, con circa 4 dipendenti all’estero per ogni 3 dipendenti in Italia,
lontano dalla media europea di 3 dipendenti all’estero ogni due nazionali, e dal dato Nord
Americano con circa due dipendenti all’estero ogni dipendente nazionale.
In ultimo i dati relativi alla produttività e redditività fanno registrare per le multinazionali
italiane i livelli di valore aggiunto procapite per dipendente più basso nel confronto con
gli altri paesi europei, così come pure il costo del lavoro per dipendente è il più basso nel
confronto con le altre multinazionali europee. Valori inferiori a quelli italiani si rilevano
solo nei paesi dell’area russo-asiatica.
La redditività delle multinazionali, misurata dagli indici di redditività del capitale proprio
e del capitale investito, presenta per le imprese europee un andamento positivo. Nel
decennio analizzato le multinazionali dell’area euro raggiungono una redditività del
capitale proprio (ROE) superiore rispetto alle multinazionali Nord Americane. Le
multinazionali europee riducono inoltre il divario della redditività del capitale proprio
(ROI) che passa da una distanza di 9 punti percentuali del 1998 ai 5 del 2007.
Tra le italiane l’ENI fa registrare un rapporto tra reddito netto e fatturato pari al 10% e si
attesta al 10° posto a livello mondiale per il reddito netto conseguito più elevato
(calcolato in milioni di euro). In ultimo, i dati relativi alla composizione della struttura
delle fonti di finanziamento evidenziano un complessivo aumento del capitale proprio tra
le fonti di finanziamento rispetto al debito, sebbene l’andamento non sia stato lineare
negli anni.
La struttura finanziaria media delle multinazionali italiane è rappresentata da 59% di
capitale proprio e 41% di capitale di terzi. Inoltre il capitale di terzi è composto per circa
il 56% da debiti verso le banche, per il 31% da prestiti obbligazionari e per il 13% da altri
debiti, confermando un dato caratteristico del capitalismo italiano già emerso nell’analisi
condotta al paragrafo precedente e rappresentato dall’elevata incidenza del finanziamento
bancario rispetto alle altre fonti di finanziamento. Le multinazionali italiane sono le più
indebitate tra le multinazionali europee ed assieme alle multinazionali giapponesi le più
indebitate a livello mondiale.
46
Le medie imprese
BUONA COMPETIVITÀ. Il modello organizzativo delle media impresa italiana si
caratterizza per la maggiore vitalità e per la capacità di raggiungere elevati livelli
di competitività e di performance economico patrimoniali. Da una lettura di
sintesi dei dati elaborati* è possibile cogliere elementi sicuramente positivi relativi
alla dinamica reddituale, affiancati ad elementi meno positivi legati alla struttura
finanziaria e ai livelli di produttività. Gli indici di produttività registrano, a fronte
di un valore aggiunto medio per addetto di circa 52.000 euro, un costo medio per
dipendente di circa 35.000 euro da cui deriva un indice di competitività pari al
149%, valore inferiore a quelli registrati nella grande impresa.
MIGLIORE REDDITIVITÀ. In termini di redditività le medie imprese italiane
raggiungono i risultati migliori all’interno del panorama imprenditoriale
nazionale. I valori dei margini di redditività del capitale investito e del capitale
proprio raggiungono i livelli più elevati, in virtù della capacità di realizzare le
combinazioni produttive con i migliori rapporti tra capitale impiegato (costi di
produzione) e ricavi conseguiti. Il dato è di estremo interesse se collegato ai non
elevati margini sulle vendite (circa il 5,3%) e agli alti valori di fatturato per
addetto (circa 270.000 euro per addetto). La redditività del capitale investito si
attesta per l’anno 2007 ad un valore medio del 7,1%, con punte del 9,6% nel
settore manifatturiero e nel commercio. La redditività del capitale proprio, prima e
dopo le imposte, è la più alta nel confronto con le altre classi, con valori
rispettivamente del 14% e dell’8% che confermano anche per tale tipologia di
imprese quanto in precedenza detto sulla elevata incidenza delle imposte sulla
redditività del capitale proprio.
IL VANTAGGIO DELLA FLESSIBILITÀ. La lettura combinata degli indicatori
reddituali conferma lo spostamento del modello di organizzazione della
produzione verso la esternalizzazione di sempre maggiori fasi della produzione,
con conseguente aumento dei costi variabili in proporzione ai costi fissi e la
costituzione di strutture produttive più snelle in termini di risorse umane
impiegate. La caratteristica distintiva del modello produttivo delle medie imprese
è individuabile nella capacità di sviluppare strategie competitive basate sulla
relazione (accordi interaziendali, distretti, esternalizzazione, partnership, joint
venture) che consentono l’ottenimento di dimensioni competitive affini a quelle
delle grandi imprese senza sopportare gli oneri che scaturiscono da strutture
produttive ed organizzative di grandi dimensioni.
I LIMITI NELLA STRUTTURA FINANZIARIA. I dati sulla struttura finanziaria
indicano un forte livello di dipendenza delle imprese dalle fonti di finanziamento
di terzi e in particolare dai debiti finanziari, associata a una bassa capitalizzazione.
47
Il 45% delle fonti di finanziamento è rappresentato da debiti finanziari, con circa
l’80% di debiti in scadenza entro un anno. Il dato, omogeneo in relazione ai
diversi settori di attività, conferma la prevalenza dell’attivo corrente sul totale
delle attività investite e, all’interno delle attività correnti, dei crediti di natura
commerciale e delle rimanenze rispetto alle disponibilità liquide. La lettura
combinata del dato reddituale e di quello finanziario evidenziano la rilevanza e la
criticità dell’attività di gestione delle fonti di finanziamento e dell’indebitamento
finanziario nello specifico. Il verificarsi di flessioni nei livelli di vendita (data la
bassa capacità di agire sui prezzi di vendita) determina peggioramenti nella
redditività dell’impresa e peggioramenti nella dinamica delle fonti finanziarie in
entrata (allungamento del tempo di incasso dei crediti, aumento della giacenza
media delle rimanenze) che determinano a loro volta il peggioramento delle
condizioni di equilibrio finanziario di breve periodo. Allo stesso modo, una
contrazione del finanziamento bancario, sebbene non alteri le dinamiche
reddituali, determina il peggioramento del ciclo finanziario (riduzione
dell’ammontare dei debiti di finanziamento per mancato rinnovo, riduzione del
periodo medio di durata dei debiti finanziari, aumento dei crediti verso clienti in
sofferenza) che porta anch’esso al verificarsi di condizioni di squilibrio
finanziario che possono degenerare in situazioni di illiquidità.
In conclusione, per tale classe di imprese, più che per le grandi imprese, il
governo della dinamica finanziaria e la gestione delle relazioni con i finanziatori
diviene, soprattutto durante i periodi di crisi dei consumi e dei mercati finanziari,
un elemento in grado di determinare la sopravvivenza o meno dell’impresa.
La middle class italiana un esempio di eccellenza competitiva
L’analisi dei dati sulla produttività, redditività e solidità patrimoniale appena analizzati
confermano che le medie imprese rappresentano il vero motore dell’economia italiana,
ma rappresentano anche la categoria di imprese che risentono maggiormente delle
flessioni nella domanda e in particolare di quella internazionale e degli shock dei mercati
finanziari.
Le considerazioni che sono contenute in questa sezione si rifanno alle concettualizzazioni
ed analisi elaborate in altri studi* che individuano all’interno del cluster delle medie
imprese uno specifico segmento denominato“middle class” che, per caratteristiche
distintive e livelli di performance storicamente conseguiti, rappresenta la via italiana al
capitalismo.
Sulla base del modello interpretativo proposto sono cinque le caratteristiche ricorrenti in
tutte le imprese che appartengono alla cosiddetta “middle class”: il numero di addetti
compreso tra i 50 e 249; la sistematicità nelle esportazioni; il frequente ricorso ad accordi
di cooperazione con altre imprese; l’appartenenza a gruppi di imprese o distretti; la forma
di giuridica di società di capitale.
Il modello della media impresa italiana è stato individuato in letteratura come un
autonomo e peculiare modello imprenditoriale caratteristico del nostro paese ed
affiancato agli altri modelli di capitalismo europeo. Il riferimento è ai modelli renano,
anseatico e francese che presentano molteplici elementi di differenziazione rispetto al
tessuto produttivo e agli stili imprenditoriali che caratterizzano la via italiana al
48
capitalismo.
Le caratteristiche distintive delle imprese che appartengono alla middle class e che
rappresentano la fonte del loro vantaggio competitivo sono individuabili nella elevata
attitudine a cogliere ed interpretare le evoluzioni del contesto competitivo nel quale
operano. Tali imprese dimostrano una elevata capacità di adattamento che consente di
reagire in tempi rapidi alle modifiche e turbolenze che interessano i mercati di sbocco.
Inoltre le imprese della middle class possiedono un’elevata abilità nel coniugare le
dinamiche internazionali con le logiche territoriali e locali.
Il modello interpretativo utilizzato per l’analisi della posizione competitiva di tale classe
di imprese si basa sull’assunto che il mantenimento, il recupero o la perdita di
competitività di un’impresa dipende dalla capacità dinamica di interpretare e rispondere
alle modifiche e alle evoluzioni nelle relazioni tra tecnologia, preferenze e prezzi relativi.
Tecnologia, preferenze e prezzo si incorporano in specifici prodotti la cui valorizzazione,
economica e finanziaria, avviene nel momento della cessione o scambio. Ed è proprio
nello scambio che si misura la capacità di cogliere, interpretare e soddisfare le esigenze
del mercato e dei propri clienti e quindi la capacità competitiva.
Il modello capitalistico della middle class italiana ha dimostrato di aver sviluppato una
elevata attitudine nello svelamento/creazione delle preferenze dei mercati, sia nazionali
che internazionali. Interi settori dell’economia italiana, e l’industria manifatturiera in
particolare, si sono affermati proprio intorno a tale competenza che nel corso degli anni si
è sempre più identificata con le caratteristiche di tipicità, qualità e legame con il territorio
sintetizzati nell’unico concetto di “made in italy”.
In altre parole il “made in italy” rappresenta la sintesi della capacità dimostrata dalle
imprese della middle class italiana di rispondere, prima e meglio degli altri modelli, alle
esigenze dei consumatori dei paesi avanzati ovvero di fare business all’italiana.
Una ulteriore fase evolutiva delle imprese della middle class è rappresentata dalla
progressiva delocalizzazione delle produzioni. Il concetto di made in italy è stato
interpretato nel senso di “fatto all’italiana” e non di fatto in Italia. “È il caso di imprese
(Tod’s, Guzzini) dove il principale elemento di caratterizzazione e competitività del
sistema di offerta è rappresentato dal richiamo alla tradizione italiana, senza che sia
necessario un diretto collegamento con il territorio per la realizzazione dei processi
produttivi. I singoli componenti e perfino i prodotti stessi potrebbero, infatti, essere
realizzati anche in altri contesti territoriali, senza alterare il contenuto di tipicità
territoriale”*.
Tale processo è stato accelerato dalle dinamiche di internazionalizzazione dei mercati dei
consumi e dall’avvento dell’euro che hanno eroso uno dei fattori di competitività che
ancoravano al territorio italiano la produzione delle piccole e medie imprese, ovvero il
sistema dei prezzi relativi che rendeva basso il livello dei prezzi di produzione nel
confronto con le altre aree economiche.
In tale prospettiva può essere letto il processo di ristrutturazione che ha interessato il
sistema industriale italiano della media impresa e che si è sostanziato in un incremento
della terziarizzazione del settore industriale e manifatturiero e nel ricorso alla
internazionalizzazione nei processi di produzione, spesso attraverso l’esternalizzazione
delle fasi “non core”.
La strategia della internazionalizzazione e terziarizzazione delle produzioni ha
rappresentato una valida risposta alla crisi finanziaria e di consumi che ha interessato i
mercati nazionali ed internazionali. Il processo di ristrutturazione e riorganizzazione, in
particolare del sistema industriale, sembra aver condotto ad un rafforzamento della
49
competitività delle medie imprese italiane, allargando il divario con le imprese di
dimensioni minori (le piccole e micro imprese).
Una conferma del consolidamento della capacità competitiva della media impresa è data
dal livello di apertura delle medie imprese italiane sui mercati internazionali. I dati
relativi alle esportazioni evidenziano la tenuta della fascia di aziende che operano sul
mercato estero, a fronte di un ridimensionamento di un sistema della piccola impresa,
spesso conto-terzista che opera prevalentemente sul mercato interno e che sta pagando la
crisi della domanda interna.
Va comunque sottolineato che esiste un nucleo consistente di imprese che, pur non
affacciandosi direttamente sui mercati internazionali, opera in stretto contatto con le
aziende esportatrici, costituendo di fatto un sistema di produzione a rete in cui la
performance di chi esporta condiziona e allo stesso tempo dipende dalla capacità
produttiva e competitiva dell’indotto.
50
Le piccole imprese
IMPRESE A PIÙ ALTA INTENSITÀ DI LAVORO. I dati* sulla produttività, redditività e
solidità patrimoniale delle piccole imprese, nel confronto con le imprese di
dimensioni maggiori, evidenziano livelli di produttività in linea con le altre classi
dimensionali associati ad un basso livello di capitalizzazione. Il dato si spiega
nella prevalenza del “lavoro” sul “capitale” nella partecipazione ai processi
produttivi e nei bassi valori di costo medio per addetto. L’indice di competitività**
è il più alto nel confronto con le altre classi dimensionali, attestandosi al 151%.
