Copia - Pagina didattica di Andrea Filieri

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1300
Cattività
avignonese
1335\1374
Petrarca ;
1349\1353:
Boccaccio:
Decameron
1331\1406
Salutati
Guerra dei
cent’anni:
1339\1453
“Homo faber
ipsius fortunae”
Leon Battista
Alberti
1350
1378\1417
Scisma
d’Occidente
1400
1453 Caduta di
Bisanzio
1450
1450: Alberti:
De Re aedificatoria;
1469: Ficino traduce
Platone
1455: Gutemberg realizza il
primo libro a stampa
1516: Ariosto,
Orlando Furioso
1509: Erasmo,
Elogio della follia;
1513: Macchiavelli,
Il Principe;
1516 Tommaso
Moro, L’Utopia
1500
1517: Lutero
espone le 95 tesi
da Wittemberg
1534: Ignazio di Loyola
fonda la compagnia di Gesù;
1545\1563: Concilio di
Trento
1550
1600 Rogo di
Giordano
Bruno
1600
1534: Entico VII
fonda la chiesa
anglicana
1555: Pace di
Augusta ;
1559: Pace di
Cateau Cambrèsis
1589: Legge della caduta dei gravi di
Galileo
Umanesimo (crisi della
scolastica) :
riprendere il lavoro degli antichi
laddove era stato interrotto e
continuarlo nello stesso spirito, per
riportare l’uomo all’altezza della sua
vera natura;
Nuova concezione storica degli eventi:
 prospettiva storica intesa
come distacco ed alterità nei
confronti dell’oggetto storico.

Gli antichi vanno intesi nella
loro autenticità.
 Intento di scoprire
falsificazioni documentarie
Filologia : ricostruzione del testo
originale delle opere antiche e
mentalità antidogmatica;
Recupero della tradizione
antica : ritorno al principio,
ossia una specifica
situazione del passato della
civiltà, alle comunità
antiche (Macchiavelli)
Rinascimento : seconda nascita,
dell’uomo nuovo o spirituale, un
rinnovamento globale dell’uomo nei suoi
rapporti con se stesso, con gli altri, con il
mondo e con Dio.
 . antropocentrismo;


dignità dell’uomo;
critica al Medioevo; premesse per
un nuovo sviluppo culturale quale
la rivoluzione scientifica (Ockham
nel Trecento compie studi
naturalistici ed esalta il ruolo
dell’esperienza come strumento
dell’indagine naturalistica)
Filosofia Storia:
Pace di Lodi (1454) che
garantisce un periodo d
relativa tranquillità:
 economia aper
e civiltà urban


economia
mercantile e
monetaria
borghesia attiv
ed industriosa
 impegno civile: Salutati
(1330\1406) e Bruni (1370\1444)
;vita activa e studia humanitatis
Letteratura : humanae litterae come
sapere fondamentale per la formazione
dell’uomo.
Petrarca , come figura emblematica di
passaggio tra Medioevo e Rinascimento,
realizza una perfetta sintesi tra cultura
classica e Rinascimento (De sui ipsius et
multorum ignorantia): meditazione
interiore attraverso la quale si forma la
personalità del singolo. La vera sapienza
coincide con la conoscenza di sè
Valori
testi
ritorno alla natura vista
come forza che produce
vivifica le cose (Telesio,
Bruno, Campanella).
Magia e filosofia della
natura che riconoscono
alla natura una sua
autonomia
"l'animo
mi
s'aggrandisse e
me si magnifica
l'intelletto". G.
Bruno,Il
Candelaio (1582)
Il1 termine Rinascimento (Renascentia) indica una articolata stagione culturale,
collocata in genere tra la fine del XIV e la fine del XVI secolo: renovatio – recupero e
ripristino – di una memoria storica che il tempo aveva opacizzato. Una sorta di ritorno agli
antichi da parte dell’humanista del tempo, lo specialista delle humanae litterae.
Dal punto di vista storico, il fenomeno del Rinascimento o meglio dell’umanesimo
rinascimentale, rappresenta l’esplicita elaborazione di una cultura nuova2, che, spezzando
ogni compromesso con i vecchi schemi mentali e rispecchiando le mutate esigenze di una
civiltà urbana e mercantile giunta a piena maturità, riflette coerentemente il diverso
atteggiamento dell’uomo di fronte alla vita.3 Il sapere tradizionale delle scholae
medioevali, con i suoi interessi metafisico religiosi, l’atteggiamento contemplativo,
appare incapace di esprimere la nuova coscienza sociale. Gli umanisti rigettano quindi
l’eredità medioevale, e si rivolgono all’antichità classica, per recuperarne i valori.
Certo sarebbe possibile sostenere una forma di continuità storica tra Rinascimento
e Medioevo o meglio tra Rinascimento e Comuni, ma senza dimenticare la specificità
della mentalità religioso feudale a cui sono subordinati i Comuni, incapaci di promuovere
una nuova cultura portatrice di una nuova visione del mondo: la visione di un diverso
atteggiamento dell’uomo di fronte alla vita ed al mondo4.
1
Cfr. Geymonat. Cit. pag. 4 e sgg.
Cfr. Abbagnano, vol 2°.
3
Ibidem.
4
Abbagnano, cit. pag.6.
22
L’Età rinascimentale coincide con il
passaggio all’età moderna che è
caratterizzata da:
Nuovo assetto politico : regni
nazionali in Europa, Stati
regionali in Italia (pace di Lodi
nel 1454 e relativa stabilità);
fioritura delle monarchie
europee e nuova
burocratizzazione (processo
già avviato nel Trecento);
tramonto delle istituzioni
universalistiche dell’impero e
del papato;
nel Cinquecento Francia e
Spagna danno inizio ad un
duello epocale (pace di
Cateau –Cambrèsis del 1559 e
controllo spagnolo in Italia);
Nuovo assetto
sociale: avvento
della società
borghese;
economia aperta
che deriva da un
processo
economico sociale
iniziato con i
Comuni
Laicizzazione della cultura
ed avvento della Riforma
protestante; cultura nuova
dell’uomo rinascimentale
che spezza ogni
compromesso con i vecchi
schemi mentali e rispecchia
le mutate esigenze delle
civiltà urbana e mercantile
Scoperte
Scoperte
geografic
geografiche
he
Invenzione
della stampa ;
uso del latino
come lingua
del sapere ;
circolazione di
idee più vasta;
invenzione
della polvere
da sparo
Ritorno al Principio
L’origine religiosa del concetto di “Rinascimento” allude a quanto intende Paolo
nelle Lettere, non ultimo il vangelo di Giovanni. La rinascita però non è solo o tanto un
ritorno a Dio, bensì un globale rinnovamento dei rapporti dell’uomo con sé ed il mondo.
Per un verso un ritorno alle comunità antiche (Macchiavelli); per altro verso un ritorno alla
natura al fine di riportare l’uomo all’altezza della sua vera natura. Una natura che invece
di riconoscere il proprio posto nell’ordine cosmico (Medioevo), deve costruire e
conquistare il proprio posto nel mondo.5Non un antagonismo con Dio, - uomo o Dio –
bensì uomo e Dio. Certamente, un uomo, quello rinascimentale, che concepisce la propria
libertà come condizionate da forze che ne limitano comunque l’espressione. Si tratta
comunque di un uomo, quello rinascimentale, inteso come :




5
microcosmo;
copula dell’universo;
nodo della creazione;
anello di congiunzione dell’essere.
Cfr. Abbagnano, cit. pagg. 11 e sgg.
Un uomo insomma non ascetico (Medioevo), piuttosto impegnato nella concretezza della
vita: piacere (ideale dell’eudaimonìa ellenistica ossia realizzazione armonica delle
possibilità umane) e gioia nell’aldiquà6. In effetti, la nuova disponibilità delle lezioni dei
filosofi, storiografi e retori, nonché del contributo della grande scienza ellenistica, concorre
ad accentuare il radicamento terreno dell’uomo e dunque la sua destinazione mondana,
politica e sociale7. Per altro verso, in virtù della sua composita natura sensibile razionale,
si accentua la collocazione mediana dell’uomo nell’universo, con l’opportunità di forme di
padronanza sulla natura8: “svolgimento integrale di tutte le capacità dell’uomo” .
Rinascita dell’uomo
Mecenati del sapere che assicurano la rinascita intellettuale nelle città:
Firenze : i Medici; Macchiavelli (1469\1527) politica come scienza autonoma
che ha come fine il bene comune:efficacia rispetto al fine, che è sempre il
bene comune.
Napoli: gli Aragonesi;
Roma: Papi;
Urbino: i Montefeltro;
Mantova: i Gonzaga;
Rimini: i Malatesta.
È intesa come ritorno al principio:
1. alla cristianità primitiva;
2. ai classici;
3. allo studio della natura vista come forza che vivifica le cose; in
particolare la natura viene vista sia come animata da forze da forze che si
possono controllare con apposti incantesimi, che come oggetto della
filosofia natutale secondo cui la natura è retta da Leggi indagabili
mediante l’eperienza sensibile
6
Ibidem.
Geymonat, Il pensiero Filosofico e la società, Garzanti, 2010.
8
Ibidem.
7
Pone l’uomo al centro :
1. del suo destino;
2. del rapporto
con Dio;
3. del cosmo
Rinascimento ed Umanesimo: i diversi approcci (breve excursus)
Il rapporto tra Rinascimento e Medioevo, dal punto di vista
storico, è stato spiegato come :
Frattura ed emancipazione
Burckhardt
Umanesimo come movimento
filologico\letterario e
Rinascimento come movimento
filosofico\scientifico
Continuità
Burdach
Umanesimo come prima parte del
Rinascimento
Originalità nella continuità
Garin
Umanesimo come anticipatore di
pensieri filosofici.
Il ritorno alle origini
Il Rinascimento, come accennato, si presenta anche come rinnovamento
religioso. Si tratta di ricercare la fonte della verità cristiana. Non ci si riferisce ai diversi
pensatori neoplatonici quali Ficino, Cusano e persino Bruno, quanto ad un ritorno alla
Bibbia, alla sua parola autentica. Si tratta in breve, della Riforma Protestante e della
conseguente riforma cattolica.
“Io grido Vangelo, Vangelo. Ed Essi rispondono: Tradizione, tradizione.
L’accordo è impossibile”. Lutero
Lutero afferma la giustificazione per mezzo
della fede e quindi nega :
(le opere buone non bastano a salvare
nessuno. Esse rappresentano il frutto ed il
segno della salvezza, non la causa di essa)
La possibilità di giustificare la
fede con la ragione
La funzione mediatrice del
sacerdozio e dei sacramenti
Il libero arbitrio
La prescenzia e la
predestinazione implica che
nulla accade che Dio non voglia
Per Lutero allora, la fede nasce dal totale abbandono a Dio. Ed è Dio che ci rende
giusti e ci salva concedendoci la grazia della fede. Il libero arbitrio non esiste e le sole
opere buone non bastano all’uomo per salvarsi. In questo senso allora la giustizia di Dio
consiste nel fatto che Dio ci giustifica con la sua grazia: una giustizia passiva. L’uomo che
ha fede dunque è l’uomo che è stato giustificato da Dio, al quale i peccati sono stati
rimessi e che quindi della sua salvezza. Pe converso la fede è la fiducia nella
giustificazione da parte di Dio. Un abbandono fiducioso a Dio per cui il tentativo della
Scolastica di giustificare la fede con la ragione è assurdo per Lutero. Del resto nulla
accade che Dio non voglia: ciò esclude il libero arbitrio e determina il bene ed il male
nell’uomo.
Agostino
Libero arbitrio
Il libero arbitrio, inteso
come possibilità di scelta
indifferenziata tra bene e
male,
inizialmente
ammesso, è in seguito
escluso
sulla
base
dell’argomento
che
il
peccato
originale
ha
indebolito la volontà degli
uomini,
rendendola
naturalmente incline al male
Libertà
essa coincide con la libertà
di scegliere il bene ossia
con la liberazione dal male
ed è pertanto conseguenza
della grazia divina
Grazia divina
E’ un dono gratuito che Dio
concede
all’uomo
intrinsecamente peccatore
A chi è concessa la Grazia? A tutti i fedeli, secondo il
primo Agostino; solo ad
alcuni
eletti
secondo
l’Agostino antipelagiano
Da
cosa
dipende
la La salvezza non dipende
salvezza?
dalle opere e dai meriti
dell’uomo ma solo da Dio;
una volontà malvagia non
può infatti produrre buone
opere, le quali sono invece
conseguenza della grazia
Qual è il ruolo della chiesa
La Chiesa è fondamentale
in quanto svolge una
funzione di mediazione tra
fedele e Dio; l’eventuale
indegnità dei suoi ministri
non inficia la validità dei
sacramenti
da
essi
amministrati
Lutero
Gli uomini, sul fondamento
del peccato originale, sono
schiavi del male
la libertà si identifica con la
liberazione dal peccato ed è
quindi
successiva
all’intervento della grazia
divina
E’ un dono gratuito che Dio
concede
all’uomo
intrinsecamente peccatore
Ad alcuni eletti predestinati
alla salvezza
La salvezza dipende solo
dalla grazia; le buone opere
non
possono
infatti
costituire una premessa
della
salvezza,
dal
momento che esse sono
conseguenza e non causa
della grazia
La chiesa non svolge
alcuna
funzione
dal
momento che il rapporto tra
fedele e Dio è un rapporto
personale
Tradizione ecclesiastica
Accanto
alla
Bibbia
(eminentissima auctoritas)
anche
la
tradizione
interpretativa della Chiesa
(ecclesiae
auctoritas)
costituisce
una
imprescindibile auctoritas
L’unica auctoritas è la
Bibbia,
la
cui
interpretazione non deve
essere monopolio della
Chiesa
La politica rinascimentale : Tommaso Moro
Critica della società
contemporanea e delle
condizioni in cui versavano
gli uomini
Utopia:
Tommaso Moro
persegue l’obiettivo di
uno stato ideale
conforme a ragione : la
proprietà privata è
abolita e la terra
coltivata a turno dagli
abitanti
Esigenza di trasformazione
della società: riforma
radicale e riferimento
all’epicureismo come
soddisfazione dei bisogni
necessari e naturali
Denuncia :
 aristocrazia
feudale,
indebolita dalla
guerra delle due
rose;


nobiltà parassita: i contadini venivano cacciati
dalle case dai poderi
Sistema
delle
recinzioni
alto clero:
interessato ai
beni mondani;
piccola nobiltà di
campagna e
borghesia;
Distrazione della monarchia
La natura
“E la Natura, a
sua volta non può esser
altro che Dio nelle cose"
(Spaccio, 174; cfr. De
immenso, 1°, 307; 2°, 193 e
312). G. Bruno
La natura è intesa come un ordine oggettivo, una dimensione altra dalla spiritualità
dell’uomo, altra dai desideri, fini, bisogni umani. E’ il mondo della scienza, della
dimensione da misurare e controllare. Ancora la natura non è sottoposta al caso: sono le
cause e non il caso a determinarne il senso del suo divenire. Per “causa” poi dobbiamo
intendere:
“un rapporto costante ed univoco tra due fatti” (Galilei), “dei quali dato l’uno è dato
anche l’altro”. Si tratta insomma del concetto di causa efficiente di Aristotele.
Per altro verso la natura è misurabile e quantificabile: si tratta della
matematizzazione dei propri dati racchiusi in formule precise. Tali dati matematizzati sono
pubblici ed intersoggettivi e quindi controllabili da chiunque. In una battuta il sapere
scientifico è un sapere universale.
La nascita della scienza si
basa su premesse di ordine :
Culturale
Sociale



Affermarsi della società
urbano\borghese;
Costituzione di stati cittadini e
nazionali
manifestarsi di nuove e maggiori
esigenze tecniche che riflette un
sapere sempre più oggettivo
Pensiero della scuola
occamista;
 laicizzazione del
sapere e libertà
della ricerca
intellettuale;

la magia aveva
contribuito a
diffondere l’idea
dell’uomo come
signore delle forze
naturali,
anticipando il
carattere attivo ed
operativo del sapere
Concettuale :
premessa culturale: Guglielmo di
Ockham che aveva contribuito a
diffondere una mentalità empiristica
favorevole alla ricerca naturale

Natura come ordine
oggettivo; non come un
insieme di essenze bensì
di relazioni causali che il
ricercatore indaga

scienza come sapere
sperimentale valido
intersoggettivamente
 che si fonda
sull’osservazione di un
insieme di fatti di cui fare
esperienza. In una
battuta:
esperienza\esperimento
Virtù da Omero a Macchiavelli9
Omero
Sofisti
Socrate
Platone
Aristotele
Macchiavelli
Onore che va difeso con coraggio e forza
fisica
Negazione dell’idea di virtù come
dotazione innata: la virtù è insegnabile a
tutti come strumento della politica, ossia
come arte del buon vivere insieme;
Tutte le virtù sono riconducibili ad una sola:
la conoscenza del bene
Ha una connotazione etica: le virtù
principali sono determinate dalle diverse
funzioni dell’anima . Nello specifico:
coraggio,
saggezza e giustizia
virtù etiche che si acquisiscono mediante
l’abitudine;
virtù
dianoetiche
che
consistono nell’esercizio della ragione.
Attraverso la pratica della virtù è possibile
raggiungere il bene ossia la felicità
nega la connotazione morale e religiosa
tradizionale
recuperando
in
parte
l’originario significato del termine virtù:
capacità di previsione, prontezza nelle
decisioni, spregiudicatezza nella azione
,intuito nell’escogitare soluzioni originali.
Caratteristiche queste, che in politica si
traducono nell’abilità di governare
le circostanze grazie al concorso
dell’intelligenza.
Macchiavelli
Contesto italiano: guerre, debolezza dei
governi
Moro
Contesto inglese: crisi sociale a seguito del
diffondersi delle enclosures . Esso richiede :
Un nuovo modello sociale: in Utopia non ci sono differenze sociali in
quanto la proprietà privata è abolita ed i beni sono in comune
9
Skepsis, Gentile, Ronga, pag. 38.
Richiede realismo politico
Il Principe per conservare lo Stato deve saper
usare l’astuzia e la forza
Giordano Bruno
“tota in toto et
in qualibet
totius parte”
G. Bruno
L’idea della pluralità dei mondi e dell’infinità del tutto ebbe origine presso i greci:
propugnata da Democrito e difesa da Lucrezio (Sulla Natura) sebbene rifiutata
dall’aristotelismo (mondo finito). Con Nicolò Cusano inizia una prima messa in
discussione del mondo finito degli aristotelici, nel senso che Cusano parla di
interminatum (interminato), per cui il suo mondo non è più il mondo medioevale
sebbene non ancora l’universo dei moderni. Riprendendo Lucrezio e Cusano,
Giordano Bruno giunge ad una nuova conclusione sul mondo, una intuizione: “Sono
dunque soli innumerabili, sono terre infinite, che similmente circuiscono quei soli, come
veggiamo questi sette circuire questo sole a noi vicino”. (De l’infinito universo e mondi).
Del resto se il mondo è causato da Dio che è un essere infinito, non può che essere
infinito.
In sintesi:
 abbattimento delle mura esterne al cosmo (universo aperto in ogni direzione)
 ammissione della pluralità di mondi; pluralità di sistemi solari;
 identità di struttura tra cielo e terra; non gerarchia di mondi;
 geometrizzazione dello spazio cosmico; spazio omogene ed infinito
 idea dell’infinità dell’universo.
L’universo è infinito e la materia
non è pura privazione di forma
(Aristotele);
natura est Deus in rebus
Universo Privo di:
 centro;


periferia;
animato da una mente universale;
La vita è ovunque e nulla è
statico; dalla morte alla vita e
viceversa incessantemente
Scienza, metodo e natura : XVI\XVII SECOLO
Tra la metà del cinquecento e la fine del seicento si compie in Europa una profonda
e radicale trasformazione del modo di pensare il mondo naturale10: il risultato di tale
mutamento fu la rivoluzione scientifica ossia la nascita della scienza moderna. Un
modo di intendere l’inizio e la fine di tale processo può essere il De revolutionibus orbium
coelestium – 1543 – Copernico, mentre il compimento può essere fatto coincidere con
Philosophiae naturalis principia mathematica -1687 – Newton. Ora la scienza moderna si
configura come un nuovo tipo di sapere perché:






autonomia rispetto alla tradizione; riferimento alla laicizzazione del sapere in
epoca rinascimentale;
la natura è vista come un insieme di fatti e non di essenze, per cui i
processi naturali sono regolati da leggi che ne determinano lo svolgersi
; per altro verso la natura è misurata secondo dati quantitativi e relazioni
causali; in buona sostanza la natura è considerata un mondo oggettivo per
un soggetto che la osserva in modo disinteressato al fine di individuarne le
leggi che la regolano;
la scienza, nei confronti della natura, è quindi un sapere oggettivo che
rinuncia alla metafisica, ne abbandona il finalismo e cerca di scoprirne le
leggi, non le essenze;
La natura è regolata da leggi che sono sottoposte a revisione sulla base
dell’esperimento che verifica l’ipotesi di partenza attraverso il metodo
osservativo; il risultato trovato esprime la causa efficiente (variabile
indipendente) che determina il fenomeno;
pubblicazione dei risultati dell’esperimento a tutta la comunità scientifica;
socialmente utile; sapere pratico ed operativo unito alla tecnica: strumenti
per la ricerca scientifica, tecnologia al servizio dell’uomo; (Sapere è potere
– Bacone).
Vediamo: in buona sostanza lo scienziato sa di non poter spiegare perché una data realtà
si presenta in natura, perchè esiste il movimento? Perché il sasso non cade verso l’alto?
Piuttosto l’uomo può solo cercare di spiegare quali cause efficienti determinano il
fenomeno.
Ora, la causa formale e finale di Aristotele, vengono rigettate dalla scienza moderna che
individua in modo rigoroso, ossia attraverso un linguaggio ed un metodo precisi e definiti,
le cause che producono un fenomeno. Ecco che si affaccia quindi la visione del mondo
come una macchina: il meccanicismo. Niente finalismo allora, ma solo leggi del moto che
regolano il movimento dei corpi tra loro.
10
Skepsis, cit. pag. 182
Magia
Vitalismo: la natura è un
grande mondo animato
struttura
del
mondo Gli enti naturali sono tra
naturale
loro connessi da forze
nascoste e da simpatie
occulte
caratteri del sapere
il sapere è segreto e
riservato agli iniziati
concezione della natura
scopo della conoscenza
Concezione della scienza
Definizione
classificazione
Fine
Contesto sociale
Scienza moderna
Meccanicismo: la natura è
una grande macchina
i fenomeni naturali sono
connessi da
relazioni
causali esprimibili in leggi
matematiche
il sapere è pubblico e frutto
della
cooperazione
tra
studiosi
dominio sulla natura da dominio sulla natura da
conseguire con formule ed conseguire con la tecnica
incantesimi
Aristotele
la scienza teorica esprime
l’autentico sapere riferito
alla conoscenza dei principi
primi.
le scienze sono teoretiche e
pratico\poietiche
Bacone
Il sapere è conoscenza
delle cause , ha carattere
universale ed è insegnabile
Esistono tre tipi di scienza:
(storia, poesia, filosofia)
fondate su tre facoltà
dell’anima
Osservazione
L’osservazione presuppone
l’identificazione precisa del
fenomeno che si vuole studiare e
serve a raccogliere tutte le
informazioni su di esso
Misurazione:
l’osservazione è in primo
luogo una misurazione
condotta con specifici
strumenti di misura : ha la
funzione di tradurre
l’esperienza in dati
quantitativi ossia in
linguaggio matematico
Elaborazione della ipotesi
Sulla base delle
osservazioni e dei dati
raccolti è possibile
formulare un’ipotesi
espressa in termini
matematici che spieghi il
fenomeno in esame
Registrazione dei dati: i
dati quantitativi sono
raccolti grazie alla
misurazione , devono esser
ordinati in tabelle e
rappresentati se possibile
in grafici
Cimento
Il cimento rappresenta il
momento più importante
del metodo sperimentale:
serve a verificare
l’attendibilità dell’ipotesi
Se i risultati del cimento
confermano l’ipotesi di
partenza, si giunge alla
formulazione di una legge
e di una teoria che rimane
valida sino a che i risultati
di altri esperimenti la
dovessero mettere in
discussione
Hypotheses non fingo
Newton
Aristotele11
Processo che dal particolare porta
all’universale: l’induzione non può pero
garantire una conoscenza certa e non
ha quindi lo stesso valore conoscitivo
della deduzione
Induzione
Deduzione
Procedimento opposto all’induzione: si
traggono conclusioni particolari da un
principio generale. Il ragionamento
deduttivo si identifica con il sillogismo
Esperienza Per raggiungere la conoscenza è
necessario partire dai dati sensibili e
dall’osservazione empirica
11
Skepsis, cit. pag. 291.
Bacone (1561\1626)
Se
correttamente
eseguita, l’induzione
può avere lo stesso
valore che aveva la
deduzione
in
Aristotele. In effetti
per
i
principi
generali
è
necessario
procedere
con
cautela : tavole di
catalogazione
dei
fenomeni
ed
esperimenti
La
deduzione
sillogistica non è
uno
strumento
valido
per
la
conoscenza
dei
fenomeni
La conoscenza si
basa
sull’esperienza:
l’osservazione
costituisce la base
di partenza di ogni
conoscenza
e
l’esperimento
costituisce la base
di convalida delle
ipotesi
Newton
A partire dalle osservazioni,
tramite l’induzione si perviene
alla formulazione dei principi
generali: tali conclusioni sono
valide sino a prova contraria.
Tramite i postulati ottenuti per
via induttiva è possibile
costruire per via deduttiva delle
dimostrazioni valide.
L’esperienza è fondamentale
per
la
conoscenza
:
l’osservazione
va
però
accompagnata
dalla
misurazione matematica dei
fenomeni e dalla progettazione
e realizzazione di esperimenti
La Filosofia moderna, è chiamata normalmente Filosofia del Soggetto.
La motivazione, una delle motivazioni principali che vanno a costituirne la formazione
può essere rintracciata nella riforma protestante. E' la riforma protestante una delle
motivazioni d'avvio della nascita del soggetto. Essa radicalizza infatti una istanza già
presente nel cristianesimo: l'istanza dell'interiorità.
Tale aspetto è sottolineato da Hegel: tra modernità e cristianesimo12 c'è continuità e
coerentizzazione. interiorità egli gioca la propria salvezza. Ricordiamo a questo proposito
12
Il cristianesimo, la cui denominazione rivela il legame fondamentale con la figura di Gesù Cristo, è un
fenomeno religioso complesso. Nacque nel solco della tradizione culturale e religiosa del giudaismo, a sua volta già
influenzata dalla cultura greca nell'epoca dei regni ellenistici. Una volta diffusosi nel bacino del Mediterraneo, anche il
cristianesimo assorbì elementi importanti della cultura greca, a partire dalla lingua, per poter avviare un dialogo con
interlocutori non giudei; nel tempo ha dimostrato capacità di adattamento a diverse situazioni e contesti storici nel
proporre il proprio messaggio di salvezza.Il termine cristianesimo compare nelle fonti per la prima volta con Ignazio di
Antiochia, all'inizio del 2° secolo. Invece il termine 'cristiani' era entrato in uso già intorno agli anni Quaranta del 1°
secolo, come si legge negli Atti degli Apostoli, per identificare persone che proponevano un messaggio di carattere
religioso riconducibile a Gesù di Nazareth detto il Cristo. Di conseguenza, il cristianesimo si presenta come una
religione fondata da un personaggio storico, nel senso che il riferimento di fede, diretto o indiretto, a quel personaggio è
l'elemento che accomuna le prime notizie sui cristiani.
Da due millenni Gesù il Cristo è oggetto di fede.
Relativamente presto si è pensato che nella sua figura ci fosse una componente divina. Il Credo, nella sua formulazione
niceno-costantinopolitana (cioè sottoscritta dai partecipanti al Concilio di Nicea del 325 e ripresa e adattata nel
Concilio di Costantinopoli del 381) che è tuttora la base dottrinale comune per tutte le confessioni cristiane, così
afferma: "generato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, della stessa
sostanza del Padre". In queste parole è contenuto il distillato delle molteplici domande e della riflessione su Cristo e su
Dio che hanno animato i primi secoli del cristianesimo.
Accanto a questi aspetti dottrinali, il Credo ricorda anche alcuni particolari della vicenda storica di Gesù: "è
stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato e ha patito ed è stato seppellito ed è risorto il terzo giorno secondo le
Scritture". Quindi i dati fondamentali di una vita ‒ le coordinate cronologiche e la morte di Gesù ‒ sono inglobati nel
Credo, anche se fino all'età dell'Illuminismo non fu mai avviata una riflessione sulla sua personalità storica, dal
momento che l'unico canone di verità (all'interno naturalmente del mondo cristiano) era fornito dalla Chiesa per la quale
la fede in Cristo come Dio e salvatore è un dogma. Con l'Illuminismo, che mise in primo piano le esigenze della
ragione, cominciò a porsi il problema del Gesù storico.
Il problema circa le origini cristiane si identifica dunque con il problema del momento in cui si può parlare del
cristianesimo come di una religione differente dal giudaismo. Più in generale, dietro questo problema se ne nasconde un
altro: la definizione di cristianesimo. È un dato di fatto che il cristianesimo rappresenti all'inizio solo una delle tante
correnti interne al giudaismo. Lo stesso titolo di Cristo, che venne subito attribuito a Gesù e che divenne parte del suo
nome, proviene dalla tradizione giudaica (Bibbia). I discepoli credettero nella resurrezione di Gesù dalla morte, ma
interpretarono in modi diversi la sua persona e la sua funzione sia riguardo al suo rapporto con la Torah (la dottrina
contenuta nel Pentateuco che, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme compiuta dai Romani nel 70 d.C.,
divenne l'unico punto di riferimento religioso per gli Ebrei) sia riguardo al suo rapporto con la missione di Israele,
popolo eletto.
Paolo di Tarso
Molte quindi, all'inizio, furono le forme del cristianesimo. Fra le varie forme, quella di Paolo ebbe il maggior
successo fra i pagani, perché non li obbligava ad assumere le osservanze dei Giudei (come le prescrizioni alimentari, o
la circoncisione). Anche Paolo intendeva rifondare la religione di Israele piuttosto che stabilirne una nuova, ma di fatto
la sua impostazione affrettò il distacco del cristianesimo dal giudaismo. Ma accanto al cristianesimo di Paolo
sussistevano altre versioni, e a lungo continuarono a esserci cristiani (detti giudeo-cristiani) che osservavano le
prescrizioni giudaiche e si consideravano parte del popolo eletto. L'autocoscienza dei cristiani, come pure il loro
distacco dai Giudei, furono quindi diversi nei vari gruppi. Il requisito minimo per definire il cristianesimo (facendo
riferimento sia al periodo delle origini sia ai secoli successivi) è la fede in Gesù Cristo inviato da Dio come
personaggio salvifico, inteso in senso esclusivo da Paolo o come personaggio principale, accanto alla dottrina
della Torah, dai giudeo-cristiani.
Rapporti fra cristianesimo e autorità politica
Personalmente Gesù afferma nei Vangeli la distinzione fra la sfera di Dio e quella di competenza delle autorità
politiche (con la celebre affermazione: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio"). Ma il
cristianesimo, nella sua concreta vicenda storica, è stato soggetto a una dinamica di integrazione e di confronto con la
società e le istituzioni politiche all'interno delle quali si è inserito. Tale problematica di confronto è iscritta nelle stesse
origini cristiane, a causa della condanna a morte subita da Gesù per opera dei Romani.
Nel 2° secolo il cristianesimo appariva alle autorità dell'Impero Romano come una religione nuova, ormai
diversa dal giudaismo. Diffusasi innanzitutto nelle città del bacino del Mediterraneo ‒ mentre fino al 3° secolo inoltrato
restò quasi sconosciuta nelle campagne ‒ lungo le vie del commercio, non godeva dei privilegi della religione giudaica,
tollerata invece e protetta in quanto religione di un popolo solo (religione etnica). I cristiani furono invece considerati
seguaci di una 'religione non lecita', e a volte subirono persecuzioni. Fino a metà del 3° secolo i cristiani, tranne qualche
caso di ostilità popolare con eccidi, erano perlopiù processati solo in caso di denuncia non anonima e nominativa; ma
dalla metà del 3° secolo, essendo ormai una minoranza numerosa in Oriente, furono soggetti a persecuzioni per editto o
generali, la più sanguinosa delle quali fu l'ultima, quella di Diocleziano. Il cristianesimo era visto come una minaccia
all'unità e universalità dell'Impero Romano, in quanto non ne accettava quei culti ufficiali che erano invece considerati
un fattore di coesione sociale e politica, e proponeva a sua volta un messaggio altrettanto universale dell'ideologia
imperiale.
La svolta dell'imperatore Costantino: un nuovo rapporto tra religione e politica
Questa situazione si rovesciò bruscamente e completamente con l'imperatore Costantino: egli intraprese la
strada, proseguita dai successori (con l'eccezione di Giuliano detto l'Apostata), che portò il cristianesimo a diventare il
fondamento religioso dell'Impero Romano e l'imperatore a essere di fatto e di diritto il capo della Chiesa. In Oriente,
durante tutto l'Impero bizantino ‒ che conservò una sostanziale continuità istituzionale fino alla caduta di
Costantinopoli del 1453 ‒ si mantennero le condizioni perché l'imperatore continuasse ad avere la funzione di guida
delle chiese (Giustiniano, nel 6° secolo, fu insieme teologo e imperatore), mentre in Occidente la progressiva perdita di
contatto con l'impero a seguito della formazione dei regni romano-barbarici nel 5° e 6° secolo pose le premesse perché
il vescovo di Roma diventasse il capo effettivo della cristianità. L'unione e il mutuo sostegno fra autorità statale e
Chiesa cristiana è tuttora un valore per la Chiesa ortodossa.
In Occidente, il rapporto fra politica e religione fu più dialettico e tormentato per il ruolo papale di cui si è
detto, e ancor più lo è diventato a seguito della Riforma e dell'affermazione dell'autonomia di valori e istituzioni secolari
con l'Illuminismo (secolarizzazione). Nelle chiese orientali la situazione è differenziata: a volte i cristiani sono
minoranza riconosciuta, a volte tollerata. In generale, uno dei grandi problemi della coscienza cristiana di tutti i secoli è
il rapporto con il mondo, di cui l'autorità statale è l'espressione più forte: i cristiani oscillano fra un atteggiamento di
libertà interiore rispetto al mondo esterno e la volontà di influenzare le scelte politiche in nome di valori considerati
irrinunciabili.
La formazione dell'identità cristiana
Il 2° secolo fu cruciale nella storia del cristianesimo. Innanzitutto si decise la partita dei rapporti con l'eredità
giudaica, che vennero mantenuti stretti attraverso la Bibbia dei Settanta, in opposizione a quei movimenti
(marcionismo, gnosticismo) che volevano separarsi da questa eredità. Alla Bibbia ebraica però venne affiancato sia il
corpo del Nuovo Testamento, costituito alla fine del 2° secolo in canone, sia un metodo esegetico in base al quale i fatti
della storia ebraica venivano reinterpretati come prefigurazioni dei fatti di Cristo e della Chiesa: in sostanza era la fede
in Cristo che forniva la chiave per assimilare la Bibbia giudaica.
La persistenza dell'eredità giudaica comportò il dogma dell'unicità di Dio, creatore della realtà umana.
Risultava quindi inaccettabile per il cristianesimo ogni svalutazione troppo forte del mondo (ascetismo) e il dualismo,
cioè l'idea che il mondo fosse stato creato da un altro dio, inferiore o cattivo, come affermavano gnostici e manichei e,
nel Medioevo, i movimenti dualisti come i catari. Ma il dogma dell'unicità di Dio comportò anche che dal 2° secolo
divenne centrale il dibattito su Cristo, o meglio sulla compatibilità della sua componente divina, riconosciuta ormai
dalla maggioranza dei cristiani, con l'unico Dio. I dibattiti e i conflitti che si svilupparono intorno a questo problema
avevano un carattere differenziato, perché il cristianesimo dei primi secoli era formato da tante comunità autonome,
unite solo da un sentimento di unità spirituale, ognuna governata in un primo tempo da un collegio di presbiteri
(anziani) e successivamente da un vescovo.
Concili ed eresie
Dopo la svolta impressa da Costantino, le dispute e i dibattiti divennero generali e si cercò la soluzione con
concili ecumenici. Una delle peculiarità del cristianesimo fu lo straordinario sviluppo dell'insieme di dottrine
riguardanti Dio (teologia) che dovevano rafforzare il fondamento della retta fede, o ortodossia, contro le deviazioni o gli
errori. Questa peculiarità nacque proprio dalla riflessione sulla persona di Cristo (cristologia) e proseguì in una serie di
tappe e di definizioni, di cui si devono ricordare almeno il già menzionato Credo niceno-costantinopolitano del 381, in
base al quale il Dio cristiano è uno in tre persone (Padre, Figlio e Spirito santo) e quello di Calcedonia del 451, molto
contestato e fonte di divisioni secolari, per cui Gesù Cristo è una sola persona in due nature complete, umana e divina.
L'idea che la retta fede sia iscritta nella rivelazione originaria portata da Cristo e che le eresie siano
deviazioni dalla verità stabilita fu dunque convinzione precoce dei cristiani, ma non corrisponde a quello che sappiamo
dello sviluppo storico, nel quale la riflessione ‒ a partire dall'intuizione di fede ‒ si sviluppò lentamente attraverso il
confronto di diverse posizioni, alcune delle quali risultavano minoritarie e venivano emarginate. Perciò quella fra eresia
e ortodossia è una delle dinamiche che percorre la storia del cristianesimo e ne costituisce uno dei tratti caratteristici. Ne
possiamo individuare altre.
Nel 2° secolo, in conseguenza della progressiva stabilizzazione dell'organizzazione gerarchica con a capo la
figura del vescovo (epìscopos "sorvegliante"), si instaurò una più o meno aperta conflittualità con movimenti
carismatici e profetici (come il montanismo) che pure erano stati fortemente presenti agli inizi del cristianesimo. La
tensione fra movimento e istituzione ha poi continuato a manifestarsi ogni qual volta il rafforzarsi dell'istituzione è
apparso ad alcuni gruppi di cristiani come un tradimento o un allontanamento dagli ideali del Vangelo.
Dal Medioevo all'età della Riforma:Queste tensioni si ripresentarono nel 12° secolo in Occidente, quando
il monachesimo tradizionale non sembrò più in grado di soddisfare le esigenze di vita evangelica: di conseguenza
comparvero una serie di movimenti che predicavano vita evangelica e povertà, i quali, accusati di eresia (come fu
il caso dei catari e dei valdesi), furono successivamente fatti oggetto di una politica di recupero (specificamente
per una parte dei valdesi) o, se questa falliva, di sterminio (nel caso dei catari).
Agostino, per cui la verità "habitat in interiore homine". Ora, sebbene sia vero che il
principio dell'interiorità sia rintracciabile anche nel mondo greco, nel Cristianesimo è
infinitamente innovativo13.
In effetti è vero che nei Greci troviamo il richiamo all'interiorità espresso da Socrate, ma
l'appello all'interiorità greco non è quello di Agostino: Socrate parlava di interiorità in
quanto si rivolgeva ai sofisti che pretendevano di sganciare il linguaggio dalla verità.
Socrate quindi vede nell'atto del guardare alla propria interiorità, la possibilità di vedere,
attraverso il linguaggio, la verità. Il richiamo di Socrate è insomma un richiamo alla
razionalità attraverso il linguaggio. Ora, dopo l'avvento del Cristianesimo, nell'uomo
Agostino trova Dio. Il Dio cristiano si manifesta proprio nell'interiorità dell'uomo .
Questa sottolineatura del cristianesimo viene radicalizzata dalla Riforma protestante: essa,
di contro alla religione cattolica, pone l'accento sulla radicalità della fede. E' insomma la
fede interiore che fa dell'uomo un essere degno di considerazione. Non tanto o solo le
opere di culto. Questo richiamo alla interiorità rappresenta un ulteriore passaggio verso la
scoperta della soggettività. Possiamo affermare quindi che quanto era presente nella
storia del cristianesimo, non era stato tematizzato ancora adeguatamente. Pensiamo alla
filosofia medioevale: essa si riferisce ancora ad aspetti mitologici\filosofici della filosofia
greca senza andare sino in fondo all'interiorità. La filosofia cartesiana manifesta proprio
questo passaggio: certo Cartesio risente della filosofia di Ockham , del suo scetticismo,
che Cartesio spinge sino al dubbio più radicale su ogni cosa.14
In effetti, Ockam, il suo richiamo, è al criterio dell'evidenza. Una evidenza che sia
indiscutibile. Contro le pseudoevidenze della filosofia scolastica. Per altro verso, Cartesio
Dalla stessa esigenza di vita evangelica nacquero anche il movimento promosso da Francesco d'Assisi agli inizi
del 13° secolo e gli altri nuovi ordini mendicanti. Anche la riforma iniziata da Martin Lutero recava in sé, fra le sue
componenti, quella della riscoperta del Vangelo, contro la politica religiosa papale del tempo. Innovazione e tradizione
nel cristianesimo: La tensione fra innovazione e tradizione è in parte connessa con quanto abbiamo già detto. Il
cristianesimo nacque come nova religio ("nuova religione"), sul tronco di una religione antichissima (il giudaismo) e
come tale rispettata dai Romani. Una parte dei primi difensori della fede cristiana cercò di presentare il cristianesimo
come una religione solo in apparenza nuova, perché in realtà si riallacciava alla prima rivelazione data da Dio e che
sarebbe stata tradita dai Giudei. Un'altra parte dei difensori avrebbe puntato proprio sulla novità del cristianesimo per
accreditare l'idea che mai come in esso Dio si era rivelato pienamente. In generale, nel corso dei secoli nei vari ambiti
(ecclesiastico, teologico, sociale) prevalse l'idea che il nuovo è deviazione dalla perfezione originaria e che quindi il
'vero' nuovo deve essere proposto come un ritorno all'antico: per esempio, le nuove proposte di vita comunitaria nel 12°
e 13° secolo si rifacevano alla Ecclesiae primitivae forma, "forma della Chiesa primitiva".
Ma, al di là del credito dato a ciò che è antico, il costante fermento di nuove proposte ed esperienze, sorretto
dalla convinzione che lo spirito di Dio continua a operare nella storia degli uomini, di fatto ha reso il cristianesimo
una religione dinamica e aperta all'innovazione. Lo stesso termine 'tradizione' sembrerebbe avere solo una funzione di
freno e di stabilizzazione: in pratica però la tradizione si affianca come un altro elemento di autorità accanto al testo
scritto della Bibbia e può, a volte, determinare una dinamica di progresso, perché di fatto la tradizione si modifica
storicamente. Treccani on line
13
14
Ibidem.
Ibidem.
si riferisce a quanto dicevamo prima: all'interiorità tematizzata dal Cristianesimo e
radicalizzata dalla riforma protestante15.
Vediamo: Ockham si scaglia contro tutta la tradizione precedente sul fondamento del
principio dell'evidenza: è evidente solo ciò che è presente qui, dinnanzi a me. In effetti,
Ockham parte dalla constatazione che ogni atto conoscitivo raggiunge la sua piena validità
solo quando perviene al massimo grado di evidenza. Inoltre una conoscenza è evidente
quando raggiunge pienamente il suo oggetto.
Solo una siffatta conoscenza, la cui
evidenza dipende dalla presenza della realtà corrispondente, può dirsi garantita nella sua
portata reale. Per O. una conoscenza evidente è una conoscenza intuitiva. E tale
conoscenza prevede sempre l'assenso di una cosa concreta constatata. L'esistenza allora
non può essere dedotta da un generico concetto ma solo intuita in modo diretto. Ora,
questa istanza dell'evidenza si presenta anche in Cartesio: tramite l'evidenza, visto che è
difficile stabilire cosa sia veramente evidente, Cartesio mette in discussione tutto. Più
determinatamente, Cartesio mette in discussione che i sensi riescano a riprodurre
fedelmente la realtà. Quale prova ho che i sensi riproducano fedelmente la realtà?
L'adozione di un criterio rigoroso di verità, intesa come evidenza, comporta allora un
inevitabile esito scettico16.
Per altri versi, la definizione di Ockham di rappresentazione – repraesentatio –
représentation – Vorstellung - è utile a comprendere l’utilizzo che di questo termine17 farà
la filosofia moderna:
1) “Ciò con cui si conosce qualcosa ed in questo senso la conoscenza è
rappresentativa e rappresentare significa esser ciò con cui si conosce qualcosa”
ossia l’Idea di qualcosa;
2) “Il conoscere qualcosa, conosciuta la quale si conosce un’altra cosa” ossia
l’immagine di qualcosa;
3) “Il causare la conoscenza al modo con cui l’oggetto causa la conoscenza” ossia
l’oggetto stesso in quanto si fa conoscere18.
Il termine quindi, in senso psicologico più ristretto, si riferisce all’immagine memorativa
e fantastica distinta dalla percezione e dal concetto astratto. In un senso gnoseologico,
viceversa tutto ciò di cui un soggetto è cosciente, ossia ogni contenuto di coscienza od
oggetto19 di coscienza. Per Cartesio l’Idea è rappresentazione: un contenuto interno alla
coscienza che deve corrispondere all’oggetto rappresentato. Per Kant, superando
15
16
17
18
19
Ibidem.
Ibidem
Il Testo filosofico, Cioffi, Rusconi, 2003.
Ibidem.
Ibidem.
l’aspetto psicologico del termine, il termine “Vorstelleug” è sinonimo di ogni atto o
contenuto della coscienza, il genere di tutti gli atti conoscitivi, distinta in :



