CASA DOLCE CASA: > >- - - - - IL NUOVO CONDOMINIO
Con la nuova riforma cambia la vita in condominio, regolata ancora da norme che risalgono al
1942, l’anno di pubblicazione del Codice Civile. La legge è già stata approvata al Senato il 26
gennaio.
Che cosa cambierà? Tra le novità c’è il rafforzamento del ruolo dell’amministratore e un maggior
esercizio dei poteri di controllo da parte dei condomini. Inoltre, sarà introdotto l’obbligo per
l’amministratore di iscriversi al ruolo e quindi a un elenco presso la Camera di Commercio e la
possibilità di vendere a maggioranza i beni condominiali, oltre ad una maggiore possibilità di rendere
più incisive le procedure di recupero del credito degli insoluti nei confronti dei condomini morosi.
AMMINISTRATORE
Nomina: obbligatoria se i condomini sono più di 8 (Precedentemente era più di 4).
Requisiti: per amministrare un condominio sono necessari specifici requisiti, molto più stringenti
rispetto a prima. Sono sostanzialmente 7. Tra i più importanti:
- il godimento dei diritti civili e politici e il possesso di un diploma di scuola secondaria superiore.
- amministratore-condomino: è esonerato dal possesso del tiolo di studio e dalla frequenza del
corso di formazione.
Affissione nell’atrio: l’amministratore deve affiggere nell’atrio generalità, domicilio e recapiti
telefonici.
Assicurazione professionale:
- può essere imposta dall’assemblea, prima della nomina, a garanzia dell’operato.
- massimale: va aggiornato in caso di lavori straordinari.
Compenso: va specificato analiticamente all’atto della nomina e del rinnovo.
Attribuzioni: notevolmente incrementate; per esempio deve tenere i registri e curare gli
adempimenti fiscali.
Iniziative: può collaborare a progetti e programmi territoriali con le istituzioni locali.
Rendiconto
- approvazione: deve convocare l’assemblea entro 180 giorni.
- controllo: nomina di un revisore da parte dell’assemblea.
Revoca: prevista una casistica di comportamenti sintomatici di gravi irregolarità e quindi di revoca
ad opera del giudice. Sarà più facile revocarlo.
ANIMALI DOMESTICI
Il regolamento non può vietare di possederli o detenerli.
ASCENSORE
Viene finalmente precisato che le spese di manutenzione e sostituzione devono essere ripartite
come quelle delle scale.
ASSEMBLEA
Convocazione
- può avvenire anche a mezzo posta elettronica certificata, fax o consegna a mano.
- se l’ordine del giorno è lungo e complesso è possibile fissare più riunioni consecutive con lo stesso
avviso.
0
- speciale: può essere convocata per modificare la destinazione d’uso delle parti comuni.
Maggioranza
Validità della costituzione.
Prima convocazione
Seconda convocazione
Maggioranza dei partecipanti al condominio
Un terzo dei partecipanti al condominio
Validità delle delibere
Prima convocazione
Seconda convocazione
Maggioranza degli intervenuti
Maggioranza degli intervenuti
667 millesimi
334 millesimi
500 millesimi
334 millesimi
Maggioranze modificate
Basta un numero di voti pari ad almeno 334 millesimi per:
- contenimento consumo energetico modificato;
- produzione certificata energia da fonti rinnovabili.
Serve la maggioranza degli intervenuti e 500 millesimi per:
- installazione antenna centralizzata e satellitare;
- contenimento consumo energetico;
- produzione energia da fonti rinnovabili;
- installazione impianti di produzione energia solare, eolica o comunque rinnovabile;
- realizzazione parcheggi;
- adozione sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore;
- installazione impianti di videosorveglianza;
Rappresentante
- se i condomini sono più di 20, non più di 1/5 dei condomini e del valore proporzionale:
- l’amministratore non può rappresentare condomini in assemblea:
- supercondominio: se i condomini sono più di 60, un rappresentante per condominio;
CONSIGLIO DI CONDOMINIO
Nomina: nei condomini con almeno 12 unità immobiliari;
Composizione: almeno 3 condomini;
Funzioni: consultive e di controllo.
CONTO CORRENTE
- obbligatoriamente intestato al condominio;
- estratto conto consultabile dai condomini;
CONTRIBUTI CONDOMINIALI
Creditori
- possono pretendere dall’amministratore l’elenco dei condomini morosi;
- possono agire nei confronti dei condomini solvibili solo dopo aver escluso gli altri;
Recupero coattivo
- l’amministratore deve attivarsi entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio;
- non richiede autorizzazione per chiedere un decreto ingiuntivo;
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Venditore: è obbligato al pagamento fino a quando non trasmetta all’amministratore copia dell’atto
di vendita.
DOCUMENTAZIONE
Scritture e giustificativi devono essere conservati per 10 anni dalla data di registrazione.
FALLIMENTO
Spese per manutenzione e innovazioni prededucibili in sede fallimentare.
IMPIANTI AUTONOMI TV E PRODUZIONE ENERGIE RINNOVABILI
Installazione
- Se comporta modifica delle parti comuni va comunicata all’amministratore specificando modalità
esecutive;
- l’assemblea può prescrivere modalità di esecuzione alternative o imporre cauzione;
- si può chiedere all’assemblea di ripartire l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni.
INFRAZIONE AL REGOLAMENTO
Fino a 200 euro (Fino a 800 in caso di recidiva).
INNOVAZIONI E LAVORI STRAORDINARI
STRAORDINARI
Obbligatorio costituire un fondo d’importo pari a quello dei lavori;
MILLESIM
I
Rettifica e modifica
- la regola: unanimità;
- l’eccezione: maggioranza degli intervenuti e almeno 500 millesimi in caso di errore o
alterazione superiore a 1/5 del valore dell’unità immobiliare.
Spesa: a carico del condomino che ha provocato la variazione.
OPERE SU PARTI
INDIVIDUALI
Obbligatorio preavvisare l’amministratore, che ne riferisce all’assemblea.
PARTI
COMUNI
Elencazione: più dettagliata. Per esempio anche impianti radiotelevisivi centralizzati e per il
condizionamento d’aria.
Modifica destinazione d’uso
- approvazione: 4/5 dei condomini e 4/5 del valore dell’edificio;
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- vietata: se pregiudica stabilità, sicurezza o decoro architettonico;
Tutela: su iniziativa dell’amministratore o di singoli condomini;
REGISTRI
Anagrafe condominiale, nomina e revoca amministratore, verbali assemblee, contabilità.
RISCALDAMENTO
Distacco
- possibile se non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri
condomini;
- si deve comunque contribuire alle spese di manutenzione straordinaria e messa a norma
dell’impianto;
SITO INTERNET
Attivazione: su delibera dell’assemblea.
Documentazione: consultazione e copie in formato digitale.
Spesa: a carico dei condomini.
USUFRUTTUARIO
Diritto di voto: affari di ordinaria amministrazione e godimento cose e servizi comuni.
Spese comuni: risponde del pagamento in solido con il nudo proprietario.
LETTERA
A
ABBAINO
Apertura
Il proprietario del sottotetto può, nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 del codice civile
(Non alterare la destinazione della cosa e non impedire agli altri condomini di farne parimenti uso
secondo il loro diritto), aprire un abbaino nel tetto condominiale per dare luce e aria ai sottostanti
locali, a condizione che i lavori siano condotti a regola d'arte, che l'opera non pregiudichi la
funzione di copertura del tetto, non alteri il decoro architettonico dell'edificio e non leda
altrimenti il diritto degli altri (Corte di Cassazione 27/7/2006, n 17099). Lo stesso dicasi
dell’ampliamento di un abbaino preesistente (Corte di Cassazione 12/2/1998, n 1498). se ne deve
però comunicare preventiva notizia all'amministratore, specificando i dettagli dell'intervento e le
modalità di esecuzione. L'amministratore, a sua volta, ne riferisce all'assemblea (Secondo comma
articolo 1122 codice civile). Se vi sono altri abbaini il nuovo si deve adeguare alla loro sagoma,
altrimenti si pone in essere un'alterazione del decoro architettonico dell'edificio (Tribunale
Cosenza 24/6/2004), contestabile anche da parte di un solo condominio. Occorre infine informarsi
presso l'ufficio tecnico del Comune se l'intervento è realizzabile con l'invio di una semplice SCIA
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(Segnalazione certificata d’inizio attività) o se si è tenuti a seguire una diversa procedura.
Lucernario
>>
ACQUA
Ogni condomino ha diritto a ricevere un'adeguata fornitura di acqua potabile. Se il servizio è
carente (Sopratutto ai piani alti dei vecchi edifici) e il condominio non interviene, si può chiedere al
giudice un provvedimento d'urgenza per superare l'inconveniente (Autoclave); si ha anche titolo al
rimborso delle eventuali spese anticipate su autorizzazione del magistrato, detratta la propria
quota (App. Milano 3/5/1991).
Contatori
Per l'introduzione di contatori che registrino il consumo d’acqua nei vari appartamenti, non occorre
autorizzazione dell'assemblea; il secondo comma del paragrafo 8.2.8 dell'allegato1/8 del decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri 4/ 3/1996, infatti, stabilisce che, qualora la consegna e la
misurazione dell'acqua avvenga per utenze raggruppate, la ripartizione interna dei consumi
dev'essere organizzata, a cura e spese dell'ente, tramite l'installazione di singoli contatori per
ciascun’unità immobiliare, per cui si è nel diritto di pretendere, se del caso ricorrendo al Giudice di
pace, il rispetto di questa norma. Se c'è un regolamento contrattuale che disciplina il criterio di
ripartizione della spesa, l'eventuale modifica richiede l'unanimità. La spesa per l'introduzione di
contatori separati in sostituzione dell'unico contatore condominiale va suddivisa su base dei
millesimi (Indipendentemente, quindi, dal consumo), salvo diverso accordo sottoscritto da tutti i
condomini.
Guasto
L'impianto idrico rientra fra le parti comuni dell'edificio fino al punto di diramazione nelle varie
unità immobiliari: ciò indipendentemente dal fatto che sia strutturato con singoli tubi anziché con
un'unica tubatura (Tribunale di Roma 17/3/1988). Pertanto, se un rubinetto perde o si rompe un
tubo nell’appartamento, il proprietario deve intervenire a proprie spese ( Tubatura - guasto).
Spesa
Se il contatore è unico, non è possibile stabilire il consumo effettivo di acqua da parte dei
condomini: di conseguenza la spesa va suddivisa in base ai millesimi della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000, optare per l'adozione di un diverso criterio:
per esempio: il numero dei componenti i vari nuclei familiari (O di coloro che vivono stabilmente
nell'edificio, Tribunale Milano 7/2/2003). I condomini sono tenuti a contribuire, sempre su base
millesimale, nella spesa per l'acqua occorrente alle necessità condominiali: per esempio, irrigazione
del giardino, pulizia delle scale, del cortile e degli altri parti comuni dell'edificio. Quanto alla spesa
occorrente al sollevamento dell'acqua dalla falda, per il Pretore di Pordenone (Sentenza del
25/2/1989) va suddivisa in base alla superficie reale di ciascun’unità immobiliare; questo criterio
può essere integrato con quello della diversa altezza dal suolo dei diversi piani o porzioni di piano.
Tubo
Il condomino può installare sul muro comune un tubo per l'adduzione di acqua, trattandosi di un uso
legittimo della cosa comune (Tribunale di Trani 19/1/1991). Per poter, invece, deviare dalla
verticale il tubo di adduzione dell'acqua potabile, si dev'essere autorizzati da tutti gli altri
condomini che utilizzano il tubo, poiché la modifica rende più gravosa la portata dell'acqua per
pressione verso i piani alti (Pretore di Torino 9/7/1996).
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ALBERI
Abbattimento
Gli alberi, non possono essere abbattuti, salvo che non siano ammalati o creino una situazione di
pericolo per persone e cose, oppure quando sono stati piantati troppo vicino al confine della
proprietà. L'operazione, in ogni caso, è subordinata al rilascio di autorizzazione comunale. La
normativa varia da comune a comune (Alcuni richiedono l'autorizzazione per tutte le specie di
albero, anche se si tratta di pianta non più vegetata, mentre altri la escludono per alcune specie:
per esempio per quelle da frutto). L'abbattimento degli alberi del giardino condominiale per
trasformare quest'area in parcheggio nell'interesse del condominio può essere deliberato con il
voto favorevole del 4/5 del valore dell'edificio (800/1.000), trattandosi di cambiare la
destinazione di una parte comune (Primo comma articolo 117-ter codice civile).
Distanza
Siepi e alberi devono essere messi a dimora rispettando la distanza dal confine. E' quindi opportuno
informarsi preventivamente in Comune o presso la Camera di Commercio per verificare se esistono
regolamenti o usi locali; in caso affermativo, infatti, ci si deve attendere a queste disposizioni. In
mancanza di regolamenti o usi locali si è tenuti a osservare una distanza variabile a seconda del tipo
di albero. Per quelli ad alto fusto - per esempio: pini, cipressi, noci - la distanza è di 3 metri dal
confine. Per gli alberi di alto fusto - quelli i cui rami si diffondono a un'altezza non superiore a 3
metri - la distanza è di un metro e mezzo. Per viti, arbusti, siepi e piante da frutta di altezza non
superiore a 2 metri e mezzo, infine, la distanza è di 50 centimetri. Se però le siepi sono di ontano,
castagno o altre piante simili si recidono periodicamente vicino al ceppo, la distanza dev'essere di 1
metro (2 metri per le robinie). La distanza va calcolata al tempo della messa a dimora e si misura
dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell'albero o al luogo in cui va fatta la semina.
Foglie
La caduta di foglie da alberi e arbusti è fenomeno del tutto naturale, per cui il proprietario di un
albero non è responsabile, ai sensi dell'articolo 2051 codice civile (Danni causati da cose in
custodia), dei danni provocati dalla loro caldura sulla pavimentazione del fondo confinante (Corte di
Cassazione 9/8/2007, n 17493). Successivamente, però, la Suprema Corte (Sentenza n 1260 del
21/1/2008) ha stabilito che, se le foglie che cadono dagli alberi del giardino confinante con il
condominio ostruiscono gronde e tombini, si è nel diritto di pretendere dal vicino il rimborso delle
spese sostenute per liberare questi impianti. Sulla scorta di questa indicazione, e dall'articolo 2043
codice civile, che obbliga l'autore di qualsiasi fatto doloso o colposo che provochi ad altri un danno a
risarcirlo, il condominio sul cui balcone cada una notevole quantità di foglie provenienti dalle piante
rampicanti coltivati sul sovrastante terrazzo, può adire l'Autorità Giudiziaria chiedendo la
rimozione degli arbusti o comunque il risarcimento del danno da valutarsi in via equitativa.
