LA BASILICATA E IL MEZZOGIORNO DOPO IL “RAPPORTO SVIMEZ 2016 SULL’ECONOMIA DEL MEZZOGIORNO” Intervento di Riccardo Padovani, Direttore SVIMEZ Potenza, Università degli Studi della Basilicata, 13 febbraio 2017 1. Il Rapporto SVIMEZ 2016, presentato a Roma nel novembre scorso e che oggi qui proponiamo alla discussione, con un riferimento particolare alla Basilicata, ha inteso offrire non solo elementi di lettura della migliore dinamica congiunturale e delle persistenti fragilità del sistema, ma contribuire ad identificare le condizioni per porre su una più solida base la ripartenza dell’economia meridionale e dell’intero Paese. Mentre nel 2015 l'economia mondiale ha rallentato, ridimensionando le attese sulla ripresa dell'Italia (che, pur uscendo dalla recessione dei tre anni precedenti, fa segnare performance deboli nel confronto europeo), per il Mezzogiorno è stato un anno positivo, ben oltre le previsioni. L'uno per cento di incremento di PIL nell'area interrompe sette anni di contrazioni consecutive che avevano prodotto una caduta complessiva di oltre 13 punti. La performance dell'economia meridionale ha dei tratti di eccezionalità, avendo beneficiato di alcune condizioni peculiari, che sul piano tendenziale non è detto si ripetano. In particolare, l'annata agraria particolarmente favorevole e il turismo che ha beneficiato dell'esplodere della crisi che ancora sta travagliando la sponda Sud del Mediterraneo. Ma un fattore particolarmente significativo che ha inciso sulla congiuntura è stata la chiusura del ciclo di programmazione dei Fondi strutturali europei 2007-2013, che ha portato ad un sensibile incremento degli investimenti pubblici. La sfida, dunque, è quella di non lasciare che questa ripartenza del 2015 conservi i caratteri di eccezionalità, affidandosi a nuove condizioni congiunturali non supportate da precise scelte politiche. Bisogna avere la consapevolezza che la ripartenza si inserisce non solo in un quadro di persistente e irrisolta emergenza sociale, ma anche di una persistente fragilità strutturale. La crescita dell'anno scorso ha ridotto in misura molto parziale il depauperamento di risorse e potenziale produttivo provocato dalla crisi: essa è ancora troppo debole e i suoi “picchi” sono concentrati in alcune nicchie produttive. 1 Mentre si confermano i grandi problemi strutturali di competitività legati alla dimensione e alla composizione settoriale. Insomma, per spezzare la lunga spirale di bassa produttività, bassa crescita e dunque minore benessere sarà necessaria e per un tempo non breve un’azione particolarmente consapevole, decisa ed efficace. Tuttavia, i dati più recenti e le nostre previsioni per il 2016 e il 2017 confermano la ripresa di un sentiero di crescita. Una crescita ancora troppo debole ma di grande importanza: il Sud mostra infatti tratti di resilienza nella maggior parte dei settori produttivi a testimonianza che la "Grande recessione" ha certamente colpito ma non ha fatto venire meno la sua capacità di rimanere agganciato, com'è accaduto, pur con fasi alterne, dal Dopoguerra ad oggi, allo sviluppo del resto del Paese. 2. (Fig. 1) Nel 2015 il prodotto dell’Italia è tornato a crescere (0,8%), dopo tre anni di cali consecutivi, segnalando l’avvio della ripresa dopo la crisi dei debiti sovrani del 2012. Il recupero appare però lento, se confrontato con l’Area dell’Euro, dove la crescita è stata doppia (1,7%), o con l’intera Unione europea, dove l’incremento è stato ancora maggiore (2%). Si è quindi continuata ad aprire la forbice di sviluppo con l’Europa: dall’inizio della crisi il divario cumulato con l’Area dell’Euro è aumentato di circa 9 punti percentuali, con l’Unione europea di oltre 11 punti. (Fig. 2) Il ritardato aggancio alla ripresa è in parte riconducibile non solo a fattori congiunturali e alla persistente necessità di bilancio restrittive che hanno influito negativamente sulla domanda interna, ma anche a cause di più lungo periodo, relative all’andamento sfavorevole della produttività e quindi della competitività internazionale del Paese, che sono all’origine del divario di crescita rispetto ai principali paesi. Il nostro è l’unico grande Paese europeo in cui la dinamica della produttività è stata negli ultimi 14 anni complessivamente negativa. I fattori all’origine di questo differenziale negativo sono molti, sia