LA REDDITIVITÀ È BUONA. I dati reddituali evidenziano un basso markup (appena
4,5%), in linea con i dati della media impresa, e una redditività del capitale
investito (7,1%) e del capitale proprio (6%) non lontana dai risultati delle grandi e
medie imprese. Bassi livelli di capitalizzazione e di markup e livelli di redditività
allineati a quelli delle imprese di dimensioni maggiori si spiegano in funzione dei
seguenti aspetti:
• una bassa propensione agli investimenti in fattori produttivi immobilizzati
che, a parità di reddito, aumenta la redditività del capitale investito;
• un basso livello di capitale proprio investito che, a parità di reddito,
aumenta la redditività del capitale proprio.
I livelli di redditività del capitale investito più elevati, su base settoriale, si
registrano nei settori della manifattura, delle costruzioni e del commercio.
IL PESO DEI DEBITI A BREVE. Per le piccole imprese la gestione finanziaria
rappresenta una delle variabili gestionali di maggiore importanza, in grado di
incidere sulla capacità competitiva attuale e prospettica. Ed è proprio il
mantenimento dell’equilibrio finanziario di breve periodo a rappresentare il
principale elemento di attenzione per garantire la sopravvivenza delle imprese
appartenenti alla categoria delle piccole e micro imprese. Le piccole imprese
dipendono al 47% da debiti finanziari in prevalenza con istituti bancari. Del totale
dei debiti una quota pari a a circa l’80% è rappresentata da debiti a breve, in
prevalenza composti da debiti verso fornitori, debiti bancari e da debiti tributati.
Per tali imprese la conservazione delle condizioni di liquidità dipende da due
elementi:
• dalla possibilità di ottenere e mantenere una durata del ciclo finanziario
bassa (i dati individuano una durata media di 97 giorni);
• dalla capacità di credito che è di volta in volta negoziata con gli istituti di
credito.
51
L’ACCESSO AL CREDITO. Di norma per le imprese di piccole dimensioni l’attività
di gestione finanziaria e le relazioni con gli istituti di credito sono condotte
personalmente dall’imprenditore che non sempre dispone del livello di
preparazione professionale adeguato per la valutazione delle opportune scelte di
finanziamento e degli strumenti per la gestione della struttura finanziaria.
Sull’assunzione di tali decisioni il contributo di professionisti e dei professionisti
contabili in particolare può rappresentare un elemento in grado di migliorare il
processo decisionale aumentando il livello di consapevolezza delle scelte da
effettuare. Tale contributo appare ancor più determinante proprio in periodi di
crisi dei consumi e di stretta creditizia da parte degli istituti di credito, come quelli
che caratterizzano gli ultimi anni e che hanno generato una riduzione delle risorse
finanziarie disponibili* per le imprese. È evidente che in periodi di contrazione
delle vendite e di contrazione del credito le risorse finanziare necessarie a
garantire la continuità dell’attività di impresa sono assicurate dall’imprenditore
attraverso il ricorso al proprio patrimonio personale, laddove possibile. Tale
dinamica è accentuata in quei settori nei quali la durata media del ciclo finanziario
è elevata, quali ad esempio il settore delle costruzioni, il settore dei servizi alle
imprese e il settore manifatturiero.
Il modello di sviluppo per linee esterne
Il concetto di piccola impresa intesa quale impresa che è agli inizi del proprio ciclo di
sviluppo è da tempo e da più parti messa in discussione; così come appare oggi sempre
meno confermato nella realtà delle imprese italiane anche il concetto che la
sopravvivenza e il successo di un’impresa sia commisurata alla sua capacità di crescita.
In realtà, è il concetto stesso di crescita inteso come aumento delle strutture organizzative
interne delle aziende che deve essere ridiscusso e reinterpretato alla luce dei più recenti
percorsi di sviluppo di un’impresa per linee esterne. La costruzione di rapporti tra
imprese, nelle diverse forme ed intensità (partnership, joint venture, contratti di
franchising, consorzi, accordi di collaborazione, costituzione di distretti) rappresentano
sempre più un’alternativa strategica all’aumento della dimensioni aziendali e del numero
dei dipendenti.
Lo sviluppo d’impresa perseguito per linee esterne attraverso il ricorso ad accordi di
collaborazione con altre imprese, spesso su base territoriale, rappresenta la modalità di
crescita che le piccole imprese utilizzano con sempre maggiore frequenza.
La crescita per linee esterne consente di massimizzare i benefici derivanti dall’aumento
dimensionale senza elevare i livelli di rigidità burocratica che deriverebbero dalla
crescita delle strutture organizzative. In termini aziendali il modello di sviluppo della
crescita attraverso la collaborazione e la costituzione di accordi non si basa sull’aumento
proporzionale degli investimenti o del numero dei dipendenti, quanto sull’incremento
dell’attività di coordinamento con i partner (fornitori e clienti) e con i processi di
esternalizzazione delle produzioni e dei servizi.
Tale dinamica ha interessato in particolar modo i settori manifatturiero e dei servizi che
rappresentano i settori dove le piccole imprese sono maggiormente presenti. Per le
piccole imprese appartenenti a tali settori (ma la dinamica ha interessato anche le medie
imprese) si è assistito ad un’evoluzione nell’organizzazione dell’intero processo
produttivo. Le fasi di progettazione, ma anche la realizzazione dei prodotti e servizi, la
52
loro commercializzazione e infine l’assistenza post vendita si organizzano sempre più
attraverso logiche di collaborazione e coordinamento dei contributi di imprese diverse ma
collegate, spesso localizzate sul medesimo territorio geografico.
All’interno di tale modello di sviluppo, il distretto industriale è senza dubbio la fattispecie
che maggiormente si è affermata nello scenario capitalistico italiano, rappresentando un
caso di successo studiato anche in ambito internazionale.
La struttura tipica di un distretto industriale prevede l’aggregazione di piccole imprese
con strutture reticolari attorno ad una azienda di medie o grandi (raramente) dimensioni.
Attraverso la partecipazione ad un distretto industriale le imprese, aumentando la
numerosità e l’intensità dei legami con le altre imprese, migliorano le proprie capacità
competitive e ciò porta ad ottenere incrementi di fatturato e dei ricavi senza incrementi
nei correlati costi legati agli investimenti ed al personale.
Le caratteristiche dei processi di crescita per linee esterne delle piccole imprese italiane
possono essere riepilogate nei seguenti punti:
•
•
•
•
•
Nelle piccole e medie imprese italiane l’intensificazione e lo sviluppo delle
relazioni collaborative con altre imprese rappresenta un fattore in grado di
determinare la crescita dell’impresa senza alterarne la dimensione in termini di
addetti.
Il ricorso alla crescita esterna è un’alternativa che meglio si adatta alle
caratteristiche delle piccole imprese, nella misura in cui consente lo svolgimento
delle attività senza incrementare gli investimenti.
Per le piccole imprese lo sviluppo interno è difficilmente praticabile in quanto
necessita della disponibilità di elevate risorse finanziarie che raramente si
registrano in tale realtà imprenditoriale.
Tra i fattori che determinano limiti alla crescita interna e che favoriscono le
logiche di crescita per linee esterne devono essere annoverati gli aspetti culturali
legati allo stile direzionale. Il timore eall’imprenditore (spesso fondatore) di
perdere il controllo della gestione dell’impresa rappresenta un limite ai processi
di crescita dimensionale che di norma si accompagnano all’attribuzione ai
manager di sempre maggiori compiti dirigenziali.
I processi di crescita per linee esterne richiedono una necessaria attività di riorientamento degli investimenti per lo sviluppo di risorse e competenze
finalizzate alla gestione delle relazioni.
53
Le microimprese
PROBLEMI DI ANALISI. Effettuare una lettura nella prospettiva economico
aziendale dei dati reddituali e patrimoniali delle micro imprese è un’attività di
difficile realizzazione e di scarsa utilità, per i seguenti motivi:
• un’elevata eterogeneità delle tipologie, modalità operative e finalità delle
imprese appartenenti alla categoria delle micro imprese;
• una bassa capacità informativa ed attendibilità delle informazioni contabili
reperite dai documenti contabili e fiscali.
All’interno della categoria delle micro imprese sono infatti raccolte ed aggregate
differenti realtà imprenditoriali e produttive del nostro paese. Profonde differenze
caratterizzano le imprese individuali rispetto alle imprese familiari o alle imprese
con dipendenti.
SCARSITÀ DI INFORMAZIONI CONTABILI. Difficoltà nell’interpretazione delle
informazioni economiche, patrimoniali e finanziarie sono strettamente collegate
alla forma giuridica prevalente delle micro imprese ovvero la forma di ditta
individuale e di società di persone che influenza il processo di produzione delle
informazioni di natura contabile. La mancanza di un bilancio di esercizio che
consenta di rappresentare attraverso il linguaggio contabile l’attività di gestione
rende difficile la valutazione delle caratteristiche di produttività, redditività e
solidità patrimoniale di tale categoria di imprese; pertanto i dati presentati
evidenzieranno soltanto alcuni degli aspetti analizzati nelle precedenti classi
dimensionali.
COMPETITIVITÀ LIMITATA. In termini di produttività le micro imprese presentano
i valori più bassi rispetto alle imprese di dimensioni maggiori. Il valore aggiunto
per addetto è pari a circa 29.000 euro, non molto distante dal costo medio per
dipendete che è di circa 22.290 euro. Anche il fatturato lordo per addetto ha il
valore più basso nel confronto con le imprese di dimensioni maggiori. In termini
di competitività le micro imprese hanno la peggiore posizione competitiva, il
rapporto tra valore aggiunto e costo medio del personale si attesta, infatti, ad un
valore di circa 130% contro valori di 150% e 160% delle imprese appartenenti alle
altre classi dimensionali.
PRODUTTIVITÀ E REDDITIVITÀ LIMITATE. L’analisi degli indicatori sulla
redditività conferma i risultati della bassa capacità competitiva; le micro imprese,
infatti, hanno un bassa intensità del capitale derivante dalla scarsa propensione per
gli investimenti fissi. Bassa produttività e ridotta propensione per gli investimenti
determinano bassi livelli anche nei saggi di redditività che sono sotto la media
delle imprese di dimensioni maggiori.
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DIFFERENZE SETTORIALI. Il dato sulla produttività e redditività presenta una
eterogeneità tra settori di attività; l’industria estrattiva e le imprese dei servizi alle
famiglie ed alle imprese presentano saggi di competitività di molto superiori a
quelli delle altre attività, mentre il settore alberghiero e della ristorazione, il
settore dei trasporti e in misura minore le imprese del commercio registrano
risultati peggiori.
LA STRUTTURA FINANZIARIA. Migliori sono i dati sui costi della struttura
finanziaria, il rapporto tra oneri finanziari e totale dei ricavi, indica che le micro
imprese non sopportano elevati esborsi finanziari; il rapporto di indebitamento
oscilla tra un massimo del 3% del settore dei servizi alle imprese allo 0,85% del
settore commerciale. Valori del rapporto di indebitamento così contenuti si
giustificano in considerazione della prevalenza di imprese che non sopportano
alcun onere finanziario, la maggioranza delle micro imprese e tra queste delle
imprese con un massimo di tre addetti, è autosufficiente dal punto di vista
finanziario oppure ha difficoltà nell’accesso al credito. Tale considerazione porta
a concludere che il mantenimento delle condizioni di equilibrio finanziario è
strettamente dipendente dall’andamento della dinamica reddituale e dalla durata
media del ciclo finanziario ed è quindi molto legato alla gestione corrente
lasciando poche o nulle risorse da destinare ai progetti di investimento.
Il nanismo imprenditoriale italiano: origini culturali e di contesto
La strutturale incapacità di crescita delle imprese italiane rappresenta una tematica
largamente affrontata ed analizzata in ambito scientifico. L’approccio utilizzato, anche
negli studi di matrice internazionale è finalizzato all’individuazione delle condizioni di
contesto che impediscono oppure facilitano il processo di crescita per vie interne delle
imprese.
Tali studi individuano gli elementi che facilitano o limitano la crescita delle imprese nei
seguenti fattori: le caratteristiche del sistema finanziario; il livello di istruzione della forza
lavoro del paese; gli investimenti in ricerca e sviluppo; il funzionamento del sistema
giudiziario e fiscale;
Principale elemento che influenza la dinamica di crescita delle imprese è il
funzionamento del sistema finanziario. In ambito nazionale ancora elevata è l’incidenza
del settore bancario nel condizionare le scelte delle piccole e micro imprese che
desiderano intraprendere percorsi di crescita. Sebbene, infatti, i dati della Banca d’Italia
evidenzino un progressivo ammodernamento del sistema e il raggiungimento di
dimensioni competitive internazionali per alcuni gruppi bancari nazionali, ancora elevato
è il numero di micro e piccole imprese che non effettuano investimenti a medio lungo
termine.
Sono prevalentemente due i vincoli alla crescita individuabili nel rapporto tra banca ed
impresa: in primo luogo, la scarsa propensione degli imprenditori ad indebitarsi a medio
lungo termine; in secondo luogo, vi è una altrettanto scarsa propensione degli istituti di
credito a finanziare quei soggetti con bassi livelli di merito creditizio. La mancanza di
finanziamenti di medio lungo periodo non consente un’adeguata pianificazione degli
investimenti per la crescita che di norma hanno orizzonti temporali di ritorno finanziario
di medio lungo periodo.