Potatura
Se gli alberi si trovano nel giardino di proprietà esclusiva di un condominio e sono funzionali al
decoro dell'intero edificio, per cui la potatura avviene per soddisfare anche questa esigenza, si può
pretendere che il condominio contribuisca alla spesa. L'esistenza di questo presupposto dev'essere
provata dal condominio interessato a dividere la spesa con gli altri (Corte di Cassazione 24/8/
1992, n 9829).
Rami
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Se i rami degli alberi condominiali tolgono luce e aria a un appartamento, e le piante sono state
messe a dimora a distanza inferiore a quella legale da meno di 20 anni, se ne può pretendere
l'estirpazione. Se invece sono stati piantati a distanza regolamentare si deve accertare che non vi
sia stata negligenza nella manutenzione: nel qual caso si può esigere che i rami causa
dell’inconveniente sono tagliati; l'uso delle parti comuni, infatti, non può arrecare pregiudizio ad
alcun condominio (Corte di Cassazione 24/ 8/1992, n 9829).
ALLARME
L'installazione di un impianto di allarme collegato alla portineria può essere considerata, secondo le
circostanze, innovazione gravosa o migliorativa delle cose comuni. Tutto dipende dal costo
dell'opera e dalle caratteristiche dell'edificio (Articolo 1121 codice civile). Nel primo caso, per
l'installazione è necessario il consenso di tutti i condomini, a meno che coloro che sono favorevoli
alla sua introduzione non si facciano carico dell'intera spesa. Nel secondo caso l'intervento, se non
altera l'entità sostanziale della parte comune e non ne muta la destinazione, è riguardabile, come
modifica e non come innovazione ai sensi del primo comma dell'articolo 1120 codice civile, per cui
può essere approvato con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all'assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000.
AMMINISTRATORE
L'amministratore è il motore del condominio: se "gira" bene, cioè se reagisce con competenza,
sagacia e tempestività, può contribuire non poco a rendere serena e ordinata la convivenza tra vicini
di casa, riducendo al minimo liti e incomprensioni. L'amministratore, a parte l'adozione di
provvedimenti di ordinaria amministrazione, non ha una vera e propria autonomia decisionale, ma
esclusivamente funzioni di gestione dello stabile e di esecuzione delle decisioni prese dai condomini
nel corso delle assemblee. Il condominio può comunque anche essere amministrato dagli stessi
condomini, a turno. Una decisione del genere dev'essere adottata con la stessa maggioranza
richiesta per la nomina ordinaria dell'amministratore e con la stessa maggioranza si può deliberare
di passare ad altro criterio (Per esempio la nomina di un esterno). Se si opta per la gestione "Fai da
te", un condominio che non sia in grado di svolgere questa funzione per il periodo assegnatoli deve
trovare (Ed eventualmente pagare) una persona disposta a sostituirlo dall'incarico.
RIEPILOGANDO L’ AMMINISTRATORE
Quando è obbligatorio. Se i condomini sono più di 8.
Requisiti. Fra questi il godimento dei diritti civili e politici e non figurare nell'elenco dei protesti
cambiari.
Nomina. Voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all'assemblea, in rappresentanza di
almeno 500/1.000, anche in seconda convocazione. Se l'assemblea non decide, l'amministratore
viene nominato dal Tribunale su ricorso anche di un solo condomino.
Durata incarico. Un anno, rinnovabile.
Revoca: l'assemblea può revocare l'amministratore in ogni momento, con la stessa maggioranza
prevista per la nomina. In alcuni casi l'amministratore può essere revocato dal Tribunale su ricorso
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di ciascun condomino: per esempio se non presenta il rendiconto della gestione, se non apre il conto
corrente condominiale o per gravi irregolarità.
Norme.
Articoli: 1105-1106-1129-1130-1130-bis -1131-1133-1135 e 1136 codice civile, art. 63-6465-71-71-bis, 71-ter e 156 disp. att. codice civile.
Requisiti. Possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio (Articolo 71-bis codice
civile) coloro: a) che hanno il godimento dei diritti civili; b) che non sono stati condannati per
delitti contro la Pubblica Amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica,
il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della
reclusione non inferiore, nel minimo, a 2 anni e, nel massimo, a 5 anni; c) che non sono stati
sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la
riabilitazione; d) che non sono interdetti o inabilitati; e) il cui nome non risulta annotato
nell'elenco dei protesti cambiari; f) che hanno conseguito il diploma di scuola secondaria di
secondo grado; g) che hanno frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di
formazione periodica in materia di amministrazione condominiale I requisiti di cui alle lettere
f) e g) non sono necessari qualora l'amministratore sia nominato tra i condomini dell'edificio.
A quanti hanno svolto attività di amministratore di condominio per almeno un anno, nell’arco
dei 3 anni precedenti alla data di entrata in vigore della riforma, è consentito lo svolgimento
dell’attività di amministratore anche in mancanza di requisiti di cui alle lettere f) e g). Resta
salvo l'obbligo di formazione periodica. L'incarico di amministratore può essere espletato
anche da una società. Nel qual caso i requisiti devono essere posseduti dai soci illimitatamente
responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di
amministrazione dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi. La perdita dei
requisiti di cui alle lettere a) - b) - c) e d) comporta la cessione dell'incarico. Nel qual caso
ciascun condomino può convocare senza formalità l'assemblea per la nomina del nuovo
amministratore.
Nomina
L'assemblea deve nominare un amministratore quando i condomini sono più di otto (Articolo 1129
codice civile). Se non provvede la nomina è fatta dal Tribunale, su ricorso di uno o più condomini o
dello stesso amministratore dimissionario. A nominare l'amministratore provvede l'assemblea con il
voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000, sia in
prima che in seconda convocazione. L'amministratore può essere nominato anche se i condomini sono
otto o meno di otto, purché la delibera venga adottata con la prevista maggioranza. Il regolamento
di condominio che riservasse la funzione di amministratore a una determinata persona o
all'appartenente a una determinata categoria, scavalcando di fatto l’assemblea, sarebbe
impugnabile perché in contrasto con l'articolo 1129 codice civile, norma definita inderogabile del
successivo articolo 1138. E' possibile nominare, per lo stesso condominio, più amministratori (Corte
di Cassazione 24/12/1994, n. 11155); in questo caso il potere di rappresentare i condomini nei
confronti di terzi spetta a tutti, a meno che non siano stati precisati i rispettivi compiti. La nomina
dell'amministratore può essere anche tacita, vale a dire senza investire formalmente una persona
dell'incarico; è, infatti, sufficiente provare che i condomini l’abbiano considerata amministratore a
tutti gli effetti, ricorrendo a lei abitualmente in questa veste (Corte di Cassazione 12/2/1993, n.
1791). L'amministratore eventualmente nominato direttamente dal costruttore può essere
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sostituito dall'assemblea: sia perché il primo comma dell’articolo 1129 codice civile, che riserva
all'assemblea la nomina dell'amministratore, è come già detto norma inderogabile, sia perché può
sorgere un conflitto d'interessi fra l'amministratore e lo steso costruttore, qualora il condominio
dovesse contestare la cattiva esecuzione di alcuni lavori. L’amministratore la cui nomina sia stata
impugnata conserva i suoi poteri fino a quando non venga sostituito dall'assemblea o dal giudice
(Corte di Cassazione 27/1/1988, n 739).
Assicurazione
L’assemblea può subordinare la nomina dell'amministratore alla presentazione di una polizza
individuale di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell'esercizio del
mandato. L'amministratore è tenuto ad adeguare i massimali della polizza se nel periodo del
suo incarico l'assemblea delibera l'esecuzione di lavori straordinari. L'adeguamento non dev'
essere inferiore all'importo di spesa deliberato e va effettuato contestualmente all'inizio dei
lavori.
Compenso
All'amministratore spetta un compenso, il cui importo dev'essere dettagliatamente indicato dallo
stesso amministratore all'atto della nomina o del rinnovo e approvato dall'assemblea. Non
esiste un tariffario professionale, poiché non esiste un Albo degli amministratori di condominio. se
però l'amministratore è iscritto ad un albo professionale (Architetti, avvocati, commercialisti,
geometri, ecc.) può chiedere che sia applicata la rispettiva tariffa. Per riepilogare, ecco i criteri
seguiti dagli amministratori per definire il proprio compenso Può essere chiesta una quota fissa
(Indipendentemente dalle dimensioni del condominio) o una quota per ogni unità immobiliare
(Variabile a seconda del loro numero e della dotazione d’impianti) qualche amministratore chiede
anche una cifra in percentuale al giro d'affari complessivo del condominio, o si limita a calcolarla
sulla loro spesa per il riscaldamento in genere è richiesto un compenso extra se si tratta di seguire
l'esecuzione di lavori straordinari lunghi o complessi, ma l'amministratore non può pretendere un
extra per partecipare alle assemblee, siano essere ordinarie o straordinarie, trattandosi di attività
comprese fra i suoi compiti istituzionali, anche se non espressamente indicati dal codice; il relativo
compenso, quindi, deve intendersi compreso in quello stabilito all'atto del conferimento
dell'incarico (Corte di Cassazione 12/3/2003, n 3596) quasi sempre bisogna calcolare anche una
percentuale sui lavori di manutenzione straordinaria infine c'è il rimborso delle spese di
amministrazione: francobolli, commissioni bancarie, fotocopie, spese di cancelleria. L'aumento del
compenso non può essere disposto verbalmente dai condomini ma è necessaria una delibera o
comunque una ratifica da parte dell'assemblea (Tribunale di Roma 21/2/1987). Il compenso
dell'amministratore e le spese di amministrazione vanno suddivisi fra i condomini in proporzione ai
millesimi di proprietà. Un diverso criterio di ripartizione della spesa può essere adottato soltanto
all'unanimità. Il compenso non può essere molto distante dalla media praticata nella città in cui è
ubicato l'edificio condominiale; in caso contrario la delibera che lo approvasse sarebbe nulla per
eccesso di potere (Pretore Catania 27/10/1997). L'amministratore ha diritto di compenso per
l'attività svolta fino alla revoca, e se prova che questa è giustificata può pretendere il risarcimento
del danno (Tribunale di Monza 27/6/1985).
Durata incarico
L'amministratore dura in carica 1 anno (Norma inderogabile, Tribunale di Napoli 4/10/1996 ) e può
essere confermato nell'incarico con lo stesso quorum previsto per la nomina vale a dire a
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maggioranza degli intervenuti all'assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000, sia in prima
che in seconda convocazione. Se però l'amministratore è anche condominio deve astenersi dal voto
per conflitto d'interessi. La conferma dell'incarico può anche essere tacita. L'amministratore, una
volta scaduto il mandato, conserva i suoi poteri fino a quando non venga sostituito o confermato,
sempre che l'assemblea non abbia espressamente deliberato altrimenti (Corte di Cassazione
5/2/1993, n 1445)
Dati
Contestualmente all'accettazione della nomina e ad ogni rinnovo dell'incarico, l'amministratore deve
comunicare i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale (Se si tratta di società, anche
se la sede legale e la denominazione), i locali in cui si trovano i registri condominiali (Funzioni),
nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta allo stesso amministratore, può
prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata.
Inoltre, sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune, accessibile anche ai terzi,
dev'essere affissa l'indicazione delle generalità, del domicilio e dei recapiti, anche telefonici,
dell'amministratore. Se manca l'amministratore vi devono essere affissi generalità e recapiti,
anche telefonici, della persona che svolge funzioni analoghe e quelle dell'amministratore
Funzioni
Nell'espletamento dell'incarico l'amministratore deve avere un unico obiettivo la salvaguardia
dell'interessa della comunità condominiale. All'amministratore spettano sia funzioni esecutive che
funzioni amministrative; tra le prime rientra, per esempio, l’attuazione pratica delle delibere
assembleari, mentre fra le seconde rientra la stesura del >>Bilancio condominiale anche se
all'amministratore è lasciata una certa flessibilità nelle modalità di svolgimento dell'incarico, le sue
attribuzioni sono enunciate con precisione dall'articolo 1130 codice civile. In sintesi: 1) eseguire le
delibere dell'assemblea, convocarla annualmente per l’approvazione del rendiconto e curare
l'osservanza del regolamento di condominio; 2) disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei
servizi nell'interesse comune, in modo di assicurare il miglior godimento a ciascun condomino; 3)
riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti alla manutenzione ordinaria delle parti
comuni dell'edificio e all'esercizio dei servizi comuni; 4) compiere gli atti conservativi relativi alle
parti comuni dell'edificio (>>Lavori condominiali, Amministratore ); 6) curare la tenuta del registro
di anagrafe condominiale contenere i dati relativi ai condomini, alle rispettive unità immobiliari e
alle condizioni di sicurezza; 7) curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, del
registro di nomina e revoca dell'amministratore e del registro di contabilità; 8) conservare tutta la
documentazione inerente alla propria gestione; 9) fornire al condominio che ne faccia richiesta
l'attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in
corso; 10) redigere il rendiconto annuale di gestione e convocare l'assemblea per la relativa
approvazione entro 180 giorni. L'amministratore, inoltre, rappresenta a tutti gli effetti il
condominio e può agire in giudizio per qualunque azione che riguardi le parti o gli interessi comuni.
Con l'accettazione dell'incarico l'amministratore assume pienamente le responsabilità civili, e penali
collegate allo svolgimento del suo mandato. Il potere di rappresentanza dell'amministratore deriva
da una disposizione di tipo inderogabile, l'articolo 1131; di conseguenza non può subire limitazioni
nè per delibera dell'assemblea nè per volontà dello stesso amministratore (Corte di Cassazione
13/6/1991, n 6697). L'amministratore può delegare la propria funzione ad altra persona, a
condizione che l'atto con il quale è stato nominato non preveda il contrario. (Corte di Cassazione
9
22/7/1999, n 7888). Affinché l'amministratore possa stipulare un contratto nell'interesse del
condominio occorre una delibera con la quale egli può impegnarsi per il condominio. Il Tribunale di
Roma (Sentenza dell'11/8/1988) ha ritenuto che il contratto di assicurazione del fabbricato
condominiale, in quanto attinente alla conservazione della cosa comune, può essere stipulato
dall'amministratore senza
preventiva
autorizzazione
dell'assemblea.
La
Confedelizia
(Confederazione Italiana Proprietà Edilizia) ha redatto il mansionario dell’amministratore, che
elenca in dettaglio, in 32 punti, le funzioni di quest'organo condominiale. Il documento è
consultabile sul sito www.confedelizia.it
Giudiziario
Se i condomini sono più di 8 e l'assemblea non delibera la nomina dell'amministratore, prevede il
Tribunale su ricorso do uno o più condomini; trattandosi di procedimento di volontaria giurisdizione
non occorre l'assistenza di un avvocato (Tribunale di Ariano Irpini decreto 13/12/2006). Le spese
del procedimento sono a carico di chi lo ha attivato (Corte di Cassazione 30/3/2001, n 4706). La
nomina di un amministratore giudiziario può essere chiesta al Tribunale anche per risolvere
questioni fra i condomini: per esempio, assegnare i posti auto nelle aree condominiali qualora non vi
sia una delibera che regoli in modo specifico l'uso del parcheggio e la modalità d'uso dei servizi
comuni (Tribunale Napoli 24/2/2003): si parla allora di amministratore ad acta, ossia agli atti.
