ISTITUZIONI SCIENTIFICHE E RELIGIOSE NELLA

SCIENZA E FEDE
FISICA/
MENTE
ISTITUZIONI SCIENTIFICHE E RELIGIOSE
NELLA RICERCA SCIENTIFICA E
TECNOLOGICA
Roberto Renzetti
PREMESSA
In una sorta di ansia economicista, nel raccontare alcune storie di scienza si
risparmia sulle storie laterali, certamente poco note ma spesso in grado di tenere viva
e portare ad esito felice o distruggere l'intera vicenda. Mi riferisco a quanto sia stata e
sia importante la storia esterna per capire alcuni sviluppi della ricerca scientifica.
Credo fermamente che sono le condizioni economiche, politiche, sociali, e religiose
che possono o meno determinare alcuni sviluppi. Intendo qui occuparmi proprio delle
condizioni al contorno della ricerca scientifica che, per quel che riguarda le mie
competenze, sono gli sviluppi della tecnologia in connessione con lo sviluppo
economico, la presenza di un ambiente religioso, gli investimenti pubblici o privati in
istituzioni scientifiche.
Nel portare avanti le mie argomentazioni farò riferimento, dove occorre, ad altri
articoli da me scritti ed inseriti in Fisicamente ai quali rimanderò. In questo primo
lavoro inizierò ad occuparmi del Seicento, Settecento ed inizi dell'Ottocento a partire
dal ruolo che la religione ebbe (ed ha) soprattutto in Italia.
LA DECADENZA DELLA RICERCA IN ITALIA FINO ALLA
META' DEL SETTECENTO
E' utile avere per riferimento questa carta dello Stato Pontificio per capire meglio
la situazione culturale in Italia dal processo a Galileo fino all'Unità.
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SCIENZA E FEDE
Le note vicende della condanna di Galileo allontanarono dall'Italia la ricerca e,
salvo qualche caso sporadico, essa è stata quasi del tutto assente fino a che, con i
bersaglieri a Porta Pia, non si è rinchiusa la Chiesa dentro le mura leonine. Tutto
questo sembrerebbe non meritare commento, tanto è risaputo. Ma con le gerarchie
ecclesiastiche che minano continuamente la storia con il dubbio che instillano negli
uomini di fede, occorre entrare in spiegazioni anche su cose apparentemente
ovvie.. Mi riferisco allora a degli studi importanti fatti da Ugo Baldini e Pietro
Redondi per la Storia d'Italia (Annali 3, Scienza e Tecnica), da Fernand Braudel
(Dalla caduta dell'Impero Romano al Secolo XVIII) e da Stuart J. Woolf (Dal primo
Settecento all'Unità) della Einaudi.
Baldini discute dell'attività scientifica in Italia nel primo Settecento. Divide il
Paese in zone ed un ampio spazio è dedicato a Roma e lo Stato Pontificio. In questa
parte d'Italia vi è una differenza tra le zone emiliane evolute rispetto al resto.
Un'analisi non pregiudiziale può esordire osservando che la struttura
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universitaria dello Stato era comparativamente densa, essendo stati
mantenuti Studi d'origine comunale e signorile; quelli a sud di Bologna,
però, e in parte la stessa Sapienza di Roma, avevano una didattica
scientifica ristretta, funzionale al carattere più arretrato del tessuto sociale
e con più vive pregiudiziali speculative verso lo sperimentalismo, e rilievi
analoghi sono da farsi per le numerose scuole religiose, popolari e
nobiliari. Tuttavia Roma era un fenomeno culturale per certi aspetti privo
di paragoni, con gruppi intellettuali connessi alla curia e alle case
generalizie degli ordini e con i giuristi e tecnici richiesti
dall'amministrazione dello Stato e dei numerosi patrimoni delle casate
nobili, alcune delle quali provviste di vere e proprie corti con la relativa
dimensione mecenatistica. Nel complesso questi gruppi rientravano in
una strutturazione tradizionale della cultura, ma non erano schierati
compattamente su posizioni chiuse; inoltre il suo ruolo ecumenico faceva
convergere a Roma personalità portatrici di temi e impostazioni eccedenti
di molto i limiti della cultura ufficiale. I caratteri dell'attività scientifica
vanno così intesi in base a quest'intreccio di fattori,
fattori tra i quali s'inserì Galileo che in qualche modo coagulò intorno alle sue ricerche
degli studiosi attraverso il suo amico Benedetto Castelli che teneva dei corsi di
matematica alla Sapienza ed attraverso l'Accademia dei Lincei inizialmente diretta
dall'altro amico Federico Cesi. Vi erano spazi per le ricerche che potevano
Roma: Palazzo Cesi in Via della Maschera d'Oro dove ebbe la
prima sede l'Accademia dei Lincei
porsi come alternative (la nuova scienza) all'unico centro evoluto della Chiesa, il
Collegio romano. Questo nucleo di studiosi intorno al 1640 si disperse restando un
solo labile collegamento tra Roma e Firenze nella persona evoluta e colta di
Michelangelo Ricci (un letterato e non scienziato). Nelle nobili e papaline accademie
che sorsero furono pochissimi i veri ricercatori e tutti provenienti da fuori. Veniva
proprio a mancare quel tessuto di raccordo tra ricerca e botteghe artigiane che era
stato il motore propulsore per i lavori di Galileo.
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Riassumendo molto, si può dire che in qualche settore si mantenne un livello di
dignità ma in tutti quelli che sarebbero diventati trainanti per la possente avanzata
scientifica del Nord Europa, vi fu il quasi buio totale e la cosa coinvolse rapidamente
il resto d'Italia per la grande forza di ricatto che lo Stato della Chiesa esercitava. Il
caso della Toscana è emblematico. Nel 1651 viene creata l'Accademia del Cimento
(diventerà operativa nel 1657) dal Granduca Ferdinando de' Medici e da suo fratello
Leopoldo. Viene attrezzato un ottimo laboratorio nel quale opereranno Lorenzo
Magalotti, Vincenzo Viviani, Giovanni Alfonso Borelli, Carlo Renaldini, Francesco
Redi, Alessandro Segni, Carlo Roberto Dati, i fratelli Candido e Paolo del Buono,
Alessandro Marsili, Steno, Magalotti, Cassini, grandi scienziati formatisi nello spirito
entusiasta delle ricerche e scoperte dei primi decenni del secolo. Ma ... solo 10 anni
dopo, nel 1667, verrà chiusa d'autorità come prezzo per la nomina di Leopoldo a
cardinale ed uno dei membri dell'Accademia, Antonio Oliva, fu arrestato
dall'Inquisizione e per evitare la tortura si suicidò.
Vi erano poi i diretti allievi di Galileo, come il citato Viviani, Bonaventura
Cavalieri, Giovanni Battista Baliani, Evangelista Torricelli ... ma alla loro scomparsa
non ci furono ricambi. E questo anche nell'ambito della tecnica dove, come dice
Braudel, poiché la tecnica non muore dall'oggi al domani,
su questo piano essenziale l'Italia continua a proporre all'Europa i propri
ingegneri, che sono indubbiamente i migliori del tempo. Essi sono
all'opera al tempo del gigantesco assedio di Anversa del 1585, agli ordini
di Alessandro Farnese; sono ancora all'opera nel corso dell'assedio, non
meno gigantesco, della Rochelle, da parte di Richelieu nel 1628; lo sono
ancora ai tempi di Vauban. E i trattati di meccanica italiani sono fra i più
belli che conosciamo, destinati ad essere spesso utilizzati ancora nel
secolo XVIII: così il libro di Agostino Ramelli, pubblicato a Parigi nel
1588, così le opere di Fausto Veranzio (1617), di Vittorio Zonca, Novo
teatro di machine et edificii (Padova 1624), di Benedetto Castelli, Delle
misure dell'acque correnti (1628).
E Braudel prosegue facendo sue le tesi di G. Gusdorf:
La decadenza italiana è un processo quasi esclusivamente culturale, e
culturali sono i sintomi e le cause di questa decadenza: il concilio di
Trento (1545-63), l'istituzione dell'Indice da parte di papa Paolo IV nel
1557, il processo postumo a Copernico (morto nel 1543) nel 1616, il
processo di Galileo e la sua condanna (che sarebbe stata certamente più
grave senza la protezione medicea) nel 1633. L'intolleranza religiosa
soffoca progressivamente il pensiero scientifico, e in generale il pensiero
in tutte le sue forme. L'Italia, nel cuore della Controriforma, paga per
contraccolpo gli enormi successi che la Chiesa riporta, con l'aiuto
spagnolo, nell'opera di ricattolicizzazione dell'Europa, quella riconquista
che sbocca sul duplice limes del Reno e del Danubio, dove Roma, ancora
una volta, si insedia e si arresta di nuovo. In questa violenta lotta
ideologica, si verificò un irrigidimento di Roma e, oltre Roma, di tutta
l'Italia. [...] Si pensi, poi, ai roghi su cui sono arsi i libri condannati. Il
primo viene acceso nel 1524 a Venezia, nel giorno dei santi Pietro e
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Paolo (29 giugno), e questo giorno resterà in seguito il giorno stabilito per
questo triste rito, che avviene regolarmente sul Ponte di Rialto. Le altre
città seguono l'esempio, che dura oltre la fine del secolo. Nel 1600 a
Ferrara, ritornata in possesso del papa, vengono bruciati i libri eretici
della biblioteca di Renata di Francia, moglie di Ercole d'Este (1510-75).
Quello che si perde in Italia non è solo il primato culturale, a questa perdita si
accompagna evidentemente anche la perdita di un certo predominio economico. E alla
decadenza italiana si accompagna l'ascesa dei Paesi del Nord Europa: le province
Unite (Paesi Bassi), la Francia e l'Inghilterra. In questi Paesi si recherà la gran parte
degli ultimi scienziati rimasti in Italia, iniziando esodi che si ripeteranno nella Storia
d'Italia.
LA RIFORMA PROTESTANTE
Vediamo invece cosa accadde al di fuori d'Italia, dove aveva vinto la
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Rivoluzione protestante, sia luterana che calvinista. Uno studio importante su questo
aspetto della storia che ha influenzato grandemente la ricerca scientifica, si può
trovare sull'ottima storia della scienza di Mason. Tale indagine sarà di riferimento in
tutto ciò che scriverò in questo paragrafo.
Lo studio si basa su alcuni dati raccolti da differenti scienziati relativi alla loro
provenienza religiosa. Iniziamo con quelli offerti dal botanico svizzero francese
Alphonse de Candolle (1806-1893), nella sua "Histoire des sciences et des savants
depuis deux siècles" del 1873. Egli studiò l'affiliazione religiosa dei membri stranieri
delle Accademie di Francia e di Gran Bretagna durante la rivoluzione scientifica e
dimostrò che in ambedue le accademie vi era una maggiore rappresentanza di
protestanti che di cattolici confrontata con la maggiore percentuale di cattolici rispetto
ai protestanti tra la popolazione. Nell'Accademia di Parigi, dal 1666 e per 200 anni, si
potevano contare 71 protestanti, 16 cattolici, 5 ebrei e di credenza indeterminata.
Mettendo queste cifre a confronto con le rispettive popolazioni religiose al di fuori
della Francia (107 milioni di cattolici e 68 milioni di protestanti), Condolle mostrò
che gli scienziati protestanti tanto eminenti al di fuori della Francia da meritare
l'elezione all'Accademia di Francia erano 6 volte più numerosi dei cattolici. La stessa
indagine fatta sulla Royal Society di Londra in due periodi, 1829 e 1869, mostrò che i
membri stranieri cattolici erano in circa ugual numero dei protestanti con la differenza
che al di fuori dell'Inghilterra vi erano 139 milioni di cattolici contro 44 milioni di
protestanti. Insomma sembrava proprio che gli scienziati di fama nell'Europa
dell'epoca fossero in maggior numero protestanti.
Simili indagini sono state fatte ancora negli anni successivi. Si possono citare
quelle del sociologo statunitense (di provenienza Est Europa) R.K. Merton, Science
and Technology in the 17th Century England, pubblicata su Osiris (IV, p. 360) del
1938 e dello storico statunitense David Landes, The Wealth and Poverty of Nations:
Why Some Are So Rich and Some So Poor, (W.W. Norton, New York, USA) del 1999
che hanno confermato e fortificato i risultati di Candolle.
Mason non si limita a fornire questi dati ma cerca i motivi, almeno i più
significativi, per i quali la scienza è alla sua base un'impresa più attraente per un
protestante che non per un cattolico. E questi motivi sono almeno tre: una certa
conformità tra l'etica protestante degli inizi con l'atteggiamento scientifico;
l'individuazione della scienza come strumento utile al fine di raggiungere finalità
religiose; una specie di concordanza tra i valori della cosmologia protestante con
quelli delle prime teorie scientifiche moderne.
La prima motivazione è evidente se si rileggono le cose sostenute dai primi
riformatori protestanti, siano essi luterani tedeschi che calvinisti svizzeri. L'uomo si
doveva liberare dalla pretesa autorità dei preti cattolici e doveva cercare la verità
spirituale nella propria esperienza religiosa. La Sacra Scrittura non doveva essere
spiegata da una qualche autorità ma ogni credente poteva leggerla ed interpretarla per
conto suo (sparirono i commenti e le note che ancora oggi imperversano nelle Bibbie
cattoliche). In tal modo l'autorità costituita spariva, non c'era nessuno che poteva dire
cosa e come comportarsi. Il riferimento era la sola Bibbia che ognuno si interpretava
da sé. Ebbene i primi riformatori della scienza si mossero allo stesso modo. Non solo
la Bibbia diventava un'autorità la cui interpretazione era intesa in senso molto lato ed
il cui significato era pensato come metaforico e discorsivo per un popolo che non era
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colto, ma anche l'autorità dei filosofi e saggi del passato era discussa e comunque non
accettata acriticamente. Si abbandonarono i sistemi filosofici degli antichi e,
quand'anche fossero conosciute, si abbandonarono le elaborazioni della scolastica del
Medioevo. La propria esperienza, all'inizio empirica, doveva essere la guida dello
scienziato per lo studio della natura. Questi concetti vennero espressi con estrema
chiarezza proprio durante il Seicento dal calvinista inglese Thomas Sprat (16351713), nella sua History of Royal Society of London (1667). Per Sprat, Chiesa
riformata e Royal Society si muovevano all'unisono:
L'una e l'altra possono con egual diritto rivendicare la parola Riforma:
l'una l'ha attuata nella Religione, l'altra la indica come lo scopo della
Filosofia. Tutt'e due hanno seguito una via simile per giungervi: ciascuna
di esse ha lasciato da parte le copie corrotte e ha fatto riferimento per la
propria istruzione agli Originali perfetti: l'una alla Scrittura, l'altra
all'immenso Libro delle Creature. Entrambe vengono ingiustamente
accusate dai loro nemici di avere commesso gli stessi crimini, di avere
abbandonato le Tradizioni Antiche e di essersi avventurate sulla via della
Novità. Entrambe suppongono similmente che i loro antenati possano
avere commesso errori; e tuttavia continuano a nutrire un sufficiente
rispetto per essi. Entrambe seguono il grande Precetto dell'Apostolo, di
sottoporre tutto a prova. Tale è l'armonia tra i loro interessi e le loro
nature.
Non solo, comunque, i calvinisti avevano questo atteggiamento verso la scienza.
Altrettanto si può dire per i luterani se solo si pensa ai contributi alla teoria
copernicana del matematico ed astronomo austriaco Gioacchino Retico (1514-1574) e
del matematico ed astronomo tedesco Erasmus Reinhold (1511-1553), di tradizione
luterana ed operanti all'università di Wittenberg, cuore della chiesa riformata tedesca.
Il secondo motivo, accennato, che ebbe peso nella prevalenza di protestanti,
soprattutto calvinisti in questo caso, nella ricerca scientifica fu quello che vedeva
l'utilizzazione della scienza a fini religiosi. Questi puritani inglesi, alle origini
antiautoritari e forti di un individualismo empirico, erano mossi dal credo che loro
compito era fare opere buone delle quali potesse avvantaggiarsi l'umanità (un
qualcosa di analogo, in campo scientifico, all'ideale baconiano di contribuire al
miglioramento delle condizioni dell'uomo). Per la verità Lutero e Calvino si erano
disinteressati delle opere di bene occupandosi il primo di avere fede interiore ed il
secondo di essere tra i pochi eletti da Dio destinati alla salvezza. Poiché sfuggiva il
criterio di salvezza, intorno alla metà del Seicento, si realizzarono, tra l'altro,
modifiche della dottrina ed in Paesi come l'Olanda, la Scozia e l'Inghilterra, si impose
il criterio di dover fare opere buone per ottenere la salvezza. E la scienza era tra le
opere buone. Questo aspetto è descritto nel Commentaries on Ecclesiastes and the
Song of Solomon (1654) di John Cotton (1585-1652), puritano emigrato in America,
che addirittura poneva la conoscenza della scienza era un dovere per un cristiano:
Studiare la natura e il corso e l'uso di tutte le opere di Dio è un dovere
imposto da Dio a tutti gli uomini indistintamente dal re che siede sul
trono fino all'artigiano ...
Prima ragione. La gloria di Dio che si manifesta nelle creature ...
Seconda ragione. Il nostro beneficio personale, sia. quello del corpo
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grazie alla salute, come nella conoscenza di molte cose medicamentose;
sia quello dell'anima in virtù dell'istruzione, che ci può venire dallo
studio delle creature; e quello del nostro patrimonio attraverso il
guadagno, quando conosciamo il valore e l'uso di ogni cosa ...
Studiare la natura di tutte le cose, che gli uomini possono imparare gli
uni dagli altri attraverso l'osservazione e il colloquio, apre i nostri cuori
a Dio e accresce la nostra capacità di essere utili a noi stessi e agli
altri ...
Ebbene, non vanno scusati qui quegli studiosi che si applicano soltanto
allo studio di qualche causa e proprietà generale delle creature, come i
principi dei corpi naturali, il loro movimento, tempo, spazio, e misura,
ecc., ma trascurano di applicare i loro studi alla natura e all'uso di tutte
le cose sotto il cielo.
Questo secondo motivo sembra aver avuto maggior peso del precedente ed a
sostegno di ciò si individua la medesima esigenza da parte dei luterani che però erano
frustrati nei Paesi nei quali operavano. In quella metà del Seicento vi fu infatti una
migrazione massiccia dai Paesi cattolici, come l'Italia, ma anche da Paesi luterani,
come la Germania, verso Paesi calvinisti come l'Inghilterra puritana con la sua Chiesa
Anglicana riformata, l'Olanda con il proliferare di sette calviniste e la Francia degli
Ugonotti e dei Giansenisti (una specie di calvinisti cattolici). Tutti questi Paesi ebbero
uno sviluppo scientifico imponente per almeno 150 anni (un poco meno l'Olanda del
Settecento per motivi politici). L'Italia sparì riapparendo un poco nell'Ottocento,
secolo in cui iniziò ed avanzò impetuosamente la scienza tedesca.
Il terzo motivo accennato, la concordanza tra i valori della cosmologia
protestante con quelli delle prime teorie scientifiche moderne, è meno intuitivo perché
anche Lutero e soprattutto Calvino erano degli avversari feroci della nuova
cosmologia perché negava quanto era scritto nella Bibbia. Lo si comprende appieno se
si ricorda che ciò contro cui i riformatori lottavano era la concezione medioevale
dell'universo che vedeva una intersezione indissolubile tra teologia (in realtà filosofia
che era diventata solo teologia) e filosofia naturale che descriveva il mondo. In questa
visione il mondo naturale era organizzato gerarchicamente e la gerarchia era quella di
Aristotele (cristianizzato da San Tommaso) che aveva affermato l'intrinseca nobiltà
ed ordine gerarchico dei 4 elementi: più in basso vi era la terra, poi l'acqua, quindi
l'aria, ed infine il fuoco. Sopra a questi elementi materiali che fanno parte del mondo
corruttibile, vi era l'etere eterno e divino. Tutto organizzato in sfere concentriche con
quelle più in alto che distribuivano il moto a quelle più in basso. Una gerarchia che
era ricreata non solo simbolicamente nella gerarchia che dominava la Chiesa di Roma.
Dante ha bel descritto questo mondo che vede in esso la gerarchia tra persone:
nell'ultimo cielo Dio, nei cieli più in basso tutte le altre divinità, gli angeli secondo i
vari gradi stabiliti nel V secolo da Pseudo Dionigi e mantenuti da San Tommaso, poi
la Terra di coloro che sono in prova ed in cui il Purgatorio si elevava a collina verso il
cielo mentre l'inferno si abbassa fino alle frustate della coda di Lucifero. La gerarchia
era poi anche spirituale e riguardava i gradi dell'anima. Ciò era fatto per ammettere
naturalmente chi era destinato al comando e chi a servire, senza alcuna confusione di
ruoli e quindi senza possibili aspirazioni. La Chiesa di Roma era al vertice della
catena di comando e non permetteva a nessuno di interferire, né in questioni
teologiche, né in questioni materiali. Ebbene vi fu una sorta di concordanza tra
scienziati della Riforma e teologi della Riforma nell'abbattere questa struttura
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opprimente, ognuno per la parte che lo riguardava. Gli attacchi non furono coordinati
ma si svilupparono, da un lato, per negare ogni autorità ad una organizzazione del
mondo che non risponde ai dati empirici e deve essere così solo per ubbidire ad una
qualche autorità per giunta religiosa e, dall'altro, per attaccare le gerarchie della
Chiesa di Roma che avevano completamente disatteso il messaggio di Cristo con
simonia, corruzione, lascivia, crapule di vario genere. Lo stesso Calvino scrisse:
Al governo cosi costituito alcuni diedero il nome di Gerarchia, un
termine che, a mio parere, è improprio, e che certamente non viene
impiegato dalla Scritttura. Infatti lo Spirito Santo ha avuto il disegno dI
provvedere a che nessuno sognasse di supremazia o di predominio per
quanto riguarda il governo della Chiesa.