55
Inoltre, la capacità di valutazione del merito creditizio da parte degli istituti di credito è
fortemente ancorata a logiche di natura fiduciaria e alla capacità di fornire adeguate
garanzie di natura patrimoniale, piuttosto che a coerenti progetti di investimento.
Altra caratteristica del sistema finanziario italiano è individuabile nello scarso o quasi
nullo ricorso a strumenti di finanziamento basati sul ricorso all’equity; il venture capital e
il private equity non hanno avuto un adeguato sviluppo nel nostro paese, così come i
processi di apertura del capitale a soggetti esterni e al mercato dei capitali. La scarsa
attitudine degli imprenditori italiani all’apertura del capitale delle proprie aziende legato
alla paura di perdere il controllo della propria attività ha da sempre rappresentato un
elemento culturale caratteristico del sistema imprenditoriale italiano.
Ulteriore elemento che determina un vincolo alla crescita delle imprese è rappresentato
dal basso livello di istruzione della forza lavoro. Il livello di istruzione e la formazione
professionale sono di norma connessi al settore produttivo prevalente di un sistema paese;
il settore dei servizi alle imprese detiene un livello medio di istruzione dei propri addetti
decisamente superiore a quello che si registra ad esempio nel settore manifatturiero e
delle costruzioni.
La disponibilità di risorse umane maggiormente qualificate e specializzate all’interno di
un’impresa può rappresentare una spinta verso il miglioramento dei processi produttivi,
l’innovazione di prodotto, il miglioramento ed il riassetto organizzativo, tutti elementi che
rappresentano precondizioni che facilitano e favoriscono i processi di crescita.
Tale elemento ha un effetto negativo nel determinare la propensione alla crescita delle
imprese italiane in quanto sia il dato legato alla struttura per settori di appartenenza delle
imprese italiane, sia il dato legato al costo medio per addetto evidenziano un basso livello
di formazione e specializzazione delle risorse umane.
Altro rilevante elemento in grado di favorire la crescita aziendale è rappresentato dagli
investimenti in ricerca e sviluppo. In Italia il rapporto tra PIL e investimenti in ricerca e
sviluppo è tra i più bassi in Europa, in particolare la quota investita dal settore privato e
dalle imprese.
Accanto all’esiguità degli investimenti, il nostro paese si caratterizza anche per la qualità
degli investimenti in ricerca e sviluppo e per le logiche di governo e spesa di tali
investimenti. Gran parte della spesa per investimenti in ricerca e sviluppo è effettuata da
strutture pubbliche e non segue criteri legati al merito, quali la produttività, la rilevanza e
l’utilità delle ricerche effettuate.
Ai limiti qualitativi della spesa per ricerca di natura pubblica, si aggiunge l’incapacità
delle piccole imprese e le micro imprese italiane di dotarsi di adeguate strutture e centri
per ricerca e sviluppo necessari per l’innovazione dei prodotti e dei processi produttivi.
In ultimo, le caratteristiche del sistema giudiziario e fiscale di un paese dimostrano avere
un effetto rilevante nel processo di crescita delle imprese.
Un interessante studio di Kumar, Rajan e Zingales (2003) dal titolo “What Determines
Firm Size?”, ha analizzato un campione di imprese di differenti dimensioni appartenenti a
15 paesi europei.
Dall’analisi è emerso che la dimensione media delle imprese è maggiore in quei paesi nei
quali il sistema giudiziario funziona in tempi rapidi e con maggiore efficienza, e nei paesi
dove il sistema fiscale funziona meglio.
I dati sulla situazione del sistema giudiziario italiano descrivono uno scenario ben lontano
56
da quello dell’efficienza e della rapidità nella erogazione del servizio pubblico. Troppo
numerose sono, infatti, le cause civili pendenti e troppo lunghi i tempi per la risoluzione
di una causa; tali fattori determinano un elevato livello di inefficienza che spesso
influenza, paralizzandola, l’attività di un’impresa e determina un’influenza negativa sui
processi di crescita. Altra influenza diretta del sistema giudiziario di un paese sulla
dinamica di crescita delle imprese è rappresentato dal sistema normativo che disciplina i
settori del lavoro, del fallimento, oltre che la normativa civilistica commerciale e la
normativa fiscale e tributaria.
La legislazione in materia di diritto fallimentare, ad esempio, ha in passato penalizzato
eccessivamente la figura dell’imprenditore determinando un vincolo alla crescita delle
imprese, così come un assetto istituzionale volto a privilegiare la piccola dimensione in
termini di oneri fiscali e contributivi, di vincoli normativi e amministrativi e di gestione
dei rapporti di lavoro non incentiva gli imprenditori a far crescere le proprie aziende.
57
PROFESSIONI
Liberi professionisti e Ordini professionali
IL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA. L’Italia vanta un tasso di disoccupazione
tra i più bassi del mondo occidentale sviluppato, ma resta un paese con una scarsa
propensione al lavoro; il tasso di attività e il tasso di occupazione sono tra i più
bassi. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro è ancora molto lontana
dalle medie occidentali. Il numero di disoccupati relativamente più basso è dovuto
alla presenza di un gran numero di soggetti che pur non avendo un lavoro non ne
sono alla ricerca. Hanno, molto probabilmente, un lavoro non regolare o
preferiscono usufruire più della media occidentale dei sistemi di protezione
sociale naturali come la famiglia ovvero sono usciti anzitempo dal mercato del
lavoro. Più che il tasso di disoccupazione, quindi, dovremmo guardare al tasso di
occupazione; è questo infatti che genera reddito e quindi entrate tributarie e
contributive.
MOLTO ELEVATO IL GAP ITALIANO CON LA MEDIA UE. Nel 2009 il tasso di
attività è stato pari al 62,4% della popolazione tra i 15 e i 64 anni (51,1% al Sud e
51,1% per le donne); il tasso di occupazione è stato pari al 57,5% (44,6% al Sud e
46,4% per le donne); il tasso di disoccupazione è stato pari al 7,9% (12,6% al Sud
e 9,3% per le donne). La media Ue27 del tasso di occupazione 2009 è pari a
64,6% (58,6% per le donne), mentre la media Ue15 è 65,9% (59,9% per le
donne). I tassi più elevati si riscontrano in Danimarca (75,7%) e Olanda (77%),
mentre la Germania è al 70,9% e gli Usa e il Giappone sono intorno al 70%. Il gap
dell’Italia per il tasso di occupazione con l’Ue27 per il 2009 è di 7,1 punti
percentuali. Gap che sale a 12,4 punti nel confronto con la Germania.
UN LAVORATORE SU QUATTRO È INDIPENDENTE. Oltre ad avere uno dei tassi di
occupazione più bassi, l’Italia ha la percentuale di occupati indipendenti più alta.
Nel 2009 il rapporto è stato di uno a tre, per una quota di lavoratori indipendenti
pari al 25% del totale.
I PROFESSIONISTI. Nel 2009, secondo i dati raccolti ed elaborati dal Censis e
rielaborati dall’Irdcec, gli iscritti ai 25 Ordini e Collegi professionali sono
2.020.905 di unità. Nello stesso periodo, secondo l’Istat, gli occupati liberi
professionisti sono 1.148.400 pari al 57% degli iscritti agli Ordini. Nel 2008 gli
iscritti contribuenti alle casse previdenziali private dei professionisti sono stati
pari a 1.039.599 unità.
CRESCITA A RITMO ELEVATO. I liberi professionisti rappresentano l’unica
componente del mercato del lavoro italiano che continua a crescere nonostante la
58
crisi e nonostante il calo generalizzato che ha colpito il lavoro autonomo ed è la
componente che negli ultimi 15 anni è cresciuta a ritmo più elevato. La crescita
maggiore ha riguardato il comparto dei servizi alle imprese; significativa però è
anche la crescita del comparto dei servizi alla persona e alla pubblica
amministrazione.
DAL 2000 AL 2009 +13,6% CONTRO IL 9,2% DELL’OCCUPAZIONE TOTALE.
Secondo l’Istat nel 2009 i liberi professionisti occupati in Italia sono 1.148.400,
pari al 5% dell’occupazione totale e al 20% degli occupati indipendenti. Dal 2000
al 2009 l’occupazione totale è cresciuta in Italia del 9,2%. La variazione
complessiva è il risultato di un aumento degli occupati dipendenti pari al 14,2% e
di una diminuzione degli occupati indipendenti pari al 3,4%. Nello stesso periodo
i liberi professionisti sono aumentati del 13,6%.
NEL 2009 I LIBERI PROFESSIONISTI COPRONO IL 5% DELL’OCCUPAZIONE
TOTALE. Il calo degli occupati indipendenti è concentrato tra i coadiuvanti
familiari-co.co.co e prestatori d’opera occasionali che subiscono un crollo del
56,7% e gli imprenditori che diminuiscono del 50,3% e i soci di cooperativa di
produzione che calano dell’87,4%. Crescono, invece, del 7,4% i lavoratori in
proprio. Rispetto al 2000 i liberi professionisti pesano di più nella composizione
strutturale dell’occupazione italiana passando dal 4,8 al 5% del totale e dal 17 al
20% del totale indipendenti.
Tabella 1. Occupati per posizione nella professione. Anni 2000 e 2009.
POSIZIONE NELLA PROFESSIONE
INDIPENDENTI
2000
5.948.583
2009
5.748.274
Quote
2000
28,2%
Var.
00-09
-3,4%
Quote
2009
25,0%
524.876
261.032
2,5%
-50,3%
1,1%
Liberi professionisti
1.010.856
1.148.400
4,8%
13,6%
5,0%
Lavoratori in proprio
Imprenditori
3.301.456
3.546.323
15,7%
7,4%
15,4%
Soci di cooperativa di produzione
273.157
34.329
1,3%
-87,4%
0,1%
Coadiuvanti familiari, Co.co.co.,
Prestatori d'opera occasionali
838.238
362.640
4,0%
-56,7%
1,6%
75,0%
71,8%
14,2%
Dirigenti
348.065
465.651
1,7%
33,8%
2,0%
Direttivi-Quadro
972.771
1.198.563
4,6%
23,2%
5,2%
Impiegati o Intermedi
6.519.165
7.319.074
30,9%
12,3%
31,8%
Operai, Subalterni ed Assimilati
7.081.338
8.072.445
33,6%
14,0%
35,1%
179.849
213.005
0,9%
18,4%
30.005
7.980
0,1%
-73,4%
0,9%
0,0%
9,2%
100,0%
DIPENDENTI
Apprendisti
Lavoranti a domicilio per conto imprese
TOTALE OCCUPATI
15.131.192 17.276.718
21.079.775 23.024.992 100,0%
Fonte: Istat, Medie Forze di Lavoro, vari anni
PROFESSIONI INTELLETTUALI AL 10,3% DEL TOTALE. Nell’analisi della distribuzione
per professione, le professioni intellettuali raggiungono la cifra del 10,3% del totale degli
occupati nel 2009, mostrando il più elevato tasso di crescita dal 2000 (+45,4%).
59
Tabella 2. Occupati per professione. Anno 2000 e 2009.
2000
2009
Quote
2000
Var.
00-09
Quote
2009
693.524
990.856
3,3%
42,9%
4,3%
Professione
Legislatori, dirigenti, imprenditori
Professioni intellettuali
1.630.385
2.369.946
7,7%
45,4%
10,3%
Professioni tecniche intermedie
4.372.078
4.690.151
20,7%
7,3%
20,4%
Professioni esecutive amministrative
2.381.722
2.536.681
11,3%
6,5%
11,0%
Professioni connesse alla vendita di servizi
3.551.125
3.797.560
16,8%
6,9%
16,5%
Artigiani, operai specializzati, agricoltori
4.443.771
4.327.486
21,1%
-2,6%
18,8%
Conduttori di impianti e operai macchine
2.023.416
1.836.304
9,6%
-9,2%
8,0%
Professioni non qualificate
1.778.183
2.225.490
8,4%
25,2%
205.572
250.516
1,0%
21,9%
9,7%
1,1%
9,2%
100,0%
Forze armate
TOTALE OCCUPATI
21.079.775 23.024.992 100,0%
Fonte: Istat, Medie Forze di Lavoro, vari anni
IL 59% DEI LIBERI PROFESSIONISTI È OCCUPATO NEI SERVIZI ALLE IMPRESE.
Osservando la distribuzione dei liberi professionisti per settore di attività
economica, si nota come il 95% sia occupato nei servizi contro il 5%
dell’industria. In particolare, il 59% si concentra nei servizi alle imprese. Gli unici
settori di attività che vedono incrementare i liberi professionisti sono i servizi alle
imprese (+60%), l’istruzione-sanità-altri servizi sociali (+21%) e trasporti e
comunicazioni (+24,5%). Nell’industria il calo è del 58,4%. Nelle costruzioni il
calo è addirittura del 65%.
Tabella 3. Occupati liberi professionisti per settore di attività economica.
Anni 2000 e 2009.
SETTORI DI ATTIVITA'
2000
2009
Quota
2000
Var.