Compenso
L’amministratore nominato dal Tribunale ha diritto ad un compenso, da ripartirsi fra i condomini su
base millesimale, anche se il regolamento prevede che l'incarico sia gratuito, magari perché svolto a
turno dai condomini (Corte di Cassazione 12/2/1988, n 1513). Il compenso dell'amministratore
giudiziario, se non c'è accordo con i condomini, non può essere stabilito dal Tribunale che ha
provveduto alla nomina, ma dev'essere determinato in sede contenziosa, davanti al giudice
competente per valore (App. Lecce-Taranto 3/5/1995, >>Controversie )
Obblighi fiscali
L'amministratore è tenuto a operare, e versare al Fisco giovandosi del modello F24, entro il 15 del
mese successivo a quello in cui ha effettuato il pagamento, le seguenti trattenute d'acconto: >>20%
sui compensi erogato ai dipendenti del condominio (Per esempio: portiere-giardiniere) e ai
professionisti di cui utilizzi l'opera (Per esempio: avvocato - geometra - lo stesso amministratore );
>>4%
sui compensi erogati a imprese e artigiani, con esclusione delle utenze (Per esempio: luce acqua) e dei, materiali (Per esempio: lampadine-detersivi). In mancanza di amministratore la
ritenuta dev'essere operata da uno dei condomini. L'amministratore, inoltre, deve comunicare
annualmente all'Anagrafe Tributaria l'ammontare dei beni e dei servizi acquistati dal condominio,
con i dati identificativi dei relativi fornitori (In mancanza di amministratore la comunicazione non è
dovuta). Altri obblighi fiscali dell'amministratore sono: 1 >>pagare l'IMU (Imposta municipale
unica) sui locali condominiali assoggettati a questa imposta in quanto accatastati separatamente: si
pensi all'alloggio del portiere o del garage comune; 2
>
>>pagale l'eventuale tassa sul passo carraio; 3
se non è previsto che vi provveda l'appaltatore, pagare la tassa per l'occupazione del suolo
pubblico qualora si debba montare un ponteggio su una strada pubblica; 4 >>pagare la TIA (Tariffa
igiene ambientale) per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti prodotti dalle parti comuni (Per
esempio: il giardino).
10
Pubblicità
Sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune, accessibile anche ai terzi, è
affissa l'indicazione delle generalità, del domicilio e dei recapiti, anche telefonici
dell'amministratore (In mancanza di amministratore vengono affissi gli stessi dati riferiti alla
persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell'amministratore).
Responsabilità
L'amministratore risponde ai danni derivati dalla mancata esecuzione di una delibera assembleare:
per esempio: aver omesso di far riparare il tetto (Corte di Cassazione 14/6/1976, n 2219), e
risponde penalmente se una parte dell'edificio minaccia rovina, con pericolo per l'incolumità delle
persone, tranne che per cause accidentali non sia stato in grado d'intervenire con la dovuta urgenza
(Corte di Cassazione 28/6/2012, n 25221). L’amministratore non risponde, invece, dei danni
provocati dall’abuso della cosa comune da parte di un condominio; egli non è, dotato di poteri
coercitivi e disciplinari nei confronti dei partecipanti alla comunione (Corte di Cassazione
20/8/1993, n 8804). Le perdite conseguenti alla cattiva gestione dell'amministratore devono
essere ripartite in proporzione ai millesimi di proprietà, fatta ovviamente salva la possibilità di
agire nei suoi confronti per il recupero delle somme e il risarcimento del danno
Violazioni e danni
Contro i provvedimenti dell'amministratore che violino la legge o il regolamento si può ricorrere
direttamente al giudice senza passare per l'assemblea (Corte di Cassazione 8/3/1997, n 960). Se
invece l'amministratore trascura di prendere le opportune iniziative (Per esempio non si attiva per
la riparazione di un impianto guasto), il singolo condomino non può rivolgersi al giudice in via
contenziosa senza aver prima provocato una convocazione dell'assemblea condominiale (Corte di
Cassazione 14/8/1997, n 7613,
>>Assemblea, Convocazione). Solo se questa non è convocata o non
riesce a esprimere una volontà maggioritaria, o se la delibera adottata resta ineseguita, il
condomino può rivolgersi al giudice, che può anche nominare un amministratore giudiziario. E'
sconsigliabile, nel frattempo, prendere iniziative finalizzate all'esecuzione di una riparazione,
anticipando la relativa spesa. Se l’amministratore compie atti in nome e per conto del condominio
senza autorizzazione dell’assemblea nei casi in cui è necessaria, risponde in proprio, a meno che
l'assemblea non ne ratifichi l’operato con una delibera correttamente adottata (Corte di Cassazione
9/6/ 1990, n 6520). Gli atti, poi, con i quali l'amministratore disponga opere sulla cosa comune,
accettando i propri poteri e con lesione dei diritti dei condomini, possono essere impugnati senza
limite di tempo, essendo radicalmente nulli (Corte di Cassazione 29/11/1991, n 12851).
Revoca
Dall'assemblea
L’amministratore può essere revocato dall'assemblea in qualsiasi momento, trattandosi di un
rapporto di natura fiduciaria. Per la revoca è necessario lo stesso quorum richiesto per la nomina:
maggioranza degli intervenuti all'assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000, sia in prima
che in seconda convocazione. In alternativa il regolamento può prevedere una specifica modalità di
revoca. Anche la revoca, come già visto a proposito della nomina, può essere tacita: basta infatti
che venga nominato un nuovo amministratore senza che il precedente sia stato espressamente
revocato (Corte di Cassazione 9/6/1994, n 5608).
Dal Tribunale
11
La revoca dell'amministratore può anche essere disposta dal Tribunale, su ricorso di ciascun
condomino, nei seguenti casi:
1) Omessa comunicazione all'assemblea della notifica di un atto di citazione o di provvedimento
amministrativo il cui contenuto esuli dalle attribuzioni dell'amministratore: 2) Omesso rendiconto
della gestione; 3) In caso di gravi irregolarità (Alcune elencate dall'articolo 1129 codice civile,
altre individuate dalla giurisprudenza). Fra quelle previste dalla legge l'omessa convocazione
dell’assemblea per l'approvazione del rendiconto, la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari
e amministrativi, nonché di delibere dell'assemblea, la mancata apertura e utilizzazione del conto
corrente condominiale. Fra le gravi irregolarità individuate dalla giurisprudenza, le anomalie
contabili, ma anche i comportamenti che fanno sospettare una gestione anomala: per esempio: il
tentativo di influenzare l'assemblea dei condomini per l'assunzione di particolari delibere,
l’inserimento a verbale di offese a uno dei condomini (App. Genova 6/11/1990). Il Tribunale di
Milano, a sua volta (Sentenza del 29/9/1993), ha considerato grave irregolarità l'aver fatto
affluire i versamenti delle quote condominiali e i fondi di riserva sul proprio conto corrente
personale anziché su quello separato del condominio. Non è stata invece ravvisata grave irregolarità
nell'esecuzione di delibere assembleari nulle o annullabili (Perché possono essere impugnate,
Tribunale di Firenze 22/4/1991), nel rifiuto opposto alla richiesta di un condomino che voleva
ritirare, per effettuarne i controllo, tutti i documenti del condominio (Tribunale di Parma 12/3/
1999), nell'autoliquidazione del proprio compenso (Tribunale S. Maria Capua Vetere 23/7/1997) In
particolare, qualora siano emerse gravi irregolarità fiscali o l'amministratore non abbia aperto
e utilizzato il conto corrente condominiale, i condomini, anche singolarmente, possono chiedere
la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione e revocare il mandato
all’amministratore. Se l'assemblea non provvede alla revoca ciascun condomino può rivolgersi
all’Autorità Giudiziaria, e in caso di accoglimento della domanda del ricorrente può pretendere
il rimborso delle spese legali dal condominio, che a sua volta potrà rivalersi nei confronti
dell'amministratore revocato. In caso di revoca da parte dell’Autorità Giudiziaria, l'assemblea
non può nominare nuovamente l'amministratore revocato. Sulla revoca dell'amministratore il
Tribunale decide in camera di consiglio con decreto motivato, sentito lo stesso amministratore
in contradditorio con il ricorrente. Contro il provvedimento del Tribunale può essere proposto
reclamo alla Corte d'appello nel termine di 10 giorni dalla notifica o dalla comunicazione
Passaggio delle consegne
L'amministratore revocato, o che lascia volontariamente l'incarico, deve consegnare
tempestivamente al suo successore (O all'eventuale Consiglio di condominio se cosi prevede il
regolamento) tutta la documentazione in suo possesso efferente al condominio e ai singoli
condomini, ed eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni,
senza diritto a ulteriori compensi. Il nuovo amministratore deve verificare i saldi del rendiconto
precedente, se non è già stato approvato dall'assemblea, ma non può ratificare l'operato di chi l'ha
preceduto; questo potere, infatti, spetta esclusivamente all'assemblea. Non sempre queste regole
di buon comportamento vengono rispettare. Spesso l'amministratore uscente rallenta il passaggio
delle consegne, magari perché aspetta di ottenere il rimborso di una spesa anticipata nell'interesse
del condominio. Un simile comportamento è stato considerato illegittimo ai giudici ( Corte di
Cassazione 3/12/1999, n 13504) perché non c'è interdipendenza fra le due prestazioni.
AMMINISTRAZIONE
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Gli atti posti in essere nell'ambito della gestione condominiale possono essere sia di ordinaria che di
straordinaria amministrazione. Atti di ordinaria amministrazione sono quelli che si riferiscono alla
conservazione e il miglioramento delle parti comuni, nonché alla gestione delle eventuali rendite: si
pensi alla riparazione di un impianto condominiale, all'aggiornamento del premio di assicurazione,
all'autorizzazione, all'amministratore, a resistere in giudizio (Corte di Cassazione 8/11/1989, n
4691), all'impiego dei proventi di una locazione a terzi di un locale condominiale. Sono invece atti di
straordinaria amministrazione quelli eventi per oggetto modifiche o trasferimenti della cosa
comune, tali da portare a una diminuzione della sua consistenza (Corte di Cassazione 13/2/1988, n
1553): si pensi alla vendita dei locali giù adibiti a portineria. La differenza non è priva di
conseguenze perché, a seconda del tipo di atto, è richiesto un quorum deliberatorio (>>Assemblea,
Maggioranza).
ANDRONE
L'androne condominiale fa parte delle scale ed è in un certo senso il biglietto da visita dell'edificio.
Da qui divieti e limiti di varia natura: i condomini, per esempio, non possono affiggervi avvisi, annunci
e simili, essendo questa facoltà riservata all'amministratore. In genere non è consentito neppure
collocarvi insegne luminose, targhe e cartelli pubblicitari, poiché tale utilizzazione si pone in
contrasto con la funzione e la destinazione tipica di questa parte comune dell'edificio (Tribunale di
Brescia 26/4/1994). L'assemblea può però autorizzare studi professionali, uffici e simili a
collocare targhe segnaletiche della rispettiva attività, purché caratterizzate da dimensioni e
aspetto grafico uniformi. La Corte di Cassazione (sentenza n 1046 del 3/2/1998) ha, comunque,
ritenuto lecito posizionare targhe negli spazi comuni, se ciò non impedisce agli altri condomini un
pari utilizzo di essi. Sempre la Suprema Corte (Sentenza n 761 del 5/2/1978) ha ritenuto
legittima l'apertura di una porta per collegare l'androne con unità immobiliari di proprietà esclusiva
a condizione che questo tipo d'innovazione non alteri la destinazione dell'androne e non impedisca
agli altri condomini di farne parimenti uso.
Chiusura
La chiusura dell'androne con un cartello, se mira a potenziare o a rendere più comodo il
godimento della cosa comune, lasciandone immutate la consistenza e la destinazione, in modo
da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, può essere considerata modifica e non
innovazione della casa comune, introducibile in quanto tale con il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti all'assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000. Se
sarebbe nulla la delibera che dispone la chiusura permanente del portone d'ingresso di un androne
accessibile alle auto senza provvedere alcuna misura che ne consenta l'agevole apertura da parte
dei soggetti legittimati ad attraversarlo con un’autovettura (Tribunale di Milano 9/3/1989). In un
edificio dotato di più androni di accesso agli appartamenti l'assemblea non può, a maggioranza,
vietare agli estranei al condominio il transito da uno di essi, perché cosi facendo, oltre ad incidere
all’uso delle cose comuni, limita illecitamente la proprietà privata (Tribunale di Napoli 14/6/1974)
Divisione spese
Per la ripartizione fra i condomini delle spese di pulizia e ricostruzione dell'androne si applica il
criterio dei millesimi di proprietà. Devono contribuire alle spese di manutenzione dell'androne e
delle scale anche i proprietari di unità con accesso autonomo alla strada (Nel caso di specie
13
portone, moquette e passatoia dell'ingresso, nonché illuminazione dei servizi comuni, App. di Milano
3/7/1992).
Passeggino
Oggetto di frequente discussione è il passeggino, nell'androne condominiale, di carrozzine e
passeggini. E' consentito usare l'androne a questo fine, a condizione che un divieto in tal senso non
sia contenuto nel regolamento del condominio (Che deve però essere contrattuale), che il
passeggino venga lasciato in un punto dell'androne in cui non intralci il transito di chi frequenta
l'edificio, e che si rispetti il dettato dell'articolo 1102 codice civile, per il quale ciascun
partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca
agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Sarebbe poi buona norma
lasciare il passeggino nell'androne soltanto se non entra in ascensore.
ANIMALI
Il quinto comma dell'articolo 1138 codice civile stabilisce che le orme del regolamento non
possono vietare di possedere o detenere animali domestici. Per introdurre un divieto del genere,
quindi, è necessario che siano d'accordo tutti i condomini. Il detentore dell'animale è comunque
tenuto a rispettare la normativa sulle >>Immissioni, e ad evitare che gli strepiti disturbino il riposo
o le occupazioni delle persone. Il divieto, ove previsto, riguarda sia i proprietari che gli inquilini. Gli
animali possono essere portati in ascensore, a meno che vi sia un divieto contenuto nel regolamento
o introdotto dall'assemblea con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in
rappresentanza di almeno 500/1.000.
Disturbo
Se si prova che l'animale è molesto se ne può chiedere l'allontanamento al giudice, se del caso non
richiesta di provvedimento d'urgenza, con divieto assoluto di ritorno nell'edificio condominiale
(Tribunale di Napoli 8/3/1994). Questo stesso Tribunale (Sentenza del 25/10/1990) ha stabilito
che l'esecuzione del provvedimento può essere affidata ai Carabinieri o agli agenti della Polizia di
Stato, mentre il Tar della Campania (Sentenza n. 16477 del 14/10/2005) ha decretato che il
Sindaco può, per ragioni igienico-sanitarie, ordinare in via d'urgenza l'allontanamento dall'edificio
di un cane detenuto in condizioni accertate come inidonee dal competente ufficio sanitario. I
disturbi che deve accertare il giudice sono, per esempio, i latrati, gli strepiti, la sporcizia, il
pericolo di aggressioni (Tribunale di Napoli 25/10/1990). Per la Corte di Cassazione (Sentenza n.
