Intervento Padovani - Università degli Studi della Basilicata

LA BASILICATA E IL MEZZOGIORNO DOPO IL
“RAPPORTO SVIMEZ 2016 SULL’ECONOMIA DEL MEZZOGIORNO”
Intervento di Riccardo Padovani, Direttore SVIMEZ
Potenza, Università degli Studi della Basilicata, 13 febbraio 2017
1. Il Rapporto SVIMEZ 2016, presentato a Roma nel novembre scorso e che oggi
qui proponiamo alla discussione, con un riferimento particolare alla Basilicata, ha inteso
offrire non solo elementi di lettura della migliore dinamica congiunturale e delle
persistenti fragilità del sistema, ma contribuire ad identificare le condizioni per porre su
una più solida base la ripartenza dell’economia meridionale e dell’intero Paese.
Mentre nel 2015 l'economia mondiale ha rallentato, ridimensionando le attese
sulla ripresa dell'Italia (che, pur uscendo dalla recessione dei tre anni precedenti, fa
segnare performance deboli nel confronto europeo), per il Mezzogiorno è stato un anno
positivo, ben oltre le previsioni.
L'uno per cento di incremento di PIL nell'area interrompe sette anni di
contrazioni consecutive che avevano prodotto una caduta complessiva di oltre 13 punti.
La performance dell'economia meridionale ha dei tratti di eccezionalità, avendo
beneficiato di alcune condizioni peculiari, che sul piano tendenziale non è detto si
ripetano. In particolare, l'annata agraria particolarmente favorevole e il turismo che ha
beneficiato dell'esplodere della crisi che ancora sta travagliando la sponda Sud del
Mediterraneo.
Ma un fattore particolarmente significativo che ha inciso sulla congiuntura è
stata la chiusura del ciclo di programmazione dei Fondi strutturali europei 2007-2013,
che ha portato ad un sensibile incremento degli investimenti pubblici.
La sfida, dunque, è quella di non lasciare che questa ripartenza del 2015 conservi i
caratteri di eccezionalità, affidandosi a nuove condizioni congiunturali non supportate da
precise scelte politiche. Bisogna avere la consapevolezza che la ripartenza si inserisce non
solo in un quadro di persistente e irrisolta emergenza sociale, ma anche di una persistente
fragilità strutturale. La crescita dell'anno scorso ha ridotto in misura molto parziale il
depauperamento di risorse e potenziale produttivo provocato dalla crisi: essa è ancora
troppo debole e i suoi “picchi” sono concentrati in alcune nicchie produttive.
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Mentre si confermano i grandi problemi strutturali di competitività legati alla
dimensione e alla composizione settoriale. Insomma, per spezzare la lunga spirale di
bassa produttività, bassa crescita e dunque minore benessere sarà necessaria e per un
tempo non breve un’azione particolarmente consapevole, decisa ed efficace.
Tuttavia, i dati più recenti e le nostre previsioni per il 2016 e il 2017 confermano
la ripresa di un sentiero di crescita. Una crescita ancora troppo debole ma di grande
importanza: il Sud mostra infatti tratti di resilienza nella maggior parte dei settori
produttivi a testimonianza che la "Grande recessione" ha certamente colpito ma non ha
fatto venire meno la sua capacità di rimanere agganciato, com'è accaduto, pur con fasi
alterne, dal Dopoguerra ad oggi, allo sviluppo del resto del Paese.
2. (Fig. 1) Nel 2015 il prodotto dell’Italia è tornato a crescere (0,8%), dopo tre
anni di cali consecutivi, segnalando l’avvio della ripresa dopo la crisi dei debiti sovrani
del 2012. Il recupero appare però lento, se confrontato con l’Area dell’Euro, dove la
crescita è stata doppia (1,7%), o con l’intera Unione europea, dove l’incremento è stato
ancora maggiore (2%). Si è quindi continuata ad aprire la forbice di sviluppo con
l’Europa: dall’inizio della crisi il divario cumulato con l’Area dell’Euro è aumentato di
circa 9 punti percentuali, con l’Unione europea di oltre 11 punti.