di origine strutturale, legati ad alcune caratteristiche delle imprese, quali ad esempio la ridotta dimensione media, la specializzazione internazionale, la bassa spesa in R&S, sia al sistema di regole e comportamenti nei mercati, come la regolamentazione non sempre efficiente, l’amministrazione e gestione dei servizi pubblici, quali ad esempio l’istruzione e la giustizia civile, sia infine alla dotazione di risorse infrastrutturali, anche relative alla diffusione dell’ICT, e di capitale umano. Questi elementi stanno impedendo all’economia italiana di sfruttare a pieno le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica e commerciale nell’ultimo ventennio: 2 dall’allargamento dei mercati conseguente ai processi di globalizzazione, all’integrazione economica e finanziaria in Europa, al forte incremento di produttività ed efficienza consentito dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. (Fig. 3) Il 2015, come detto, è stato un anno per molti versi eccezionale per il Mezzogiorno: non solo ha interrotto una serie consecutiva di cali del prodotto che durava da sette anni, ma ha anche realizzato una crescita maggiore di quella del CentroNord. Secondo le nostre valutazioni di preconsuntivo, il PIL è cresciuto nel Mezzogiorno dell’1%, un incremento di 0,3 superiore a quello del resto del Paese (0,7%). In Basilicata – dove già nel 2014, in anticipo rispetto alle altre regioni meridionali, il trend negativo degli anni precedenti aveva segnato un arresto (+0,5% contro il -1,2% della media meridionale) –, la crescita del PIL si valuta sia stata nel 2015 del +5,5%, un risultato che non ha trovato riscontro in nessun’altra regione italiana. Si tratta di una ripresa in larga parte guidata da fattori esogeni che hanno sostenuto la componente estera della domanda aggregata, traducendosi in una maggiore vivacità dell’economia lucana. (Fig. 4) La peculiare struttura economica della regione, caratterizzata da un basso grado di diversificazione settoriale della sua industria manifatturiera e da un ruolo centrale dell’automotive (le cui vendite all’estero rappresentano circa il 70% dell’export regionale) – una struttura che la rende particolarmente vulnerabile nelle fasi discendenti del ciclo economico e particolarmente reattiva nelle fasi di ripartenza – ha permesso alla Basilicata, nella fase corrente, di avvantaggiarsi con maggior slancio dei segnali di ripresa nazionale (Fig. 5). A sostenere la crescita dello scorso anno nella regione sembra avere concorso per altro – come avrò modo di riprendere più in dettaglio nel seguito – anche una ripresa della domanda interna significativamente più accentuata di quella mediamente rilevabile per il Sud, per quanto riguarda sia i consumi delle famiglie che gli investimenti. Si tratta di positivi fattori di dinamismo dell’economia regionale che è stato possibile cogliere grazie a prime specifiche valutazioni (di preconsuntivo) da noi elaborate anche in vista della odierna giornata di studio, a integrazione dei dati macroeconomici di PIL e occupazione presentati per tutte le regioni del Sud nel Rapporto SVIMEZ 2016. 3 Gli incoraggianti segnali di ripresa che attraversano la regione lucana – tanto più lusinghieri in quanto sembrano amplificare a livello locale la ripartenza del Paese – vanno comunque valutati tenendo ben presente un contesto macroeconomico inevitabilmente segnato dal lungo periodo di stagnazione pre-crisi e dalla profondità e persistenza della crisi. (Fig. 3) Al riguardo, va ricordato come la regione sia arrivata all’appuntamento con la crisi provenendo da una fase di stagnazione del tutto peculiare in un contesto meridionale che pure stentava a mantenere i ritmi di crescita moderata dell’economia nazionale. Tra il 2001 e il 2007, infatti, il PIL regionale calava, in termini cumulati, dello 0,5% mentre quello italiano cresceva dell’8,5% e il Mezzogiorno, in media, del 4,5%. (Fig. 2) Una lunga fase di stagnazione – con una interruzione dunque del processo di sviluppo che nel decennio precedente aveva contraddistinto la regione – legata a debolezze strutturali chiaramente evidenziate da una dinamica della produttività anche più accentuatamente negativa che nel resto del Paese (un calo del -4,0% cumulato del valore aggiunto per occupato, rispetto al -1,4% della media nazionale). Nel complesso del settennio 