00-09
Quota
2009
AGRICOLTURA
7.311
3.439
0,70%
-53,00%
0,30%
INDUSTRIA
137.484
57.132
13,60%
-58,40%
5,00%
Industria in senso stretto
72.376
34.345
7,20%
-52,50%
3,00%
Costruzioni ed installazioni impianti
65.108
22.788
6,40%
-65,00%
2,00%
SERVIZI
866.061
1.087.829
85,70%
25,60%
94,70%
Commercio
112.900
102.664
11,20%
-9,10%
8,90%
Alberghi e ristoranti
6.381
2.835
0,60%
-55,60%
0,20%
Trasporti e comunicazioni
Intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari Servizi alle imprese, altre attività
professionali e imprenditoriali
Pubblica amministrazione, difesa,
assicurazione sociale obbligatoria
12.240
15.241
1,20%
24,50%
1,30%
76.090
57.193
7,50%
-24,80%
5,00%
421.799
678.232
41,70%
60,80%
59,10%
19.706
--
1,90%
0,00%
0,00%
Istruzione, sanità, altri servizi sociali
149.981
181.256
14,80%
20,90%
15,80%
Altri servizi pubblici, sociali e alle persone
66.963
49.808
6,60%
-25,60%
4,30%
13,60%
100,00%
TOTALE OCCUPATI LIBERI PROFESSIONISTI 1.010.856 1.148.400 100,00%
Fonte: Istat, Medie Forze di lavoro, vari anni.
ISCRITTI A ORDINI E COLLEGI PROFESSIONALI. Nel 2009, gli iscritti a ordini e
collegi professionali risultano pari a 2.020.905. Il 50,4% è rappresentato da
professioni medico-sociali, il 31% da professioni tecniche, il 14,1% dalle
professioni economico-giuridiche e il 4,5% da giornalisti. Dal 2000 al 2009 gli
60
iscritti a ordini e collegi professionali sono cresciuti del 27%. Rispetto alla media
generale, le professioni medico-sociali sono cresciute del 23%, mentre le
professioni tecniche del 29%. È di un solo punto superiore alla media la crescita
delle professioni economico-giuridiche.
Tabella 4. Iscritti a Ordini e Collegi professionali per gruppi omogenei.
Anni 2000 e 2009.
2000
2009
Quota
2000
Quota
2009
Var.
00-09
PROFESSIONI ECONOMICO-GIURIDICHE
222.862
285.435
14,0%
14,1%
28%
PROFESSIONI TECNICHE
483.371
625.809
30,3%
31,0%
29%
PROFESSIONI MEDICO-SOCIALI
824.967
1.018.037
51,7%
50,4%
23%
PROFESSIONI GIORNALISTICHE
64.593
91.625
4,0%
4,5%
42%
1.595.793 2.020.905 100,0% 100,0%
27%
PROFESSIONI
TOTALE
Fonte: Ns elaborazione su dati Rapporto annuale Censis, vari anni
Tra le professioni tecniche spiccano gli alti tassi di crescita di architetti e
ingegneri, mentre i geometri sono stazionari; nel campo medico-sociale sono le
professioni sociali a crescere a ritmi sostenuti, gli psicologi sono più che
raddoppiati (+132%), mentre gli assistenti sociali sono aumentati del 35%.
Tabella 5. Iscritti a Ordini e Collegi professionali. Anni 2000 e 2009.
ORDINI/COLLEGI
2000
2009
Quota
2000
Quota
2009
Var.
00-09
Psicologi
31.127
72.174
2,0%
Architetti
83.162
143.995
5,2%
3,6% 132%
7,1%
73%
Ingegneri
140.000
220.153
8,8%
10,9%
57%
Giornalisti e pubblicisti
64.593
91.625
4,0%
4,5%
42%
Assistenti sociali
27.076
36.582
1,7%
1,8%
35%
Avvocati e procuratori (dati cassa forense)
110.608
144.443
6,9%
7,1%
31%
Veterinari
20.131
26.179
1,3%
1,3%
30%
702
903
0,0%
0,0%
29%
85.793
109.470
5,4%
5,4%
28%
Attuari
Commercialisti ed esperti contabili
Consulenti del lavoro
18.875
23.744
1,2%
1,2%
26%
Agronomi e forestali
17.063
20.993
1,1%
1,0%
23%
Medici chirurghi ed odontoiatri
327.558
393.727
20,5%
19,5%
20%
Farmacisti
61.326
73.080
3,8%
3,6%
19%
Infermieri
319.486
376.694
20,0%
18,6%
18%
Geologi
13.191
15.488
0,8%
0,8%
17%
Ostetriche
15.549
16.665
1,0%
0,8%
7%
Biologi
40.386
42.137
2,5%
2,1%
4%
Chimici
9.600
9.966
0,6%
0,5%
4%
Geometri
92.766
95.266
5,8%
4,7%
3%
Tecnici sanitari di radiologia medica
22.714
22.936
1,4%
1,1%
1%
Notai
4.607
4.625
0,3%
0,2%
0%
Spedizionieri doganali
2.277
2.250
0,1%
0,1%
-1%
Agrotecnici
15.742
14.695
1,0%
0,7%
-7%
Periti industriali
48.961
45.382
3,1%
2,2%
-7%
Periti agrari
22.500
17.734
1,4%
0,9%
-21%
1.595.793 2.020.905 100,0% 100,0%
27%
Totale
61
Tabella 6. Occupati per posizione nella professione. Anni 2000-2009.
INDIPENDENTI
Imprenditori
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
08-09
00-09
2009
5.948.583
5.997.659
5.979.968
6.008.068
6.287.176
6.029.227
6.073.400
6.054.775
5.958.831
5.748.274
-3,7%
-3,4%
25,0%
1,1%
524.876
546.375
614.138
641.708
402.427
383.035
346.007
317.393
284.981
261.032
-9,2%
-50,3%
Liberi professionisti
1.010.856
1.067.508
1.089.299
1.095.105
1.123.706
1.111.618
1.107.073
1.142.647
1.170.491
1.148.400
-1,9%
13,6%
5,0%
Lavoratori in proprio
3.301.456
3.246.474
3.181.678
3.174.541
3.637.559
3.613.204
3.659.435
3.635.543
3.600.751
3.546.323
-1,5%
7,4%
15,4%
273.157
239.540
203.113
196.023
60.311
43.262
39.262
47.575
34.851
34.329
-1,5%
-87,4%
0,1%
838.238
897.762
891.741
900.692
566.022
420.797
424.798
911.668
402.678
362.640
-11,0% -56,7%
1,6%
-1,0%
14,2%
75,0%
2,0%
Soci di cooperativa di produzione
Coadiuvanti familiari, Co.co.co.,
Prestatori d'opera occasionali
DIPENDENTI
15.131.192 15.516.760 15.849.308 16.046.181 16.117.254 16.533.602 16.914.816 17.167.062 17.445.858 17.276.718
Dirigenti
348.065
331.602
330.731
343.769
536.367
460.973
478.053
484.736
500.299
465.651
-7,4%
33,8%
Direttivi-Quadro
972.771
1.044.008
1.036.079
1.022.003
1.111.527
1.205.785
1.249.029
1.229.659
1.228.440
1.198.563
-2,5%
23,2%
5,2%
Impiegati o Intermedi
6.519.165
6.798.811
7.028.307
7.173.994
6.534.405
6.722.512
6.945.401
7.143.024
7.301.378
7.319.074
0,2%
12,3%
31,8%
Operai, Subalterni ed Assimilati
7.081.338
7.142.585
7.255.300
7.313.775
7.643.393
7.888.674
7.980.426
8.037.988
8.149.424
8.072.445
-1,0%
14,0%
35,1%
Apprendisti
179.849
171.833
174.245
165.378
274.407
244.441
250.814
260.367
257.096
213.005
-20,7%
18,4%
Lavoranti a domicilio per conto imprese
30.005
27.921
24.647
27.262
17.155
11.218
11.093
11.289
9.222
7.980
0,9%
0,0%
TOTALE OCCUPATI
-15,6% -73,4%
21.079.775 21.514.420 21.829.277 22.054.249 22.404.430 22.562.829 22.988.216 23.221.837 23.404.689 23.024.992
-1,6%
9,2%
100,0%
Fonte: Istat, Medie Forze di Lavoro, vari anni
Tabella 7. Iscritti Occupati per professione. Anni 2000-2009.
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
693.524
686.826
725.822
752.474
1.063.272
1.040.458
1.153.544
1.143.180
1.095.318
990.856
Professioni intellettuali
1.630.385
1.703.684
1.760.716
1.759.713
2.261.534
2.232.999
2.222.597
2.325.500
2.433.099
2.369.946
-2,7%
45,4%
10,3%
Professioni tecniche intermedie
4.372.078
4.538.020
4.676.441
4.809.510
4.392.701
4.418.702
4.921.104
5.096.807
4.934.182
4.690.151
-5,2%
7,3%
20,4%
Professioni esecutive amministrative
2.381.722
2.456.336
2.445.954
2.396.620
2.530.496
2.581.107
2.447.858
2.392.578
2.518.044
2.536.681
0,7%
6,5%
11,0%
Professioni connesse alla vendita di servizi
3.551.125
3.640.207
3.699.317
3.813.765
3.519.329
3.532.441
3.597.835
3.686.187
3.759.097
3.797.560
1,0%
6,9%
16,5%
Artigiani, operai specializzati, agricoltori
4.443.771
4.469.366
4.484.546
4.455.397
4.268.710
4.300.170
4.279.155
4.259.724
4.343.365
4.327.486
-0,4%
-2,6%
18,8%
Legislatori, dirigenti, imprenditori
00-09
2009
-10,5% 42,9%
08-09
4,3%
Conduttori di impianti e operai macchine
2.023.416
1.983.219
1.990.426
2.036.282
2.049.079
2.070.957
2.037.739
2.033.751
1.949.783
1.836.304
-6,2%
-9,2%
8,0%
Professioni non qualificate
1.778.183
1.822.139
1.829.317
1.797.881
2.061.275
2.129.608
2.078.253
2.032.382
2.126.835
2.225.490
4,4%
25,2%
205.572
214.623
216.737
232.607
258.034
256.386
250.131
252.028
244.965
250.516
2,2%
21,9%
9,7%
1,1%
-1,6%
9,2%
100,0%
Forze armate
TOTALE OCCUPATI
21.079.775 21.514.420 21.829.277 22.054.249 22.404.430 22.562.829 22.988.216 23.221.837 23.404.689 23.024.992
Fonte: Istat, Medie Forze di Lavoro, vari anni
62
Tabella 8. Occupati liberi professionisti per posizione nella professione. Anni 2000-2009.
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
08-09
00-09
2009
7.311
7.030
9.257
8.770
5.012
2.695
2.940
3.260
2.703
3.439
21,4%
-53,0%
0,3%
INDUSTRIA
137.484
155.738
152.365
144.226
58.247
51.500
54.496
59.705
51.022
57.132
10,7%
-58,4%
5,0%
Industria in senso stretto
72.376
77.099
74.605
72.276
32.004
28.556
34.388
39.199
31.024
34.345
9,7%
-52,5%
3,0%
Costruzioni ed installazioni impianti
65.108
76.255
75.345
70.053
26.243
22.944
20.109
20.507
19.998
22.788
12,2%
-65,0%
2,0%
AGRICOLTURA
SERVIZI
866.061
904.740
927.678
942.109
1.060.447
1.057.423
1.049.637
1.079.681
1.116.766
1.087.829
-2,7%
25,6%
94,7%
Commercio
112.900
114.904
110.351
118.155
136.945
120.774
114.684
120.491
115.622
102.664
-12,6%
-9,1%
8,9%
Alberghi e ristoranti
6.381
9.466
7.983
9.984
3.439
2.818
3.422
3.525
2.961
2.835
-4,4%
-55,6%
0,2%
Trasporti e comunicazioni
12.240
14.151
13.325
13.094
10.187
7.901
13.199
13.053
14.550
15.241
4,5%
24,5%
1,3%
Intermediazione monetaria e finanziaria,
attività immobiliari
76.090
79.381
74.529
78.541
94.287
88.623
59.599
55.241
62.290
57.193
-8,9%
-24,8%
5,0%
421.799
429.515
466.483
478.592
572.270
601.908
634.041
670.480
692.409
678.232
-2,1%
60,8%
59,1%
19.706
26.091
25.776
25.949
-
-
-
0
-
0,0%
0,0%
Istruzione, sanità, altri servizi sociali
149.981
154.788
150.383
142.128
185.128
175.688
174.241
170.264
176.723
181.256
2,5%
20,9%
15,8%
Altri servizi pubblici, sociali e alle persone
66.963
76.446
78.847
75.666
58.191
59.289
50.450
46.626
52.212
49.808
-4,8%
-25,6%
4,3%
1.010.856
1.067.508
1.089.299
1.095.105
1.123.706
1.111.618
1.107.073
1.142.647
1.170.491
1.148.400
-1,9%
13,6%
100,0%
Servizi alle imprese, altre attività
professionali e imprenditoriali
Pubblica amministrazione, difesa,
assicurazione sociale obbligatoria
TOTALE OCCUPATI LIBERI PROFESSIONISTI
Fonte: Istat, Medie Forze di Lavoro, vari anni
63
Tabella 9. Iscritti a Ordini e Collegi professionali. Anni 1997-2009
ORDINI/COLLEGI
1995
1996
1997
Psicologi
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007*
2008
2009
27.795
31.029
31.127
35.419
37.742
43.394
44.109
51.065
57.123
62.694
67.815
72.174
Architetti
Giornalisti e
pubblicisti
68.461
70.763
70.763
78.388
80.000
83.162
92.000
100.165
108.783
111.063
122.608
123.083
128.639
133.677
143.995
58.662
72.214
73.928
62.799
64.593
64.593
68.515
69.322
72.740
75.079
90.218
80.130
98.477
101.221
91.625
Ingegneri
115.662
121.625
121.625
130.506
134.185
140.000
150.000
153.009
153.009
165.148
186.547
183.044
198.433
207.005
220.153
Veterinari
17.074
17.345
18.477
18.524
19.610
20.131
20.872
21.600
22.547
23.528
24.107
25.409
26.179
26.852
26.179
24.227
25.358
27.076
29.121
29.121
30.100
31.937
31.937
30.578
34.770
35.722
36.582
Assistenti sociali
Commercialisti ed
esperti contabili
Avvocati e procurat.