percezione : rappresentazione con coscienza;
sensazione;
cognizione: intuizione, concetto, idea.
In effetti Kant, nella Critica della Ragion Pura, non potendo più fondarsi per la propria
teoria sulla contemplazione dell’Essere puro garantito da Dio, come nelle metafisiche
classiche, ritiene che l’essere che si rivela alla coscienza è fenomeno ossia ha senso
solo in relazione alle forme della coscienza che lo rendono pensabile. La coscienza
diventa quindi oggetto di indagine privilegiato nella misura in cui essa rivela il senso dei
fenomeni: una immagine che si presenta alla coscienza o meglio una rappresentazione .
Shopenhauer afferma poi : “esser oggetto per il soggetto ed essere una nostra
rappresentazione è la stessa cosa. Tutte le nostre rappresentazioni sono oggetti del
soggetto e tutti gli oggetti del soggetto sono nostre rappresentazioni”20
Filosofi confronto
definizione di Idea
essenze intelligibili,
stabili, immutabili
ed
eterne,
separate dal mono
sensibile che è
invece corruttibile e
diveniente
da dove provengono le idee
le idee hanno uno statuto ontologico
proprio ed esistono in un mondo
puramente
intelligibile, detto
iperuranio. La conoscenza delle
idee è spiegata con la dottrina
dell’anamnesi o reminescenza :
l’anima può ricordare mediante la
dialettica,
le
idee
viste
nell’iperuranio e poi dimenticate
nell’unione col corpo
Le
idee
sono possono essere :
immagini
delle
 innate ossia presenti nella
cose che la mente
coscienza dell’uomo sin dalla
si rappresenta
nascita, come l’idea di Dio ed
in generale le idee che
rappresentano le essenze
vere ed indubitabili ed eterne;
 avventizie: ossia provenienti
dal di fuori come le idee dei
corpi;
 fattizie: ossia inventate dagli
uomini come l’idea che gli
astronomi si creano del Sole
Platone
Cartesio
20
Ibidem.
rapporto idee\cose
le idee costituisco i
modelli o archetipi
delle cose sensibili
che,
nella
loro
molteplicità,
partecipano delle
idee o somigliano
ad esse solo in
modo imperfetto
l’uomo
è
fortemente portato
a pensare che le
cose
che
producono in lui le
idee
avventizie
siano simili alle
idee stesse ed
esistano fuori di
lui.. L’esistenza di
Dio garantisce la
verità di questa
convinzione
essendo
Dio
l’esser
sommamente
Locke
buono che non ci
può ingannare
Le idee sono tutto le idee derivano dall’esperienza
ciò che è oggetto ossia a sensazione e da riflessione:
del nostro pensiero
 semplici: direttamente;
 complesse:indirettamente,
grazie alla combinazione di
idee semplici. Non esistono
idee innate
la conoscenza delle
cose esterne è certa
solo nel momento in
cui ne abbiamo la
sensazione. Cessata
la sensazione essa
diviene probabile
Cartesio
Renè Decartes, nasce il 31 Marzo del 1596 (e muore l’11 Febbraio del 1650) in un
villaggio della Francia. Si dedica allo studio della matematica e della fisica: nel 1619 ha la
prima intuizione del suo metodoche esprime nel trattato “Regole per dirigere l’ingegno”.
Nel 1628 si trasferisce in Olanda : qui compone il Mondo, nel quale sostiene l’ipotesi
copernicana. Opera che decide di non pubblicare avendo saputo della condanna di Galilei
nel 1633 (culmine dello scontro la vecchia e la nuova visione del mondo). Nel 1637
pubblica allora i tre saggi Diottrica, Meteore, Geometria. Scrive anche una prefazione : Il
Discorso sul Metodo. Discorso che si prefigura come un manifesto della ragione: un
razionalismo classico secondo cui il sapere deve affidarsi alle evidenze della ragione e
non ai sensi. Per Cartesio, la mente coglie intuitivamente alcune idee: l’idea di estensione
e materia.
Negli anni successivi pubblica Le meditazioni metafisiche (1641). L’opera contiene
le obiezioni rivoltegli dai maggiori filosofi del tempo e le relative risposte.
Al lato opposto di questa teoria della conoscenza cartesiana, troviamo l’Empirismo che
fonda il sapere della conoscenza sull’esperienza sensibile
Cartesio è ritenuto a buon diritto il fondatore della Filosofia Moderna: si passa così, con
questo autore, ad un nuovo modo di organizzare la Filosofia. Del resto, l’epoca in cui
nasce Cartesio si presta a tale operazione: nasce infatti nell’epoca delle grandi rivoluzioni
scientifiche (Keplero,Torricelli, Galilei). In effetti la scienza è il suo fondamentale
riferimento: all’epoca di Cartesio la filosofia era ancora legata alla tradizione della
Scolastica. Nel Cinquecento, in particolare, la Scolastica era complessivamente un corpus
di saperi molto sofisticato in linea con la tradizione aristotelica e con la Religione. Tale
sapere urta però con la nuova dimensione scientifica: Keplero fa delle previsioni attendibili
sull’orbita dei pianeti, aspetto non previsto e trattato da Aristotele. Galilei, per altro verso,
presenta delle analisi che mostrano come Aristotele fosse in errore. In buona sostanza, il
sapere aristotelico della tradizione, unitamente alla Rivelazione, erano fortemente messi in
discussione da Cartesio che tendeva a dubitare, metodicamente, di tutto quanto non fosse
dimostrabile.
Vediamo: Cartesio aveva una idea della natura del cosmo abbastanza inconsistente
(tematica dei vortici); piuttosto è interessante la tematica della causa efficiente e finale.
La causa efficiente riguarda, ad esempio nel movimento: A che tocca B e lo fa muovere.
La causa finale riguarda, ad esempio, lo scopo di una mia azione che mi guida
durante l’intero svolgersi dell’azione.
Ecco Cartesio, in riferimento al suo interesse per la scienza, afferma la necessità di
interessarsi solo alla causa efficiente, non alla causa finale (contrariamente a Leibniz).
Il criterio dell’evidenza
Così Cartesio annuncia la regola dell'evidenza: “....non accogliere mai nulla per vero che
non conoscessi esser tale con evidenza, di evitare cioè accuratamente la precipitazione e
la prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi nulla di più di quello che si
presentava così chiaramente e distintamente alla mia intelligenza da escludere ogni
possibilità di dubbio.” Parlare di idee chiare e distinte e parlare di evidenza è allora la
stessa cosa. Ora, in questo incipit cartesiano, si costruisce anche l'impostazione
soggettiva della filosofia di Cartesio in quanto io posso dubitare di tutto ma non del mio
pensiero. Ed in effetti se io dubitassi anche del mio pensiero dubiterei anche della
condizione che mi consente di dubitare, metterei in discussione la condizione del mio
poter dubitare. Ma è il pensiero a non poter esso messo in discussione. E tale aspetto
della conclusione cartesiana esprime proprio la modernità: la scoperta del soggetto21. E
tale modernità, ossia la scoperta del soggetto, si contrappone anche al pensiero
medioevale: Agostino, ad esempio, concede, diversamente da Cartesio, che esistano delle
verità oggettive al di fuori del pensiero soggettivo. Diversamente, Cartesio ritiene di non
avere nessuno strumento per procedere al di là del pensiero.
ragione
Cartesio
la ragione umana è universale e infallibile;
per questo essa è tendenzialmente lo
specchio della realtà: “non cercare altra
scienza al di fuori di quella che potevo
trovare in me stesso e nel gran libro del
mondo”
Locke
La ragione umana non è affatto universale
ed infallibile. Esiste infatti una grande
varietà tra le intelligenze umane. Una
ragione con la erre minuscola.
Quanto affermato da Cartesio conduce però anche ad un altro risultato: se il pensiero è
un principio primo, ossia un fondamento che nega qualsiasi tentativo che lo neghi, che
rende evidente che ogni tentativo di negare il pensiero lo presuppone, allora non è
possibile uscire22 dal pensiero, proprio perché il pensiero è presupposto di ogni cosa. In
effetti, la proposizione Cogito ergo sum come la dobbiamo intendere? In un primo senso,
dobbiamo intenderla come il raggiungimento di un principio primo, e questo l'abbiamo già
detto. Ma in un altro senso, la verità intesa come una realtà concreta, oggettiva, esistente
per sé, che il pensiero degli antichi raggiungeva pienamente, beh questo mondo concreto,
21
22
Prof. L. Cortella, Cit.
Ibidem.
il mondo della sostanza per intendersi, che sta lì, non è più inteso in questo modo.
Cartesio pone allora un pensiero inaudito, che forse nemmeno lui coglie in tutta la sua
portata. Cartesio, di contro ad una verità sostanziale, pone una verità trascendentale:
quella del pensiero. In effetti il pensiero non ha nulla di sostanziale, è una condizione di
possibilità, anzi questa condizione di possibilità non è una cosa. Cartesio stesso non
sembra rendersene conto, tanto è vero che per Lui il pensiero è sostanza pensante: res
cogitans
Evidenza
In Cartesio: caratterizza la
verità ovvero ciò che si
presenta alla mente in modo
chiaro e distinto escludendo
Cogito ergo
ognisum
possibilità di dubbio. Essa
è garantita dall’esistenza di un
Dio buono e verace che non
Vediamo: per gli antichi il mondo della soggettività era appunto
il mondo
della
inganna
le sue creature
In Platone:
caratterizza il grado più alto della
conoscenza ossia la visione intellettuale elle
Idee. Essa è garantita dalla reminescenza
ossia dal ricordo del mondo delle Idee
conservato nell’anima
variabilità, della non fissazione, della messa in discussione, dell'eterno fluire delle
rappresentazioni, un mondo non veritativo, mentre la verità era raggiunta solo quando si
trovava qualcosa di veramente oggettivo. In effetti, per gli antichi, l'essere è qualcosa di
oggettivo. Ancora pensiamo a quando qualcosa è vero per gli antichi: esso è tale se sta lì.
Diversamente, con Cartesio, la forma è sostanzialmente nuova ed inaudita: una verità
assolutamente non sostanziale anche se Cartesio, come abbiamo detto, parla del Cogito
come una sostanza, una res cogitans appunto.
Eppure questo è il problema di tutta la filosofia moderna23: da un lato una istanza non
sostanziale, non oggettiva, che mette in discussione tutta la tradizione precedente,
appunto quella della sostanza. Dall'altro lato il pensare questa istanza del Soggetto ancora
all'interno della sostanza: res cogitans.
Sino a Cartesio, il massimamente vero, il massimamente oggettivo è Dio: è l'essere per
eccellenza, il massimamente evidente.
Con Cartesio siamo all'opposto: il
massimamente vero è il soggettivo. Nello specifico, questo è il senso del Cogito, non
dubito affatto delle mie rappresentazioni, non dubito di vedere il tavolo, l'anfora, una
parete, dubito piuttosto che queste rappresentazioni corrispondano a qualcosa di
oggettivo, ad una realtà identica ad essa. E questa difficoltà a stabilire una corrispondenza
delle mie rappresentazioni con la realtà oggettiva è una conseguenza dell'impossibilità ad
uscire dal pensiero. Insomma le mie rappresentazioni, le mie Idee dice Cartesio, sono
contenuti del pensiero, sono tutte le rappresentazioni che io ho, ivi comprese le
rappresentazioni del mio mondo interno. Ora, l'unica possibilità che io avrei di uscire dal
soggetto è riferirsi ad un terzo punto di vista esterno che però ripropone il problema: come
uscire questa volta dalle sue rappresentazioni?
23
Ibidem.
Ora, lo strumento che Cartesio utilizza per dimostrare l'esistenza del mondo esterno
è la dimostrazione dell'esistenza di Dio. Ebbene, questa dimostrazione è coerente con
l'impianto teoretico di Cartesio: la dimostrazione dell'esistenza di Dio non avviene infatti
attraverso una trascendenza del soggetto, ma avviene attraverso una analisi delle
medesime rappresentazioni
del soggetto. Vediamo: Cartesio analizza le diverse idee
del soggetto ed analizza l'idea di Dio, tale idea è per Cartesio idea della perfezione. Per
Cartesio allora diventa necessario dimostrare l'idea di questa perfezione.24
Per prima cosa Cartesio, non potendo attingere al mondo reale come i suoi predecessori
visto che il mondo è ancora da dimostrare, ma solo al mondo soggettivo delle
rappresentazioni, afferma che l'idea di un essere perfetto non può essere causata da
un'altra idea imperfetta. Non può essere qualcosa all'interno del cogito che è causa di
un'idea di un essere perfetto, perchè tale idea sarebbe imperfetta se interna al cogito.
Come secondo argomento Cartesio si chiede quale sia la causa del cogito: qual è
la causa del pensare stesso. E conclude anche qui che una causa del cogito, in quanto
finito, non può essere il cogito.
Guardando alla matematica
come modello
Fatta di idee :
 fattizie;
Che è res cogitans

avventizie;

Il
problema
del
metodo
Cartesio
affronta
Usando il
dubbio
metodico
24
Basato sulle certezza intuiva
del cogito
Distinto dalla materia come res
extensa
Ibidem.
innate
Che fonda la libertà
dell’uomo
Si ha quindi il meccanicismo
necessario per lo studio
scientifico della natura
Qual è dunque il risultato, il guadagno di Cartesio? Per prima cosa Cartesio
guadagna la verità di un principio che è un principio primo: un principio, il pensiero, che
mostra e non di-mostra la verità della sua ineludibilità, ossia nega chiunque intende
negarlo in quanto colui che nega il Cogito Lo deve necessariamente presupporre.
Abbiamo già detto che tale guadagno non consente di uscire dal pensiero. Non è quindi
possibile guadagnare un punto di vista esterno al pensiero. Il pensiero non ha niente di
esterno: il pensiero è. Il pensiero quindi non è una struttura che ora è, ora non è.
Ancora, secondo Cartesio, tale aspetto del pensiero Lo porta a pensare che il Cogito sia
una res, una cosa che sta: res cogitans. Una cosa o una sostanza pensata. Il Cogito, o
meglio la struttura del Cogito, si articola in Idee ossia in rappresentazioni : il mio corpo è
un'idea, l'albero è un'idea. Notiamo la trasformazione del concetto di Idea rispetto a
Platone: per Platone l'Idea è il massimamemte oggettivo, ciò che esiste in maniera
evidente ed oggettivamente ossia la struttura profonda della realtà è l'Idea. Solo in
secondo luogo l'Idea è anche rappresentazione: o meglio io posseggo questa
rappresentazione proprio in quanto esiste una Idea oggettiva, se non esistesse l'Idea
oggettiva non avrei nessuna rappresentazione. Per Cartesio quindi l'idea è qualcosa di
molto simile al senso comune,25 mentre il pensiero è un contenitore di rappresentazioni.
Ed in questo “contenitore”, esistono vari tipi di idee: non ultima quella di perfezione.
Cartesio
Spinoza
sensazioni
non
ci
fanno
conoscere la vera
realtà (esempio del
Sole)
Corrispondono
ai
corpi, che sono
modi
dell’attributo
estensione
Le Idee
costituiscono la res
cogitans: vengono
classificate
come
innate, avventizie e
fattizie
sono
modi
dell’attributo
pensiero. Dato che
pensiero
ed
estensione
sono
attributi della stessa
sostanza: le idee
corrispondono
ai
corpi (parallelismo)
Ora, il problema di Cartesio è quello di mostrare come posso passare dall'Idea della
perfezione alla esistenza della perfezione. Ebbene, tutti e tre gli argomenti cartesiani
devono necessariamente partire dal mondo soggettivo: il primo, facendo ricorso al
concetto di causa, ritiene che la causa di una idea della perfezione non possa essere
un'idea, perchè ogni idea non ha le caratteristiche della perfezione. Per cui è Dio, come
essere perfetto, a essere causa dell'idea della perfezione. Insomma io, in quanto finito,
imperfetto, non posso essere causa di un'idea perfetta. Né il cogito in quanto pensare, può
essere causa del pensare: ossia la causa del pensare non può essere interna al pensare,
25
Ibidem.
un pensare che ha l'idea della perfezione non può essere causato da un cogito imperfetto,
finito. Ora, la debolezza di tutti questi ragionamenti sta nel fatto che viene introdotta
surrettiziamente l'idea di causa. In effetti Cartesio non fa un uso rappresentativo del
concetto di causa: non dimostra l'idea di causa, la applica alle rappresentazioni come
causate da un altro elemento causante. Risulta necessario allora prendere in esame il
terzo argomento: Cartesio parte dall'idea della perfezione, diversamente da Anselmo però.
In effetti Anselmo parte dal concetto di un ente di cui non si possa pensare nulla di
maggiore: quindi un concetto, quello di Anselmo, che non si fonda sulla perfezione di un
ente somme bensì sul concetto di un ente di cui non posso pensare nulla di maggiore. E '
un concetto relativo quindi alla grandezza, non alla perfezione come in Cartesio. In effetti,
afferma Anselmo: “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore non può essere nel solo
intelletto, giacchè se fosse nel solo intelletto si potrebbe pensare che fosse anche in realtà
e cioè che sarebbe qualcosa di maggiore”. Tutto l'impianto del ragionamento anselmiano
si fonda quindi sulla comparazione di due concetti che hanno rispettivamente due oggetti:
il secondo oggetto esiste suo malgrado. L'argomento di Anselmo, ha una struttura
particolare: il primo concetto è infatti contraddittorio in quanto dice\afferma che sarebbe
possibile pensare qualcosa di maggiore, nella realtà appunto , anche se non è possibile
pensare qualcosa di maggiore. Insomma, non posso pensare nulla di maggiore epperò
esisterebbe un ente nella realtà che è appunto maggiore. In questo senso allora, come è
stato dimostrato da molti studi, nel ragionamento di Anselmo troviamo forti assonanze con
l'argomento di Cartesio in quanto non è una dimostrazione bensì una confutazione della
negazione dell'esistenza di Dio.
Nuovo metodo che
prenda la matematica
come modello basato
su:

Regole quali:
evidenza;

analisi;

sintesi;