2008-2014, a causa degli andamenti particolarmente negativi dei primi anni della crisi, e nonostante il primo relativo miglioramento intervenuto, come già richiamato, nell’ultimo anno di tale periodo, la recessione aveva colpito pesantemente l’economia della regione, con un’intensità (-12,8%) non distante dalla media dell’area (-13,2%, a fronte del -7,8% del Centro-Nord); un calo che sta ad indicare una contrazione molto accentuata dell’attività economica, in grado di incidere significativamente sulle decisioni di investimento delle imprese e sulle abitudini di consumo e di risparmio delle famiglie. Insomma, la vivacità con la quale la Basilicata sta lasciandosi alle spalle la fase più acuta della crisi è nei numeri. Ma è da ritenere del tutto improbabile che la ripresa sia capace di autosostenersi “da sola”: la sua solidità e certezza non potranno venire, come per le altre regioni del Sud, che da un rilancio delle politiche di sviluppo, locali, regionali e, in primo luogo, nazionali. (Fig. 6) Il recupero realizzato dell’economia del Mezzogiorno nel 2015 appare ancora più veloce in termini di prodotto per abitante, essendo amplificato dai trend demografici, che vedono contrarre la popolazione nel Sud più di quanto accade nel resto del Paese. In termini di PIL pro capite la crescita è stata dell’1,1% nel Mezzogiorno, a fronte dello 0,6% nel resto del Paese. Il divario di sviluppo tra Nord e Sud in termini di 4 prodotto per abitante ha quindi ripreso a ridursi: nel 2015 il differenziale negativo è tornato al 43,5% rispetto al 43,9% dell’anno precedente. In Basilicata, il differenziale negativo rispetto al Centro-Nord, pari al 40% nel 2014, ha segnato nel 2015 una riduzione di ben 2,6 punti percentuali (dal 40% al 37,4%). (Fig. 7) È bene rimarcare, ancora una volta, come la ripresa dell’economia nel Mezzogiorno, sperimentata a partire dal 2015, abbia un effetto positivo sulle prospettive di crescita di tutto il Paese: lo sviluppo del Centro-Nord è infatti legato in buona misura anche all’andamento favorevole dell'economia meridionale, data la forte integrazione tra i mercati delle due parti del Paese. 3. Nell'anno, la crescita del prodotto è stata sostenuta nel Mezzogiorno dall’aumento, per la prima volta dal 2008, sia dei consumi che degli investimenti. (Fig. 8) I consumi finali interni nel 2015 sono cresciuti al Sud dello 0,3% (dopo il -0,6% dell’anno precedente); in misura però meno intensa che nel Centro-Nord (0,8%). La differenza tra le due aree è dovuta esclusivamente alla componente privata, mentre quella pubblica è calata in entrambe le circoscrizioni (-0,6%), proseguendo la Pubblica Amministrazione sul sentiero di risparmio delle spese correnti. I consumi delle famiglie sono aumentati nel 2015 nel Mezzogiorno dello 0,7% (-0,1% nel 2014), meno che nel resto del Paese (1,2%, rispetto all’incremento dello 0,9% registrato l’anno precedente). (Fig. 8 bis) In Basilicata, secondo le nostre valutazioni di preconsuntivo, i consumi finali interni hanno segnato nel 2015 un aumento dell’1%, tre volte maggiore di quello medio meridionale (+0,3%) e anche moderatamente più intenso che nel Centro-Nord (+0,8%). Il favorevole differenziale di crescita rispetto al resto del Paese risulta per intero dovuto ad una più intensa ripresa delle spese per consumi delle famiglie, accresciutesi del 2,3%, in virtù soprattutto di un netto incremento (+4,6%) dei consumi per “altri beni e servizi”, voce che comprende spese legate alla cura della persona e alle attività culturali e ricreative. Più marcatamente sfavorevole che nel resto del Paese è risultata, invece, anche nel 2015 la dinamica della spesa per consumi della P.A., contrattasi dell’1,7%. (Fig. 9). Nel 2015 il miglioramento del clima di fiducia degli imprenditori e le meno stringenti condizioni poste dalle banche per l’accesso al credito, uniti alle aspettative positive sulla domanda interna, hanno sospinto gli investimenti anche nel 5 Mezzogiorno, che sono cresciuti nel 2015 dello 0,8% dopo sette anni di variazioni negative. L’incremento è stato in linea con quello del Centro-Nord (0,8%), dove il calo era stato però nel precedente settennio di crisi sensibilmente minore. Nel periodo 20082014 gli investimenti fissi lordi sono diminuiti cumulativamente nel Mezzogiorno del 41,4%, circa 15 punti in più che nel resto del Paese (-26,7%). (Fig. 9 bis) In Basilicata, secondo le valutazioni della SVIMEZ, gli investimenti fissi lordi hanno segnato lo scorso anno un aumento del 2%, più che doppio che nel resto del Paese. Un andamento, questo, che appare tanto più significativo in quanto si configura come un ulteriore consolidamento del processo di accumulazione, dopo la ripresa di eccezionale intensità che sembra essersi verificata – secondo i dati dell’ISTAT – nel 2014: +12%, a fronte di una evoluzione, ancora negativa, invece, sia del Centro-Nord (-2,5%) che, particolarmente, del Mezzogiorno (-6,8%). Grazie alla ripresa del 2014, la Basilicata è riuscita a recuperare una quota apprezzabile della perdita nei livelli degli investimenti accumulata dall’inizio della crisi. Perciò il calo cumulato degli investimenti fissi lordi della regione tra il 2008 e il 2014 appare nettamente più contenuto che per la media del Mezzogiorno: -16,5%, contro 41,4% (-26,7% nel Centro-Nord). Un ruolo decisivo per la relativa tenuta complessiva degli investimenti è stato esercitato dal principale settore di specializzazione, rappresentato dall’automative. Il forte incremento (+38,8% cumulato) posto in luce per il complesso del periodo 2008-2014 dai dati (di fonte ISTAT) presentati nella Fig. 9 bis, è infatti pressoché per intero dovuto all’eccezionale crescita verificatasi nel comparto dei mezzi di trasporto, intervenuta nel biennio 2013-2014 (Fig. 10). Dato il suo ruolo centrale nella struttura industriale della regione, settorialmente poco diversificata, il settore automotive ha sospinto infatti il livello complessivo degli investimenti industriali, in presenza, però, di andamenti che, sempre con riferimento al complesso settennio 2008-2014, sono risultati cedenti per la pressoché totalità degli altri comparti manifatturieri, con cali cumulati, in particolare, del 59,5% per l’industria del mobile, del 56,5% per l’alimentare, del 58,6% per il tessile e abbigliamento; cali che stanno ad indicare dunque un arretramento strutturale di una non piccola parte della base produttiva. 4. (Fig. 11) Nel 2015, il Mezzogiorno ha fatto registrare incrementi di prodotto superiori al resto del Paese in tutti i settori, tranne che per l’industria in senso stretto. In 6 particolare, il valore aggiunto è cresciuto al Sud in modo eccezionale (+7,3%), nel settore agricolo: +7,3% contro il +1,6% del Centro-Nord. Anche il prodotto terziario è cresciuto di più al Sud: 0,8%, più del doppio che nel Centro-Nord (0,3%). Il comparto che in entrambe le aree è cresciuto maggiormente è stato quello composito del commercio, ristorazione e turismo, aumentato nel Mezzogiorno del 2,6%, del 2% nel resto del Paese. In ripresa al Sud anche il settore delle costruzioni, con un aumento dell’1,1%, a fronte di un ulteriore calo (-1,3%) nel Centro-Nord. Nel settore dell’industria in senso stretto, invece, come detto, il prodotto è calato nel Mezzogiorno del -0,9% (a fronte del +1,7% del Centro-Nord). La dinamica negativa del Sud è da attribuire al settore energetico: per il solo settore manifatturiero, il prodotto si è ampliato anche nel Mezzogiorno − anzi, in misura maggiore rispetto al resto del Paese (+1,9% contro +1,4%). In Basilicata, l’eccezionale ripresa del 2015 è stata in larga misura dovuta proprio ad una fortissima espansione dell’industria in senso stretto nel suo complesso (+11,5%) e, nel suo ambito, alla tumultuosa crescita, ad un tasso del 18,6%, della manifattura; il settore che, con un andamento sfavorevole pressoché ininterrotto (-32% di calo cumulato tra il 2008 e il 2014), maggiormente aveva contribuito alla crisi dell’economia regionale nel precedente settennio 2008-2014. (Fig. 12) Anche il settore dei servizi, con un aumento del +4,1%, (di cinque volte maggiore della media del Sud) ha contribuito in maniera importante alla ripresa del 2015, a differenza dell’agricoltura il cui valore aggiunto è cresciuto, ma ad un ritmo più contenuto (+2,3%) e, soprattutto, ben al di sotto della media del Sud (+7,3%). 