(Fig. 2) Il ritardato aggancio alla ripresa è in parte riconducibile non solo a
fattori congiunturali e alla persistente necessità di bilancio restrittive che hanno influito
negativamente sulla domanda interna, ma anche a cause di più lungo periodo, relative
all’andamento sfavorevole della produttività e quindi della competitività internazionale
del Paese, che sono all’origine del divario di crescita rispetto ai principali paesi. Il
nostro è l’unico grande Paese europeo in cui la dinamica della produttività è stata negli
ultimi 14 anni complessivamente negativa. I fattori all’origine di questo differenziale
negativo sono molti, sia di origine strutturale, legati ad alcune caratteristiche delle
imprese, quali ad esempio la ridotta dimensione media, la specializzazione
internazionale, la bassa spesa in R&S, sia al sistema di regole e comportamenti nei
mercati, come la regolamentazione non sempre efficiente, l’amministrazione e gestione
dei servizi pubblici, quali ad esempio l’istruzione e la giustizia civile, sia infine alla
dotazione di risorse infrastrutturali, anche relative alla diffusione dell’ICT, e di capitale
umano. Questi elementi stanno impedendo all’economia italiana di sfruttare a pieno le
opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica e commerciale nell’ultimo ventennio:
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dall’allargamento
dei
mercati
conseguente
ai
processi
di
globalizzazione,
all’integrazione economica e finanziaria in Europa, al forte incremento di produttività
ed
efficienza
consentito
dalle
nuove
tecnologie
dell’informazione
e
della
comunicazione.
(Fig. 3) Il 2015, come detto, è stato un anno per molti versi eccezionale per il
Mezzogiorno: non solo ha interrotto una serie consecutiva di cali del prodotto che
durava da sette anni, ma ha anche realizzato una crescita maggiore di quella del CentroNord. Secondo le nostre valutazioni di preconsuntivo, il PIL è cresciuto nel
Mezzogiorno dell’1%, un incremento di 0,3 superiore a quello del resto del Paese
(0,7%).
In Basilicata – dove già nel 2014, in anticipo rispetto alle altre regioni
meridionali, il trend negativo degli anni precedenti aveva segnato un arresto (+0,5%
contro il -1,2% della media meridionale) –, la crescita del PIL si valuta sia stata nel
2015 del +5,5%, un risultato che non ha trovato riscontro in nessun’altra regione
italiana. Si tratta di una ripresa in larga parte guidata da fattori esogeni che hanno
sostenuto la componente estera della domanda aggregata, traducendosi in una maggiore
vivacità dell’economia lucana. (Fig. 4) La peculiare struttura economica della regione,
caratterizzata da un basso grado di diversificazione settoriale della sua industria
manifatturiera e da un ruolo centrale dell’automotive (le cui vendite all’estero
rappresentano circa il 70% dell’export regionale) – una struttura che la rende
particolarmente vulnerabile nelle fasi discendenti del ciclo economico e particolarmente
reattiva nelle fasi di ripartenza – ha permesso alla Basilicata, nella fase corrente, di
avvantaggiarsi con maggior slancio dei segnali di ripresa nazionale (Fig. 5).
A sostenere la crescita dello scorso anno nella regione sembra avere concorso
per altro – come avrò modo di riprendere più in dettaglio nel seguito – anche una
ripresa della domanda interna significativamente più accentuata di quella mediamente
rilevabile per il Sud, per quanto riguarda sia i consumi delle famiglie che gli
investimenti. Si tratta di positivi fattori di dinamismo dell’economia regionale che è
stato possibile cogliere grazie a prime specifiche valutazioni (di preconsuntivo) da noi
elaborate anche in vista della odierna giornata di studio, a integrazione dei dati
macroeconomici di PIL e occupazione presentati per tutte le regioni del Sud nel
Rapporto SVIMEZ 2016.
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Gli incoraggianti segnali di ripresa che attraversano la regione lucana – tanto più
lusinghieri in quanto sembrano amplificare a livello locale la ripartenza del Paese –
vanno comunque valutati tenendo ben presente un contesto macroeconomico
inevitabilmente segnato dal lungo periodo di stagnazione pre-crisi e dalla profondità e
persistenza della crisi.
(Fig. 3) Al riguardo, va ricordato come la regione sia arrivata all’appuntamento
con la crisi provenendo da una fase di stagnazione del tutto peculiare in un contesto
meridionale che pure stentava a mantenere i ritmi di crescita moderata dell’economia
nazionale. Tra il 2001 e il 2007, infatti, il PIL regionale calava, in termini cumulati,
dello 0,5% mentre quello italiano cresceva dell’8,5% e il Mezzogiorno, in media, del
4,5%. (Fig. 2) Una lunga fase di stagnazione – con una interruzione dunque del
processo di sviluppo che nel decennio precedente aveva contraddistinto la regione –
legata a debolezze strutturali chiaramente evidenziate da una dinamica della produttività
anche più accentuatamente negativa che nel resto del Paese (un calo del -4,0% cumulato
del valore aggiunto per occupato, rispetto al -1,4% della media nazionale).