3348 del 28/3/1995 ), i miagolii, latrati e rumori vari, anche se notturni, devono disturbare un
numero rilevante di persone, non solo chi ha presentato il ricorso al giudice; con una successiva
decisione (n. 36241 dell'8/7/2004), pronunciata con riferimento ai latrati di cani, la stessa corte
di cassazione ha però stabilito che ciò che rileva ai fini del reato non è il disturbo effettivo a una
pluralità di persone ma la potenzialità diffusiva della fonte rumorosa, al di là, quindi, del numero di
persone che risultino concretamente disturbate dai rumori molesti.
Divieti
Non si possono tenere in casa animali di cui la normativa non consente il possesso. La Legge
7/2/1992, n 150, più volte modificata, vieta la detenzione degli esemplari di mammiferi e rettili
selvatici o provenienti da riproduzioni in cattività che, in particolari condizioni ambientali o
comportamentali, possono avere effetti mortali o invalidanti per l'uomo. Vietati anche gli animali
che, che non sottoposti a controlli sanitari o a trattamenti di prevenzione, possono trasmettere
14
malattie infettive all'uomo. Fra questi, elencati nel decreto del ministero per l' ambiente
19/4/1996, modificato con D.M. 26/4/2001, rientrano scimmie, topi, leoni, tigri, pantere, vipere
Randagi
Il Tribunale di Milano (Sentenza n. 23693 del 30/9/2009) ha considerato legittima
l'occupazione, da parte di 2 condomini, di uno spazio comune mediante l' installazione di
piccole costruzioni per i gatti randagi (rifugi) del tutto temporanee.
ANTENNA
Televisiva
Autonoma
In mancanza di disposizione contraria del regolamento (Che deve però essere contrattuale,
altrimenti la relativa clausola è nulla, Corte di Cassazione 3/8/1990, n 7825), il condomino ma lo stesso diritto è riconosciuto all'eventuale conduttore - può installare l'antenna
televisiva sul lastrico solare, sul tetto e sulle parti di esclusiva proprietà. Stesso discorso per
un'antenna radiofonica (Tribunale Latina 16/11/1992) o per uso imprenditoriale (Tribunale Roma
9/6/1986). Le dimensioni dell’impianto non devono però essere tali da impedire agli altri condomini
di fare pari uso della parte comune di edificio sulla quale avviene l'installazione. Inoltre l'antenna
non dev'essere collocata in punti tali da alterare il decoro architettonico dell'edificio. Per il giudice
di pace di Grossetto (Sentenza n. 1038 del 16/8/ 2011) le antenne televisive installate sui tetti,
le parabole satellitari sporgenti dal muro e gli impianti di climatizzazione, sempre più numerosi, non
vengono più percepiti come causa di deturbazione dell'estetica delle abitazioni e, più in generale,
dall'ambiente. Se poi si rendono necessarie modifiche delle parti comuni, l'interessato ne deve dare
comunicazione all'amministratore, indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli
interventi; l'assemblea, infatti, può prescrivere, con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 667/1.000, adeguate modalità alternative di esecuzione o
imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza e del decoro architettonico
dell'edificio (Terzo comma articolo 1122-bis codice civile). A riguardo il Tribunale di Varese
(sentenza del 25/2/2011 ) ha stabilito che l'assemblea può imporre ai condomini i criteri in base ai
quali installare un'antenna parabolica: per esempio: al contro della porzione di tetto di pertinenza o
sul proprio balcone ma ad almeno 1 metro dal confine (Tribunale di Varese 25/2/2011).
L'assemblea può, con la stessa maggioranza, imporre all'interessato la prestazione d’idonea
garanzia per eventuali danni. attenzione: alcuni Comuni hanno deliberato la rimozione delle antenne
paraboliche installate sui balconi. L'assemblea non può deliberare la rimozione dell'antenna
parabolica installata da un condomino sul lastrico solare di proprietà comune. Una delibera del
genere sarebbe nulla perché in contrasto con la normativa che, fondata sul principio costituzionale
della liberà d'informazione, accorda ai condomini la facoltà d'installare l'antenna sul lastrico
comune, con il solo limite che essa non arrechi pregiudizio all'uso del bene da parte degli altri
condomini, nè produca un qualsiasi, apprezzabile danno alle parti comuni (App. Perugia 1/7/2004).
La vendita dell'appartamento non obbliga il condominio a rimuovere l'antenna, se questa verrà
utilizzata dall'acquirente. L'antenna televisiva autonoma può essere installata anche sul lastrico
solare adibito all'uso esclusivo di un altro condomino, in base all'articolo 1 della L. 6/5/940, n. 554,
dettata per le antenne radiofoniche ("aerei" secondo la denominazione tecnica) ma esteso alla
15
giurisprudenza delle antenne televisive. Premesso che questa soluzione dev'essere adottata qualora
non ve ne siano altre praticabili (ed è comunque subordinata alla condizione che il condominio non
disponga di uno spazio proprio al quale alloggiare l'impianto, Corte di Cassazione 6/5/2005, n
9393), l'antenna dev'essere collocata in modo da non impedire il libero uso del lastrico, secondo la
sua destinazione, da parte del proprietario esclusivo, e il proprietario di essa è tenuto a farsi carico
della spesa corrente al ripristino dei luoghi una volta avvenuta l'installazione; egli è inoltre tenuto a
risarcire gli eventuali danni prodotti dalla presenza dell'antenna. Il proprietario del lastrico può
fare qualunque lavoro o innovazione, ancorché comporti la rimozione o il diverso collocamento
dell'antenna. Nel qual caso deve preavvertire il proprietario di questa, il quale è tenuto ad eseguire
dette operazione a propria cura e spese, senza diritto ad alcuna indennità. Il Tribunale di Terni
(Sentenza del 19/1/1988) ha ordinato la rimozione dell'antenna posta da un condomino sul
terrazzo di un altro condomino, poiché il proprietario dell'antenna, per accedervi ai fini della
manutenzione, doveva attraversare diverse stanze dell'appartamento di proprietà dell'altro
condomino, violandone con ciò la privacy; inoltre il ruotare dell'antenna e il suo ingombro limitavano
l'uso del terrazzo da parte del proprietario di questo e davano luogo a disturbi e interferenze al
televisore, al telefono e all'impianto stereo.
Adeguamento
L'assemblea, ai fini dell'adeguamento degli impianti non centralizzati esistenti alla data di
entrata in vigore della riforma, adotta le necessarie prescrizioni con le maggioranze di cui al
primo, secondo e terzo comma dell'articolo 1136 codice civile (articolo 155-bis disp. att. codice
civile).
Installazione sul lastrico solare
Il lastrico solare, anche se di uso esclusivo può essere utilizzato per l'installazione di antenne da
parte degli altri condomini. Questa soluzione è praticabile a condizione che il condomino non
disponga di uno spazio proprio nel quale alloggiare l'impianto (Corte di Cassazione 6/5/2005, n
9393). L'antenna dev'essere collocata in modo da non impedire il libero uso del lastrico, secondo la
sua destinazione da parte del proprietario esclusivo, e il proprietario di essa è tenuto a contribuire
alla spesa occorrente al ripristino dei luoghi una volta avvenuta l'installazione; egli è inoltre
obbligato a risarcire gli eventuali danni prodotti dalla presenza dell'impianto. Se poi si rendono
necessari dei lavori che comportano lo spostamento dell'antenna, le spese richieste dalla rimozione
e dal ricollocamento dell'impianto sono a carico del proprietario di questo. La Corte D'appello di
Milano (Sentenza 30/6/1995) ha stabilito che si è tenuti a consentire il passaggio, attraverso il
proprio appartamento, del personale incaricato di collocare o riparare cavi e antenne situati sul
tetto o sul lastrico solare, sempre che l'intervento non sia altrimenti possibile ancorché più
costoso. L'obbligo di consentire il passaggio fa carico anche al conduttore (Tribunale di Roma
18/10/1964).
Centralizzata
L'installazione di un'antenna televisiva condominiale va fatta nel rispetto della normativa contenuta
nel decreto del Ministero delle comunicazioni 11/11/2005. Gli impianti centralizzati già installati
sono adeguati sulla suddetta normativa in occasione del primo intervento di manutenzione
straordinaria. L'articolo 2-bis del decreto legge n 5 del 23/1/2001, convertito dalla Legge
20/3/2001, n 66, e successive modificazioni, stabilisce che, allo scopo di favorire lo sviluppo e la
diffusione delle nuove tecnologie di radiodiffusione da satellite, la delibera per l'introduzione di
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un'antenna parabolica condominiale può essere adottata con il voto favorevole della maggioranza
degli intervenuti all'assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000. Stessa maggioranza per
trasformare un impianto centralizzato tradizionale in impianto centralizzato satellitare. La
maggioranza occorrente alla costituzione dell'assemblea e alla validità della delibera deve essere
calcolata escludendo i condomini (E relativi millesimi) proprietari di solo garage, estranei in quanto
tali alla fruizione dell'antenna e alla relativa spesa. il Giudice di pace di Monza ha stabilito
(Sentenza del 15/3/2005) che l'installazione di un'antenna satellitare centralizzata non
costituisce innovazione voluttuaria ma necessaria; di conseguenza non è soggetta al regine di
esonero dalla spesa previsto dall'articolo 1121 codice civile in favore di condomini che non
intendano trarne vantaggio. Se però l'assemblea dovesse propendere per un modello
particolarmente costoso e quindi per una spesa, alla luce dell'articolo1121 codice civile, "molto
gravosa" in rapporto alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio, i condomini che non
intendano avvalersene sono esonerati dal contribuire all'esborso (Che sarà quindi a totale carico
degli altri): salva, però, la possibilità di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi dell'innovazione,
contribuendo alle spese di esecuzione e manutenzione opportunamente rivalutate. Negli immobili di
nuova costruzione e in quelli che hanno subito una ristrutturazione generale devono
obbligatoriamente essere installate antenne centralizzate (Legge 31/7/1997, n 249). L'iniziativa
finalizzata all'installazione dell'antenna centralizzata può essere assunta anche da un solo
condomino, con richiesta, contente l'indicazione del contenuto specifico e delle modalità di
esecuzione degli interventi proposti, da presentare all’amministratore. Questi deve, entro 30
giorni, convocare l'assemblea, che delibera con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000. L’assemblea può decidere, a maggioranza, di
rimuovere l'antenna televisiva centralizzata, a condizione di non incidere sulle parti d'impianto di
proprietà individuale (Corte di Cassazione 11/1/ 2012, n 144).
RIEPILOGANDO: L’ ANTENNA CENTRALIZZATA
Installazione ex novo antenna parabolica o tradizionale:
intervenuti all'assemblea e almeno 500/1.000. Modifica da
maggioranza di cui sopra. Ripartizione spese: in base ai
Installazione antenne telefoni cellulari: ci vuole l'unanimità.
1136-codice civile, articolo 2-bis Legge n. 66/2001.
consenso della maggioranza degli
tradizionale a satellitare: stessa
millesimi, salvo diverso accordo.
Norme: articolo 1120-1122-bis e
Spesa
La spesa per l'installazione
dell'impianto satellitare, come per quello centralizzato tradizionale, viene suddivisa in base ai
millesimi di proprietà, ma l'assemblea può, a maggioranza, deliberare di dividerla in parti uguali,
trattandosi di apparecchiatura destinata a servire i condomini in uguale misura ( Corte di Cassazione
2/8/1969, n 2916). Eventualmente si potrà fare un calcolo a parte per le prese da installare in
ogni appartamento, in modo che ciascun proprietario possa metterne quante ne vuole, collocandosi la
relativa spesa. Lo stesso dicasi della spesa richiesta dall'eventuale riparazione dell'impianto.
Radioamatore
Il condomino radioamatore può installare sul lastrico solare o sul tetto condominiale un'antenna
ricetrasmittente. deve però essere munito di autorizzazione amministrativa e l’installazione non
deve arrecare danni al tetto o al lastrico, o impedire agli altri condomini di fare pari uso di questa
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parte comune dell'edificio (Corte di Cassazione 16/12/1983, n 1983). Se poi si rendono
necessarie modifiche delle parti comuni, l'iter è lo stesso previsto per l’installazione di
un'antenna
>>Televisiva, Autonoma).
Ripetitore per telefonia cellulare. Visto il grande successo ottenuto dalla telefonia cellulare e la
seguente diffusione degli appositi ripetitori sulle coperture degli edifici, sono numerosi i condomini
alle prese con questo problema. Poiché l'installazione dell'impianto configura l'imposizione di una
servitù sull'edificio condominiale in cambio di un canone, la delibera va approvata all'unanimità
(Corte di Cassazione 18/4/2002, n 5626). Tra condominio e azienda telefonica dev'essere
stipulato un contratto di locazione commerciale, regolato dall'articolo 27 e segg. della L.
27/7/1978, n 392 (Tribunale Castelvetrano 4/12/2003, n 90). Meglio, prima di concedere
l'autorizzazione, verificare che il ripetitore non interferisca con le normali apparecchiature
elettriche esistenti nel caseggiato (Televisori, impianti di allarme) e, sopratutto, che le onde
prodotte non siano suscettibili di arrecare danni alla salute degli occupanti l'edificio. L'installazione
può essere bloccata anche con richiesta al giudice di provvedimento d'urgenza, stante la potenziale
pericolosità delle emissioni elettroniche e il conseguente deprezzamento dell'immobile (Tribunale di
Bologna 8/3/2005). Il Tribunale di Vicenza - Sezione distaccata di Schio (Sentenza n 694 del
3/8/2007) ha precisato che, se l'installazione è stata autorizzata con delibera assembleare non
impugnata nei termini, l'istanza di sospensione non può trovare accoglimento. L'iniziativa potrebbe
essere contestata anche dai condomini degli edifici limitrofi; infatti, se la prova in opera non è
stata autorizzata dal Comune, dalla Provvidenza o dalla Regione (A seconda della zona di
competenza), o se le omissioni elettromagnetiche dovessero superare i limiti di legge, possono
impedire l'installazione (La misurazione delle emissioni elettromagnetiche è affidata all'ARPA,
Agenzia Regionale Protezione Ambiente). Il singolo condomino può installare sul tetto o sul lastrico
solare un'antenna telefonica e relativi cablaggi, anche senza autorizzazione dell'assemblea. Deve
però trattarsi d'impianto di modeste dimensioni e quindi non lesivo del decoro architettonico, della
stabilità e della destinazione d'uso della parte comune sulla quale viene installato (Tribunale di
Verona 4/12/2000). Se poi si rendono necessarie modifiche delle parti comuni, l'iter è lo
stesso previsto per l'installazione di antenna
>>Televisiva, Autonoma).