5. (Fig. 13) Nel 2015 la ripresa economica si è manifestata in tutte le regioni italiane, e segnatamente in quelle del Mezzogiorno, tutte reduci − con la sola eccezione dell’Abruzzo e della Puglia (che avevano partecipato alla ripresina del 2010-2011) − da un settennio di continua e profonda recessione. Tra le regioni meridionali, la Basilicata fa registrare il più intenso ritmo di crescita (+5,5%), un risultato che − come richiamato − non trova riscontro in nessun’altra regione italiana. Analogo percorso segue il Molise, sia pur con un ritmo più moderato (+2,9%); anche l’Abruzzo cresce del 2,5% grazie all'industria, cancellando così il risultato deludente del 2014 (-2%). La Sicilia e la Calabria (per l'eccezionale performance dell'agricoltura) crescono rispettivamente dell’1,5% e dell’1,1%. 7 Molto più contenuta (solo lo 0,2%) appare la partecipazione alla ripresa della Campania, della Puglia e della Sardegna, per la persistenza di alcune crisi industriali. 6. Un aspetto del quale anche nel Rapporto di quest’anno abbiamo inteso porre in luce la grande rilevanza – per le implicazioni che esso comporta per le regioni del nostro Mezzogiorno − è che l’allargamento del divario di sviluppo, interno al nostro Paese, intervenuto nella lunga fase di crisi, si colloca in un quadro che, nel corso di tale fase, ha fatto registrare dinamiche molto differenti tra le diverse regioni dell’area della “convergenza”; più specificatamente, tra le regioni dei membri storici dell’UE e quelle dei nuovi paesi entrati nell’Unione dopo il 2004. (Fig. 14) Un’analisi relativa alla UE a 28, basata sulla dinamica del prodotto pro capite misurato in pari potere d’acquisto, mostra che le regioni della convergenza dell’Est già prima del 2008 crescevano più di quelle svantaggiate dell’UE a 15 (+56,4%, contro 31,4%) e hanno continuato a crescere anche negli anni della crisi, sia pure a ritmi più contenuti (+20,4%), mentre diverse delle regioni svantaggiate dei membri storici dell’Unione subivano pesanti contrazioni dell’attività economica e dei livelli occupazionali. La conseguenza è stata che le regioni mediterranee, tra cui il nostro Sud, hanno perso terreno mentre i nuovi Stati membri avanzavano, determinando, nel complesso, un accentuato e ben peculiare processo di convergenza all’interno della periferia come conseguenza di due dinamiche opposte delle regioni deboli. Pertanto oggi l’economia meridionale si trova a competere, soprattutto dopo l’allargamento ad Est della UE, con economie arretrate in forte crescita ed elevate potenzialità competitive. (Fig. 15) Attualmente, in base all’Indice di Competitività Regionale (RCI), reso disponibile dalla Commissione europea, la graduatoria complessiva, per paese, delle regioni della convergenza dell’UE a 28 segnala un ritardo competitivo importante delle regioni meno sviluppate dei membri storici dell’UE: le prime nove posizioni, con l’eccezione del Regno Unito (1° posto) e Portogallo (9° posto) sono tutte occupate dai nuovi paesi membri. Le cinque regioni della convergenza italiana (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia) occupano solo il 13° posto della graduatoria: con un valore pari a -0,87 risultano più competitive solo rispetto alle regioni della convergenza di Bulgaria (-1,25), Grecia (-1,27) e Romania (-1.33). A limitare le potenzialità 8 competitive delle regioni meridionali concorrono livelli relativamente bassi, e sempre inferiori rispetto alla media europea, sia dei “fattori di base” (qualità delle istituzioni, stabilità macroeconomica, infrastrutture di trasporto, qualità di salute e di istruzione) sia di quelli legati all’efficienza e all’innovazione. (Fig. 16) Nella graduatoria istituibile in base allo stesso Indice di Competitività Regionale (RCI) tra tutte le 272 regioni dell’UE a 28, la regione più avanzata del nostro Paese, la Lombardia, occupa solo il 128 ° posto mentre, per le regioni del Sud, si scende dal 187° posto dell’Abruzzo al 235° della Sicilia. La Basilicata occupa il 227° posto in graduatoria, con un posizionamento solo leggermente migliore, rispetto al dato medio, per il sub-indice relativo ai “fattori di base” (218° posto). Il Sud sopporta una condizione di divergenza strutturale di doppio livello in ambito europeo: non solo perché il suo destino è segnato dal legame con un’economia nazionale sempre meno competitiva rispetto alle grandi economie europee, ma anche per lo status di macroregione della periferia d’Europa che ha il Sud, in particolare dopo l’allargamento a Est. (Fig. 17) Di fronte al dumping fiscale dei nuovi Stati membri, le macroscopiche differenze nei livelli di tassazione del lavoro e del reddito d’impresa tra paesi