E concluse che a Dio non servono intermediari per operare tanto più che ha tutto
preordinato e predeterminato fin dalla Creazione. Spariva, insieme agli angeli, la
necessità della Chiesa di Roma e della sua gerarchia perché Dio non aveva
intermediari ed agiva direttamente su chi voleva e quando voleva secondo leggi che
egli stesso aveva creato fin dall'origine del mondo. Tutto predeterminato quindi,
anche le leggi della natura ed il mondo si avviava ad essere descritto in questo modo
che prefigura il meccanicismo.
La posizione dei riformatori nella filosofia della natura è immediata ed è già nel
cattolico Copernico ma diventa espressa con chiarezza nel protestante Retico:
Nell'ipotesi del mio maestro [Copernico] la sfera di ciascun pIaneta si
muove uniformemente col movimento assegnatole dalla natura, e compie
il suo periodo senza essere costretta dalla forza di una sfera superiore a
manifestare qualche ineguaglianza.
Tale messa in discussione dell'ordine del Cosmo lo si ritrova anche nelle
metafore utilizzate per descrivere le varia autorità civili. Se prima i re erano
paragonati al cielo più prestigioso, il Primum mobile, poi iniziarono ad essere
paragonati al Sole con una simbologia che inizia con Copernico e trova il suo
compimento in Kepler. In tal modo le due precedenti gerarchie erano messe fuori
gioco. Per completare l'opera serviva mettere d'accordo i riformatori su che valenza
dare a ciò che la Bibbia scriveva(1).
Su questa base, gradualmente, si sviluppò in Inghilterra un movimento
riformatore che riuscì ad appianare la controversia tra teologi e scienziati sul punto
dolente dell'interpretazione letterale della Bibbia. Il movimento era guidato da un
prete puritano, John Wilkins (1614-1672), precedentemente un agnostico rispetto alla
cosmologia poi, dal 1640, un convinto copernicano ed un convinto sostenitore di un
Dio che non ha bisogno di intermediari. L'opera di Wilkins che più convinse il
pubblico colto ad abbracciare la teoria copernicana, e quindi a rendersi disponibile
alle novità in campo scientifico, fu il Discours concerning a new Planet del 1640. Sia
in campo teologico che in quello cosmologico egli sosteneva che Dio fa tutto nel
modo più semplice, non si serve mai di nessun mezzo difficile o complicato per
eseguire ciò che può benissimo essere compiuto con mezzi più semplici e più facili.
Frase che, riportata nel mondo scientifico, adombra i vari principi di minimo (Fermat,
Leibniz, Maupertuis, ...) che iniziarono ad essere elaborati. Più in generale la breccia
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era aperta in modo da rendere possibile quel moto sincrono a sostegno alla concezione
newtoniana del mondo, sostegno che fu definitivo e certo solo quando Newton ebbe
aggiunto, in una edizione successiva della sua opera, i Principia, il riconoscimento del
Dio onnipotente che tutto quel mondo aveva creato e regolava con continuità
fornendogli le energie necessarie perché si mantenesse in moto (altro che l'abiura di
Galileo!). Ed ancora non a caso, vi era un analogo modo di sostegno degli scienziati
inglesi alla religione riformata tanto da poterli definire credenti fino al limite di essere
veri bigotti, come appunto lo stesso Newton.
Tutto bene dunque con la condizione non scritta di assicurare la diversità delle
specie organiche come era stata stabilita dal Signore alle origini, allo stesso modo di
un mondo che da allora funzionava meccanicamente per conto suo. Fu proprio questo
il motivo della rottura tra Chiesa riformata e scienziati, quando nel corso del XIX
secolo si affermarono le teorie evoluzionistiche. Anche la teologia protestante
risultava incompatibile con la scienza.
LE SOCIETA' SCIENTIFICHE
Le università nacquero, come movimento che interessò l'intera Europa, intorno al
1200 per rispondere all'inadeguatezza di insegnamenti impartiti solo sotto l'egida della
Chiesa. In questi luoghi si studiava dibattendo, il pensiero di Aristotele e non
mancava l'influenza di dotti ecclesiastici che, d'altra parte, come membri
dell'organizzazione della Chiesa, erano gli unici ad avere accesso alla cultura. Si era
però fatto impellente il desiderio di istruzione privo da troppo forti condizionamenti.
Ma la Chiesa ammise queste istituzioni esterne ad essa anche perché gli insegnamenti
erano quasi tutti impartiti da ecclesiastici. Le altre scuole, quelle per nobili e
soprattutto nobildonne ed in genere ricchi, organizzate in collegi, erano
stupendamente gestite da Gesuiti che impartivano lezioni di galateo, di danza, di
scherma, di lingue. Era il criterio della separatezza e del controllo secondo il quale chi
studiava, solo i ricchi e potenti, non poteva mescolarsi con le arti meccaniche ed i
saperi volgari. L'autonomia delle università durò comunque poco e presto le autorità
politiche imposero su di esse il loro controllo. Dopo un iniziale scontro si giunse alla
normalizzazione che vide la Chiesa assumere il controllo di tutte le università,
attraverso suoi diversi ordini religiosi, facendole diventare centri di preparazione per
proficue carriere ecclesiastiche. E così fino al Seicento quando ormai le università, o
in Paesi cattolici o protestanti, erano completamente estranee ad ogni attività
scientifica, ad ogni rinnovamento e non solo in ambito scientifico. E poiché quelli
erano diventati centri che garantivano una ferrea trasmissione del potere all'interno
della Chiesa, in essi si ebbe la maggiore opposizione alla scienza che stava nascendo,
considerata una grande minaccia sia per la vera filosofia (quella Tomista) che per la
religione sostenuta dalla Chiesa di Roma, opposizione condita con argomentazioni
dotte, e non solo teologiche, che solo loro potevano fornire. Insomma la Rivoluzione
Scientifica poté nascere ed affermarsi completamente al di fuori delle università e con
esse temibili avversarie. In alcuni luoghi (ma già in epoca nella quale si era aperto un
qualche spiraglio), fu possibile ad uno scienziato occupare una cattedra di filosofia
naturale, come Newton a Cambridge ma quella università non ebbe nulla a che vedere
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con lo sviluppo della sua opera e la sua pubblicazione patrocinata dalla Royal Society.
Anche Galileo aveva insegnato a Padova negli anni più fecondi della sua vita
scientifica, ma le sue opere nacquero altrove, sotto il patrocinio dei Medici, con il
sostegno dell'Accademia del Cimento.
Ed è proprio il ruolo delle Accademie scientifiche che occorre cogliere e
comprendere.
La prima di esse nacque in Italia nel 1603, a Roma, ed assunse il nome di
Accademia dei Lincei, di coloro che hanno l'acutezza e penetrazione della vista della
lince. Era un cenacolo di amici di opinioni simili che dibatteva di questioni di
filosofia naturale e, soprattutto, scambiava informazioni attraverso lezioni che gli
accademici si scambiavano dopo aver studiato alcune questioni che si imponevano. Fu
fondata dal principe Federico Cesi e ad essa fu associato Galileo come accademico
nel 1611. Per mostrare quanto dicevo a proposito delle università assenti alla
promozione della cultura, questa Accademia promosse la pubblicazione di due opere
di Galileo, l'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari del 1613 ed il
Saggiatore del 1623 ed ebbe un ruolo importante nella difesa di Galileo dagli attacchi
che riceveva da curati ed accademici. Fu chiusa nel 1630 con la morte del fondatore
senza che nessuno tentò di proseguirne l'attività considerata l'ostilità palese e gli
atteggiamenti di censura preventiva della Chiesa. Ad imitazione di questa Accademia
nacque a Napoli, nel 1650 (data in cui vi fu la prima riunione), l'Accademia degli
Investiganti, dall'accentuato carattere antiaristotelico che propugnava, a fianco del
rinnovamento delle scienze, un parallelo rinnovamento della vita civile, sulla strada
della filosofia della natura aperta da Bernardino Telesio. Essa fu disciolta, a causa
della peste, nel 1656 e fu ricostituita nel 1662. Altra Accademia, ad imitazione dei
Lincei, nacque a Firenze nel 1657, per iniziativa di Leopoldo dei Medici: l'Accademia
del Cimento. Era un'Accademia di corte che raccoglieva eminentissimi scienziati
(Evangelista Torricelli, Vincenzo Viviani, Francesco Redi, Alfonso Borelli, Lorenzo
Magalotti, Giandomenico Cassini, ...) e che esplicava la sua attività in continue
conferenze alle quali partecipava il granduca. Si era data come fine la sperimentazione
dalla quale doveva essere esclusa ogni speculazione teorica. All'Accademia si deve la
pubblicazione dei Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del Cimento
(1657), in cui sono raccolte le esperienze eseguite negli incontri periodici
dell'Accademia su: suono, magnetismo, luce, liquidi, oscillazione del pendolo, ...
Proprio questo rigido sperimentalismo impedì che l'Accademia acquistasse i caratteri
di una moderna istituzione scientifica. In ogni caso, quando Leopoldo fu elevato alla
porpora cardinalizia nel 1667, l'Accademia fu chiusa, aveva esaurito il suo ruolo
mediatico a sostegno del granduca.
Tra le grandi accademie straniere, sorte a imitazione dei modelli italiani ma
profondamente diverse per storia politica e filosofica dei Paesi in cui nascevano e
quindi con cammini profondamente differenti, hanno avuto un ruolo fondamentale
nella storia della scienza quella francese e quella inglese. La Royal Society di Londra
fu fondata nel 1660 da dodici scienziati che desideravano diffondere lo spirito di
Francis Bacon e quindi si erano dati lo scopo di promozione della cultura fisicomatematica e dell' approccio sperimentale. Tra coloro che la fondarono vi erano
nientemeno che Robert Boyle, Robert Hooke, William Petty, John Wallis e Sir
Christopher Wren. Notevole il fatto che a questi scienziati si era inserito il prete
puritano John Wilkins che abbiamo incontrato come mediatore delle esigenze
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SCIENZA E FEDE
teologiche con quelle scientifiche e che divenne un sostenitore dell'applicazione della
scienza alla soluzione di problemi di arti ed industrie (contrariamente a quanto si era
fatto fino ad allora con la scienza utilizzata soprattutto per i problemi di navigazione e
dei commerci). La segreteria della Society fu affidata al commerciante Henry
Oldenburg (amico di molti scienziati e filosofi, tra cui Spinoza) ed allo stesso John
Wilkins. Molto più tardi, nel 1799, fu fondata la Royal Institution of Great Britain che
raccolse i più grandi scienziati del tempo (Faraday, Davy, Rumford, Cavendish, ...).
L'Académie des Sciences (nel 1699 promossa ad Académie Royale des Sciences) di
Parigi fu fondata nel 1666 da Luigi XIV, sotto il grande impulso di Jean Baptiste
Colbert. Fu quella che dispose di cospicui finanziamenti che permisero imprese a
scienziati singoli impossibili (misurazione di un minuto dell'arco di meridiano,
spedizioni in oltremare per misurare la distanza di Marte, ...). Ad essa erano chiamati
solo gli scienziati di tutta Europa che godessero di chiara fama, contrariamente alla
Society di Londra che era invece aperta a tutti coloro che si interessavano di scienza
(con la conseguenza che in pochi anni rischiò di chiudere). Fu sotto gli auspici di tale
Accademia che furono pubblicate opere fondamentali: Hooke, Newton, Boyle, ...
Altra Accademia di grande rilievo sorgerà vari anni dopo in Prussia. Si tratta della
Societas Regia Scientiarum fondata nel 1700 per fattivo interessamento di Leibniz che
voleva con essa promuovere ed estendere gli ideali di Bacone. L'Accademia nel 1711
venne riconosciuta ed ebbe il sostegno di Federico I il Grande di BrandeburgoPrussia. Nel 1744 fu riorganizzata sotto gli auspici di Federico II che, su
suggerimento di Voltaire, chiamò a dirigerla nel 1746, Pierre-Louis Moreau de
Maupertuis. Da allora acquisì il nome di Accademia Reale Prussiana delle Scienze. E'
da notare che l'influenza ed il prestigio di Leibniz convinsero Pietro il Grande a
fondare, nel 1724, l'Accademia di Pietroburgo che annovererà all'inizio soprattutto
scienziati svizzeri, peronalità come Nicolas Bernouilli, Daniel Bernouilli e Leonhard
Euler.
Fino alla nascita di tali accademie la comunicazione tra scienziati avveniva in
lunghissimi epistolari che, se erano utilissimi tra i corrispondenti, impedivano ad un
pubblico più vasto di conoscere gli argomenti che si dibattevano. A questo grave
inconveniente fecero fronte le accademie che iniziarono la pubblicazione di loro
riviste che portavano a conoscenza di un pubblico sempre più esteso i contenuti delle
sedute e via via i contributi provenienti da varie parti(2). Iniziò nel 1665 l'Académie
des Sciences con il Journal des Sçavans (divenuto poi Journal des Savants). Seguì
nello stesso anno la Royal Society con la pubblicazione delle Philosophical
Transactions dirette da Henry Oldenburg, quindi nel 1682, sotto gli auspici del
Collegium Gellianum a Lipsia, iniziarono la pubblicazione gli Acta Eruditorum (in
lingua latina), periodico che acquistò subito grande prestigio (basti pensare che tra gli
articoli del numero uno vi erano firme del livello di Boyle, Leibniz e Johann
Bernoulli).
LA TECNICA
A questo punto è necessario tornare ancora a John Wilkins e ad una sua opera del
1648, Mathematical Magic. In essa, occupandosi di macchine e dei principi che le
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SCIENZA E FEDE
presiedono, Wilkins sostenne che da esse si possono imparare molti benefici concreti;
soprattutto da parte di coloro che investono le loro fortune nelle costose imprese di
prosciugare le miniere ed i pozzi di carbone, i quali possono apprendere da qui i
fondamenti e la natura delle macchine. Questa frase è importante perché lega a
teologia e scienza anche il suo uso pratico. Si afferma l'uso pratico della scienza e
quindi che si possono ricavare degli utili investendo su di essa. Ciò è molto
importante in un Paese in cui l'Accademia nasce ed è finanziata esclusivamente
dall'iniziativa privata. L'arrivo dei soldi, investiti da altri privati, permetterà alla Royal
Society di attrezzarsi con laboratori sempre più ricchi di strumentazione tra la quale
assume un ruolo importante la parte relativa agli strumenti di misura. Si instaurava un
virtuoso circuito che vedrà l'intersezione tra scienza, tecnica e tecnologia con l'ausilio
non solo della parte teorica ma di quella sperimentale. Era la messa in pratica di un
ideale puritano che si intersecava con l'utilitarismo baconiano: fine dell'uomo è
l'azione e fine della conoscenza è l'utile. Il regno dell'uomo è il mondo fisico che Dio
gli ha donato; l'uomo deve impadronirsi di esso attraverso la scienze della natura che
danno conoscenza, cioè forza per sottometterlo e per soddisfare i propri bisogni. Uso
pratico, anche qui, della scienza per migliorare le condizioni di vita dell'uomo ed i
molteplici mutamenti economici e sociali avvenuti in connessione con la rivoluzione
scientifica hanno visto la tecnologia assumere un ruolo primario con legami sempre
più stretti con la scienza della natura. Tra l'altro tra il Seicento ed il Settecento avviene
una mutazione nella produzione degli oggetti della tecnologia. Mentre
precedentemente erano una realizzazione degli artigiani che facevano un tutt'uno con
essi (un Paese che avesse voluto introdurre una nuova tecnica non poteva farlo se non
importava anche l'artigiano che l'aveva realizzata e l'artigiano diventava insostituibile
e per questo manteneva un rigido segreto sul suo modo di produrre) ora gradualmente
si passava dall'empirismo alla scienza come base della tecnologia. Una tecnica
progettata scientificamente diventava di per sé d'uso per chiunque avesse solo pagato i
relativi diritti. Fu così possibile passare alla pubblicazione, e quindi ad una
conoscenza molto più diffusa, dei prodotti della scienza e della tecnica in riviste
specializzate. Un ruolo importante nell'evoluzione della tecnologia empirica verso
quella scientifica lo svolse la Royal Society. Essa, oltre a mettere insieme un nucleo di
persone con interessi per la scienza e per le sue applicazioni tecniche ed aver
promosso un uso effettivo di tali applicazioni con la realizzazione di molti strumenti,
pubblicò molti lavori in cui si riprendevano tecnologie artigiane del Seicento che per
la prima volta venivano interpretate in chiave scientifica. Nel citato lavoro, History of
Royal Society of London del 1667, Sprat esalta uno dei soci della Società, Christopher
Wren, sia per la sua modestia sia per essersi occupato di scienza pura ed applicata.
Secondo Sprat le opere di Wren comprendevano:
Una dottrina del moto ... uno strumento per riprodurre ogni sorta di
impulsi reciproci tra due corpi a forma di globo, di uguali o diverse
dimensioni a velocità, che si inseguono o s'incontrano, oppure uno in
movimento e l'altro in riposo ... di tutto ciò egli ha dimostrato la vera
teoria ... Una storia delle stagioni ... poiché la difficoltà di una costante
osservazione dell'aria di giorno e di notte sembrava insormontabile, egli
ideò un orologio a pendolo da applicarsi a una ventola, la quale moveva
una rotella coperta di carta su cui il pendolo a sua volta faceva scorrere
una matita di grafite nera, cosi che l'osservatore interpretando i segni
della matita sulla carta poteva dire con certezza quali venti avevano
soffiato in sua assenza durante dodici ore. Allo stesso modo egli inventò
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SCIENZA E FEDE
un termometro capace di autoregistrarsi ... Egli ideò uno strumento per
misurare le precipitazioni piovose ... molti ingegnosi sistemi per trovare
con maggiore facilità il peso dell'atmosfera, i gradi di siccità e umidità ...
nuove scoperte a proposito del pendolo... svariati modi per rendere le
osservazioni astronomiche più facili e accurate ...
Egli ha tentato di fabbricare lenti di forme diverse da quelle sferiche.
Altre opere riguardano: la teoria della rifrazione e la diottrica,
osservazioni su Saturno, selenografia, esperimenti magnetici, studi sulla
geometria del movimento dei remi, sulle incisioni a secco, sulla
correzione delle opere idrauliche, l'invenzione di strumenti di
respirazione per filtrare l'aria pura da vapori fuligginosi e costatare se
l'aria cosi purificata può ancora essere utilizzata; lampade di grande
durata e regolatori per forni capaci di mantenere una temperatura
costante, adatti quindi a vari usi tra cui la covatura delle uova; gli
insetti, la raccolta di fossili e minerali, il modo di mantenere costante il
movimento degli orologi per usi astronomici e nautici, e infiniti altri
benefici; l'iniezione di liquidi nelle vene degli animali ... la trasfusione
del sangue.
Più in generale una gran mole di strumenti, secondo Sprat, è nato sotto l'auspicio ed in
seno alla Royal Society:
Strumenti astronomici.
Orologi fissi e portatili.
Strumenti per comprimere e rarefare l'aria.
Barometri.
Bilance a gravità.
Bilance magnetiche.
Strumenti topografici.
Trivelle geologiche.
Strumenti per misurare la velocità di movimento di oggetti nell'acqua.
Apparecchiature per immersione, una campana da palombaro, mezzi per
rifornire d'aria i palombari.
Apparecchio per misurare la velocità del vento.
Pompa per acqua a pale rotanti.
Termometri.
Macchine per piantare il grano.
Igroscopi.
Analizzatori d'acqua.
Macchine per determinare la forza della polvere da sparo con pesi,
molle, ecc.
Macchine per misurare il rinculo e altre proprietà dei cannoni.
Strumenti vari per migliorare l'udito.
Diversi carri per il moto progressivo.
Uno strumento da applicarsi a carri o carrozze per mIsurare con
esattezza la distanza percorsa.
Uno strumento per fabbricare viti con grande rapidità.
Un metodo per conservare perfettamente l'impronta di sigilli, sculture o
medaglie.
Uno strumento per levigare le lenti di vetro.
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SCIENZA E FEDE
Molti eccellenti telescopi, tra cui uno lungo 18 metri circa, muniti di un
efficiente dispositivo per la loro manovra.