APPALTO
Il condominio è solito ricorrere all'appalto per l'esecuzione di opere o la prestazione di servizi di
una certa entità: si pensi al rifacimento del tetto o della conduzione dell'impianto di ascensore. Per
la gestione di servizi meno impegnativi quali la pulizia delle scale, la manutenzione del giardino,
invece, non è infrequente il ricorso al contratto d'opera. Capita spesso che perfino il servizio di
portineria venga dato in appalto. L'articolo 1655 definisce l'appalto come il "contratto con il quale
una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il
compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro". Committente è il
condominio attraverso l'amministratore, chiamato a firmare il contratto con la controparte,
l'appaltatore, che si obbliga ad eseguire l'opera o a fornire il servizio. Di solito la scelta
dell'impresa che realizzerà i lavori compete all'assemblea, sulla base delle proposte raccolte
dall'amministratore o da singoli condomini. L'amministratore ha l'obbligo di vigilare sulla buona
riuscita dei lavori e sulla corretta esecuzione del contratto, anche nel caso in cui l'assemblea gli
abbia affiancato un direttore dei lavori. Se l'amministratore stipula un contratto d'appalto senza
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l'autorizzazione dell'assemblea o, comunque, andando oltre ai suoi compiti, il contratto non produce
effetti nei confronti del condominio e l'amministratore ne risponde in proprio (Tribunale di Milano
9/6/2009, n 7565).
Danni e vizi
L'amministratore deve, a pena di decadenza, denunciare all'appaltatore vizi e difformità dell'opera
o del servizio entro 60 giorni dalla scoperta (Articolo 1667 codice civile), altrimenti è
responsabile nei confronti del condominio. Egli può agire autonomamente nei confronti
dell'appaltatore se i vizi riguardano le parti comuni, ma per il risarcimento del danno causato dalla
non corretta esecuzione dei lavori può attivarsi anche un condomino (Corte di Cassazione
17/1/2003, n 631) se la cattiva esecuzione dei lavori ha causato danni ad un condomino, questi può
agire soltanto nei confronti dell'appaltatore, non essendo configurabile una responsabilità del
condominio per il solo fatto di aver scelto un appaltatore anziché un altro (Corte di Cassazione
7/5/1988, n 3395). Successivamente, però, la Suprema Corte (Sentenza n. 2363 del 17/2/ 2012)
ha chiamato a rispondere del danno anche il condominio qualora abbia omesso la benché minima
sorveglianza dell'esecuzione dei lavori o sia ravvisabile a suo carico una culpa in ligendo
nella scelta >>nella designazione dell'appaltatore.
<< colpa
Sostituzione
Per deliberare l'eventuale sostituzione dell'appaltatore incaricato di eseguire un lavoro
straordinario di notevole entità sull' edificio condominiale è necessaria la stessa maggioranza
prevista al quarto comma dell'art. 1136 codice civile per deliberare l'effettuazione di questo
lavoro; maggioranza degli intervenuti all'assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000,
anche in seconda convocazione (Corte di Cassazione 26/1/1982, n 517).
Ritenuta d'acconto
La legge finanziaria per il 2007 ha inserito il condominio fra i sostituti d'imposta; ha infatti
istituito una ritenuta d'acconto del 10% sui corrispettivi pagati dal condominio per prestazioni
relative a contratti di appalto di opere o servizi, con l'amministratore tenuto a trattenere e a
versare al Fisco il relativo importo (>>Amministratore, Obblighi fiscali).
ASCENSORE
Sotto il profilo della manutenzione e della sostituzione l'articolo 1124 codice civile assimila
l'ascensore alla scale. Quanto all’installazione, se questa è avvenuta in sede di costruzione
dell'edificio, anche a coloro che di norma non se ne servono, come chi abita al piano terra, a meno
che dal regolamento non risulti il contrario. La presenza di un ascensore, infatti, aumenta il valore
della proprietà individuale, per cui il condominio non può sottrarsi dal contribuire alla spesa; questa
possibilità, infatti, gli è preclusa dal secondo comma dell'articolo 1118 codice civile, a meno che
non intervenga un'autorizzazione da parte di tutti gli altri condomini; autorizzazione che
dev'essere rilasciata con atto pubblico debitamente trascritto presso l'Agenzia del territorio, se
la si vuole rendere opponibile agli eventuali terzi futuri acquirenti delle unità immobiliari ubicate
nell'edificio. Quando, invece, l'ascensore viene installato soltanto a cura e spese di uno o più
condomini, quelli che non hanno aderito all'iniziativa sono esclusi dal servizio e dal partecipare alla
relativa spesa, anche se come vedremo sono ammessi a ripensarci (>>A spese di uno o più condomini
).
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Adeguamento
La spesa richiesta dall'adeguamento dell'impianto alla normativa dell'Unione Europea, essendo
finalizzata alla sicurezza e all'incolumità della vita umana, si riferisce alla proprietà dell'impianto e
non dal suo uso. Di conseguenza dev'essere ripartita fra tutti i condomini, anche quelli che abitano
al piano terra, in base ai millesimi di proprietà (Tribunale di Parma 29/9/1994). Lo stesso criterio
dev'essere seguito per l'eventuale spesa di tinteggiatura dell'androne, se è conseguenza di
adeguamento dell'ascensore (Giu.pa Benevento 12/11/1996).
Chiave
L'amministratore non può munire l'ascensore di chiave senza autorizzazione dell'assemblea
(Pretore di Busto Arsizio 6/2/1990). Le spese per l'introduzione della chiave vanno ripartite
secondo lo stesso criterio previsto per l'installazione dell’ascensore, vale a dire in base ai millesimi
di proprietà, prescindendo quindi dall'altezza dei piani dal suolo. Non è però da escludere il criterio
di suddividere i costi in parti uguali, trattandosi di accessorio destinato a servire i condomini nella
stessa misura. Il proprietario esclusivo dell'ultimo piano può sostituire a propria cura e spese il
corrispondente pulsante con la chiave, a patto che la copertura dell'edificio non sia costituita da un
lastrico solare di uso comune, e purché non vi siano soffitte di proprietà di altri condomini (Corte di
Cassazione 13/1/1971, n 50).
Danni
Il condominio risponde, in quanto custode dell'impianto degli eventuali danni provocati
dall'ascensore (Per esempio: a chi, entrando nella cabina, sia caduto a causa di un dislivello di 16
centimetri esistenti tra il pavimento del piano e quello della cabina, dislivello non visibile
dall'esterno e non segnalato, Tribunale di Milano in data 7/4/2004 ), a meno che non si riesca a
provare il caso fortuito, la colpa del danneggiato o l'intervento doloso da parte di terzi. Il
condominio può a sua volta, ricorrendone i presupposti, rivalersi nei confronti dell' appaltatore del
servizio di manutenzione (Corte di Cassazione del 27/7/1979, n 4385). Lo stesso dicasi per i danni
provocati ad un utente dalla prolungata discesa libera della cabina dovuta all’omessa riparazione del
sistema frenata da parte dell'impresa addetta alla manutenzione dell’impianto (Tribunale di Terni
3/7/1997).
Divieti
L'ascensore non può essere usato dai minori di 12 anni che non siano accompagnati da persone di
età più elevata. Inoltre è vietato l'uso degli ascensori a cabile multiple a moto continuo a ciechi, alle
persone con abolita o diminuita funzionalità degli arti e ai minori di 12 anni, anche se accompagnati.
In ascensore non si può fumare (>>Animali ).
Gettonieria
Per scoraggiare l'uso dell'ascensore da parte di estranei (Sopratutto negli edifici che ospitano
studi professionali, uffici o simili), e per acquisire al condominio un'entrata destinata a coprire una
parte delle spese di manutenzione, l'assemblea può, con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000, deliberare l'introduzione della gettoniera.
Quanto alla suddivisione della relativa spesa, la Corte d'Appello di Napoli (sentenza del 17/7/1968)
ha considerato legittima la ripartizione in base ai millesimi di proprietà, nonostante il regolamento
prevedesse una ripartizione dei costi di esercizio dell'impianto proporzionata all'altezza di ciascun
piano dal suolo. La stessa maggioranza può decidere l'aumento del prezzo della corsa. Circa la
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ripartizione dei proventi, la sentenza sopra richiamata ha considerato legittima la suddivisione in
base ai millesimi di proprietà.
Installazione
L'installazione dell'ascensore, configurando un'innovazione diretta al superamento delle barrire
architettoniche, può essere deliberata, come previsto dal secondo comma dell'articolo 2 della
Legge 9/1/1989, n 13, con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all'assemblea,
in rappresentanza di almeno 500/1.000. Se l'edificio è dotato di più scale e l'installazione
dell'ascensore riguarda una soltanto di esse, la maggioranza in assemblea dev'essere calcolata
considerando i soli proprietari delle unità immobiliari interessate all'innovazione (Tribunale di
Milano in data 12/4/1990). L'installazione non è consentita se comporta alterazione del decoro
architettonico dell’edificio o un sensibile deprezzamento dell'unità immobiliare anche di un solo
condomino; in tali ipotesi, quindi, non è sufficiente la maggioranza di cui sopra, ma è necessaria
l'unanimità (Corte di Cassazione del 25/6/1994, n 6109 ). Se però l'installazione avviene per
favorire un disabile o un anziano, è consentita ancorché comporti alterazioni del decoro
architettonico dell'edificio (Corte di Cassazione 25/10/2012, n 18334). Installazione vietata,
invece, se comporta un pregiudizio intollerabile o un danno apprezzabile anche a un solo condominio
(Tribunale di Napoli 16/11/1991). In caso di restringimento di un passaggio condominiale, il
Tribunale di Milano, che in un primo momento (Sentenza del 9/9/1991) aveva considerato legittima
l'installazione dell'ascensore, pronunciandosi a distanza di pochi giorni (Sentenza del 23/9/1991)
su di un caso analogo l'ha vietata perché comportava una riduzione del piano di calpestio dei vari
piani e quindi in contrasto con il quarto comma dell'articolo 1120 codice civile Il Tribunale
d'Imperia, a sua volta (Sentenza dell’11/12/ 2001), ha stabilito che l'installazione dell'ascensore a
cura e spese di alcuni condomini, ove comporti la riduzione della larghezza della rampa delle scale
(Nel caso di specie 85 centimetri), alterandone il decoro architettonico e la fruibilità, dev'essere
approvata dalla maggioranza dei partecipanti al condominio in rappresentanza di almeno
667/1.000. Per la Corte di Cassazione (Sentenza n 15308 del 12/7/2011) non ci si può opporre
all’installazione dell'ascensore se comporta un restringimento del pianerottolo, poiché questo tipo
d'intervento comporta un semplice disagio rispetto alla normale fruibilità del pianerottolo e non la
sua inservibilità. Se invece l' installazione comporta la violazione dei diritti di un condomino sulle
parti di sua proprietà esclusiva, la relativa delibera è nulla e quindi impugnabile senza limiti di tempo
(Corte di Cassazione 2/7/2012, n 12930). Nell'effettuare lavori non trova applicazione la
normativa sulle distanze legali fra il costruendo ascensore e la proprietà esclusiva dei singoli
condomini, trattandosi d’impianto indispensabile ai fini dell'abilità e in sintonia con l'evoluzione
delle esigenze dei cittadini (Tribunale di Napoli 16/11/1991): criterio questo, ribadito dalla Corte
di Cassazione con sentenza n. 14096 del 3/8/2012; la riduzione degli spazi comuni e la violazione
delle distanze deve però essere mantenuta entro limiti ragionevoli, in relazione ai singoli casi. Per
escludere un piano del servizio di ascensore è necessaria l'unanimità dei condomini.
A spese di uno o più condomini
L'ascensore può anche essere installato a cura e spese di un solo condomino o di un numero limitato
di condomini (Corte di Cassazione 10/4/1999, n 3508). I condomini che non aderiscono
all'iniziativa, per parte loro, possono (III° comma, articolo 1121, codice civile) partecipare in
qualsiasi tempo ai vantaggi che essa comporta, contribuendo alle spese di esecuzione e di
manutenzione opportunamente rivalutate per tener conto del tempo trascorso dall'installazione al
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momento in cui si opta per l'utilizzo dell'impianto (Corte di cassazione 11/2/ 2000, n 1529). In
questi casi, se l'installazione avviene a cura e a spese di un portatore di handicap non occorre
autorizzazione dell'assemblea (Tribunale di Milano 11/5/1989), consigliabile però acquisire
l’autorizzazione di tutti gli altri condomini, per evitare possibili azioni legali sotto il profilo
dell'alterazione del decoro architettonico dell'edificio o della sottrazione di aria e luce ad alcuni
appartamenti. In particolare, è opportuno formalizzare con atto notarile e successiva trascrizione
presso l'Agenzia del territorio l'autorizzazione dei condomini in ordine ai quali l'innovazione
comporta il mancato rispetto della distanza legale dalle rispettive unità immobiliari, in modo da
renderla opinabile a eredi e acquirenti. Chi è contrario all'installazione non può obbiettare che
l'impianto sottrae all'utilizzazione una parte comune dell'edificio (Per esempio la tromba delle
scale), se risulta (Come in effetti è lecito presumere si verifichi) che all'originaria possibilità di
godimento della cosa comune ne è stata sostituita un'altra migliore, anche se di diverso contenuto
(Corte di Cassazione 20/4/1994, n 4152). Successivamente la stessa Corte di Cassazione
(Sentenza n. 9033 del 4/7/2001) ha stabilito che non è necessario che da questo tipo d’innovazione
debba derivare un vantaggio compensativo per il condomino dissenziente.
Installazione esterna
Un condominio può chiedere all'assemblea di essere autorizzato ad installare un ascensore
esterno. In mancanza di prova di qualità del disabile è necessario il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti all'assemblea, in rappresentanza di almeno 667/1000, non
rientrando tale installazione nella previsione dell'articolo 1102 codice civile; si tratta invece
d'innovazione ai sensi del primo comma dell'articolo 1120 codice civile (App. Perugia 29/2/
2000). E' comunque opportuno acquisire il consenso di tutti i condomini, ad evitare possibili
contestazioni sotto il profilo dell'alterazione del decoro architettonico dell'edificio.
RIEPILOGANDO: L’ ASCENSORE
Installazione. Maggioranza degli intervenuti all'assemblea e almeno 500/1.000. Anche a spese di
uno o più condomini, con gli altri che possono aderire successivamente pagando la propria quota
rivalutata.
Spese. Quelle dell'installazione vanno ripartite in base ai millesimi di proprietà, quelle di esercizio
per metà in base ai millesimi e per l'altra metà in base all'altezza di ciascun piano dal suolo.
Divieti. Minori di anni 12 non accompagnati e fumo.