Nel complesso del settennio 2008-2014, a causa degli andamenti particolarmente
negativi dei primi anni della crisi, e nonostante il primo relativo miglioramento
intervenuto, come già richiamato, nell’ultimo anno di tale periodo, la recessione aveva
colpito pesantemente l’economia della regione, con un’intensità (-12,8%) non distante
dalla media dell’area (-13,2%, a fronte del -7,8% del Centro-Nord); un calo che sta ad
indicare una contrazione molto accentuata dell’attività economica, in grado di incidere
significativamente sulle decisioni di investimento delle imprese e sulle abitudini di
consumo e di risparmio delle famiglie.
Insomma, la vivacità con la quale la Basilicata sta lasciandosi alle spalle la fase
più acuta della crisi è nei numeri. Ma è da ritenere del tutto improbabile che la ripresa
sia capace di autosostenersi “da sola”: la sua solidità e certezza non potranno venire,
come per le altre regioni del Sud, che da un rilancio delle politiche di sviluppo, locali,
regionali e, in primo luogo, nazionali.
(Fig. 6) Il recupero realizzato dell’economia del Mezzogiorno nel 2015 appare
ancora più veloce in termini di prodotto per abitante, essendo amplificato dai trend
demografici, che vedono contrarre la popolazione nel Sud più di quanto accade nel resto
del Paese. In termini di PIL pro capite la crescita è stata dell’1,1% nel Mezzogiorno, a
fronte dello 0,6% nel resto del Paese. Il divario di sviluppo tra Nord e Sud in termini di
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prodotto per abitante ha quindi ripreso a ridursi: nel 2015 il differenziale negativo è
tornato al 43,5% rispetto al 43,9% dell’anno precedente. In Basilicata, il differenziale
negativo rispetto al Centro-Nord, pari al 40% nel 2014, ha segnato nel 2015 una
riduzione di ben 2,6 punti percentuali (dal 40% al 37,4%).
(Fig. 7) È bene rimarcare, ancora una volta, come la ripresa dell’economia nel
Mezzogiorno, sperimentata a partire dal 2015, abbia un effetto positivo sulle prospettive
di crescita di tutto il Paese: lo sviluppo del Centro-Nord è infatti legato in buona misura
anche all’andamento favorevole dell'economia meridionale, data la forte integrazione
tra i mercati delle due parti del Paese.
3. Nell'anno, la crescita del prodotto è stata sostenuta nel Mezzogiorno
dall’aumento, per la prima volta dal 2008, sia dei consumi che degli investimenti.
(Fig. 8) I consumi finali interni nel 2015 sono cresciuti al Sud dello 0,3% (dopo
il -0,6% dell’anno precedente); in misura però meno intensa che nel Centro-Nord (0,8%). La differenza tra le due aree è dovuta esclusivamente alla componente privata,
mentre quella pubblica è calata in entrambe le circoscrizioni (-0,6%), proseguendo la
Pubblica Amministrazione sul sentiero di risparmio delle spese correnti. I consumi delle
famiglie sono aumentati nel 2015 nel Mezzogiorno dello 0,7% (-0,1% nel 2014), meno
che nel resto del Paese (1,2%, rispetto all’incremento dello 0,9% registrato l’anno
precedente).
(Fig. 8 bis) In Basilicata, secondo le nostre valutazioni di preconsuntivo, i
consumi finali interni hanno segnato nel 2015 un aumento dell’1%, tre volte maggiore
di quello medio meridionale (+0,3%) e anche moderatamente più intenso che nel
Centro-Nord (+0,8%). Il favorevole differenziale di crescita rispetto al resto del Paese
risulta per intero dovuto ad una più intensa ripresa delle spese per consumi delle
famiglie, accresciutesi del 2,3%, in virtù soprattutto di un netto incremento (+4,6%) dei
consumi per “altri beni e servizi”, voce che comprende spese legate alla cura della
persona e alle attività culturali e ricreative. Più marcatamente sfavorevole che nel resto
del Paese è risultata, invece, anche nel 2015 la dinamica della spesa per consumi della
P.A., contrattasi dell’1,7%.
(Fig. 9). Nel 2015 il miglioramento del clima di fiducia degli imprenditori e le
meno stringenti condizioni poste dalle banche per l’accesso al credito, uniti alle
aspettative positive sulla domanda interna, hanno sospinto gli investimenti anche nel
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Mezzogiorno, che sono cresciuti nel 2015 dello 0,8% dopo sette anni di variazioni
negative. L’incremento è stato in linea con quello del Centro-Nord (0,8%), dove il calo
era stato però nel precedente settennio di crisi sensibilmente minore. Nel periodo 20082014 gli investimenti fissi lordi sono diminuiti cumulativamente nel Mezzogiorno del 41,4%, circa 15 punti in più che nel resto del Paese (-26,7%).