Oltre a questa raccolta di realizzazioni pratiche,davvero impressionante, fatta da
Sprat, vi fu un'opera di divulgazione della Società sugli accennati studi scientifici
relativi alle attività artigiane. Le Storie della natura, delle arti o delle opere, che la
Royal Society curava, comprendevano:
Storie delle miniere e dei minerali inglesi ... della fabbricazione del ferro,
della lignite fossile, dello zafferano, dell'alchermes, del verderame,
dell'imbianchimento della cera, del freddo, dei colori, della fluidità e
stabilità. Storie dei processi di raffinazione, dell'estrazione del rame, della
preparazione dell'allume, del salnitro, della raffinazione dell'oro, della
produzione della potassa, della biacca e dell'ottone, della pittura e della
miniatura, della calcografia, della smaltatura, della verniciatura, della
tintura.
Storie della fabbricazione delle stoffe, dei cardatori, dei follatori, dei
conciatori, storie della lavorazione del cuoio, degli artigiani del guanto e
dell'abbigliamento in cuoio, della fabbricazione della pergamena di
pecora o di vitello e di come si ottiene la pergamena trasparente, della
fabbricazione della carta e dei cartoni, storia dei cappellai, degli stiratori.
Storie della panificazione, del malto, della fabbricazione della birra di
malto e luppolo o di solo malto in diverse località, della pesca della
balena, del tempo atmosferico nel corso di numerosi anni, dei mulini a
vento e altri mulini in Olanda, della costruzione in muratura, della pece e
del catrame, del mais, dei vinai, dell'arte del tiro a fuoco, della
fabbricazione della polvere da sparo comune e di altra venti volte più
potente di quella per pistola.
Tutto ciò, unitamente ad una politica lungimirante sui brevetti, pose le basi per
intersecare i prodotti della scienza con i prodotti della tecnologia ed i risultati vanno
ricercati nei settori che indicava Wilkins a cominciare dal commercio. Ma qui, prima
che andare ad indagare in ambito scientifico, occorre accennare a quello politico.
Dopo il periodo elisabettiano, che vide la nascita dell'Inghilterra come potenza
europea con la sconfitta dell' Invincibile Spagna, la conquista di vari mercati, il fiorire
di commerci, iniziarono lotte politiche che, in somma sintesi, vedevano lo scontro tra
la conservazione di antichi privilegi e la richiesta di aperture. La profonda
insoddisfazione per lo stato dell'economia e delle libertà era di due ceti, da una parte i
possidenti a difesa della proprietà, contro le tasse arbitrarie della corona, contro i
benefici delle rendite feudali per un'etica protestante. Dall'altra chi avrebbe voluto
proprietà comune, democrazia nelle istituzioni e nella giustizia, abolizione della
Chiesa di Stato(3). Vinsero i possidenti con la loro ideologia ampiamente
rappresentata in Parlamento. Ma una crisi finanziaria ed economica profonda, che si
sovrapponeva a continue lotte religiose, investì il Paese tra il 1620 ed il 1650 proprio
quando esso era in mano prima a Giacomo I, figlio della cattolica Maria Stuart, che si
manifestò imbelle ed in grado di scontentare tutte le fazioni, e quindi a suo figlio
Carlo I, che esercitò un potere autoritario e vessatorio tanto da provocare sollevazioni
dovunque. Tutto questo finì con il Parlamento che si autoconvocò nel 1640 facendo
decadere tutte le leggi liberticide, affermando che solo il medesimo Parlamento
avrebbe avuto l'autorità di legiferare e con la decapitazione dello stesso sovrano nel
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SCIENZA E FEDE
1649. Ma non finì qui, vi furono nuovi rivolgimenti, si passò alla Repubblica, poi fu
restaurata la monarchia con vendette di ogni tipo, finché ancora il Parlamento non
chiese a Guglielmo d'Orange, non impelagato con i cattolici e di sicura fede
protestante, di insediarsi al trono facendo decadere la casa Stuart (1688), vera
calamità. Era la Rivoluzione Gloriosa dell'Inghilterra, ormai divenuta Gran Bretagna
(occorre avvertire che questa Rivoluzione borghese non si chiuse con questi eventi ma
proseguì con continui cambiamenti per i successivi 200 anni).
La fine delle molte restrizioni e barriere aprì un'epoca di grande sviluppo
dominata dai possidenti, da una borghesia imprenditoriale molto attiva. Si ebbe uno
sviluppo senza precedenti dell'industria, della navigazione e dei commerci con
l'enorme vantaggio di essere arrivati primi a questi cambiamenti strutturali che
rendevano la Gran Bretagna sola sul mercato, senza concorrenti. Ed un'industria in
espansione richiedeva continue invenzioni in grado di risolvere i problemi che via via
si presentavano. Ed in questa impresa si seppe coniugare con successo l'attività
imprenditoriale con quella della ricerca scientifica ma anche (e per un certo periodo,
soprattutto) dare impulso alla ricerca tecnologica.
Il principale problema sul tappeto che richiedeva soluzioni rapide era quello del
sollevamento dell'acqua sia per l'approvvigionamento di acqua potabile di grandi
insediamenti abitativi sia per eliminarla dalle miniere, soprattutto di carbone. Le
miniere di carbone, nel 1700, scendevano a profondità di circa 120 metri che
diventarono 190 nel 1750. L'acqua che le inondava impediva il loro sfruttamento ed
un imprenditore del ramo impiegava, nel 1700, 500 cavalli per azionare le pompe
necessarie.
Un altro problema assillava un Paese in cui la navigazione era diventata un
elemento fondamentale di dominio militare e commerciale, quello della
determinazione della longitudine in mare. Su questo rompicapo si erano scontrati
scienziati di primo piano senza venirne a capo: Galileo, Cassini, Huygens, Newton,
Halley. Anche i migliori navigatori, una volta in mare perdevano l'orientamento. Non
conoscendo la longitudine le lunghe traversate si allungavano di molto con il pericolo,
sempre in agguato, dello scorbuto. Quando non finivano in tragedia come accadde, ed
è un solo esempio, alla flotta britannica al comando dell'ammiraglio Clowdisley nella
notte nebbiosa del 22 ottobre 1707. Un calcolo errato della longitudine aveva portato
la flotta ad infrangersi sulle isole Scilly, piatte come i lastroni di pietra che
pavimentano le strade, a 20 miglia dall'estremità sud occidentale dell'Inghilterra.
Duemila furono i morti e due soli si salvarono ed uno di essi era l'ammiraglio che fu
però ucciso da una isolana per rubargli l'anello. I disastri come questi erano ordinari
tanto che nel 1717 la corona inglese offrì una ricompensa di ventimila sterline in oro
(10 milioni di euro di oggi) a chi avesse risolto il problema(4).
Altri problemi erano relativi: alla modernizzare delle macchine per per la
fiorentissima tessitura che da artigiana passava a diventare industriale. E questa
richiesta proveniva da molti settori industriali in sviluppo. Tutto era in moto e
servivano navi mercantili di concezioni diverse, porti, strade, altiforni, laminatoi, ... E,
se si riflette un solo istante, si capisce che tutto era comunque riportato al primo
problema letto in modo più ampio: si richiedevano fonti di energia e macchine in
grado di trasformarla. Ed a questa impresa non bastava ormai più l'artigiano
competente e pieno di iniziativa. Occorreva misurare, comparare, controllare i
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SCIENZA E FEDE
rendimenti, i costi, ... serviva insomma sottoporre a trattamento teorico i dati
dell'esperienza empirica. Fu una problematica che gli ingegneri affrontarono nello
sviluppo del vapore da Newcomen fino a Watt fornendo macchine che cambiarono il
mondo contribuendo a creare enormi conflitti sociali per la grande disoccupazione che
creavano (non ritornerò agli sviluppi della macchina a vapore che ho trattato altrove).
A lato del nuovo modo di produzione nasceva una nuova ideologia, il liberalismo
economico, teorizzato in Sulla ricchezza delle nazioni di Adam Smith (1776). Questo
lavoro non prendeva però in considerazione le condizioni delle grandi masse di
persone espulse dalla produzione, non offriva soluzioni neppure consolatorie, nessuno
stupore quindi se vi furono rivolte anche contro le macchine che culminarono nel
1663, nel 1710, 1753, 1767 e nel 1768 e 1779 nella loro distruzione, nell'incendio
della fabbriche ed addirittura delle dimore dei padroni. Vi è un giudizio impietoso
dello storico inglese Trevelyan sugli economisti liberali. Egli scriveva:
L'effettiva politica economica che, in questo periodo [primi
dell'Ottocento, ndr], guidava l'azione del Parlamento, dei giudici di pace,,
dei nuovi industriali tessili e dei proprietari terrieri "recintori" [le terre
comunali prima libere alla coltivazione ed al pascolo ed in uso di
contadini poveri, erano state recintate per l'uso dei grandi proprietari
terrieri, ndr] era costituita da quelle idee (scelte da varie fonti ed
esagerate) di Adam Smith, di Maltus e di Ricardo che favorivano
l'arricchimento dei già ricchi, e lasciava da parte, in una quiete ignorata,
le altre dottrine di quegli eminenti economisti. [...] Nessuno di [tali
economisti] insegnava sul serio quel dogma disperante dell'impossibilità
di migliorare le condizioni degli operai che si supponeva rappresentasse
la loro dottrina, comoda ai ricchi.
Alle prime rivolte cui accennavo si ispirò il movimento clandestino luddista che
si sviluppò in Inghilterra ai primi dell'Ottocernto e che prendeva il nome da Ned
Ludd, un operaio che distrusse un telaio nella rivolta del 1779. Le prime violente
contraddizione dell'economia capitalista venivano drammaticamente alla luce. Niente,
comunque, riuscì a fermare l'impetuoso sviluppo delle macchine a vapore e del loro
uso che vide ancora la Gran Bretagna mettersi alla testa della rivoluzione industriale
che ne conseguì. Mentre accadeva questo, l'entusiasmo per i poteri messianici della
scienza applicata, tra i tecnologi, cresceva ed uno dei personaggi più significativo in
tal senso è certamente il conte Rumford, del quale ho ampiamente discusso altrove. Si
può essere d'accordo con quanto sostiene Ashton che cioè fu di grande importanza per
la rivoluzione industriale la collaborazione tra uomini di scienza ed industriali in
società tra lo scientifiche e letterarie come la Literary and Philosophical Society di
Manchester e la Lunar Society di Birmingham. In società di questo tipo si svolgevano
spesso incontri con scambi di idee che andavano dal problema scientifico dentro il
problema tecnico. Inoltre in esse si svolgevano lezioni a pagamento, impartite da
insegnanti vaganti per tutta la Gran Bretagna, destinate principalmente alla
preparazione tecnica degli operai.
Il problema della longitudine, al quale accennavo e che vide svariati membri
occuparsene per diverso tempo, fu affrontato dal Consiglio della Royal Society con la
seguente dichiarazione del 1663 (riaffermata nel 1685): le questioni concernenti la
navigazione, essendo un affare di Stato, non è opportuno che vengano trattate in seno
alla Società. Il Consiglio nel parlare di affare di Stato si riferiva evidentemente alla
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SCIENZA E FEDE
flotta militare. E poiché i militari avevano grande interesse alla soluzione del
problema, nacque allo scopo un apposito Comitato statale che nel 1675 consultò
l'astronomo Flamsteed per sapere se era possibile sviluppare un metodo astronomico
che riconoscesse la posizione della Luna tra le stelle fisse, metodo ideato
dall'astronomo sassone Peter Benewitz, latinizzato in Petrus Apianus (1501-1552),
Flamsteed scoraggiò l'impresa perché, disse, i cataloghi che riportavano sia le
posizioni delle stelle che quelle della Luna erano molto imprecisi. Immediatamente,
potenza degli interessi militari, Carlo II nominò Flamsteed astronomo reale e finanziò
abbondantemente l'Osservatorio di Grenwich perché si rifacessero cataloghi più
precisi ed affidabili. L'eccellente lavoro di Flamsteed vide la luce postumo nel 1725
ma, per quanto le misurazioni fossero molto più accurate delle precedenti, non erano
in grado di risolvere il problema della longitudine.
Anche la Francia nel 1716 bandì un concorso offrendo addirittura 100 mila
sterline (50 milioni di euro di oggi) per una soluzione completa e definitiva della
longitudine.
L'Inghilterra assegnò il premio all'astronomo tedesco Tobias Mayer, direttore
dell'Osservatorio di Gottinga per la pubblicazione nel 1753 delle sue tavole delle
posizioni di Luna e stelle che permettevano misure con accettabile approssimazione.
Occorre però osservare che questo metodo, da chiunque fosse stato messo in grado di
funzionare, aveva due gravi difetti: non funzionava di giorno e nelle notti nebbiose o
nuvolose. Inoltre richiedeva molte ore di calcoli, tante da renderlo praticamente
inutilizzabile. Il problema venne risolto dall'abilissimo orologiaio Harrison che
nell'arco di 40 anni realizzò cronometri di grandissima precisione in grado di risolvere
il problema della longitudine per confronto tra l'ora locale e quella di Londra(4). Sulla
stessa strada di costruzione di orologi ad altissima precisione si muoveva in Francia
Pierre Le Roy (1717-1785) con la differenza che mentre quest'ultimo tentava la
soluzione dei problemi andando a ricercare il miglioramento dei principi teorici su cui
l'orologio era costruito, Harrison li risolveva per pura abilità meccanica. Era il
confronto tra un approccio scientifico ed uno di carattere artigianale ed empirico. In
ogni caso, a questo punto, il problema della longitudine in mare era risolto, restando
solo la questione della produzione di tali orologi in grande serie. Navigazione e
commercio, da questo punto di vista, risultavano grandemente avvantaggiati.
La Spagna era fuori gioco, con una economia fallimentare legata all'oro delle
Americhe (che servì per arricchire altri Paesi), da quando era stata umiliata dalla
sconfitta con l'Inghilterra. Un Paese con monarchia imbelle, legata a filo doppio con
la Chiesa, in cui non vi fu alcuno sviluppo economico e politico. Come del resto
l'Italia, insignificante espressione geografica soggetta ai voleri della Chiesa di Roma
(dell'Italia mi occuperò in un successivo paragrafo). La Germania ancora non si era
costituita come Stato ed era impegnata nell'impresa di ridurre ad unità politica e
religiosa la pletora di statarelli che la costituivano, impresa che sfociò nella guerra dei
Trent'anni. Sulla Germania pesava il letargo sopravvenuto dopo Kepler, una estraneità
ed un disinteresse per il meccanicismo che produceva teorie naturalistiche peculiari,
legate allo spirito e ad i suoi movimenti interiori del tutto estranei a materia in
movimento come fenomeno esterno all'uomo medesimo. Quella parte di razionalismo
che era penetrato, era spostato dal pensiero e dal sapere verso il costume ed il dovere
morale. La Francia, la più grande potenza politica e culturale d'Europa che rispetto
agli altri Paesi godeva però di una compattezza territoriale, era diventata (a partire dal
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SCIENZA E FEDE
1715) più arretrata economicamente della Gran Bretagna. Dopo le drammatiche
lacerazioni religiose culminate in guerre civili e massacri, la monarchia divenne il
punto unificante del Paese con lo Stato che si identificò con il Re. In questo Paese la
ricerca era ad altissimi livelli con scienziati di primissimo piano ma la situazione
politica era tale da non poter permettere balzi in avanti. Una ottusa monarchia assoluta
era al potere ed anche la scienza risentiva di questo. Le ricerche finanziate erano di
prestigio e non avevano quel fine utilitaristico che abbiamo visto esservi in
Inghilterra. Vediamo alcune realizzazioni della Francia in riferimento a quanto
accadeva in Inghilterra.
LA TECNOLOGIA IN FRANCIA ED INGHILTERRA
Per discutere dell'argomento, non si tratta di fare un brutale elenco di scoperte
ed applicazioni pratiche di ricerche scientifiche. Occorre piuttosto cercare di cogliere
le linee guida di pensiero e sviluppo dei rapporti tra scienza e tecnologia. Alcune cose
importanti le ho dette relativamente alla Gran Bretagna ed ora le riassumo in breve
integrando con ciò che ho tralasciato.
Ho già parlato della soluzione del problema della richiesta di macchine per
sollevare acqua e per muovere telai. Vi è dietro tutta la storia delle macchine a vapore
fino a Watt che riuscì a farne di piccole (anche 2 cavalli) e quindi utili non più solo
alla grande industria ma anche a piccole aziende a conduzione familiare (e qui siamo
ancora a tecnologia trainante per la scienza). Lo sviluppo della macchina a vapore
comportò conseguenze di enorme portata. In poco tempo aumentò enormemente la
quantità di materiale estratto dalle miniere con evidenti ricadute sia nella disponibilità
di energia, per le grandi quantità di carbone che si immettevano sul mercato, sia altre
produzioni particolarmente quella della lavorazione del ferro. L'alimentazione degli
altiforni con coke (carbone minerale) in luogo del carbone a legna elevò le
temperature con cui lavorare ed il mantice alimentato a vapore fece il resto. Processi
successivi, sulla base di lavori di Faraday, portarono all'estrazione del carbonio dal
ferro fuso per la produzione di acciai in grandi quantità (occorrerà però aspettare il
1856 per trattare gli acciai, quando sarà realizzato il convertitore Bessemer con il
quale si eliminava il carbonio dalla ghisa scaldandola ad alta temperatura in presenza
dell’ossigeno dell’aria: in questo modo il carbonio in eccesso della ghisa brucia e nel
forno rimane l’acciaio). Con la maggiore facilità di lavorazione del ferro e poi
dell'acciaio si riuscirono gradualmente a realizzare macchine utensili ed operatrici
sempre più perfezionate e più piccole con la rivoluzionaria novità dei pezzi di
ricambio (la prima industria che li utilizzò fu però negli USA, la Colt). E' da notare in
proposito che la possibilità di macchine e strumenti di precisione aumentò di molto il
rendimento delle macchine a vapore. Mediante trapani e frese di precisione si
riuscirono a realizzare cilindri e pistoni con minime perdite. Ed è qui che nasce
l'industria che costituirà il nerbo del capitalismo: grandi macchine a vapore
alimentano non uno ma molti telai in serie. Nasce l'edificio in cui si raccolgono molte
macchine e quindi molti operai. Con la produzione tessile che cresce si incrementa
l'agricoltura per la richiesta di cotone (si creano anche dei problemi di riconversione e
di adattamento dei suoli alle nuove colture). L'aumento dell'uso del cotone sarà un
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forte incentivo per gli sviluppi della chimica con la produzione di acido solforico e
soda (decolorazione e candeggio) che divennero importanti economicamente come il
carbone (a questi composti si aggiunse presto un'industria dei coloranti per far fronte
al problema della tintoria) Tutti questi minerali e prodotti richiedevano che fossero
trasportati nei luoghi d'uso e ciò comportò una richiesta di mezzi di trasporto sempre
più efficienti anche per via terra (all'inizio del XIX secolo si ebbe l'applicazione del
vapore al trasporto ferroviario) e quindi di strade, ponti e canali oltre che di porti (il
tutto basato su progettazioni scientifiche e non più sull'esperienza e, come visto, di
strumenti per la misura della longitudine in mare. Ancora in quanto fin qui detto è
l'esperienza, l'empirismo, che muove i processi. Ed era duro il sostenere che serviva il
passaggio ad una fase più elevata della produzione di tecnologia de anche un sovrano
come Federico il Grande (1712-1786) di Prussia se ne faceva beffe in una lettera a
Voltaire del 1778 [citazioni da Klemm]:
Gli inglesi possiedono navi costruite con la sezione maestra più
vantaggiosa, in base al giudizio di Newton; i loro ammiragli mi hanno
però assicurato che alla lunga tali navi non tengono poi il mare così bene
come quelle costruite in base alle regole dell'esperienza. Nel mio
giardino volevo far costruire una fontana; Eulero calcolò la potenza
delle ruote che dovevano sollevar l'acqua in un serbatoio, affinché essa
poi avesse a risalire in alto nella fontana, essendovi condotta da
opportuni canali. Questo mio dispositivo di sollevamento è stato eseguito
in base ai calcoli matematici, ma tuttavia esso non è riuscito a sollevare
una sola goccia d'acqua fino a cinquanta passi dal serbatoio! Vanità
delle vanità! Vanità della matematica!