Quindi: metodo
deduttivo
revisione
Ma sorge il problema di
trovare una verità indubitabile
come fondamento del sapere
Che fondi: un sapere
cumulativo e sistematico
Mediante il dubbio metodico allora si
giunge alla
Dimostrando l’esistenza
di sé come res cogitans
Certezza di sé come
essere pensante: cogito
ergo sum
Vediamo meglio: in buona sostanza Anselmo basa tutta la sua dimostrazione sul
fatto che sia più grande l'oggetto che esiste anche nella realtà e non solo nell'intelletto
rispetto al solo ente presente nell'intelletto. Si tratta di una comparazione tra due entità di
grandezza diversa. Una quantità in cui Dio è noto ed è una quantità. Detto in altri termini la
realtà e quantitativamente maggiore.
Ancora, in Anselmo non si trova il concetto che Dio è tutte le cose: Dio è presente
come superiore: come trascendente. Anche perchè Anselmo si muove ancora nell'ottica
platonica per cui non avrebbe mai potuto concludere in chiave non trascendente. In
Cartesio invece si abbandona questo concetto di grandezza, di ampiezza dell'uno rispetto
all'altro e si passa al concetto di perfezione, secondo cui l'idea di perfezione non può
condurmi a qualcosa di inesistente e quindi di imperfetto. Dunque alla fine, esiste
necessariamente. Esiste allora una sostanza che esiste di per sé. E questa sostanza
dimostrata, metodologicamente, a partire dal Cogito, è ciò che alla fine fonda il Cogito. In
effetti, il cogito, per Cartesio, è qualcosa di finito, di imperfetto mentre Dio è perfezione, è
sostanzialmente perfezione. Dio è allora il vero fondamento del cogito26: in definitiva il vero
argomento a sostegno della indubitabilità del cogito è l'esistenza di Dio. Dio è il vero
fondamento del Cogito.
Vediamo meglio: per certi versi, sino a che C. non dimostra l'esistenza di Dio, anche il
criterio dell'evidenza è assunto come ipotesi. Noi potremmo sempre dubitare che ciò che
appare evidente non sia tale. La stessa esistenza del cogito potrebbe, in ultima istanza,
essere dubitata. Come dire che Cartesio ritiene il principio del soggetto non abbastanza
forte da non poter essere negato; come dire che Cartesio non ritiene che il Cogito possa
fondarsi da sé ma abbia bisogno di qualcosa al di là di sé per essere fondato: questo
qualcosa è Dio. Siamo di fronte ad una circolarità del percorso cartesiano perchè è chiaro
che non posso dimostrare l'esistenza di Dio se non presuppongo l'evidenza degli
avvenimenti: l'evidenza dell'Io penso, del Cogito insomma, dell'idea di perfezione che è in
me, etc. Se io mettessi in discussione questa evidenza non arriverei a Dio. Se io mettessi
in discussione tutto il tragitto che conduce alla dimostrazione dell'esistenza di Dio non
arriverei a Dio. E tuttavia Cartesio ritiene che solo nel momento in cui io pervengo alla
dimostrazione di Dio tutto il percorso si conferma. Questa è la struttura circolare di
Cartesio. Questa è insomma l'insufficiente valorizzazione del principio del Soggetto: una
insufficienza di fondarsi da sé, una insufficiente assolutezza. In buona sostanza Cartesio
26
Ibidem.
ritiene che, sulla base della scoperta dell'esistenza dimostrata di Dio, posso traghettare
dalle rappresentazioni alla realtà oggettiva del mondo reale. Sicchè, poiché Dio esiste ,
esiste anche la realtà fuori di me. E questa realtà per Cartesio è fondamentalmente
estensione: noi ci rappresentiamo un mondo di cose, e di queste cose possiamo mettere
in discussione molti aspetti, il fatto che un corpo sia colorato, che sia penetrabile o meno,
che sia più o meno pesante, la sua resistenza agli urti. Eppure non possiamo mettere in
discussione che un corpo sia esteso: una qualità essenziale del corpo. Questa qualità è
pienamente intelligibile al pensiero, mentre i sensi creano un mondo colorato, pieno di
suoni, di sapori. L'unica qualità pienamente intelligibile al pensiero è invece l'estensione in
quanto non testimoniata dai sensi. Detto in altri termini il mondo esterno come pensato dal
pensiero è estensione ossia un mondo misurabile, geometrico: res extensa. E questo
mondo esterno sostanziale è un mondo indipendente ossia la res extensa può esistere
anche senza la res cogitans.
Ancora, solo l'estensione esiste indipendentemente dalla sua rappresentatività 27.
Per converso, se non esistesse il cogito, il mondo non sarebbe colorato, pesante,
resistente, non esisterebbe un mondo così percepito. Afferma Cartesio nei Principia
Philosophie: c'e una stessa materia in tutto l'universo e noi la conosciamo per questo
solo, che essa è estesa; poiché tutte le proprietà che percepiamo distintamente in essa si
riportano a questa: che essa può essere mossa e divisa secondo le sue parti e può
ricevere tutte le diverse disposizioni che noi osserviamo potersi verficare per mezzo del
movimento delle sue parti”. Quanto affermato è di portata rivoluzionaria: già messo in luce
da Galileo. Cartesio riprende questo argomento perché sa che da esso dipende la
possibilità di avviare un discorso scientifico rigoroso e nuovo. Possiamo dire che per
Cartesio il confronto dei sensi, tramite i sensi, può esser fonte di stimoli ma non il luogo
della scienza. Questo appartiene al mondo delle Idee: chiare e distinte. A questo punto,
Cartesio si trova davanti ad una realtà divisa in due regni ed irriducibili: la res cogitans e
la res extensa. Nessuna realtà intermedia.
La forza di questa teorizzazione è devastante: nei confronti delle teorie animiste secondo
cui tutto è pervaso di spirito e di vita, e con cui vengono spiegate le connessioni tra
fenomeni nonché la loro natura più riposta. Solo la meccanica può dunque spiegate il
mondo esterno contro qualsiasi occultismo. Ed il mondo esterno è esteso, profondo, e
misurabile in lunghezza e larghezza. Insomma, l'universo cartesiano è costituito da pochi
elementi: materia e movimento28 o meglio movimento ed estensione. Se vogliamo, in
forma più completa: spazio geometrico e movimento.
Ora, tale aspetto della res extensa presenta delle indubbie difficoltà: dicevamo che il
mondo sensibile fuori di noi non può avere compattezza, resilienza, colore. Ma se il
mondo sensibile non può avere queste caratteristiche è anche assolutamente invalicabile:
il mondo che pensa Cartesio è dunque un mondo senza identità, senza colore, senza
resistenza. Insomma il mondo esterno di Cartesio è irrapresentabile: posso disegnare un
cubo su questa parete, posso distinguere lo sfondo di questo cubo dal cubo stesso eppure
il mondo esterno di Cartesio non ha colore. Per altri versi il mondo esterno che tocco è,
27
28
Ibidem
Ibidem.
per me, compatto. Eppure ciò non significa che il mondo esterno sia compatto, è solo
esteso. Alla fine è irrapresentabile per noi, ed anche invalicabile.
Per altri versi, le due sostanze cartesiane sono molto distanti: l'una presenta
caratteristiche assolutamente diverse dall'altra. Ora, come comunicano queste due realtà?
Eppure io faccio sempre esperienza di una interazione tra queste due realtà. Desidero,
agisco, sento, etc. come posso risolvere il problema della comunicabilità tra le due
sostanze? Come posso uscire dal problema di Cartesio che pone la realtà estesa come
non materiale? Come qualcosa che non presenta quello che noi intendiamo con materia
ossia rappresentabile, compatta, dura, colorata? Perché ciò che noi intendiamo con
materia per Cartesio non esprime la verità. Cartesio pensa alla realtà estesa come
pensabile, non come rappresentabile: il pensiero ci consente di pensare appunto
l'estensione, non altro. In buona sostanza allora Cartesio non esce dal Cogito: non esce
dal pensiero. Cartesio esce dal pensiero tramite la fede o meglio la convinzione che
solamente qualcosa di sostanziale possa dare consistenza alla realtà: il pensiero è
sostanza. Cartesio resta dunque vincolato al paradigma ontologico. Ed il problema di
Cartesio, l'irrisolta composizione tra soggetto ed estensione.
Spinoza risolverà il problema radicalizzando il concetto di sostanza; Locke
viceversa annulla le istanza metafisiche ponendo il problema dell'esistenza delle idee
innate
La
riflessione
di Cartesio
Va dall’Io
Ossia dalla certezza della
mia esistenza come
sostanza pensante
Il cammino Dal dubbio al
cogito
Parte dal
Dubbio
metodico
A Dio
Al mondo
Alla certezza
delle altre
evidenze
Che
conferma
il cogito
Galilei
Che
diventa
Dubbio
iperbolico
Che riguarda le
Conoscenze
sensibili
Che è fondato sull’ipotesi del
genio maligno
Perché Si
dubita di tutto
ma non di
dubitare
Che riguarda le
conoscenze matematiche
Esperienza29
induzione\deduzione
L’esperienza è la base del metodo
scientifico nella forma dell’esperimento.
L’osservazione empirica è fondamentale,
ma da sola non basta in quanto i sensi
possono essere fonte di errore: essa deve
allora essere integrata dalla ragione che
elabora esperimenti atti a verificare la
correttezza dell’ipotesi
induzione e deduzione si
implicano a vicenda: non si
può formulare una ipotesi
scientifica se non inducendo, a
partire
da
dati
sensibili
osservati e misurati, una legge
generale. Tale legge può
diventare teoria se da essa si
deducono in modo valido le
conseguenze
logicomatematiche
che
permettono di ideare gli
esperimenti
necessari
a
verificare la legge indotta
La conoscenza certa
ed
universale si raggiunge solo
deduttivamente a partire da
principi indubitabili, in quanto
posseggono
l’evidenza
razionale. La matematica è la
base del metodo in quanto
mathesis universalis.
Cartesio L’esperienza sensibile è fonte continua di
inganni ed errori; essa permette solo di
stabilire cause ed effetti particolari, non di
risalire ai principi della conoscenza umana.
La scienza è possibile solo su base
metafisica non empirica
Hobbes
29
Ibidem.
scienza\mondo
esterno
La scienza descrive
il mondo esterno
come realmente è in
quanto la ragione è
uno
strumento
efficace e la natura
è
scritta
in
linguaggio
matematico
Joye intellectuelle
Je suis maitre de moi,
comme de l’univers.
Je le suis, je veux l’étre.
Corneille
Menis (μῆνις [-ιος,ἡ] sostantivo femminile, ira, ira tenace, rancore ), “è la prima
parola della lingua indoeuropea”. 30 Essa designa l’Ira di Achille. Il sacro furore che
deriva dall’aver subito
un’ingiustizia. Questo furore, quest’Ira porta all’esercizio,
immediato o meno, di comportamenti atti a levare l’ingiustizia e a ristabilire un altro
equilibrio sulla base di azioni più o meno violente. Si pone allora il problema del controllo
eventuale dell’Ira, di come essa sia legata al senso di rivalsa, di come Achille, nonostante
rivolga a se stesso pensieri ragionevoli, non riesca a tenere a freno l’impulso leonino di
vendetta31 contro i Troiani ed Ettore in ultima istanza, di cui strazia il cadavere.
Il problema è allora quello del tenere a freno la menis - l’Ira, il thymos (θυμός [-οῦ, ὁ]
sostantivomaschile: 1forzavitale, vita, 2: animo,cuore, 3: istinto, inclinazione, desiderio,
appetito, voglia coraggio, animo,arditezza; 4: collera,sdegno,passione,impetuosità, 5:
sentimento, maniera di sentire o di pensare, 6: pensiero, riflessione, deliberazionein
senso lato), ossia l’empito traboccante della psyche32. Si genera così un nuovo senso
30
A’ propos de menis, in Bulletin de la Societè de Linguistique de Paris, 1977,pp. 187.
31
Remo Bodei, Geometria delle passioni, Paura, speranza, felicità, Feltrinelli. Pagg. 270 e sgg
Remo Bodei, Geometria delle passioni, Paura, speranza, felicità, Feltrinelli. Pagg. 271 e sgg
32
dell’eroe, quello di Odisseo, che sente latrare dentro di sè il kradie (καρδία [-ας, ἡ]
sostantivo femminile 1anatomiacuore 2anatomia bocca dello stomaco 3 [figurato] animo,
spirito, intelligenza), il cuore, e ciònondimeno si impone l’autocontrollo: “Pazienza cuore
mio”. La vendeta arriverà ma solo calcolata e fredda. Si tratta quindi di riflettere su - l’Ira,
di dilatarne i tempi dell’agire. O meglio di pensare ad un agire efficace.
In misura ancora maggiore, con l’avvicendarsi della Polis, si diluiscono i valori
tradizionali legati legati all’etica aristrocatica ed eroica. Si affaccia piuttosto un nuovo
senso della giustizia, legato ad una legge comune.
Ora, la prima collocazione storica del Thymos si trova in Platone: la Psyche vine divisa in
due parti – razionale ed arazionale a sua volta articolata in concupiscibile ed irascibile.
In breve, si tratta di incanalare i desideri verso il fine indicato dalla razionalità, rafforzando
così il dominio dell’anima da parte della ragione. Più nello specifico, Per Platone, le parti
arazionali dell’animo diventano irrazionali quando i desideri si sclerotizzanoe si strutturano
nel tempo in conglomerati difficili da disaggregare33, assumendo i tratti stabili del carattere
coalizzati contro la ragione. L’arma più efficace contro tale rischio è l’autocontrollo,
enkràteia, (ἐγκράτεια [-ας, ἡ] sostantivo femminile 1 temperanza, astinenza in o da
2 pazienza, tolleranza, fortezza d'animo)che implica un rafforzamento della volontà –
boulè .
Egli non si affida semplicente alla soddisfazione indiretta del sogno, in cui ogni
mortale appaga allucinatoriamente desideri a volte terribili, piuttosto si adopera per agire
azioni indegne prive di senso razionale ed etico34.
Al comando del Logos le
passioni
generose
si
ammansiscono come un cane alla
voce del padrone.
Platone. Resp. IV, 440 D
Nel prosieguo del cammino del senso etico nella Polis greca, Aristotele fa
sostanzialmente propria, sebbene con importanti differenze, la lezione platonica del
Logos.
E vivere secondo ragione, per i greci significa più determinatamente vivere secondo
costanza ed integrità. Virtuoso è colui, per Aristotele, che vive con costanza ed integrità
d’animo. Ed il suo animo è in amicizia con se stesso.35 Si tratta della fedeltà a se stessi,
della constantia o firmitas, vero cardine dell’anticihità classica36, diversamente dal
33
Ibidem.
Ibidem.
35
Ibidem.
36
Ibidem.
34
malvagio che è incostante e non fedele a se stesso. Ancora di più egli non ha, non
presenta philautìa o amor proprio.
Con lo stoicismo37 antico , il baricentro dell’etica si sposta: il duro conflitto tra passione e
ragione risolto da Aristotele nella virtù del giusto mezzo, nel valore assoluto del metro
della ragione.
Si tratta della Temperantia, della temperanza delle passioni, della loro misura,
nell’ottica platonico-aristotelica.
Diversamente, nello stoicismo, si tratta di dominare e vigilare continuamente le
passioni ed i desideri. Ciò implica un rigoroso controllo della volontà e dell’intelligenza
sull’agire. Se dovessimo utilizzare una metafora: la psyche platonica è analoga alla polis,
quella stoica è analoga all’akro-polis.
Ancora, bisogna estirpare a fondo gli errori che sono alla radice delle passioni.,
non potarli semplicemente.(Cicerone, Tusc, IV, 41)
Il saggio stoico è dunque emblema di un monumento vivente, di imperturbabile
autocontrollo, bilanciando la debolezza del corpo con la forza della ragione. Ed in effetti,
alla domanda di Seneca: “quid praecipuum in rebus humanis est?”. La risposta non puo
che essere: “Dominare se stessi invece di essere schiavi delle proprie passioni.” Ciò
significa acquisire una bona mens, una disposizione virtuosa dell’animo che mira alla
tranquillità ed alla coerenza, impedendo al metus ed al terror di impadronirsi dell’animo
umano. Una cura di sè quindi, che anche attraverso la meditatio mortis, prepara l’uomo in
vita, alla morte. (senza per questo cadere nella libido moriendi). Ancora, si tratta di
eseguire veri e propri esercizi che ci allontanino dai turbamenti e dalle passioni .
Le passioni in Cartesio
Tradizionalmente, la morale cartesiana è stata associata alla morale stoica: in realtà
essa ne diverge sia per il quadro generale di rifiuto di ogni rigorismo (stoicismo) che per
l’indicazione alla tematica della gioia (Cartesio). In effetti il progetto cartesiano è
certamente un progetto di diventare signori della natura e di sè ma che differisce
dall’austero progetto dellla cura di sè degli stoici. Di più, Cartesio parla anche di attività e
fare cose buone che dipendono da noi: tali attività sono fonte di piacere e gioia che a volte
sorgono proprio dalle stesse passioni. In prima battuta, possiamo affermare quindi che
Cartesio persegue, come del resto anche Spinoza, la libertà della volontà: “non c’è anima
tanto debole che non possa, quando ben diretta, acquistare un potere assoluto sulle
passioni.”38In particolare, Cartesio, ritiene auspicabile giungere al governo delle
passioni mediante tre regole:
37
La dottrina etica pone al suo centro un concetto di virtù intesa come esercizio di ragione, e di vizio come passione, cioè come
incapacità di pensare e ragionare. L’uomo virtuoso è colui che vive in modo razionale, comprendendo la ragione del tutto, e quindi
anche secondo natura, essendo la natura espressione della ragione universale che pervade e governa il mondo. L’impegno del saggio
sta quindi nell’adeguarsi al corso fatale e necessario delle cose, persuaso dell’intrinseca razionalità degli eventi, realizzando una sorta
di indifferenza (adiaforia) verso i singoli aspetti della realtà. Quando gli sia impedito di seguire questi principi di comportamento,
egli saprà scegliere di uscire dalla vita (suicidio) piuttosto che vivere in modo irrazionale. La libertà si realizza così nel saper pensare,
adeguandosi a ciò che accade e instaurando un rapporto di simpatia con gli altri uomini e col tutto. Treccani.
38
Ibidem.
-
servirsi del proprio spirito per sapere come agire nella vita;
fermo e costante proposito di far tutto ciò che la ragione consiglierà senza
lasciarsi distogliere dalle proprie passioni;
assicurarsi che i beni che non si possiedono siano fuori dalla propria
portata.39
In ordine all’ultimo punto, contro ogni morale della rinuncia, Cartesio ritiene che
spesso si desideri troppo poco e non troppo. Non una macerazione interiore (Stoici),
nè una morale della rinuncia (morale religiosa e tecniche devozionali) quindi,
piuttosto la conoscenza del’impiego della propria volontà e dei propri mezzi per
assicurarsi un bene maggiore (in questo Cartesio si avvicnia a Spinoza)
In misura coerente, Cartesio si pronuncia anche sul senso e sul peso delle passioni
nell’animo umano: ed il governo delle passioni avviene non con l’opposizione della
ragione alle passioni, ma con il potenziamento di queste in ordine ai fini dettati dalla
ragione, anche perchè le azioni riescono meglio se compiute con animo lieto.40
Vediamo: secondo Cartesio esisitono due tipi di eccessi:
-
il primo che cambia la natura della cosa ossia della passione;
il secondo che ne aumenta solo l’entità e non ne cambi la natura per cui una
determinata passione ne risulta migliorata.
Ad esempio l’ardimento, se non governato dalla ragione può giungere alla
temerarietà; ma se non cade in questo eccesso, l’ardimento riuscirà ad essere senza
paura.
Ciò che si vuol dire è che in Decartes, la forza delle passioni si deve accompagnare ad un
rafforzamento dell’Io o della ragione. Un rafforzamento che non fa capo ad un Io tirannico
e monolitico, bensì al rafforzamento della volontà: in effetti, per chi sa dosarle, le passioni
sono il sale della vita41. “Esaminandolole, le ho trovate quasi tutte buone, e tanto
utili alla vita che la nostra anima non avrebbe motivo di restare unita al corpo se
non potesse provarle.”42
Di più, il governo delle passioni non si raggiunge se non con l’esercizio e
l’addestramento: l’allontanamento dalle passioni eccessive e dalla eccessiva
intimità col proprio corpo. Il risultato quindi, la maìtrise delle passioni, non sarà
conseguito per sola buona sorte: i saggi l’acquistano infatti senza fortuna ma con
esercizio.
Egli quindi concede un ruolo importante alla volontà ed alla libertà della ragione
di intervenire sulle passioni per ben indirizzarle nella vita. Si tratta allora per Cartesio,
affidando all’uomo la responsabilità dell’agire, di regolare ed intervenire sulle passioni per
abituarsi, con dovere e destrezza, all’esercizio della ragione nella regolamentazione delle
passioni per elevarsi a Dio. Epperò questa tensione verso l’Assoluto non è solo pietà –
pietas - degli antichi verso la divinità, ossia di giustizia verso gli Dei, si tratta in Cartesio di
39
Ibidem.
Ibidem.
41
Ibidem.
42
Ibidem.
40
uniformarsi, di accettare la potenza divina e di riconoscerLa nella sua grandezza con la
propria volontà.
Ora, in questa serena accettazione del potere divino, la maìtrise de soi, aumenta
e non diminuisce. Ed aumenta perchè l’amore di Dio, grazie alla conoscenza di Dio, via
via maggiore, che l’uomo tenta di aumentare indefinitamente, è gioia intellettuale.
Ed in effetti l’amore di Dio, nella nostra umile vita, è la cosa più utile. Utile che non è
visto come in Platone, come cosa mercificata e condannabile se riferita al rapporto tra Dio
e l’uomo, semplicemente perchè in Cartesio utilità e gratitudine coincidono: potenziare se
stessi nella gioia è adeguarsi alla volontà di Dio 43. Ciò che Cartesio vuole dirci allora è che
risulta necessario abbandonare quella inveterata abitudine contratta sin da piccoli di
amare se stessi come un Tutto: piuttosto amarsi come nel Tutto.
Con le affermazioni di Cartesio appena citate, non si vuole però intendere che Egli
rinunci all’esercizio della volontà menzionato sopra, al contrario la presuppongono; nè
Cartesio si riferisce ad una ipotetica fuga dal mondo.
Le passioni
Cartesio enumera le passioni:
1. meraviglia: auroralmente legata alla conoscenza (Aristotele), contro la condanna
agostiniana e heideggeriana dell’epoca contemporanea; Cartesio ne individua la
spinta propulsiva per l’intera economia dell’anima; Hobbes è vicino a Cartesio in
questa analisi, nella m isura in cui la meraviglia si colora del piacere della novità e
dell’attesa: la curiosità è diletto. In questo senso, anche per Cartesio la curiosità
perde il senso negativo della tristezza legata all’incertezza del futuro: la scoperta
dettata dalla meraviglia per il non conosciuto è esente da paura. Si badi inoltre che,
in Cartesio, il sapere è alla fine strutturato in certezze evidenti, esenti da dubbi.
2. odio;
3. desiderio;
4. tristezza;
5. Gioia: passione fondamentale per Cartesio così come per Spinoza. Si tratta per
Cartesio, di insistere sulle proprie forze per riuscire, ove possibile, a rendere le
cose della vita più gradevoli e quindi di superare il metus, la paura, non tanto
perchè legata come in Seneca e Tacito all’ambito politico, bensì all’ordine della
salute coporea44.
43
Ibidem.
44
Per quanto afferisce l’amore: la filosofia moderna, a partire da Cartesio, introduce una nuova accezione del termine. L’amore è
infatti considerato una passione, una affezione dell’anima individuale o meglio della coscienza. Sia esso una sensazione determinata
da fenomeni empirici, (Illuminismo) o da un movente metafisico ( la volontà di Schopenhauer), l’amore rappresenta un fenomeno
esclusivamente umano, legato alla struttura fisiologica o psicologica del soggetto.
L’amore si allontana quindi dalla concezione cosmologica tipica del mondo antico, nonchè dal legame con Dio
caratteristico della concezione cristiana - caritas cristiana. Cfr. Cioffi, cit. pag. 490.
La gioia rappresenta
più il risultato di un
addestramento
costante delle passioni
che non una loro
intrinseca elaborazione
secondo il modello
spinoziano
del
comprendere.
Passioni dell’anima,
art. 50.
Infine in Cartesio, sono l’amore per la vita, la carità e l’armonia, ad
indicare la via della vita morale: la sfida della morte si traduce allora nell’amore
della vita45. Va però sottolineato come in Cartesio la gioia - joye – non coinvolga
anima e corpo allo stesso livello: la gioia è tanto più pura quanto meno coinvolge il
corpo ed i suoi condizionamenti (in Spinoza la laetitia è più intimamente legata al
corpo), tanto che lo stesso Cartesio indica una serie di esercizi spirituali per
allentare la comunione col corpo. Si tratta di operare con prémeditation e
industrie al fine di allentare la morsa dell’abitudine e quindi separare l’anima dal
corpo. In tal guisa, non susssitono per la maggior parte degli uomini molte
fluttuazioni d’animo provocate dalle passioni: piuttosto i più posseggono
precisi giudizi in base ai quali si orientano46. E se anche alcuni giudizi sono
falsi, o fondati su passioni da cui la volontà si è lasciata sedurre, è sufficiente
rettificare tali giudizi con l’usilio della ragione al fine di dirigere le passioni verso il
vero perchè “la funzione di tutte le passioni consiste solo nel disporre l’anima
a voler ciò che la natura ci indica come utile47 ed a perseverare in questa
volontà”.48 Cartesio ha anche fiducia che qualsiasi persona potrebbe acquistare
un assoluto dominio sulle sue passioni solo se si dedicasse, con pazienza e
metodo, ad educarle.
45
Ibidem.
Ibidem pag. 270
46
47
Utilitàs.f.[dallat.utilĭta-atis].
a. Qualità, condizione, proprietà di ciò che è utile, che può essere cioè usato con vantaggio o che reca vantaggio, beneficio, aiuto
(materiale o morale): l’u. del denaro, di un bene; u. di uno strumento, di un apparecchio, di un accessorio; la grande u.
dell’esperienza, del sapere, degli studî; e specificando la persona, la cosa, il fine per cui qualche cosa è utile: il tuo consiglio è per me
di grande u.; è evidente l’u. che avrebbe per l’azienda un centro elettronico di calcolo; in diritto, espropriazione per pubblica u., v.
espropriazione. Anche, effetto utile, e più genericam. vantaggio, profitto: quale u. viene a noi dalle nuove disposizioni?; hai avuto
qualche u. dalla sua presenza? Spec. usata la locuz. agg. di ... utilità (sempre specificata da un agg.): una scoperta di grande, di poca
u., assai o poco utile; e col verbo essere come predicato: puoi andartene, qui non mi sei di nessuna utilità.
b. In economia, la soddisfazione che un soggetto ricava dal consumo di una data quantità di un bene o servizio da lui ritenuto idoneo
ad appagare un determinato bisogno, presente o futuro; in partic., u. totale, la soddisfazione globale che un individuo ricava dal
consumo di una certa quantità di un bene o servizio; u. marginale, l’incremento dell’utilità totale ricavato dal consumo di un’unità (o
dose) aggiuntiva di un bene o servizio; legge dell’u. marginale, la legge, formulata nella seconda metà dell’Ottocento, per la quale
l’utilità marginale ricavata dal consumo di un bene o servizio va decrescendo al crescere delle dosi consumate.
2. ant. Utile, guadagno; interesse del denaro prestato; emolumento in genere. Monte delle u. era detto in Venezia il fondo comune in
cui varî pubblici ufficiali erano tenuti a versare i loro proventi straordinarî e che serviva poi per retribuire equamente i funzionarî
stessi.
48
Ibidem.
Spinoza e Cartesio
Un contributo fondamentale all’indagine filosofica sul tema della passioni è quindi
dato nell’età moderna da Cartesio e da Spinoza.
Nel trattato Le passioni dell’anima (1649) Cartesio afferma l’insopprimibilità delle
passioni, distinguendo tra quelle che per loro natura sono intrinsecamente buone, e il
loro cattivo uso ed eccesso, che soli costituiscono l’inconveniente morale contro il quale
mettere in atto i ‘rimedi’ della virtù.
Le passioni, al pari delle azioni (atti di volontà) appartengono all’anima come res
cogitans, rientrando quindi nell’esercizio delle libertà e della razionalità. Cartesio classifica
le passioni tra le percezioni, in quanto, a differenza degli atti volitivi, sono subite; al
contrario delle idee, inoltre, non rappresentano oggetti esterni, e diversamente da altri
modi di sentire, come la fame o la sete, non ineriscono al corpo ma all’anima; esse sono
affezioni dell’Io, ma non sono causate dall’Io, bensì dagli spiriti animali del corpo.
L’anima non è quindi padrona delle proprie passioni, che non possono essere
eccitate o soppresse da un semplice atto di volontà, ma può assicurarsi un dominio
indiretto su di esse mediante la costruzione di un habitus comportamentale ispirato alla
razionalità. La forza e la debolezza d’animo consistono rispettivamente nella capacità di
opporre alle passioni, come già descritto sopra,. «giudizi saldi e precisi circa la
conoscenza del bene e del male», o viceversa nel lasciarsi trascinare da opposte
passioni, sino a rendere l’anima «schiava e infelice». Ogni anima, se ben indirizzata, può
acquistare così un dominio assoluto sulle passioni.
In misura ancora maggiore e per questo diversa, il saggio spinoziano non
arriva ad anestetizzare le passioni o alla completa atarassia: attraverso la
constantia49, la conoscenza non autopunitiva, arriva alla beatitudine : “Egli (il
saggio) è difficilmente perturbabile nel suo animo, ma essendo consapevole
di sè, di Dio e delle cose (...) possiede sempre la tranquillità d’animo”.50
Per altri versi, ma sempre nella medesima direzione, Spinoza si dipinge come
avverso alla malinconia: il saggio si concede la laetitia51. In effetti, Spinoza non chiede di
mortificare le proprie passioni, nè in nome dello Stato nè in nome di Dio. Egli piuttosto
49
50
Ibidem.
Ibidm
Letìzia s. f. [dal lat. laetitia, der. di laetus «lieto»]. – Sentimento di gioia intima e serena: provare viva l., una soave, un’indicibile
l.; avere l’animo pieno di l.; dare, arrecare l.; essere, vivere in l.; servire il Signore in l., alternando il lavoro a una sana allegria
(ricordo dell’espressione biblica «Servite Domino in laetitia», salmo 99, 2, a cui s’ispirò s. Filippo Neri nel dettare la regola agli
oratoriani). In partic., la beatitudine celeste: non fora giustizia Per ben letizia, e per male aver lutto (Dante).
Tristìzia
(ant.
trestìzia)
s.
f.
[dal
lat.
tristitia,
der.
di
tristis
«triste,
tristo»].
–
Forma ant. per tristezza, come stato psichico: Non credo ch’a veder maggior tristizia Fosse in Egina il popol tutto infermo (Dante);
lungo sarebbe a mostrare qual fosse e quanto il dolore e la tristizia e ’l pianto della sua donna (Boccaccio).
L’obiettivo filosofico più importante , dal punto di vista politico in Spinoza, è la critica al senso della paura in Hobbes
2. letter. L’essere tristo; malvagità, cattiveria: il che nasceva dalla tristizia di quegli principi, non dalla natura trista degli uomini
(Machiavelli); l’impazienza, l’orgoglio umano, han perduto o sviato dal retto sentiero molte più anime che non la deliberata tristizia
(Mazzini). Con sign. concreto, ant., atto malvagio: egli parla né più meno come se ... per la lunghezza del tempo avesse le sue
tristizie e disonestà dimenticate (Boccaccio).
51
chiede di perseguire la propria utilitas (vedi nota 34), una tendenza lungimirante e non
miope di sè, che si potenzia nella gioia e non nella tristezza . Una felicità possibile
all’interno dei confini della necessità che caratterizza il suo sistema filosofico. Si tratta
quindi non di negare le passioni e la loro potenza. Tale atteggiamento umile consente alla
ragione di esaltarne la forza - nei confronti delle passioni - di comprenderne il senso ed il
fine, l’origine e la portata, così da mutarne la potenziale distruttività in una maggiore letizia
e gioia.
Spes et metus affectus
non possent esse per se boni
Spinoza
Spinoza ha infatti compreso che l’opporsi della ragione alle passioni genera
conflitti irrisolti. Solo due sono quindi le vie per risolvere il problema del rapporto
passione\ragione:
-
-
L’affidarsi ad una potenza esterna ed interna che funga da mediatrice tra
l’interiorità del soggetto e Dio ossia l’universalità di Dio: “più intimo di quanto
sia io stesso” Agostino ;
Incrementare la potenza delle passioni in vista di un aumento della gioia:
Spinoza.
L’esagerazione delle passioni
All’interno di ogni passione è possbile esperire, provare, sentire, una ulteriorità
che ha indotto molti filosofi, (Cartesio, Stoici) a considerare questo aspetto di
esagerazione come un aspetto principale delle passioni. Se dovessimo fare un esempio:
 la paura di un determinato evento, il buio ad esempio52, condensa ed
esprime la nostra angoscia per problemi irrisolti;
 l’Ira esprime spesso frustrazioni irrisolte;
 la Tristezza esprime spesso, in occasione di un evento triste, il colore di un
mondo triste giudicato tutto triste;
 Per altro verso nell’amore il mondo, l’intero mondo, si colora di promesse e
felicità.
In questo senso la passione tende a diventare ab-soluta, ossia sciolta da qualsiasi
elemento iniziale, per trasferire il proprio impeto ad altri contesti e situazioni a volte distanti
dalla situazione iniziale in cui una determinata emozione\passione si origina.53 La
52
53
Ibidem.
Ibidem.
passione sembra allora funzionare come una sineddoche, come una pars pro toto,a
differenza della ragione che analizza, distingue, descrive la causa prossima di quella data
emozione, evitando così di fare di ogni erba un fascio, come tenderebbe a fare la
passsione. Ora, se questa è una analisi corretta, dovremmo essere in grado di capire
come conciliare questi due elementi antitetici.
Una possibilità di sintesi, qualsiasi cosa significhi tale termine, è offerto dall’Etica di
Spinoza.
Ancora, là dove la ragione era assunta come specificazione essenziale,
il proprium dell'uomo (animal rationale), le passioni (in stretta connessione con gli impulsi
tipicamente ferini, di qui la loro frequente rappresentazione con simbologie animali)
finivano per essere il ‘perturbante’, ciò che obnubila e svia la cristallina chiarezza del
razionale e il suo orientamento al bene; perciò erano da evitare, sottomettere, estirpare.
Ma di qui anche l'impossibilità di quelle ‘ricette di felicità’ proposte da queste filosofie che
finivano per “scrivere quasi sempre impraticabili satire in luogo di un'etica” (ivi).
Spinoza rompe decisamente con questo schema antagonistico e ‘immunitario’.
Cosa eredita
Cosa lascia in eredità
Da Montaigne:il tratto soggettivistico delle Quella che in Montaigne è più che altro
sue opere
una modalità espositiva diventa in Cartesio
una vera linea di ricerca
Da Agostino: il dubbio come punto di Cartesio trasforma il dubbio sui dati
partenza delle sue opere per cui: “se mi sensibili in dubbio metodico applicato
inganno vuol dire che sono”
sistematicamente ad ogni conoscenza e
quindi iperbolico.
Da Agostino: l’idea di Dio come fonte della Per Cartesio Dio è la garanzia metafisica
verità in quanto luce che illumina i princìpi della verità: tutto ciò che mi si presenta alla
primi innati nell’anima umana
mente in modo chiaro e distinto è anche
vero in quanto Dio non lo inganna sulle
sue percezioni.
Da Platone: la concezione dualistica della In Cartesio res cogitans e res extensa
realtà
Da
Democrito:
la
concezione Il mondo è una grande macchina regolata
meccanicistica del mondo
dalle sole leggi deterministiche del
movimento dei corpi
Domande in sintesi:
Come si giustificano le regole del metodo?
Alla base dei concetti metodologici cartesiani troviamo una convinzione gnoseologica:
tutta la conoscenza è riconducibile all’evidenza di un atto di intuizione ossia all’atto
della mente con cui essa coglie immediatamente un dato elementare . Ora, per evidenza
Cartesio intende ciò che è chiaro e distinto ossia ben definito in tutti i dettagli. La
intuizione è collegata anche alla deduzione, intesa da Cartesio come connessione di
intuizioni, grazie alle quali la mente inferisce una certezza da una conclusione.
Così allora per Cartesio l’analisi è quell’attività per cui essa scompone un oggetto
d’indagine o un problema negli elementi che essa riconosce come semplici atomi di
evidenza, colti immediatamente per intuizione; la sintesi è quell’operazione della mente
per cui essa compone quegli elementi intuitivi nell’oggetto complesso.
Perché risulta essenziale dimostrare l’esistenza di Dio?
L’idea di Dio si presenta inizialmente tra le idee del soggetto eppure per Cartesio Dio è
riconosciuto come sostanza infinita, cioè come un ente che in sé non richiede altra
condizione per la propria esistenza :
Le passioni54 in Spinoza
In Spinoza, il conatus55, è lo sforzo56 o tensione di ogni cosa a perseverare
nella sua esistenza:
Passione: Termine filosofico, corrispondente al gr. πάϑος, che in generale designa lo stato di «sofferenza» o «passività» (da
πάσχειν, «subire, soffrire»), e in partic. si riferisce all’esperienza spirituale nella quale l’animo si sente dominato e soggiogato dalla
tendenza affettiva, pratica. Fonte Treccani.
Nel pensiero moderno, i due maggiori teorici delle passioni sono Cartesio e B. Spinoza: il primo avvia lo studio delle passioni
nell’ambito di una nuova concezione del mondo fisico, e nella cura delle p. (compito della medicina e della morale) vede il fine e il
frutto ultimo della filosofia; il secondo sente più decisamente il valore universale dell’affectus, distinguendolo in actio e passio, a
seconda che l’esperienza affettiva presenti carattere di attività o di passività: actio per eccellenza è quella che risponde all’idea
dell’unica natura delle cose, l’amor Dei intellectualis. Nel pensiero posteriore, il problema del rapporto di p. e virtù diventa quello del
carattere rigoristico o antirigoristico della morale .In Spinoza è criticato :
- Platone: divisione tra anima razionale da un lato ed anima concupiscibile dall’altro ( con conseguente condanna della classe
sociale corrispondente);
- Aristotele: educazione e persuasione degli affetti come premessa di una vita buona;
- Neostoicismo : severa condotta di fermezza d’animo in epoche difficili;
- Pascal: affidamento a Dio per combattere la torbidità delle passioni;
- Cristianesimo: drammatizzazione nel teatro interiore della coscienza dei conflitti dovuti alle passioni (aspetto gesuitico)
Difficilmente tale modalità interiore produrrà una liberazione dal morso delle passioni.
54
55
Il conatus, se riferito alla mente, è volontà. Se riferito insieme a mente e corpo è appetito. Esso, il conatus, esprime
l’essenza dell’uomo .
56
Il desiderio, nel suo continuo variare di intensità ed orientamento, è costitutivo dell’uomo e lo spinge verso il futuro. Tristezza e
gioia sono passioni atraverso le quali l’esistente passa da una minore ad una maggiore potenza di esistere.
Proposizione 6: ogni cosa, per quanto è in essa, si sforza di perseverare nel suo essere;
Proposizione 7: lo sforzo per cui ogni cosa si sforza di perseverare nel suo essere non è
altro che l’essenza attuale della cosa;
Proposizione 9: questo sforzo, se lo si riferisce alla sola mente si chiama volontà, se
invece lo si riferisce alla mente ed al corpo si chiama appettito, che dunque non è che la
stessa essenza dell’uomo; dalla natura della quale seguono necessariamente le cose che
servono alla sua conservazione; e quindi l’uomo è determinato a fare.
Inoltre fra l’appetito e la cupidità57, non c’è nessuna differenza, se non che la
cupidità viene riferita per lo più agli uomini, in quanto consapevoli del loro appetito. E si
può pertanto così definire: la cupidità è l’appetito con la consapevolezza di esso. Noi
quindi non vogliamo, appetiamo, desideriamo una cosa, perchè la riteniamo buona,
ma, al contrario, giudichiamo una cosa buona perchè la vogliamo, tendiamo ad
essa, l’appetiamo e la desideriamo.
In buona sostanza i Valori sono determinati dal conatus: i valori, anche se tendono
a presentarsi come principi sono il risultato delle azioni riuscite, tenuti validi perchè
favorevoli all’esistenza. Se è così, la razionalità, in Spinoza, deve cercare di rendere le
idee della nostra mente adeguate (tramite una riflessione razionale) in virtù del fatto che
spesso esse sono inadeguate a causa delle passioni. In questo senso , il conflitto
generato dalle passioni può essere risolto tramite la metaformosi delle idee inadeguate in
idee adeguate.
Ora, in Spinoza, la conoscenza è mentis potentia, metamorfosi delle idee
inadeguate in idee adeguate, produzione di gioia, in quanto solleva ognuno
dall’oppressione di un potere incomprensibile. Ma che vuol dire conoscere in Spinoza?
Scientia intuitiva: si sa
perchè si ama, si ama
perchè si sa.
57
Pleonexia - πλεονεξία [-ας, ἡ]sostantivo femminile:
1 abbondanza, superfluo
2 guadagno, vantaggio, interesse
3 miglior condizione, superiorità, ingrandimento, prevalenza, preminenza
4 desiderio d'arricchirsi, avidità, cupidigia
5 arroganza, soverchieria
6 frode
Conoscere in Spinoza non è tanto capire quanto comprendere: non è avere
semplicemente coscienza della necessità (aspetto del sistema spinoziano) bensì
incrementare la propria forza, dilatare il proprio Io nel nos della comunità o nella
compagine dell’universo58. Nemmeno vuol dire conoscere astrattamente senza modificare
gli affetti: essi non sono intellettualizzati, sublimati, ma semplicemente privati della loro
opacità. Attraverso una serie di operazioni che li ordina e li concatena seconda una
logica diversa da quella dell’immaginazione.
In primis, essi sono separati dal pensiero della loro causa esterna; poi stabilizzati
– rispetto alla maggior parte degli affetti che fluttuano nell’animo – per poi riferirli alle cose
che conosciamo chiaramente. Si tratta di passare dall’ordo imaginationis all’ordo
rationis per poi passare all’ordo amor intellectualis ( secondo cio ogni cosa è
compresa nella sua specificità all’interno dell’ordine della natura). Ciò a cui mira
Spinoza quindi, va inteso probabilmente nella direzione di una trasformazione della
cupiditas verso un affetto: la forza cieca diventa allora consapevole di sè, energia da
sviluppare e non da reprimere. L'Etica vuole offrire insomma un'adeguata comprensione
dell'essere uomo all'interno di un mondo rigorosamente necessitato nel quale Egli non
occupa una posizione privilegiata o ne è un riassuntore (critica alla concezione dell'uomo
microcosmo).
Solo così è possibile offrire una praticabile farmacologia filosofica, volta a indicare
un’ardua ma raggiungibile felicità. Essa si propone come infine come vitae meditatio e la
meditazione si trasforma costantemente in prassi.
Ma in quale modo Spinoza ritiene di poter “conoscere” la natura delle passioni?
E possibile affermare che il filosofo olandese, similmente a Freud – apparato
psichico tripartito in ES, IO, Super IO in cui l’Es è sede di impulsi primordiali quali la libido
- ritiene che tanto più comprendiamo gli affetti tanto più essi sono modificati da tale
attività di ri-flessione su gli affetti.
Vediamo: la ratio di cui parla Spinoza, non è il calcolo utilitaristico di cui parlerà
Locke, non è l’utilitas come mero aspetto egoistico e soggettivo del singolo. Nè va inteso
come diritto all’autoconservazione del singolo. Piuttosto: le passioni tristi rendono
schiavi.
Schiavitù è, infatti, “l’impotenza dell’uomo a moderare o a reprimere gli affetti” e
l'impotenza è maggiore quanto più la conoscenza è oscura e confusa. Compito della
filosofia, che diventa prassi, è quello di liberare l'uomo da tale servitù e ciò è possibile
aumentando la potenza della mente. Più le passioni sono adeguatamente comprese
(nella loro genesi e nella loro struttura) meno le si patisce. Più la mente attinge al
secondo e terzo genere di conoscenza più scopre che “a tutte quelle azioni a cui
siamo determinati da una passione, possiamo essere determinati, senza la
passione, dalla ragione” (E, IV, 59). Ora, vivere secondo ragione esprime la massima
potenza di essere e di agire dell'uomo e, dunque, è causa di gioia autentica. Questo
58
Ibidem
processo di affrancamento dalla servitù della tristezza è processo in corso di gioiosa e
consapevole liberazione.59
Il saggio
Secondo Ovidio: “Video meliora, proboque, deteriore sequor” (Vedo il meglio e
l’approvo ma seguo il peggio).
Secondo Spinoza, nella vita dimidiata60 dei più, non si tratta di rivolgersi ad astratte
Leggi giuridiche , ma di accrescere la potenza di esistere: ed è la passione stessa, il
patire, che offre la possibilità di accrescere la potenza dell’esistere e la conoscenza del
tutto. Di più ancora, attraverso la Tristitia è possibile ascendere alla Laetitia.
Ricordiamo infatti che in Spinoza una passione può essere vinta solo da un’altra passione
più forte. In questo senso in Spinoza anche la Ratio può essere considerata una
passione: la passione più forte. Una passione che culmina in una vis existendi,
espressione massima del conatus.
In una battuta: tristezza e gioia sono passioni attraverso le quali la mente
passa da un minor ad un maggior grado di autoconservazione. Tale grado di
conservazione e persistenza nel proprio essere, per un tempo indefinito è espresso
in Spinoza dal Conatus.
Ora, se il Conatus è riferito alla mente esso è Volonta; se invece è riferito alla
mente ed al corpo è Appetito: la vera essenza dell’uomo.
Non c’è poi differenza tra appetito e desiderio: il desiderio è appetito con
coscienza di se stesso.
,
Quindi, in conclusione, sebbene parziale, Spinoza a diferenza di Descartes,
considera le passioni come forma di conoscenza. Egli cancella anche la divisione tra
anima e corpo di Cartesio: in questa divisione Spinoza vede semplimente un aspetto
parallelo. L’aspetto per cui un incremento “mentale” corrisponde anche ad un incremento
corporeo: espressione della medesima sostanza in Modi differenti.
Ancora, Spinoza non considera il primato della volontà come in Cartesio:
semplicemte non esiste una Volontà ma singole volizioni particolari. E comunque, anche
volendo considerare una Volontà generale, essa non ha certo maggiore estensione
dell’intelletto come in Cartesio. Piuttosto la Volontà è per Spinoza il Conatus, riferito solo
alla mente.
59
60
Fonte Treccani.
Lett. dimezzato; mancante di una metà, di una parte consistente. Etimologia: dal lat. dimidiātu(m), deriv. di dimidĭus ‘mezzo’.
Amore ed affetto
passione61
In Spinoza la
trasformata in affetto, rade al suolo62l’hegemonikon degli
Stoici. Si tratta per Spinoza di non rendere in schiavitù una parte di sè (le passioni)
Platone postula un contrasto radicale tra ragione e passione. Egli colloca infatti le passioni nell’anima
concupiscibile (posta nel ventre) e in quella irascibile (situata nel fegato), affidando all’anima razionale,
61
che ha sede nella testa, il compito di disciplinare
e guidare le azioni umane.
In Aristotele, la passione è una «perturbazione delle parti inferiori dell’anima connessa agli
organi corporei» (De anima, I, 403 a e segg.) e come tale capace di estendersi anche al corpo. Come giusta
medietà tra le opposte tendenze estreme (la quale quindi non esclude il loro contenuto passionale, ma lo
misura e regola), Aristotele definisce la virtù etica. La teoria filosofica delle passioni si definisce con
maggiore precisione con lo stoicismo, che, sviluppando gli analoghi motivi del cinismo, considera tutto il
mondo affettivo come una sorta di legame, per cui l’animo subisce la schiavitù delle cose: il problema
morale si presenta quindi come problema della vittoria sulle p., e della conseguente restaurazione
dell’impassibilità autarchica o «apatia». Treccani on line.
Dai moralisti a Freud. L’idea che la passione sia la forza che una intensa emozione esercita
sull’animo, indirizzando completamente il comportamento dell’uomo, senza possibilità di sottrarsi al suo
potere trascinante, si afferma in partic. con i moralisti dei secc. 17° e 18°. Presente in Pascal, essa si mostra
nel graffiante cinismo sotteso alle Massime (1665) di La Rochefoucauld, in cui la resistenza alle passioni.
viene presentata come obiettivo irraggiungibile (a meno di non aver a che fare con una passione veramente
debole), e la durata delle passioni, come quella della nostra vita, viene sottratta al dominio dell’uomo.
Spinoza
La radicalizzazione del concetto di sostanza è perseguito da Spinoza partendo,
per così dire, dal mondo delle rappresentazioni della sostanza e degli altri oggetti
metafisici. Definendo la sostanza, non si tratta per Spinoza di esporre un semplice
concetto, ma di affermarne contemporaneamente l’esistenza.
Spinoza si rifà qui all’argomento ontologico secondo cui Dio è: id quo maius
cogitari nequit - Anselmo – oppure è l’ ens summe perfectum – Cartesio. L’idea di Dio
ossia dell’Ente sommamente perfetto, secondo Cartesio, è infatti l’idea di una essenza
che implica necessariamente l’esistenza, visto che , se così non fosse, l’Ente non sarebbe
perfetto, cosa impensabile per definizione.
Ma Spinoza radicalizza l’istanza di Cartesio che fonda il suo ragionamento sul
cogito come principium certum et inconcussum. Il cogito è infatti dipendente e limitato,
mentre Spinoza cerca qualcosa che valga come fondamento e principio di tutto il reale e
di tutto il nostro sapere: la sostanza. Ed il contenuto immediato del pensiero è
esattamente Dio 63. Il superamento del dubbio cartesiano è allora costituito
A Kant si deve uno dei primi, chiari tentativi di operare una distinzione tra emozione e passione.
Nello scritto Antropologia pragmatica (1798) l’emozione è infatti riportata a esperienze di piacere e
dispiacere che impediscono al soggetto di riflettere e, in tal senso, rientra nella sfera del sentimento; la
passione, viceversa, è da ascrivere alla facoltà di desiderare, in quanto rinvia alle inclinazioni o ai desideri
sensibili naturali, nella misura in cui una singola inclinazione acquista forza sufficiente a esercitare un
dominio totale e profondo su tutta la personalità dell’individuo. Kant rigetta ogni esaltazione della passione
per il pericolo che essa rappresenta per la scelta razionale e per la libertà morale dell’uomo. L’idea che la
passione non sia un’emozione, ma il dominio assoluto di uno stato affettivo sulla personalità nella sua
totalità viene ripreso dalla filosofia romantica, che però capovolge il giudizio negativo espresso da Kant.
Così per Hegel nella p. «l’intera soggettività dell’individuo» viene limitata a un’unica determinazione del
volere, «quale che sia il contenuto di questa determinazione», per cui la passione . deve essere considerata
come «la totalità dello spirito pratico in quanto si pone in una delle molte determinazioni limitate che sono
fra loro in contrasto». La passione però non è né buona né cattiva: «la sua forma esprime solo che un
soggetto ha posto in un unico contenuto tutto l’interesse vivente del suo spirito, dell’ingegno, del carattere,
del godimento». Contrapponendosi esplicitamente alla condanna kantiana, Hegel giunge ad affermare:
«Niente di grande è stato compiuto né può essere compiuto, senza passione. È soltanto una moralità
morta, e troppo spesso ipocrita, quella che inveisce contro la forma della p. in quanto tale» (Enciclopedia
delle scienze filosofiche in compendio, 1817, parr. 473-74).
Negli sviluppi successivi del pensiero la riflessione sul tema delle passioni diventerà in misura crescente
dominio della psicologia, sviluppatasi come disciplina autonoma. Un’originale riformulazione e
rielaborazione della problematica filosofica relativa al conflitto tra ragione e passione e al carattere
radicalmente diviso della natura umana si trova tuttavia nella teoria psicoanalitica di Freud , che propone una
concezione dualistica e antagonistica delle p. fondamentali da cui è mosso l’uomo, reinterpretate in termini
di «pulsioni».
62
Ibidem.
Marzorati, vol. IV, pag.129.
63
dall’indubitabilità di un pensiero che sin dall’inizio è riempito da Dio64 e cioè vede la
necessità di Dio. Spinoza quindi, come Leibniz, tiene fermo il principio cartesiano che la
realtà esterna non è il contenuto immediato di quest’ultimo, ritenendo che il rapporto tra il
pensiero e la realtà esterna è un caso particolare di una legge universale: pensiero ed
estensione sono infatti due degli infiniti attributi della Sostanza che appunto la
esprimono.65
In effetti la sostanza è intesa da Aristotele come ciò che esprime l’indipendenza
ontologica dell’ente. Ancora, la sostanza è concepita in virtù di se stessa e non in virtù di
una verità precedente. Essa è infinita ed è causa sui in quanto la sua essenza implica la
sua esistenza.
Vediamo: Spinoza afferma che l’idea vera deve convenire con il suo ideato:
(assioma 6) la conoscenza dell’oggetto è di per sè garanzia di verità. E tra tutte le idee
che possono fungere da punto di partenza metolodologico, logico ed ontologico al
ragionamento, l’idea di sostanza come quella dell’Essere perfettissimo è l’unica a dare
questa garanzia. Come dire che l’idea di sostanza implica necessariamente la sua
esistenza come infinita ed eterna.
Spinoza intende la sostanza quindi come una,con una sola essenza, che obbedisce
ad una sola legge: quella della necessità razionale. Se la sostanza è una essa allora
fonde in sè :