(Fig. 9 bis) In Basilicata, secondo le valutazioni della SVIMEZ, gli investimenti
fissi lordi hanno segnato lo scorso anno un aumento del 2%, più che doppio che nel
resto del Paese. Un andamento, questo, che appare tanto più significativo in quanto si
configura come un ulteriore consolidamento del processo di accumulazione, dopo la
ripresa di eccezionale intensità che sembra essersi verificata – secondo i dati
dell’ISTAT – nel 2014: +12%, a fronte di una evoluzione, ancora negativa, invece, sia
del Centro-Nord (-2,5%) che, particolarmente, del Mezzogiorno (-6,8%).
Grazie alla ripresa del 2014, la Basilicata è riuscita a recuperare una quota
apprezzabile della perdita nei livelli degli investimenti accumulata dall’inizio della crisi.
Perciò il calo cumulato degli investimenti fissi lordi della regione tra il 2008 e il 2014
appare nettamente più contenuto che per la media del Mezzogiorno: -16,5%, contro 41,4% (-26,7% nel Centro-Nord).
Un ruolo decisivo per la relativa tenuta complessiva degli investimenti è stato
esercitato dal principale settore di specializzazione, rappresentato dall’automative.
Il forte incremento (+38,8% cumulato) posto in luce per il complesso del periodo
2008-2014 dai dati (di fonte ISTAT) presentati nella Fig. 9 bis, è infatti pressoché per intero
dovuto all’eccezionale crescita verificatasi nel comparto dei mezzi di trasporto, intervenuta
nel biennio 2013-2014 (Fig. 10). Dato il suo ruolo centrale nella struttura industriale della
regione, settorialmente poco diversificata, il settore automotive ha sospinto infatti il livello
complessivo degli investimenti industriali, in presenza, però, di andamenti che, sempre con
riferimento al complesso settennio 2008-2014, sono risultati cedenti per la pressoché totalità
degli altri comparti manifatturieri, con cali cumulati, in particolare, del 59,5% per l’industria
del mobile, del 56,5% per l’alimentare, del 58,6% per il tessile e abbigliamento; cali che
stanno ad indicare dunque un arretramento strutturale di una non piccola parte della base
produttiva.
4. (Fig. 11) Nel 2015, il Mezzogiorno ha fatto registrare incrementi di prodotto
superiori al resto del Paese in tutti i settori, tranne che per l’industria in senso stretto. In
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particolare, il valore aggiunto è cresciuto al Sud in modo eccezionale (+7,3%), nel
settore agricolo: +7,3% contro il +1,6% del Centro-Nord. Anche il prodotto terziario è
cresciuto di più al Sud: 0,8%, più del doppio che nel Centro-Nord (0,3%). Il comparto
che in entrambe le aree è cresciuto maggiormente è stato quello composito del
commercio, ristorazione e turismo, aumentato nel Mezzogiorno del 2,6%, del 2% nel
resto del Paese. In ripresa al Sud anche il settore delle costruzioni, con un aumento
dell’1,1%, a fronte di un ulteriore calo (-1,3%) nel Centro-Nord.
Nel settore dell’industria in senso stretto, invece, come detto, il prodotto è calato
nel Mezzogiorno del -0,9% (a fronte del +1,7% del Centro-Nord). La dinamica negativa
del Sud è da attribuire al settore energetico: per il solo settore manifatturiero, il prodotto
si è ampliato anche nel Mezzogiorno  anzi, in misura maggiore rispetto al resto del
Paese (+1,9% contro +1,4%).
In Basilicata, l’eccezionale ripresa del 2015 è stata in larga misura dovuta
proprio ad una fortissima espansione dell’industria in senso stretto nel suo complesso
(+11,5%) e, nel suo ambito, alla tumultuosa crescita, ad un tasso del 18,6%, della
manifattura; il settore che, con un andamento sfavorevole pressoché ininterrotto (-32%
di calo cumulato tra il 2008 e il 2014), maggiormente aveva contribuito alla crisi
dell’economia regionale nel precedente settennio 2008-2014. (Fig. 12) Anche il settore
dei servizi, con un aumento del +4,1%, (di cinque volte maggiore della media del Sud)
ha contribuito in maniera importante alla ripresa del 2015, a differenza dell’agricoltura
il cui valore aggiunto è cresciuto, ma ad un ritmo più contenuto (+2,3%) e, soprattutto,
ben al di sotto della media del Sud (+7,3%).