Questo giudizio è molto superficiale (Newton che dà giudizi a distanza ed il
matematico Eulero che fa i conti senza parlare con l'idraulico) ma descrive una
difficoltà vera. La sola matematica non risolve i problemi scientifici applicativi. Su un
problema reale di matematici in gravi difficoltà (T. Le Seur, F. Jacquier dell’Ordine
dei Minimi, e R.G. Boscovich gesuita, noti come “i tre Mattematici") si urtò quando
fu loro affidato il compito di risolvere la stabilità in pericolo della Cupola di San
Pietro (Benedetto XIV, negli anni 1742-1743). Fecero molti conti applicando la
matematica a questioni di statica ma non furono in grado di fornire indicazioni su
come risolvere il problema. Il Papa affidò allora la soluzione del problema al
matematico, ma anche e soprattutto fisico ed ingegnere, Giovanni Poleni (1685-1761,
dal 1710 membro della Royal Society) che, insieme all'architetto Luigi Vanvitelli, lo
risolse brillantemente. Dove si dimostra che per applicare la scienza alla tecnologia
serve un tecnico possibilmente del mestiere che usi la matematica, quindi almeno un
ingegnere. La Francia capì per prima l'esistenza di tali problemi e, pur tra le difficoltà
frapposte soprattutto dagli operatori sulla base della pratica ed esperienza, riuscì
gradualmente ad imporre questa strada che alla lunga sarà quella vincente. E'
l'esperienza delle Scuole Politecniche francesi nate prima della Rivoluzione ed anche
di personalità scientifiche come il fisico ed ingegnere Charles Augustin Coulomb
(1736-1806) del Genio Militare, con i suoi lavori, precedenti a quelli con argomento
elettricità, Essai sur une application des règles de maximis et de minimis à quelques
problèmes de Statique relatifs à l'Architecture del 1773, Théorie des machines
simples, en ayant égard au frottement de leurs parties et à la roideur des cordages del
1781 e Recherches théoriques et expérimentales sur la force de torsion et sur
l'élasticité des fils de metal del 1784, che lavorarono ad un rapporto sempre più stretto
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tra progetto teorico e realizzazione pratica (in questi lavori citati si utilizza il calcolo
differenziale per calcolare le travi e la loro torsione, sulla quale baserà
successivamente la sua bilancia di torsione). L'editore della seconda edizione del
lavoro del 1781 così lo introduceva:
Nello sviluppo dello spirito umano, tutto è collegato. Se le scienze
progrediscono, si perfezionano anche le arti e le industrie. Ciò si è potuto
osservare in Francia, particolarmente nell'ultimo trentennio. E Coulomb
ha straordinariamente contribuito a questo miglioramento mediante i
trattati in cui ha esposto le sue ricerche. Si trovano in essi numerosi
esperimenti, descritti in tutte le loro particolarità, per persuadere
dell'esattezza dei risultati ottenuti, e generalmente presentati nella loro
elaborazione analitica. Quest'ultima, per essere compresa, richiede
conoscenze di matematica. Ma gli artisti, che non sono versati nelle
scienze matematiche, possono sempre studiare con profitto l'intera parte
sperimentale.
Proprio attraverso lo studio delle opere dei grandi possiamo pervenire a
sviluppare le nostre conoscenze. Chi trascura questo studio e lo tiene in
conto di poco utile, non arriverà ad impadronirsi della teoria dell'arte da
lui esercitata. E se alcuni per talento, felice disposizione e circostanze
favorevoli si elevano con i propri mezzi sopra i loro compagni di
mestiere, vorrà dire che questi saranno riusciti solo dopo molti
brancolamenti a trovare da soli una teoria che, si può dire a loro
insaputa, li guida. Tutti questi inconvenienti non esistono per l'artista che
si sia abituato a leggere e studiare le opere degli scienziati che hanno
trattato delle arti. Proprio per questa classe di artisti le trattazioni di
Coulomb ... possono riuscire di grande vantaggio. In esse troveranno
rappresentati i modi ingegnosi scoperti dall'autore per dotare le sue
ricerche di quella esattezza massima che è possibile raggiungere. In esse
riconosceranno anche le precauzioni che egli ha preso nel corso dei suoi
esperimenti, per evitare quelle sciagure che avrebbero potuto colpire gli
uomini che lavoravano sotto di lui.
E Coulomb corredava i suoi lavori con veri e propri progetti che, ad esempio,
prevedevano disegni come il seguente:
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SCIENZA E FEDE
Teoria della spinta della terra su un muro di
sostegno. Schizzo di Coulomb del 1776 [fa Klemm].
e Coulomb non scrisse solo ma operò anche attivamente in opere di fortificazione e
nella costruzione di porti e canali.
La pratica di unire scienza e tecnologia, come accennato, fu sviluppata in Francia
nell' École Polytechnique fondata nel 1794-1795 per sviluppare tecniche belliche per
la Rivoluzione con grande impegno di Lazare Carnot e Gsspard Monge, il primo dei
quali fu considerato artefice della vittoria contro i controrivoluzionari. A questa
scuola erano accettati i migliori studenti di Francia, indipendentemente dal censo, solo
per le loro capcità mostrate in duriddime prove di ammissione. Gli studenti senza
disponibilità economiche venivano mantenuti dallo Stato. In queste scuole
insegnavano i più grandi scienziati di Francia con un obbligo importante: dovevano
scrivere il contenuto delle lezioni giornaliere per poi raccoglierle in dispense per gli
studenti. Era proprio nei piani della scuola lo sviluppo della tecnica su basi
scientifiche. Il chimico A.F. de Fourcroy (1755-1809) elencò nel 1794 le
specializzazioni ingegneristiche che la scuola avrebbe fornito:
Ci occorrono: 1) ingegneri militari, per la costruzione ed il
mantenimento degli impianti di fortificazione, per l'assalto e la difesa di
luoghi e accampamenti, per la costruzione ed il mantenimento di edifici
militari, come caserme, arsenali, ecc.; 2) ingegneri civili, per la
costruzione e la manutenzione delle vie di comunicazione terrestri e per
acqua, come strade, ponti, canali, chiuse,· porti di mare, dighe, fari,
edifici per la marina; 3) ingegneri topografi, per la riproduzione di carte
terrestri e marine generali e particolari; 4) ingegneri minerari, per la
ricerca e l'utilizzazione dei minerali, per il trattamento dei metalli e per il
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SCIENZA E FEDE
perfezionamento dei processi di fonderia; 5) ingegneri navali, per la
marina, che dirigano la costruzione di tutti i natanti, che diano alle navi
le caratteristiche più opportune per i loro particolari servizi, e che
controllino l'approvvigionamento dei porti con legname da costruzione e
ogni genere di materiali.
A questa scuola di enorme prestigio si ispirarono le scuole di specializzazione
tedesche, che saranno altrettanto prestigiose e che videro la luce nel 1825. E, come in
Francia e contrariamente alla Gran Bretagna le imprese scientifiche erano emanazioni
dello Stato, quindi pubbliche. Qualcosa di analogo accadde per il processo di
industrializzazione che mentre in Gran Bretagna era completamente affidato
all'iniziativa privata, in Francia e Germania fu condotto dallo Stato che si pose
inizialmente due obiettivi: l'istruzione per elevare il livello culturale della popolazione
al fine di incrementare i suoi bisogni materiali e spirituali; la formazione di tecnici in
grado di operare al massimo livello nell'industria. Il raggiungimento di tali obiettivi
avrebbe innescato un processo in cui sarebbe sorta l'iniziativa privata.
Il paragone della scuola francese con la britannica è demoralizzante per
quest'ultima. Qui si avevano scienziati anche eccellenti che come privati si riunivano
nelle Società. Vi erano le due università di Oxford e Cambridge che erano esangui,
senza un numero accettabile di studenti, aperte solo a pochi eletti, con regolamenti
arcaici. In Gran Bretagna, come afferma Cardwell, il progresso della scienza e della
tecnologia era una faccenda di singole persone e avanzava per i tentativi di tanti
dilettanti. Con questo potenziale, si chiede Cardwell, come è possibile che la
Rivoluzione Industriale si facesse in Gran Bretagna ? Ecco la risposta a questo quesito
non è banale e mostra che la scienza con tutto il contorno che si vuole, da sola, non
basta per creare industria. Occorrono anche condizioni favorevoli (politiche,
economiche, sociali, geologiche, temporali, ...), ciò che si chiama il contesto.
Nell'Ottocento si raccolsero molti frutti della semina del Settecento ed altri ne
nacquero (non mi occuperò qui degli sviluppi dell'elettricità da Volta fino alla
produzione di corrente alternata passando per alternatori e dinamo, come non mi
occuperò degli sviluppi della termodinamica fino ai motori a combustione interna).
Innanzitutto iniziarono a funzionare le ferrovie con locomotive a vapore (Gran
Bretagna). Ebbero grande sviluppo le navi a vapore che sia Gran Bretagna che Francia
avevano in cantiere da vari anni. Queste due fondamentali innovazioni resero
possibile lo spostamento rapido delle merci e degli approvvigionamenti di carbone e
di minerale. L'estrazione del carbone aumentò molto per l'utilizzazione di altri
ritrovati. Intanto il trasporto sotterraneo di materiale che passò ad essere realizzato
con carrelli su rotaie prima di legno e poi di ferro (il traino era di cavalli). Vi fu poi la
fondamentale invenzione di H. Davy (1778-1829) del 1815, la lampada di sicurezza
per minatori: la fiamma delle lampade non era più libera ma chiusa da una retina in
modo da evitare contatti con il micidiale gas che si sprigionava in miniera che era
causa di esplosioni con stragi continue di minatori (il 6 dicembre 1907 nella miniera
di Monongah negli USA persero la vita 956 minatori; a Courrières in Francia, il 10
marzo 1907, le vittime furono 1099; a Marcinelle nel Belgio, l'8 agosto 1956, si
ebbero 262 morti; ...).
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SCIENZA E FEDE
La lampada di Davy per minatori. La fiamma si sviluppava
all'interno della retina metallica ed un vetro impedendo il suo
contatto con il gas grisou che si sprigiona in miniere di carbone ed
è altamente esplosivo
Una caricatura dell'epoca. Il giovane Davy, con il soffietto in
mano, si diverte nel fare alcuni esperimenti con il gas illuminante.
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Si noti, sulla destra in piedi, il conte Rumford.
Lo stesso Davy vittima di un malore a
seguito di una intossicazione con il gas
illuminante (monossido di azoto, NO).
Queste invenzioni permisero di moltiplicare la produzione di carbone (anche se
la sicurezza migliorò pochissimo). Le conseguenze a catena già le ho descritte ma vi
sono ora delle novità che discendono da scoperte recenti. Da una parte la scoperta
della pila da parte di Volta (caspita, un italiano !) rese possibile la comunicazione a
distanza tramite il sistema telegrafico, dall'altra il processo di produzione di coke per
distillazione dalla litantrace, liberava gas che, opportunamente purificato, rese
possibile l'illuminazione notturna (anche di grandi ambienti ed a prezzi ragionevoli),
prima di fabbriche, poi di strade e quindi di abitazioni. Fu così reso possibile il lavoro
notturno che, per alcune produzioni, era ed è importante. Ed anche quello serale che
richiedeva molta luce per poter operare. Inoltre si poteva operare su turni in modo da
ammortizzare meglio il costo delle macchine. Questi progressi anziché liberare l'uomo
dalla fatica lo costrinsero a giornate lavorative di 16 ore, salari infimi, case malsane,
lavoro precario, nessuna assistenza, lavoro notturno, ... Iniziarono a formarsi
organizzazioni operaie, sindacati, lotte, scioperi, distruzione di macchine ... fino alla
formazione di partiti dei lavoratori ed a loro teorici (Marx). Il Parlamento liberale
inglese comminava la pena di morte a chiunque avesse distrutto una macchina. Lo
stesso Parlamento che permetteva lo sfruttamento dei bambini nelle fabbriche
soprattutto nelle miniere. Ci volle il 1842 per avere una legge (non sperate in molto)
che vietasse nelle miniere il lavoro di bambini con meno di 10 (dieci) anni e delle
donne. Ed occorse arrivare al 1833 per l'abolizione della schiavitù nelle colonie.
Un industriale tedesco, Friedrich Harkort (1793-1880), fondatore di importanti
officine meccaniche nella Ruhr che dettero grande impulso alla costruzione del
sistema ferroviario tedesco, era disgustato di quanto i suoi colleghi facevano sulla
pelle degli operai e, nel suo Sugli ostacoli della civilizzazione e sull'emancipazione
delle classi inferiori del 1844 così scriveva:
I grandi capitali sono sorti soprattutto attraverso le colpe delle
amministrazioni, dei monopoli, dei debiti pubblici e del deprecato traffico
della carta moneta. Essi sono alla base dei giganteschi impianti,
conducono alla truffa che va oltre il bisogno, ed opprimono le piccole
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SCIENZA E FEDE
officine, mediante le quali, prima, anche chi non era dotato di mezzi
poteva farsi una strada con la propria diligenza, con una giudiziosa
tendenza all'agiatezza. Con l'introduzione delle macchine, con la
suddivisione del lavoro che, come ci mostra Babbage, viene spinta fino
all'inverosimile (ad esempio nell'industria degli orologi esistono 102
rami diversi, ai quali vengono indirizzati i vari apprendisti), sono
necessarie soltanto una forza limitata ed assai poca intelligenza, e· con la
concorrenza il salario deve esser limitato al minimo indispensabile per
restare in vita.
Se appena si verificano quelle crisi di sovraproduzione, che sempre si
ripetono a breve distanza, le paghe scendono subito al disotto dei limiti
minimi; spesso il lavoro cessa completamente per qualche tempo, e
poiché, per effetto della cattiva educazione sociale, il guadagno dei tempi
buoni viene dissipato, ecco che una massa di miseri viene abbandonata
alla fame ed a tutte le pene dell'indigenza.
I lavoratori, spinti dalla necessità di sopravvivere, hanno già tentato
spesso, specialmente in Inghilterra, dove la situazione è peggiore che in
altri luoghi, di tener testa al capitale, riuscendo a stipulare un accordo in
base al quale non si lavorerà al disotto di una determinata paga minima.
Fatica inutile! Il capitale può facilmente trovare impiego altrove e può
durare più a lungo, mentre il lavoratore viene costretto dai bisogni della
vita ad arrendersi a qualsiasi paga. I limiti della sua cultura e della sua
pratica non gli permettono di passare ad un'altra occupazione, in
condizioni diverse. Soprattutto le grandi città sono la culla di queste
industrie, che rendono più ricco lo Stato ma più poveri gli uomini. Esse
fanno crescere una generazione che, allontanata dalla chiesa e dalla
scuola, privata di ogni educazione e di ogni costume, dissipa oggi senza
considerazione nelle taverne quanto aveva guadagnato ieri, stringe
legami irregolari o vive in concubinato, correndo sconsideratamente
verso la miseria. Così si è verificato il fatto atroce che dopo la carta di
Villeneuve-Bargemont [uomo politico francese che nel 1841 presentò al
Parlamento la legge che proteggeva il lavoro dei bambini, ndr] i più
civili popoli d'Europa portano i più neri colori del pauperismo! ...
Una generazione già resa malsana non si può trasformare; la riforma
deve partire dalle radici, cominciare dalla gioventù. Dallo Stato noi
esigiamo che non intervenga solo per comandare, ma anche per aiutare e
per sollecitare.
Inoltre il governo deve controllare e far osservare con tutto rigore che
nessun fanciullo venga impiegato nelle fabbriche prima di aver
adempiuto l'obbligo scolastico.
Ai genitori dev'essere assolutamente tolto il diritto di vendere i propri
figli all'industria come schiavi... Così come stanno ora le cose, i fanciulli
vengono impiegati soltanto per deprimere le paghe agli adulti; se i
minorenni verranno eliminati dalla cerchia di coloro che possono
lavorare, i più anziani troveranno migliori compensi per il lavoro delle
loro mani. Anch'io appartengo alla categoria dei padroni d'industria, ma
disprezzo di tutto cuore la creazione di qualsiasi valore e ricchezza che si
faccia a spese della dignità umana, ed abbassi la classe dei lavoratori. Il
compito della macchina è di sollevare l'uomo dalla servitù animalesca,
non quello di creare ulteriori schiavitù ...
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SCIENZA E FEDE
Così come la legge prescrive la domenica per il riposo, essa può stabilire
che la sera resti libera dal lavoro ...
Ma leggiamo cosa diceva il matematico e meccanico inglese Babbage:
Nessuno porrà in discussione l'affermazione che il tempo necessario per
apprendere un mestiere qualsiasi dipende dalla difficoltà che lo stesso
lavoro presenta, e che l'apprendista ha bisogno, per imparare, di tanto
più tempo quanto più numerosi sono i diversi processi dell'attività da
svolgere. In molti mestieri è necessario un tempo di cinque o anche sette
anni prima che l'apprendista abbia compreso abbastanza il suo lavoro
per poter ricompensare il maestro, nell'ultimo periodo del suo
apprendistato, delle spese che gli ha cagionato. Se però egli, anziché
apprendere, ad esempio, tutti i processi relativi alla fabbricazione degli
aghi, si limiterà ad un processo, il periodo "sterile" del suo apprendistato
sarà assai breve, e tutto il tempo restante sarà fruttuoso per il maestro ...
Ogni apprendista impiega senza alcun utile, oppure rovina, una certa
quantità di materiale; quando egli passa ad un altro processo, la cosa si
ripete con la materia prima o con l'articolo già elaborato. Ora, però, la
perdita sarà assai maggiore se ciascuno dovrà imparare tutti i processi
l'uno dopo l'altro, che non se ciascuno ne dovrà apprendere uno soltanto;
anche per questo motivo la ripartizione delle lavorazioni contribuisce
alla riduzione dei prezzi.
Un altro vantaggio che deriva dalla suddivisione del lavoro è il
risparmio di tempo: poiché in ogni passaggio da una lavorazione ad
un'altra un certo tempo va perduto. Quando la mano e la testa si sono
abituate per un certo tempo ad una determinata specie di lavoro, se
questa cambia, mano e testa non possono assumere subito la stessa
destrezza che avevano raggiunto prima ...
L'uso di attrezzi diversi in ciascuna lavorazione causa pure una perdita
di tempo nel passare da un lavoro ad un altro. Naturalmente la perdita di
tempo è limitata quando gli attrezzi sono semplici e i cambiamenti non
sono molti ...
Chi si è occupato appena un poco di organizzazione del lavoro può riconoscere
in questo brano del 1832 un'anticipazione di quanto teorizzerà F. W. Taylor (18561915) in The Principles of Scientific Management del 1911, con la parcellizazione del
lavoro nella catena di montaggio di Ford. Tralascio varie altre posizioni,
particolarmente quella che si levò più forte a difesa del lavoro e condizione operaia
(Marx), per tornare a discutere dei rapporti tra scienza e tecnica dando un'occhiata a
cosa accade in Germania oltre a quanto già accennato.
Con la fondazione delle scuole politecniche tedesche (a cominciare da quella di
Karlsruhe del 1825), ad imitazione di quella francese, il governo tedesco iniziò
quell'opera di acculturazione della società che riteneva indispensabile per aprire la
popolazione ai consumi che avrebbero reso i privati più interessati a sviluppare
l'industria. A sostegno di questa politica si schierò molta borghesia tedesca presso la
quale si andava diffondendo uno spirito liberale e patriottico favorevole al progresso
tecnico che influenzò la crescita della scuola stessa. Questo tipo di scuola si diffuse
nel resto della Germania ed anche in Austria se ne fondarono.
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SCIENZA E FEDE
Il modo di operare almeno della prima scuola alla quale via via seguirono le altre
discendeva dal corso di costruzione di macchine. Le macchine erano trattate
teoricamente in modo eminentemente tecnico evitando l'eccessivo uso della
matematica dei francesi (uso che era stato criticato anche da D'Alembert). Il tentativo
era quello di legare la tecnica avanzata con la pratica. Quindi, a lato della teoria
tecnica, non si doveva trascurare la parte costruttiva delle macchine medesime e si
doveva cercare di formare, oltre ai professionisti nel ramo, anche dei cittadini
informati dell'industria. Allo scopo si ripresero i lavori di Monge e si introdusse il
disegno tecnico negli insegnamenti (geometria proiettiva e disegno di macchine).
Con la produzione di precisione grandi passi avanti fece la meccanica e l'ottica
(Joseph von Fraunhofer). L'applicazione della scienza alla tecnica aveva permesso
gran parte di ciò. Iniziava ora il processo inverso, l'uso fatto dalla scienza di strumenti
sempre più precisi per osservazioni più affidabili.
Un esempio può dare l'idea di cosa si faceva. Per la misura del cielo da tempi
remoti ci si serviva di quadranti che dovevano essere graduati con grande precisione.
Questa operazione era estremamente complessa e quasi sempre portava ad errori
magari piccoli ma che estesi alle distanze di una stella davano valori angolari sballati.
Suddivisioni meccaniche accurate iniziarono ad essere fatte verso la metà del
Settecento quando all'operazione fu applicato il metodo utilizzato per tracciare la
posizione dei denti degli ingranaggi degli orologi. A portare a termine tale operazione
furono nel 1760 il francese Duca di Chaulnes e l'inglese Jesse Ramsden che nel 1780
ideò una macchina per dividere basata sul principio della vite senza fine.
Quadrante di George Graham (1742) [da Singer]
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SCIENZA E FEDE
Macchina circolare per dividere di Ramsden (1777). La lastra da
dividere è avvitata al grande cerchio dentato (CC). La punta che
incide è applicata al carrello scorrevole (DD). Il cerchio è girato di
un arco determinato coll'abbassare il pedale (R), che, per mezzo di
una corda ed un dispositivo d'arresto, fa ruotare l'abero che porta
una vite senza fine, visibile in alto (Q), che ingrana con il cerchio.
Un segno della punta tracciante a seguito di ciascun movimento del
pedale produce una serie di tracce sulla lastra ad intervalli esatti
[da Singer].