il concetto di sostanza estesa; (Cartesio aveva ridotto ad un rigido
meccanicismo il mondo della natura, ma ne aveva escluso l’uomo in
quanto sostanza pensante e libera)
quello di sostanza spirituale;
quello di sostanza divina. (Cartesio riconosce che la sostanza spirituale
riferita a Dio presuppone che tale sostanza non abbia bisogno di
null’altro per esistere)
Ora, la sostanza, se si riferisce anche a Dio, alla sostanza spirituale, è infinita. In effetti
l’inifinità, la primalità ontologica e metafisica, la sua unità assoluta in tanto si dicono della
sostanza in quanto si dicono di Dio.66
In sintesi, nel concetto dell’unica sostanza si fondono quelli della cartesiana res extensa e
res cogitans, e quello della sostanza divina. Ancora, in Spinoza il termine “sostanza” ha
il suo più autentico significato solo in relazione a Dio. Essa è l’unità assoluta, in senso
neoplatonico, dalla quale soltanto può scaturire il molteplice delle cose corporee e
pensanti. 67
64
E. Severino, Storia della filosofia mode rna,pag. 97.
Ibidem.
66
Ibidem.
67
Cartesio chiama le realtà per lui ultime substantia cogitans e substantia extensa, e il monismo spinoziano unifica quelle due
realtà proprio approfondendo il principio medievale dell'assoluta autonomia logica ed ontologica della sostanza (da lui definita come
quod per se est et per se concipitur), che non potendo riferirsi ad altro dev'essere infinita e unica. Ma contro questo assoluto valore
ontologico del concetto di sostanza si leva l'empirismo: il Locke, con la sua critica associazionistica, mostra come ciò che si dice
sostanza non sia altro che un complesso convenzionale di percezioni distinte, e chiarendo la soggettività delle qualità secondarie ne
riduce il contenuto oggettivo alla semplicità matematica delle primarie; e la gnoseologia del Berkeley giunge a risolvere pienamente
la substantia extensa nelle percezioni delle substantiae cogitantes, costituenti per ciò esse sole l'universo. D'altronde, dissolta da
Hume anche la sostanza spirituale, la critica kantiana, intenta a restaurare la possibilità della conoscenza del reale contro lo
scetticismo humiano, restituisce alla sostanza il valore di categoria instaurante l'unità dei fenomeni. Ma naturalmente, così intesa, la
65
Sostanza : ciò che è in sé e si concepisce per sé (Dio)
increata
unica
Attributo: ciò che l’intelletto
percepisce della sostanza come
costituente la sua essenza .
L’intelletto, degli infiniti attributi ne
percepisce due:
Estensione
Pensiero
La sostanza
Dio
L’universo
Eterna
Infinita
I singoli
pensieri
sono
modi:
I singoli
corpi sono
modi:
Cartesio
Spinoza
“ciò che non ha bisogno di “ciò che sussiste di per sé ” (non
nessuna cosa creata per esistere” ha
bisogno
d’altro
per
esistere)per cui esiste una unica
sostanza: Dio
Garante della veridicità delle idee coincide
con
la
natura
chiare e distinte: non agisce (panteismo)Infatti dato che Dio è
sull’universo se non all’atto della infinito non può esservi nulla
creazione
distinto da LUi
res extensa regolata da leggi L’universo coincide con Dio
immutabili : causa efficiente che quindi
è
completamente
determina il fenomeno
razionale ed ogni cosa esiste o
accade in modo necesario
Spinoza quindi, annulla il principio della soggettività e pone nella sostanza assoluta,
nella sostanza in senso evidente, il fondamento del tutto ed anche il fondamento del
sostanza non è più aspetto oggettivo della realtà, ma funzione soggettiva del conoscere: e tale resta nei sistemi dialettici degl'idealisti
postkantiani, che variamente la inseriscono nelle loro deduzioni delle categorie. Cfr. Treccani on line.
sapere in quanto il sapere filosofico è coinvolto e dedotto dal principio della sostanza. Ora,
sulla radicalizzazione in senso monistico della sostanza da parte di Spinoza, ha una forte
incidenza la tradizione cristiana: il pensiero del cristianesimo di Tommaso, in base al
quale Dio è il principio dell’Essere di tutte le cose. Se il fondamento dell’essere di tutte le
cose è in Dio, ciò significa che allora che le cose non possono esistere al di fuori di Lui,
che l’essere delle cose “finite” (modi) non sta nelle sostanze finite, ma sta in Dio. Ciò però
non porta il ragionamento a pensare che le cose finite siano fuori da Dio bensì che le
sostanze finite non sono altro che manifestazioni finite di Dio. “Modo” per Spinoza sta
dunque ad indicare ciò che dipende da altro, il cui concetto non può essere compreso
senza riferimento ad altro. Questo “altro” è appunto la sostanza.
In questo senso Spinoza afferma la totale identità di mondo e Dio: il mondo non può
essere pensato come al di fuori di Dio, coincide con Dio, sebbene ciò significhi che Dio
non può essere indipendente dal mondo: la totale identità dei due momenti è espressa da
Spinoza con due concetti che indicano, in realtà lo stesso concetto: natura naturans e
natura naturae. Due aspetti attraverso i quali Spinoza cerca di far vedere il lato mondano
di Dio ed il lato divino del mondo. Possiamo comunque osservare che in entrambi ritorna il
concetto di “natura”: da un lato “naturans”, dall’altro “naturae”, ma sono entrambe natura.
Ora, in entrambi i concetti Spinoza vuol salvare un elemento di Dio: il fatto che Dio sia
causa del mondo. Spinoza non intende mettere in discussione questo aspetto che gli
proviene dalla tradizione e che egli sfrutta sino in fondo: propriamente il fatto che Dio sia
causa del mondo non è inteso come una causa che si differenza dal suo oggetto, in
quanto verrebbe riproposto il dualismo Dio\mondo. Anzi, afferma Spinoza, se noi
intendiamo il concetto di causa in modo radicale, affermiamo che l’effetto non può stare al
di là della causa: se l’effetto fosse realmente al di là della causa non sarebbe più l’effetto.
Avrebbe causa in altro. In una battuta: la causa deve essere immanente l’effetto.
Spinoza, quando distingue i concetti di natura naturans e natura naturae, delinea
una distinzione solo dal punto di vista del finito, perchè in realtà e due cose sono
esattamente lo stesso. Ecco che allora non è possibile intendere la causazione del mondo
come una creazione: con un creato libero dalla sua causa. Piuttosto, il legame immanente
tra causa ed effetto, è alla base della negazione della libertà: data una causa ne consegue
necessariamente tutta la serie dei suoi effetti.
La “causa”che pensa Spinoza resta ancora Dio: una volta data la sostanza divina
ne consegue necessariamente tutta la serie dei suoi effetti: la totalità dei modi, ossia le
manifestazioni della sostanza, non sono liberi di manifestarsi ma sono necessariamente
conseguenza di ciò che implicitamente è annesso al concetto di causa, per cui il mondo è
un ordine necessario.
Tuttavia, proprio in questo ordine necessario, Spinoza pensa anche all’assoluta
libertà: la sostanza è questa necessità, questa causa che non esclude nulla al di fuori di
sè, che non dipende da altro che da stessa, e quindi non condizionata da altro, per cui
non ha nessun limite alla sua libertà.
Spinoza ribalta quindi contro la metafisica tradizionale l’obiezione che quest’ultima
gli muove: il dualismo, l’esistenza di qualcosa al di fuori di Dio che limita Dio può essere
pensata soltanto laddove il dualismo è superato. Spinoza allora, pensa che in Dio (un
tema ripreso da Hegel dove Dio, necessità e libertà coincidono) libertà e necessità
coincidono: libertà derivata dal fatto che Dio non dipende da nient’altro che dalla propria
natura, un natura necessaria. Al tempo stesso però, è una natura che non fa nulla al di
fuor di sè.
La concezione di natura di Spinoza, le sue determinazioni di libertà e necessità,
all’interno del paradigma moderno, rappresentano una forma radicale di ritorno
all’ontologia antica, sebbene questo punto di vista non soggettivistico sia molto lontano
dalla “natura” della tradizione antica: la “Phisis” aristotelica, il finalismo che la pervade, la
teologia arsitotelica, la gerarchia dei fini e dei beni che sussitono in Aristotele, sono
concetti assai distanti dalla filosofia di Spinoza.
Piuttosto la concezione di natura spinoziana, la sua comprensione del natura della
totalità del mondo, è erede del meccanicismo moderno, del meccanicismo cartesiano e
del mondo ridotto a estensione .
Spinoza
sostiene
che
Le passioni
e le azioni
umane
L’uomo è
condizionato dalla
natura tuttavia
Lo Stato e la comunità
politica sono condizioni di
realizzazioni dell’individuo
infatti
Vanno
comprese,
non
condannat
eo
giudicate
Devono essere
analizzate con
metodo
geometrico
In quanto sottostanno alle medesime
leggi dell’universo . In tale
prospettiva emerge che l’essenza
dell’uomo è il desiderio ossia lo
sforzo di autoconservazione con cui
tende a perseverare nel proprio
essere
Può agire
in modo
passivo
subendo la
schiavitù
delle
passioni
Può agire in modo
attivo assumendo
consapevolmente la
direzione del proprio
essere
La ricerca dell’utile è
favorita dalla cooperazione
sociale tuttavia lo Stato
deve rispettare i diritti
naturali degli individui
ossia libertà di attività
nella sfera privata e libertà
di pensiero ed espressione
in quanto il fine dello Stato
è la libertà
La vera libertà consiste nel controllare le
passioni scegliendo quelle davvero vantaggiose
infatti esistono due tipologie di passioni
Letizia da
favorire
Tristezza da
contrastare
Idee a confronto
Cartesio
Si basa sulle idee
innate e procede in
modo deduttivo
Universalità
ed La conoscenza è
oggettività
della oggettiva
ed
conoscenza
universale in quanto
la verità delle idee è
garantita da Dio
giudizi conoscitivi
sono
sintetici
a
posteriori
sostanza
è un’idea complessa
per
cui
non
possiamo sapere se
La conoscenza
Spinoza
Si basa su idee
innate e procede in
modo deduttivo
Vari
livelli
di
conoscenza
a
seconda della forza
che hanno in noi le
passioni.
sono
sintetici
a
posteriori
è un’idea complessa
per
cui
non
possiamo dire se
Kant
E’
sintesi
di
esperienza e di
elementi a priori
E’ soggettiva ma
universale;
l’universalità
e
garantita
dagli
elementi a priori
sono sintetici a priori
è una categoria che
organizza la realtà.
Non
possiamo
esiste nella realtà
esiste nella realtà
sapere se
nella realtà
esiste
Locke
“Nisi est in intellectu quod prius fuerit in sensu”. Questo detto di Aristotele, poi
ripreso da San Tommaso, può essere considerato il manifesto dell’empirismo di cui J.
Locke è considerato il fondatore. Ogni conoscenza deriva dal mondo interno ed esterno.
Locke combatte quindi ogni forma di innatismo e ritiene che ogni nostra idea debba
essere commisurata con l’esperienza.
Locke combatte quindi il platonismo, le idee assolute insomma: tutte le idee
derivano quindi dall’esperienza o dalla combinazione di idee semplici sottoposte a
controllo razionale.
Locke radicalizza quindi l’istanza soggettivistica di Cartesio: una radicalizzazione in
senso non metafisico o meglio a-metafisico.
In particolare, Locke assume come inaggirabile il punto di vista cartesiano ossia il
fatto che non possiamo dubitare di pensare sebbene egli non intenda più il pensiero come
sostanza, piuttosto come una totalità di Idee. Certo non possiamo dubitare di pensare, di
essere dei soggetti, semmai possiamo dubitare di avere delle rappresentazioni: la stessa
identità dell’Io, ossia il fatto che noi siamo un Io identico, non è una conoscenza
immediata per Locke ma una conoscenza che noi possiamo ottenere solo partendo dalle
nostre rappresentazioni.
A partire dalle rappresentazioni secondo Locke, possiamo risalire ad un elemento
comune a tutte le rappresentazioni, a qualcosa di identico: l’Io. Per altro verso Locke,
rispetto a Cartesio, fa presente come ogni idea derivi necessariamente dalle sensazioni:
Locke rifiuta qualsiasi idea innata, rifacendoci in questo ad Ockam ed al suo criterio della
“evidenza”. Per Ockam infatti l’intuizione ha come oggetto qualcosa di immediatamente
evidente, immediatamente presente ai miei sensi, individuale e come tale derivato
solo dai miei sensi. Anche le idee che non sono individuali, sono comunque riconducibili
ad idee individuali, a partire dalle quali esse si sono prodotte: idee semplici ed idee
complesse (là dove il valore di verità dell’idea complessa non è lo stesso dell’idea
semplice).
Dunque per Locke solo l’idea che rimanda immediatamente ad un oggetto ossia
che presenta un oggetto quale esso si manifesta immediatamente alla sensazione è una
idea semplice: il fondamento dell’oggettività delle idee sta nel fatto che essi sono dati
immediatamente nelle sensazioni.
Le idee complesse sono ciò che noi costruiamo a partire dalle idee semplici: tutte
le complesse costruzioni del soggetto, sono costruzioni più o meno arbitrarie, al contrario
delle idee semplici.
L’esperienza
Nella modernità, diventa essenziale determinare quanto, nell’atto conoscitivo derivi
da una componente ricettivo-sensibile e quanto derivi da un pura attività di
pensiero. Nel primo caso si tratta dell’orientamento empiristico68, nel secondo
dell’orientamento razionalista.
In riferimento all’Empirismo, Locke ritiene che ogni idea si origini o abbia origine
dall’esperienza, esperienza che si articola in due componenti:
1) sensazione; (mente totalmente passiva)
2) riflessione (riferita agli atti mentali).
In particolare Locke ritiene che le Idee innate non esistono e che la coscienza va
intesa, alla sua origine, come una tabula rasa. Ora, se le Idee innate non esistono, quali
sono allora i fondamenti ed i contenuti della conoscenza?
Locke risponde che i contenuti, ogni specie di contenuto mentale è un ‘Idea
(qualunque cosa sia oggetto dell’intelletto quando un uomo pensa). Nelle Idee ricadono
quindi i dati della sensazione, i concetti astratti, i generi sensibili ed intelligibili.
L’autocoscienza del possesso di tali contenuti è l’unica prova dell’effettiva esistenza di
queste Idee. Ora, le vie (modi di formazione) attraverso le quali si producono tali idee,
anche le più complesse sono in ultima analisi:
68
Empirismo e Razionalismo sono le due grandi correnti che hanno cercato di spiegare la modalità, la via attraverso la
quale perveniamo alla conoscenza:
1) la sensazione: gli oggetti esterni, nel contatto coi sensi, procurano all’intelletto
idee che prima non possedeva
2) la riflessione: l’intelletto rivolge l’attenzione alle anche alle proprie operazioni,
da cui ricava le idee delle proprie azioni: per questa via si formano le idee di
volere , ragionare, decidere, pensare, dubitare, credere, etc.
3)
Idee semplici e complesse
L’esperienza, si diceva, consente la formazione di due tipi di idee:
Semplici: mente totalmente passiva per cui essa è in contatto con qualcosa
che non ha prodotto, consentendo così il riconoscimento dell’esistenza di un
mondo esterno (realismo di Locke)
1) prodotte dalla sensazione (uno\più sensi);
4) dalla riflessione come il volere;
5) dal concorso di sensazione e riflessione (piacere e dolore).
Complesse: ricavate da quelle semplici mediante una attività di elaborazione
della mente.
Ora Locke, per determinare quali idee siano copie di qualcosa di reale e quali
invece non lo siano, ricorre alla distinzione tra qualità primarie e secondarie:
1) solidità, estensione, moto, quiete, numero e figura sono qualità primarie dei
corpi: le idee di tali qualità, derivano direttamente dalle cose e sono copie fedeli dei
modelli.
3) Odori, colori, suoni, e così via sono invece caratteri dipendenti da quelli primari:
sono qualità secondarie e sono l’effetto delle sensazioni prodotte in noi dalle
qualità primarie. Esse scaturiscono quindi dall’incontro tra il soggetto e l’oggetto
e non corrispondono a proprietà reali degli oggetti.
Le idee complesse, diversamente, sono
effetto di operazioni intellettuali.
(combinazione, comparazione, separazione, connessione di idee semplici). Esse ricevono
il loro materiale dalle idee semplici, effetto di sensazione e riflessione. Sono quindi
anch’esse un prodotto della sensazione e riflessione:
1) Combinazione: l’idea dello spazio è una costruzione di idee che ci provengono
dai sensi (vista, tatto); (lontananza da Cartesio che riteneva lo spazio l’unica
realtà al di fuori di lui; l’estensione è il realmente esistente); l’idea del tempo è
anch’essa una combinazione proveniente da sensi diversi: la manifestazione di
una successione di idee che riguardano un oggetto è il fondamento per cui noi
riteniamo che un oggetto esista nel tempo. Anche l’idea di sostanza è
complessa: arriviamo all’idea di sostanza attraverso la composizione degli
attributi della sostanza (di un oggetto presente di fronte a me dico che è ruvido,
presente, colorato,etc.). In realtà, secondo L., io non ho mai l’idea di sostanza.
Non ho mai l’idea semplice di sostanza, ho solo idee semplici degli attributi della
sostanza. Alla fine per L. l’idea di sostanza si risolve nelle rappresentazioni di cui
il soggetto è in possesso per costruirne l’idea complessa;
2) Comparazione: il confronto di idee semplici. L’idea di Causa è riferita alle idee
semplici di causa e di effetto: solo comparando ciò che è prima e provoca
qualcosa dopo ottengono l’idea di Causa; anche l’idea di identità è frutto di una
comparazione tra diverse idee semplici per cui possiamo parlare alla fine di una
identità. Abbiamo diverse rappresentazioni che compariamo tra loro per
pervenire a qualcosa di unico che chiamiamo identità. L’identità dell’Io non è
quindi nulla di semplice bensì complesso;
3) Astrazione: l’astrazione dalle idee semplici ci dà l’idea complessa di universale
ad esempio.
L’idea di Uomo ad esempio, è ottenuta attraverso l’astrazione dalle
rappresentazioni presenti nell’individuo, attraverso la loro somiglianza.
Locke alla fine dissolve la metafisica, qualsiasi sostanzialità metafisica, sia la
sostanzialità degli Universali che la sostanzialità dell’Io e della Sostanza.
Tuttavia Locke ammette che, per autointuizione, noi possiamo arrivare ad intuire l’Io, così
come possiamo arrivare a dimostrare Dio, sebbene non per la presenza di una idea
innata ma attraverso l’idea di causa. In qualche modo quindi, sebbene per strade diverse,
la metafisica cartesiana è confermata. Per altro verso, anche l’idea del mondo esterno è
dimostrata da Locke, sebbene in modo diverso da Cartesio: l’idea di spazio è complessa,
ed arbitraria, e costruita sulla base di idee semplici provenienti dai sensi. Locke dimostra
quindi l’esistenza del mondo esterno per strade diverse rispetto a Cartesio ma non arriva
veramente a dissolverne l’impianto metafisico.
Le vie della conoscenza
In seguito all’origine empirica delle idee, Locke afferma che la conoscenza in
senso proprio, quella chiara ed evidente, consiste nel percepire l’accordo o il disaccordo,
con la mente, la connessione o il contrasto tra alcune delle nostre idee.
Ora, la percezione è la principale facoltà dell’intelletto secondo cui si colgono i rapporti
tra le Idee: essa unifica una molteplicità di sensazioni, riferendole ad un oggetto
differente dal soggetto percipiente.
Forme di discordanza o accordo tra le idee sono:
1) identità\diversità: A è diverso da B ;oppure A è ugule a B
2) relazione; A causa B oppure A non causa B
3) consistenza;
4) connessione necessaria; Ogni qualvolta si presenta A si
presenta B ed ogniqualvolta si presenta A si presenta B
5) esistenza reale.
Ma qual è la modalità attraverso cui si percepisce l'accordo tra le Idee?
Possiamo dire che Diversa è la percezione dell’accordo tra Idee: secondo diversi
gradi di evidenza.
Prima via: La percezione di tipo immediato è l’intuizione: la
concordanza tra idee accade senza nessuna mediazione di altre idee. Tale
conoscenza non ha bisogno di prova alcuna: tale è il caso della nostra
esistenza 69 (similmente e Cartesio): “In ogni atto di sensazione, di
ragionamento e di pensiero, siamo consapevoli di fronte a noi stessi
del nostro essere. E su questo punto non manchiamo di attingere al più
alto grado di certezza.”
Seconda via: conoscenza accade in forma i. Indiretta, mediante dimostrazione: una
percezione mediata dell’accordo tra le idee. É il caso della dimostrazione dell’esistenza
di Dio, a partire dall’esistenza delle creature.
Terza via: la sensazione rappresenta la terza via della conoscenza, capace di garantire
l’esistenza della realtà esterna. Anche se priva dell’immediatezza delle vie precedenti, la
terza via di conoscenza accade mediante una serie di caratteristiche quali:
1)
2)
3)
4)
Passività dell’intelletto;
Involontarietà della sensazione;
Concordanza dei vari sensi;
Distinzione tra sensazione e ricordo.
Tali aspetti, come ricordato “supra”, testimoniano che le Idee devono derivare da
qualcosa di esterno.
I limiti della conoscenza, hanno a che fare con la tipologia dei contenuti del conoscere:
ognuno può condividere o meno opinioni o credenze di tipo religioso o politico, mentre è
69
Cfr. Geymonat, cit. pagg. 369 e sgg. Locke quindi, similmente a Cartesio, che parlava di evidens intuitus, si rifà
all’affermazione cartesiana: “L’intuito della mente si estende sia alle cose , che alla conoscenza della relazione delle
cose tra loro, sia infine a tutto ciò che l’intelletto sperimenta con precisione in se stesso.” Ancora Locke, parla del
significato del termine “esistenza” come un alcunchè di reale, di Esistenza reale, di fatto, ossia ciò che sussiste in
realtà.
corretto che presti fede a ciò che gli deriva dalla conoscenza certa ed evidente. Vi sono
quindi dei limiti al conoscere che derivano dal mancato accordo tra le Idee:
 mancata intuizione;
 mancanza di idee mediatrici tra le idee;
 sensi che non possono spingersi oltre il sentito.
Nello specifico, se le idee semplici danno sempre conto delle cose nella loro realtà, le
idee semplici delle qualità secondarie invece,
non danno garanzia di fedeltà
rappresentativa. Diversamente, le idee complesse, in quanto archetipi che l’intelletto
costruisce in proprio, , e non copia della realtà esterna, non pretendono essere conformi a
qualcosa di reale: il matematico costruisce figure geometriche che potrebbero non
riscontrarsi nella realtà. Anche le idee complesse di sostanza, poiché pretendono riferirsi a
qualcosa di esterno, possono non rivelarsi conformi alla cosa esterna. Tale posizione non
implica tanto la negazione dell’esistenza delle sostanze materiali, spirituali, ma
semplicemente l’inconoscibilità di ciò che travalica le idee sensibili e pare essere il loro
sostegno.
Locke
distingue
tra
Afferma che le idee non sono innate
ma derivano dall’esperienza in
particolare.
Dall’esperienza
esterna
provengono le
idee di
sensazione
Dall’esperienza
interna provengono
le idee di riflessione
Idee semplici di
sensazione e
riflessione
Derivano dalle
esperienze
elementari e sono
dotate di certezza
Afferma che la conoscenza è
circoscritta alle certezze sensibili
esterne od interiori
Idee
complesse
Provengono
dall’elaborazione delle
idee semplici e si
distinguono in
È probabile, quindi
sufficiente ad
orientarsi nel mono
ma non assoluta
Idee di modi: non
sussistono di per sé ma
sempre in relazione ad
una sostanza
Infatti la mente umana è una tabula rasa
che acquisisce gradualmente le
conoscenze con il progredire elle
esperienze
Idee di sostanze: riferite a
qualcosa di esistente in sé
che funge da sostrato
Idee di relazioni: derivano
dal rapporto istituito tra
idee semplici
Morale e pedagogia in Locke
Secondo Locke l’uomo è libero e dunque non può agire in modo predeterminato ma
mosso dall’esigenza di autoconservarsi e dalla ricerca della felicità. I suoi comportamenti
sono però frutto dell’educazione ricevuta per cui il singolo è in grado di fondarsi su un
‘etica razionale prevalendo sulle mere esigenze eudaimonistiche e conservative.
Ora, in relazione all’aspetto etico ascritto, l’uomo, per Locke, non essendo previsto
alcunché di innato, deve potenziare le proprie capacità grazie all’esercizio ed all’azione
educativa. Una rigida disciplina fisica e spirituale, che si opponga ai desideri immediati, lo
studio del bambino e delle sue esigenze, attraverso la persuasione razionale, il rispetto
per il bambino, cui deve essere attribuita massima libertà, gioco, e divertimento, possono
consentire di formare il futuro uomo. Uomo quindi tollerante e libero all’interno di uno stato
governato dalla legge . in contrapposizione a tale considerazione dell’uomo, Hobbes,
ritiene invece evidente, immediato, lo stato di natura dell’uomo come governato dalle
passioni: condizione questa precedente alla convivenza all’interno dello Stato. La
tendenza naturale, secondo Hobbes, è governata dall’istinto di autoconservazione a spese
degli altri. Nel Leviatano in particolare, Hobbes si riferisce alle cosiddette società
primitive, in condizione di pre-stato.
Tali considerazioni hanno la funzione di persuadere il lettore che le considerazioni
sullo stato di natura non sono una mera invenzione. Stato di natura si badi,
sostanzialmente immutabile, in linea con le analisi di Macchiavelli, che tende a perdurare
secondo il concetto di “bellum omnium contra omnes”, innescato dal diritto di ognuno a
tutto quanto sia ritenuto utili alla propria sopravvivenza.
Le uniche
certezze
non
sensibili
sono
quelle di
Dio e
dell’Io
Ancora, secondo Hobbes, è possibile ricavare lo stato di natura dall’ipotesi di
dissoluzione politica dello Stato, una sorta di annihilatio civitatis per cui è possibile fare
astrazione dall’insieme dei rapporti giuridici che sono propri della società civile. Il risultato
di tale operazione mentale non è una determinata situazione storica, piuttosto, la
determinazione di uno stato potenzialmente distruttivo dell’umanità. Lo stato di natura è
infatti prospettato come una situazione di piena libertà, al di fuori di ogni protezione e
condizionamento istituzionali, in cui si esplica senza freni la ricerca dell’utile. E’ il regno del
“bonus sibi”, del diritto di natura, lo ius naturale, a cui fa rimando la potenziale
aggressività\guerra di tutti contro tutti. Si impone quindi la necessità di una legge naturale
(dettame delle retta ragione- frutto di un calcolo delle possibilità di autoconservazione) che
consenta ad ognuno di poter vivere nella pace. La ricerca delle migliori condizioni per tutti
affinché possano vivere nella pace. Ricerca che però non è coercitiva: la legge naturale
vincola l’individuo nella coscienza, ossia in foro interno, non costituendo un obbligo
vincolante in assoluto. Nel diritto di natura non è quindi possibile mantenere la pace ed
assicurare la conservazione della vita. Solo traducendo l’esigenza di pace nella
costituzione di un corpo politico è possibile tale traguardo: il contratto è lo strumento, per
Hobbes, con cui ogni individuo si obbliga (mediante un accordo), nei confronti di tutti, a
sottomettere la propria volontà a quella di un unico ed identico individuo o consiglio, così
che la volontà di costui esprima la volontà di tutti. Lo Stato risulta essere quindi una
necessità, sebbene nato per decisione, come atto di volontà. Stato che si identifica in un
Sovrano, detentore del potere che esprime la volontà di tutti. Ora, il Sovrano, detentore del
potere comune, esercita un diritto naturale (cui egli non ha rinunciato poiché non è un
contraente del patto), reso efficace dalla rinuncia di gli altri al proprio. In particolare il
Sovrano esercita un potere coercitivo nei confronti dei singoli, esercizio esclusivo ed
irresistibile. Potremmo dire che il potere della spada e quello legislativo sono quindi
inscindibili.
L’anima
Nel 1964 Locke pubblica una seconda edizione del saggio sull’intelletto umano in
cui l’autore distrugge la concezione dell’anima: l’anima non può quindi essere considerata
un nocciolo d’oliva (Rilke) – sostanza di un essere razionale Boezio). In effetti, la sostanza
per L. non è nient’altro che una collezione di idee semplici. Dire che l’anima è una
sostanza a cui non fa capo nulla equivale a dire che nulla sorregge qualcosa come
l’anima o l’essere un qualcosa.
Piuttosto l’identità personale è affidata al tempo: un flusso temporale senza
consistenza il cui filo si può interrompere. In particolare, la mia identità non dipende dal
corpo bensì dalla coscienza che non si trova in un sostrato inafferrabile ma attraverso il
presente si collega al passato ed al futuro. L’identità esprime questa nostra capacità di
sentirsi presenti a noi stessi, un qualcosa di intuitivo . La nostra coscienza è allora
qualcosa di intermittente e sfuggente, le nostre idee sfuggono, sono caduche, e quindi
la nostra coscienza è frutto di lavoro di rinnovamento delle loro idee, sebbene non tutti
riescano a rinnovare l’impianto ideativo della coscienza: una coscienza simile ad una
tomba le cui intemperie cancellano le immagini in effige.(Hume arriverà a dire che al fondo
delle nostre percezioni, del fascio delle nostre percezioni, non troviamo nulla. Di più, la
nostra anima è un ventaglio bucato, un ventaglio al cui interno sussistono vuoti che mi
impediscono di ricordare tutte le mie esperienze passate per cui un'unica identità non
esiste. Piuttosto nel teatro dell’Io noi siamo diversi: attori che salgono sulla scena sempre
diversi).
Educazione e tolleranza
Il senso del valore dell’educazione lockiana non è un richiamo al valore
dell’educazione nobiliare, alla ristrettezza del cerchio formativo, bensì al continuo
processo di autoformazione a cui l’uomo libero può e deve dar corso. Ed è questo corso
della vita, questo progresso che dà il senso della propria umanità, mai fissata in uno stato.
Cresce attraverso il lavoro su di sè, il sapere ed il controllo. Una costruzione dell’animo
umano slegato dalla dimensione sostanzialistica ed ipostatica, soggetto ad interruzioni e
dimenticanze, che abbisogna di lavoro e sapere pe elevarsi alla propria autonomia. Locke
è anche il precursore del pensiero liberale: l’individuo è a centro della vita politica. Un
centro su cui lo stato, diversamente da Hobbes, non esercita alcun particolare controllo.
Un soggetto quindi non assogettato al controllo dello stato, non un suddito. Un singolo
potremmo dire che secondo i valori della tolleranza può permanere all’interno di una
società che riconosce il valore dell’individualità.
Le Idee costituiscono l’oggetto del
nostro intelletto il quale è:
Attivo nel
produrre
Passivo nel
ricevere
Idee complesse
che corrispondono
Idee
generali
che sono:
Idee
semplici
attraverso
Sostanze
Modi
relazioni
Segni di
insiemi di
cose
particolari
Senso
interno :
idee di
riflessione
Senso
esterno:
idee di
sensazione
Il liberalismo , secondo Locke,
rifiuta l’assolutismo e l’origine
divina del potere del Re ed intende:
Lo stato di natura come condizione presociale in
cui gli uomini vivono pacificamente seguendo la
LEGGE DI NATURA e godono di eguali diritti:
 diritto alla vita;