(dati cassa forense)
74.416
73.074
80.282
81.923
88.000
85.793
85.830
90.428
92.100
92.916
98.896
100.177
105.981
107.499
109.470
70.413
70.413
71.040
92.202
81.513
110.608
124.437
129.071
129.071
105.307
111.827
121.661
178.134
136.750
144.443
629
629
637
680
697
702
702
702
756
774
810
838
862
881
903
Farmacisti
55.746
57.207
57.914
59.216
60.404
61.326
62.963
65.235
64.130
48.429
69.585
33.549
73.791
75.985
73.080
Consulenti del lav.
16.631
17.153
17.650
17.857
18.412
18.875
19.476
19.897
20.282
20.726
21.239
21.840
22.409
23.074
23.744
Agronomi e forest.
13.641
14.133
14.635
16.034
16.960
17.063
17.257
17.604
18.026
18.584
19.103
19.860
20.240
20.672
20.993
Geologi
10.105
10.811
10.851
12.233
12.998
13.191
13.517
13.854
14.257
14.776
15.094
12.177
15.558
15.502
15.488
Attuari
Geometri
83.548
83.548
83.548
88.861
90.654
92.766
92.766
96.176
84.000
101.960
101.960
101.960
108.860
95.007
95.266
Infermieri
Medici chirurghi ed
odontoiatri
268.796
290.049
304.368
316.805
320.000
319.486
320.657
322.074
329.774
336.994
334.178
336.994
354.623
359.954
376.694
393.727
342.283
312.170
312.170
318.244
321.167
327.558
332.965
316.260
357.219
365.014
370.374
377.726
380.762
385.102
Chimici
8.946
9.074
9.233
9.502
9.500
9.600
9.515
9.528
9.639
9.850
9.877
9.995
9.915
9.952
9.966
Biologi
39.963
40.775
40.138
39.614
39.565
40.386
40.863
40.083
40.778
40.841
41.009
41.230
41.596
41.460
42.137
Ostetriche
15.846
15.483
15.483
15.483
15.560
15.549
14.657
14.565
15.472
14.608
15.821
16.543
16.551
16.608
16.665
Notai
4.490
4.870
4.870
4.480
4.414
4.607
4.680
4.584
4.718
4.765
4.693
4.740
4.671
4.731
4.625
Spedizionieri dog.
Tecnici sanitari di
radiologia medica
2.600
2.360
2.280
2.312
2.300
2.277
2.320
2.344
2.340
2.467
2.400
2.284
2.195
2.132
2.250
19.261
20.054
21.370
21.370
21.156
22.714
20.799
20.799
20.952
20.960
20.701
21.258
21.837
22.347
22.936
Periti industriali
47.430
47.644
47.525
47.525
48.000
48.961
46.626
46.626
46.661
46.129
46.318
46.513
46.345
46.352
45.382
Agrotecnici
15.967
15.967
15.967
15.016
15.607
15.742
15.730
14.937
14.932
14.873
14.869
14.867
14.782
14.808
14.695
Periti agrari
24.134
24.125
23.639
22.500
22.500
22.500
22.500
21.000
22.005
22.005
22.005
22.005
22.005
18.301
17.734
1.374.704
1.391.486
Totale
1.418.393 1.524.096 1.544.182 1.595.793 1.644.187 1.656.726 1.717.685 1.732.842 1.827.241 1.805.584 1.990.309 1.969.409 2.020.905
Fonte: Ns. elaborazione su dati Rapporto annuale Censis, vari anni
64
Tabella 10. Iscritti a Ordini e Collegi professionali per gruppi omogenei. Anni 2000-2005.
PROFESSIONI ECONOMICOGIURIDICHE
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
169.179
168.499
176.759
199.454
195.336
222.862
237.445
247.026
249.267
226.955
239.865
PROFESSIONI TECNICHE
387.894
397.690
397.786
420.565
430.404
442.985
459.911
472.899
471.312
504.388
538.381
PROFESSIONI MEDICO-SOCIALI
758.969
753.083
769.920
841.278
853.849
865.353
878.316
867.479
924.366
926.420
958.777
PROFESSIONI GIORNALISTICHE
58.662
72.214
73.928
62.799
64.593
64.593
68.515
69.322
72.740
75.079
90.218
TOTALE
1.374.704 1.391.486 1.418.393 1.524.096 1.544.182 1.595.793 1.644.187 1.656.726 1.717.685 1.732.842 1.827.241
Fonte: Ns. elaborazione su dati Rapporto annuale Censis, vari anni
Tabella 11. Iscritti a Ordini e Collegi professionali per gruppi omogenei. Anni 2006-2009.
PROFESSIONI ECONOMICOGIURIDICHE
2006
2007*
2008
2009
251.540
314.252
275.067
285.435
564.777
561.276
583.672
PROFESSIONI TECNICHE
533.504
PROFESSIONI MEDICO-SOCIALI
940.410
PROFESSIONI GIORNALISTICHE
80.130
TOTALE
1.012.803 1.031.845 1.060.174
98.477
101.221
91.625
1.805.584 1.990.309 1.969.409 2.020.905
Fonte: Ns. elaborazione su dati Rapporto annuale Censis, vari anni
65
APPENDICE STATISTICA: STRUTTURA DEL
SISTEMA DELLE IMPRESE INDUSTRIALI E
DEI SERVIZI
La struttura delle imprese e dell’occupazione
IMPRESE A ADDETTI NEL 2007. Nel 2007 le imprese attive totali sono 4.480.473 e
occupano, complessivamente, 17.586.031 addetti. La prevalenza di micro imprese
nel sistema produttivo è confermata da 4.247.181 imprese con meno di 10 addetti
che rappresentano il 94,8 per cento del totale ed occupano il 46,42 per cento degli
addetti. Il 21 per cento degli addetti, pari a 3.686.875 unità, lavora nelle piccole
imprese (da 10 a 49 addetti), mentre la quota rilevata nelle imprese di media
dimensione (da 50 a 249 addetti) è il 12,6 per cento (pari a oltre 2,2 milioni di
addetti). Le imprese con più di 250 addetti sono 3.630 imprese (0,08 per cento) e
assorbono il 20 per cento dell’occupazione complessiva (oltre 3,5 milioni di
addetti). La struttura delle imprese, in termini di attività economica si presenta
caratterizzata da una forte concentrazione dell’occupazione nel settore
manifatturiero con 4.449.481 e oltre il 25 per cento degli addetti totali seguito dal
commercio, sia all’ingrosso sia al dettaglio con 3.512.353, che nel complesso
raggiunge il 20 per cento dell’occupazione totale e dal settore delle costruzioni
dove 1.989.694 di imprese occupano poco più dell’11 per cento degli addetti
totali.
LA DISTRIBUZIONE TERRITORIALE. Analizzando la distribuzione territoriale delle
imprese si evidenzia la regione con il maggior numero di imprese che risulta
essere la Lombardia con 899.584 imprese pari al 18,4 per cento del totale seguita
dal Lazio con 448.790 (9,19 per cento), dal Veneto con 444.578 (9,10 per cento),
dall’Emilia Romagna con 421.906 (8,64 per cento), dal Piemonte con 376.847
(7,7 per cento) e dalla Campania con 373.993 pari al 7,7 per cento del totale.
Analizzando la distribuzione territoriale delle imprese per settore di attività
economica, si può notare una forte concentrazione di imprese di servizi di
informazione e comunicazione al Nord-Ovest (35,2 per cento delle totale italiano
delle imprese del settore) seguito dal Centro (24,6 per cento), mentre è
interessante rilevare nei dati relativi alle imprese dedite al commercio all’ingrosso
e al dettaglio, trasporto e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione il dato
del Sud che si attesta al 22,7% del totale italiano delle imprese del settore.
LA DISTRIBUZIONE PER FORMA GIURIDICA. Analizzando infine la distribuzione
delle imprese e degli addetti per forma giuridica, le imprese individuali
66
rappresentano con 2.886.585 di unità il 64,4 per cento del totale e occupano
4.536.531 di addetti pari al 25,8% del totale, seguite dalle società di persone con
815.299 unità pari al 18,2% del totale e 2.965.565 di addetti pari al 16,9 per cento
del totale. Le società di capitali sono 712.765 pari al 15,9 per cento delle imprese
totali e occupano 8.880.703 di addetti pari al 50,5 per cento del totale degli
occupati.
L’ISTAT E L’ARCHIVIO ASIA 2007. L’Istat rende disponibili i dati sulla struttura
delle imprese e dell’occupazione per l’anno 2007 e sulle modifiche intervenute
rispetto all’anno precedente. Le informazioni derivano dall’Archivio statistico
delle imprese attive (ASIA), vale a dire le imprese che hanno svolto un’attività
produttiva per almeno sei mesi nell’anno di riferimento. I dati sono pubblicati, per
la prima volta, utilizzando la nuova classificazione delle attività economiche
Ateco 2007, entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 2008 con un calendario
specifico per le singole indagini statistiche ed unico per i paesi della Ue. Il
registro Asia è costituito dalle unità economiche che esercitano arti e professioni
nelle attività industriali, commerciali e dei servizi alle imprese e alle famiglie e
fornisce informazioni identificative (denominazione e indirizzo) e di struttura
(attività economica, addetti dipendenti e indipendenti, forma giuridica, data di
inizio e fine attività, fatturato) di tali unità. Oltre a costituire la base informativa
per le analisi sull’evoluzione della struttura delle imprese italiane e sulla loro
demografia, ASIA rappresenta l’universo di riferimento delle indagini sulle
imprese condotte dall’Istat. Nelle seguenti tabelle statistiche vengono descritte le
caratteristiche dimensionali delle imprese italiane.
67
Indice delle tavole
Tavola 1
Imprese e addetti per classi di addetti - Anno 2007 (valori assoluti
e percentuali)
Tavola 2
Unità locali e classi di addetti per macroregione- Anno 2007 (valori
assoluti e percentuali)
Tavola 3
Addetti per settori di attività economica e classi di addetti- Anno
2007 (valori assoluti e percentuali)
Tavola 4
Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti,
ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di
attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e
percentuali): Totale
Tavola 5
Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti,
ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di
attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e
percentuali): Attività manifatturiere ed estrattive, altre attività
Tavola 6
Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti,
ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di
attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e
percentuali): Costruzioni
Tavola 7
Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti,
ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di
attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e
percentuali): Commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporto e
magazzinaggio attività di alloggio e ristorazione
Tavola 8
Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti,
ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di
attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e
percentuali): Servizi di informazione e comunicazione
Tavola 9
Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti,
ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di
attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e
percentuali): Attività finanziarie e assicurative
Tavola 10
Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti,
ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di
68
attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e
percentuali): Attività immobiliari
Tavola 11
Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe
ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e
attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori
percentuali): Attività professionali, scientifiche e
attività amministrative e di servizio di supporto
di addetti,
settore di
assoluti e
tecniche,
Tavola 12
Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti,
ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di
attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e
percentuali): Istruzione, sanità e assistenza sociale
Tavola 13
Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti,
ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di
attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e
percentuali): Altre attività di servizi
Tavola 14
Imprese e addetti indipendenti e dipendenti per forma giuridica –
Anno 2007 (valori assoluti e percentuali)
69
Tavola 1 – Imprese e addetti per classi di addetti – Anno 2007 (valori assoluti)
Classi dimensionali
1
Imprese
% Imprese
Totale
addetti
% Addetti
N. Medio
2.593.079
57,88
2.591.717
14,74
1
1.422.300
31,74
3.929.542
22,34
2,8
231.802
5,17
1.642.079
9,34
7,1
4.247.181
94,79
8.163.337
46,42
11
10-19
148.840
3,32
1.954.006
11,11
13,1
20-49
58.064
1,3
1.732.869
9,85
29,8
Totale piccole imprese
206.904
4,62
3.686.875
20,96
43
50-99
14.770
0,33
1.011.182
5,75
68,5
100-249
7.988
0,18
1.200.107
6,82
150,2
250 e più
3.630
0,08
3.524.529
20,04
970,9
Totale medio-grandi imprese
26.388
0,59
5.735.818
32,62
217
4.480.473
100
17.586.031
100
3,9
2-5
6-9
Totale Micro imprese
Totale
Tavola 2–Unità locali e classe di addetti per macroregione – Anno 2007
(valori assoluti e percentuali)
CLASSE DI ADDETTI
NordOvest
UNITA' LOCALI
NordCentro
Sud
Est
Italia
NordOvest
NordEst
ADDETTI
Centro
Sud
Italia
Micro (1-9)
29,2
21,38
21,32
28,1
94,6
29,47
22,5
21,22
26,8
51,01
10-19
31,32
25,69
20,95
22,04
3,36
31,36
25,85
20,9
21,88
12,23
20-49
33,22
27,71
19,49
19,58
1,4
33,65
27,65
19,42
19,28
11,58
Piccole (10-49)
Medio- grandi
(50 e oltre)
64,53
53,4
40,44
41,62
4,76
65,01
53,5
40,32
41,17
23,81
37,79
26,64
18,9
16,67
0,64
38,06
25,08
20,17
16,69
25,18
Totale
29,38
21,64
21,27
27,7
100
32,35
24,16
20,71
22,78
100
Totale valore assoluto
1.435.041
1.057.191 1.038.888 1.353.193 4.884.313 5.688.962 4.248.365 3.641.936 4.006.782 17.586.044
70
Tavola 3 – Addetti per settore di attività economica e classi di addetti – Anno
2007 (valori assoluti e percentuali)
ATTIVITA' ECONOMICHE (a)
MICRO (1-9)
PICCOLE
(10-49)
MEDIO-GRANDI
(50 e piu')
TOTALE
N.