IL SETTECENTO IN ITALIA (CON UN'INCURSIONE
NELL'OTTOCENTO)
Abbiamo lasciato l'Italia e la sua ricerca morente a poco prima della metà del
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SCIENZA E FEDE
Seicento. Per una qualche ripresa, molto marginale, occorrerà attendere la metà del
Settecento quando, sull'onda dell'Illuminismo, qualcosa si mosse non senza dure
resistenze dal solito mondo ecclesiastico, giansenisti e gesuiti (si, proprio loro, ora
intransigenti difensori dell'ortodossia). Ma anche i cattolici illuminati, in Italia,
restavano convinti che alla Chiesa si dovesse ubbidienza. Fu comunque in questo
periodo che in Italia iniziò a porsi il problema della laicità, dell'ateismo, del dubbio
religioso, del protestantesimo, ... di tutto ciò che con il tempo avrebbe formato le
generazioni del Risorgimento e della presa di Roma. Ed in quanto dirò non inganni il
riferimento alla Chiesa di Roma. le nefandezze che avvenivano non erano prerogativa
dello Stato Pontificio soltanto. Mediante la pratica dei Concordati con gli statarelli
costituenti l'Italia, la Chiesa estende il suo potere dovunque. Dove non interveniva
direttamente vigeva l'autocensura. Comunque, dice Woolf,
La censura ecclesiastica e l'Inquisizione rimanevano minacce assai serie,
specialmente nel decennio 1730-40, quando i principi, messi in difficoltà
dalla crisi che scuoteva l'Italia, ritirarono parzialmente la loro protezione.
Ancora nel 1739 il poeta toscano Tommaso Crudeli, membro della
massoneria, poté essere arrestato dall'Inquisizione, ..., e costretto ad
abiurare. Solo durante il lungo pontificato di un uomo dalla mente aperta,
Benedetto XIV (1740-58), quando ormai l'influenza dei gesuiti era in
declino, la critica e l'opposizione poterono essere espresse più
liberamente. Ma anche allora furono il giurisdizionalismo e la protezione
del principe ad offrire un paravento alle nuove idee e a dare impulso alle
riforme, sia in campo giuridico ed economico, sia pedagogiche (...).
Dopo il 1740 la nuova mentalità scientifica, cioè la fiducia nell'utilità
pratica della scienza, rese più saldo il convincimento che le riforme
fossero non solo desiderabili, ma realizzabili concretamente. Le tradizioni
scientifiche non si erano mai interamente spente in Italia, soprattutto nei
centri dove più forte era stata l'influenza del Galilei e del Pomponazzi,
come Pisa, Padova, Bologna e Napoli. Verso la fine del Seicento gli
scienziati italiani erano molto aperti ai progressi del pensiero scientifico
europeo. Fardella, Malpighi, Sorelli, Redi, Viviani, Ramazzini, Di Capua,
Marchetti guardavano a Descartes e a Gassendi, oltre che a Galileo,
nell'esplorare i nuovi orizzonti aperti dal metodo sperimentale fondato su
un'intuizione matematica della realtà.
E là dove fino a 100 anni prima era in tutta Europa che si insegnava Galileo, ora
in Italia si fanno lezioni su Cartesio, su Leibniz, su Locke (le cui opere vennero
sequestrate dalla solerte inquisizione che aveva il terrore di quei principi liberali
contro i quali si scaglieranno molto più avanti gli anatemi di Pio IX), su Newton, con
l'Inquisizione che continua inesorabilmente a colpire. Ma Woolf continua:
Nel 1748 ... Muratori scriveva amaramente: «Mettendo in paragone
l'Italia con la Francia, Inghilterra, Fiandra, Olanda e con qualche paese
della Germania, buona parte dell'Italia resta inferiore nell'industria e
commercio a i suddetti ultramontani». Dal punto di vista intellettuale ed
economico, l'Italia era rimasta indietro rispetto ai progressi delle altre
nazioni europee.
Con il progressivo sviluppo del movimento riformatore, gli intellettuali
italiani si resero conto in modo sempre più chiaro del loro debito verso la
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cultura straniera, specialmente francese. Montesquieu, Helvétìus, Buffon,
Diderot, D'Alembert, Hume, Rousseau furono gli ispiratori dell'opera di
Beccaria Dei delitti e delle pene (1764), come l'autore dichiarò
apertamente al Morellet. All'epoca in cui scrisse La scienza della
legislazione (1780), Filangieri — oltre che ad alcuni philosophes ormai
classici, come D'Alembert e Helvétius — faceva riferimento ad
illuministi più tardi e più radicali, a fisiocratici e a filosofi della storia
come Mably, Boulanger, D'Holbach, Chastellux, Linguet, Raynal,
Robertson, Hume, Blackstone, Mercier de la Rivière, Schmidt
d'Auenstein, ma era in grado anche di richiamarsi ad autori italiani, come
Genovesi e Pietro Verri. L'illuminismo italiano era ormai diventato
adulto; gli scrittori e i riformatori italiani avevano dato un positivo
contributo allo sviluppo del movimento, un contributo di portata
internazionale. Già nel 1767 il Paradisi era pronto a confutare le opinioni
denigratorie del Deleyre sul panorama culturale italiano, facendo appello
a nomi come quelli del Beccaria, del Frisi, del Della Torre, del Fontana,
dello Spallanzani. Negli anni fra il 1775 e il 1780, davanti alla crisi del
movimento riformatore in Francia, i continui progressi realizzati in Italia
rafforzarono la coscienza dei risultati raggiunti, senza che, per ciò, ne
fossero indeboliti i legami con la cultura straniera.
L'importanza del metodo empirico, della nuova «filosofia sperimentale»,
derivava dalla fiducia che questo metodo offrisse dei criteri già elaborati
ed applicati con successo nel campo delle scienze sperimentali e
suscettibili di essere estesi ad ogni aspetto dell'umana attività. Vi era la
ferma persuasione dei successi raggiunti dal metodo scientifico, che
risaliva alle invenzioni e alle scoperte degli umanisti e si identificava nei
nomi di Bacone, Galileo, Newton e Locke; ma vi era anche la
convinzione che queste conoscenze scientifiche, questi «lumi», fossero
legati strettamente al progresso economico e civile di alcune nazioni
come l'Inghilterra, la Francia e l'Olanda. Il nuovo metodo poteva essere
compreso da ogni persona colta che avesse fatto uso della propria ragione
e poteva essere applicato per il bene della società. In ciò esso era diverso,
anzi decisamente superiore, ad ogni generica accettazione del valore della
ragione o, ancor peggio, di qualche «sistema», e in particolare di quello
cartesiano. Per questo motivo l'Algarotti (Newtonianesimo per le dame,
ndr), come Voltaire nelle Lettres philosophiques, si propose di spiegare la
nuova «filosofia sperimentale» a un largo pubblico, con fini
deliberatamente divulgativi. L'erudizione onnicomprensiva, la cultura
scientifica a vasto raggio dèi primi decenni del secolo si restringe e si
concentra, di proposito, su quegli elementi che appaiono «utili» all'uomo
e alla società. L'ottimismo, la fiducia nella capacità dell'uomo di
assicurarsi, nella pace, un'esistenza più civile ed umana, furono i tratti
caratteristici della nuova mentalità illuministica.
La lunga citazione, oltre a darci importanti informazioni, è servita, se ce ne fosse
ancora bisogno, a citare dei nomi di personaggi stranieri che dicono tutto di per sé se
confrontati con qualche coraggioso nostro isolato studioso. Questo significa la
decadenza italiana. Non siamo più trainanti culturalmente dall'esaurirsi delle persone
che avevano vissuto nello spirito di Galileo.
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SCIENZA E FEDE
Nelle scienze particolari la grande tradizione geometrica italiana, a cui erano
legati molti progressi in astronomia, ottica e meccanica, tende a sparire per lasciar
posto (Bologna e Roma) alla più innocua algebra in gran parte di provenienza
straniera. Un calo notevolissimo si ebbe negli studi di ottica fisica, acustica,
termologia, barometria e parzialmente idraulica (che si sviluppò nell'area padana per
motivi pratici). In pratica tutta la fisica teorica e sperimentale era sparita(5).
In quali campi si fece qualcosa che ebbe valore assoluto ? In quelle discipline
che non erano direttamente implicate nella rivoluzione di Galileo: botanica, zoologia,
mineralogia, vulcanologia, matematica (nel senso detto prima), ... I maggiori successi
li abbiamo avuti in anatomia ed in fisiologia con Malpighi, con Redi, Guglielmini,
Borelli, Morgagni. Ma sono fatti isolati non inseriti in contesti o scuole.
Un esempio di grandissimo spessore del come era stata ridotta la fisica ed il suo
insegnamento nello Stato della Chiesa lo abbiamo raccontando le vicende della
Cattedra di Fisica Sacra alla Sapienza di Roma. Proprio la liberazione di Roma ed il
disastro lì trovato nell'insegnamento della fisica (ma anche della matematica e della
biologia) presso l'Università la Sapienza (ed in tutte le università pontificie), può far
rendere conto dello stato in cui ci trovavamo. La cosa fu denunciata con toni allarmati
dagli ispettori del Ministero della Pubblica Istruzione dell'Italia Unita, Matteucci e
Brioschi nel 1870 i quali aggiunsero che tutti gli insegnamenti erano influenzati dalla
tradizione aristotelica nelle scienze naturali (e la cosa avveniva anche nei seminari
arcivescovili). Gli stessi ispettori apprezzarono l'osservatorio del Collegio Romano, e
la medicina insegnata nella Scuola degli ingegneri.
Dopo aver represso duramente ogni cosa si muovesse intorno a Copernico e
Galileo per circa duecento anni (!), nella prima metà del XIX secolo la Chiesa si
propose di tentare un aggiornamento culturale stimolato in vario modo dalla crisi dei
valori politici, culturali ed istituzionali provocata dall'occupazione napoleonica. Il
periodo precedente era stato caratterizzato da un clima di pesante restaurazione
politica e culturale, soprattutto nelle università dove si esercitava un rigido controllo
ideologico sui docenti scientifici (la cosa proveniva dall'Enciclica del 1824 di Leone
XII, Quod divina sapientia, che prevedeva la costituzione di vere e proprie
commissioni di controllo per combattere infiltrazioni di Illuminismo). Ci fu allora
questo tentativo di aprirsi alle scienze con un fine (neppure recondito) apologetico (c'è
da notare che nel 1825, in occasione del Giubileo, lo stesso Leone XII fece togliere
dall'Indice alcune opere di Galileo che erano restate in quel luogo infame per ben 187
anni). Questo compito fu affidato, come no?, ai gesuiti, con il fine di raccordare di
nuovo la fede con la scienza che discendeva dalla visione positivista. La Chiesa
coglieva così la grande opportunità che il Positivismo le offriva: superare il
materialismo illuminista per tentare di far penetrare la teologia cattolica nel pensiero
della società industriale che stava esplodendo con grande fiducia nelle scienze
positive (e si tenga ben presente questo quando si agita il positivismo come papà dello
scientismo, chi dice questo non conosce neppure la storia della Chiesa. Chi fa scienza
sa invece che il Positivismo è proprio la metafisica della scienza ed in questo ben si
accorda con la religione). Come ci racconta (1886) l'abate Stoppani, la Chiesa voleva
combattere scienza con scienza e per farlo occorreva impadronirsi delle conoscenze
scientifiche del tempo per usarle in modo spregiudicato contro le conseguenze
filosofiche di tale scienza giudicate (ancora!) empie.
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SCIENZA E FEDE
Nel 1816 il cardinale Consalvi affidava all'abate Scarpellini la cattedra di "fisica
sacra" al fine di rimettere a posto le conoscenze "segnatamente nel tempo presente, in
cui si abbusa dei progressi delle scienze naturali, o delle nuove cognizioni, per
introdurre degli errori a danno della religione cattolica". C'è dietro la paura della
Rivoluzione francese e l'esempio negativo dell'Encyclopédie che aveva permesso la
diffusione di un sapere scientifico di massa, diffusione con la quale si poteva
trasmettere l'idea di progresso sociale, culturale e politico aborrito dalla Chiesa.
Nel 1837, il matematico S. Proja, nel "Giornale accademico di scienze, lettere ed
arti" (nº 74, pagg. 106-110), così descrive la cattedra di Fisica sacra di Scarpellini alla
Sapienza di Roma(6):
"In un ramo della pubblica istruzione, che ha per oggetto l'applicazione
delle scienze naturali alla considerazione di Dio, non può immaginarsi
sistema né più ordinato né più sublime di quello, che la stessa divina
sapienza ne tratteggiò laonde con saggio divisamento dal primo libro
della Genesi desunse la nostra cattedra l'ordine e la distribuzione delle
materie, nonché l'appellazione di FISICA MOSAICA, FISICA SACRA,
COSMOLOGIA TEOLOGICA. Pertanto in sei grandi trattati se ne divise
l'ampio argomento, essendoché in sei giorni divise Mosè l'opera divina
della creazione, ed a ciascun trattato serve di tema ciò che creò Iddio
nella corrispondente giornata. Quindi è che il I si occupa della creazione
del mondo, o piuttosto della creazione delle sostanze elementari; il II del
firmamento, o sia dell'aria, e della divisione delle acque sopra la Terra
divisa in continenti e mari; il III della produzione dei vegetabili; il IV dei
corpi celesti, e de' loro uffici; il V della produzione dei pesci e dei
volatili; il VI finalmente della produzione degli altri animali e della
formazione dell'uomo ... Sebbene il genere di istruzione che questa
facoltà si propone richieggia che sian cognite agli uditori le generali
teorie delle scienze, nondimeno basando sopra di questo il più bello e il
più sublime dell'applicazione, che dee farsene con bene intesa maestria vi
si sviluppano a minuto, e persino con apposite dimostrazioni
sperimentali, le principali non meno che le più recenti dottrine della
fisico-chimica, dell'ottica, della geologia, dell'astronomia, della storia
naturale. Né questo è già un uscire di via, come talvolta la maledicenza
andò divulgando e cornando per diminuire alla nostra cattedra il credito a
cui in breve pervenne; ... Sapea bene egli quel supremo padre e pastore
della cattolica Chiesa che d'ordinario gli allievi delle scuole ove colali
scienze si apparano, sono sapienti del secolo, e giganti che assalir
vorrebbono il Ciclo; per cui con assai provvido consiglio dispose che i
giovani ecclesiastici dalla nuova cattedra le apparassero, e così eglino
pure sapienti addivenissero, ma di quella sapienza che da Dio scaturendo
a Dio conduce".
La cattedra di Scarpellini durò fino al 1840, ma il suo spirito restò. Esso andava
sotto il nome di "concordismo", il mettere sempre d'accordo Bibbia con fatti
scientifici. Osserva Redondi che:
Dall'ordinamento della materia d'insegnamento che abbiamo prima citato
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SCIENZA E FEDE
risulta chiaro che le difficoltà di questo reciproco adattamento erano
notevolissime. Per esempio, gli esegeti scientifici cattolici e protestanti
facevano ricorso alla cosmologia di Laplace e all'ipotesi della nebulosa
originaria per spiegare la creazione della luce prima degli astri. La
creazione del sole e della luna dopo quella delle piante veniva fatta
corrispondere al dissolversi, con le precipitazioni, di densi strati di
vapore. Ma è anche evidente che questo sforzo esegetico per adattare il
testo biblico alle nuove ipotesi scientifiche e viceversa si rivelò ben
presto, agli occhi della stessa cultura cattolica, un progetto illusorio e
controproducente. Gli entusiasmi e anche i successi iniziali di questa
apologetica in chiave scientifica si infransero irrimediabilmente, alla metà
del secolo, di fronte al darwinismo e alla sua inconciliabilità con la
rivelazione.
E così le scienze restavano in grandissima parte insegnate in modo aristotelico,
con inutili e superficiali classificazioni. Anche quei pochi scienziati (astronomi
gesuiti) che tentarono ricerche (Secchi, Pianciani, De Vecchi) dovettero abbandonare
Roma nel 1848, a seguito dell'allontanamento della Compagnia di Gesù, per recarsi in
Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Allo stesso modo l'altro scienziato in tonaca,
Schiapparelli, non ebbe vita facile. Vi fu un barlume di libertà e laicità proprio l'anno
dopo la cacciata dei gesuiti: la Repubblica Romana che cito solo perché fu l'occasione
per conoscere documenti vaticani sui processi di vari eretici o comunque condannati
dall'Inquisizione tra cui Giordano Bruno e Galileo. In particolare l'aver avuto accesso
ai documenti del Processo a Galileo da parte di Silvestro Gherardi (che scoprì i
documenti che convinsero gli studiosi - Gherardi, Wohlwill, Cantor, Scartazzini,
Banfi, De Santillana - che il Precetto del 1616 era un falso) fece si che il Vaticano si
decidesse a pubblicarli nel 1868 (in realtà non sappiamo e non sapremo mai quanti di
questi documenti continuano a giacere negli Archivi. Ogni tanto, a propri fini, ne
viene fatto filtrare qualcuno).
E poco prima che i bersaglieri entrassero in Roma, anche il darwinismo veniva a
dare altri colpi al concordismo.
Non serve aggiungere altro se non l'indignazione che prende ogni spirito libero
che guarda oggi l'Italia e la rivede piccina e destinata a diventare sempre più
insignificante per i medesimi motivi: una Chiesa padrona ed un potere politico sempre
servile.
CHIESA ED ILLUMINISMO
Le vicende francesi sono state centrali in Europa per un lungo periodo. Come
accennato, la Francia godeva della compattezza del territorio e di una monarchia
solida che godeva della perdita di potere e prestigio della Spagna e degli Asburgo. Il
Paese era anche più popolato d'Europa, escludendo la Russia, con 20 milioni di
abitanti (Gran Bretagna 5, Spagna 7, Impero degli Asburgo 8)(7). L'85% di essi era
occupato nell'agricoltura che era anche la voce principale per le esportazioni.
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SCIENZA E FEDE
L'industria era quasi esclusivamente tessile per la produzione di tessuti di bassa
qualità ed occupava pochi addetti. Vi era poi la ricchezza di nobili, ecclesiastici
(signorie ecclesiastiche, ordini religiosi, vescovati, ...) e borghesi. Sia nobiltà che
clero erano esentati da molte tasse (versavano a loro discrezione degli oboli volontari
allo Stato), le più odiose e pesanti che gravavano durissimamente, anche con odiose
vessazioni degli incaricati alla riscossione, sulla popolazione. L'economia dl Paese era
ancora nel 1614 al disastro. Fu allora che le redini politiche del Paese furono date ad
Armand Jean du Plessis duca di Richelieu, vescovo di Luçon, che nel 1642, con la sua
morte, permise la successione al suo protetto Mazarino (ambedue fatti cardinali per
meriti politici). Ambedue lavorarono per accrescere il potere della monarchia,
aiutandosi anche con giustizia sommaria, processi e condanne a morte. Per sistemare
il bilancio occorse l'opera di Jean-Baptiste Colbert, ministro delle finanze sotto il
regno di Luigi XIV. L'idea guida di Colbert, che ebbe ance un ruolo importante nella
promozione culturale, nella fondazione dell'Académie des Sciences e nell'attrarre in
Francia molti scienziati d'Europa, era che non è possibile migliorare le finanze del
Paese se non migliora l'economia del Paese. Bisognava quindi incrementare le
esportazioni perché il mercato interno non poteva assorbire di più, viste le ristrettezze
economiche della popolazione che per di più era vessata dalle tasse. Inaugurò quindi
da una parte una politica di protezionismo ferreo e dall'altra quella di far nascere
l'industria del lusso (seterie, merletti, arazzi, porcellane, ...) priva di concorrenti,
anche come industria di Stato. Incrementò le attività delle Compagnie operanti nelle
Colonie e dette vita ad importanti opere pubbliche.
Tutto quanto visto si coniugò con una politica religiosa fortemente accentratrice
e totalmente intollerante. A partire dal 1661 si colpì duramente la minoranza
protestante degli Ugonotti, già vittima della Strage di San Bartolomeo del 1572, fino
ad arrivare nel 1685 alla revoca dell'Editto di Nantes (1596) che garantiva la libertà di
culto con la conseguenza della loro migrazione di massa principalmente nei Paesi
protestanti e tolleranti vicini. La persecuzione contro gli Ugonotti iniziò con pressioni
che venivano fatte per convincerli alla conversione con soldi, minacce, privazione dei
figli sottratti e portati ad essere educati in istituti cattolici (sappiamo bene che questa è
una pratica ben nota alla Chiesa di Roma, anche se la Chiesa di Francia era molto
svincolata da Roma per propria posizione politica). Si passò poi alla fase decisiva che
consisteva in aggressioni contro le loro comunità, obbligo di conversione con
l'accettazione dei sacramenti cattolici e, in caso di rifiuto, eliminazione fisica degli
eretici. La Francia divenne così con la violenza tutta cattolica. Analoga cacciata di
protestanti vi fu in Polonia nel 1711. Persecuzioni contro i cattolici vi furono invece
in Irlanda del Nord. Oltre allo sdegno per queste politiche, c'è da sottolineare che con
gli Ugonotti andarono via dalla Francia molti cervelli e molte competenze che solo
loro avevano, come quella della lavorazione del lino e la tessitura della seta, e che
furono importate soprattutto in Inghilterra ed in Irlanda del Nord. Alcuni Ugonotti
non si rassegnarono ed iniziarono una lotta che oggi si chiamerebbe guerriglia. Si
trattava del primo movimento che lottava contro la monarchia e che pian piano crebbe
aggregando molti contadini e sfruttati, indipendentemente dalla fede religiosa.