Lo Stato come società tra gli uomini costituita per
tutelare i diritti naturali dei singoli fondata :
 sul consenso dei cittadini;
diritto alla libertà;

diritto alla proprietà.
sul contratto stipulato tra i sudditi ed il
sovrano.
Hume
La logica humiana inizia con una accuratissima70analisi dell’origine delle nostre
idee, che egli riconduce, insieme alle impressioni, sotto il nome comune di percezioni: “Io
chiamo percezione tutto ciò che può essere presente al nostro spirito, sia che
 usiamo i sensi,
 siamo animati da passioni ;
70
L. Geymonat, Garzanti, Vol. III, pag. 129 e sgg.
 esercitiamo il nostro pensiero e la riflessione.”
Percezioni quindi come:


sensazioni(sensazione dolorosa di un corpo caldo a contatto con la
mia pelle) e passioni in quanto impressioni immediatamente
presenti ai nostri sensi;
idee in quanto mediatamente (ricordo di quel dolore) presenti quali
ricordi di quelle sensazioni e passioni.
Impressioni ed idee sono della stessa natura, solo differiscono per
“forza”(debole\forte).
In questo senso Hume delinea già il suo radicale empirismo: nessuna impressione
cade al di fuori dell’ambito71 dell’esperienza.72 Peraltro nessuna idea ha altra
origine se non da quelle esperienze. Le impressioni sono classificate da Hume
sia rispetto alla loro articolazione interna, che alla loro origine. Nello specifico:
1) articolazione interna: complesse (Idea di ippogrifo) \semplici ossia più o meno
scomponibili in impressioni elementari (cavallo e uomo);
2) origine: sensazione\ riflessione; le prime corrispondono alla prima esperienza di
qualcosa, ossia derivano dai sensi, mentre le seconde sono derivate dalle idee
che le impressioni di sensazione hanno generato .
In ordine poi al significato di “Idea” esso in Hume è mutuato da Cartesio come
sinonimo di rappresentazione; idee ed impressioni vanno poi a formare le
percezioni dell’esperienza. Si badi poi che Hume non classifica tutti i contenuti
mentali con il termine “Idea”, ma solo quelli derivati da impressioni, in forma
diretta o meno.
Vediamo: “le idee semplici sono considerate da Hume copie delle impressioni e
da ciò deriverebbe la loro incapacità die eguagliare quest’ultime in vivacità73”. Le
idee semplici derivano sempre da impressioni semplici: le idee derivano quindi
logicamente e temporalmene dalle impressioni. Diversamente, per le idee
complesse, alcune non hanno un corrispondente nelle impressioni : alcune idee
complesse, quella ad esempio di una città ideale, non ha una corrispettiva
impressione. In questo senso Hume indaga quale sia il processo che porta una
impressione a trasformarsi in Idea:
1) la memoria conserva la primitiva vivacità dell’impressione;
2) l’immaginazione, diversamente, opera una libera trasposizione della sequenza
delle impressioni o delle idee.
ragione
71
Ibidem.
72
Ibidem, pag. 396 e sgg.
73
Ibidem.
Locke
Berkeley
Hume
guida di cui l’uomo insufficiente
a condizionata
da
dispone
spiegare la realtà
fattori extralogici
sensi
attività delle mente
dai
sensi
provengono
sensazione
e
riflessioni
costruzione di idee
complesse ed idee
generali
conoscibilità di Dio
Certa: dimostrata
per via razionale
conoscibilità dell’Io
certa per intuizione
esito dell’indagine riconoscimento dei
filosofica
limiti
della
conoscenza
dai
sensi
provengono
le
impressioni e le
idee
associazione delle
idee secondo tre
criteri:
somiglianza,
causalità,
contiguità;
non può essere
dimostrata per via
razionale
l’immaginazione
attribuisce
unità
alle percezioni e l’Io
è un fascio di
percezioni che si
susseguono
nel
tempo
scetticismo
moderato
Idee semplici ed Idee complesse
Ora, secondo Hume, le Idee complesse che si vengono a creare seguendo i criteri
esposti da Hume, sono suddivise in Idee di :
1) modo: connessioni deboli di causalità e contiguità tra idee semplici non
riferite ad oggetti per sè sussistenti ma dipendente da una sostanza di cui
è determinazione;
2) relazione : l’idea si forma grazie al confronto o al richiamo di un’altra
idea; in particolare l’idea di relazione si forma grazie alla:
somiglianza, contrarietà, grado di qualità, proporzione di quantità o di
numero,
identità, posizione spazio\temporale, causalità tra idee
semplici;
3) sostanza: strette connessioni di causalità e contiguità tra idee semplici
in riferimento ad una presunta sussistenza degli oggetti corrispondenti.
Tali Idee complesse74 si originano grazie a fattori di :
 somiglianza : di natura estetica, un quadro che raffigura una persona;
 contiguità spazio temporale: un quartiere di una città ci porta a pensare
alla città;
 causalità: il figlio che ricorda il padre, un oggetto che ne muove un
altro, etc..
Idee universali
Hume tratta anche il tema della formazione delle cosiddette Idee generali:
in relazione alla formazione delle di ordine generale, Hume afferma che “tutte le
idee generali, non son altro che idee particolari congiunte ad una certa parola, che
dà loro un significato più esteso e occorrendo, fa sì che ne richiamino altre
individuali simili a loro”.
Le idee generali, per Hume, sono solo delle copie delle impressioni sensibili
da cui traggono origine empirica. In effetti le impressioni sono sempre particolari per
cui anche le idee devono essere sempre particolari. Se è così, i meccanismi o le
modalità che consentono la formazione delle Idee generali sono senz’altro, per
Hume l’immaginazione e l’abitudine. Grazie a questi aspetti di origine psicologica e
non logica, è possibile astrarre e generalizzare, dando così un unico nome ad
oggetti simili, grazie alla loro somiglianza. Si genera così, in seguito, l’abitudine a
considerare quegli oggetti come una classe\insieme di cui è sempre possibile fare
un esempio tipo: un’unica casa per tutte quelle possibili, un unico uomo per tutti gli
uomini possibili. Tale operazione è però indebita per Hume, visto che l’Intelletto non
è sicuramente in grado di considerare e comprendere tutti i diversi oggetti di un
singolo insieme.
Si pensi, ad esempio, all’idea di sostanza, derivata dalla osservazione di una serie
di proprietà costantemente congiunte riferite idealmente, mediante associazione,
ad un unico sostrato: la sostanza. La mente dunque, ritiene di poter attribuire
questa serie di proprietà osservate con contiguità ad un unico sostrato, a cui quelle
proprietà idealmente appartengono. Eppure per Hume non è possibile trascendere
l’esperienza, poichè quest’ultima fornisce solo idee del particolare, mentre le
operazioni di astrazione, che consentono il formarsi l’idea di sostanza sono
inverificabili75.
Le idee, per quanto siano «composte ed elevate» si risolvono in idee «così semplici da essere copia di una
precedente sensazione o sentimento», anche l’idea di Dio in quanto «Essere infinitamente intelligente, sapiente e
buono» (sez. 2). Hume individua tre principi di connessione fra le idee («principles of connection»), le cosiddette
leggi di associazione: somiglianza («resemblance»); contiguità nel tempo o nello spazio («contiguity in time or
place»); causa o effetto («cause or effect» sez. 3
74
75
L. Geymonat, Cit. pagg 399 e sgg.
Analoghe considerazioni vanno fatte per la sostanza spirituale - l’Io – che
non è altro che un fascio o una differente collezione di percezioni differenti,
susseguentesi con rapidità. Mediante l’associazione, la mente confonde la semplice
successione delle singole percezioni, contigue e relazionate causalmente, con la
loro inerenza ad un medesimo oggetto: una sostanza che permane identica al
mutare di esse ossial l’Io.76 Responsabile di questa confusione tra relazione ed
identità è soprattutto la memoria, che conferisce al ricordo una presenza a
percezioni simili del passato, creando una illusione di contiguità.
L'idea di causa
Nelle sezioni 4-7 del trattato humiano sull'Intelletto, l’analisi gnoseologica si
incentra sulla relazione causa ed effetto.
Come già espresso precedentemente, l'idea di causa
ha le sue basi
nell’esperienza e non:


nell’identificazione dell’essenza delle cose ;
nell'identificazione della mente.
Essa può essere spiegata, relativamente all’esperienza umana, descrivendo le
leggi che ne regolano il funzionamento. Diversamente da quanto avviene nella
logica o nella matematica, ove le conclusioni sono tratte a prescindere
dall’esperienza, l’applicazione della relazione fra causa ed effetto viene impiegata
in merito all’esperienza come capacità di previsione (di determinati effetti a partire
da determinate cause) in modo «istintivo», ossia mediante un’«abitudine» che
porta ad aderire a una tesi senza avere soppesato razionalmente i pro e i contro, in
base a processi mentali associativi.
In tale prospettiva la radice del nesso causale, su cui si incardinano le
spiegazioni razionali della scienza, è identificata nell’abitudine (habitus) e
nell’istinto, e assume la forma della «consuetudine»77 ( «la consuetudine è la
grande guida della vita umana»).
In effetti Hume si interroga sul senso delle conseguenze esperite nel rapporto con le cose:
il cibo sfama, il fuoco brucia. Ora, che un evento B segua ad un determinato evento A è
necessario? Non vi è infatti alcuna contraddizione a supporre che il corso della natura
abbia a cambiare e che un evento simile a quello sperimentato possa essere seguito da
un evento differente78.
Il principio di causalità è dunque una congettura: la sue è una evidenza
psicologica e non logica: l’abitudine alla percezione delle serie di eventi
sperimentati è il fondamento psicologico del principio di causalità.
76
Ibidem.
Treccani on line.
Severino, cit. pag. 233 e sgg.
77
78
La consuetudine regola l’esperienza anche in ambito morale – sullo sfondo
dell’alternativa fra libertà e necessità – rispetto alle aspettative circa il
comportamento dei propri simili, e costituisce il fondamento dell’indagine sull’etica e
sulla politica (sez. 8). Hume estende l’analisi alla possibilità di proiettare l’evidenza
nel passato e nel futuro, e alla necessità di ovviare ai pericoli che sorgono, sul
piano della conoscenza, dalla superstizione, dal fanatismo e dall’entusiasmo,
mediante la spiegazione empirica della relazione fra causa ed effetto (sez. 9).
Hume sostiene che :
Le percezioni sono
la fonte della
conoscenza
distinte in:
Impressioni:
percezioni
immediate
e vivide
Memoria ed
immaginazione
consentono di
conservare le
impressioni e collegare
le Idee
Idee:
Immagini
illanguidite
delle
impressioni
Le Idee complesse
garantiscono una
conoscenza certa quando
derivano da pure relazioni
tra Idee, mentre consentono
una conoscenza probabile
quando derivano da
relazioni tra dati di fatto .
Esse implicano il principio di
causalità
La fiducia nella
regolarità dei
fenomeni è frutto
dell’ abitudine da cui
deriva la credenza
utile per guidare la
condotta umana ma
priva di certezza
assoluta
L’Etica si fonda
sui criteri
empirici e sul
senso morale
Tuttavia la mente non è completamente libera in quanto opera secondo il
principio di associazione fondato su: somiglianza, contiguità,causalità
Illuminismo
La concezione dell’Illuminismo79:
1. età della storia d’Europa compresa tra la conclusione delle guerre di religione del
17° sec. ( la rivoluzione inglese del 1688) da un lato e la Rivoluzione francese del
1789 dall’altro,
2. connessa evoluzione delle idee in fatto di religione, scienza, filosofia, politica,
economia, storiografia e il rinnovamento delle forme letterarie nel corso del 18°
secolo.
La metafora della luce contenuta nel termine (fr. Âge des lumières; ingl.
Enlightenment; ted. Aufklärung) deriva dalla secolarizzazione e laicizzazione dell’idea di
provvidenza o progresso, intesa come attività storica umana: così il concetto di ‘luce di
79
Treccani, cit.
natura’ fu anteposto e contrapposto dai deisti inglesi alla rivelazione cristiana in quanto
possesso originario della mente umana; così pure la scoperta delle leggi naturali apparve
una più piena rivelazione o ‘illuminazione’. Confluirono con questi due motivi:
1. le conclusioni ottimistiche del dibattito sulla teodicea,
2. l’idea della superiorità dei moderni rispetto agli antichi prevalsa in un’annosa
querelle,
3. l’ideale continuità con la rivoluzione scientifica e con la rinascenza;
Emerge così la caratteristica immagine del trionfo della ragione contro le tenebre del
fanatismo e della superstizione, che divenne corrente verso la metà del secolo. I contenuti
filosofici e scientifici della cultura dei lumi rinviano a un complesso programma di
rinnovamento ideologico, civile, politico, che fu elaborato variamente nei diversi paesi e
accompagnò ovunque la crescente egemonia della borghesia commerciale e
industriale in lotta con le strutture del sopravvivente mondo feudale.
Scienza e filosofia
Non è possibile segnare una netta cesura tra la maturazione del metodo
sperimentale nel 17° sec., il razionalismo e l’empirismo da un lato, la gnoseologia
illuministica dall’altro. Controverso è il ruolo del metodo e della fisica di R. Descartes nello
sviluppo delle scienze, nella formazione di una generale concezione meccanicistica della
natura e nel razionalismo dei lumi. Alle soglie del 18° sec. la rivoluzione scientifica era
compiuta. La meccanica razionale rappresentava un modello epistemologico per tutte le
altre scienze, destinate a estendersi e ramificarsi per circa due secoli senza sostanziali
mutamenti nei loro concetti fondamentali. Di qui anche l’egemonia del metodo
sperimentale newtoniano sulla riflessione epistemologica. L’altro aspetto capitale della
filosofia dei lumi è rappresentato dallo svolgimento e adattamento della gnoseologia di
Locke:



l’origine empirica delle idee,
l’analisi dei processi associativi,
la critica delle illusioni linguistiche come fonte di falsi dilemmi metafisici
Tali aspetti fornirono una soddisfacente giustificazione del metodo sperimentale,
confluendo in Inghilterra e in Europa con gli sviluppi delle scienze esatte.
L’Illuminismo politico
Una prima caratteristica comune ai politici dell’I. consiste nel punto di vista pragmatico,
che accantona la trattazione dei problemi politici in chiave di ragion di Stato, e di prudenza
o arte di governo – dominante negli scrittori ‘machiavellici’ del Seicento –
sostituendovi l’impegno riformistico, la tensione volontaristica a mutare i rapporti sociali.
Una seconda costante si riassume nel quesito di Hume, «se la politica possa ridursi a
scienza». Entrambe le esigenze riflettono il nuovo ruolo storico della borghesia e
l’incidenza crescente della tecnologia e della scienza nella vita associata.
Il peculiare grado di sviluppo economico e politico raggiunto dall’Inghilterra negli anni della
rivoluzione ‘gloriosa’ segnò anche un nuovo punto di partenza per l’egemonia della
borghesia commerciante. Al nuovo ordinamento, sorto politicamente dal compromesso e
sancito dalla Costituzione del 1689, cui la teoria contrattualistica lockiana offriva
giustificazione, fece seguito la prassi empirica dell’equilibrio tra i vari poteri dello Stato
(monarchia, parlamento, magistratura) e del governo di gabinetto. Assorbendo le tensioni
sociali, questo ordinamento favorì lo sviluppo della rivoluzione industriale – dalla metà
del secolo in poi – entro un quadro di sostanziale conservazione sociale..
In Francia, il modello costituzionale lockiano operò profondamente nei programmi di
riforma dei philosophes e nella volontà di ricondurre la politica ai modelli esplicativi delle
scienze.


Voltaire dette l’avvio a un vivace movimento di opinione a favore di un trapianto
delle libertà inglesi, che non avrebbe cessato di diffondersi in Europa in tutto il
corso del secolo.
Montesquieu mediò questa esigenza con il tentativo di gettare le basi di una
scienza dell’uomo storico-sperimentale e articolò la sua indagine facendo
convergere attorno alla formazione delle leggi le componenti religiose, economiche,
etico-politiche presenti storicamente nelle varie società. La proposta politica
implicita nell’Esprit des lois era quella di un’illuminata razionalizzazione dello Stato,
mediante il rinnovo delle antiche forme parlamentari cadute in disuso nell’età
assolutistica.
Le idee egualitarie che si affacciano in alcuni scritti di Diderot, in Morelly, S.-N.-H.
Linguet, e più tardi nel comunismo utopistico di F.-N. Babeuf, si richiamano piuttosto alle
utopie della rinascenza:


alla polemica contro la civiltà-corruzione,
al mito del buon selvaggio.
Si può considerare intermedia tra il riformismo dei philosophes e l’egualitarismo degli
utopisti la teoria democratica di Rousseau, nella quale confluiscono la problematica
giusnaturalista e lockiana da un lato, l’assolutismo hobbesiano dall’altro (con il tema della
volontà generale). Il prevalente carattere normativo del Contrat social, le sue complesse
implicanze morali, educative, religiose, segnano il profondo distacco di Rousseau dagli
altri politici dell’Illuminismo, nel senso di una concezione etica della vita politica, ben
lontana dalla tendenza sociologica o scientifica comunemente affermatasi tra loro.
Sapere aude
Illuminismo XVIII
sec. (Francia come
terreno principale):
tratti fondamentali
Promozione di un esercizio libero e critico della ragione
che interviene non solo nelle scienze propriamente dette
ma anche nel campo delle discipline morali e politiche.
Sapere come strumento di progresso: termine
che indica una concezione della storia intesa
come un percorso lineare e continuo in cui le
successive acquisizioni si indirizzano al
miglioramento, tendenzialmente illimitato,
delle condizioni materiali e morali.
Nell’Illuminismo tuttavia il progresso è sempre
associato ad un prudente probabilismo
Hanno
come
premesse
Sviluppo della civiltà borghese del settecento,
portatrice del progresso sulla base di alcune premesse:
neonata critica biblica;
atteggiamento critico scettico di Pierre Bayle;
progresso delle scienze naturali;
Celebrazione rinascimentale
della dignità dell’uomo
(continuazione ideale del
rinascimento)

Esaltazione della scienz
cui gli illuministi
riconoscono il modello
sapere ;

erede del razionalismo
empirismo;



fiducia nella capacit
dell’educazione e de
cultura di trasformare
società;
Caratteristiche principali:
esame della Pubblica critica, di tutti gli ambiti della sfera politica e sociale;
rivendicazione almeno di una parte di quella completa libertà di cui l’uomo aveva goduto nello stato di natura;

libertà di commercio e di lavoro contro la vecchia mentalità mercantilista e corporativa;
1687, Newton enuncia la legge di gravitazione
i bambini non sono più considerati uomini in miniatura (Rousseau);
1688: Gloriosa Rivoluzione
Inglese ; dopo la
universale
gloriosa
rivoluzione
nel partito dei Whigs si
 denuncia di forme di oppressione: donne, bambini,
colonialismo,
schiavitù;
diffonde una visione del mondo denominata
1675
illumismo moderato