5. (Fig. 13) Nel 2015 la ripresa economica si è manifestata in tutte le regioni
italiane, e segnatamente in quelle del Mezzogiorno, tutte reduci  con la sola eccezione
dell’Abruzzo e della Puglia (che avevano partecipato alla ripresina del 2010-2011)  da un
settennio di continua e profonda recessione. Tra le regioni meridionali, la Basilicata fa
registrare il più intenso ritmo di crescita (+5,5%), un risultato che  come richiamato  non
trova riscontro in nessun’altra regione italiana. Analogo percorso segue il Molise, sia pur
con un ritmo più moderato (+2,9%); anche l’Abruzzo cresce del 2,5% grazie all'industria,
cancellando così il risultato deludente del 2014 (-2%). La Sicilia e la Calabria (per
l'eccezionale performance dell'agricoltura) crescono rispettivamente dell’1,5% e dell’1,1%.
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Molto più contenuta (solo lo 0,2%) appare la partecipazione alla ripresa della Campania,
della Puglia e della Sardegna, per la persistenza di alcune crisi industriali.
6. Un aspetto del quale anche nel Rapporto di quest’anno abbiamo inteso porre
in luce la grande rilevanza – per le implicazioni che esso comporta per le regioni del
nostro Mezzogiorno  è che l’allargamento del divario di sviluppo, interno al nostro
Paese, intervenuto nella lunga fase di crisi, si colloca in un quadro che, nel corso di tale
fase, ha fatto registrare dinamiche molto differenti tra le diverse regioni dell’area della
“convergenza”; più specificatamente, tra le regioni dei membri storici dell’UE e quelle
dei nuovi paesi entrati nell’Unione dopo il 2004.
(Fig. 14) Un’analisi relativa alla UE a 28, basata sulla dinamica del prodotto pro
capite misurato in pari potere d’acquisto, mostra che le regioni della convergenza
dell’Est già prima del 2008 crescevano più di quelle svantaggiate dell’UE a 15 (+56,4%,
contro 31,4%) e hanno continuato a crescere anche negli anni della crisi, sia pure a ritmi
più contenuti (+20,4%), mentre diverse delle regioni svantaggiate dei membri storici
dell’Unione subivano pesanti contrazioni dell’attività economica e dei livelli
occupazionali. La conseguenza è stata che le regioni mediterranee, tra cui il nostro Sud,
hanno perso terreno mentre i nuovi Stati membri avanzavano, determinando, nel
complesso, un accentuato e ben peculiare processo di convergenza all’interno della
periferia come conseguenza di due dinamiche opposte delle regioni deboli. Pertanto
oggi l’economia meridionale si trova a competere, soprattutto dopo l’allargamento ad
Est della UE, con economie arretrate in forte crescita ed elevate potenzialità
competitive.
(Fig. 15) Attualmente, in base all’Indice di Competitività Regionale (RCI), reso
disponibile dalla Commissione europea, la graduatoria complessiva, per paese, delle
regioni della convergenza dell’UE a 28 segnala un ritardo competitivo importante delle
regioni meno sviluppate dei membri storici dell’UE: le prime nove posizioni, con
l’eccezione del Regno Unito (1° posto) e Portogallo (9° posto) sono tutte occupate dai
nuovi paesi membri. Le cinque regioni della convergenza italiana (Campania, Puglia,
Basilicata, Calabria e Sicilia) occupano solo il 13° posto della graduatoria: con un
valore pari a -0,87 risultano più competitive solo rispetto alle regioni della convergenza
di Bulgaria (-1,25), Grecia (-1,27) e Romania (-1.33). A limitare le potenzialità
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competitive delle regioni meridionali concorrono livelli relativamente bassi, e sempre
inferiori rispetto alla media europea, sia dei “fattori di base” (qualità delle istituzioni,
stabilità macroeconomica, infrastrutture di trasporto, qualità di salute e di istruzione) sia
di quelli legati all’efficienza e all’innovazione.
(Fig. 16) Nella graduatoria istituibile in base allo stesso Indice di Competitività
Regionale (RCI) tra tutte le 272 regioni dell’UE a 28, la regione più avanzata del nostro
Paese, la Lombardia, occupa solo il 128 ° posto mentre, per le regioni del Sud, si scende
dal 187° posto dell’Abruzzo al 235° della Sicilia. La Basilicata occupa il 227° posto in
graduatoria, con un posizionamento solo leggermente migliore, rispetto al dato medio,
per il sub-indice relativo ai “fattori di base” (218° posto).