membri (basti citare l’esempio più clamoroso, delle imposte e contributi sul lavoro al 42,8% in Italia rispetto al 24,5% della Bulgaria) rappresentano un fattore decisivo nel determinare la capacità di offrire un ambiente attrattivo. In definitiva, la mancanza di armonizzazione fiscale nell’Unione europea ha originato una concorrenza impari tra le regioni della convergenza dell’Est e quelle svantaggiate dell’UE a 15, come il nostro Mezzogiorno. Uno svantaggio, sul quale le politiche di coesione per il Mezzogiorno non possono, da sole, incidere che in misura parziale 7. (Fig. 18) Le previsioni della SVIMEZ per il biennio 2016-2017, presentate nel luglio scorso con le “Anticipazioni del Rapporto SVIMEZ 2016”, e relative ai principali aggregati economici del Centro-Nord e del Mezzogiorno, confermavano che la ripresa del Paese è più lenta del previsto, e però diffusa in entrambe le ripartizioni. Secondo le nostre previsioni di luglio nel 2016, il PIL avrebbe dovuto aumentare dello 0,3% al Sud e dello 0,9% nel resto del Paese. Come per l’anno precedente, il principale driver della crescita sarebbe costituito dalla domanda interna. 9 Nel 2017, l’evoluzione congiunturale delle due macro-aree sarebbe invece molto simile: +0,9% nel Sud e +1,1% nel Centro-Nord. È un dato rilevante, che dimostra la capacità del Mezzogiorno di riprendere, anche in via tendenziale, un sentiero di crescita. Rispetto al quadro suddetto, presentato lo scorso luglio, in occasione della presentazione del Rapporto 2016, tenutasi nel novembre scorso, si è offerto un aggiornamento, che tiene conto delle informazioni sull’evoluzione della congiuntura resesi successivamente disponibili a scala territoriale (Fig. 19). Il più significativo elemento di novità è rappresentato dalla maggiore crescita prevista per l’economia meridionale nel 2016: dallo 0,3% ipotizzato a luglio, allo 0,5% attuale. Nel corso del 2016, quindi, il gap di crescita tra le due circoscrizioni verrebbe a ridursi rispetto a quanto ipotizzato a luglio; differenziale che nel 2017 dovrebbe restringersi ulteriormente. 8. L’andamento del mercato del lavoro nel Mezzogiorno è più strettamente correlato a quello dell’attività economica. Come infatti ha rappresentato l'epicentro della crisi, la dinamica positiva dell'occupazione è stata il maggior punto di forza della ripartenza del Sud nel 2015. (Fig. 20) Nella media dell’anno, nelle regioni meridionali gli occupati aumentano di 94 mila unità, pari al +1,6%, mentre in quelle del CentroNord si registra una crescita di 91 mila unità, pari allo 0,6%. La crescita dell'occupazione è proseguita per buona parte dell'anno in corso. Nella media dei primi tre trimestri l’occupazione è aumentata al Sud dell’1,8% (+1,2% nel Centro-Nord) e di ben il 3% per i giovani dai 15 ai 34 anni. (Fig. 21) I dati positivi del 2015 e dei primi mesi dell’anno in corso, in ogni caso, non devono far perdere di vista la voragine che con la crisi, si è aperta nel mercato del lavoro meridionale. Mentre il Centro-Nord, infatti, con questo andamento ha recuperato completamente i livelli occupazionali pre-crisi, il Sud resta assai distante, di circa 5 punti percentuali in meno rispetto al 2008. (Fig. 22) Tra il 2008 e il 2015, il Sud ha subito un calo dell’occupazione pari al 7,5% contro un calo dello 0,9% nel Centro-Nord. In Basilicata, il calo dell’occupazione, nel periodo considerato, si è fermato al 2,7%. Va ricordato che su questo dato ha inciso in maniera decisiva l’eccezionale ripresa registrata nel 2015. Nella media dello scorso anno l’occupazione è aumentata del 3,4%, in misura nettamente più intensa rispetto al dato medio assai positivo del Mezzogiorno (+1,6% e di quattro volte maggiore rispetto al +0,8% della media 10 nazionale. (Fig. 23) La crescita, eccezionalmente intensa nell’industria in senso stretto (8,1%), ha interessato in misura significativa anche il settore dei servizi (+3,9%) Per effetto di questa positiva dinamica, proseguita pur se a un ritmo più contenuto nel 2016, la Basilicata è una delle poche regioni meridionali a mostrare una tendenza più rapida al ritorno dell’occupazione sui livelli pre-crisi. 