Mandeville: la
favola delle Api
Voltaire:
1729\1732
Lettere Inglesi
1700
1735, Linneo,
Sistema della
natura
1702\1714
Guerra di
successione
spagnola
Montesquie pubblica le
lettere persiane nel 1721
“Homo faber
ipsius fortunae”
Leon Battista
Alberti
1715: muore Luigi
XIV; inizia la stagione
dell’illuminismo in
Francia
1740: Federico II sale al
trono di Prussia ;
1741: inizia il regno di
Maria Teresa d’Austria
1750
1751:Pubblicato il primo
volume dell ‘Enciclopedia;
1764: Beccaria Dei delitti e
delle pene
1774: Goethe, I Dolori del
Giovane Werther ;
Smith, La ricchezza delle
nazioni
1789 Lavoiser ,
Trattato di chimica
elementare
1776: dichiarazione di
indipendenza delle colonie
inglesi
1789: Rivoluzione francese
1787: Costituzione
degli Stati Uniti
d’America
1800
Rousseau afferma che :
L’uomo è buono per
natura infatti nello stato
di natura:
Occorre trovare una
forma di società che
Scopo dell’educazione è
sanare la frattura tra
natura dell’uomo e civiltà:
Ha pochi bisogni
che riesce
facilmente a
soddisfare
Gode
dell’uguaglianza con
i suoi simili ed è
indipendente e
autonomo
Difenda le persone
ed i loro beni
A questo scopo si stipula un
contratto sociale secondo cui
ogni associato fonde la propria
volontà particolare in una
volontà generale o Stato in cui
la sovranità spetta al popolo
che esercita direttamente il
potere legislativo
Questa situazione degenera
quando nasce la proprietà privata,
fonte della disuguaglianza e della
corruzione . Per difendersi gli
uomini si sottomettono ad un
potere perdendo la libertà
Assicuri ad ognuno la
libertà di cui godeva
nello stato di natura
Per cui nell’Emilio
si descrive la
formazione di un
uomo naturale
Fondata su l’ideale di una educazione
negativa in cui il precettore deve
limitarsi ad assecondare lo sviluppo
naturale del ragazzo rispettando le fasi
evolutive della mente umana
Kant
Ipotesi metafisiche
Ruolo costitutivo delle
facoltà conoscitive
razionalismo
Kant
Rivoluzione
copernicana
Gli oggetti
si
conforman
o alle
modalità
conoscitiv
Importanza
dell’esperienza
empirismo
L’empirismo si può ritenere come una forma di coerentizzazione dell’assunto di
fondo della modernità: l’intrapassabilità del soggetto intesa come intrapassabilità
della rappresentazione. Hume, in particolare, coerentizza tale assunto colpendo non solo
la presunta oggettività del mondo reale ridotto a rappresentazione, ma colpendo anche la
stessa nozione di soggetto ridotto anch’esso a mera rappresentazione. Ma cos’è in buona
sostanza la rappresentazione? O meglio qual è la sua origine? Non è possibile trovare
nella rappresentazione stessa la risposta. E comunque anche questa risposta sarebbe
sempre una nuova rappresentazione. Si tratta insomma di dare una risposta alla domanda
su come la rappresentazione possa incontrare veramente le cose: Cartesio risponde
elaborando la tematica razionalistica di Dio, (ma anche Spinoza); Locke ed Hume
diversamente (Empirismo) si affidano alla costitutiva incertezza della conoscenza
empirica sino a pervenire a posizioni scettiche. Ora, come mai gli esiti del Razionalismo
non sono univoci? Come mai gli esiti di un modello quale quello matematico\razionalista
non sono univoci? Dovremmo avere un metodo, secondo i razionalisti, (si pensi al
problema del metodo in Cartesio ed alla tematica spinoziana more geometrico) per cui da
verità semplici dovremmo pervenire ad un unica risposta:
 Cartesio parla di due sostanze: l’estensione governata dal meccanicismo, mentre il
pensiero è goveranto dal libero arbitrio. Poi Cartesio parla anche di una realtà
spirituale, ma come comunicano queste sostanze?
 Spinoza parla di una unica sostanza, che funziona in termini meccanicistici;
 Lebniz parla di infinite sostanze quali le Monadi, con una concezione finalistica
dell’universo: questo è il migliore dei mondi possibili.
Per altro verso, gli stessi empiristi si resero conto che, ad esempio, la nozione di
sostanza e di causa erano problematiche, e non fondate sull’esperienza. Ora, la domanda
che Kant si pone a questo punto del suo cammino filosofico, sulla base dei risultati
raggiunti dal Razionalismo e dall’Empirismo è la seguente: Cosa posso conoscere? O
meglio, è possibile una metafisica che proceda allo stesso modo delle scienze empiriche,
nella misura in cui esse approdano a nuove conoscenze?
Per altro verso80, le scienze empiriche fanno uso di nozioni che non derivano
dall’esperienza (sostanza, causa). L’analisi degli empiristi portava infatti a questa
conclusione condivisa da Kant. Quand’anche però, dovessimo farne uso, ammesso sia
lecito, siamo sicuri che esse ci autorizzino a parlare di Dio, dell’Anima?81 E se dovessimo
scoprire di non poter andare oltre l’ambito dell’esperienza, che senso hanno le nostre
domande?
Ancora: alcuni argomenti filosofici, in riferimento ad aspetti che vanno oltre
l’esperienza, sembrano essere condivisibili e convincenti (prova ontologica; argomento
cosmologico). Qual è il loro reale valore? La risposta di Kant è la formulazione di una
Critica della Ragion Pura: ragione pura ossia indipendente dall’esperienza.
La conoscenza
In prima battuta, possiamo dire che con Kant, la filosofia moderna compie una svolta
radicale: le cose in se stesse, esterne ed indipendenti dalla conoscenza umana non
possono essere conosciute. Nel senso che qualsiasi cosa di cui si parli, cade sempre
nell’ambito del conoscere e del soggetto, della rappresentazione, per cui non può mai
essere conosciuto come veramente è. In effetti, Kant ritiene che sia un dogmatismo
pensare che le cose in se stesse possano esser conosciute come realmente sono: come è
possibile insomma uscire dal conoscere mediante il conoscere? In altre parole Kant ci
avvisa dei limiti insiti nella ragione, in questo consiste il suo criticismo.
Contemporaneamente, proprio questa insuperabilità consente a Kant di affermare
la centralità del soggetto nel processo conoscitivo, facendo sfumare la contrapposizione
tra soggetto ed oggetto tipica della gnoseologia moderna: il soggetto è piuttosto
responsabile delle forme assunte dagli oggetti del conoscere. Per altri versi, in quanto
ogni soggetto è razionale, è affetto da razionalità, allora tutti i soggetti condividono la
medesima struttura conoscitiva: il conoscere è quindi universale e necessario.
Si tratta allora di indagare come, in quale modo la conoscenza accada, si strutturi:
tale indagine è trascendentale in quanto individua il fondamento del conoscere. È la fine
della parabola del soggetto: la tendenza della filosofia moderna ad essere una filosofia del
soggetto si compie con Kant che ne afferma l’insuperabilità, sebbene la finitezza.
Critica della ragion pura
1) Dottrina trascendentale degli elementi82: 1a Estetica trascendentale83
Presentazione di Gianni Serino della riflessione kantiana.
80
Ibidem.
81
82
83
Parte più ampia dell’opera: condizioni a priori relative al funzionamento delle varie facoltà conoscitive.
Analizza le condizioni a priori dell’operare della sensibilità: intuizioni pure di Spazio e tempo.
1bLogica trascendentale84:1b1Analitica
trasce.le85
1b2Dialettica trasce.le86
2 Dottrina trascendentale del metodo
Fenomeno e noumeno
Fenomeno è per Kant il contenuto del conoscere o per meglio dire il fenomeno è
rappresentazione.
fenomeno
Ciò che
appare
Cosa in sè
Realtà indipendente
dall’esperienza
Dato empirico strutturato secondo
le forme a priori soggettive
conoscibile
Non conoscibile
In altri termini nella misura in cui fenomeno è tale esso appare, si manifesta. Se è
così allora esso deve necessariamente rimandare a qualcosa che in esso appare. 87 Ma il
qualcosa cui rimanda il fenomeno non è il contenuto del fenomeno, ma ciò che sta al di
fuori del fenomeno. Semmai il contenuto del fenomeno è rappresentazione. 88 Il fenomeno
è dunque apparenza, rappresentazione, e rimanda inevitabilmente all’esistenza della
cosa in sè: anche se la cosa in sè non può essere conosciuta, semmai pensata in modo
negativo come appunto qualcosa di in-conoscibile.
Eppure le cose in se stesse modificano lo spirito o meglio la facoltà dello spirito che
Kant chiama sensibilità: il risultato di questa modificazione costituisce l’insieme delle
rappresentazioni sensibili ossia delle sensazioni. Ma di nuovo le rappresentazioni non
Analizza le condizioni a priori dell’azione dell’intelletto (categorie).
Uso legittimo delle forme a priori dell’intelletto.
86
Presenta le illusioni derivanti dall’uso illegittimo delle categorie e la funzione delle idee della ragion pura. Il termine
dialettica assunse un significato negativo in Aristotele, che, analizzando le varie forme dell’argomentazione nella sua
«analitica», riservò alla «dialettica» la considerazione delle forme argomentative imperfette, perché prive di rigorosa
necessità; e analoga svalutazione tornò a manifestarsi in I. Kant, che dopo aver studiato nell’«analitica
trascendentale» il retto uso delle categorie nell’esperienza, considerò nella «dialettica trascendentale» gli errori e le
antinomie a cui l’intelletto andava incontro quando pretendeva di valicare i limiti dell’esperienza possibile.
Gli
idealisti postkantiani tornarono invece a dare valore massimo alla d., in cui videro la forma fondamentale non solo del
pensiero ma anche della realtà. J.G. Fichte fece corrispondere il processo dialettico, articolato nei tre momenti della tesi,
dell’antitesi e della sintesi, allo sviluppo teleologico dell’Io che, essendo un atto, deve limitarsi distinguendosi dal nonIo, e poi superare via via le contraddizioni che incontra, determinando esso stesso il non-Io, in modo pratico. F.
Schelling affermò l’importanza della d. per il superamento dell’antinomia tra l’assoluto e le forme finite. G. Hegel,
introducendo nell’assoluto il divenire, portò a perfezione la d., quale schema dell’essere, che dispiega, per mezzo della
negatività, le sue determinazioni e poi raccoglie in sé tale sviluppo.
84
85
Severino, cit. pag. 157.
Ibidem.
87
88
corrispondono alle cose in sé.89 In altre parole, le cose in sé possono apparire all’interno di
noi stessi solo come fenomeni.
Le cose in sè esercitano insomma un’azione sul
soggetto che, in quanto sensibilità, riceve dalla cose in sè il cosiddetto molteplice empirico.
In sintesi, la cosa in sè, in anche se indipendente dalla sensibilità, è immediatamente
rappresentata nella sensibilità come fenomeno.
Forme
pure a
priori
Intuizioni
sensibili
sensibilità
intelletto
Unificate mediante:
Categorie o concetti
puri
Oggetti della
conoscenza
Conoscenza
scientifica
In effetti, la filosofia moderna ha in comune con la tradizione filosofica anche il
principio della “recettività” o passività del soggetto rispetto alla realtà esterna. Realtà
attiva sull’apparato percettivo del singolo. Apparato inteso da Cartesio come sensibilità o
meglio per Cartesio la sensazione è idea, effetto di una causa esterna, la causa agente
di Aristotele, che rimanda\rivela la causa: l’effetto rivela la causa. 90 Eppure l’effetto non è
la causa (ossia nell’effetto non è presente la natura della causa, la sua pensabilità) per
cui la sensazione occulta anche la natura della causa. Cartesio ritiene che sia possibile
gaudagnare questa causa agente mediante il ragionamento : Razionalismo cartesiano .
Come dire che la costruzione del sapere certo, inconcusso, va ricercata in principi non
attinti dall’esperienza. Principi a priori ed innati – idea innata di Dio; principio ex nihilo
nihil– che consenta di guadagnare la realtà. Un ponte che consenta di ri-guadagnare
quella realtà occultata dall’esperienza sensibile: dalle nostre rappresentazioni alla realtà.
Sensibilità e intuizione
Ibidem.
89
90
Ibidem.
In Kant, secondo il concetto di sensibilità kantiano, l’oggetto è intuito: “senza
sensibilità non ci sarebbe dato nessun oggetto, senza intelletto nessun oggetto sarebbe
pensato”. Il rapporto tra conoscere ed oggetto del conoscere che è dato, offerto al
soggetto, è l’intuizione: tale rapporto è di natura immediata. Dice Kant: nella sensibilità
gli oggetti mi sono dati.
La sensibilità peraltro, il materiale sensibile, riceve un ordine, una forma dallo
spirito secondo Kant: la sensazione è quindi aperta alle cose in sè mentre lo spirito è la
stessa struttura del soggetto conoscente che in-forma il materiale sensibile. La forma, in
altre parole, non è sensibilità bensì un a priori presente strutturalmente nello spirito. Tali
forme, restano, permangono, a prescindere dalla sensibilità e da ogni aspetto empirico
dell’esperienza: proseguendo in questo ordine di ragionamenti, ciò che resta alla fine di
ogni esperienza sensibile e che caratterizza tutte le esperienze, è l’aspetto spaziale e
temporale di ogni esperienza.
Ogni esperienza si struttura secondo il prima e il dopo, il lontano e il vicino, il
distante. Ma tali dimensioni, lungi dal portarci alla conoscenza delle cose e degli oggetti,
lungi dal portarci ad entrare nelle cose che restano in sè (diversamente da Cartesio), al di
là del conoscere, ci portano nello spirito del soggetto: spazio e tempo sono infatti forme a
priori dello spirito. Eppure si dirà, gli oggetti sono rappresentati fuori di noi, dimensione
spaziale: ma di nuovo ciò che è rappresentato come fuori\dentro, durevole\transitorio,
senso interno\esterno è tale nella misura in cui cade internamente alla costituzione
dello spirito. Come dire che ogni volta che distinguo tra dentro e fuori, vicino e lontano è
già all’opera la condizione di possibilità di questa distinzione: spazio e tenpo alla fine
sono intuizioni pure ossia non sono concetti pensabili ma intuibili. Ora, cosa intende Kant
con “intuizione”? E’ opportuno sottolineare come per Kant l’intuizione abbia una funzione
discriminante. Si tratta di comprendere come per Kant la distinzione tra un fenomeno e
un altro sia possibile per l’intuizione della loro differenza, riferendoli ad un qui ed ora,
appunto spazio\tempo. Senza il qui ed ora la conoscenza non è tale. Ancora, posso
pensare uno spazio vuoto ma non, per Kant, un oggetto che non sia nello spazio così
come posso pensare ad un tempo vuoto ma non ad un oggetto che non sia nel tempo. Di
più, esiste un unico spazio e non più spazi o più tempi. Non pensiamo mai a molti
spazi\tempi, in realtà parliamo di una partizione di un unico spazio: non sono oggetti. In
misura ancora maggiore spazio e tempo sono intuiti come infiniti mentre in generale i
concetti non sono infiniti (certo può raccogliere sotto di sè infiniti oggetti). Spazio e tempo
sono quindi pre-condizioni della sensibilità.
Spazio e tempo
Due rette, secondo Kant, non possono chiudere uno spazio91. Ciò significa per Kant
che tale affermazione è intuita, anche una sola volta, in modo universale e necessario:
“Come dunque può essere nello spirito una intuizione pura che preceda agli oggetti stessi
e nella quale il concetto di questi possa essere determinato a priori? Evidentemente solo
ad un patto, che essa abbia una sua sede solo nel soggetto, come sua disposizione
formale ad essere modificato dagli oggetti e a conseguire per tal modo una loro una
immediata rappresentazione, cioè l’intuizione, dunque soltanto in quanto forma del senso
esterno in generale”. Critica della ragion pura, estetica trascendentale, §3. In questo
senso, lo spazio come forma a priori, ed in quanto a priori, consente la fondazione della
geometria nella misura in cui tale intuizione condiziona inevitabilmente qualsiasi
percezione sensibile di oggetti Nello spazio. Il tempo, similmente, consente la
fondazione della meccanica pura: modo rettilineo uniforme, accellerato, etc.. Anche
l’aritmetica si fonda sul tempo (Prolegomeni). Il numero si basa infatti sul tempo: una
qualsiasi quantità, cinque cigni, ancora non li associo ad un numero. Per pensare la
quantità devo contare. Ora, per contare abbisogno del tempo: prima l’uno e così via. Certo
il concetto di numero non si fonda solo sul tempo. (La critica della Ragion Pura non
menziona esattamente il fondamento del numero).
(E la ragione? Il termine deriva da ratio che nel linguaggio comune significava calcolo o
rapporto . Esso assume con Cicerone un significato più filosofico che traduce con questo
termine il greco lògos, mentre nel Medioevo è utilizzato per tradurre il greco Diànoia, in
opposizione a Noùs, a sua volta tradotto come intelletto. La conoscenza razionale
nell’antichità è quella discorsiva, che procede da premesse a conclusioni ossia un
procedimento mediato dall’inferenza logica.
Giudizi sintetici e analitici
Giudizi sintetici
Giudizi analitici (a priori)
A posteriori
Tutti i corpi sono estesi
91
Presentazione di Gianni Serino sulla riflessione kantiana.
A priori
Tutto ciò che accade ha una
causa
I corpi sono pesanti
Privi di novità ma universali e
necessari (razionalismo)
Dotati di novità ma particolari e
contingenti (empirismo)
Dotati di novità ma
anche di necessità ed
universalità
(scienza newtoniana)
Scrive Kant: “ogni nostra conoscenza comincia con l’esperienza, ma sebbene ogni
nostra conoscenza comincia con l’esperienza, non perciò essa deriva tutta
dall’esperienza. Infatti potrebbe essere benissimo che la nostra stessa conoscenza
empirica fosse un composto di ciò che riceviamo dalle impressioni e di ciò che la nostra
facoltà di conoscere vi aggiunge da sè”.
Ma cosa ci deriva
dall’esperienza e quali no?
dall’esperienza?
Come
distinguiamo
quali
derivano
Ora, secondo Kant alcune conoscenze sono a posteriori, empiriche, altre sono a
priori:le seconde, quelle a priori sono universali e necessarie; viceversa quelle empiriche
particolari e contingenti. In logica per necessario è cio che non può essere altrimenti:
l’esperienza in genere ci dice che una cosa è così ma potrebbe essere anche altrimenti.
Ma se invece affermo che una determinata cosa è necessaria allora la sola esperienza
non mi basta: una proposizione necessaria è quindi a priori. Una proposizione
matematica, ad esempio, è una proposizione necessaria, non potrebbe essere altrimenti.
Del resto l’esperienza può fondare tale proposizione? Possiamo rispondere che noi
possiamo solo misurare qui ed ora, la somma degli angoli di un triangolo pari a 180°, ma
l’esperienza non è in grado di fondare una proposizione necessaria. Il primo criterio
proposto da Kant, la necessità, si rifà ad una modalità a priori.
Per altro verso, l’esperienza non può mai consentire l’affermarsi di una
proposizione universale: una semplice osservazione, o più osservazioni uguali, non
possono mai portare ad affermare l’universalità di una affermazione. In conclusione,
l’induzione ossia una osservazione ripetuta come uguale, non può mai portarci ad un
giudizio (S è P) universale ma solo probabile. Una proposizione universale non può mai
basarsi sull’esperienza, a priori e necessaria.
Vediamo, Kant distingue tra due tipi di giudizi: analitici e sintetici: “Tutti i corpi sono
estesi”, “Il Triangolo ha tre lati” sono esempi di giudizi analitici. Essi servono a spiegare
meglio un determinato concetto che peraltro non estende le nostre conoscenze. L’altro
gruppo di giudizi è quello di giudizio sintetico in cui il concetto espresso dal predicato non
è interamente contenuto nel soggetto del giudizio per cui aumenta la nostra conoscenza.
“Tutti i corpi sono pesanti” è un esempio di giudizio sintetico in cui la pesantezza aggiunge
qualcosa al concetto di corpo. Sintesi tra due concetti distinti.
Ma i giudizi analitici sono a priori o posteriori? Nei giudizi analitici, il predicato è già
“contenuto” nel soggetto per cui essi sono a priori, mentre i giudizi sintetici, basati
sull’esperienza, sono a posteriori. Questa distinzione è però esaustiva? Leibniz
distingueva tra verità di ragione e di fatto: distinzione analoga a quella kantiana, così come
Hume distingue i giudizi che esprimono relazione tra idee con quelle che prevedono
distinzioni di fatto. Ora la domanda che resta aperta è se sono possibili giudizi sintetici
a priori? Kant risponde affermativamente: Kant propone un esempio: 7+5 uguale a12.
Ora, Egli afferma che, similmente al ragionamento proposto sopra, nel concetto del
numero sette io non trovo già il concetto del numero dodici . Non lo trovo neanche nel solo
concetto di somma. Che sette più cinque faccia dodici , al di là dell’esperienza del contare
con le dita, è un giudizio che sebbene si basa sull’intuizione, esprime un giudizio
sintetico a priori e non a posteriori. La proposizione aritmetica è sempre sintetica per
Kant. (si pensi alla somma di numeri molto alti). Anche le proposizioni geometriche – la
retta è la linea più breve tra due punti - sono giudizi a priori, universali, necessarie,
sintetiche.
Logica formale e trascendentale
Come i concetti puri, non derivati dall’esperienza possono riferirsi all’esperienza
ossia ad oggetti? Nell’analitica trascendentale Kant si occupa di questo problema, per
quanto articolata internamente in modo assai complesso: analitica dei concetti (filo
conduttore per la scoperta dei concetti puri o categorie ) e dei principi.
Kant definisce in primo luogo l’intelletto distinguendolo dalla sensibilità intesa come
facoltà discorsiva, attraverso giudizi: S è P. Secondo Kant la facoltà di giudizio, attraverso
concetti empirici, unifica il molteplice intuito nella sensibilità. Il concetto di mela o di frutto
sono derivati dall’esperienza anche se il concetto di causa o di sostanza non è derivato
dall’esperienza. Ora esistono per Kant anche concetti puri, non desunti dall’esperienza.
Tali concetti equivalgono alle categorie, sebbene con importanti distinzioni: esse sono
funzioni unificanti che consentono di unificare la molteplicità delle intuizioni sensibili. Kant
è convinto che Aristotele abbia cercato i concetti fondamentali, le categorie senza un vero
e proprio ordine logico mentre la filosofia trascendentale ha il compito di elencare con
ordine la lista dei concetti puri. Se le categorie sono concetti unificanti del molteplice ossia
consentono di produrre giudizi, allora qualsiasi giudizio empirico è riferibile ad una
categoria. Tutti i possibili giudizi dell’intelletto devono far capo alle categorie: conoscendo
tutti i possibili giudizi dell’intelletto posso risalire alla tavola dei concetti puri che rendono
possibili giudizi.
I giudizi sono distinti per:
 quantità: universali (ogni x è y), particolari (Ex è y(x)), singolari;x è y
 qualità: affermativo, negativo, infinito; x è y; x non è y; x è non y;
 relazione: categorici, ipotetici, disgiuntivi : x è y; se x allora y; X o y;
 modalità: problematici, assertori, apodittici: x può essere y; x è y; x deve
essere y;
Ogni tipologia di giudizio è applicabile, contemporaneamente, alle altre tipologie:
nessun x è y, ad esempio, è universale, negativo e categorico, etc.
Dai giudizi Kant ritiene di poter dedurre le categorie: nell’ambito della qualità
possiamo associare la categoria della realtà al giudizio affermativo; al giudizio negativo la
categoria della negazione; al giudizio infinito la categoria della limitazione. Al giudizio
categorico la categoria della sostanza; al giudizio ipotetico la categoria della causa; al
giudizio disgiuntivo la categoria della azione reciproca, al giudizio problematico la
categoria della possibilità; al giudizio assertorio la categoria dell’esistenza; al giudizio
apodittico la categoria della necessità. Nell’ambito della quantità al giudizio universale
Kant92 associa la categoria dell’unità; al giudizio della particolarità la categoria della
pluralità; alla singolarità la totalità sebben tale ultima associazione risulti problematica.
Kant afferma che, in ordine alla associazione della categorie ai giudizi, la terza categoria
deriva sempre dall’unione della prima categoria con la seconda e quindi, dall’associazione
giudizi di quantità\categorie, troviamo in effetti che dalla categoria di unità associata alla
pluralità, deriva la categoria della totalità, anche se tale ordine delle categorie non
riflette l’ordine dei giudizi.
Altro aspetto delle categorie: distinzione delle categorie in due gruppi. Quantità e
Qualità sono considerate da Kant, categorie matematiche ossia indirizzate ad oggetti
dell’intuizione. L’intelletto, per Kant, mediante tali categorie costituisce gli oggetti:
unificazione in oggetto intuito (reale o meno). Le altre due categorie sono invece
dinamiche: indirizzate all’esistenza degli oggetti dell’intuizione in rapporto tra loro o con
l’intelletto. Ciò significa per Kant che le prime tre categorie (sostanza, causa, azione
reciproca) sono indirizzate all’esistenza degli oggetti in rapporto tra di loro ossia
consentono di individuare\determinare la tipologia di rapporti tra gli oggetti di esperienza tra loro. Le categorie nell’ambito della modalità consentono di comprendere un oggetto, in
rapporto all’intelletto, sia come possibile che come necessario.
I concetti puri dell’Intelletto, non sono solo quelli di sostanza e di causa, come
era forse possibile pensare all’inizio del percorso kantiano, ma ben dodici. Essi sono
elencati nella Analitica Trascendentale e precisamente nell’Analitica dei concetti:
deduzione trascendentale delle categorie. Con “deduzione “ però ci si deve riferire al
linguaggio giuridico, vero tribunale della ragione. In altri termini, per Deduzione si intende
l’argomentazione che, di diritto, e non in base all’esperienza, stabilisce che le categorie
possano riferirsi ad oggetti. In questo senso, la Deduzione Trascendentale, risponde alla
domanda sulla legittimità di utilizzare nozioni quali quelle di sostanza e di causa: nozioni
non derivate dall’esperienza come suggerivano gli stessi empiristi. Per altro verso, stante
92
Prof. Serino, cit.
la legittimità dell’uso di tali nozioni, quale uso posso farne? Ad entrambe queste domande
risponde la trattazione della Deduzione trascendentale delle categorie.
Ora, ogni conoscenza implica un processo di unificazione: i fenomeni intuiti, fanno
capo ad una unificazione, ad un processo di unificazione e connessione dei vari oggetti
della mia esperienza. Ma la sensibilità è un facoltà passiva mentre una altra facoltà,
l’intelletto, unifica tutte le mie impressioni esperienziali.
L’Io Penso
Unità e
continuità
del
soggetto
Io penso
Unzione unificatrice del
pensiero
Attuata mediante le :
Condizione delle :
categorie
In ordine quindi alle condizione di possibilità dell’esperienza, Kant cerca di
rispondere ad una domanda fondamentale: come mai il molteplice fenomenico\empirico mi
appare unitario?
Detto altrimenti: come mai la mia esperienza è una esperienza? Kant risponde
facendo appello ad una unità profonda della “coscienza ”: l’io penso. Secondo Kant:
“l’unità di tale rappresentazione - io penso – la chiamo anche l’unità trascendentale
dell’autocoscienza, per designare la possibilità della conoscenza a priori fondata su di
essa”.93 Ecco che allora l’Io penso precede tutto l’ordine dei miei pensieri, conferendogli
unità e stabilità. Una forma di sintesi del materiale sensibile che fa sì che io abbia una
una coscienza, una esperienza. Ciò che però è di particolare rilievo non è tanto o solo
l’elaborazione di una funzione sintetizzatrice ed unificatrice dela materiale empirico,
aspetto peraltro ricco di conseguenze, quanto il riferimento di Kant ad un aspetto
generale e non particolare del singolo individuo concreto. Kant parla dell’Io penso come
coscienza in generale, come funzione in generale nettamente distinto e separato dalla
precedente metafisica che cercava un fondamento del mondo empirico in una sostanza –
Dio – natura – trascendente o immanente la singolarità umana. Si tratta insomma della
93
Cfr. L. Geymonat, cit. pag. 588.
ragione o meglio dell’Io come attività sintetizzatrice in via di progressiva attuazione. Una
razionalità concreta che va realizzandosi nel mondo: l’Io come pensante l’esperienza
concreta attraverso le categorie. Categorie presupposte da ogni oggetto intuito. Gli oggetti
intuiti quindi sono costituti dall’Io penso attraverso le categorie, senza arbitrio, bensì dalle
regole delle categorie. Ecco come e perche è è lecito applicare le categorie agli oggetti.
Ancora, noi possiamo solo intuire gli oggetti in forma sensibile, tramite o grazie alla
sensibilità (non siamo in grado di intuire qualcosa attraverso l’intelletto, non siamo in
grado di intuire direttamente le cose come sono): attraverso spazio e tempo. L’intuizione è
l’ambito della nostra esperienza concreta a cui solo si applicano le categorie (concetti
puri). Le categorie non si possono quindi applicare oltre l’ambito dell’esperienza: una
metafisica scientifica è quindi impossibile.
fenomeni
Uso
empirico
Applicazione
all’esperienza
Scienza
Non è
categorie
conoscenza
Applicazione senza
contenuto empirico
Uso puro
Illusioni
conoscitive
Metafisica
noumeni
Locke
si
sull’esperienza
Hume
basa si
sull’esperienza
Kant
basa è sintesi di esperienza ed
elementi a priori
universalità ed oggettività della è
soggettiva
ed
individuale: il sapere
conoscenza
intersoggettivo si basa
sul linguaggio
è
soggettiva
ed
individuale: il sapere
intersoggettivo
si
basa sulle abitudini
a sono
sintetici
posteriori
è
soggettiva
ma
universale: l’universalità è
garantita dagli elementi a
priori
giudizi conoscitivi
sono
sintetici
posteriori
a sono sintetici a priori
sostanza
è un’idea complessa: è un’idea complessa: è una categoria che
non possiamo sapere non possiamo sapere organizza
l’esperienza:
non possiamo sapere se
se esiste nella realtà
se esiste nella realtà
esiste nella realtà
il principio causale
è un’idea complessa
ma se può dimostrare
la corrispondenza per
la realtà
è un’idea complessa
in cui crediamo grazie
all’abitudine ma non
ha nessuna necessità
logica
è una categoria che
organizza
l’esperienza
perciò è universale ma
riguarda solo il mondo
fenomenico
L’Io
se può dimostrare è
un
fascio
di
l’esistenza mediante percezioni
non ha
nessuna
realtà
l’intuizione
sostanziale
ossia
ontologica
in ambito conoscitivo
dobbiamo parlare solo di
Io penso che non è una
sostanza
e
di
Io
fenomenico. In ambito
morale
possiamo
ammettere l’esistenza e
l’immortalità dell’anima
Il mondo
se ne può dimostrare
l’esistenza mediante
la
distinzione
tra
qualità primarie e
secondarie
è un’idea della ragione
che produce antinomia:
possiamo
ragionevolmente sperare
che sia ordinato per
consentire
la
nostra
realizzazione morale ma
senza poterlo dimostrare
Dio
possiamo dimostrarne non
è
possibile non
possiamo
l’esistenza in basa dimostrane l’esistenza dimostrarne l’esistenza in
ambito conoscitivo ma
alla ragione deduttiva
dobbiamo ammettere Dio
come
postulato
della
ragion pratico
è una realtà che
ipotizziamo
per
rendere coerente la
nostra esperienza
Si sostiene
che
Critica della Ragion
Pura
Nei giudizi sintetici
a priori possiamo
distinguere
Si sostiene che è
necessaria un’analisi sui
fondamenti della
conoscenza
Al fine di appurare
quali sono le
condizioni di possibilità
della scienza
E capire se è possibile
una metafisica come
scienza . A questo scopo
si analizzano le
proposizioni della scienza
I giudizi di distinguono in tre tipologie
:
 analitici: il predicato esplicita
solo il contenuto del soggetto
(universalità e necessità);
Aspetto materiale: le
impressioni sensibili
che il soggetto riceve
passivamente
dall’esperienza (a
posteriori)
Aspetto formale ossia
le modalità a priori
attraverso cui la mente
ordina attivamente le
impressioni
 sintetici a posteriori:il
predicato aggiunge novità al
soggetto (particolari e
contigenti);

sintetici a priori: accrescono
il sapere e sono dotati
universalità e necessità
essendo a priori
Rivoluzione copernicana: non è la mente a
doversi adeguare alla realtà bensì la realtà a
doversi adeguare alle modalità conoscitive
del soggetto
Dottrina degli elementi:
suddivisa in
Estetica trascendentale :
studia la conoscenza
sensibile
Logica Trascendentale
suddivisa in:
Che è passiva ed attiva al
tempo stesso infatti :
Analitica
trascendentale:
studia la facoltà
dell’intelletto
Dialettica trascendentale :studia la ragione
Essa consente di
unificare le intuizioni
sensibili sotto le 12
categorie
Riceve dall’esperienza i dati
percettivi e li organizza
attraverso due forme a priori:
Spazio:
forma del
senso
esterno
Tempo: forma del
senso interno
La legittimità della loro
applicazione è giustificata
con la deduzione
trascendentale
Secondo cui tutto il processo
conoscitivo è fondato Sull’Io
penso
Metafisica e limiti della conoscenza
La limitazione della conoscenza ai fenomeni non esclude però la possibilità di
oggetti oltre essi: la “causa” del materiale percettivo è infatti non riconducibile al soggetto
ed è intesa come noumeno, di cui il soggetto non può conoscere la natura. Tuttavia, il
soggetto conoscente, riferendosi ai concetti dell’Intelletto, i concetti a priori dell’Intelletto
che si applicano solo all’esperienza, mediante la Ragione, cerca di stabilire alcuni principi
o Idee trascendentali (concetti puri della ragione) che mirano a giungere a conoscenze
assolute ossia complete e definitive sull’esperienza. E’ questo di fatto un superamento dei
limiti dell’esperienza sebbene un superamento che si pone su un piano diverso da quello
dell’esperienza e dell’intelletto94. Potremmo anche dire che le Idee trascendentali della
Ragione, questi concetti puri della Ragione, aspirano a determinare la natura della cosa in
sè senza che però ciò possa mai diventare oggetto di esperienza: tali sono le Idee di Dio,
Anima, Mondo.
In particolare, l’Idea di mondo, presuppone che esso sia costitutito da un lato, da un
insieme di fenomeni correlati deterministicamente secondo leggi di natura e,
contemporaneamente,
dall’altro, da cose in sè autodeterminantesi. Ciascuna di
queste tesi è ragionevole se posta su diversi piani, ossia quello dei fenomeni e quello
della cosa in sè, nonchè insolubile, vista l’impossibilità del soggetto di approdare nella sua
conoscenza, oltre i fenomeni. Ora, se dal punto di vista del conoscere, le Idee della
ragione sono esecrabili95 se poste a fondamento di una metafisica scientifica, dal punto di
vista dell’agire esse costituiscono uno stimolo all’approfondimento del senso dell’agire
morale.
Tavola delle antinomie
tesi
antitesi
prima antinomia
il mondo nel tempo ha un
cominciamento e inoltre,
per lo spazio, è chiuso
dentro limiti
il
mondo
non
ha
cominciamento né limiti
spaziali ma è così rispetto
al tempo come rispetto allo
spazio infinito
seconda antinomia
ogni sostanza composta nel
mondo consta di parti
semplici e non esiste in
nessun luogo se non il
semplice o ciò ne è
composto
nessuna cosa composta nel
mondo consta di parti
semplici e in esso non
esiste in nessun luogo
niente di semplice
terza antinomia
la causalità secondo le
leggi della natura non è la
sola da cui possono essere
derivati tutti i fenomeni del
mondo.
E’
necessario
ammettere
per
la
spiegazione di essi anche
non c’è nessuna libertà ma
tutto nel mondo accade
unicamente secondo leggi
della natura
94
95
L. Geymonat, Boncinelli, Cattaneo, Il pensiero filosofico, Garzanti
Ibidem.
una causalità libera
quarta antinomia
nel mondo c’è qualcosa
che, o come sua parte o
come sua causa, è un
essere
assolutamente
necessario
La ragion pratica
in nessun luogo esiste un
essere
assolutamente
necessario, né fuori dal
mondo, come sua causa
Una volta sancita l’illegittimità delle pretese conoscitive della metafisica,
stabilita dalla Ragion Pura, si tratta di indagare un altro campo del sapere fondativo
dell’agire umano: l’Etica.
Nel campo dell’Etica si tratta però, a differenza dell’ambito della Ragion Pura, ove la
Ragione “non tiene conto” dell’esperienza e ne definisce piuttosto i limiti e gli ambiti, di
dettare le Regole da trasformare in Realtà mediante l’agire96: Ragion pratica. La
ragion pratica consiste infatti nella capacità di determinare la volontà, senza fondarsi
sulla sensibilità, al fine di garantirne l’universalità. In effetti, l’esperienza è legata
all’interesse individuale e quindi necessariamente priva di quella universalità costitutiva
del giudizio etico (cos’è giusto?, cos’è morale?, cos’è buono?). Ora, tale giudizio morale,
l’indagine sulla universalità e giustezza di tale giudizio, fa capo senz’altro per Kant alla
ratio essendi del giudizio: la libertà. La determinatezza dell’agire umano risulta infatti
contrario al porre il problema della libera scelta: solo un essere libero si pone il problema
morale, diversamente perchè porlo? In misura conversa: è grazie al problema morale, al
porsi del problema morale, che è possibile inferire l’esistenza della libertà. In buona
sostanza, Kant propone quindi di pensare all’uomo come ad un essere che vive,
contemporaneamente, nella realtà fenomenica condizionata dagli assunti della ragion
Pura e in quella noumenica in cui invece è libero.
Secondo Kant, in particolare, l’esistenza della legge morale si esprime attraverso
l’esistenza degli imperativi morali: categorici(prescrizione di una azione per il dovere ) ed
ipotetici (prescrizione di una azione per fini specifici) Tali imperativi costituiscono un
comando, nel caso dell’imperativo categorico, che esclude scopi particolare in chi agisce
secondo tale imperativo: esso non ha un contenuto specifico ma afferma solo cosa si
deve fare (espressione del così dev’essere) e non come di deve agire. In questo
senso l’imperativo categorico esprime qualcosa di universale. In misura maggiore,
l’imperativo categorico non prevede o non fa tanto riferimento all’esito della azione morale,
ma all’intenzione che muove l’agente che segue il comando espresso nell’imperativo
morale.
Secondo Kant la legge morale che ognuno sente nella propria coscienza
attraverso diverse caratteristiche:
si esprime
1) l’imperativo categorico ha un aspetto formale, non facendo riferimento a
nessun contesto particolare;
2) il giudizio sull’azione si fonda sull’intenzione (volontà) che muove l’agente ad
agire;
3) l’azione compiuta o da compiere è buona se e solo se è universalizzabile
ovvero qualora il principio sulla cui base il singolo agisce (massima) possa
essere fatto proprio dall’intera umanità;
96
Ibidem.
Ora, secondo Kant, in una successiva formulazione, la ricaduta dell’azione del singolo
sugli altri esseri umani risulta centrale97. Tale formulazione sottolinea:
1)
ogni uomo ha pari dignità in quanto dotato di ragione;
2) Ragione ed umanità sono coessenziali;
3) L’azione buona è quella che concorre al fine dell’umanità;
4) Il fine assoluto dell’azione morale è l’uomo.
Successivamente Kant, adotta un’altra formulazione: non compiere alcuna azione
secondo una massima diversa da quella suscettibile di valere come legge
universale, cioè tale che la volontà, in base alla massima, possa considerare,
contemporaneamente, se stessa come uivesalmente legislatrice.
Ecco che allora, l’azione morale richiede che la volontà sia guidata
esclusivamente dalla ragione: poichè la razionalità esprime l’essenza dell’uomo,
obbedendo alla ragione l’uomo obbedisce a se stesso. Ancora, è la razionalità che
autonomamente comanda alla volontà di agire secondo la legge morale, legge che
la ragione si da da sè: gli altri uomini portano infatti la stessa legge universale.
Ora, se l’uomo, ogni uomo, riconosce al proprio interno un fatto della ragione, ossia
la legge morale, è necessario postulare l’esistenza della libertà dell’uomo:
l’indagine condotta da Kant sulla legge morale, ha il suo presupposto nell’esistenza
della libertà98, anche se la libertà non è e non può essere oggetto di esperienza.
Come dire che per non contraddire l’esistenza della legge morale che si esprime
attraverso l’imperativo categorico è necessario postulare l’esistenza della libertà.
Ragion Pratica e Ragion Pura: La Critica del giudizio
I postulati della libertà, dell’immortalità dell’anima e dell’esistenza di Dio, danno
all’uomo certezze che gli erano precluse sul piano conoscitivo. In questo senso la
ragion pratica detiene un primato sulla ragione teoretica: essa riesce a dare
consistenza a concetti che nella Critica della ragion Pura si presentavano solo
come possibilità teoretiche, sebbene tale consistenza non si traduce in una
estensione della conoscenza. La validità dei postulati non è teoretica ma solo
pratica. In una battuta: l’intelletto guida la conoscenza della natura, la ragione
sovraintende all’operare della libertà. Il primo ha a che fare con i fenomeni, la
seconda con la cosa in sè, territorio dell’incondizionato e quindi della libertà, che
tuttavia non è oggetto di conoscenza in quanto extrafenomenica. Ora, tale
impostazione sembra portare ad una separazione netta tra natura e libertà, tra
97
Ibidem.
98
Ibidem.
intelletto e ragione così da introdurre una scissione insuperabile nella realtà
dell’uomo. La scissione può essere ricomposta nella Critica del Giudizio: il giudizio
come facoltà intermedia tra intelletto e ragione.
Si pensi ad un giudizio
conoscitivo determinato dall’intuizione sensibile
come “Questo è un tavolo”. Tale giudizio determinante che ha per oggetto un
fenomeno può però dar luogo ad un giudizio riflettente che mette a capo ad un
rapporto tra il fenomeno ed il soggetto che ne fa esperienza. Ad esempio: “questo
tavolo è bello”. Tale giudizio, che esprime una relazione tra mondo fenomenico e
mondo noumenico del soggetto (aspetto morale), è un giudizio estetico: un giudizio
che “non può riferirsi ad uno scopo oggettivo, ossia assumere il suo oggetto entro la
relazione ad un fine – sia essa esterna, o utile, sia quella interna, o perfezione 99 così non deve confondersi con l’attrattiva, con l’emozione, con tutto ciò che, pur
potendo anche non essere disgiunto dal bello, non serve a caratterizzarlo. Due
specie di bellezza si possono infatti distinguere, quella libera (pulchritudo vaga) e
quella aderente (pulchritudo adhaerens):
 la prima indipendente dal concetto che si può avere del suo oggetto, o
bellezza per se stante;
 la seconda condizionata perchè aderente al concetto che si ha del suo
oggetto.
La bellezza di un fiore, ad esempio, per il giudizio di gusto è tale
indipendentemente dallo scopo che il botanico riconosce al fiore stesso nella vita
della pianta, dunque si stratta di bellezza libera; mentre la bellezza di un edificio, o
della stessa figura umana presuppone un concetto di scopo che inerisce alla
perfezione della cosa considerata: si tratta in tal caso di una bellezza aderente,
condizionata cioè dal concetto della perfezione dell’oggetto”.100
Ora, il bello che trova nella sua forma il suo limite, ossia la bellezza che ha a che
fare con le forme in quanto limite esteriore che con-forma l’aspetto, include nella
sua forma una finalità: per cui l’oggetto sembra come predisposto per il nostro
giudizio. Si tratta, secondo Kant, di un accordo percepito immediatamente nel
giudizio estetico in quanto giudizio riflettente. Tale finalità percepita nel giudizio
estetico può anche essere pensata nel giudizio riflettente telelogico: si rende
possibile per Kant allora, il pensiero di una natura con una finalità oggettiva.
99
Marzorati, Da Bacone a Kant, Vol. IIII.
Ibidem.
100
Domande in sintesi e modalità di risposta:
1)
Come è possibile la conoscenza in Kant101?
Kant applica il suo approccio critico all’esame delle condizioni e dei limiti della
conoscenza, svolto nella Critica della Ragion Pura, che si propone di giudicare ,
da parte delle stesse facoltà conoscitive, il loro funzionamento.
Il nuovo punto di vista mira a superare l’unilateralità delle tradizioni filosofiche
quali Empirismo e Razionalismo. La posizione kantiana, rispetto a queste
tradizioni effettua una rivoluzione copernicana: la conoscenza è il risultato di
una sintesi dei dati empirici operata dall’intelletto mediante forme a priori
(trascendentali o pure) ossia strutture di organizzazione di dati non derivanti
dall’esperienza. Gli oggetti della
conoscenza sono quindi strutturati dal
soggetto, sebbene a partire dai contenuti dell’esperienza. In questo senso la
scienza è costituita da giudizi sintetici a priori, affermazioni dotate di:
1) Universalità e necessità, in virtù della universalità delle forme a priori, come
accade nei giudizi analitici;
2) Nuovi contenuti conoscitivi ricavati dall’esperienza, come accade nei
giudizi sintetici.
Le intuizioni
pure sono rappresentazioni trascendentali ossia non ricavate
dall’esperienza. Esse rappresentano le strutture mediante cui il soggetto ordina i
dati empirici per sottoporli alle successive elaborazioni.
Come opera l’intelletto?
L’intelletto pensa, svolge cioè una funzione attiva nella strutturazione dell’oggetto
della conoscenza, a differenza della sensibilità, la cui funzione è prevalentemente
ricettiva. Esso applica una unificazione ed una connessione dei dati empirici
mediante categorie e concetti puri, che sono forme a priori di classificazione, di per
sé vuote di contenuto e che operano legittimamente solo sul materiale fornito
dall’esperienza. 102 Si ricordi che le categorie kantiane, a differenza di quelle
aristoteliche, non hanno valenza ontologica ma solo logica.
Quali sono i confini della conoscenza?
Mediante l’introduzione dei concetti di fenomeno e noumeno, emergono alcune
conseguenze:
1) Non può darsi conoscenza senza contenuto empirico;
101
102
Geymonat, cit. pag. 722
Ibidem.
2) Visto che l’oggetto della conoscenza è la rielaborazione mediante le forme a
priori del contenuto empirico, ciò che viene conosciuto non è la realtà in se
stessa, ma ciò che viene recepito ed organizzato dalle facoltà conoscitive,
segnatamente dall’intelletto.
Da ciò deriva l’affermazione kantiana secondo cui la conoscenza è limitata ai fenomeni
ossa a ciò che appare, da intendersi come rielaborazione concettuale dei dati empirici.
Al fi fuori di questi confini si estende l’ambito noumenico, ovvero ciò che è
meramente pensabile, ma non conoscibile. I noumeni rappresentano oggetti di
pensiero senza correlati empirici: le cose in sé, ossia la realtà in se stessa che
viene presunta come fondamento delle percezioni sensibili, ma di cui non si ha
esperienza. I noumeni allora rivelano:

da un lato il limite della conoscenza umana;

dall’altro rivelano una spontaneità di pensiero che va oltre la mera
organizzazione dell’esperienza.
Quale rapporto lega ragione e realtà nella riflessione hegeliana?
La riflessione di Hegel rappresenta il compimento dell’idealismo, dal momento che in essa
si realizza compiutamente la coincidenza tra pensiero e realtà: tra soggetto ed oggetto.
Hegel critica la filosofia precedente, in particolare quella illuminista e kantiana, poiché ha
riconosciuto il primato conoscitivo dell’intelletto, facoltà della determinazione che individua
e descrive i singoli fenomeni., ma è incapace di vedere le loro relazioni ossia di costruire
un quadro unitario della realtà. Tale realtà per H. è intimamente razionale poiché non
esiste propriamente un reale indipendente dal pensiero che lo pensa: la mera naturalità,
estranea al pensiero, non assume significato quindi non ha nessuna consistenza.
Come viene inteso da Hegel l’Assoluto?
L’assoluto è la realtà nel suo insieme, concepita come unità mediata delle opposizioni.. In
effetti, per Hegel la realtà è percorsa da contrapposizioni che, pur apparendo inizialmente
inconciliabili, si manifestano invece come negazioni determinate le une delle altre. I poli
della contrapposizione risultano quindi dalla loro relazione, pertanto sono complementari
e solo considerandoli nel loro rapporto è possibile comprenderli e conseguentemente
conoscerli adeguatamente, superando l’unilateralità di uno sguardo superficiale.
L’Assoluto è quindi una totalità articolata al suo interno in cui gli opposti non vengono
cancellati ma mediati, ossia compresi nella loro coappartenenza. Ancora l’Assoluto può
esser compreso solo con una riflessione razionale, un articolato percorso conoscitivo fatto
di passaggi graduali, quindi non con una intuizione immediata.
Romanticismo
Ad una prima lettura del termine “Romanticismo”103, esso indica quell’indirizzo
culturale che trova la sua nota qualificante nell’esaltazione del sentimento e che si
concretizza esplicitamente nei rappresentanti del circolo tedesco di Jena. Tuttavia questo
modo di intendere il movimento romantico, può risultare riduttiva in quanto rischia di
privilegiare esclusivamente l’uso letterario ed artistico mettendo in ombra l’aspetto
filosofico.
In effetti ad una lettura più approfondita, il Romanticismo può essere considerato
come una situazione mentale di ordine generale che si riflette nella letteratura come nella
filosofia., nella politica come nella pittura. Questa seconda lettura ha il vantaggio di
prospettare il Romanticismo come una “costellazione” di idee che sorge in relazione a
determinati aspetti storico sociali:
il cesarismo napoleonico;
la restaurazione;
i moti nazionali;
il fallimento della Rivoluzione francese.
Potremmo dire quindi che il romanticismo si nutre si aspetti antitetici a quelli
dell’illuminismo.
Romanticismo : nasce alla fine del settecento con il
circolo di Jena (Schlegel, Novalis, Hordelin) ed è
caratterizzato da:
Esaltazione del
sentimento o della
ragione dialettica
(Hegel) come
strumento per cogliere
l’Assoluto
103
Abbagnano, cit. pag. 336.
Valorizzazione
dell’arte e
dell’amore come vie
di accesso all’infinito
Concezione della vita
come inquietudine e
tensione desiderante
Concezione
provvidenzialistica
e giustificazionista
della storia
Esaltazione della natura e
panteismo
Tema della evasione
trascendentismo
Con aspetti antitetici all’Illuminismo ci riferiamo ad una concezione illuminista della
ragione empiristico-scientifica che aveva sbarrato le porte alla metafisica , incriminata
del bagno di sangue della Rivoluzione francese e del militarismo napoleonico, una ragione
incapace di comprendere la realtà profonda dell’uomo, dell’Universo e di Dio. Alcuni
aspetti essenziali possono essere:
 esaltazione del sentimento e della forza dell’immaginazione(Sturm und
Drang): organo essenziale per penetrare la vita ed il senso dell’infinito. Una
categoria spirituale ignorata dall’antichità classica e che nel settecento
illuminista aveva cominciato ad emergere;

Origine
termine

periodo

Centro
diffusore


rivalutazione della fede come forma di intuizione del tutto;

condanna della concezione lineare del progresso.
Dal tedesco Aufklarung, (rischiaramento):
del 
indica la luce della ragione che illumina
l’intelletto permettendogli di svincolarsi da ogni
forma di superstizione e di pregiudizio

Dall’inglese romantic che
nel Seicento indicava l’aspetto
fantasioso
del
racconto
cavalleresco
o
stravaganti
narrazioni
prive
di
verosimiglianza. I protagonisti del
circolo di Jena non si definivano
romantici ma usarono questo
termine in modo significativo

sorto alla fine degli anni venti del 
sorse nell’ultimo decennio
Settecento, caratterizzo tutto il secolo, definito il del Settecento e caratterizzò la
secolo dei Lumi
prima metà dell’Ottocento

L’inghilterra monarchica e costituzionale
costituisce il riferimento essenziale del
movimento illuminista sebbene il maggior centro
diffusore fu la Francia

In Germania fu anticipato
dallo Sturm und Drang – 1780 –
Herder, Jacobi, Schiller; nacque
col circolo di Jena
che si
sviluppò tra il 1794 ed il 1801.
la conoscenza può derivare solo dalla
caratteristiche 
ragione umana guidata dai sensi. L’unica
dimensione di cui la mente umana si può
occupare senza cadere in contraddizione è la
realtà concreta così come viene mostrata dai
sensi e non la realtà astratta del razionalismo
seicentesco

In
polemica
con
la
razionalità illuminista, riafferma il
valore del sentimento e della
forza dell’immaginazione contro i
limiti del finito e la sterile
razionalità formale . Esalta la
centralità dell’individuo e della
vita che il soggetto deve
trasformare in opera d’arte.
Rivaluta la religione e soprattutto
l’arte che consente al soggetto di
accedere
all’Assoluto,
cosa
impossibile per la ragione.