Il Sud sopporta una condizione di divergenza strutturale di doppio livello in
ambito europeo: non solo perché il suo destino è segnato dal legame con un’economia
nazionale sempre meno competitiva rispetto alle grandi economie europee, ma anche
per lo status di macroregione della periferia d’Europa che ha il Sud, in particolare dopo
l’allargamento a Est. (Fig. 17) Di fronte al dumping fiscale dei nuovi Stati membri, le
macroscopiche differenze nei livelli di tassazione del lavoro e del reddito d’impresa tra
paesi membri (basti citare l’esempio più clamoroso, delle imposte e contributi sul lavoro
al 42,8% in Italia rispetto al 24,5% della Bulgaria) rappresentano un fattore decisivo nel
determinare la capacità di offrire un ambiente attrattivo. In definitiva, la mancanza di
armonizzazione fiscale nell’Unione europea ha originato una concorrenza impari tra le
regioni della convergenza dell’Est e quelle svantaggiate dell’UE a 15, come il nostro
Mezzogiorno. Uno svantaggio, sul quale le politiche di coesione per il Mezzogiorno non
possono, da sole, incidere che in misura parziale
7. (Fig. 18) Le previsioni della SVIMEZ per il biennio 2016-2017, presentate nel
luglio scorso con le “Anticipazioni del Rapporto SVIMEZ 2016”, e relative ai principali
aggregati economici del Centro-Nord e del Mezzogiorno, confermavano che la ripresa
del Paese è più lenta del previsto, e però diffusa in entrambe le ripartizioni. Secondo le
nostre previsioni di luglio nel 2016, il PIL avrebbe dovuto aumentare dello 0,3% al Sud
e dello 0,9% nel resto del Paese. Come per l’anno precedente, il principale driver della
crescita sarebbe costituito dalla domanda interna.
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Nel 2017, l’evoluzione congiunturale delle due macro-aree sarebbe invece molto
simile: +0,9% nel Sud e +1,1% nel Centro-Nord. È un dato rilevante, che dimostra la
capacità del Mezzogiorno di riprendere, anche in via tendenziale, un sentiero di crescita.
Rispetto al quadro suddetto, presentato lo scorso luglio, in occasione della
presentazione del Rapporto 2016, tenutasi nel novembre scorso, si è offerto un
aggiornamento, che tiene conto delle informazioni sull’evoluzione della congiuntura
resesi successivamente disponibili a scala territoriale (Fig. 19). Il più significativo
elemento di novità è rappresentato dalla maggiore crescita prevista per l’economia
meridionale nel 2016: dallo 0,3% ipotizzato a luglio, allo 0,5% attuale. Nel corso del
2016, quindi, il gap di crescita tra le due circoscrizioni verrebbe a ridursi rispetto a
quanto ipotizzato a luglio; differenziale che nel 2017 dovrebbe restringersi
ulteriormente.
8. L’andamento del mercato del lavoro nel Mezzogiorno è più strettamente
correlato a quello dell’attività economica. Come infatti ha rappresentato l'epicentro della
crisi, la dinamica positiva dell'occupazione è stata il maggior punto di forza della
ripartenza del Sud nel 2015. (Fig. 20) Nella media dell’anno, nelle regioni meridionali
gli occupati aumentano di 94 mila unità, pari al +1,6%, mentre in quelle del CentroNord si registra una crescita di 91 mila unità, pari allo 0,6%.
La crescita dell'occupazione è proseguita per buona parte dell'anno in corso.
Nella media dei primi tre trimestri l’occupazione è aumentata al Sud dell’1,8% (+1,2%
nel Centro-Nord) e di ben il 3% per i giovani dai 15 ai 34 anni.
(Fig. 21) I dati positivi del 2015 e dei primi mesi dell’anno in corso, in ogni
caso, non devono far perdere di vista la voragine che con la crisi, si è aperta nel mercato
del lavoro meridionale. Mentre il Centro-Nord, infatti, con questo andamento ha
recuperato completamente i livelli occupazionali pre-crisi, il Sud resta assai distante, di
circa 5 punti percentuali in meno rispetto al 2008.
(Fig. 22) Tra il 2008 e il 2015, il Sud ha subito un calo dell’occupazione pari al
7,5% contro un calo dello 0,9% nel Centro-Nord.
In Basilicata, il calo dell’occupazione, nel periodo considerato, si è fermato al 2,7%. Va ricordato che su questo dato ha inciso in maniera decisiva l’eccezionale
ripresa registrata nel 2015. Nella media dello scorso anno l’occupazione è aumentata del
3,4%, in misura nettamente più intensa rispetto al dato medio assai positivo del
Mezzogiorno (+1,6% e di quattro volte maggiore rispetto al +0,8% della media
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nazionale. (Fig. 23) La crescita, eccezionalmente intensa nell’industria in senso stretto
(8,1%), ha interessato in misura significativa anche il settore dei servizi (+3,9%)
Per effetto di questa positiva dinamica, proseguita pur se a un ritmo più
contenuto nel 2016, la Basilicata è una delle poche regioni meridionali a mostrare una
tendenza più rapida al ritorno dell’occupazione sui livelli pre-crisi.