%
N.
%
N.
%
7.327
18,61
13.700
34,8
18.336
46,58
1.079.243
24,26
3.593
4,14
6.449
7,42
76.824
88,44
86.866
17.273
10,68
30.730
18,99
113.790
70,33
161.793
1.262.504
63,45
537.019
26,99
190.171
9,56
1.989.694
2.210.454
62,93
613.918
17,48
687.981
19,59
3.512.353
Trasporto e magazzinaggio
Attivita' dei servizi di alloggio e
di ristorazione
259.141
23,05
201.999
17,97
663.020
58,98
1.124.161
734.701
61,6
260.046
21,8
197.891
16,59
1.192.638
Servizi di informazione e comunicazione
182.544
32,31
95.784
16,95
286.733
50,74
565.061
Attivita' finanziarie e assicurative
127.823
21,74
31.596
5,37
428.617
72,89
588.036
Attivita' immobiliari
Attivita' professionali,
scientifiche e tecniche
Noleggio, agenzie di viaggio,
servizi di supporto alle imprese
289.660
94,06
10.949
3,56
7.330
2,38
307.939
930.744
77,93
127.215
10,65
136.352
11,42
1.194.311
259.687
23,94
158.791
14,64
666.358
61,42
1.084.837
Istruzione
43.297
55,44
23.596
30,22
11.200
14,34
78.093
Sanita' e assistenza sociale
Attivita' artistiche, sportive,
di intrattenimento e divertimento
318.535
49,29
85.710
13,26
241.989
37,45
646.234
99.678
60,74
37.202
22,67
27.224
16,59
164.104
Altre attivita' di servizi
337.134
84,06
41.097
10,25
22.837
5,69
401.067
8.163.337
46,42
Estrazione di minerali da
cave e miniere
Attivita' manifatturiere
Fornitura di energia elettrica,
gas, vapore e aria condizionata
Fornitura di acqua
Costruzioni
Commercio all'ingrosso e al
dettaglio
TOTALE
1.411.074 31,71 1.959.164 44,03
39.363
4.449.481
3.686.875 20,96 5.735.818 32,62 17.586.031
71
Tavola 4 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti,
ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore di attività
economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE
AUT.
MC
PI
MGI
TOT
%
MC
PI
MGI
TOT
%
01 - Piemonte
7,71
7,65
9,56
376.847
7,72
7,74
7,77
10,15
1.469.241
8,35
02 - Valle d'Aosta
0,27
0,23
0,18
13.218
0,27
0,3
0,22
0,18
44.053
0,25
03 - Lombardia
18,21 21,45 25,88
899.584
18,42 18,37 21,98
25,5
3.696.865
21,02
145.392
2,98
2,24
478.802
2,72
5.688.962
32,35
07 - Liguria
3
Nord-Ovest
29,2
31,88 37,79 1.435.041 29,38 29,47 32,47 38,06
021 - Bolzano
0,93
1,24
0,94
46.343
0,95
1,05
1,24
0,84
182.742
1,04
022 - Trento
0,92
1,15
1,02
45.267
0,93
1,01
1,13
0,93
179.164
1,02
04 - Trentino-Alto Adige
1,85
2,39
1,96
91.610
1,88
2,06
2,37
1,76
361.906
2,06
05 - Veneto
8,96
11,6
11,51
444.578
9,1
9,43
11,86 10,36
1.801.251
10,24
2
2,45
2,64
99.097
2,03
2,13
2,47
08 - Emilia-Romagna
8,56
9,85
10,54
421.906
8,64
8,89
Nord-Est
21,38 26,28 26,64 1.057.191 21,64
09 - Toscana
7,52
7,64
5,67
366.807
10 - Umbria
1,57
1,64
1,39
76.963
11 - Marche
2,97
3,59
2,89
12 - Lazio
9,27
7,66
8,95
Centro
21,32 20,52
18,9
13 - Abruzzo
2,27
2,06
2,04
14 - Molise
0,48
0,38
15 - Campania
7,77
5,72
16 - Puglia
5,57
4,43
3,08
17 - Basilicata
0,81
0,61
0,55
18 - Calabria
2,53
1,58
1,17
Sud
19,43 14,77 11,99
19 - Sicilia
6,16
4,5
20 - Sardegna
2,51
2,04
Isole
8,67
ITALIA
94,6
06 - Friuli-Venezia Giulia
2,55
2,17
3,06
2,51
2,63
410.783
2,34
10,03 10,32
1.674.425
9,52
22,5
26,73 25,08
4.248.365
24,16
7,51
7,8
7,45
5,32
1.247.395
7,09
1,58
1,64
1,61
1,18
266.341
1,51
146.328
3
3,14
3,56
2,5
541.539
3,08
448.790
9,19
8,65
7,56
11,16
1.586.660
9,02
1.038.888 21,27 21,22 20,18 20,17
3.641.936
20,71
377.858
2,15
110.217
2,26
2,24
2,04
2,06
0,3
23.326
0,48
0,47
0,36
0,29
69.922
0,4
4,86
373.993
7,66
7,12
5,63
5,01
1.096.313
6,23
268.395
5,5
5,41
4,23
3,27
807.304
4,59
39.175
0,8
0,78
0,6
0,62
122.229
0,7
120.873
2,47
2,31
1,52
0,96
312.720
1,78
935.979
19,16 18,33 14,38
12,2
2.786.344
15,84
3,11
296.149
6,06
5,94
4,3
3,07
848.689
4,83
1,58
121.065
2,48
2,54
1,94
1,42
371.748
2,11
6,54
4,68
417.214
8,54
8,48
6,24
4,49
1.220.438
6,94
4,76
0,64
4.884.313
100
51,01 23,81 25,18 17.586.044
100
72
Tavola 5 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore
di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali )
ATTIVITÀ MANIFATTURIERE ED ESTRATTIVE, ALTRE ATTIVITÀ’
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI
TOTALE
TOTALE %
01 - Piemonte
7,92
8,31
10,66
44.535
8,04
8,1
8,43
12,19
466.014
9,84
02 - Valle d'Aosta
0,18
0,11
0,14
948
0,17
0,17
0,11
0,16
7.020
0,15
03 - Lombardia
19,44
24,16
26,59
112.459
20,31
21,12
24,4
24,98
1.120.633
23,66
07 - Liguria
2,16
1,57
1,25
11.340
2,05
2,15
1,54
1,65
81.999
1,73
Nord-Ovest
29,69
34,15
38,64
169.282
30,57
29,39
34,48
38,97
1.675.665
35,38
021 - Bolzano
0,74
0,64
0,79
4.021
0,73
0,72
0,65
0,83
34.872
0,74
022 - Trento
0,8
0,84
1,01
4.507
0,81
0,82
0,86
0,91
40.892
0,86
04 - Trentino-Alto Adige
1,54
1,48
1,81
8.528
1,54
1,53
1,51
1,73
75.763
1,6
05 - Veneto
10,43
14,7
14,42
61.800
11,16
11,58
15,07
13,08
628.828
13,28
06 - Friuli-Venezia Giulia
1,92
2,75
3,2
11.503
2,08
2,14
2,82
3,26
133.013
2,81
08 - Emilia-Romagna
8,87
11,29
12,11
51.532
9,31
9,87
11,47
11,98
530.889
11,21
Nord-Est
22,77
30,22
31,53
133.363
24,08
25,12
30,87
30,06
1.368.494
28,9
09 - Toscana
9,37
8,73
5,46
50.809
9,18
9,96
8,31
5,08
348.609
7,36
10 - Umbria
1,67
1,7
1,67
9.255
1,67
1,73
1,68
1,52
76.827
1,62
11 - Marche
3,88
5,18
4,35
22.609
4,08
4,34
5,17
3,72
205.265
4,33
12 - Lazio
5,75
3,47
4,26
29.774
5,38
5,14
3,34
5,35
218.027
4,6
Centro
20,66
19,07
15,75
112.447
20,31
21,17
18,5
15,67
848.728
17,92
13 - Abruzzo
2,36
2,14
2,55
12.915
2,33
2,27
2,17
2,84
116.406
2,46
73
(segue) Tavola 5 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e
settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali )
ATTIVITÀ MANIFATTURIERE ED ESTRATTIVE, ALTRE ATTIVITÀ’
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI
TOTALE
TOTALE %
14 - Molise
0,46
0,34
0,32
2.444
0,44
0,42
0,33
0,41
18.278
0,39
15 - Campania
7,21
4,58
4,12
37.335
6,74
6,38
4,54
4,35
232.378
4,91
16 - Puglia
5,64
4,09
2,76
29.584
5,34
5,39
3,92
3,26
189.560
4
17 - Basilicata
0,82
0,53
0,73
4.280
0,77
0,74
0,54
0,89
34.678
0,73
18 - Calabria
2,37
0,96
0,57
11.744
2,12
1,95
0,88
0,44
45.894
0,97
Sud
18,87
12,62
11,05
98.302
17,75
17,16
12,38
12,19
637.194
13,45
19 - Sicilia
5,7
2,78
1,99
28.661
5,18
5,07
2,64
2,1
143.303
3,03
20 - Sardegna
2,31
1,16
1,04
11.685
2,11
2,1
1,13
1,01
62.521
1,32
Isole
8,01
3,94
3,04
40.346
7,29
7,17
3,76
3,11
205.824
4,35
ITALIA
82,78
14,76
2,46
553.740
100
25,59
32,85
41,01
4.735.905
100
74
Tavola 6 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore
di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
COSTRUZIONI
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
01 - Piemonte
8,74
6,89
6,36
58.322
8,65
8,08
6,88
6,38
152.030
7,66
02 - Valle d'Aosta
0,38
0,41
0,21
2.585
0,38
0,38
0,43
0,14
7.501
0,38
03 - Lombardia
18,89
18,44
21,57
127.311
18,88
17,96
19,12
23,34
369.663
18,62
07 - Liguria
3,14
2,59
2,5
21.025
3,12
2,81
2,6
1,98
53.650
2,7
Nord-Ovest
31,16
28,33
30,64
209.243
31,02
29,24
29,02
31,84
582.843
29,36
021 - Bolzano
0,9
1,53
2,36
6.280
0,93
0,97
1,69
2,04
24.320
1,23
022 - Trento
1,1
1,61
1,36
7.603
1,13
1,11
1,75
0,95
25.118
1,27
2
3,15
3,71
13.883
2,06
2,08
3,44
3
49.438
2,49
10,01
9,9
9,29
67.447
10
9,38
10,16
8,11
188.435
9,49
06 - Friuli-Venezia Giulia
2,1
2,27
2
14.234
2,11
1,99
2,32
1,74
40.784
2,05
08 - Emilia-Romagna
9,68
7,18
9,14
64.498
9,56
8,61
7,08
11,66
167.354
8,43
Nord-Est
23,79
22,5
24,14
160.062
23,73
22,06
22,99
24,5
446.012
22,47
09 - Toscana
8,02
6,57
4,07
53.590
7,95
7,58
6,3
3,94
139.074
7,01
10 - Umbria
1,69
2,12
1,36
11.496
1,7
1,81
2,1
1,1
36.513
1,84
11 - Marche
3,14
2,55
1,36
20.989
3,11
3,07
2,49
1,01
55.183
2,78
12 - Lazio
7,66
9,62
10,71
52.340
7,76
8,1
9,54
10,27
170.968
8,61
Centro
20,51
20,86
17,5
138.415
20,52
20,55
20,43
16,33
401.738
20,24
13 - Abruzzo
2,36
2,32
2
15.927
2,36
2,56
2,22
2,04
48.413
2,44
14 - Molise
0,53
0,6
0,93
3.617
0,54
0,59
0,58
0,79
11.877
0,6
04 - Trentino-Alto Adige
05 - Veneto
75
(segue) Tavola 6 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e
settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
COSTRUZIONI
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI
TOTALE
TOTALE %
15 - Campania
5,91
6,92
7,43
40.167
5,96
6,85
6,83
7,27
136.433
6,87
16 - Puglia
4,89
6,02
5,64
33.361
4,95
5,7
5,77
5,77
113.678
5,73
17 - Basilicata
0,82
0,98
0,57
5.545
0,82
0,97
0,95
0,69
18.696
0,94
18 - Calabria
2,21
2,41
2,64
14.951
2,22
2,46
2,34
2,86
48.760
2,46
Sud
16,72
19,24
19,21
113.568
16,84
19,12
18,69
19,41
377.857
19,03
19 - Sicilia
5,22
5,9
6
35.431
5,25
6
5,86
5,97
118.351
5,96
20 - Sardegna
2,6
3,18
2,5
17.722
2,63
3,02
3
1,95
58.434
2,94
Isole
7,82
9,08
8,5
53.153
7,88
9,02
8,86
7,92
176.785
8,91
ITALIA
95,19
4,6
0,21
674.441
100
67,77
25,43
6,81
1.985.235
100
76
Tavola 7 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore
di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
COMMERCIO ALL'INGROSSO E AL DETTAGLIO, TRASPORTO E MAGAZZINAGGIO ATTIVITA' DI ALLOGGIO E RISTORAZIONE
REGIONI / PROVINCE
AUT.