Uso intensivo. Ininfluente salvo diverso accordo. Piano terra. Esonero dalle spese richieste dal
normale logorio dell'impianto.
Trasporto materiali. Purché non danneggi l'impianto e non ne impedisca l'uso da parte degli altri
condomini.
Gettoniera. Maggioranza degli intervenuti all'assemblea e almeno 500/1.000.
Norme. Articolo 1120 e 1136 codice civile, articolo 2 Legge n. 13/1989.
Negozi
I proprietari di negozi, se, per com’è strutturato l'edificio, non hanno l'accesso all'ascensore, sono
esclusi dal contribuire alla spesa (Corte di Cassazione 29 /4/1992, n 5179 ). Se però si tratta di
proprietari di negozi siti al piano delle singole unità immobiliari, l'ascensore deve considerarsi di
proprietà comune, perché occorre far riferimento non all'utilizzo effettivo ma a quello potenziale
(App. Bologna 1/4/1989): sopratutto se l'edificio è dotato di lastrico solare condominiale.
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Piano terra
Uno dei problemi più spinosi è il tipo di contributo da porre a carico dei condomini che abitano al
piano terra. Sul punto la giurisprudenza ha seguito finora diversi orientamenti. il Tribunale di
Milano (Sentenza del 16/3/1989) ha considerato l'ascensore parte comune dell'edificio anche per i
proprietari delle unità immobiliari site al piano terra, poiché essi possono trarre utilità
dall'impianto, idoneo a valorizzare l'intero immobile e a permettere di raggiungere più
comodamente parti superiori che siano comuni a tutti (Ciò indipendentemente dal fatto che chi
abita a piano terra sia solito recarsi o meno, per esempio, sul lastrico solare condominiale o a far
visita ai condomini degli altri piani). Il Tribunale di Parma, invece, con sentenza del 29/9/1994 ha
escluso che i proprietari degli appartamenti ubicati a piano terra debbano concorrere alle spese di
ordinaria manutenzione, mentre devono partecipare a quelle riguardanti gli interventi di
adeguamento dell'impianto alla normativa dell'unione Europea. C'è poi un terzo orientamento, il
Tribunale di Monza (Sentenza del 12/11/1985 ), ha posto a carico dei proprietari delle unità
immobiliari situate al piano terra, o aventi accesso separato mediante scala di proprietà esclusiva,
le spese di manutenzione e sostituzione delle scale e dell'ascensore, limitatamente a quella parte di
oneri che viene suddivisa, ai sensi dell'articolo 1124 codice civile, in base al valore del piano o della
porzione di piano, esonerandoli dalla quota di spesa riconducibile alla distanza del piano dal suolo. Il
Tribunale di Genova (Sentenza del 2/5/2003) ha stabilito che, in assenza di prova circa l'esistenza
di un regolamento contrattuale che stabilisca criteri derogatori, deve applicarsi il criterio legale
secondo cui anche i proprietari di unità immobiliari poste al piano terra, essendo comunque
comproprietari dell'impianto sono tenuti a contribuire alle spese di manutenzione ordinaria e
straordinaria e a quelle di ricostruzione, mentre sono esonerati dal contribuire alle spese di
esercizio e di pulizia. La Corte di Cassazione, infine (Sentenza n 15638 del 18/9/2912), ha
esonerato i proprietari delle unità immobiliari ubicate al piano terra dal contribuire alle spese
necessarie a sopperire al normale logorio della macchina.
Prosecuzione della corda
Se l'assemblea approva i lavori occorrenti alla prosecuzione della corda dell'ascensore (Per
esempio: fino alle cantine), i condomini dissenzienti che non intendono a partecipare a relativi
vantaggi, dimostrando che l'innovazione comporta una spesa molto gravosa rispetto alle particolari
condizioni e all'importanza dell'edificio, sono esonerati dal contibuirvi. In caso contrario la spesa va
suddivisa (Corte di Cassazione del 16/5/1991, n 5479) in proporzione ai millesimi di proprietà,
trattandosi di nuovo impianto, sia pure parziale. Le successive spese di manutenzione e
ricostruzione, invece andranno ripartite, in mancanza di diverso criterio adottato all'unanimità, per
metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l'altra metà in proporzione
all'altezza di ciascun piano dal suolo, il condomino che intende farsi esclusivo carico della spesa può
introdurre il prolungamento della corsa nel rispetto delle condizioni dell'art. 1102 codice civile: non
alterare la destinazione della corsa comune e non impedire agli altri condomini di farne parimenti
uso secondo il loro diritto. In tal caso non occorre autorizzazione dell'assemblea (Corte di
Cassazione 27/12/2004, n 24006), ma è preferibile acquisirla per evitare possibili contestazioni.
Ripristino
Può accadere che si ponga il problema di ripristinare un ascensore fuori uso da anni. Il Tribunale di
Milano (Sentenza del 14/7/1992) non ha considerato innovazione il ripristino di un ascensore di
servizio. A maggior ragione, quindi, la regola vale per l'impianto principale, come stabilito dalla
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Corte di Cassazione con sentenza n. 3513 del 25/10/1969. La relativa delibera, pertanto, può
essere adottata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1000.
Rumori
Se l'ascensore è troppo rumoroso e si supera quindi la soglia della "Normale tollerabilità" (
>>Immissioni), il condominio, previa perizia fonometrica eseguita dall'Azienda sanitaria locale o da
un laboratorio specializzato, può essere obbligato ad effettuare gli interventi tecnici necessari al
rientro nella norma. La relativa spesa va suddivisa, salvo diverso accordo al quale abbiamo aderito
tutti i condomini, per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l'altra
metà in proporzione all’altezza di ciascun piano dal suolo. Se il condominio, pur sollecitato ad
intervenie, non provvede, si può chiedere al giudice anche il risarcimento del danno.
Soffitte e seminterrati
Anche se l'ascensore non raggiunge il piano soffitte, i proprietari sono ugualmente tenuti a
concorrere alla parte di spesa rapportata ai millesimi, mentre per quanto riguarda l'altezza si
considera l'ultimo piano servito dall'impianto. Stesso criterio per le mansarde. Per i seminterrati
serviti dall'ascensore si considerano sia l’altezza del piano che i millesimi.
Sostituzione
La sostituzione di un ascensore usurato e non più agibile con un altro, anche se di diverso tipo, non è
considerata innovazione se il vano che ospita la macchina non subisce variazioni sostanziali; di
conseguenza può essere deliberata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti
all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000. Se, invece, le modifiche sono tali da
comportare un sostanziale mutamento del servizio e della destinazione di parti comuni dell’edificio,
è legittimo parlare d’innovazione (Corte di Cassazione 16/7/1981, n 4646); di conseguenza la
relativa delibera de'essere approvata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti
all’assemblea, in rappresentanza di almeno 667/1.000. E' stata considerata innovazione, per
esempio, la sostituzione di tutti gli ascensori di un edificio, mentre non è stata ritenuta gravosa o
voluttuaria la sostituzione della cabina con un’altra dello stesso tipo ma più funzionale, dato che la
riparazione sul vecchio impianto sarebbe stata antieconomica (Corte di Cassazione 11/1/1968, n
62). E' più di recente la Suprema Corte (Sentenza n. 26168 del 14/12/2009) ha considerato la
sostituzione dell’ascensore spesa straordinaria di notevole entità, la cui approvazione richiede il
voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno
500/1.000, sia in prima che in seconda convocazione.
Spese
<<D’installazione>>:
la spesa richiesta d’installazione dell’ascensore in un edificio che ne sia
sprovvisto va suddivisa in proporzione al valore della proprietà di ciascun condomino, prescindendo
dall’altezza dei piani dal suolo (Corte di Cassazione 25/3/2004, n 5975). Naturalmente i condomini
possono optare, ma soltanto all’unanimità, per l'adozione di un diverso criterio.
Di manutenzione.
Le spese di manutenzione e sostituzione dell’impianto vanno ripartite per la metà in ragione del
valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l’altra metà in proporzione all’altezza di ciascun
piano dal suolo. Ai fini del concorso nella metà della spesa, ripartita in ragione del valore, si
considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari,
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qualora non siano di proprietà comune (>>Scale). Questo criterio vale per tutte le spese: per
esempio, forza motrice, verifiche periodiche, sostituzione delle funi, del motore o
dell’arganoTribunale di Bologna 1/4/1989). Se però la sostituzione di parti dell’impianto non
dipende dall’usura ma dalla volontà di migliorare il funzionamento, la spesa va suddivisa soltanto in
base ai millesimi di proprietà (Tribunale di Bologna 27/2/2003) ha bocciato il criterio di ripartire le
spese d’esercizio alla diversa consistenza dei nuclei famigliari, poiché non è detto che una famiglia,
per il fatto di essere più numerosa di un’altra, faccia necessariamente un maggior uso
dell’ascensore. Ai sensi del terzo comma dell’articolo 1123 Codice Civile, le spese dell’ascensore
gravano sui soli condomini che ne traggono utilità. Pertanto, se una scala, a differenza delle altre, è
dotata di due ascensori anziché uno, la maggior spesa fa carico esclusivamente ai proprietari delle
unità immobiliari che vi affacciano.
Tabella millesimale
L’installazione dell’ascensore non richiede necessariamente la messa a punto di apposita tabella
millesimale; infatti se i condomini non si accordano all’unanimità sull'adozione di un diverso criterio
di ripartizione della spessa, si applica quello previsto dall’articolo 1124 codice civile (>>spese, di
manutenzione). Se invece si opta per la formazione di apposita tabella millesimale, questa
dev'essere predisposta da un tecnico incaricato dall’assemblea e da questa approvata altrimenti se
ne deve chiedere la messa a punto al giudice che ne affiderà la stesura ad un consulente tecnico.
Trasporto materiali
Dovendo effettuare dei lavori nel proprio appartamento l’ascensore può essere usato per il
trasporto dei relativi materiali, a meno che un divieto in tal senso non sia contenuto nel
regolamento, oppure non sia accertato che questo tipo di utilizzo, per la natura dei materiali
trasportati e per la frequenza che ne viene fatta, non sia tale da compromettere la conservazione
dell’impianto o da ostacolare l’uso da parte di altri condomini (Corte di Cassazione 6/4/1982, n
2117).
Uso intensivo
L’uso intensivo dell’ascensore, dovuto alla particolare destinazione di alcune unità immobiliari (Per
empio ufficio, studio professionale), è del tutto ininfluente ai fini della contribuzione alle spese di
manutenzione e sostituzione, come ininfluente è il fatto di tenere l’unità immobiliare disabitata.
Nulla vieta che i condomini possano, ma soltanto all’unanimità, accordarsi per un diverso criterio di
ripartizione della spesa.
ASSEMBLEA
L’assemblea è l’organo sovrano della vita condominiale: come un piccolo Parlamento, ha poteri
normativi (Per esempio quando approva il regolamento), ma anche amministrativi, di controllo e
organizzativi della vita comune. E' un organo di democrazia diretta: la volontà espressa della
maggioranza, infatti, ha poteri vincolanti anche per i condomini dissenzienti o per quelli che non
hanno partecipato alla seduta. Questo, ovviamente, se sono state rispettate le maggioranze
previste e se le decisioni adottate non infrangono le norme di legge o del regolamento condominiale.
Il potere dell’assemblea non è assoluto, ma è circoscritto all’uso e al godimento delle parti e dei
servizi comuni. I compiti dell’assemblea sono molteplici e coinvolgono l’intera vita condominiale.
ecco, comunque, quelli principali:
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1> approvare il preventivo delle spese e la relativa ripartizione tra i condomini;
2> approvare il preventivo delle spese e la relativa ripartizione tra i condomini;
3> approva il rendiconto annuale dell’amministratore e decidere sull’impiego dell’eventuale
residuo attivo della gestione;
4> decidere in merito alle opere straordinarie e alle innovazioni accantonando un fondo
speciale pari all’importo dei lavori;
5> decidere se avviare una lite giudiziaria o resistere ad una causa intentata contro il
condominio. l’assemblea può autorizzare l’amministratore a partecipare e collaborare a
progetti, programmi e iniziative territoriali promossi dalle Istituzioni locali o da soggetti
privati qualificati, anche mediante opere di risanamento di parti comuni degli immobili nonché
di demolizione, ricostruzione e messa in sicurezza statica, al fine di favorire il recupero del
patrimonio edilizio esistente, la vivibilità urbana, la sicurezza e la sostenibilità ambientale
della zona in cui il condomino è ubicato. L’assemblea può, limitatamente ad alcuni aspetti,
delegare i propri poteri ad un gruppo ristretto di condomini (Corte di Cassazione 6/3/2007, n.
5130 ). All’assemblea si può partecipare personalmente o per
>>Delega.
RIEPILOGANDO: L’ ASSEMBLEA
Convocazione. Di norma spetta all’amministratore ma può essere chiesta anche da almeno due
condomini in rappresentanza di un sesto del valore dell’edificio (166,66/1.000). Quando va
convocata. Almeno una volta all’anno, entro 2/3 mesi dalla chiusure dell’esercizio, per
l’approvazione del rendiconto e del bilancio preventivo. Modalità di convocazione. Sia a mezzo
raccomandata che per posta elettronica certificata, fax o consegna a mano. L’avviso deve
arrivare al condomino con un anticipo di almeno 5 giorni. L’avviso. Deve contenere il luogo, la data
e l’ora della prima e della seconda convocazione. Indispensabile l’elenco di tutti i punti all’ordine del
giorno. Prima e seconda convocazione. Tra le due date ci deve essere almeno un giorno d’intervallo.
La seconda convocazione deve tenersi entro 10 giorni dalla prima. Maggioranza per la regolare
costituzione. In prima convocazione dev'essere presente la maggioranza dei partecipanti al
condominio, in rappresentanza di due terzi del valore dell’edificio 667/1.000) in seconda
convocazione dev'essere presente un terzo dei partecipanti al condominio, in rappresentanza di
almeno un terzo del valore dell’edificio (334/1.000). Maggioranze per deliberare. In prima
convocazione la delibera è valida se approvata alla maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno la metà del valore dell’edificio (500/1.000 ). In seconda convocazione è
sufficiente la maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno un terzo del
valore dell’edificio (334/1.000). Norme. Articoli 1105, 1109, 1120, 1135, e 1136 codice civile,
articoli 66, 67 e 155-bis disp. att. codice civile.
Convocazione
La legge non stabilisce una scadenza precisa; è però buona norma stabilire, magari approvando una
specifica delibera, che l’assemblea venga convocata almeno una volta all’anno entro 2/3 mesi dalla
chiusura dell'esercizio. L'assemblea può essere convocata anche se non sono state ancora
predisposte le tabelle millesimali, dal momento che il rapporto tra il valore della proprietà singola e
quello dell'intero edificio esiste prima e indipendentemente dalla formazione delle tabelle
millesimali; di conseguenza è possibile stabilire in un eventuale giudizio, sia pure a posteriori, se in
26
assemblea erano state raggiunte le richieste maggioranze (Corte di Cassazione 25/1/1990, n.