Rapporto con 
La ragione non può spingersi oltre i limiti
dell’esperienza, non può giungere alla
l’Assoluto
conoscenza della verità ultima ed assoluta
poiché essa è un progresso infinito ed indefinito
a cui partecipano tutti gli individui

La ragione non può
conoscere l’Assoluto ma l’uomo
può
avvicinarsi
ad
esso
attraverso il libero esercizio
dell’immaginazione: la filosofia
deve diventare poesia

Natura

Concezione meccanicistica della natura
secondo cui la materia è considerata passiva
ed inerte e governata da forze immateriali.
Concezione materialistica della nascita e della
riproduzione della vita

Critica della concezione
moderna
della
natura
caratterizzata da meccanicismo
e strumentalismo Concezione
vitalistica
della
natura
e
panteismo come spinozismo

Religione

Rifiuto dei dogmi religiosi e diffusione
delle concezioni filosofico religiose di matrice
razionalistica caratterizzate da: negazione delle
religioni storiche,
fiducia nella libertà di
pensiero,fiducia nell’esercizio della ragione

Rivalutazione della fede e
sua importanza in quanto forma
di intuizione del tutto: consente
di cogliere l’infinito nel finito,
elevandoci all’universale

storia

Critica della storia provvidenziale. La
storia è considerata un faticoso cammino verso
il progresso culminante nel moderno secolo dei
lumi

Condanna
della
concezione lineare di progresso.
Rivalutazione di tutte le epoche
storiche , anche di quelle oscure
come il medioevo

Fichte se ne
distanzia :
Assoluto come
soggetto
Unione io-natura :
Goethe , Holderlin,
Novalis, Schelling:
spiritualità della natura
Assoluto
come totalità:
esprime
Unione ragione sentimenti :
Schiller: anima bella;
Schelling:naturalità dell’uomo;
.
unione io-altri:
Fichte, Herder: unità degli
individui nel popolo
Hegel
Kant ed Hegel
Kant distingue il conoscere dal pensare: il conoscere ha come oggetto
l’esperienza, il pensare ha come oggetto la cosa in sè. Kant pretende quindi di parlare
solo in negativo della cosa in sè, ponendo dei limiti al pensare. L’idealismo,viceversa,
nega la tesi kantiana dell’inconoscibilità della cosa in sè: al di là del pensiero, per
l’idealismo, non c’è nulla, proprio perchè nulla sfugge al Pensiero. In questo senso, il
Pensiero non è una parte della realtà, non è una cosa tra le cose, proprio perchè le cose
sono pensate, non può essere una cosa, ma sono le cose a poter essere rappresentate
nel Pensiero104.
Pensiero non trascendente, peculiare di Dio. Il Pensiero esprime dunque l’essenza
dell’uomo. “Essenza divina”, si potrebbe dire, perchè per l’idealismo il Pensiero è
l’Assoluto: il Pensiero è allora l’intrascendibile, ciò all’interno del quale tutto accade. In
questo senso l’Assoluto ossia il Pensiero è Sostanza: il Pensiero come Assoluto esprime
quindi l’idea che il Pensiero sia Sostanza ossia ciò che è in sè e per sè e che non
abbisogna di altro cui inerire105. In questo senso il Pensiero non è il singolo atto umano,
non è un atto della sostanza individuale umana bensì la stessa Sostanza infinita che
differisce dal singolo atto del pensare dell’individuo concreto e sostanziale. Piuttosto il
Pensiero “può” esser espresso dall’Io Trascendentale di Kant, con l’avvertenza che
nell’idealismo il pensiero non è limitato dalla cosa in sé.
Sussiste poi una ulteriore questione: il concetto di cosa in sè, per Kant, non è
ulteriormente indagabile ma necessario per stabilire i limiti della conoscenza. La critica
kantiana, viceversa, andando oltre il dettato kantiano, intende la cosa in sè come una
realtà al di là dei fenomeni e causa di essi. Per cui il concetto di cosa in sè appare
doppiamente contraddittorio:
1)
Esiste una realtà oltre i fenomeni ma la conoscenza è limitata ai fenomeni;
2) Tra la cosa in sè ed i fenomeni esiste un rapporto causale estendendo così oltre
l’esperienza l’uso di una categoria valida solo al suo interno.
Ancora, secondo la critica idealista e romantica, Kant è fonte di dualismi irrisolti:
104
105
E.Severino, Storia della Filosofia Moderna, cit. pag. 165 e sgg.
Ibidem.
1) Limitazione della conoscenza al finito;
2) Contradditorietà del concetto di cosa in sè;
3) Scissione delle facoltà umane;
4) Superiorità della Ragion pratica .
Idealismo e soggetto trascendentale
Le critiche mosse alla concezione kantiana di una cosa in sè, indipendente dalla
conoscenza, la concepiscono come il limite o il residuo del dato empirico106. Il risultato di
tale operazione, rende la Ragione o coscienza l’unico principio della conoscenza: non solo
nella sua forma, funzione già attribuita da Kant alle strutture a priori dell’intelletto, ma
anche della sua materia, ovvero delle cose che si presentano nell’esperienza stessa. In
questo senso, eliminata la cosa in sè, l’unica realtà è quella presente allo spirito. Ora, lo
spirito, la coscienza, che sperimenta il limite imposto ai suoi atti dalle realtà, come può
essere considerato il “creatore” di questa realtà? In primis, gli idealisti, che attribuiscono
creatività allo spirito, soggetto, coscienza, parlano dell’Io Trascendentale: un principio che
si attua nell’umano ma non si riduce ai singoli uomini. Tale principio, per l’idealismo,
conduce a tre diversi aspetti:
1) Centralità del soggetto: la realtà è considerata in funzione del soggetto o dello
spirito, anche se non inteso come individuo, ma come principio infinito di cui
l’individuo, così come la realtà di cui fa esperienza, non è che una
manifestazione;
2) La realtà naturale è considerata manifestazione di quello spirito immanente che
prima di assurgere alla consapevolezza si sviluppa attraverso la natura;
3) La storia, è considerata come lo svolgimento del principio infinito, prima
attraverso le vicende naturali, quindi in quelle dell’umanità.
Il valore del singolo risiede nella manifestazione ed incarnazione del principio infinito,
mentre la sua libertà consiste nell’adesione a tale principio, guidata dalla consapevolezza
di essere “creatore” della realtà, dominatore della natura e protagonista della storia.
Hegel, in particolare non intende più pensare l’Assoluto come Io trascendentale:
l’Io deve sempre essere contrapposto a un non Io o a un oggetto o a una cosa in sè,
rispetto a cui resta in un rapporto di estraneità. Hegel esce quindi dal soggettivismo per cui
l’Assoluto diventa il Pensiero stesso.
In seconda battuta, tutti gli attributi dell’Assoluto diventano attributi del Pensiero.
Hegel continua quindi Kant: Kant aveva tradotto la sostanza, la causa, la possibilità, da
Geymonat, cit. pagg. 750 e sgg
106
termini ontologici in termini
logici (le categorie kantiane). Hegel, in misura ancora
maggiore, ritiene che questi attributi non siano delle cose, come determinatezze che
sono, come sostanza, ma siano tutte determinazioni del Pensiero. Con l’avvertenza che il
Pensiero non si contrappone all’oggetto, alla cosa in sè: in Kant le categorie sono formali
solo in quanto la cosa in sè le rende possibili, sono funzioni di. In Hegel, diversamente, le
categorie esistono indipendentemente dall’esistenza di una cosa in sè.
Assoluto e Soggetto: Fichte
Altra determinazione essenziale dell’Assoluto107 è il suo essere soggetto: Hegel
accoglie quindi la fondamentale intuizione fichtiana in base alla quale l’Assoluto deve
essere soggetto. Quella intuizione in basa alla quale nel porsi dell’Io, da parte dell’Io a se
stesso,
in quel momento l’Io è assoluto. Non è assoluto in quanto l’Io è sostanza,
qualcosa di indipendente; piuttosto l’Io è indipendente nel momento in cui esso si pone.
Nell’autoporsi dell’Io, l’Io pone quindi la sua assolutezza. In questo aspetto, Fichte va
107
Largamente presente nel platonismo medievale e rinascimentale, in particolare nelle correnti mistiche, tale concezione
dell’a. riceve nuova linfa vitale dall’idealismo tedesco posteriore a Kant – e anzi in aperta polemica con le conclusioni
scettiche della terza parte della Critica della ragion pura ), la Dialettica trascendentale, riguardo alla possibilità di
conoscere l’assoluto La speculazione intorno all’a. è infatti al centro dell’idealismo oggettivo di Schelling e di Hegel,
che inizialmente prendono le mosse da un a. indifferenziato, assimilato da entrambi alla «notte». Ben presto, tuttavia, le
due filosofie prendono strade diverse. Mentre Schelling resterà sostanzialmente fermo a quella che Hegel definirà
ironicamente una «notte in cui tutte le vacche sono nere» (Fenomenologia dello Spirito, 1807), Hegel si attesta sul
concetto di un A. che ha in sé la differenza, definito fin dagli anni giovanili «identità dell’identità e della non
identità». Il concetto era già noto al neoplatonismo, che lo usava per descrivere l’attività dell’Intelletto o υοῦς, ma non
poteva trovare applicazione all’Uno, imprimendo quello che Hegel definirà un tratto di «orientalismo», cioè di
irrazionalismo mistico, a tutto il sistema neoplatonico. Hegel propende invece per una «mistica razionale», una mistica,
cioè, nella quale all’A. non si arrivi attraverso una intuizione improvvisa (il «colpo di pistola» della Fenomenologia –
altra allusione a Schelling), ma attraverso una dimostrazione. La realizzazione di questo complesso programma
filosofico è affidata principalmente a uno strumento: la «mediazione che toglie sé stessa», o «mediazione della
mediazione». Tale concetto, illustrato soprattutto nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817), consiste – come
nelle cosiddette prove «a posteriori» della tradizione tomistica – nel partire ancora una volta dal finito per arrivare
all’a., per poi scoprire, invece, che il finito, da cui l’a. pareva dipendere come punto di partenza, è in realtà un prodotto
dell’a. stesso, nel quale si dissolve, come il cibo, che pure dà inizio al processo digestivo, si scioglie nei succhi gastrici e
diventa una sola cosa con questi. Analogamente, nel processo hegeliano di mediazione, l’a. distrugge ciò da cui in un
primo tempo pareva dipendere, e si rivela il vero protagonista dell’intero processo dialettico. Nelle lunghe Aggiunte ai
§§ 80 e 92 dell’Enciclopedia Hegel precisa che l’apparente consistenza e identità delle cose finite è opera della «bontà»
dell’a. (di Dio), ma che superiore alla bontà dell’a. è la sua «potenza», in virtù della quale le cose finite appaiono per
quello che realmente sono, e cioè un suo prodotto privo di autonoma sussistenza. L’a. si conferma così, a pieno titolo,
un vero a., cioè un incondizionato. Resta naturalmente una fondamentale differenza con qualsiasi concezione mistica
dell’a., in particolare quella che Hegel tiene costantemente presente quando parla di Jacobi e del «sapere immediato».
Nella concezione hegeliana l’a. è processualità, anzi l’a. si può e si deve confermare tale solo ed esclusivamente nella
processualità, perché solo nella processualità si può confermare come il signore di tutto. L’a. dei mistici si condanna a
una «inerte solitudine», dalla quale risulta più la sua impotenza che la sua potenza. L’a. di Hegel non ha nessun timore
di entrare nel tempo e nello spazio attraverso l’alienazione , perché spazio e tempo sono dentro di lui, e l’alienazione è
momentanea, apparente, è un «gioco» – termine e concetto già presenti nella filosofia neoplatonica – che egli
intraprende seco stesso.
oltre Kant: l’Io di Fichte, in confronto all’Io di Kant, è autoposizione; il pensarsi dell’Io
esprime quindi l’assolutezza dell’Io.
In effetti Fichte, in una fondamentale recensione dell’Enesidemo (Schulze),
accoglie le osservazioni di Schulze almeno per ciò che riguarda il principio di coscienza. A
tale riguardo, Fichte sostiene che quest’ultimo non può essere considerato il Principio
assolutamente primo della filosofia in quanto la rappresentazione identifica il fatto della
coscienza, la sua essenza empirica e materiale e non costituisce quindi un autentico
cominciamento trascendentale del filosofare. Principio della Filosofia, secondo Fichte,
dev’essere un atto e non un fatto. Considerare la rappresentazione come il principio
primo della filosofia significa quindi rimanere in un’ottica puramente critica ossia limitarsi a
dedurre (in senso kantiano) le condizioni di possibilità di quel tal fatto della struttura della
ragione.108Si tratta piuttosto di chiedersi quale sia l’essere della ragione: a tale domanda
Kant aveva già risposto, in linea di principio ossia la praticità e spontaneità ossia la sua
libertà ed autonomia. La praticità della ragione spinge dunque Fichte ad elaborare il suo
sistema filosofico: la ricerca della genesi di tutte le forme della ragione che mette capo ad
una intuizione, un atto della ragione, che si coglie nella propria interezza 109.
Nello specifico Fichte:
i.
L’Io pone se stesso assolutamente; Per Fichte il primo principio è
“Tathandlung”, contrapposto a “Tatsache” (stato di fatto) : atto che si realizza
da sè (“Handlung” è inteso come azione, contrapposto a “Sache” - “cosa di
fatto”)110
ii.
L’IO assoluto oppone a se stesso un NON Io altrettanto assoluto;
iii.
Nell’Io Assoluto, l’Io divisibile si oppone ad un NON Io altrettanto divisibile.
Il primo principio non si riferisce ad un fatto bensì all’atto della ragione che accade al di
fuori dello spazio e del tempo: una condizione trascendentale dell’intera attività della
ragione. Fichte utilizza a questo proposito il termine Tachtandlung: con questo termine
ci si riferisce al:
 fare come operare;
 fare come condizione;
 fare come risultato.
In questo senso l’Io è il risultato della sua stessa azione.
Cioffi, Cit. pagg. 69 e sgg.
Ibidem.
110
Il primo principio è intuizione pura e non può essere dedotto: né quanto alla forma, in quanto esso è presupposto
anche da principio di identità A uguale ad A; nè quanto al contenuto poichè il contenuto di questa intuizione si pone
liberamente con questa stessa intuizione. Cfr. Cioffi. Cit. pag. 92 e sgg.
108
109
Il secondo principio enuncia la finitezza e la contingenza della ragione umana: così
come Kant affermava la libertà un fatto della ragione, così per Fichte è immotivata ed
ingiustificabile la spontaneità e libertà dell’Io. Ora, seconda condizione trascendentale del
sapere umano è il suo rapporto con una realtà altrettanto assoluta (il dato sensibile) ,
nella sua contingenza e gratuità, della ragione umana. Ma assoluto è anche il rapporto
con la realtà, che vien posto non appena vien posto l’Io.
Il terzo principio non si riferisce ad un principio trascendentale ma descrive la condizione
della coscienza reale. Da un lato, la coscienza reale è determinata dalla sua spontaneità,
dall’altro dalla sua intrinseca contingenza: essa è allora limitazione o “divisibilità”
(Teilbarkeit) intrinseca alla esigenza di spontaneità. Finitezza costitutiva che tende però,
per sua natura, all’assoluto.
Schematicamente:
1) A-------------------------------------------------------------------------------------- verso infinito
2) A--------------------------------------------------------------------------------------\C
3) A:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::\C
Per altro verso111, Hegel fa notare come non sia più possibile pensare l’Assoluto
come Io: se l’Io è assoluto non ha più senso pensarlo come Io, in quanto l’Io è sempre
contrapposto, per Fichte, ad un NON IO, ad una cosa in sè, rispetto al quale permane un
rapporto di estraneità. Hegel accoglie quindi il contributo fichtiano dell’assolutezza dell’Io
per andare oltre il soggettivismo. L’Assoluto hegeliano
presenta quindi
delle
caratteristiche diverse dalla tradizione precedente: da oggetto del pensiero diventa il
Pensiero stesso.
Fichte ed Hegel
L’idealismo è considerato una filosofa dell’immanenza, in cui non c’è più
posto per un Dio persona come quello del cristianesimo, ma per una
razionalità che si dispiega nella storia diventando Spirito attraverso
l’umanità, per un assoluto che diventa ogni realtà, senza trascendenza. Se
Fichte, prima accusato di ateismo identifica poi l’assoluto con Dio, Hegel
invece indica nella religione uno dei tre momenti dello spirito assoluto; ma il
primato spetta alla filosofia, l’unica capace di cogliere concettualmente lo
Spirito assoluto e di razionalizzare la realtà
Hegel
Il metodo di Hegel è espresso dalla dialettica dell’Idea, mentre , sempre
per Hegel, la storia è razionale ed ha una finalità generale ossia la libertà di
tutti. Lo Stato per Hegel è anteriore al punto di vista dei cittadini per cui la
singola esistenza empirica altro non è che l’incarnazione dell’Idea.
111
Prof. Lucio Cortella, 1991, Venezia: Corso monografico
La Fenomenologia dello Spirito
La Fenomenologia dello Spirito è considerata una delle opere fondamentali per la
comprensione del sistema filosofico hegeliano: nel 1806 Hegel annunciava quest’opera
come premessa a un corso di Logica e Metafisica, concepito a sua volta come prima parte
del sistema della scienza” comprendente , nella seconda parte, la filosofia della natura e
dello spirito. Premessa che mette a tema le diverse esperienze che la coscienza deve
compiere per avere accesso al sapere dell’Assoluto112. Particolare, nella Prefazione,
il “bisogno di filosofia” viene posto in relazione al fatto che la presente è un’epoca di
trapasso e transizione: verso un rinnovamento. Ed i suoi lineamenti essenziali, per
HEGEL, il suo “CONCETTO” , possono essere appresi da chi abbia guadagnato il punto
di vista della filosofia. Nella prefazione Hegel, alla confutazione delle filosofie di Kant,
Fichte, Jacobi, si aggiunge la critica a Shelling. Secondo Hegel, l’Assoluto schellinghiano
- assoluta identità di soggetto ed oggetto, finito ed infinito - è la famosa notte in cui tutte le
vacche sono nere , per rimarcare la confusa indistinzione e vuota uguaglianza in cui
nessuna determinazione finita è mantenuta.
La scienza di cui il tempo presente ha bisogno si può allora sviluppare in riferimento
al fatto che il vero è esprimibile non come sostanza bensì come soggetto. Non l’Essere
opposto al Pensiero, né il Sapere opposto all’Essere, come momenti distinti e separati. In
questo senso ricadono in una concezione sostanzialistica sia il Dio di Spinoza, nella cui
definizione sembra andar smarrito l’elemento soggettivo dell’autocoscienza; sia l’Io
fichtiano, come pura ed astratta autocoscienza. Sia infine l’identità schellighiana in cui
l’indifferenza tra finito ed infinito, soggettivo ed oggettivo si presenta come inerte
semplicità. Il vero invece per Hegel è Soggetto: l’Assoluto non sta nè nell’Essere
immediato separato dal pensare, né nell’immediatezza dell’autocoscienza, nè nella loro
unità immediata: l’Assoluto è bensì unità mediata.113 Ancora, l’unità dell’Assoluto è
identità che non va perduta nel divenir altro: non ha bisogno dunque di restare
immobile in sé per conservarsi identica a sé. Non allora la rigida identità della
Sostanza bensì la mobile identità di un Soggetto che permane e si sa identico in tutte le
sue molteplici manifestazioni. Questo è il senso della concezione hegeliana di Assoluto
come Spirito: espressa nella Fenomelogia quando si afferma che l’Assoluto è l’intero ossia
112
Cioffi, Cit. Pagg. 243 e sgg.
Ibidem.
113
l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. L’assoluto è dunque movimento i cui
momenti non hanno senso se presi isolatamente114.
Si diceva che la Fenomenologia è la storia delle esperienze della coscienza:
esperienze sia pratiche che teoriche. Lungo questo percorso, la coscienza si presenta
innanzitutto come coscienza con una struttura bipolare (aspetto questo, del porsi in altro
dell’Assoluto): io\non io; io\oggetto, in cui essa avverte come altro da sè l’oggetto, sia esso
l’oggetto dei sensi, della percezione, dell’intelletto, un’altra autocoscienza. Alla fine del
percorso però la coscienza, nello stadio del sapere assoluto, giunge a far propria la
prospettiva dell’identità tra soggetto ed oggetto. Le diverse figure della coscienza quindi
sono aspetti necessari dell’Assoluto, che nella sua storicità di figure ed aspetti, si
manifesta in altro: sapere assoluto che non è nient’altro che lo spirito. Fenomenologia
quindi del manifestarsi dello Spirito. Una storia del manifestarsi dello Spirito nelle sua
diverse figure, uno sviluppo necessario.
Si badi dunque che il sapere che la coscienza acquisisce nel progredire delle sue
esperienze e che si manifesta alla fine del percorso come sapere l’assoluto non è
differente dall’Assoluto: tra sapere l’assoluto ed Assoluto vi è identità: solo a questa
condizione diventa possibile per il sapere conoscere l’Assoluto.
Fenomenologia
:scienza
dell’esperienza della
coscienza
Studia i modi attraverso cui la
coscienza comune si manifesta
per giungere al sapere assoluto
Libera la coscienza naturale dalle
false opinioni e la conduce alla
scienza
Le figure dell’itinerario fenomenologico
permettono di mettersi dal punto di vista
della coscienza in ognuno dei suoi momenti
mostrando l’infondatezza della sua pretesa
di esprimere l’essenza della realtà
Esperienza della coscienza:
processo di
autofalsificazione di ogni
figura
114
Ibidem.
Momento
dialettico
Sapere: al fine di conoscere
l’oggetto, la coscienza
rapporta
Essere siper
adlaesso
coscienza
Verità: la coscienza avverte l’oggetto
in sé
come Essere
qualcosa
di distinto
dell’oggetto
Rovesciamento della
coscienza: verità e sapere
sono due modi di essere della
coscienza
La verità è
immanente
al pensiero
Nella fenomenologia dello Spirito
Si presentano le tappe della vita
dello Spirito nel suo percorso
verso il Sapere Assoluto che sono:
La fase
della
coscienza
La fase della
autocoscienza
Si afferma una visione
giustificazionista della
storia infatti:
Lo sviluppo dialettico della
realtà necessita della
contrapposizione e della
nagazione ma le supera in una
La fase
della
ragione
La coscienza conquista la
consapevolezza di sé e
della propria funzione
costitutiva del senso
delle
lavoro
cose
Si identifica con il
Rivela l’intrinseca razionalità
L’autocoscienza
La coscienza
sapere assoluto e lo
della storia e giustifica ogni
si eleva a
ottiene la
stesso sistema
evento all’interno di una
ragione ed
conferma della
hegeliano
visione onnicomprensiva
assume in sé
propria identità e
ogni
lavoro
realtà deriva dal latino “labor”, che significa in prima istanza
libertà Il termine
fatica, così come il verbo “laborare” ha come significato principale
“affacendarsi”, e solo in seconda battuta significa anche “lavorare”,
seguire. Questo duplice significato si è conservato anche nella lingua
italiana nei termini laborioso e laboriosamente, che significano
anche “difficoltoso” e “con fatica”.Nella tradizione classica e
medioevale il termine labor è associato alla condizione servile, mentre
il corrispettivo pe gli uomini liberi è “negotium”, come opposto
all’”otium” ossia nel significato di “attività”, “occupazione”
Fichte
Il lavoro rappresenta in F. la dialettica dell’Io divisibile (l’umanità) con
il, non divisibile (la natura): modificando ed umanizzando il mondo ,
l’Io prende coscienza di sé, diviene autocosciente. Questo processo
riguarda ogni singolo individuo che mediante quest’opera di
trasformazione del non-io si realizza moralmente e raggiunge
l’autocoscienza . proprio per l’importanza di questo processo, nel
cosiddetto periodo socialista, F. afferma che lo Stato deve garantire a
tutti una proprietà terriera in modo che ognuno possa realizzarsi
moralmente mediante il lavoro raggiungendo l’autocoscienza
Hegel
il lavoro, per lo Hegel della Fenomenologia (Signoria\servitù) assume
una funzione formativa che consente il raggiungimento
dell’autocoscienza. Infatti, nel lavoro l’uomo si confronta con le cose,
le trasforma ed in queste attività si oggettiva, diventa in qualche
misura la cosa, proiettando in essa le proprie capacità, le proprie
caratteristiche, la propria interiorità. In questo modo, si riconosce nella
cosa trasformata dal lavoro, , vi vede se stesso e prende coscienza di
sé. Il momento della oggettivazione nella cosa, della alienazione, è
condizione per la presa di coscienza di sé, per il raggiungimento della
autocoscienza. Hegel attribuisce una funzione molto importante
anche alla professione perché mette il singolo in rapporto alla
comunità.
Lo Spirito
La coscienza e le sue esperienze sono modi di manifestarsi dell’Assoluto, che
Hegel chiama anche Spirito. Le diverse figure fenomenologiche della coscienza sono
allora “tappe” del modo di manifestarsi dello Spirito o meglio dell’automanifestarsi dello
Spirito. Lo Spirito si manifesta dunque nella coscienza singola che fa esperienza di sè ma
anche, come Spirito, nelle Istituzioni, nella comunità, assumendo dunque la forma di
coscienza comune, condivisa da un gruppo sociale, dal popolo. Lo Spirito cioè si
oggettiva in determinati contesti storici, nello spazio e nel tempo. Quindi Hegel denomina
Spirito non solo l’Assoluto ma anche l’agire di una collettività o del popolo: la dimensione
intersoggettiva e preterindividuale. Nello specifico, lo Spirito secondo Hegel:
1) Rappresenta il sostrato o la sostanza comune, cui gli individui partecipano, pur
mantenendosi nella reciproca diversità e indipendenza: Io che è Noi, Noi che Io.
Hegel qui allude a quell’insieme di tradizioni, legami culturali, idee, valori, che fa
di un insieme di individui un gruppo, di un insieme di aspetti
culturali\valori\tradizioni un mondo;
2) Rappresenta il prodotto dei singoli, dell’agire di una comunità;
3) Rappresenta l’opera, la attività e quindi la soggettività che si manifesta nel
tempo: in un battuta lo spirito è storia. Esso si manifesta in diverse epoche o
mondi spirituali differenti; mondi differenti come effettive realtà (Wirklichkeiten).
In riferimento a queste figure della fenomenologia, le prime figure, quelle della
coscienza individuale, sono delle Astrazioni ossia sono state “tratte fuori” per
essere analizzate. In effetti, la formazione della coscienza singola, avviene per
sulla base della cultura di appartenenza, condizionandone il proprio punto di
vista sul mondo. Per converso, il singolo, la coscienza individuale, prende mano
a mano coscienza, approfondendo la propria esperienza, della sostanza
spirituale del proprio tempo. Sostanza erede dello spirito delle epoche
precedenti e anticipatore del tempo nuovo che sta sorgendo: tempo i cui tratti
spetta alla filosofia comporre in sistema.
Articolazione dell’opera
Prefazione
Introduzione
A) Coscienza:
- certezza sensibile:
Percezione; certezza
che le rappresentazioni siano riferite all’oggetto; Forza ed intellletto
B) Autocoscienza:
la verità della certezza di se stesso: la coscienza si
vede qui come appetito – Begierde – che vuole essere appagato. Aspetto
pratico della autocoscienza e non teoretico.
C) Grande sezione suddivisa in :
Ragione;
Spirito;
Religione;
Sapere assoluto: figura che prevede il superamento della distinzione
soggetto\oggetto; propria della coscienza. Lo Spirito, in particolare, ha non
solo come oggetto se stesso, ma ha se stesso come oggetto nella forma del
concetto e non della Rappresentazione, tipica della coscienza nelle sue fasi
iniziali. Ciò accade appunto nel Sapere assoluto, che corrisponde
all’autocoscienza dello Spirito in forma concettuale o scienza, ossia nella
forma del sistema filosofico.
Hegel riafferma l’idea greca di unità
di pensiero ed essere
logòs
Ordine razionale del reale
Discorso umano sul
reale
Ciò che è razionale è reale e ciò
che è reale è razionale
Una sostanza soggetto:
attiva: dialettica;
autocosciente: Spirito
È possibile conoscere l’essenza della realtà
ossia l’Idea . Essa è:
Il sistema filosofico
La prospettiva delineata nella Fenomenologia dello Spirito, ossia la prospettiva della
formazione della coscienza, lascia spazio, nello Hegel maturo, all’esposizione del sapere
assoluto: la filosofia esposta in modo matematico, enciclopedico. L’esposizione del Sapere
assoluto non pregiudica però quanto era già emerso nella Fenomenologia: la storicità del
manifestarsi dell’Assoluto115. Piuttosto, la complementarietà tra il manifestarsi dei diversi
momenti storici dell’Assoluto e le categorie della logica esprime la cifra del sistema
hegeliano. Cifra perseguita nella Enciclopedia delle Scienze filosofiche, nella Scienza della
Logica , ne I lineamenti di Filosofia del diritto. Nello specifico Hegel ritiene che, in
riferimento alle altre scienze quali la Fisica, il Diritto, sebbene esse costituiscano un
presupposto da cui partire cronologicamente per arrivare all’esposizione del sistema
filosofico, solo la Filosofia può rivendicare il ruolo fondante del sapere, il ruolo logico e
fondativo del sapere. Essa costituisce dunque la verità delle scienze. E ne costituisce la
verità mostrando come lo stesso kantismo sia un errore: la cautela critica dei kantiani
appare tanto assurda “quanto il saggio proposito di quello scolastico che voleva imparare
a nuotare prima di arrischiarsi in acqua”116, ossia il proposito di esaminare con attenzione
lo strumento o gli strumenti della conoscenza quando invece, per H., le regole del pensare
speculativo sono parte dell’oggetto della Scienza della Logica, non le sono presupposte .
In altre parole per Hegel, il Sapere Assoluto in cui consiste la filosofia prevede,
sebbene alla fine dell’esposizione dell’intero processo di conoscenza, l’identità di Soggeto
ed Oggetto per cui non c’è un oggetto esterno al sapere. Il superamento della opposizione
soggetto\oggetto peraltro è già stato acquisito nella Fenomenologia: ma questa
acquisizioe svolta o determinata geneticamente nel processo storico di liberazione dalle
diverse figure filosofiche parziali della filosofia, è primo solo dal punto di vista psicologico e
storico, non logico.
Per quanto afferisce il contenuto, il sistema hegeliano si articola in tre grandi
sezioni:
1) La logica: scienza dell’Idea in sè e per sè. (Con Idea qui Hegel intende
l’identità di finito ed infinito, L’Idea, in buona sostanza esprime per H. il processo
115
116
Ibidem.
Ibdem.
del pensiero nella sua interezza soggettivo\oggettiva e si identifica con il Reale).
La logica studia il pensiero in quanto tale ed affronta reinterpretati un ampio
spettro di problemi metafisici;
2) La filosofia della natura: scienza dell ‘Idea nel suo alienarsi da sè. Fondazione
delle scienze della natura quali fisica, chimica e biologia;
3) Filosofia dello Spirito: scienza dell’Idea cha dalla sua alienazione torna in sè.
Discute i fondamenti dei saperi che riguardano l’uomo. COME INDIVIDUO
(Psicologia), come collettività (Diritto), per poi interessarsi dell’arte, della
religione e della stessa Filosofia.
La logica dialettica
Il compito della Logica, secondo Hegel, è quello di esporre l’automovimento del
concetto, ossia del pensiero in quanto tale. Ora, indipendentemente dagli ambiti del reale
in cui il pensiero si esplica, è possibile farsi un’idea della Logica di Hegel fissando
l’attenzione sulla attività del pensare così come essa si dà concretamente in qualsivoglia
contesto di applicazione. In particolare, il Pensare risulta essere una attività complessa,117
i cui momenti è possibile distinguere solo a fatica . Hegel, con la Logica, mira a dar conto
di tutti gli atti del pensiero preoccupandosi di ricondurli a loro fondamento comune ossia al
pensare stesso: del resto il pensare è appunto una attività, automovimento, sviluppo, e
questo carattere fluido del pensare si mostra nel fatto concreto che l’operazione del
pensare scorre da una determinazione ad un’altra. A riprova di ciò possiamo indicare
brevemente la determinazione Essere, che se fissata nel proprio significato conduce
inevitabilmente o meglio dialetticamente al significato Nulla per concludere al
significato Divenire. Per spiegare meglio tale aspetto, la Dialettica, in Hegel, si articola
come esemplificato in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi118. Tale procedere triadico
contrassegna il prodursi del pensiero, quanto lo sviluppo di ogni suo atto o momento. La
Logica infatti, presenta una partizione triadica, sia nella partizione generale che in ogni
singolo momento. Poichè - d’altra parte – se la logica studia il pensiero nella sua forma
pura, il pensiero stesso si esplica nella realtà in quanto ragione immanente, ogni ambito
del reale, se compreso speculativamente, presenta una analoga processualità dialettica
triadica:
I.
117
Primo lato: determinazione immediata ed astratta quale ad esempio “Essere”,
rigidamente escludente il suo opposto “Nulla”; L’Essere, in questo senso, è privo
di determinazioni, vuota assenza di determinazioni.
Ibidem.
Ibidem.
118
II.
Secondo lato: il movimento dialettico evidenzia come quella prima determinazione
sia appunto astratta, ed il concetto di quale primo termine “Essere”, in quanto vuota
assenza di determinazioni, puro indeterminato, si capovolga nel suo opposto, il
“Nulla” altrettanto privo di contenuto. Entrambe le nozioni sono infatti prive di
significato determinato. Ancora, tanto il Nulla quanto l’Essere sono identici a se
stessi – A uguale ad A - recita la tradizione, ed in quanto identici a sè e privi di
contenuto determinato non si distinguono dunque.
III.
Terzo lato: la ragione non si ferma tuttavia alla astratta considerazione dei
precedenti significati l’uno negantesi nell’altro, ma proprio in virtù della negazione,
considera contemporaneamente la reciproca appartenenza di quei significati in una
sintesi superiore: il Divenire. Il divenire è unità di Essere e Nulla: infatti sono se
pensiamo all’Essere ed al Nulla come momenti distinti e non separati di una
superiore unità quale il Divenire possiamo tenere fermi i due momenti come
trapassanti l’uno nell’altro. Dobbiamo insomma ricercare nel Divenire il
fondamento dell ‘Essere e del Nulla che, presi separatamente non riescono a
tenere fermo il proprio significato.
Quanto esposto esprime la Dialettica o meglio il procedere dialettico delle Logica. Nella
Logica, come si accennava, che è scienza in cui il pensiero conosce se stesso in forma
pura, il pensiero muove quindi l’inizio, il cominciamento del suo procedere dalla
determinazione astratta per poi considerarne il passaggio nella sua negazione ed infine
evidenziare il legame delle singole determinazioni astratte nella loro superiore unità. La
Scienza della Logica
allora perviene alla conoscenza delle distinte e diverse
determinazioni astratte proprio perchè tali determinazioni non sono altro che i singoli
momenti dell’esplicarsi di un unica attività di pensiero, attività tanto più ricca quanto la
manifestazione del processo del pensiero si articola al suo interno in direzione del
momento logicamente conclusivo del processo. Si badi che le singole determinazioni via
via negate nel processo dialettico (Essere; Nulla; Finito; Infinito;etc.) non sono
semplicemente abolite , piuttosto le singole determinazioni sono tolte nella loro pretesa
indipendenza dal loro opposto, ma conservate come momento Necessario di una
categoria più comprensiva. Tale superamento e conservazione delle singole
determinazioni è definito da Hegel Aufhebung. Sotto si espone la prima partizione della
Scienza della Logica che riguarda L’Essere:
a) Essere a) Qualità:
a) - Essere indeterminato : - Essere
b) - Essere determinato :
-
Nulla
-
Divenire
- qualcosa
- finito
- infinito
c) - Esser per sé
b) Grandezza a) - Quantità :
- quantità pura
- continuo o discreto
-
limitazione
della
quantità
b) - Quanto :
- numero
- quanto intensivo
- infinità quantitativa
c)
c) Misura
Rapporto quantitativo
a) Quantità specifica
b) Misura reale
c) Divenire dell’essenza
Spirito Oggettivo : nella filosofia dello spirito oggettivo si afferma che:
La prima determinazione
dello spirito oggettivo è il
diritto il quale:
Il quale nasce dalla volontà
libera degli individui per
regolare i loro rapporti
Attraverso la pena è
finalizzata a ripristinare
l’ordine giuridico violato
Il secondo momento dello
spirito oggettivo è la
moralità
La quale riguarda la dimensione
dell’interiorità dell’uomo inteso come
soggetto libero e responsabile. Essa si
fonda sulla separazione tra il soggetto
che agisce ed il bene che deve essere
realizzato
Attraverso il contratto:
comporta il
riconoscimento reciproco
tra soggetti di diritto
La terza dimensione dello
spirito oggettivo è l’eticità
Che rappresenta la sintesi tra
diritto e moralità e si realizza
nelle istituzioni che esprimono
l’éthos di un popolo. E’
articolata in tre momenti:
La famiglia : unità
spirituale fondata
sull’amore
Società civile:
sistema di
individui estranei
vincolati
Lo spirito assoluto
Lo Stato: moderatore del
conflitto sociale ed
incarnazione della
razionalità
Nella filosofia dello spirito assoluto si afferma che lo spirito diventa assoluto
in quanto ritorna in se stesso e si scopre sostanza di tutta la realtà
attraverso:
L’arte
Consente di comprendere in
modo intuitivo ed immediato
la compenetrazione tra
spirito e natura e si distingue
in tre forme:
La religione
La religione: consente di
comprendere l’Assoluto nella
forma della rappresentazione
(miti e riti)
La filosofia
La filosofia: consente di
cogliere l’Assoluto
tramite il concetto
pertanto
Arte
simbolica
Arte classica
Arte classica
Dunque pur aspirando
all’infinito rimane vincolata
alla sensibilità
La filosofia coincide con la sua
storia dal momento che questa
è il dispiegarsi progressivo
dell’Idea
Nella filosofia dello spirito assoluto si afferma che lo spirito diventa assoluto in quanto ritorna in se stesso e
si scopre sostanza di tutta la realtà attraverso
Per Hegel l’Assoluto è Pensiero. Ciò significa che l’Assoluto ha quattro determinazioni:
1) Da oggetto del pensiero diventa Pensiero;
2) Gli attributi dell’Assoluto diventano attributi del Pensare: operazione già avviata
da Kant che traduce “sostanza” e “causa” da termini ontologici in termini logici
– le categorie sono formali solo in quanto c’è qualcosa in funzione del quale
esse sono - Hegel continua Kant affermando che questi attributi non sono delle
“cose”bensì attributi del pensare senza che il pensiero sia contrapposto ad un
oggetto;
3) L’Assoluto è inteso come Totalità e non come trascendente, in linea con
Spinoza;
4) L’Assoluto si presenta come triadico in riferimento alla sua connotazione come
movimento, come posizione e come autoposizione.119
119
Momento
intellettuale: tesi
Momento dialettico:
antitesi
Momento speculativo o
positivo razionale . Esso è:
Unità implicita sin dall’inizio del processo ma
esplicitata solo al termine
Struttura logica soggiacente alle
manifestazioni determinate
Hegel intende affermare
che l’Assoluto, in quanto è Pensiero, è
autoposizione e quindi differenziazione: sè come soggetto e sè come oggetto.
Ancora, l’Assoluto è sia sè come autoposizione che sè come atto che sè come
oggetto. In questo senso, per l’Assoluto, per il pensiero, è decisivo il momento del
negativo e della differenza, chè se la differenza non fosse pensata all’interno
dell‘Assoluto, come interna all’Assoluto, minerebbe la sua assolutezza come un
qualcosa di esterno. La Differenza è quindi costitutiva dell’Assoluto.
La differenziazione dell’Assoluto, al proprio interno, presenta tre momenti:
1) Sè come autoposizione: il porre se stesso dell’Assoluto. L’assoluto si
riferisce a se stesso ed è considerato in sè, come una cosa, solo in
quanto è per sè ossia si pone.
2) Sè come atto: attività dell’Assoluto contrapposta all’intendere l’Assoluto
come sostanza, res, semplice fatto;
3) Sè come soggetto: non oggetto del pensiero ma soggetto che si
differenzia al proprio interno come soggetto\oggetto. Hegel intende così il
passaggio dal paradigma dell’Oggetto al paradigma del Soggetto.
Questo modo di intendere l’Assoluto fa la differenza tra l’Assoluto scellinghiano e
l’Assoluto hegeliano: Schelling pone l’Assoluto coma assoluta identità, sviluppando la
concezione spinoziana di sostanza. L’Assoluto, per Shelling è Pensiero assolutamente
identico con se stesso. Dove c’è differenza c’è finitezza secondo Schelling, c’è reciproca
estraneità dei momenti e quindi mancanza di libertà dell’Assoluto. Non c’è quindi
assolutezza per Schelling. Diversamente, per Hegel, in quanto l’Assoluto è pensiero, deve
porre al proprio interno la Differenza, chè se la Differenza è pensata fuori dell’Assoluto, ciò
Ibidem.
mina la sua assolutezza, lo limita; l’Assoluto non riesce più ad essere la totalità che deve
essere. In questo senso la Differenza deve essere costitutiva dell’Assoluto. L’Assoluto è
quindi massimamente reale.
Assoluto
Unità mediata delle
determinazioni
Non unità indifferenziata
(Scheling)
Conosciuto
con ragione
Comprensione dei
rapporti tra le
determinazioni
Dialettica
Pensare ed essere
Non con intuizione
(Schelling) o sentimento
(romantici)
Conoscenza
completa (concreta)
filosofia
Nella dottrina dell’Essenza, della Scienza della Logica, Hegel condensa le sue
considerazioni sul concetto di realtà:
1) Assoluto: ossia manifestazione completa dell’Essere. In questo senso l’Assoluto è
solo ciò che viene alla fine, perchè la manifestazione completa è appunto il proprio
completamento: solo alla fine essa accade. Non ha più senso allora sostenere la
differenza, come fa Spinoza, tra Assoluto e Modo. Il Modo, in quanto
manifestazione dell’Assoluto è propriamente identico all’Assoluto: L’Assoluto è
tale solo nel Modo: solo nella sua completa manifestazione. Ora, in quanto
l’Assoluto è assoluto d esso è realtà. In particolare, il capitolo del rapporto assoluto
è suddiviso in tre sezioni: Sostanza, Causa, Azione reciproca. Le tre categorie
kantiane della Relazione;
2) Realtà: - Wirklikheit – tradotto in genere con Realtà mentre sarebbe più opportuno
tradurlo con Realtà in atto, nella misura in cui essa è differente dalla semplice
fatticicità
- Realitat –tradotta dal Moni con realtà.
Il De
Negri, nella
Fenomenologia dello Sipito, traduce Wirklikeit con effettualità. La scelta del Ne
Negri è giustificata dall’occorrenza di Wirkung in Wirklikeit ossia dell’effetto. Con
effettualità dobbiamo allora intendere la realtà in quanto tale, la Realtà in atto, nella
sua completa manifestazione .
La differenza tra il capitolo sulla Realtà ed il Terzo capitolo, quello relativo al Rapporto
assoluto, sta nel fatto che il concetto di Realtà esprime la Realtà in quanto tale
manifestazione, in quanto in essa non c’è distinzione tra esterno ed interno, tra
sostanza e accidente, tra essenziale e inessenziale.
In misura maggiore, nel capitolo sull’Assoluto, si mostra dell’Assoluto quell’atto per
cui l’ Assoluto pone se stesso: la relazione dell’Assoluto con se stesso ossia la
relazione con cui l’Assoluto pone se stesso. Solo in quanto l’Assoluto pone se stesso
l’Assoluto è tale. In questo concetto Hegel esprime già compiutamente la risoluzione
della sostanza nel soggetto.
Assoluto è
colto dal
pensiero
Religione
Trapassa
nella:
Filosofia
Forma
rappresentativa del
pensiero
Assoluto come
esterno al
soggetto
Superata da
Forma di
sapere
inadeguata
all’Assoluto
Forma concettuale di
pensiero che coglie il
soggetto come Assoluto
Sostanza: Spinoza
La sostanza spinoziana è espressa da un concetto che non abbisogna di altro per
essere definito: una realtà che non ha bisogno di altro per esistere. Essa, per Spinoza, è
potenza (Macht) ossia indipendenza ontologica; essa dipende dalla propria potenza, non
è sottomissibile a nessuna altra potenza: causa sui. Gli effetti della Sostanza non sono
dunque mai al di là di sè: tutti gli effetti di questa causa devono ricadere nella sostanza.
Sin qui Spinoza, che esprime la diversità tra “causa” ed “effetto” con “natura naturans e
natura naturata”: due lati della Natura.
Ora sembrerebbe che sia il primo lato della natura, il suo essere causa, ad esprimere la
sostanzialità della Sostanza: Hegel mostra invece che è in forza del secondo lato che la
Sostanza è tale. Il primo lato, afferma Hegel, è pura e semplice attività ma non è
sostanza: è la sostanza passiva a poterci condurre alla sostanza come cosa che è. E’ solo
perchè c’è un effetto che diciamo che una cosa è causa. Hegel utilizza il termine “substrat”
per richiamare la sostanza passiva: puro e seplice essere posto. Qui assistiamo ad un
passo centrale: se l’effetto è la condizione per cui la causa è causa, allora l’effetto è il
presupposto della causa. Quindi l’effetto si capovolge nel presupposto. Tale risultato, che
l’effetto è presupposto della sostanza, va però di pari passo secondo Hegel, con la verità
che l’effetto è comunque posto dalla causa. Ora nell’Assoluto hegeliano, causa ed effetto
esprimono una unica realtà: sono lo stesso, detto altrimenti la sostanza deve presupporsi
o porsi come sostrato immediato. Sin qui siamo dentro Spinoza. Ma proprio questa identità
dei due momenti, causa ed effetto, che identificano La sostanza ancora come una cosa
che sta, che permane, quello che resiste è solo il movimento: illl puro movimento del porsi
reciproco. Pura e semplice mediazione. Quindi, in conclusione, non c’è una cosa che pone
ed un posto che sta, che permane, piuttosto è solo l’azione del Porre che rimane. Spinoza
tiene ferma la sostanza solo in quanto presuppone il movimento del Porre: la vera natura
della sostanza.
Filosofia della Spirito
La natura secondo Hegel, si presenta come una mescolanza di casualità e
necessità, questo perchè le singole distinzioni naturali si presentano come, de facto,
realmente contrapposti dato che un medesimo spazio non può essere occupato da due
entità differenti. In questo senso la natura non è immediatamente riconducibile ad un
sistema di leggi e classificazioni: da un lato le leggi naturali ma dall’altro la grossolanità
dell’accidentalità e molteplicità dei singoli fenomeni naturali.
Ora, più compitamente, lo Spirito si manifesta nella sua completezza e razionalità
nel momento del ritorno a sè dell’Idea, appunto il momento dello Spirito, l’ultima fase di
sviluppo dell’Assoluto in cui Esso prende possesso della propria natura razionale e della
propria libertà120.
In effetti la staticità della natura, intesa come il semplice riprodursi biologico,
necessita di essere superato: l’Idea deve quindi manifestarsi completamente nello Spirito
che si attua concretamente nella storia. Ecco che allora l’esteriorità della natura viene
superata nel ritorno a sè dello Spirito dopo la sua esteriorizzazione nella natura e come
tale rappresenta la sintesi di Idea e natura. Lo spirito dunque consiste nella presa di
coscienza di sè come oltrepassamento della realtà naturale e biologica che si compie
nell’uomo. Egli allora si comprende prima come semplice realtà biologica per poi
compredersi come vitalità universale. Ancora l’uomo si compreden come momento
dell’Assoluto, momento della razionalità universale che si manifesta nella vita del singolo
individuandosi come soggetto cosciente di sè. Potremmo anche dire che lo Spirito si
esprime nell’umanità in tutte le sue dimensioni.
Il processo dello spirito si esprime, come sempre nel procedere dialettico, in Spirito
soggettivo, oggettivo ed Assoluto: coscienza individuale, fenomeni sociali e politici,
cultura (conoscenza di sè mediante le proprie realizzazioni). In particolare, nello Spirito
oggettivo, ossia nel processo storico del mondo umano, la libertà che lo spirito soggettivo
può solo volere, si realizza sebbene in modo finito.
La filosofia dello spirito oggettivo mira quindi a presentare la razionalità dello
sviluppo storico, finalisticamente orientato allo sviluppo dello spirito assoluto. Nello
specifico il mondo umano, al di là dell’accidentalità dei singoli accadimenti, presenta una
razionalità manifestata dal complesso dei fatti e degli stati di cose che accadono secondo
uno sguardo sub specie aeternitatis, proprio della ragione (semplice apparenza della
involuzione dei singoli fatti storici) e non dell’intelletto.
Diritto astratto, moralità ed eticità sono i momenti in cui si articola lo Spirito
oggettivo: conretamente senza società e senza stato, senza un sistema sociale, non
esisterebbero nè moralità nè diritto; d’altro cato uno Stato non sarebbe tale senza moralità
dei cittadini regolati nei loro rapporti dal Diritto. Come dire che la vera libertà non si
realizza astrattamente nella propria moralità che si oppone al mondo, ma solo
concretamente nelle istituzioni. Un esempio è costituito dalla famiglia, dalla società civile
e dallo Stato. Solo nello Stato infatti, o anticipatamente nella famiglia, l’individuo diventa
120
Cfr. Geymonat, cit. pagg. 807 e sgg.
realmente libero. Ma cos’è dunque la libertà per Hegel? E’ volontà razionale, ed in quanto
tale universale: come dire che la volontà del singolo è capacità di perseguire fini
razionali (influsso kantiano) che si relizza compiutamente nello stato. L’azione del
singolo di attua quindi solo mediante leggi e principi universali che consentono al singolo
di vivere e così identificarsi nelle istituzioni che lo governano. Sebbene nella sfera
individuale sussista una volontà libera, solo nel tessuto collettivo, o meglio nello Stato
etico, essa si realizza. Solo nel tessuto sociale l’individuo si ri- conosce e riconosce il
valore delle regole, in cui coglie la concreta realizzazione della propria essenza razionale
ed universale.
Per altro verso v’è da dire che Hegel respinge le teorie contrattualistiche in quanto
le considera espressione del diritto privato; nè la volontà popolare è assunta da Hegel in
senso positivo, piuttosto il “popolo senza il suo monarca è espressione informe”.
Inadeguatezza dell’intelletto in
quanto:
La filosofia della storia121
Conosce
separando, per cui
l’intelletto prevede
una forma di
intellettualismo
astratto. Non
coglie quindi
l’unità del reale
121
Per Hegel la storia è mossa dalle passioni umane: amore, ambizione, vanità. Solo che gli uomini agiscono in vista
dei propri interessi gli uni verso gli altri: alla fine ciò che ne risulta, è qualcosa di diverso. La Storia ha un senso e
bisogna scoprirlo: a prima vista sembra un banco di macellaio, invece HEGEL ritiene che sia necessario trasformare
questo qualcosa in qualcosa di visibile. Una delle frasi più fraintese di Hegel recita: ciò che è razionale è reale e cio
che reale è razionale.
Hegel, con questa affermazione intende riferirsi alla storia, non tanto ad un qualcosa inteso come realtà
empirica, fattuale, bensì alla storia effettiva come depurata dalle nostre proiezioni: la storia va vista insomma come un
procedere razionale anche se attraversato da contraddizioni. Ed è la ragione, diversamente dall’intelletto che è
classificatorio, a contenere in sè delle contraddizioni-. Tali contraddizioni sono previste, incluse nella Dialettica inteso
come sviluppo mediante contraddizioni. Quindi lo sviluppo contraddittorio della Storia va studiato indipendentemente
dai nostri desideri e proiezioni. Quello di Hegel è quindi un richiamo al realismo. Ora, questo termine dialettica, mentre
in Kant significava una apparenza necessaria, in H. è l’introduzione del divenire nella realtà: dissoluzione della rigidità.
Questo perchè in H. Non c’è dissoluzione tra Pensiero e Mondo come in Kant. Anzi la Fenomenologia dello spirito è
quel percorso che porta alla ontologia. Al Logos che conosce l’essere ed all’essere che si può spiegare attraverso il
Pensiero.
Spesso di dice che H. distrugge il principio di non contraddizione. Ora in H. non si tratta di questo: nella
logica ad esempio, non posso pensare al Tempo come semplice unione di essere e nulla. Non si tratta nè dell’essere nè
del nulla, bensì della loro reciproca interazione come conservati e superati. Il pensiero dialettico è quindi il pensiero
della vita: senza usare categorie fisse.
D’altra parte il termine Dialettica è stato abusato. La Dialettica in H. è solo il momento dissolutivo mentre è la
speculazione il punto d’arrivo ossia il sapere Assoluto: gli uomini attraverso il pensiero capiscono la natura ma poi
l’uomo nel rappresentarsi le cose ritorna in se stesso. L’oggettività è ad esempio fare le istituzioni, poi l’oggettività non
mi basta perchè ho bisogno del riconoscimento delle istituzioni. Lo spirito oggettivo è infatti la necessità, come il
denaro, la fabbrica, di vedere e toccare qualcosa per l’uomo. Noi ereditiamo allora le azioni degli altri in libri, quadri,
In misura concreta, il fine della storia si attua attraverso le vicende degli stati, in
quanto gli spiriti dei singoli popoli sono momenti dell’unico spirito del mondo,
l’umanità, che si realizza nei singoli passaggi della storia. Ceto, secondo Hegel, la
storia si attua in modo conflittuale: il confronto bellico tra i popoli esprime
l’incarnazione dello spirito universale; la guerra designa un vincitore: punta
avanzata della razionalità in quel preciso momento storico. Come dire che la guerra
sancisce la decadenza di un popolo e l’ascesa di un altro attraverso singoli uomini
che, in modo non intenzionale, concorrono allo sviluppo dell’umanità.
Lo sviluppo dell’umanità, all’interno del procedere della storia, accade
attraverso la manifestazione della propria concezione della realtà la cultura. La
cultura in effetti, è l’insieme delle forme in cui un popolo manifesta la propria
concezione della realtà, ossia il pensiero estrinsecato in un contesto, sintesi del
momento soggettivo ed oggettivo dello spirito. Le diverse espressioni della cultura
costituiscono infatti lo spirito assoluto: la consapevolezza della realtà di un
determinato tempo espressa via via nell’arte, nella religione e nella filosofia. Nello
specifico la filosofia, la propria filosofia secondo Hegel, rappresenta il punto di arrivo
dell’intera evoluzione dello spirito anche se la ragione non può negare che vi sia
sempre ancora la possibilità di un superamento, cioè del futuro, ma non è suo
compito conoscerlo.
La morte
Il termine “morte” deriva dal latino “mors-mortis” che traduce il greco “Thanatos”.
Non esistono nelle due lingue termini che distinguano la morte violenta a quella
naturale, né quella di sé dal significato generico ed impersonale. Il significato di
morte naturale è in un qualche modo anticipato nel termine “decesso”, dal latino
“decedere” che significa propriamente “cessare”, “andar via”
Ora, nell’idealismo di Fichte, che vede l’individuo come parte dell’Assoluto, che è la vera
realtà, per cui in esso è garantita la sopravvivenza spirituale di ognuno, l’individuo mortale
è parte di una totalità, l’umanità destinata a ricostruire l’unità spirituale originaria, mediante
etc. Cio che era il nostro progetto si realizza e si trasmette. La filosofia ha il compito di capire come il nostro modo di
pensare sia venuto ad influire sulla realtà: i Pensieri agisono insomma sulla realtà concreta.
La filosofia, è presentata da H. - nel 1821 - come la civetta che ha grandi occhi per vedere nella notte: H. sa
che un’epoca storica si sta chiudendo e sta per aprirsene per aprisene un altra. La storia è quindi sempre al lavoro, quasi
esistesse una talpa che lavora nella storia per produrre degli effetti concreti sulla società e sul singolo. Mentre la
filosofia guarda dunque, la Storia lavora: i tedeschi sono la civetta, i francesi la talpa che agisce.
La Storia però non basta, la cerniera tra spirito oggettivo ed assoluto. Ma cos’è lo sprito Assoluto: quella
specie di specchio su cui ognuno di noi si riflette per comprendere la realtà (Remo Bodei – Hegel e la dialettica)
Hegel utilizza il termine Dialettica intesa come attività di dissoluzione di ciò che rappresenta il Divenire
la quale egli partecipa dell’eternità e dell’universalità. Non diversamente in Hegel, il
rapporto individuo\totalità è definito in termini simili a Fichte e Schelling.L’individuo non è
infatti che un momento dello sviluppo razionale complessivo (l’Idea che diventa Spirito),
nel quale soltanto egli ha senso.
Confronto tra filosofi:
Fichte
Shelling
Hegel
Assoluto
L’Io
La natura-spirito
L’Idea
Natura
Il non-Io
Divinizzata, ha in sé il Fa parte dello Spirito
Assoluto, rappresentandone
principio spirituale
il momento oggettivo, ma è
inferiore alla filosofia
Arte
non è importante
ha
una
funzione
conoscitiva superiore
alla filosofia perché
coglie
sia
la
dimensione cosciente
sia quella inconscia
Fa parte dello Spirito
Assoluto, rappresentandone
il momento oggettivo, ma è
inferiore alla filosofia
Religione
Nella prima parte della
sua filosofia riveste una
importanza secondaria,
in
seguito
diventa
centrale
nella prima fase della
sua filosofia ha una
importanza
secondaria, in seguito
diviene centrale
E’ uno dei momenti dello
Spirito assoluto, ma è
inferiore alla filosofia; Dio è
una metafora dello Spirito
Critiche di Hegel
a Kant
a Fichte
1) pretende
di
studiare
le
strutture
conoscitive prima
ed
indipendentement
e dal conoscere ;
2) privilegia l’intelletto
rispetto
alla
ragione perciò ha
una
visione
statica
e
non
dialettica
della
realtà;
3) non comprende la
dimensione
dell’Assoluto,
la
sua è una filosofia
1) il suo è un
“cattivo infinito”
perché manca
un punto di
arrivo;
2) non comprende
il cammino che
occorre
percorrere per
arrivare
ala
comprensione
dell’assoluto;
3) sopravvaluta il
sentimento
rispetto
alla
ragione
ed
all’Idea
del finito;
4) nella morale non
viene
compresa
l’eticità
come
realizzazione
storica per cui
l’essere
ed il
dover essere sono
e restano separati;
Kant e l’Idealismo
Kant
La conoscenza
La conoscenza è solo Non
esiste
il
fenomenica, la cosa in sé noumeno,
tutto
è
(noumeno)
è conoscibile in quanto
inconoscibile
posto dall’Io
non esiste il noumeno, tutto
è conoscibile come risultato
di un processo (sapere
assoluto)
Il soggetto
L’Io è legislatore della
natura, ma in quanto
funzione
della
conoscenza (Io penso);
L’Io produce la natura
che
conosce
(immaginazione
produttiva), anche se
on ha coscienza di
possiamo
affermarne questo processo e
l’esistenza
sostanziale quindi la avverte come
soltanto come postulato NON-Io
della morale
(anima
immortale)
l’idea
diventa
uscendo
Nel rapporto io-mondo
possiamo
nutrire
la
ragionevole
speranza
che il mondo si accordi
con la nostra esigenza
morale
(giudizio
teleologico)
La natura è un momento
negativo dello sviluppo
dell’Idea, che soltanto come
Spirito realizza se stessa,
oggettivandosi come eticità
e riconoscendo il proprio
sviluppo
nel
sapere
ASSOLUTO
Il soggetto ed il mondo
Fichte
Platone
Oggetto
L’Io produce il mondo,
lo avverte come Non
Io e lo riconduce a sé,
diventando
autocosciente
mediante
questo
processo
Kant
Hegel
natura
da sé (Idea fuori di sé) e
diviene cosciente di sé e di
ciò che ha prodotto come
Spirito (Idea in sé e per sé)
Hegel
La divinità come La
razionalità La
razionalità
qualcosa che può universale
come universale
essere
penetrato fondamento della consapevole di sé
col
pensiero
e vita etica e morale
compreso
concettualmente
sotto
forma
di
Spirito Assoluto
Caratteri
concezione della
fede
Culmine
religione
della
Arte:
intuizione
sensibile
Simbolica: civiltà orientali. Lo sirito umano
esprime il soprannaturale attraverso simboli
Classica: civiltà greca. Si raggiunge l’unità di
materia e forma . Templi e sculture esprimono
idee universali
Romantica: cristianesimo. L’uomo è chiamato ad elevarsi al
divino ritrovando in sé la verità eterna.L’interiorità assoluta è
espressa attraverso la soggettività spirituale: Cristo ed il
romanzo
Concetto di religione: Dio come sostanza assoluta e Spirito
colto immediatamente e razionalmente dall’uomo che lo
rende oggetto di culto