UNITA' LOCALI
MICRO PICCOLE
ADDETTI
MEDIOGRANDI
TOTALE
TOTALE
%
MICRO PICCOLE
MEDIOGRANDI
TOTALE
TOTALE
%
01 - Piemonte
7,42
6,73
8
135.229
7,39
7,49
6,73
7,58
428.313
7,33
02 - Valle d'Aosta
0,26
0,26
0,19
4.758
0,26
0,33
0,27
0,18
16.920
0,29
03 - Lombardia
15,12
18,78
24,48
279.955
15,31
15,81
19,37
25,57
1.066.561
18,26
07 - Liguria
3,12
3,36
3,54
57.314
3,13
3,38
3,3
3,69
199.612
3,42
Nord-Ovest
25,92
29,13
36,21
477.256
26,09
27,01
29,66
37,02
1.711.407
29,3
021 - Bolzano
1,12
1,98
1,37
21.144
1,16
1,34
1,97
1,18
84.821
1,45
022 - Trento
0,89
1,38
0,87
16.701
0,91
1,1
1,31
0,9
65.039
1,11
04 - Trentino-Alto Adige
2,01
3,37
2,24
37.845
2,07
2,44
3,28
2,08
149.860
2,57
05 - Veneto
8,46
10,78
10,17
156.655
8,56
9,14
10,92
8,96
555.212
9,51
06 - Friuli-Venezia Giulia
1,97
2,45
2,07
36.448
1,99
2,17
2,44
1,8
126.496
2,17
08 - Emilia-Romagna
7,9
9,86
9,93
146.184
7,99
8,59
10,01
9,21
526.250
9,01
Nord-Est
20,35
26,46
24,4
377.132
20,62
22,33
26,65
22,05
1.357.818
23,25
09 - Toscana
6,98
7,67
6,67
128.151
7,01
7,41
7,62
6,2
423.588
7,25
10 - Umbria
1,54
1,64
1,12
28.155
1,54
1,6
1,62
0,97
87.684
1,5
11 - Marche
2,91
2,94
1,68
53.196
2,91
3,03
2,76
1,38
157.116
2,69
12 - Lazio
8,95
9,18
11,25
164.119
8,97
8,66
9,28
14,33
570.091
9,76
Centro
20,38
21,42
20,72
373.621
20,43
20,71
21,29
22,88
1.238.478
21,21
13 - Abruzzo
2,39
2
1,59
43.345
2,37
2,31
1,96
1,33
120.468
2,06
77
(segue) Tavola 7 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e
settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
COMMERCIO ALL'INGROSSO E AL DETTAGLIO, TRASPORTO E MAGAZZINAGGIO ATTIVITA' DI ALLOGGIO E RISTORAZIONE
REGIONI / PROVINCE
AUT.
UNITA' LOCALI
MICRO PICCOLE
ADDETTI
MEDIOGRANDI
TOTALE
TOTALE
%
MICRO PICCOLE
MEDIOGRANDI
TOTALE
TOTALE
%
14 - Molise
0,54
0,31
0,24
9.694
0,53
0,49
0,3
0,19
23.251
0,4
15 - Campania
9,48
6,25
5,6
170.658
9,33
8,08
6,19
5,51
421.858
7,22
16 - Puglia
6,67
4,31
3,38
119.979
6,56
6,02
4,09
3,21
298.583
5,11
17 - Basilicata
0,91
0,56
0,35
16.405
0,9
0,82
0,54
0,34
39.357
0,67
18 - Calabria
3,11
1,88
1,63
55.837
3,05
2,67
1,88
1,56
134.670
2,31
Sud
23,1
15,31
12,78
415.918
22,74
20,39
14,96
12,13
1.038.187
17,78
19 - Sicilia
7,43
5,31
3,82
134.011
7,33
6,76
5,13
3,93
345.568
5,92
20 - Sardegna
2,82
2,37
2,08
51.158
2,8
2,79
2,31
2
148.942
2,55
Isole
10,25
7,68
5,9
185.169
10,12
9,56
7,44
5,92
494.510
8,47
ITALIA
95,49
4,1
0,41
1.829.096
100
60,66
22,39
16,96
5.840.399
100
78
Tavola 8 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore
di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
SERVIZI DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
01 - Piemonte
7,96
8,91
8,77
9.035
8,03
8,06
9,15
8,89
47.831
8,64
02 - Valle d'Aosta
0,24
0,19
0,3
269
0,24
0,26
0,18
0,28
1.382
0,25
03 - Lombardia
24,23
24,75
27,51
27.360
24,3
23,83
25,02
27,35
141.441
25,55
07 - Liguria
2,61
2,71
1,41
2.932
2,6
2,64
2,82
1,17
11.440
2,07
Nord-Ovest
35,05
36,56
37,99
39.596
35,17
34,78
37,17
37,7
202.094
36,51
021 - Bolzano
0,86
1,08
0,52
974
0,87
0,93
1
0,37
3.934
0,71
022 - Trento
0,91
1,17
0,89
1.043
0,93
1
1,08
0,65
4.820
0,87
04 - Trentino-Alto Adige
1,77
2,26
1,41
2.017
1,79
1,93
2,08
1,02
8.754
1,58
05 - Veneto
8,33
8,4
7,14
9.368
8,32
8,94
8,08
5,58
40.684
7,35
06 - Friuli-Venezia Giulia
2,16
2,13
1,04
2.414
2,14
2,35
1,99
0,84
9.104
1,64
08 - Emilia-Romagna
8,35
9,48
8,25
9.473
8,41
8,58
8,96
5,51
40.867
7,38
Nord-Est
20,61
22,26
17,84
23.272
20,67
21,8
21,12
12,95
99.410
17,96
09 - Toscana
6,86
6,03
3,57
7.622
6,77
7,06
5,87
2,66
27.485
4,97
10 - Umbria
1,47
1,44
1,04
1.645
1,46
1,41
1,24
0,45
5.377
0,97
11 - Marche
2,35
2,29
1,34
2.626
2,33
2,56
2,09
0,9
9.768
1,76
12 - Lazio
13,81
15,21
24,46
15.776
14,01
12,69
16,55
32,05
119.563
21,6
Centro
24,48
24,97
30,41
27.669
24,58
23,72
25,75
36,04
162.192
29,3
13 - Abruzzo
1,77
1,33
1,04
1.960
1,74
1,69
1,26
0,62
6.378
1,15
79
(segue) Tavola 8 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e
settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
SERVIZI DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
14 - Molise
0,3
0,28
0,3
333
0,3
0,32
0,31
0,11
1.262
0,23
15 - Campania
5,59
4,81
3,27
6.211
5,52
5,25
4,82
4,86
27.647
4,99
16 - Puglia
3,55
3,24
2,45
3.960
3,52
3,66
3,43
2,11
16.415
2,97
17 - Basilicata
0,57
0,41
0,52
629
0,56
0,61
0,45
0,38
2.638
0,48
18 - Calabria
1,75
1,33
1,56
1.942
1,73
1,71
1,34
1,04
7.497
1,35
Sud
13,53
11,4
9,14
15.035
13,36
13,25
11,61
9,11
61.836
11,17
19 - Sicilia
4,15
3,43
3,27
4.615
4,1
4,23
3,08
2,84
18.829
3,4
20 - Sardegna
2,18
1,38
1,34
2.391
2,12
2,21
1,27
1,35
9.152
1,65
Isole
6,33
4,81
4,61
7.006
6,22
6,44
4,35
4,2
27.981
5,06
ITALIA
93,13
5,67
1,19
112.578
100
36,82
21,43
41,75
553.513
100
80
Tavola 9 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e settore
di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
ATTIVITA' FINANZIARIE E ASSICURATIVE
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
01 - Piemonte
8,35
7,81
8,52
9.303
8,32
8,28
8,03
9,57
50.763
8,65
02 - Valle d'Aosta
0,24
0,22
0,22
271
0,24
0,24
0,22
0,06
1.023
0,17
03 - Lombardia
19,91
24,18
37
22.777
20,36
20,12
25,34
34,03
152.328
25,95
07 - Liguria
3,19
3,07
2,59
3.556
3,18
3,26
3,16
1,42
15.418
2,63
Nord-Ovest
31,7
35,29
48,33
35.907
32,1
31,9
36,75
45,08
219.533
37,4
021 - Bolzano
0,74
1,15
1,19
863
0,77
0,87
1,35
0,76
5.542
0,94
022 - Trento
1,02
0,97
1,29
1.140
1,02
1,03
1,18
0,61
5.427
0,92
04 - Trentino-Alto Adige
1,76
2,12
2,48
2.003
1,79
1,9
2,52
1,36
10.969
1,87
05 - Veneto
9,4
8,63
6,36
10.426
9,32
9,69
8,06
7,55
50.494
8,6
06 - Friuli-Venezia Giulia
2,29
2,02
2,48
2.547
2,28
2,46
2,06
3,31
15.529
2,65
08 - Emilia-Romagna
8,99
8,9
6,9
10.028
8,96
9,58
8,75
8,6
53.173
9,06
Nord-Est
22,44
21,67
18,23
25.004
22,35
23,63
21,4
20,82
130.165
22,18
09 - Toscana
7,28
6,58
5,29
8.067
7,21
7,44
6,74
6,76
41.382
7,05
10 - Umbria
1,82
1,27
0,76
1.981
1,77
1,77
1,17
0,4
6.886
1,17
11 - Marche
3,15
2,54
1,73
3.457
3,09
3,25
2,53
1,29
14.280
2,43
12 - Lazio
9,78
11,23
14,67
11.108
9,93
9,05
11,2
16,92
71.369
12,16
Centro
22,03
21,62
22,44
24.613
22
21,51
21,64
25,36
133.916
22,81
13 - Abruzzo
1,98
1,48
0,97
2.160
1,93
1,9
1,34
0,72
8.097
1,38
81
(segue) Tavola 9 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e
settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
ATTIVITA' FINANZIARIE E ASSICURATIVE
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
14 - Molise
0,46
0,35
0
500
0,45
0,43
0,32
0
1.526
0,26
15 - Campania
6,71
5,94
2,27
7.404
6,62
5,93
5,54
2,1
26.810
4,57
16 - Puglia
4,67
4,09
2,37
5.155
4,61
4,71
3,94
1,87
21.084
3,59
17 - Basilicata
0,68
0,46
0,11
734
0,66
0,69
0,39
0,08
2.453
0,42
18 - Calabria
1,93
1,66
0,54
2.120
1,89
1,84
1,67
0,53
8.024
1,37
Sud
16,42
13,98
6,26
18.073
16,15
15,5
13,2
5,3
67.994
11,58
19 - Sicilia
5,61
5,4
3,02
6.236
5,57
5,62
4,99
2,23
25.539
4,35
20 - Sardegna
1,81
2,05
1,73
2.041
1,82
1,83
2,02
1,22
9.821
1,67
Isole
7,42
7,44
4,75
8.277
7,4
7,45
7,02
3,44
35.359
6,02
ITALIA
91,92
7,25
0,83
111.874
100
43,43
23,48
33,09
586.967
100
82
Tavola 10 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e
settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
ATTIVITA' IMMOBILIARI
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
01 - Piemonte
8,22
5,74
2,38
16.410
8,21
8,92
6,49
2
26.948
8,74
02 - Valle d'Aosta
0,26
0
0
514
0,26
0,31
0
0
905
0,29
03 - Lombardia
27,48
30,06
40,48
54.974
27,49
27,12
29,05
43,56
84.600
27,42
07 - Liguria
3,1
2,27
0
6.201
3,1
3,23
1,69
0
9.635
3,12
Nord-Ovest
39,06
38,07
42,86
78.099
39,06
39,57
37,22
45,55
122.088
39,58
021 - Bolzano
0,93
1,66
0
1.862
0,93
0,98
1,84
0
3.065
0,99
022 - Trento
1,04
0,45
0
2.078
1,04
1,01
0,39
0
3.012
0,98
04 - Trentino-Alto Adige
1,97
2,11
0
3.940
1,97
1,99
2,23
0
6.077
1,97
05 - Veneto
12,78
10,88
7,14
25.531
12,77
12,56
10,91
5,72
38.262
12,4
06 - Friuli-Venezia Giulia
2,05
1,66
2,38
4.088
2,04
2,19
1,77
1,41
6.675
2,16
08 - Emilia-Romagna
11,96
8,46
11,9
23.895
11,95
12,27
8,89
9,31
37.339
12,1
Nord-Est
28,76
23,11
21,43
57.454
28,74
29,01
23,8
16,44
88.354
28,64
09 - Toscana
9,42
7,1
4,76
18.825
9,42
9,42
6,79
2,89
28.470
9,23
10 - Umbria
1,31
1,06
0
2.613
1,31
1,28
1,11
0
3.880
1,26
11 - Marche
2,91
1,36
0
5.799
2,9
2,92
1,63
0
8.721
2,83
12 - Lazio
8,76
14,65
19,05
17.551
8,78
8,1
15,39
24,21
26.519
8,6
Centro
22,39
24,17
23,81
44.788
22,4
21,72
24,92
27,1
67.590
21,91
13 - Abruzzo
1,13
1,96
0
2.271
1,14
1,13
2,04
0
3.547
1,15
83
(segue) Tavola 10 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma
e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
ATTIVITA' IMMOBILIARI
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
14 - Molise
0,15
0,45
0
293
0,15
0,16
0,56
0
519
0,17
15 - Campania
3,07
3,78
4,76
6.150
3,08
3,01
3,42
5,56
9.459
3,07
16 - Puglia
1,9
3,02
0
3.812
1,91
1,8
2,82
0
5.591
1,81
17 - Basilicata
0,15
0,3
0
291
0,15
0,15
0,49
0
492
0,16
18 - Calabria
0,51
1,81
2,38