431). Alla convocazione deve provvedere l'amministratore (Ancorché dimissionario), di sua
iniziativa. Le assemblee condominiali devono essere convocate in giorni non festivi, tenendo conto
solo del calendario civile, senza che possano essere prese in considerazione altre festività legate ai
diversi credi religiosi, qual è per esempio la Pasqua ebraica ( Tribunale di Roma 12/5/2009, n.
10229). In via straordinaria l'assemblea può essere convocata, sempre dall'amministratore, su
specifica richiesta di almeno 2 condomini in rappresentanza di almeno un sesto del valore
dell'edificio (167,66/1.000). Decorsi inutilmente 10 giorni dalla richiesta, senza che
l'amministratore abbia provveduto, i richiedenti possono provvedere direttamente alla
convocazione. Se non vi sono almeno 2 condomini intenzionati a chiedere la convocazione, il
condomino che intenda attivarsi può ricorrere al giudice, che adotta in camera di consiglio gli
opportuni provvedimenti, se del caso nominando un amministratore o imponendo la convocazione
dell'assemblea fissandone l'ordine del giorno (Tribunale di Modena 24/2/2009). Se poi, nonostante
la convocazione cosi disposta, l'assemblea non riesce a deliberare o la delibera resta ineseguita, il
condomino può ricorrere al giudice per ottenere un provvedimento che ordini l'esecuzione di quanto
deliberato. Nei condomini sprovvisti di amministratore la convocazione può avvenire - si tratti di
assemblea ordinaria o straordinaria - su iniziativa di ciascun condomino o di un suo rappresentante
munito di procura notarile, i cui estremi è bene specificare nell’avviso di convocazione. L'assemblea
dev'essere preceduta dall'invio, agli aventi diritto a parteciparvi, di un >> avviso di convocazione,
che deve essere recapitato almeno 5 giorni prima. E' valida l’assemblea alla quale non sia presente,
oppure non sia stato invitato, l'amministratore che non sia anche condomino, com'è valida
l'assemblea che non sia stata preceduta da formale convocazione, se sono presenti tutti gli aventi
diritto (Considerata assemblea totalitaria, App. Firenze 1/3/1965). La convocazione può essere
diramata a mezzo raccomandata, posta elettronica certificata, fax o consegna a mano del relativo
avviso, anche se per la Corte di Cassazione (Sentenza n. 1033 del 28/1/1995) può essere adottata
qualsiasi altra forma, purché idonea al raggiungimento dello scopo e si provi, anche da univoci
elementi, che il condomino ha, in concreto, ricevuto notizia. Il Tribunale di Milano - sentenza del
25/1/1993 -, per esempio, ha ritenuto legittima la prassi, invalsa in un condominio, di diramare la
convocazione per telefono. La mancata azione della forma scritta, però, in caso di contestazione può
rendere difficile provare che gli interessati erano stati messi al corrente della riunione, e che era
stato rispettato il termine di 5 giorni. Se l'immobile viene venduto, donato o trasferito in
successione, dal momento in cui l'evento viene comunicato al condominio, l'acquirente, il donatario o
l'erede acquistano lo stato giuridico di condominio e quindi il diritto di essere convocati e di
partecipare alle assemblee - Corte di Cassazione 10/1/1990, n 9 -. In genere la prima
convocazione viene fissata a una data e, sopratutto, a un'ora improbabile, proprio per scoraggiare la
partecipazione e mandare deserta l'assemblea, in modo da poter usufruire delle maggioranze
inferiori previste per la seconda convocazione. In alternativa l'amministratore può invitare i
condomini, verbalmente o con separata comunicazione allegata all'avviso di convocazione, ad
intervenire direttamente alla seconda convocazione, stante le difficoltà di raggiungere in prima le
richieste maggioranze. A riguardo è stata ritenuta valida (Corte di Cassazione 9/2/1977, n 563)
l'intesa con la quale tutti i condomini avevano stabilito di riunirsi in una determinata data
direttamente in seconda convocazione. Tra la prima e la seconda convocazione deve trascorrere
almeno un giorno, anche se non è detto che l'intervallo non possa essere inferiore alle 24 ore (App.
27
di Napoli 14/12/1967). Affinché si possa tenere l'assemblea in seconda convocazione non occorre
che sia tenuta la prima, se questa è andata deserta per, mancanza del numero legale. Ne occorre
che la circostanza risulti dal verbale (Corte di Cassazione 24/4/1996) n 3862).
Delega
All'assemblea si può partecipare direttamente o tramite un rappresentante. Il regolamento non può
vietare l'uso delle deleghe - questa eventualità, infatti, è prevista dall'articolo 67 disp. att.
codice civile -, ma può prevedere un limite massimo al numero dei condomini rappresentabili da una
stessa persona: la Corte di Cassazione, per esempio (Sentenza n. 853 del 28/3/1973), ha ritenuto
valida la clausola, del regolamento con la quale si disponeva che un condomino non potesse assumere
la rappresentanza di più di due colleghe. il Tribunale di Milano (Sentenza del 15/6/1989) ha a sua
volta sancito la validità della clausola che limitava il potere di rappresentanza ad un solo condomino.
Se però i condomini sono più di 20, il delegato non può, rappresentarne più di un quinto dei
condomini e del valore proporzionale (200/1.000). Se una persona partecipa all'assemblea, e vota,
con un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento o dalla legge, la delibera
che dovesse essere adottata è annullabile per vizio del procedimento di formazione (Tribunale di
Roma 21/2/2005). Il rappresentante, in mancanza di un espresso divieto, ha a sua volta il diritto di
subdelegare i poteri ad un terzo. Un altro "paletto" che può essere posto dal regolamento (Ma solo
se contrattuale) è stabilire che il rappresentante appartenga ad una determinata categoria: per
esempio: che si tratti di un condomino o di un parente della persona rappresentata. Per evitare
possibili contestazioni è preferibile che la delega venga conferita per iscritto (Il testo è in genere
riprodotto in calce all'
>>Avviso di convocazione), anche se la Corte di Cassazione ha stabilito che,
per gli affari di ordinaria amministrazione, la delega può essere conferita anche verbalmente. Se
però la delibera ha per oggetto limitazioni al diritto dei condomini sulla proprietà esclusiva ( Per
esempio: il divieto di di adibire gli appartamenti a determinate attività) o sulle parti comuni, la
delega dev'essere conferita per iscritto, come stabilito dagli articoli 1392 e 1350 codice civile:
con atto pubblico o con scrittura privata, a seconda della forma richiesta dall'atto oggetto di
delibera (Corte di Cassazione 28/7/1990, n 7630): per l'approvazione delle tabelle millesimali, per
esempio, è richiesta la procura notarile (Tribunale di Firenze 25/6/1991). La delibera adottata in
precedenza in un difetto di rappresentanza di uno o più condomini non è nulla ma annullabile, e
comunque ratificabile dall'assemblea (App. Napoli 14/4/1966) legittimato a far valere i vizi della
delega il condomino delegante (Corte di Cassazione 7/7/2004, n12466) o quello che si ritenga
falsamente rappresentato ma non gli altri condomini (Corte di Cassazione 26/4/1994, n 3952). Se
unità immobiliari appartiene in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto ad un solo
rappresentante. Il quinto comma dell'articolo 67 disp. arr. codice civile stabilisce che
all'amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a "qualunque"
assemblea. Da ciò si deduce che la delega debba essere conferita di volta in volta, o che non
possa essere rilasciata nei casi in cui l'amministratore versi in una situazione di conflitto
d’interessi.
Discussione
E’ possibile evitare che la seduta si protragga oltre il lecito mettendo ai voti un’azione d'ordine per
stabilire un limite al numero e alla durata degli interventi. Il presidente dell'assemblea può
comunque, nell’ambito dei poteri finalizzati ad assicurare l'ordinato svolgimento della riunione. La
Corte di Cassazione, per esempio (Sentenza n 23132 del 13/11/2009), ha confermato la delibera
28
con la quale il presidente aveva limitato la durata degli interventi dei condomini a 10 minuti. Se ad
un condomino viene impedito di partecipare alla discussione l'assemblea è ugualmente valida ma
l'escluso può impugnare la delibera (Corte di Cassazione 11/5/1984, n 2893). Nell'ipotesi, però, di
convocazione di un'unica assemblea per decidere su di una serie di questioni, alcune delle quali
riguardanti solo una parte dei condomini, i soggetti legittimati a votare su un argomento che non li
riguarda non hanno titolo di partecipare alla relativa discussione (Corte di Cassazione 22/1/2000,
n 697).
Inquilino
Se l'unità immobiliare è stata data in locazione, il conduttore (Meglio conosciuto come inquilino),
come previsto dall'articolo 10 della Legge n. 392 del 27/7/1972, ha diritto di voto al posto del
proprietario quando l'assemblea deve decidere sulle spese e sulle modalità di gestione dei servizi di
riscaldamento e di condizionamento dell'aria. Inoltre può intervenire, ma senza diritto di voto,
quando è in gioco qualche modifica degli altri servizi comuni. La convocazione dev'essere comunque
inviata al condomino-locatore, che a sua volta avviserà il conduttore: il condominio, infatti, è
estraneo al rapporto di locazione (Corte di Cassazione 22/4/1992, n 4802). Se però non l'avvisa, o
se la comunicazione arriva fuori termine, il conduttore non può, per la stessa ragione di estraneità
del condominio al rapporto locatizio (Corte di cassazione 22/4/1992, n 4802), impugnare la
delibera per questa ragione. Per la Corte d'Appello di Genova (Sentenza del 22/7/1985) l'onere di
convocare il conduttore grava sul locatore solo nel caso in cui questi non ne abbia comunicato il
nominativo all'amministratore. Questa stessa sentenza ha stabilito che il termine di 5 giorni per la
convocazione dell'assemblea non si applica ai rapporti fra il condomino-locatore e il conduttore,
questi può comunque agire nei confronti del locatore (Ma non del condominio) per il risarcimento
degli eventuali danni derivanti dal fatto di non essere stato avvisato tempestivamente.
Maggioranza
La democrazia del condominio prevede sempre rispetto di una doppia maggioranza: quella cosiddetta
per teste, ossia basata sul numero dei presenti - direttamente o per delega - e quella basata sul
valore della proprietà di ciascuno, espresso in millesimi. Le delibere, infatti, per essere valide
devono essere approvate da un certo numero di partecipanti all'assemblea, in rappresentanza di una
cera caratura millesimale; è, questa, una cautela finalizzata ad evitare che un singolo condomino,
proprietario di più unità immobiliari, possa determinare da solo l'indirizzo della gestione
condominiale, calpestando i diritti degli altri. In assemblea, quindi, chi è proprietario di più unità
immobiliari conta per una sola persona, ma si sommano tutti i millesimi di cui è titolare. Di contro, è
ininfluente che le quote millesimali facenti capo alla minoranza dissenziente superino quelle
riconducibili alla maggioranza (Corte di Cassazione 5/4/2004, n 6625). Il regolamento, ancorché
contrattuale, che prevede una maggioranza riferita ai soli millesimi sarebbe inefficace, in quanto in
contrasto con l'articolo 1136 Codice Civile, norma considerata inderogabile dal successivo articolo
1138 (Corte di Cassazione 12/10/1967, n 2427). E' possibile, invece, prevedere una, maggioranza
superiore rispetto a quella richiesta dalla legge, perché ciò garantisce una più ponderata
deliberazione e una maggiore dialettica del dibattito assembleare (App. Roma 24/1/1996). Ai fini
del calcolo della maggioranza non si deve tener conto dei condomini (e relativi millesimi) che si
fossero astenuti dalla votazione (Corte do Cassazione 9/12/1988, n 6671). Per il Tribunale di
Savona (Sentenza n. 769 del 29/10/2009) sia i condomini che hanno dichiarato di astenersi, sia
quelli che sono rimasti in silenzio, rientrano nel numero di coloro che hanno espresso voto contrario.
29
Se poi l'assemblea dovesse deliberare se fare o meno causa ad un condomino, questi deve astenersi
dal voto, trattandosi di una situazione che lo vede in conflitto d’interessi nei confronti del
condominio (Corte di Cassazione 22/11/2002, n 16488). Prima di dare il via ai lavori
l'amministratore deve accertare l'esistenza della maggioranza necessaria alla regolare costituzione
dell'assemblea: il cosiddetto numero legale o >>Quorum. se non si raggiunge il numero legale in
seduta non può essere dichiarata aperta. L'eventuale allontanamento di un condominio dopo la
verifica del quorum è però ininfluente ai fini del regolare svolgimento dell'assemblea. il quorum
varia a seconda che si tratti di assemblea o di seconda convocazione, di accertare la regolare
costituzione dell'assemblea o la validità di una delibera: compresa la formula dell'unanimità, sono
ben 10, fra Codice Civile e leggi speciali, i quorum che possono condizionare l'attività
dell'assemblea
(Da
visionare
le
successive
tabelle
A,1
e
A,2).
A. 1
Quando si può iniziare a discutere
Maggioranze richieste per la regolare costituzione dell’assemblea
Convocazione
Prima
Seconda
Condomini
Maggioranza dei partecipanti
al condominio
Un terzo dei partecipanti
al condominio
Millesimi
667/1.000
334/1.000
A.2
Maggioranze richieste per la validità delle deliberazioni, previste dal codice
civile e da leggi speciali
La regola è che l’assemblea possa deliberare, in prima convocazione, con il voto
favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno
500/1.000, mentre in seconda convocazione è sufficiente il voto favorevole
della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 334/1.000. Vi
sono però alcune delibere per le quali è richiesto un quorum diverso o
addirittura l’unanimità. In questo prospetto sono riportate le varie ipotesi.
Oggetto
Installazione
antenna parabolica
condominiale (13°
comma articolo 2bis. 20/3/2001, n.
66)
Installazione cavi in
fibra ottica (7°
comma articolo
Prima convocazione
Condomini
Millesimi
Maggioranza
Almeno
degli
500/1.000
Intervenuti
“
334/1.000
30
Seconda convocazione
Condomini
Millesimi
Legge 18/6/2009,
n. 69)
Approvazione
preventivo
spese annuali
Approvazione
rendiconto annuale
Compenso
amministratore
Eliminazione
barriere
architettoniche (1°
comma articolo 2
Legge 9/1/1989, n.