9. I recenti miglioramenti, di cui si è dato conto, comunque, si inseriscono in un
quadro di persistente difficoltà del mercato del lavoro meridionale, con un tasso di
disoccupazione che nel 2015 è risultato nell’area ancora del 19,4% contro l’8,8% del
Centro-Nord e con un tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) di oltre 22 punti
percentuali più alto che nel Centro-Nord: 54,1% contro 32,6%. In Basilicata gli
indicatori sullo stato di salute del mercato del lavoro, sempre con riferimento al 2015,
fotografano una regione in condizione di vantaggio relativo nel contesto meridionale,
con un tasso di disoccupazione minore di quasi 6 punti percentuali (13,7% a fronte del
richiamato 19,4% del Mezzogiorno). Ma anche in Basilicata trova riscontro, sia pure
anche in questo caso in maniera più contenuta rispetto al drammatico dato medio
meridionale, la problematica giovanile delle opportunità di lavoro esasperata negli anni
della crisi. Il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato dal 34,8% nel 2008 al
47,7% nel 2015.
(Fig. 24) La strutturale carenza di occasioni di lavoro qualificato, che grava in
particolare sulle giovani generazioni meridionali, ha rappresentato negli anni Duemila
anche la determinante principale della ripresa dei flussi di emigrazione dal Sud verso il
Nord. Aggravando le dinamiche demografiche avverse già in atto dall’inizio dello
scorso decennio, tra il 2011 e il 2014, il saldo migratorio netto da Sud a Nord ha
superato le 232 mila unità. Di questa perdita netta di popolazione, 161 mila sono
giovani tra i 15 e i 34 anni (il 68%), e oltre 76 mila laureati. Il saldo migratorio netto
della Basilicata, nello stesso periodo, è stato di oltre 6.700 unità, di cui 4.500 giovani (il
68,3%) e 2.600 laureati (il 38,7%). Una perdita netta di capitale umano, di competenze,
di nuova classe dirigente dal valore inestimabile, che ha colpito sia Potenza che Matera.
10. I dati economici del 2015 e le previsioni tendenziali per il biennio 20162017, unitamente ai dati sull’andamento del mercato del lavoro stanno ad indicare come
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l’Italia, e segnatamente il Mezzogiorno, abbiano finalmente imboccato la strada
dell’uscita dalla lunga recessione, pur se in un quadro di rallentamento delle aspettative
di crescita dell’intero Paese.
Il tema oggi è lo sviluppo economico nazionale e, a questo scopo, l’andamento
dell’economia del Mezzogiorno rappresenta un fattore decisivo che – come ben
evidenzia l’esperienza di questi anni – gioca un ruolo condizionante, sia in negativo che
in positivo. In particolare, il favorevole risultato del 2015 è strettamente correlato alla
dinamica degli investimenti pubblici, rispetto ai quali la “reattività” del Mezzogiorno si
è confermata particolarmente significativa e strutturalmente maggiore rispetto al
Centro-Nord.
Crediamo non solo che sia possibile “rilanciare il Paese dall’interno”, ma che
questa sia un’azione necessaria e di assoluta priorità non solo in considerazione del
rallentamento attuale e prospettico dell’economia internazionale ma anche al fine di
realizzare la necessaria operazione di riposizionamento del sistema economico italiano
all’interno dell’Europa.
Da tempo, segnaliamo che la soluzione per i problemi strutturali dell'economia
italiana non verrà da una ripresa internazionale a cui “agganciarsi”; ripresa
internazionale che fino a ieri sembrava avere migliori prospettive, ma che oggi man
mano che procediamo viene sempre più ridimensionata. Le condizioni e le sfide per la
ripartenza del Paese possono trovare risposta solo nel campo dello sviluppo, per il cui
avvio è fondamentale ripristinare a scala nazionale proprio il ruolo degli investimenti
pubblici, che, a nostro avviso, rappresentano in questa situazione la più efficace e
indispensabile leva di attivazione e di stimolo di quelli privati.
La sfida, dunque, è quella di una effettiva, forte ripresa degli investimenti che, al
Sud, significa una vera addizionalità, con il coordinamento, dunque, tra le politiche di
coesione e le politiche generali ordinarie ma significa anche una decisa accentuazione
dei caratteri di strategicità degli interventi, con la definizione di alcuni grandi ambiti
prioritari intorno ai quali incardinare la “strategia di sviluppo” per il Mezzogiorno e per
il Paese.