1.036
0,52
0,52
1,47
1,17
1.749
0,57
Sud
6,91
11,33
7,14
13.853
6,93
6,78
10,81
6,72
21.358
6,92
19 - Sicilia
1,84
2,57
2,38
3.678
1,84
1,85
2,56
2,68
5.834
1,89
20 - Sardegna
1,04
0,76
2,38
2.072
1,04
1,07
0,69
1,5
3.271
1,06
Isole
2,87
3,32
4,76
5.750
2,88
2,92
3,25
4,18
9.104
2,95
ITALIA
99,65
0,33
0,02
199.944
100
94,94
3,61
1,45
308.494
100
84
Tavola 11 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e
settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
ATTIVITA' PROFESSIONALI, SCIENTIFICHE E TECNICHE, ATTIVITA' AMMINISTRATIVE E DI SERVIZI DI SUPPORTO
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
01 - Piemonte
7,2
9
10,33
63.545
7,25
7,6
8,97
10,15
195.831
8,57
02 - Valle d'Aosta
0,28
0,24
0,19
2.457
0,28
0,29
0,24
0,1
5.156
0,23
03 - Lombardia
20,12
25,92
27,36
177.748
20,28
20,71
26,06
25,9
526.917
23,07
07 - Liguria
2,96
2,95
2,44
25.948
2,96
3,1
3,01
2,45
66.066
2,89
Nord-Ovest
30,57
38,12
40,32
269.698
30,77
31,71
38,27
38,6
793.970
34,76
021 - Bolzano
0,8
0,85
0,49
7.027
0,8
0,87
0,79
0,49
16.966
0,74
022 - Trento
0,88
0,84
1,06
7.736
0,88
0,92
0,81
1,22
22.650
0,99
04 - Trentino-Alto Adige
1,69
1,69
1,55
14.763
1,68
1,78
1,6
1,71
39.617
1,73
05 - Veneto
8,22
8,99
9,71
72.216
8,24
8,57
8,91
7,68
190.713
8,35
06 - Friuli-Venezia Giulia
1,96
2,19
2,91
17.234
1,97
2,07
2,16
2,68
51.771
2,27
08 - Emilia-Romagna
8,22
8,92
8,8
72.166
8,23
8,48
9,17
8,28
194.579
8,52
Nord-Est
20,08
21,79
22,97
176.379
20,13
20,89
21,85
20,36
476.679
20,87
09 - Toscana
7,19
6
5,27
62.663
7,15
7,34
5,97
5,08
147.493
6,46
10 - Umbria
1,55
1,09
1,04
13.461
1,54
1,56
1,06
0,86
29.132
1,28
11 - Marche
2,63
2,34
1,95
22.923
2,62
2,7
2,33
1,9
54.814
2,4
12 - Lazio
11,16
11,46
11,58
97.880
11,17
10,81
11,5
14,41
274.094
12
Centro
22,52
20,9
19,84
196.927
22,47
22,41
20,86
22,26
505.534
22,13
13 - Abruzzo
2,14
1,77
1,93
18.704
2,13
2,05
1,8
1,86
44.695
1,96
85
(segue) Tavola 11 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma
e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
ATTIVITA' PROFESSIONALI, SCIENTIFICHE E TECNICHE, ATTIVITA' AMMINISTRATIVE E DI SERVIZI DI SUPPORTO
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI
TOTALE
TOTALE %
14 - Molise
0,46
0,42
0,21
4.052
0,46
0,44
0,35
0,16
7.775
0,34
15 - Campania
7,63
5,07
4,91
66.260
7,56
6,93
5,19
6,17
147.120
6,44
16 - Puglia
5,17
4,02
3,21
45.036
5,14
4,88
3,97
3,98
102.176
4,47
17 - Basilicata
0,86
0,57
0,51
7.430
0,85
0,77
0,54
0,62
15.749
0,69
18 - Calabria
2,42
1,35
1,34
20.935
2,39
2,14
1,3
1,09
38.738
1,7
Sud
18,68
13,2
12,11
162.417
18,53
17,2
13,16
13,88
356.254
15,6
19 - Sicilia
5,74
3,92
2,97
49.817
5,68
5,43
3,89
3,21
103.446
4,53
20 - Sardegna
2,42
2,08
1,78
21.122
2,41
2,37
1,98
1,69
48.094
2,11
Isole
8,16
6
4,76
70.939
8,09
7,8
5,86
4,9
151.540
6,63
ITALIA
97,39
2,07
0,54
876.360
100
54,96
14,82
30,22
2.283.977
100
86
Tavola 12 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e
settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
ISTRUZIONE, SANITA' E ASSISTENZA SOCIALE
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
01 - Piemonte
7,41
9,04
10,06
19.525
7,47
7,37
9,81
8,8
59.507
8,23
02 - Valle d'Aosta
0,26
0,41
0,21
698
0,27
0,25
0,38
0,2
1.896
0,26
19
13,89
19,28
49.324
18,86
17,78
14,13
21,17
130.285
18,02
3,23
3,18
2,55
8.443
3,23
3,23
3,11
1,9
20.546
2,84
Nord-Ovest
29,9
26,52
32,09
77.990
29,82
28,64
27,43
32,07
212.234
29,36
021 - Bolzano
0,76
0,6
0,41
1.983
0,76
0,82
0,57
0,25
4.450
0,62
022 - Trento
0,84
1,19
1,45
2.240
0,86
0,9
1,21
0,93
7.019
0,97
04 - Trentino-Alto Adige
1,61
1,79
1,86
4.223
1,61
1,73
1,79
1,18
11.469
1,59
05 - Veneto
7,6
6,5
6,89
19.797
7,57
7,71
6,37
8,57
55.597
7,69
06 - Friuli-Venezia Giulia
2,08
1,58
1,72
5.395
2,06
2,18
1,39
2,81
15.905
2,2
08 - Emilia-Romagna
8,16
8,56
9,57
21.386
8,18
8,04
8,57
12,41
67.614
9,35
Nord-Est
19,45
18,42
20,04
50.801
19,43
19,65
18,12
24,96
150.585
20,83
09 - Toscana
6,68
5,48
7,23
17.390
6,65
6,38
5,71
6,91
46.231
6,4
10 - Umbria
1,51
0,85
2
3.904
1,49
1,51
0,88
1,64
10.296
1,42
11 - Marche
2,5
2,51
2,41
6.526
2,5
2,51
2,48
2,62
18.312
2,53
12 - Lazio
12
8,87
11,57
31.156
11,91
11,46
8,88
10,96
78.280
10,83
Centro
22,68
17,71
23,21
58.976
22,55
21,85
17,94
22,13
153.119
21,18
13 - Abruzzo
2,23
2,04
1,72
5.815
2,22
2,11
2,28
1,83
14.916
2,06
03 - Lombardia
07 - Liguria
87
(segue) Tavola 12 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma
e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
ISTRUZIONE, SANITA' E ASSISTENZA SOCIALE
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
14 - Molise
0,41
0,62
0,41
1.091
0,42
0,41
0,62
0,34
3.114
0,43
15 - Campania
7,87
9,95
7,92
20.734
7,93
8,41
9,76
6,21
58.252
8,06
16 - Puglia
4,99
5,34
3,03
13.037
4,99
5,3
5,11
2,71
32.869
4,55
17 - Basilicata
0,73
1,18
0,41
1.929
0,74
0,74
1,1
0,23
4.832
0,67
18 - Calabria
2,29
2,7
2,48
6.026
2,3
2,42
2,82
1,63
16.477
2,28
Sud
18,52
21,82
15,98
48.632
18,6
19,4
21,68
12,96
130.460
18,05
19 - Sicilia
6,88
11,38
6,61
18.305
7
7,83
10,97
6,44
58.147
8,04
20 - Sardegna
2,56
4,14
2,07
6.798
2,6
2,64
3,85
1,43
18.324
2,53
Isole
9,44
15,52
8,68
25.103
9,6
10,47
14,83
7,87
76.471
10,58
ITALIA
96,75
2,69
0,56
261.502
100
53,2
19,08
27,72
722.870
100
88
Tavola 13 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma e
settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
ALTRE ATTIVITA' DI SERVIZI
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
01 - Piemonte
7,93
6,73
7,1
20.943
7,91
7,75
6,5
5
42.003
7,39
02 - Valle d'Aosta
0,27
0,18
0,57
718
0,27
0,29
0,17
2,02
2.249
0,4
03 - Lombardia
17,97
20,14
15,34
47.676
18,01
18,16
20,48
16,79
104.438
18,36
07 - Liguria
3,26
3,11
4,26
8.633
3,26
3,57
3
4,93
20.437
3,59
Nord-Ovest
29,44
30,17
27,27
77.970
29,45
29,76
30,14
28,75
169.127
29,74
021 - Bolzano
0,83
0,78
0,85
2.189
0,83
0,84
0,9
0,68
4.773
0,84
022 - Trento
0,84
1,01
0,85
2.219
0,84
0,89
1,01
0,94
5.186
0,91
04 - Trentino-Alto Adige
1,66
1,8
1,7
4.408
1,66
1,74
1,91
1,62
9.959
1,75
05 - Veneto
8,04
9,08
10,23
21.338
8,06
8,57
9,58
17,31
53.024
9,32
06 - Friuli-Venezia Giulia
1,98
1,91
2,27
5.234
1,98
2,1
1,84
1,47
11.506
2,02
08 - Emilia-Romagna
8,56
10,14
14,2
22.744
8,59
9,42
10,84
13,73
56.360
9,91
Nord-Est
20,24
22,93
28,41
53.724
20,29
21,83
24,17
34,12
130.849
23,01
09 - Toscana
7,41
8,8
6,53
19.690
7,44
8,12
8,29
5,01
45.063
7,92
10 - Umbria
1,68
1,64
1,7
4.453
1,68
1,76
1,58
1,46
9.747
1,71
11 - Marche
3,09
3,55
1,99
8.203
3,1
3,33
3,39
1,08
18.080
3,18
11
9,66
12,78
29.086
10,99
9,96
9,61
13,35
57.750
10,15
23,19
23,65
23,01
61.432
23,2
23,17
22,87
20,9
130.639
22,97
12 - Lazio
Centro
89
(segue) Tavola 13 - Unità locali delle imprese e relativi addetti per classe di addetti, ripartizione geografica, regione/provincia autonoma
e settore di attività economica (ateco 2007). Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali)
ALTRE ATTIVITA' DI SERVIZI
UNITA' LOCALI
ADDETTI
REGIONI / PROVINCE AUT.
MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE % MICRO PICCOLE MEDIO-GRANDI TOTALE TOTALE %
14 - Molise
0,49
0,39
0
1.302
0,49
0,45
0,35
0
2.320
0,41
15 - Campania
7,22
6,41
6,53
19.074
7,2
6,41
6,65
5,69
36.355
6,39
16 - Puglia
5,49
4,33
1,99
14.471
5,47
5,21
4,28
1,31
27.348
4,81
17 - Basilicata
0,73
0,58
0
1.932
0,73
0,64
0,57
0
3.334
0,59
18 - Calabria
2,39
1,41
1,42
6.282
2,37
2,12
1,36
0,74
10.911
1,92
Sud
19,01
16,2
11,36
50.181
18,95
17,54
15,97
9,28
95.206
16,74
19 - Sicilia
5,84
4,42
6,53
15.395
5,81
5,42
4,28
4,66
29.673
5,22
20 - Sardegna
2,29
2,63
3,41
6.076
2,29
2,28
2,57
2,28
13.189
2,32
Isole
8,12
7,05
9,94
21.471
8,11
7,7
6,85
6,95
42.862
7,54
ITALIA
98,23
1,64
0,13
264.778
100
79,71
13,18
7,11
568.684
100
90
Tavola 14 – Imprese e addetti indipendenti e dipendenti per forma giuridica
– Anno 2007 (valori assoluti e percentuali)
Addetti
FORME GIURIDICHE
Imprese
N.
Dipendenti
%
N.
%
Totale
N. medio
Dip.
Inipendenti
N.
%
Imprese Individuali
2.886.585 64,43 3.221.975 56,86
1.314.556
11,03
4.536.531
1,6
Imprenditore individuale
Libero professionista e
lavoratore autonomo
1.779.158 39,71 2.102.150
1.142.343
9,58
3.244.494
1,8
172.213
1,44
1.292.038
1,2
37,1
1.107.427 24,72 1.119.825 19,76
Società di persone
815.299
18,2
1.437.456
12,06
2.966.565
3,6
Società in nome collettivo
451.091
10,07
937.223
16,54
869.118
7,29
1.806.340
4
Altre società di persone
364.208
8,13
591.886
10,45
568.339
4,77
1.160.225
3,2
Società di capitali
712.765
15,91
801.524
14,15
8.079.179
67,78
8.880.703
12,5
Società per azioni (a)
39.460
0,88
45.499
0,8
3.987.312
33,45
4.032.811
102,2
Società a responsabilità limitata
673.305
15,03
756.025
13,34
4.091.867
34,33
4.847.892
7,2
Società cooperative
49.984
1,12
98.122
1,73
956.877
8,03
1.055.000
21,2
Altra forma
15.840
0,35
15.714
0,28
131.518
1,1
147.232
9,3
100
5.666.444
100
11.919.587
100
17.586.031
3,9
Totale
4.480.473
(a) Comprese le società in accomandita per azioni. 1.529.109 26,99
91