della bellezza e del sublime: divino ed umano
convivono e la natura è assogettata allo
spirito;
Religione determinata che assume forme diverse:
 immediata:venerati i fenomeni naturali;
Religione:
rappresentazione e
sentimento
della finalità: la vita religiosa è al servizio
dello Stato e della politica
SPirito Assoluto:
identità dialettica di
spirito soggettivo ed
oggettivo
Religione rivelata: cristianesimo che esprime la
realtà dello Spirito Assoluto attraverso:
1. trinità: natura triadica del concetto;
2. Creazione: separazione del pensiero
finito e dello Spirito;
Filosofia:
puro
pensiero
3. Cristo: ricomposizione dell’unità
originaria
Filosofia greca: problema della verità:
indagine ultima sui principi della realtà
Filosofia medioevale: la verità è
soggetto attivo. Sorge la nuova
nozione di Spirito
Filosofia moderna: affermazione della
libertà dello Spirito. Il pensiero
umano è principio ultimo della realtà
Come viene inteso da Hegel l’Assoluto?
L’Assoluto è per Hegel la realtà nel suo insieme, che va concepita come unità
mediata delle opposizioni. Egli ritiene che la realtà sia percorsa da
contrapposizioni che, pur apparendo inizialmente inconciliabili, si manifestano
invece come negazioni determinate le une delle altre.
I poli della contrapposizione risultano quindi dalla loro relazione, pertanto sono
complementari e solo considerandoli nel loro rapporto è possibile comprenderli e
conseguentemente conoscerli adeguatamente, superando l’unilateralità di uno
sguardo superficiale. L’Assoluto allora è una totalità internamente articolata in cui
gli opposti non vengono cancellati ma mediati ovvero compresi nella loro relatività e
coappartenenza.
Qual è e come si giustifica l’articolazione del sistema hegeliano?
L’itinerario che conduce al sapere assoluto, la cui esposizione è compito della
filosofia è illustrato nella Fenomenologia dello Spirito. Dal momento che la realtà
viene concepita dallo spirito come dialetticamente unitaria, pur nelle sue diverse
determinazioni, l’esposizione
del sapere della realtà è necessariamente
sistematica, ovvero strutturata gerarchicamente ed organicamente attraverso una
concatenazione concettuale che produce il trapassare da una disciplina ad
un’altra. In una battuta: Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio.
La realtà nella sua totalità può essere considerata come puro pensiero ossia come
struttura logica indipendentemente dalla sue manifestazioni ed in questo senso
oggetto della logica. Dal momento che però tale struttura si realizza nei fenomeni, la
conoscenza della realtà passa attraverso l’esame della natura di cui si occupa la
filosofia della natura, per coglierne la razionalità interna che culmina nello spirito, il
mondo umano oggetto della filosofia dello spirito. Le diverse discipline affrontano
quindi la medesima realtà, l’Idea o struttura razionale, da prospettive differenti.122
Quale interpretazione della storia fornisce Hegel?
Gli Stati e conseguentemente i popoli,sono i protagonisti della storia, palcoscenico
su cui si manifesta lo sviluppo dello spirito. La storia è dunque il compimento dello
stato ed è un teatro caratterizzato da continui conflitti tra Stati, i cui esiti fanno
progredire lo spirito e quindi l’umanità.
La Storia è un percorso:

caratterizzato da continui conflitti che manifestano, sul piano degli eventi
concreti, la struttura dialettica della realtà;

in sé razionale, poiché al di sotto della varietà ed apparente accidentalità
degli eventi, la loro sequenza rivela un piano preciso ossia una finalità
immanente;

finalisticamente orientato alla realizzazione della razionalità incarnata
dell’umanità, che coincide con la massima libertà.
I popoli e gli individui rappresentano gli attori del dramma della storia, definita
anche lo spirito del mondo, di cui essa si serve per il suo cammino: questo
modo di procedere è definito l’astuzia della ragione.
122
Il pensiero filosofico, Geymonat, cit. pag. 838
La dottrina del Metodo: Einleitung – Introduzione alla fenomenologia dello
Spirito -1807
La Einleitung, cotituisce l’introduzione alla Fenomenologia dello Spirito ed
è correlata alla prefazione (Vorrede) della Fenomenologia sebbene scritta alla fine
dell’opera stessa. Una specie di sintesi della filosofia hegeliana. Essa si presenta
come una vera e propria Dottrina del metodo secondo Hegel: una dottrina che
sconfessa il metodo filosofico, ogni metodo, presente sino ad allora.
Secondo Hegel, nella Einleitung, c’è differenza tra scienza filosofica e filosofia ed
una sconfessione del metodo e della scienza filosofica. In una battuta, essa non è
quindi filosofia. Una presa diposizione contro Cartesio e soprattutto Kant.

Prima parte: contro il metodo in Filosofia

Seconda parte: ancora due parole sul metodo.
In ordine al primo punto, afferma H., prima di affrontare la cosa stessa, la
conoscenza della verità dell’essere, sembra lecito chiedersi se il conoscere, lo strumento
utilizzato a conoscere la cosa stessa, sia idoneo a questo compito (riferimento a Kant, alla
prime pagine della Ragion Pura). La preoccupazione nasce dal saggiare lo strumento del
conoscere, se così non fosse
potremmo incappare nelle nubi dell’errore e non
raggiungere il cielo della verità.
Eppure questa preoccupazione per H. è insensata:
 Un primo pregiudizio a riguardo è relativo al fatto che il conoscere sia un
medio che filtra la realtà e ci dovrebbe far entrare in contatto con la realtà.
H.non è d’accordo123.
123
 Secondo aspetto pregiudiziale : che ci sia una differenza tra noi ed il
conoscere: noi siamo o saremmo dunque differenti dal conoscere e
dovremmo valutare lo strumento del conoscere in un modo non precisato.
 Terzo aspetto pregiudiziale, quello capitale: l’Assoluto, la realtà, sta da una
parte e la conoscenza dall’altra. La conoscenza non è forse reale?124 Se la
cosa stessa, la realtà sono da una parte ed il conoscere dall’altra allora la
conoscenza non è vera. Se la conoscenza è intesa come mezzo allora
siamo già in difficoltà nel raggiungere le cose in se stesse. Ora questo
affaccendarsi in tali discorsi ,secondo H., ha a che fare con il timore della
verità: scrive Hegel: “...non c’è bisogno di questi inutili discorsi, attraverso cui
sia dato scorgere la verità, (...) non c’è bisogno di quelle
scappatoie.”(Traduzione De Negri). Invece il primo compito della filosofia è
dare il concetto e la definizione di ciò di cui sta parlando (Aristotele).
Hegel esclude che noi siamo altra cosa dal conoscere, dalla verità: l’Assoluto ed il
Vero invece coincidono. Noi siamo125 già nella verità, viceversa se non fossimo nella
verità non ci entreremmo mai. Eppure non siamo l’Assoluto anche se noi siamo parti
della realtà, nel mondo, ci siamo già, questo non può essere rifiutato. Ma di nuovo, pur
essendo nell’Assoluto non siamo l’Assoluto. Piuttosto noi siamo nell’Assoluto, nella
differenza dall’Assoluto e nella differenza del sapere: siamo come il percorso della
coscienza e del sapere che sperimentiamo ogni giorno come caduco, come errore, come
differenza dall’Assoluto. Siamo dunque l’essere in errore. 126
Assistiamo dunque ad una rivoluzione: contro Kant che afferma che la metafisica è
densa di errori da secoli, Hegel afferma il contrario. L’errore e la verità, secondo Hegel,
sono dunque in qualche modo collegati, non stanno in due mondi separati.
Si tratta, dice Hegel, di un cammino tragico e doloroso: il cammino di una coscienza
che è errore (errare) che prosegue nel dubbio (figura dello scetticismo)che non può mai
essere abbandonato. Una coscienza che sperimenta il franare continuo del suo
fondamento: lungi da essere uno scandalo, questo continuo errare e sperimentare la
propria caducità è la stessa manifestazione dell’Assoluto.
Sini, La storia della conoscenza.Videolezione on line
124
Ibidem.
125
Ibidem.
126
Ibidem.
Si tratta dice Hegel di uscire allora dal pregiudizio che stare nella verità sia uno
stare fermi, un possesso definitivo: una epistéme. La verità è invece movimento, dubbio,
divenire, dubbio ed incertezza. Il metodo filosofico non è quindi una intuizione (intuitus
mentis), un termine medio attraverso cui ci giunge la verità. NON è il termine medio, lo
strumento che ci consente di catturare la verità dunque.
Nel cammino del dubbio vi è poi un secondo punto: l’insufficienza del sapere non è
un risultato negativo. Quel negativo, quella negazione determinata non è il puro nulla
bensì l’esperienza che la coscienza fa del suo cammino e del suo sapere. L’intera Storia
della filosofia non è il luogo della sconfitta: è il luogo della sua vittoria invece, non è pura
negatività. E’ il luogo del suo calvario e della sua resurrezione. Ed ecco allora che le nubi
dell’errore non devono diradare: sono questo cielo della verità ed hanno una realtà,
seppure parziale. Scrive H.: “ Il sapere è necessariamente inerente la meta, non meno che
la serie del processo, la meta è là dove il sapere non ha più bisogno di andare oltre se
stesso. (...) la coscienza è per se stessa il suo concetto. Ed è quindi l’atto del sorpassare il
limitato e poichè questo limitato gli appartiene, del sorpassare se stessa.” (Tr. De Negri)
Ora, le figure del sapere, procedono di nube in nube vaneggiando la verità:
pretendendo ognuna di essere la verità, nella sua parzialità. Ecco che allora l’oggetto del
sapere continuamente muta: in quanto l’Assoluto si manifesta senz’altro nel particolare,
senza però esaurirsi nel particolare127. Dunque il percorso del sapere filosofico e della
coscienza
127
Ibidem.
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