Da anni, ormai, la SVIMEZ propone l’idea che sia necessario puntare su alcune
direttrici di intervento prioritarie, utili a far fronte all’emergenza occupazionale e ad
affrontare la crisi di competitività del Sud e dell’intero Paese. Oltre al rilancio di una
coerente e moderna politica industriale, nel corso degli ultimi anni la nostra
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Associazione si è proposta di offrire un quadro aggiornato, non solo strategico ma anche
progettuale, dell’investimento in alcune aree – i cosiddetti drivers: logistica, energie
rinnovabili, rigenerazione urbana e ambientale, agroalimentare e agroindustria, e
industria culturale.
Tali drivers di sviluppo possono essere individuati, come specifici elementi
catalizzatori della catena di connessione ricerca-innovazione-produzione, in grado di
dare piena espressione alle potenzialità del sistema universitario e di ricerca e al
patrimonio territoriale e culturale del Mezzogiorno. In questo contesto, il settore
culturale diventa una componente chiave nello sviluppo di un territorio.
In questa prospettiva, un ruolo di particolare rilievo può essere rappresentato
dalla designazione di Matera come Capitale Europea della Cultura per il 2019, da
trasformare già oggi in un’occasione per l’intera economia lucana e per tutto il
Mezzogiorno.
Le potenzialità di “Matera 2019” vanno infatti ben oltre i confini della città,
riguardando una più vasta area regionale e sovra-regionale. La perfomance
particolarmente positiva dell’economia lucana nel 2015, unita al clima che si è creato
intorno al percorso che porterà a “Matera 2019 – Capitale europea della cultura”,
possono dare quella iniezione di fiducia necessaria, supportata da precise e coerenti
politiche pubbliche nazionali e locali, per rilanciare il processo di sviluppo regionale,
per rendere il territorio maggiormente attrattivo all’insediamento di nuove attività
produttive, coltivando le potenziali ricadute intersettoriali.
Per l’allargamento delle potenzialità di questo percorso all'intera area regionale e
il coinvolgimento dei territori circostanti, acquista un valore decisivo lo sviluppo
infrastrutturale e l’accessibilità del territorio. (Fig. 26) In quest’ottica, nell’ambito del
c.d. Masterplan per il Mezzogiorno, il Patto per lo sviluppo della Basilicata tra
Presidenza del Consiglio dei Ministri e Regione Basilicata destina risorse importanti
con un impatto diretto o indiretto verso Matera 2019. (Fig. 27) Altre risorse e interventi
di policy sono stati poi riservati direttamente dal Governo al programma di Matera
2019, sia dalla Legge di Stabilità 2016 che da uno specifico programma del MiBACT,
principalmente finalizzati alla rigenerazione urbana e alle attività di carattere turistico,
culturale e creativo.
La sfida è di creare le condizioni per far diventare l’appuntamento di Matera
2019 un vero e proprio catalizzatore per la rigenerazione economica e culturale di un
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territorio, e così attrarre investimenti connessi anche ad altri settori, direttamente o
indirettamente collegati a quello culturale, ma anche, più in generale, industriali o dei
servizi avanzati.
Sono sfide che, come detto, non si esauriscono nei confini della città o della
Regione ma che, proprio per gli ambiti in cui si giocano, riguardano l’intera Basilicata e
il Mezzogiorno, nella consapevolezza che i risultati positivi non saranno l’esito
meccanico dell’avvenuta designazione, ma vanno perseguiti con l’agire comune degli
operatori economici e sociali, e con precise scelte di politiche pubbliche ad ogni livello,
locale, regionale e nazionale.
Concludo rilevando che, in questa prospettiva, come avrà modo di riprendere nel
suo intervento il prof. Giannola, una importanza fondamentale potrebbe certamente
assumere l’istituzione di una Zona Economica Speciale (ZES) Matera-Taranto, nell’area
logistico-industriale collegata al porto di Taranto e inglobante l’intero comprensorio
appulo-lucano che ha il suo epicentro proprio nella realtà e nelle potenzialità di Matera
“Capitale europea della Cultura”. Un progetto cui anche la SVIMEZ sta da qualche
tempo lavorando, e che è stato oggetto nei giorni scorsi di una proposta di iniziativa
parlamentare in sede di approvazione dei provvedimenti per il Mezzogiorno.
L’istituzione della ZES potrebbe indubbiamente accrescere l’attrattività
dell’area, compensandola degli svantaggi da essa sofferti, come il resto del
Mezzogiorno, dal dumping fiscale e rappresenterebbe un momento decisivo per quello
sviluppo della logistica avanzata che può consentire di agganciare Matera e la Basilicata
al più vasto mercato euromediterreneo.
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