Intanto, con la monarchia assoluta, era intervenuto un cambiamento radicale
nelle cose di fede. Mentre prima era la Chiesa che individuava e puniva l'eresia, ora
era lo Stato ed il Re che si assumevano il compito di cacciare le eresie con la
conseguenza che entrarono nell'eresia anche questioni relative alla semplice libertà di
pensiero e paradossalmente anche quanto la Chiesa stessa sosteneva se non era in
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SCIENZA E FEDE
linea con la politica del sovrano. Come esempio si può portare la persecuzione della
corona contro il giansenismo (corrente cattolica riformatrice che auspicava rigore
morale e che essendo individualista era potenzialmente contraria all'ordine costituito)
che non c'entrava nulla con l'eresia ma era una spina nel fianco del Re. Ed anche
l'avversione per i Gesuiti, che furono espulsi dal Paese, per la loro maggiore fedeltà al
Papa di Roma che alla corona di Francia (alimentavano uno Stato nello Stato). Stessa
sorte i gesuiti ebbero in molte monarchie cattoliche (una nave piena di gesuiti vagò
per tutti i porti del Mediterraneo senza poter attraccare)tanto che, su particolare
pressione della Francia, l'ordine fu sciolto (Clemente XIV, 1773). Nonostante ciò
possa essere considerata come una violenza, occorre dire che ha un risvolto molto
importante: uno Stato cattolico, per la prima volta, non solo stabilisce che non accetta
interferenze religiose sulla sua politica ma è esso stesso ad interferire nella vita
religiosa. Alla Chiesa, che accettava di buon grado, si offrivano i benefici economici
concessi a tutta l'aristocrazia in cambio di sottomissione. Più radicale con la Chiesa
cattolica fu l'Austria degli Asburgo: ordini religiosi e nomine di vescovi controllati
dallo Stato, matrimonio civile, controllo sulle attività pastorali e su come è
organizzata la Chiesa medesima, nessuna agevolazione sui patrimoni, ...
L'essere il Re diventato un Dio in Terra, creava un naturale contrasto con la
Chiesa che aveva una simile liturgia e gerarchia di presunta volontà divina. Se il
controllo sull'eresia passava alla corona, ad essa andava anche quello sulla cultura del
Paese. Come accennato più su, si cominciava ad avere un qualche timore dell'opinione
pubblica ed era quindi necessario informarla di ciò che faceva comodo inventando
degli eventi che avrebbero portato prestigio. E' da questo presupposto che nascono le
Accademie che danno lustro al Paese che le fonda attraendo in esse le migliori e più
conosciute menti d'Europa. E, come visto, sarà Colbert ad esserne il primo
formidabile promotore. Ma la cosa non si fermò ad un mero fatto di prestigio se molti
tra i pensatori delle Accademie iniziarono ad entrare nell'amministrazioni dello Stato
sostituendo i vecchi burocrati. Qui vi è un altro salto evolutivo che viene compiuto,
così ben scritto da Prosperi e Viola:
Fra gli intellettuali e la politica si apri una delle stagioni, rare nella storia,
di proficua collaborazione; e addirittura i sovrani arrivarono a scegliere
ministri e ambasciatori fra gli uomini di cultura, anziché nella grande
aristocrazia o fra i funzionari e i giuristi degli apparati burocratici di
governo. Allo stesso tempo il rapporto fra potere e produzione del sapere
divenne un legame di dipendenza. La cultura cessò di essere centrata sulla
teologia, cioè il sapere di Dio; e cominciò a ruotare intorno ai due grandi
ordini mentali del potere civile: le scienze e le arti, il sapere de re. Anche
gli artisti non furono più convocati soltanto a allietare e decorare la vita di
corte, o a raffigurare e celebrare il monarca e la sua famiglia, ma a
dirigere la produzione di cultura. Orchestre e compagnie teatrali
diventarono istituzioni pubbliche; le esposizioni di pittura diventarono
normali appuntamenti di pubblica utilità. Per la prima volta dalla fine
dell'antichità, il potere politico diventava il principale laboratorio della
produzione intellettuale; perfino in negativo, poiché definiva gli spazi di
quel poco di cultura d'opposizione che riusciva ad esprimersi.
E tutto ciò durò fino alla seconda metà del Settecento, quando l'assolutismo
giunse al suo apogeo quando nel frattempo maturavano tra gli intellettuali più
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SCIENZA E FEDE
avanzati idee che avrebbero minato alla base i Re divinità con tutte le loro corti di
nobiltà e clero. Al suo culmine l'assolutismo (e non solo in Francia ma anche in altri
Paesi con sovrani illuminati) si propose di realizzare alcune riforme ormai
improcrastinabili: giustizia più equa, abolizione di privilegi, ridimensionamento dei
poteri della Chiesa. Tale programma risultò troppo ambizioso e trovò sulla sua strada
la ferma opposizione di nobiltà e clero e, in modo imprevedibile per la corona, quella
dell'opinione pubblica, dei cittadini che per la prima volta facevano sentire quali
erano le loro condizioni attraverso miriadi di associazioni. Per questi ultimi non
bastava una verniciata ad una struttura vecchia ma se si doveva parlare di fine di
privilegi si doveva anche ammettere il concetto non ben definito di libertà (di
associazione, religiosa, dalle tasse, del mercato, di espressione, di organizzazione, ...).
Ai primi la messa in moto di rivendicazioni così puntuali e diffuse, anche se
disordinate, dette motivo per rialzare la testa e mettere in discussione la politica del
sovrano.
Potrebbe risultare poco garbato ma va detto che andava verificandosi la profezia
evangelica di Giovanni: La luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno
ricevuta. La Chiesa di Roma, che era stata per secoli la luce per l'Europa, andava
spegnendosi e metaforicamente si spegneva anche la luce dei Sovrani discendenti dal
Sole. Occorreva nuova luce e questa, nei decenni centrali del Settecento, fu data dai
Lumi, un movimento d'opinione che trovò il suo centro di prima aggregazione in una
grandiosa impresa editoriale, L'Encyclopédie (la Bibbia satanica per i gesuiti), che fu
realizzata tra il 1751 ed il 1765 a Parigi. Le finalità di quest'opera sono descritte con
chiarezza dal suo direttore, Diderot (1713-1784), Che i nostri nipoti, diventando più
istruiti, diventino, allo stesso tempo, più virtuosi e più felici. L'opera passò con
qualche difficoltà la censura regia perché era un manifesto di tutto il sapere che con
fatica riusciva ad emergere. Si discuteva addirittura la funzione e la filosofia di
Descartes che le università già avevano inglobato e fatto loro perché utile al
mantenimento della scolastica. Grande spazio aveva la tecnica le cui voci erano state
elaborate da Diderot che visitò fabbriche e manifatture per descrivere nei dettagli ogni
macchina e strumento che vi erano utilizzati. con conseguenze importanti nell'impulso
alla produzione industriale. Le nuove idee erano state a lungo perseguitate come
sovversive ed ora, proprio per questo, si presentavano con una importante carica
rivoluzionaria. Il 23 gennaio 1759 fu richiesto alla Suprema Corte di Francia di
annullare il privilegio di stampa. Il che avvenne subito. L'Encyclopédie fu
abbandonata dagli autori, tranne che da Diderot il quale con una serie di stratagemmi
riuscì a portare a termine l'impresa. La Chiesa capì subito che quel manifesto era una
minaccia gravissima contro i suoi dogmi, anche perché spariva la figura di Dio come
creatore e reggitore del mondo, ed in settembre sopravvenne la condanna di Papa
Clemente VIII. E, nel 1763, Voltaire, ancora sotto l'emozione dell'orrore che aveva
suscitato l'ultimo processo per eresia avvenuto in Francia nel 1762, scriveva in
chiusura del suo Trattato sulla tolleranza una Preghiera a Dio, Prière a Dieu, che vale
la pena leggere:
Tu non ci hai dato un cuore perché noi ci odiassimo, né delle mani perché
ci strozziamo. Fa che ci aiutiamo l'un l'altro a sopportare il fardello d'una
esistenza penosa e passeggera: [ ... ] che tutte le piccole sfumature che
distinguono questi atomi chiamati uomini, non siano segnale di odio e di
persecuzione; che coloro i quali accendono ceri in pieno mezzogiorno per
celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole;
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SCIENZA E FEDE
che coloro i quali coprono la veste loro d'una tela bianca per dire che
bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa portando
un mantello di lana nera; che sia eguale adorarti in un gergo proveniente
da una lingua morta, o in un gergo più nuovo [...]
Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! ch'essi abbiano in
orrore la tirannide esercitata sugli animi, così come esecrano il
brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell'industria
pacifica! Se i flagelli della guerra sono inevitabili, non odiamoci però,
non laceriamoci a vicenda quando regna la pace, e impieghiamo l'istante
della nostra esistenza per benedire egualmente, in mille lingue diverse,
dal Siam sino alla California, la tua bontà che questo istante ci ha dato.
L'Illuminismo ed i suoi ideali si diffusero subito per l'intera Europa generando
aggregazioni e speranze di cambiamenti radicali. Esso si ispirava alla filosofia di
Newton e di Locke e che aveva nel primo un riferimento costante come
rappresentante della ragione scientifica (osservazioni sperimentali e conseguenti
elaborazioni teoriche, con la matematica, delle medesime) contro ogni metafisica, si
svolse essenzialmente su tre grandi linee-guida:
1) La ragione è in grado di spiegare tutti i più grandi problemi dell'uomo.
Lo spirito
scientifico ha il primato su ogni forma di oscurantismo.
2) L'uomo illuminato ha il dovere di difendere la cultura. Occorre che i
filosofi naturali, essi stessi, facciano i divulgatori dello spirito scientifico.
L'operazione di divulgazione porta con sé il superamento delle vecchie
credenze che sono ancora alla base della diffusione, e quindi del potere,
della religione.
3) La condizione umana può essere radicalmente migliorata proprio
dall'abbattimento di miti, pregiudizi, superstizioni. L'uomo che si è
impadronito dello spirito scientifico può progredire.
Questa grande fiducia nelle possibilità dell'uomo nasceva certamente dai grandi
successi che, nel secolo precedente, la filosofia naturale aveva conseguito. Ed il
massimo sintetizzatore di quei successi e di quella filosofia naturale era proprio
Newton che ora si ergeva a modello da imitare. Con l'uso dei metodi scientifici
indicati da Newton e con i principi filosofici enunciati da Locke sarebbe stato
possibile sbarazzarsi dei residui scolastici e metafisici presenti in Descartes ed in
Leibniz. D'altra parte le filosofie cartesiana e leibniziana rispondevano bene agli
interessi di chi manteneva vecchi privilegi e pertanto, da questi ultimi, erano state
accettate e rese funzionali al loro sistema di potere. La lotta quindi contro il
cartesianesimo ed il leibnizianesimo, per l'affermazione della filosofia di Newton,
aveva in sé una grande carica rivoluzionaria e si configurava come lotta di potere con
l’illusione che, di per sé, l'affermazione del newtonianesimo avrebbe comportato
quella di nuove classi sociali (la borghesia). Fu certamente il grande impegno di un
uomo come Voltaire (1694-1778) che riuscì a far conoscere al grande pubblico
francese l’opera di Newton. Furono poi i lavori di Condillac, Helvetius, Diderot,
D’Alembert e molti altri fino a Laplace che imposero la filosofia di Newton nel
continente. Ma questo passaggio dall’Inghilterra al resto d’Europa avverrà con
notevoli cambiamenti della stessa.
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SCIENZA E FEDE
Dunque il movimento illuminista, in Francia, si staccò sempre più radicalmente
dal razionalismo aprioristico di tipo cartesiano per abbracciare un nuovo tipo di
razionalismo fondato su fatti empirici. In definitiva si lavora sempre più per risolvere
problemi concreti piuttosto che occuparsi di concezioni del mondo. Le questioni
tecniche, nel secolo precedente affidate in gran parte alla pratica del lavoro
artigianale, vengono sempre più sottomesse a trattamento teorico e questo fatto
comporterà un progressivo avvicinamento tra scienza e tecnica (anche se per tutto il
XVIII secolo almeno, sarà la tecnica ad avere il primato delle conquiste più originali e
feconde). Anche qui con i dovuti distinguo. Mentre infatti in Inghilterra, ancora per
lungo tempo, il fatto tecnico potrà evolvere autonomamente e con grande e
riconosciuta dignità come conseguenza della scelta, fatta dalla cultura inglese, di
prendere a modello lo sperimentalismo dell' 0ptics di Newton per avvicinarsi alla
comprensione dei fenomeni, ben altrimenti le cose si svolgeranno in Francia. In
questo paese il modello metodologico cui i filosofi della natura si ispirano è quello
matematico dei Principia e, non a caso proprio in Francia, la Meccanica diventerà
Meccanica Razionale, Meccanica cioè che partendo dal fatto concreto, nel suo
svolgersi, sempre più perde di vista il punto di partenza per passare ad elaborazioni in
cui la matematica assume un ruolo determinante e che sempre di più usa di metodi
propri della matematica stessa. E questa sarà una costante nella Francia del
Settecento, si privilegerà la scienza teorica pura, mentre in Inghilterra la scienza
sperimentale ed applicativa (solo nei primi anni dell’Ottocento questo dato si invertirà
ed, in particolare, in Francia ci si occuperà di problemi applicativi soprattutto al fine
di sostenere le necessità degli eserciti di Napoleone). In ogni caso, quanto abbiamo
detto sull’accettazione della filosofia di Newton da parte degli illuministi francesi,
non deve far intendere che non permanessero fortissimi influssi cartesiani che si
compenetravano via via sempre di più con alcune problematiche leibniziane. Ed a
proposito degli influssi di Leibniz sul Settecento francese, si osservi, con Cassirer, che
"D’Alembert, pur combattendo anche lui i principi della metafisica leibniziana,
manifestava sempre la più grande ammirazione per il genio filosofico e matematico di
Leibniz; e l’articolo di Diderot su Leibniz nell’Encyclopedie ne tesse un elogio
entusiastico.”
Anche in questo secolo quindi non c’è l'egemonia incontrastata di una sola
filosofia, ma l’intrecciarsi di varie tematiche e problematiche che certamente
vedranno il prevalere, per un lungo periodo, della filosofia di Newton ma che, allo
stesso tempo, alimenteranno e nutriranno quelle correnti di pensiero che, prendendo le
mosse essenzialmente da Leibniz, confluiranno, agli inizi del secolo seguente, in
un'aspra critica del meccanicismo stesso (senza più alcuna distinzione sul tipo di
meccanicismo).
Riguardo all'influenza politica dell'Illuminismo, scrivono Prosperi e Viola:
A portare avanti queste complesse battaglie, di libertà intellettuale e di
efficacia riformatrice, tra filosofia e politica, fu la nuova figura del
philosophe. Il quale non era uno specialista di questo o quel sapere, ma
una specie di generalista del pensiero razionale e del metodo scientifico,
in grado di pronunciarsi autorevolmente sui rapporti fra l'uomo e la
natura, fra il cittadino e la società, fra chi governa e chi è governato. Un
secolo più tardi, questi generalisti si sarebbero chiamati «intellettuali».
In un'Europa normalizzata dall'equilibrato gioco degli interessi e delle
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SCIENZA E FEDE
aree d'influenza, ormai sostanzialmente indifferente alle contese religiose,
la cultura laica dei philosophes introduceva un nuovo principio di
valutazione ideale ed etica della sfera pubblica. Questo principio
superiore creava un forte sentimento di appartenenza e forniva agli
uomini di cultura una bandiera per la quale battersi. Perciò gli
enciclopedisti furono in un certo senso un partito; anzi, secondo i loro
avversari, una setta, la quale, rivendicando libertà per l'opinione pubblica,
avrebbe delegittimato i propri avversari culturali.
Non si trattava naturalmente di ,un partito centralizzato o organizzato; ma
gli enciclopedisti furono in qualche modo gli inventori di una
componente fondamentale della politica moderna: la passione civile laica
che anima la contesa per il governo, non in difesa di interessi di parte, ma
in nome del progresso e dell'interesse generale. I grandi partiti politicoreligiosi del Seicento avevano lasciato il campo a parti politiche che
raggruppavano clientele e rappresentanze di alleanze internazionali, di
fazioni, di gruppi di potere, di interessi specifici. La cultura dei Lumi
restituì alla politica la sua dimensione ideale, per la prima volta al di fuori
del pensiero religioso. Senza l'Illuminismo dei philosophes, gli europei
non avrebbero probabilmente mai preso coscienza di quello che stavano
facendo con la tratta negriera; non si sarebbero posti alcun problema
universale dei diritti dell'uomo; non avrebbero inventato la democrazia;
non avrebbero trovato la sintesi di libertà e uguaglianza; non avrebbero
immaginato di rovesciare la gerarchia della sovranità, fondandola sul
popolo, anziché sulla legittimità divina.
Il «partito» dei Lumi ebbe un rapporto ambivalente col potere delle
monarchie assolute: le appoggiò nella loro azione riformatrice e
razionalizzatrice, ma le contrastò, caratterizzandosi come un pensiero
d'opposizione, sul tema della libertà e dello sviluppo dell' opinione
pubblica. [...] La politica degli illuministi fu dunque sempre in bilico fra
un appoggio critico al dispotismo riformatore e l'intransigente difesa,
dall'opposizione, della libertà di pensiero. [...]
L'Illuminismo ha propugnato alcuni concetti basilari, profondamente
innovativi nel panorama culturale, che hanno rappresentato la bandiera
politica del «partito» dei Lumi: la ragione, prima di ogni altro, e poi la
felicità, la libertà, la tolleranza.
La ragione, che nel secolo precedente era stata protagonista di una vera e
propria rivoluzione del pensiero scientifico, fu adottata dalla generazione
dei Lumi come criterio di valutazione universale, al posto dell' abbandono
alle verità della fede. La ricerca della felicità diventava lo scopo della
vita, sia individuale sia collettiva, degli uomini sulla terra, da non rinviare
ad un'ipotetica vita ultraterrena. La libertà non era più intesa come la
capacità tradizionale di ogni comunità di difendere i propri privilegi
attraverso un'élite naturale, ma come diritto di ogni persona di
manifestare il suo pensiero e di essere tutelata dalle leggi. La tolleranza,
infine, era affermata come capacità di accettare, considerandole legittime,
le opinioni degli altri. La propria verità, fosse anche personalmente
considerata indiscutibile, non avrebbe più potuto essere imposta dal
potere politico a chi non la condivideva. Al contrario, il punto di vista
dell'altro poteva eventualmente rivelarsi altrettanto valido, e comunque
un arricchimento. In ogni caso un diritto imprescindibile di ciascuno.
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SCIENZA E FEDE
Per la legge si apriva un capitolo totalmente nuovo; poiché cessava di
essere la traduzione in consuetudine della rivelazione divina, destinata ad
imporsi come volontà superiore ai destini individuali. Si affermava invece
come una costruzione umana e contrattuale, a tutela dei diritti di
ciascuno. Questo capitolo della storia del diritto era iniziato anch'esso nel
secolo precedente in Inghilterra e in Olanda, e prendeva il nome di
«giusnaturalismo». Come per la costruzione dell'opinione pubblica e la
diffusione della stampa periodica, come per la svolta razionalista, anche
da questo punto di vista dunque l'Illuminismo era teoricamente figlio
delle innovazioni seicentesche. Ma aggiungeva un elemento
fondamentale: la combattività culturale, la forza di penetrazione, la
capacità di organizzarsi per cambiare il mondo.
La legge superiore, di riferimento, era ormai «il codice della natura»,
anziché quello divino; ed era in grado di imporsi a tutti con la sua
indiscutibilità razionale: una legge naturale dall'alto della quale le piccole
contese fra i punti di vista umani apparivano risibili. La ricerca della
felicità, la libertà di questa ricerca apparivano iscritte nella natura, per gli
uomini in quanto esseri viventi, qualunque fosse la loro cultura, o
appartenenza, o posizione sociale. Il rispetto per la risposta che ciascuno
intendeva dare a questa ricerca ne discendeva razionalmente, e
completava la coerenza della costruzione intellettuale dei Lumi. Il partito
dei philosophes si caratterizzava così come uno schieramento politico
agguerrito perché capace del linguaggio più universale, direttamente
valido per tutti gli umani in quanto tali, senza alcun bisogno di adesione
personale o di conversione.
Tutto questo aveva odore di zolfo per tutte le Chiese cristiane ed esse divennero
subito ed apertamente antilluministe(8) e, poiché la Repubblica risulterà figlia di tanto
padre, la Chiesa diventerà irremovibilmente antirepubblicana. Le monarchie europee
non furono tutte contrarie all'Illuminismo, alcune di esse assunsero il ruolo di
illuminate e tentarono quelle riforme di cui dicevo ma con una carica autoritaria che
escludeva sempre i presunti destinatari delle riforme da ogni possibile discussione.
Era totalmente indigeribile per la monarchia il concetto di libertà per i sudditi perché
di essi non ci si fidava. Di modo che il dispotismo riformatore era una successiva fase
della monarchia assoluta. E questo, la appena nata opinione pubblica lo capì e crebbe
politicamente e culturalmente fino a porsi come antagonista rispetto al potere in una
esplosione rivoluzionaria senza precedenti.