9. I recenti miglioramenti, di cui si è dato conto, comunque, si inseriscono in un quadro di persistente difficoltà del mercato del lavoro meridionale, con un tasso di disoccupazione che nel 2015 è risultato nell’area ancora del 19,4% contro l’8,8% del Centro-Nord e con un tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) di oltre 22 punti percentuali più alto che nel Centro-Nord: 54,1% contro 32,6%. In Basilicata gli indicatori sullo stato di salute del mercato del lavoro, sempre con riferimento al 2015, fotografano una regione in condizione di vantaggio relativo nel contesto meridionale, con un tasso di disoccupazione minore di quasi 6 punti percentuali (13,7% a fronte del richiamato 19,4% del Mezzogiorno). Ma anche in Basilicata trova riscontro, sia pure anche in questo caso in maniera più contenuta rispetto al drammatico dato medio meridionale, la problematica giovanile delle opportunità di lavoro esasperata negli anni della crisi. Il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato dal 34,8% nel 2008 al 47,7% nel 2015. (Fig. 24) La strutturale carenza di occasioni di lavoro qualificato, che grava in particolare sulle giovani generazioni meridionali, ha rappresentato negli anni Duemila anche la determinante principale della ripresa dei flussi di emigrazione dal Sud verso il Nord. Aggravando le dinamiche demografiche avverse già in atto dall’inizio dello scorso decennio, tra il 2011 e il 2014, il saldo migratorio netto da Sud a Nord ha superato le 232 mila unità. Di questa perdita netta di popolazione, 161 mila sono giovani tra i 15 e i 34 anni (il 68%), e oltre 76 mila laureati. Il saldo migratorio netto della Basilicata, nello stesso periodo, è stato di oltre 6.700 unità, di cui 4.500 giovani (il 68,3%) e 2.600 laureati (il 38,7%). Una perdita netta di capitale umano, di competenze, di nuova classe dirigente dal valore inestimabile, che ha colpito sia Potenza che Matera. 10. I dati economici del 2015 e le previsioni tendenziali per il biennio 20162017, unitamente ai dati sull’andamento del mercato del lavoro stanno ad indicare come 11 l’Italia, e segnatamente il Mezzogiorno, abbiano finalmente imboccato la strada dell’uscita dalla lunga recessione, pur se in un quadro di rallentamento delle aspettative di crescita dell’intero Paese. Il tema oggi è lo sviluppo economico nazionale e, a questo scopo, l’andamento dell’economia del Mezzogiorno rappresenta un fattore decisivo che – come ben evidenzia l’esperienza di questi anni – gioca un ruolo condizionante, sia in negativo che in positivo. In particolare, il favorevole risultato del 2015 è strettamente correlato alla dinamica degli investimenti pubblici, rispetto ai quali la “reattività” del Mezzogiorno si è confermata particolarmente significativa e strutturalmente maggiore rispetto al Centro-Nord. Crediamo non solo che sia possibile “rilanciare il Paese dall’interno”, ma che questa sia un’azione necessaria e di assoluta priorità non solo in considerazione del rallentamento attuale e prospettico dell’economia internazionale ma anche al fine di realizzare la necessaria operazione di riposizionamento del sistema economico italiano all’interno dell’Europa. Da tempo, segnaliamo che la soluzione per i problemi strutturali dell'economia italiana non verrà da una ripresa internazionale a cui “agganciarsi”; ripresa internazionale che fino a ieri sembrava avere migliori prospettive, ma che oggi man mano che procediamo viene sempre più ridimensionata. Le condizioni e le sfide per la ripartenza del Paese possono trovare risposta solo nel campo dello sviluppo, per il cui avvio è fondamentale ripristinare a scala nazionale proprio il ruolo degli investimenti pubblici, che, a nostro avviso, rappresentano in questa situazione la più efficace e indispensabile leva di attivazione e di stimolo di quelli privati. La sfida, dunque, è quella di una effettiva, forte ripresa degli investimenti che, al Sud, significa una vera addizionalità, con il coordinamento, dunque, tra le politiche di coesione e le politiche generali ordinarie ma significa anche una decisa accentuazione dei caratteri di strategicità degli interventi, con la definizione di alcuni grandi ambiti prioritari intorno ai quali incardinare la “strategia di sviluppo” per il Mezzogiorno e per il Paese. Da anni, ormai, la SVIMEZ propone l’idea che sia necessario puntare su alcune direttrici di intervento prioritarie, utili a far fronte all’emergenza occupazionale e ad affrontare la crisi di competitività del Sud e dell’intero Paese. Oltre al rilancio di