RIVOLUZIONE FRANCESE, SCUOLA E SCIENZA
La Rivoluzione Francese ebbe il merito di iniziare un'opera di modernizzazione
dell'Europa tirandola fuori da un Regime spartitorio di ogni cosa, e prima di tutto
dell'individualità della persona, di Monarchie assolute e Chiesa. Due regimi corrotti
che da secoli lavoravano insieme per affermare quovis modo il loro potere sulla
enorme massa dei cittadini che non erano neppure tali ma solo carne da lavoro e da
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SCIENZA E FEDE
macello. I Paesi che riuscirono a seguire lo spirito della Rivoluzione piano piano si
andarono liberando delle palle al piede di nobiltà e clero per avanzare sui terreni civili
e sociali. Altri continuarono a subire ogni angheria per qualche decennio, in alcuni
Paesi fino ad oggi e non si sa fino a quando ancora.
Come ogni momento creativo e, poiché investe grandi masse di persone, sacro,
dell'attività dell'uomo la Rivoluzione francese ebbe momenti di degenerazione, di
profittatori, di voltagabbana, di veri e propri maniaci. Ma ciò non toglie all'intera
avventura il profondo merito che annunciavo e per il quale non smetterò, e nessuno
dovrebbe mai smettere, di essere grato a questa impresa collettiva.
I termidoriani segnarono un lungo periodo della Rivoluzione. Per entrare
nell'argomento che ho l'intenzione di cominciare a trattare, l'impulso alla ricerca
scientifica che venne dalla Rivoluzione, inizio proprio da qui riportando un passo del
lavoro di Furet e Richet, che si occupa della base indispensabile per ogni progresso, la
scuola:
I Termidoriani non sono soltanto - e del resto non tutti - uomini avidi di
denaro e di piacere, e nutrono anzi due. profonde passioni politiche, l'odio
per i nobili e l'anticlericalismo. Tutto il loro passato lo dice chiaramente,
ed anche il loro presente. Contro i nobili ricorrono ai cannoni anche a
dispetto della Costituzione che hanno varato, e contro i preti credono
nella forza dell'istruzione, come tutto il XVIII secolo: il popolo è
prigioniero dei suoi vecchi pregiudizi perché è ignorante e abbandonato
agli uomini della superstizione. Bisogna dunque repubblicanizzare
l'insegnamento, fondando un'istruzione pubblica che diffonda i Lumi.
Al vertice delle nuove istituzioni destinate a formare e gestire lo spirito
pubblico, c'è l'Istituto di Francia, creato durante l'ultima seduta della
Convenzione con la grande legge del 3 brumaio anno IV (25 ottobre
1795). Questo grande corpo scientifico,che deve la propria esistenza alla
Costituzione, come il Direttorio e i Consigli, rappresenta per così dire una
specie di terzo potere spirituale. [...]
L'Istituto diviso in tre classi che coronano l'intero corpo delle discipline scienze fisiche e matematiche, letteratura e belle arti e, grande novità,
scienze morali e politiche - ha quindi un'importante ruolo culturale e
politico, come dimostrerà l'organizzazione del 18 brumaio. Tempo
addietro, nei pochi mesi che Bonaparte ha trascorso a Parigi fra l'Italia e
l'Egitto, ci si meravigliava «di vederlo cosi timido, inoperoso e
circospetto, sempre all'Istituto e tutto preso da sua moglie, dalle carte
geografiche e dalle poesie di Ossian». Ma la sua frequenza all'Istituto è
soltanto uno scaltro pellegrinaggio. Eletto nel 1797 dai suoi colleghi, i
grandi baroni della scienza e della Repubblica, al posto di Carnot,
escluso, egli diventa un eroe di statura antica; non è più soltanto una
spada, ma anche una mente, e del resto non perde occasione per dire «La
mia religione è quella dell'Istituto». Il fatto è che, riunendo l'élite
intellettuale dell'epoca, l'Istituto dà il cambio alle accademie del XVIII
secolo, e diventa in certo modo il conservatorio della tradizione
illuminista, cristallizzata in una comune visione del mondo, quella degli
«ideologi». Tutti medici, filosofi o letterati, raramente costoro sono
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SCIENZA E FEDE
uomini di genio; ma i più eminenti [...] formano una pleiade di spiriti
curiosi dell'ignoto e del nuovo. Tutti seguaci di Condillac, essi respingono
le «idee innate» di Descartes, rifiutano qualunque spiegazione metafisica
della conoscenza umana, e vogliono fondare una scienza della formazione
delle idee partendo dalle sensazioni, donde il loro nome, estendendo
questo razionalismo sperimentale a quella ch'essi considerano la scienza
del costume e del comportamento umano [...].
L'ottimismo di questi precursori del positivismo si fonda sul progresso
delle scienze liberate da qualsiasi «presupposto» metafisico. A coloro che
nel 1796 lo accusano di spiegare il «sistema del mondo» escludendo
l'intervento della provvidenza, Laplace ribatte che quest'ipotesi non gli è
stata necessaria. I grandi scienziati dell'epoca - matematici come
Lagrange e Monge, chimici come Berthollet, Chaptal, Fourcroy e Darcet,
naturalisti come Lamarck, Cuvier e Geoffroy Saint-Hilaire, medici come
Pinel e Bichat - non sono tutti necessariamente materialisti, ma i loro
studi e le loro scoperte suffragano e divulgano una concezione
dell'universo troppo nuova per non riuscire sospetta alla religione e alla
tradizione. [...]
L'idea di un'istruzione pubblica destinata a liberare il popolo dalla
superstizione risale alla Convenzione, ai programmi di Condorcet e di Le
Peletier e a una legge del 30 frimaio anno II (20 dicembre 1793) sulle
«prime scuole» quelle cioè che oggi chiameremmo scuole elementari. Ma
le sue più importanti articolazioni furono approvate dopo la caduta di
Robespierre e applicate sotto il Direttorio ed è quindi ai Termidoriani che
ne spetta la paternità.
I principi cui si ispira sono molto semplici. Il nuovo insegnamento è
pubblico e laico, ed esclude perciò sia l'antico monopolio della Chiesa sia
il carattere confessionale dell'istruzione impartita. La Chiesa naturalmente
è libera di mantenere i propri istituti scolastici, ma le scuole della
Repubblica accessibili a tutti i cittadini e agnostiche, godono
dell'inestimabile sostegno dello Stato. Quali scuole? Mentre le leggi dei
Montagnardi riguardavano soprattutto l'insegnamento primario,
l'orientamento termidoriano è più borghese, più destinato a formare i
rampolli dei possidenti che a dirozzare la popolazione contadina, ed è
condizionato inoltre da ragioni economiche che, poiché non si può fare
tutto in una volta danno la priorità all'istruzione delle élites.
La grande legge è la stessa che il 3 brumaio anno IV crea l'Istituto:
rimangiandosi in parte le sue vecchie promesse troppo democratiche e
troppo costose, la Convenzione prevede soltanto una scuola ogni due o
più Comuni, e soprattutto non è lo Stato che stipendia l'insegnante,
costretto a vivere del contributo pagato dagli allievi e di un'eventuale
indennità del Comune. Nulla si dice dell'obbligo scolastico, sottolineato
nel 1793. La Convenzione termidoriana, al contrario, organizza
accuratamente l'insegnamento secondario e superiore. Questi due termini
presi dal vocabolario moderno sono peraltro assai poco adeguati alle
concezioni dell'epoca, giacché le «scuole centrali» previste dalla legge del
24 febbraio 1795 al posto dei collegi dei Gesuiti e degli Oratoriani
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SCIENZA E FEDE
dell'Ancien Régime, in ragione di una per ciascun dipartimento, sono in
realtà una via di mezzo fra le scuole secondarie e quelle superiori del
giorno d'oggi. I corsi scolastici previsti dalla legge sono suddivisi in tre
sezioni successive: la prima, dai dodici ai quattordici anni, comprende
disegno, scienze naturali e lingue antiche e moderne; la seconda, dai
quattordici ai sedici anni, scienze (matematica, fisica e chimica); la terza,
infine, dai sedici anni in poi, ciò che il testo di legge definisce
«grammatica generale» fondata su una teoria del linguaggio e una logica
ispirate alla psicologia sensistica degli ideologi, ossia lettere, storia (in cui
è sempre compresa la geografia) e diritto. I corsi sono facoltativi e
generalmente a carico del dipartimento, e i professori vengono scelti fra i
candidati abilitati da una giuria d'istruzione. Molto liberale, e anzi forse
anche troppo, questo sistema ammirevolmente innovatore sanziona molte
delle rivendicazioni culturali del secolo, quali la laicità, la promozione
delle scienze, la supremazia della lingua francese sulle lingue morte, la
filosofia.
Salendo ancora, v'è tutto un sistema di istituti superiori, creati anch'essi
dalla Convenzione termidoriana, destinati alla formazione degli
specialisti e all'incentivazione della ricerca: il Conservatorio delle arti e
mestieri, la Scuola dei servizi pubblici per l'esercito, la marina e il genio
civile, che diventerà l'odierna Ecole polytechnique; tre scuole di medicina
- a Parigi, Lione e Montpellier -, la Scuola normale superiore destinata a
formare i professori, la Scuola di lingue orientali il Conservatorio di
musica, il Museo e l'Osservatorio. Questo sistema, coronato dall'Istituto
di Francia, è indubbiamente troppo concentrato a Parigi e insieme
incompleto, giacché dopo le scuole centrali nulla è previsto per le lettere
e per diverse scienze. L'avvenire di molti istituti superiori, creati nel 179495 dimostrerà comunque ampiamente l'importanza dell'opera dei
Termidoriani.
Divenuti direttoriali, i Termidoriani dovettero d'altronde applicare le leggi
varate. Lo sviluppo dell'insegnamento primario fu compromesso dalle
loro stesse reticenze. Mal retribuiti dal contributo degli scolari o dal
Comune i maestri scarseggiano e sono spesso mediocri, e la mancanza
dell'obbligo scolastico li pone in certo modo alla mercè dei genitori, che
generalmente, da bravi contadini, decidono di «fare come si è sempre
fatto», ossia di destinare i propri figli ai lavori agricoli. A che serve del
resto un maestro che non insegna il catechismo e la religione e che non
prepara i ragazzi alla prima comunione? La scuola privata, spesso tuttora,
esistente, ha dalla sua il vantaggio della tradizione. Cosi, per mancanza di
denaro, di tempo e di convinzione il tentativo del Direttorio cozza contro
la diffusa indifferenza del pubblico, e otterrà qualche risultato solo dopo
il 18 fruttidoro, quando il regime comincerà a contrastare localmente la
concorrenza, della scuola privata. [...]
In ciascun dipartimento furono invece create le «scuole centrali» previste
dalla legge. [...] Queste scuole ebbero spesso maestri illustri [...] Il
sistema si rivelò però eccessivamente liberale e ambizioso; molti allievi
frequentavano un solo corso, e quasi tutti, invece di seguire la trafila,
enciclopedica dei sei anni ripartiti in tre corsi successivi, si suddivisero
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SCIENZA E FEDE
fra lettere e scienze, segnando cosi sin d'allora la profonda divisione
moderna. D'altra parte il livello dell'insegnamento era spesso troppo
elevato per quell'uditorio troppo libero e cosi inegualmente preparato. I
Consigli del Direttorio cercarono pertanto di restituire alle scuole centrali
il loro vero carattere di scuole secondarie, suggerendo la creazione, al
livello successivo, di cinque licei e di alcune scuole di medicina che
avrebbero favorito il decentramento dell'insegnamento superiore. Come
in molti altri settori, essi spianarono cosi la strada alle riforme del
Consolato e dell'Impero.
Una buona parte della gioventù borghese - e soprattutto le ragazze continuerà però a frequentare le scuole secondarie private o ad essere
affidata alle cure di precettori benpensanti, giacché molti capifamiglia
della buona società, anche se leggono Voltaire, per i propri figli e le
proprie mogli preferiscono affidarsi al sostegno morale delle certezze
religiose, il che conferisce alla riforma scolastica termidoriana un
carattere ancora più rivoluzionario. Il fatto che questo sistema educativo
largamente aperto alla ricerca più moderna, pur abolendo a vantaggio
dello Stato il monopolio clericale e lasciando il più ampio spazio alle
scienze e allo spirito scientifico non abbia raggiunto i suoi obiettivi più
immediati né salvato il regime ha un'importanza molto relativa, giacché
ha fornito alla Francia borghese delle basi ben altrimenti durevoli.
Con tutti i limiti qui descritti, la politica scolastica, l'allargamento dei fruitori
dell'istruzione, la progressiva conquista della laicità contro le spiegazioni irrazionali e
metafisiche dei fatti naturali, a fianco di nuove condizioni economiche, saranno alla
base della grande fioritura scientifica francese nel periodo immediatamente successivo
alla Rivoluzione.
Agli alti livelli dell'elaborazione scientifica il Settecento aveva rappresentato
l'accettazione dell'immagine scientifica del mondo elaborata da Newton. Gli scienziati
avevano lavorato per ampliare quell'immagine e per conciliarla con quanto di nuovo
veniva scoperto sperimentalmente. Dal punto di vista della produzione scientifica non
si ottenne quanto l'esaltazione della scienza avrebbe fatto sperare ma si gettarono le
basi per l'esplosione dell'Ottocento. Anche se vi fu un'epoca di dittatura della
matematica, esercitata da D'Alembert, Lagrange e Laplace, se nacque la chimica
moderna con Lavoisier, se con Buffon, Lamarck e Diderot iniziò a definirsi l'ambito
della biologia e dell'evoluzione organica. A tale proposito afferma Bernal:
Il confluire di diversi aspetti dell'evoluzione sociale e tecnico-scientifica
non può evidentemente essere attribuito a una causa unica. Quanto più da
vicino esaminiamo i fili che legano scienza, tecnica, economia e politica,
tanto più intricati essi ci appaiono nel quadro del processo generale di
trasformazione della civiltà. È questo un periodo cruciale nella storia
dell'umanità: è ora - e solo ora - che si ha una svolta decisiva nel dominio
dell'uomo sulla natura, con la duplice sostituzione della macchina
multipla al posto della mano dell'uomo, e della forza del vapore al posto
della forza umana e animale e delle forze incostanti e localizzate del
vento e dell'acqua. E le due trasformazioni fondamentali avvenute nei
secoli XVI e XVII - presupposti essenziali di quelle del XVIII - erano
state la nascita di una scienza sperimentale quantitativa e dei metodi
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SCIENZA E FEDE
capitalistici di produzione, fenomeni originariamente separati. Le
maggiori applicazioni pratiche della scienza e lo stimolo più forte al
progresso scientifico si erano avuti nel campo della navigazione, che era
un complemento indispensabile dell'attività e del progresso commerciale,
ma che era solo indirettamente legata con la produzione. Minore utilità
pratica immediata per il miglioramento della manifattura era derivata dal
grande sforzo degli scienziati del XVII secolo, riuniti nelle loro società e
accademie. La fine del XVIII secolo fu invece caratterizzata dal confluire
delle innovazioni scientifiche e capitalistiche, dalla cui interazione si
liberarono forze che più tardi avrebbero trasformato sia il capitalismo che
la scienza, e insieme il corso stesso dell'umanità.
Le premesse all'innovazione nell'ambito della ricerca in Francia, si erano avute
con le Scuole Militari in cui fu possibile realizzare una feconda intersezione tra
scienza e tecnica con il grande impegno di Coulomb e Lazare Carnot che imposero
nei loro insegnamenti elevati standard di precisione. Si seguiva qui una sorta di
cammino alla rovescia di quanto avvenuto in Gran Bretagna dove la scienza era al
seguito dei ritrovati tecnici. Ora, dalle elaborazioni teoriche della meccanica
razionale, si tentava un avvicinamento alle realizzazioni pratiche. Ed il fenomeno non
nasceva per qualche elaborazione a tavolino ma per la spinta di una sempre più
intraprendente borghesia che guardava oltre Manica e si sentiva ingabbiata da regole
troppo antiquate e paralizzanti. E le scuole politecniche avevano proprio questa
funzione, quella di preparare tecnici e scienziati di prim'ordine (tra i quali vi furono
personalità come Henri-Louis le Chatelier, Émile Clapeyron, Auguste Comte, Michel
Chasles, Sadi Carnot, Gustave Coriolis, Augustin Louis Cauchy, Augustin Fresnel,
François Arago, Claude-Louis Navier, Siméon-Denis Poisson, Joseph-Louis GayLussac, Étienne-Louis Malus, Jean-Baptiste Biot). In queste scuole erano stati
reclutati come insegnanti gli scienziati più prestigiosi di cui la Francia disponeva
(all'École, tra gli altri: Monge, Berthollet, Lagrange, Laplace, Ampère) ed il loro era
un ruolo di servizio allo Stato, erano i primi scienziati che diventavano dei
professionisti a cui oltre all'obbligo di istruire era delegato quello di scrivere libri e
trattati e rendiconti delle lezioni.
IL PERIODO NAPOLEONICO
La Rivoluzione francese che aveva goduto di molte simpatie popolari in tutta
Europa, fu esportata dalle armate di Napoleone. Ciò provocò una reazione che strinse
i popoli intorno ai sovrani per la difesa dell'indipendenza nazionale e gli ideali della
Rivoluzione diventarono presto aborriti lasciando spazio alla Restaurazione (in
politica il nazionalismo prendeva il posto del cosmopolitismo ed in filosofia avanzava
il Romanticismo come movimento innanzitutto antilluminista). Oltre a ciò, la
Rivoluzione che sfocia nell'Impero di Napoleone ha caratteri di rilievo che vengono
ben descritti da Baracca e Livi:
La società napoleonica si configura come vera e propria società
tecnocratica, che valorizza la funzione sociale e produttiva dell'attività
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SCIENZA E FEDE
scientifica, inquadrandola organicamente nelle strutture statali
dell'educazione. Gli scienziati, divenuti ormai professionisti, funzionari
statali, sono tenuti in grande onore e assumono cariche importanti. La
loro situazione non è assolutamente confrontabile con quella degli
scienziati inglesi dell'epoca, spesso ridotti in miseria e senza protezione
statale. Alla centralizzazione della ricerca scientifica nel quadro dell'alta
burocrazia creata da Napoleone, e concentrata a Parigi, corrisponde una
più accentuata divisione del lavoro. Nasce la specializzazione scientifica.
L'unità filosofica illuministica si frantuma di fronte a nuove esigenze di
integrazione della scienza nel processi produttivi e nel corpo sociale. Le
branche scientifiche si rendono autonome [...] nascono la pura
matematica, la pura analisi, la pura geometria; la fisica-matematica si
separa dalla matematica, la chimica dalla fisica cosi come viene
riconosciuta l'autonomia della termodinamica (da Fourier e Sadi Carnot)
e dell'elettrodinamica (da Ampère). [...] Si configura cosi un rapporto di
tipo nuovo tra la scienza e l'attività produttiva, che va ben al di là
dell'ideologia illuministica. La scienza deve ora attestarsi su canoni
metodologici che ne legittimino la ricerca di nuovi standards di esattezza
e di rigore, sia manuali che teorici, giustificando lo studio delle leggi
naturali e delle loro applicazione non più in base all'illusione illuministica
di essere direttamente uno stimolo per la produzione, ma piuttosto
asserendo l'autonomia e la necessità di tale ricerca in quanto valida in sé e
destinata pertanto ad avere prima o poi delle applicazioni utili.
L'ispirazione diretta ai problemi che nascono nel mondo della produzione
viene anzi sistematicamente rivendicata dai fisici dell'École. La filosofia
funzionale a questi sviluppi sarà quella del positivismo, che si instaura di
fatto come atteggiamento generale e come metodo di lavoro nell'ambito
dell'École, prima che i suoi canoni vengano ufficialmente enunciati da
Comte, anch'egli appartenente non a caso al medesimo ambiente.
Il positivismo, con il culto del fatto scientifico, lo studio dei fatti
sperimentali e la ricerca delle loro leggi matematiche, traduce l'esigenza
di staccarsi definitivamente dalle ipotesi metafisiche del passato, la
richiesta di obiettività e di rigore imposta dalla diffusione delle conquiste
tecniche e di un modo di produzione che fa di esse un cardine del suo
funzionamento.
Malgrado la specializzazione delle nuove branche, però, la
meccanica - pur cessando di delineare l'intero orizzonte della «filosofia
naturale» - rimane un quadro di riferimento necessario per la conoscenza
razionale e pratica della realtà. La limitazione alle sole azioni rettilinee di
forze centrali agenti a distanza (che è così esplicita, ad esempio, nei
fondatori francesi dell'elettrodinamica) non è vista in alcun modo come
un'ipotesi, poiché un suo uso in tal senso sarebbe anzi incompatibile con
l'esigenza positivistica di attenersi ai fatti; tale limitazione costituisce
piuttosto uno schema «a priori», in senso kantiano, una proprietà inerente
ai fenomeni naturali, che garantisce la possibilità stessa di impostare degli
esperimenti e di estrarne correttamente i risultati in modo rigoroso,
assicurando cosi uno stretto legame tra le due fasi del lavoro scientifico
come si vedrà ad esempio con particolare chiarezza nell'opera di Ampère.
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SCIENZA E FEDE
E' da osservare che questi caratteri saranno mantenuti anche dopo la caduta di
Napoleone, durante la Restaurazione, almeno fino al 1830. La spinta iniziale era stata
così imponente che per vari anni ancora si conseguirono risultati molto brillanti. Era
però venuto meno lo slancio che la borghesia aveva impresso, relativo all'uso di
quanto la scienza realizzava ed una traccia evidente di ciò la possiamo ritrovare nei
lavori di Sadi Carnot che rimasero praticamente ignorati in Francia. Ma vi è anche un
altro aspetto, sottolineato da altri autori, secondo il quale la politica, gli affari ed
anche il fare i letterati, era diventato più attraente per il successo sociale che non il
fare lo scienziato. A ciò si può certamente aggiungere che il forte accentramento unito
all'insopportabile burocrazia creò delle rigidità che non misero gli scienziati in grado
di evolvere come i rapidi progressi nei vari campi della ricerca scientifica
richiedevano.
Roberto Renzetti
NOTE
(1) Sull'autorità della Bibbia vi è un episodio riportato da Westfall che merita di
essere raccontato. Nella corrispondenza di Newton con Thomas Burnettè è stato
trovato un passo che riveste un grande interesse. Newton, in una risposta al suo
corrispondente, scrisse un breve racconto della Creazione basandolo su prove
scientifiche al fine di confermare l'affidabilità della Genesi. Si richiamava cioè
l'autorità della scienza per dare credibilità ad un racconto biblico. Confrontando ciò
con quanto aveva fatto Lutero che contestava punto per punto Copernico basandosi
sulla Bibbia, ci si può rendere conto di come le cose erano radicalmente ribaltate.
Nasceva da più parti un movimento di critica biblica che non dava più tutto per
scontato.
(2) Per comprendere appieno cosa significava questa diffusione di informazioni
occorre pensare che a lato, nei Paesi in cui dominava il cattolicesimo (Spagna, Italia e
Portogallo), vigeva una ferrea censura ecclesiastica con un Index librorum
prohibitorum accompagnata dai tribunali dell'Inquisizione in continua e feroce
attività. Tra i libri proibiti considerati eretici vi erano quelli scientifici che
richiamavano il copernicanesimo, cioè tutti i libri che trattavano gli argomenti
scientifici più evoluti. L'elenco di tali libri fatto da Clemente VIII nel 1596 riportava
2100 titoli che con Clemente XI nel 1711 divennero 11000, con un incremento
superiore a quanto veniva edito e con l'inclusione anche di riviste scientifiche come
gli Acta Eruditorum (qui vi fu maggiore tolleranza perché il carattere degli articoli era
chiaramente per sole persone colte, cioè benestanti). Quando si esaurirono le capacità
repressive della Chiesa (metà del Seicento) furono i governi degli Stati, con le loro
monarchie assolute, ad operare la censura. Ciò comportò una conseguenza che alla
lunga sarà visibile a tutti. Con la sola repressione lo Stato non riusciva a vincere.
Occorreva in parallelo un'informazione positiva sulla bontà di ciò che il monarca
faceva, insinuando nei sudditi idee ed informazioni in grado di formare una opinione
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pubblica a sostegno del potere.
(3) Nel 1534 Enrico VIII d'Inghilterra, a seguito di una controversia con Papa
Clemente VII che non voleva sciogliere il suo matrimonio con la cattolica spagnola
Caterina d'Aragon per il forte legame della Chiesa con la Spagna, emanò l'Act of
Supremacy con il quale operò la scissione della Chiesa d'Inghilterra (anglicana) da
quella di Roma. Le gerarchie ecclesiastiche presenti nel territorio non furono toccate,
ciò che cambiò fu che il Re si sostituiva al Papa. Conseguenza immediata di ciò fu la
confisca di tutti i beni della Chiesa (monasteri, abbazie, terre) che passarono prima
alla corona e quindi venduti alla borghesia emergente con introiti favolosi per le casse
dello Stato e con la felicità dei sudditi che non erano costretti a pagare tasse per
sostenere le necessità della corona.
(4) Qui, come d'uso nel Settecento, il problema venne risolto da un artigiano con
evolutissime conoscenze tecniche. Un orologiaio di nome John Harrison (1663-1776)
capì che la soluzione del problema risiedeva nell'avere orologi di grandissima
precisione che segnassero sempre l'ora locale e l'ora di Londra. Dal confronto delle
due si risaliva facilmente alla longitudine. Questa era l'idea ma la realizzazione
passava per una macchina molto grande (nella pratica era un orologio) che doveva
essere resa stabile nel cuore della nave e che doveva avere tutti i suoi organi statici ed
in movimento in grado di non alterarsi per le variazioni di temperatura. Di seguito le
successive realizzazioni di Harrison con la sua ricerca, oltre che di precisione, anche
di miniaturizzazione.
Il primo esemplare di orologio di Harrison, l'H1, ricostruito da
Sinclair Harding. I particolari dei differenti meccanismi sono in:
http://www.clockmakers.com/john_harrison_sea_clocks/h1_tour.
htm L'orologio fu realizzato tra il 1730 ed il 1735 con la consulenza
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di Halley e dell'orologiaio George Graham. I dati erano: peso = 75
lbs; dimensioni = 4' X 4' X 4'.
Il secondo esemplare di orologio di Harrison, l'H2, realizzato tra il
1737 ed il 1739. Rispetto all'H1 in questo esemplare Harrison
aggiunse un meccanismo (remontoire) che manteneva la costanza
della forza agente sullo scappamento. Inoltre era più piccolo
dell'H1 pur restando ingombrante e pesante. I dati erano: peso =
86 lbs; dimensioni ~ H 4.5' X L 2'
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SCIENZA E FEDE
Il terzo esemplare di orologio di Harrison, l'H3, realizzato tra il
1740 ed il 1757. I dati erano: peso = 60 lbs; dimensioni = H 2' X L
1'.
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SCIENZA E FEDE
Il quarto esemplare di orologio di Harrison, l'H4,
finito di realizzare nel 1769 dopo un viaggio di prova
verso Giamaica nel 1761 e 1762 ed uno del 1764 verso
le Barbados. I dati sono: peso = 3 lbs; dimensioni = 5
pollici di diametro. Nel 1785 la Commissione
giudicatrice gli assegna la prima metà del premio.
Questo orologio aveva una precisione del 99,9999%,
cioè una imprecisione di 15 secondi su sei mesi di
viaggio in mare.
Il quinto esemplare di orologio di Harrison, l'H5, finito di
realizzare tra il 1767 ed il 1771. Era l'H4 perfezionato. Lo stesso
Re Giorgio III lo provò nel 1772 dandone un eccellente giudizio.
La Commissione rifiutò di prendere in considerazione questo
giudizio e non assegnò a Harrison quanto ancora dovutogli.
Harrison fece ricorso al parlamento che con un suo Act del 1773
assegnò ad Harrison 8750 sterline. Finalmente nel 1775 con un Act
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di Giorgio III fu completamente liquidato con 4,315 sterline (in
totale ebbe 23165 sterline, più di quanto bandito) e riconosciuto
senza dubbi come vincitore del concorso.
(5) Pubblicazioni superficiali a gestione cattolica, come Arte, scienza e cultura in
Roma cristiana, accreditano risultati importanti per il nostro Paese ed elencano pure i
nomi dei nostri grandi scienziati che è utile riportare. Matematici e fisici: Antonio
Santini di Lucca, Vitale Giordani di Bitonto, Carlo Maria Quarantotti di Roma,
Francesco Maria Gaudio ligure; oltre a questi vi sono i sacerdoti scienziati dei vari
collegi religiosi: Gregorio Fontana, Paolo Chelucci, Paolo Casati di Piacenza,
Daniello Bartoli di Ferrara, Atanasio Kircher di Fulda (quasi un mago la cui opera
spaventa un poco perché sembra scritta sotto l'effetto di droghe pesanti), Gaspare
Schott, Francesco Lana, Giuseppe Calandrelli di Zagarolo, ... Tutti eccelsi nomi noti
in tutto il mondo, come Newton, Boyle, Huygens, Halley, Hooke, Muschenbroek, 's
Gravesande, i Bernouilli, ...
(6) I tentativi di riformare la Sapienza erano antichi. Riporto ill più corposo e serio
nelle intenzioni, quello del bolognese Benedetto XIV Lambertini (1740-1758) con le
bolle Inter cospicuos ordines (1744) e Quanta rei pubblicae obveniant (1748). Le
nuove norme che disciplinavano l'ordinamento dell'università erano le seguenti
[riprendo da Arte, scienza e cultura in Roma cristiana] :
a) la riforma delle cattedre, con l'istituzione di due insegnamenti nuovi:
quello di matematica sublime (comprendente, oltre al calcolo
differenziale e integrale, anche elementi di astronomia e di meccanica) e
quello di istituzioni ed esperimenti chimici di cui fu primo lettore Luigi
Filippo Geraldi di Ferrara; va inoltre segnalato lo sdoppiamento
dell'insegnamento di botanica in botanica teorica abbinata alla
mineralogia da tenersi alla Sapienza e affidata, per primo, a Francesco
Aurelio Ginnaneschi, e in botanica pratica da tenersi all'Orto Botanico da
parte del direttore e cioè, per primo, da Francesco Maratti, studioso
illustre della flora romana; b) la riduzione delle cattedre con soppressione
di doppioni o frazionamenti inutili, spesso provocati da favoritismi
personali, con il diritto però per il titolare in carica di terminare la
carriera; c) l'assegnazione delle cattedre vacanti soltanto per concorso,
onde reprimere l'abuso delle chiamate: solo al pontefice restava il diritto
di chiamare docenti particolarmente illustri ("per chiara fama"); d) la
conferma del divieto, già stabilito da Leone X, di cumulare le cariche e il
divieto di passaggio dalla cattedra vinta per concorso ad un'altra; e) la
giubilazione ossia la collocazione in pensione dopo almeno venti anni di
onorato servizio; t) lo stipendio commisurato all'anzianità di servizio.
A questo Papa sono dovute altre iniziative di un certo rilievo. Rese più semplice la
lettura della Bibbia da parte dei fedeli, lettura precedentemente proibita; diminuì le
moltissime festività religiose; rese più blanda la censura ecclesiastica; rivide l'Indice
dei libri proibiti; eliminò la proibizione dei testi di Copernico e Galileo; riconobbe la
libertà di ricerca; la finì con il vergognoso fenomeno del nepotismo. Era in contatto
con i massimi pensatori illuministi e lo stesso Voltaire gli espresse stima.
(7) Queste dati li conosciamo per una scienza che proprio nel Seicento nasceva ad
opera del giurista tedesco Hermann Corning, la statistica. E, come scienza, trovava
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SCIENZA E FEDE
immediatamente degli strenui oppositori nella fervida religiosità ebraico-cristiana che,
come affermano Prosperi e Viola, invitava a riposare sulla Provvidenza di Dio e a
non ammettere che qualcuno diverso da Dio fosse il padrone della vita dei popoli (la
Bibbia racconta che Davide, re degli Ebrei, aveva fatto contare gli uomini idonei al
servizio militare ma era stato punito duramente da Dio).
(8) Per ciò che riguarda la situazione degli ebrei, riporto il brano che tratta
l'argomento da Ulrich Im Holf:
Un caso del tutto particolare è quello rappresentato dall'emancipazione
ebraica. Qui si trattava di una doppia emancipazione: una esterna, legata
alla convivenza con un mondo dominante differente, di tradizione
cristiano-medioevale, ed un'altra interna, nei confronti dell'ortodossia
delle comunità ebraiche. Epoche di persecuzione si succedevano ad
epoche di coesistenza pacifica. Agli inizi del XVIII secolo gli ebrei
seguitavano ad essere ancora nella situazione che si era originata nel
Medioevo: distribuiti in modo ineguale nei paesi del Mediterraneo e nel
resto d'Europa, rinchiusi nei ghetti, dove erano anche parzialmente
protetti, o facendo la vita isolata dei venditori ambulanti. In genere
venivano disprezzati, temuti ed odiati: del resto avevano ucciso Cristo, e
poi erano così bravi nel commercio e così intelligenti, talmente diversi dal
mondo che li circondava. Eppure seguitavano ad essere indispensabili per
il piccolo ed il grande commercio, in ambito monetario, per le finanze
dello Stato e le forniture degli eserciti. La vita comunitaria ebraica si era
particolarmente ben conservata in Europa orientale, dove aveva potuto
mantenere le proprie usanze e i propri costumi arcaici, tuttavia in una
condizione di isolamento e separazione. Perfino a Vienna, città imperiale,
non era loro possibile vivere la propria vita nemmeno in un ghetto.
Dovevano sottostare ad un pedaggio particolare per poter passare le porte
della città, versando alte somme per venirvi tollerati. Avevano l'obbligo
di indossare abiti particolari, con un segno di riconoscimento giallo, e
potevano abitare solo nelle case che venivano loro assegnate. In
occasione delle festività cristìane dovevano restare chiusi in casa, né era
loro consentito di guardare dalle finestre le processioni che passavano.
Era loro vietato entrare nei locali pubblici, frequentare i teatri e le sale da
concerto. Restrizioni di questo genere, con qualche variante, erano loro
imposte quasi ovunque. Poiché in genere non era loro consentito
possedere la terra, erano stati costretti, a ricorrere ad altre attività.
Nell'Europa occidentale gli ebrei avevano maggiore libertà di movimento,
anche se erano pur sempre sottoposti ad una normativa speciale. Quelli
che erano stati scacciati dalla Spagna a partire dal XV secolo, si erano
potuti stabilire nei Paesi Bassi, in Inghilterra ed in varie città
commerciali. Tipica, in proposito, è una constatazione di Pilati, un
italiano di idee moderne e illuminate: «Soltanto gli ebrei portoghesi sono
al tempo stesso industriosi e onesti, e quindi procurano molti vantaggi
alla società, senza danno alcuno. Ma sono troppo prudenti per stabilirsi
altrove che in Olanda e Inghilterra». In questi due paesi - e in particolare
in Olanda, classica terra della libertà - si poté sviluppare un'alta borghesia
ebraica.
L'atmosfera aperta e cosmopolita delle città mercantili dell'Occidente non
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SCIENZA E FEDE
mancò di avere effetti sulle chiuse comunità ebraiche. Le tendenze
generali non si limitavano più a sfiorarle. Varie tendenze mistiche paragonabili al pietismo - posero le comunità di fronte al problema della
lacerazione interna. Alcuni singoli iniziarono ad uscire dalla comunità. Il
razionalismo degli intellettuali illuministi non dava loro tregua. La loro
tradizione teologica, adusa all'interpretazione della parola, era assai adatta
- come avveniva nel caso del protestantesimo - ad unirsi al razionalismo
dell'epoca. L'evasione dalla comunità ebraica fu segnalata sin dal XVII
secolo dal Tractatus theologico-politicus di Baruch Spinoza, rampollo di
una famiglia emigrata nei Paesi Bassi dal Portogallo. Spinoza si rifaceva
a Cartesio, ma sviluppava un sistema di interpretazione del mondo più
radicale, psicologico-razionale, che gli guadagnò fama di ateo, una fama
di cui fu liberato soltanto in seguito dall'Illuminismo. Spinoza non era un
estraneo soltanto per l'Illuminismo, allora ai suoi albori, ma lo fu
naturalmente anche per gli ebrei, venendo escluso dalla loro comunità. I
suoi postulati di libertà, uguaglianza, tolleranza ed etica erano isolati.
L'emancipazione intellettuale avvenne soltanto con l'avvento della
seconda metà del XVIII secolo. L'alta borghesia ebraica era ormai
divenuta matura, dal punto di vista dell'istruzione, per l'accettazione del
movimento illuminista, ove fossero esistiti i necessari presupposti. Questi
furono approntati da Moses Mendelssohn, proveniente da una famiglia di
insegnanti ebrei ed accolto come filosofo di rango nel mondo degli
scrittori e accademici illuministi di Berlino, divenuta città di grande
apertura. Egli riteneva che anche gli ebrei dovessero far parte di un
mondo oramai sottomesso al diritto naturale: «La vera religione divina
non abbisogna per essere praticata né di braccia né di dita, ma è tutta
spirito e cuore». Mendelssohn non rompe con le tradizioni ebraiche, ma
vuole semplificarle e purificarle. Rimane un ebreo religioso e praticante. I
più ortodossi però non vogliono capirlo e Mendelssohn rappresenta per
essi ciò che i teologi liberali significano per le due Chiese cristiane.
Per gli illuministi di Berlino questo ebreo fu naturalmente il benvenuto.
Ecco che si aveva perfino un ebreo come sostegno e compagno di fede,
intellettualmente di pari, se non superiore valore, pieno di spirito ed
ironia. Inoltre era un uomo da prendersi a modello per la semplicità e la
modestia della sua condotta di vita. Non già un presuntuoso
arrampicatore sociale dell'alta borghesia, bensì un modesto piccolo
commerciante, che tale sarebbe rimasto per tutta la sua vita, come tanti
altri pubblicisti di quel tempo: Mendelssohn fu raggiante, quando l'attore
Iffland interpretò il ruolo dell'ebreo Nathan nel Nathan il saggio di
Lessing.
La Berlino mendelssohniana è divenuta il modello della emancipazione
intellettuale ebraica, e si irradiò non soltanto in Germania e verso oriente.
Le comunità ebraiche iniziarono ad ammodernare le loro scuole, i rabbini
si fecero portatori di idee moderne. Spesso però l'ebreo illuminista si
convertiva al cristianesimo, poiché solo questo rendeva possibile una
piena integrazione. Molti restarono tuttavia fedeli alla sinagoga, dove
l'interpretazione delle scritture si fece più rispondente ai tempi mentre
(com'era avvenuto presso i calvinisti) vi veniva introdotto il suono
dell'organo. Ebree colte, emancipate come donne ed amanti delle
conversazioni filosofiche - come Rahel Varnhageri. e Henriette Herz file:///C|/$A_WEB/GRANDI FISICI/index-1823.htm (55 of 58)26/08/2009 15.28.17
SCIENZA E FEDE
aprirono i loro salotti. Gli ebrei illuministi erano dei virtuosi
nell'utilizzare due strumenti: l'apertura nei confronti del mondo borghese,
la ricettività della mentalità ìlluminista e, nello stesso tempo, il sentirsi di
casa nella vecchia comunità, il mantenersi ancora solidali con le vaste
diramazioni del mondo ebraico. Un ebreo tedesco poteva così venire
sempre accolto calorosamente sia nelle comunità della Francia
meridionale sia, ad esempio, in quelle polacche.
Nel 1781 Christian Wilhelm Dohm pubblicò - ispirato da Mendelssohn il saggio Sull'emancipazione civile degli ebrei. La questione era divenuta
pubblica, diveniva un postulato politico.
Era stato però John Toland a pubblicare in Inghilterra, già 67 anni prima
di Dohm, il suo trattato intitolato Reasons for Naturalising the Jews in
Great Britain and Ireland, sui motivi che consigliavano la
naturalizzazione degli ebrei in quei paesi. Bisognava dare loro uno stato
civile, anche se non la piena parità dei diritti. Progressivamente, senza
particolari difficoltà, in Inghilterra si giunse alla liberazione, cui poi fece
seguito, nel XIX secolo, il sanzionamento giuridico. Nelle colonie,
britanniche dell' America settentrionale, gli ebrei poterono ottenere la
cittadinanza sin dal 1740. Entro il 1820 la parificazione aveva avuto
luogo in tutti gli Stati dell'Unione. Nelle monarchie continentali - tra le
quali Federico II si mostrò molto moderato - fu la normativa riformista di
Giuseppe II d'Austria a dare l'avvio, in Austria e nei territori dipendenti,
all'emancipazione giuridica. Fu una rottura con l'atteggiamento.
antisemita avuto da sua madre, l'imperatrice Maria Teresa, e andò a
colpire un'opinione-pubblica che vi era ovunque ben poca preparata. Poco
dopo fu la Rivoluzione francese a trarre le conseguenze politiche. Ne1
1787 l'abate Grégoire pubblicò il suo Essai sur la régéneration physique,
morale et politique des juifs, mentre Mirabeau dava alle stampe Sur
Moses Mendelssohn [et} sur la réforme politique des juijs. Mendelssahn
poteva costituire un modella anche per la Francia! Negli anni successivi,
là dove era la Francia a determinare gli eventi, gli ebrei ottennero una
piena liberazione. Anche in questa caso, tuttavia, la Restaurazione
provocò un regresso. La storia delle sofferenze non era ancora terminata.
L'emancipazione seguitò ad essere un postulato. NèI 1823 Heine
scriveva: «Qual è [...] il grande compito dei nostri tempi ?
L'emancipazione. Non solo quella degli irlandesi, dei greci, degli ebrei di
Francoforte, dei neri delle Indie occidentali e degli altri popoli in simili
condizioni d'oppressione, bensì l'emancipazione del monda intero, e
particolarmente dell'Europa, che è divenuta maggiorenne».
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questa opera vi è l'articolo: Il passaggio dall'empirismo alla scienza come base della
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(25) Thomas S. Ashton - La rivoluzione industriale - Laterza 1998
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