una coerente e moderna politica industriale, nel corso degli ultimi anni la nostra 12 Associazione si è proposta di offrire un quadro aggiornato, non solo strategico ma anche progettuale, dell’investimento in alcune aree – i cosiddetti drivers: logistica, energie rinnovabili, rigenerazione urbana e ambientale, agroalimentare e agroindustria, e industria culturale. Tali drivers di sviluppo possono essere individuati, come specifici elementi catalizzatori della catena di connessione ricerca-innovazione-produzione, in grado di dare piena espressione alle potenzialità del sistema universitario e di ricerca e al patrimonio territoriale e culturale del Mezzogiorno. In questo contesto, il settore culturale diventa una componente chiave nello sviluppo di un territorio. In questa prospettiva, un ruolo di particolare rilievo può essere rappresentato dalla designazione di Matera come Capitale Europea della Cultura per il 2019, da trasformare già oggi in un’occasione per l’intera economia lucana e per tutto il Mezzogiorno. Le potenzialità di “Matera 2019” vanno infatti ben oltre i confini della città, riguardando una più vasta area regionale e sovra-regionale. La perfomance particolarmente positiva dell’economia lucana nel 2015, unita al clima che si è creato intorno al percorso che porterà a “Matera 2019 – Capitale europea della cultura”, possono dare quella iniezione di fiducia necessaria, supportata da precise e coerenti politiche pubbliche nazionali e locali, per rilanciare il processo di sviluppo regionale, per rendere il territorio maggiormente attrattivo all’insediamento di nuove attività produttive, coltivando le potenziali ricadute intersettoriali. Per l’allargamento delle potenzialità di questo percorso all'intera area regionale e il coinvolgimento dei territori circostanti, acquista un valore decisivo lo sviluppo infrastrutturale e l’accessibilità del territorio. (Fig. 26) In quest’ottica, nell’ambito del c.d. Masterplan per il Mezzogiorno, il Patto per lo sviluppo della Basilicata tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Regione Basilicata destina risorse importanti con un impatto diretto o indiretto verso Matera 2019. (Fig. 27) Altre risorse e interventi di policy sono stati poi riservati direttamente dal Governo al programma di Matera 2019, sia dalla Legge di Stabilità 2016 che da uno specifico programma del MiBACT, principalmente finalizzati alla rigenerazione urbana e alle attività di carattere turistico, culturale e creativo. La sfida è di creare le condizioni per far diventare l’appuntamento di Matera 2019 un vero e proprio catalizzatore per la rigenerazione economica e culturale di un 13 territorio, e così attrarre investimenti connessi anche ad altri settori, direttamente o indirettamente collegati a quello culturale, ma anche, più in generale, industriali o dei servizi avanzati. Sono sfide che, come detto, non si esauriscono nei confini della città o della Regione ma che, proprio per gli ambiti in cui si giocano, riguardano l’intera Basilicata e il Mezzogiorno, nella consapevolezza che i risultati positivi non saranno l’esito meccanico dell’avvenuta designazione, ma vanno perseguiti con l’agire comune degli operatori economici e sociali, e con precise scelte di politiche pubbliche ad ogni livello, locale, regionale e nazionale. Concludo rilevando che, in questa prospettiva, come avrà modo di riprendere nel suo intervento il prof. Giannola, una importanza fondamentale potrebbe certamente assumere l’istituzione di una Zona Economica Speciale (ZES) Matera-Taranto, nell’area logistico-industriale collegata al porto di Taranto e inglobante l’intero comprensorio appulo-lucano che ha il suo epicentro proprio nella realtà e nelle potenzialità di Matera “Capitale europea della Cultura”. Un progetto cui anche la SVIMEZ sta da qualche tempo lavorando, e che è stato oggetto nei giorni scorsi di una proposta di iniziativa parlamentare in sede di approvazione dei provvedimenti per il Mezzogiorno. L’istituzione della ZES potrebbe indubbiamente accrescere l’attrattività dell’area, compensandola degli svantaggi da essa sofferti, come il resto del Mezzogiorno, dal dumping fiscale e rappresenterebbe un momento decisivo per quello sviluppo della logistica avanzata che può consentire di agganciare Matera e la Basilicata al più vasto mercato euromediterreneo. 14