13)
Impiego residuo
attivo di persone
Interventi di
recupero
(2° comma articolo
30 Leg. 5/8/1978,
n 457)
Opere di
manutenzione
straordinaria
Ricostruzione
dell’edificio
Ripartizione
spese
annuali
fra
i
condomini
Altre delibere per
le quali non sia
richiesta
una
diversa maggioranza
Approvazione e
modifica
regolamento
assembleare
Approvazione e
modifica tabelle
millesimali aventi
natura deliberativa
Collaborazione e
Maggioranza
degli
Intervenuti
“
Almeno
500/1.000
“
Maggioranza
degli
intervenuti
“
Almeno
334/
1.000
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
Maggioranza
degli
intervenuti
Almeno
“
“
“
“
31
500/
1.000
partecipazione a
progetti territoriali
(3° comma articolo
1135 codice civile)
Contenimento
consumi energetici
(2° comma n° 2),
articolo 1120
Codice civile)
Contenimento
consumi energetici
( 2° comma articolo
26 Legge 9/1/1991,
n. 10, come
modificato
dall’ articolo 7 D,
Lgs. 29/12/2006,
n. 311)
Costruzione
autorimesse nel
sottosuolo (3°
comma articolo 9
Legge 24/3/1989,
n. 122)
Eliminazione
barriere
architettoniche
(2° comma, n 21),
articolo 1120 c.c.)
Installazione
impianti
centralizzati
di
ricezione
radiotelevisiva,
satellitare o via
cavo, con i limiti di
cui al 2° comma, n°
3,
dell’
articolo
1120 codice civile
Installazione
impianti di
videosorveglianza
sulle parti comuni
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
Maggioranza
intervenuti e
almeno 334/
1.000 sia in
1° che in 2°
convocazione
32
(articolo 1122-ter
codice civile)
Liti attive e passive
relative a materie
che esorbitano
dalle attribuzioni
dell’amministrazione
Miglioramento
salubrità
e
sicurezza
dell’edificio e degli
impianti (2° comma,
n. 1), articolo 1120
codice civile
Nomina e revoca
amministratore
Produzione energia
mediante l’utilizzo
di fonti rinnovabili
anche da parte di
terzi (2° comma,
n. 2), articolo
1120 codice civile
Realizzazione
parcheggi al servizio
delle unità
immobiliari o
dell’edificio (2°
comma, n° 2),
articolo 1120
codice civile
Ricostruzione
dell’edificio
Ricostruzione
o
riparazione
di
notevole entità in
zone di Basilicata,
Calabria, Campania
e Puglia colpite da
eventi sismici (3°
comma articolo 15
D. lgs. 30/3/1990,
n. 76)
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
33
Violazione della
destinazione d’uso
(art. 1117-quater
codice civile)
Innovazioni dirette
al miglioramento o
all’uso più comodo o
al maggior
rendimento delle
cose comuni
Scioglimento del
condominio nel caso
occorrano opere di
sistemazione per
dividere l’edificio
Modifica della
destinazione d’uso
parti comuni
Innovazioni che
alterano il decoro
architettonico
dell’edificio
Innovazioni che
rendono talune parti
comuni
Dell’edificio
inservibili all’uso o
al godimento anche
di un solo
condominio
Approvazione e
modifica
regolamento
contrattuale
Approvazione e
modifica tabelle
millesimali aventi
natura convenzionale
“
“
“
“
Maggioranza
degli
intervenuti
Almeno
667/1.000
Maggioranza
degli
intervenuti
Almeno
334/
1.000
“
“
“
“
4/5 dei
partecipanti
al condominio
Tutti
i
condomini
4/5
dei
millesimi
1.000/1.000
Tutti
i
condomini
1.000/
1.000
“
“
“
“
“
“
“
“
Per aprire la seduta
Come già detto, la verifica del quorum richiesto per la regolare costituzione dell’assemblea, vale a
dire affinché la seduta possa essere dichiarata aperta, è necessariamente preliminare rispetto allo
svolgimento di qualsivoglia attività decisionale. Questa maggioranza, stabilità dall'articolo 1136
34
codice civile, varia a seconda che si tratti di prima o di seconda convocazione. In particolare,
l'assemblea è validamente costituita in prima convocazione con l'intervento di tanti condomini che
rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio (667/1.000) e la maggioranza dei
partecipanti al condominio, la seconda convocazione, invece, l’assemblea è validamente insediata
con l'intercento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell’intero
edificio (334/1.000) e un terzo dei partecipanti al condominio. Se una delibera era stata
adottata in prima convocazione senza che sussistesse la maggioranza richiesta affinché la seduta
potesse essere dichiarata aperta, non può essere modificata in seconda convocazione: è, infatti,
necessario provvedere ad una nuova convocazione dell'assemblea (Corte di Cassazione 29/3/1982,
n 1930). Ma quanto tempo si deve aspettare prima di dichiarare la seduta deserta per mancanza
del numero legale? Se il regolamento nulla stabilisce a riguardo, sta all’amministratore valutare il
periodo di attesa, tenuto conto sia del numero dei condomini che compongono il condominio ( E dei
relativi millesimi ) che del numero dei presenti (E relativi millesimi ). Cosi se gli assenti sono molti e
per raggiungere il quorum sarebbe sufficiente anche un solo condomino con i relativi millesimi,
l'attesa, che di norma potrebbe attestarsi sui 10/15 minuti, potrebbe protrarsi di qualche altro
minuto.
Per deliberare
La maggioranza richiesta per deliberare validamente è più alta in prima convocazione che in
seconda, e proprio per questo, di regola, l’assemblea si pronuncia alla seconda chiamata. Le delibere
che attengono alla normale vita condominiale devono essere adottate: in prima convocazione con il
voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno la
metà del valore dell’edificio (500/1.000), e in seconda convocazione con il voto favorevole alla
maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno un terzo del valore dell’edificio
(334/1.000). Alcune delibere, in considerazione del loro peso sulla vita condominiale (Per esempio:
nomina e revoca dell’amministratore, riparazioni straordinarie di notevole entità, modifica del
regolamento) richiedono invece il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea,
in rappresentanza di almeno 500/1.000, anche in seconda convocazione. Maggioranze ancora più
elevate sono necessarie per le innovazioni: gli interventi per migliorare o rendere più comodo l’uso
delle cose comuni, per esempio, devono essere approvati dalla maggioranza degli intervenuti, in
rappresentanza di almeno i due terzi del valore dell’edificio (667/1.000). Se la delibera ha per
oggetto un servizio che interessa solo alcuni condomini (Per esempio: quelli le cui unità immobiliari
affacciano su una delle molte scale dell’edificio), la maggioranza dev’essere rapportata ai condomini
interessati e ai relativi millesimi. Ai fini del calciolo della maggioranza non si deve tener conto dei
condomini (E relativi millesimi) che si sono astenuti dalla votazione (La circostanza deve risultare
dal verbale); essi, infatti, sostanzialmente non hanno approvato la delibera, e la circostanza che al
momento del voto abbiano formulato riserva da sciogliere dopo la seduta è ininfluente) Corte di
Cassazione 9/12/1988, n 6671). Se un condomino non ha votato perché indotto dall’amministratore
ad astenersi sulla base del presupposto errato che non ne avesse diritto, la delibera è annullabile,
ma se la si vuole impugnare con esito favorevole è bene pretendere che la circostanza venga messa
a verbale, in modo da poterla provare nel corso del relativo giudizio.
Presidente
Una volta che l’assemblea sia stata validamente insediata di regola vengono nominati un presidente,
con il compito di dirigere la seduta, e un segretario, con la funzione di redigere il verbale. Si tratta
35
di due figure non previste dalla legge ma nate dalla pratica per snellire e velocizzare i lavori;
pertanto le eventuali delibere adottate senza che sia stato nominato il presidente, o in presenza di
una designazione irregolare, non possono essere impugnate per questi motivi. Lo stesso discorso
vale per il segretario (Corte di Cassazione 16/7/1980, n 4615). Viene nominato presidente,
preferibilmente un condominio che vive da molti anni nel condominio e che ne conosce i problemi,
mentre come segretario può essere designato lo stesso amministratore.
Rinvio
Se si rende necessario rinviare l’assemblea di seconda convocazione occorre procedere a nuova
convocazione, con conseguente comunicazione dell’avviso a tutti i condomini, pena l’invalidità
dell’assemblea (Corte di Cassazione 16/7/1981, n 4684).
Ritardo nell’inizio dei lavori
L’assemblea i cui lavori abbiano inizio dopo la 1/2notte del giorno per il quale era stata convocata
può, in particolari circostanze, essere ritenuta valida; Tribunale di Napoli, per esempio (Sentenza
del 23/10/1996), ha ritenuto valida l’assemblea di un supercondominio iniziata dopo le ore 24 del
giorno per il quale era sta convocata, poiché il ritardo era stato determinato dal protrarsi
dell’assemblea particolare di uno dei fabbricati e la circostanza era conoscenza di tutti i
partecipanti all’assemblea del supercondominio.
Seduta fiume
Se l’assemblea non riesce a portare a termine il suo compito in una sola riunione dev’essere
riconvocata, con conseguente obbligo di rispettare il termine di 5 giorni. Un rimedio per evitare
questo tipo di situazione esiste ed è previsto dal quinto comma dell’articolo 66 disp. Att.
Codice civile, in virtù del quale, se si ha ragione di prevedere che l’ordine del giorno non potrà
essere esaurito in una sola riunione, e si vuole evitare la trafila di una o più nuove convocazioni, è
possibile indicare nell’avviso di convocazione giorno - eventualmente anche più d’uno -, ora e luogo in
cui riprendere la seduta nell’eventualità in cui nella prima riunione non si riuscisse a trattare tutti
gli argomenti. Se invece la decisione di aggiornare la seduta viene presa sul momento, è necessario
che tutti i condomini presenti siano d’accordo e che gli assenti vengano tempestivamente avvisati
(Corte di Cassazione 12/2/1988, n 1516).
Usufruttuario
Nel caso in cui la nuda proprietà dell’unità immobiliare appartenga ad un soggetto e l’usufrutto o un
altro, cambiano le regole assembleari. Il diritto di voto spetta all’usufruttuario per gli affari
relativi all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento elle cose e dei servizi comuni. Per le
delibere, invece, riguardanti innovazioni, ricostruzioni e opere di manutenzione straordinaria, il
diritto di partecipare all’assemblea spetta al nudo proprietario. Di conseguenza devono essere
convocati l’uno, l’alto o entrambi, a seconda del tipo di delibera da adottare. In particolare, se
l’usufruttario ha fatto eseguire a proprie spese, di fronte all’ingiustificato rifiuto del proprietario,
una riparazione posta a suo carico, o si tratta di lavori od opere consistenti in miglioramenti e
addizioni in cui agli articoli 985 e 986 codice civile, l’avviso di convocazione dev’essere comunicato
sia all’usufruttario che al nuovo proprietario.
Videoregistrazione
Le sedute dell’assemblea possono essere videoregistrate, ma come stabilito dal Garante per la
protezione dei dati personali con provvedimento del 18/5/2006, è necessario il consenso di tutti
coloro che vi partecipano.
36
Voto
Ogni condomino ha diritto ad un voto, indipendentemente dalla consistenza della sua quota,
ancorché formata da diverse unità immobiliari (Corte di Cassazione 9/12/1988, n 6671).
Naturalmente il diverso peso della quota si farà sentire quando si tratterà di calcolare la
maggioranza in base ai millesimi. Per quanto attiene alla modalità di espressione, il voto dev’essere
palese, allo scopo d’individuare i condomini che hanno interesse ad impugnare le delibere (Tribunale
di Milano 9/11/1992), e può essere formulato anche dal condomino che intervenga in ritardo
all’assemblea, ma a condizione che ciò si verifichi prima della chiusura del verbale (Corte di
cassazione 28/ 8/1993, n 9130). In ogni caso la nullità di un voto che non incida sul richiesto
quorum non invalida la decisione (Tribunale di Torino 15/11/1969). La delibera, invece, che venga
adottata con il consenso determinante di un condominio che non aveva il diritto di votare è
radicalmente nella (Pret. di Milano 28/3/1990). Se un condomino si allontana dall’assemblea
dichiarando di rimettersi alla maggioranza, il voto non può essere considerato valido perché è solo il
momento della votazione che determina la fusione della volontà dei condomini, finalizzata alla
creazione dell’atto collegiale (Corte di Cassazione 13/2/1999, n 1208). Se il condomino
allontanandosi prima del voto conferma successivamente la volontà espressa dalla maggioranza, la
dichiarazione può valere solo come rinuncia ad impugnare la delibera ma non sana la mancanza del
quorum se il voto era determinante; la delibera è pertanto impugnabile dai condomini assenti o
dissenzienti (Corte di Cassazione 13/2/1999, n 1208). Il tribunale di Varese (Sentenza del
6/3/1979) ha considerato come se avesse votato a favore il condomino che, pur non presente
all’assemblea, aveva predisposto e sottoposto alla stessa una nuova tabella millesimale per il riparto
delle spese. Il voto espresso del condomino che si trovi un una situazione di conflitto d’ interessi
con il condominio non dev’essere calcolato, per cui la delibera è valida solo se, una volta detratto il
suo voto e i relativi millesimi, esiste ugualmente la richiesta maggioranza. La situazione di conflitto
d’interessi che riguarda il delegato non si estende automaticamente al delegante, a meno che non si
accerti che questi non era a conoscenza della situazione; si deve, infatti, presumere che il
delegante, nel conferire il mandato, abbia valutato anche il proprio interesse e l’abbia ritenuto
conforme a quello portato dal delegato (Corte di Cassazione 25/11/2004, n 22234). Se ad un
condomino che ne aveva il diritto è stato impedito di votare la relativa delibera è radicalmente nulla
e la nullità può essere fatta valere da ogni condomino, anche se presente e consenziente ( Corte di
Cassazione 23/2/1999, n 1510).
ASSICURAZIONE
Affinché l’amministratore possa stipulare un contratto di assicurazione avente per oggetto
l’edificio condominiale occorre l’autorizzazione dell’assemblea (Corte di Cassazione 3/4/2007, n
8233). L’autorizzazione dev’essere deliberata, sia in prima che in seconda convocazione, con il voto
favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000. stesso
quorum anche nel caso di contratto di durata ultranovennale (Corte di Cassazione 6/7/2010, n
15872). Considerate le differenze di costo, anche notevoli, riscontrabili tra le varie Compagnie, è
preferibile, prima di decidere, valutare diversi preventivi. È buona norma poi, verificare
periodicamente il grado di copertura assicurativa dell’edificio, se del caso deliberando un aumento
del premio da corrispondere alla Compagnia.
Danni
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Se il condominio è coperto da assicurazione, il condomino che riceva un danno da una parte comune
dell’edificio non può rivolgersi direttamente alla Compagnia ma deve avvisare l’amministratore
(Corte di Cassazione 26/3/1996, n 2678).
Incidente tra veicoli
Non è raro che due veicoli vangano a collisione in uno spazio condominiale. Il decreto del ministero
dell’industria, commercio e artigianato del 19/5/1975 hanno esteso la copertura assicurativa ai
danni causati dalla circolazione di veicoli in aree private, mentre il DPR 18/7/2006, n 254, in
attuazione dell’articolo 150 del codice della strada, ha introdotto il risarcimento diretto, ossia il
diritto di chiedere il ristoro dei danni direttamente al proprio assicuratore, se pure limitatamente
ai casi di danni al veicolo e di lesioni di lieve entità al conducente; nelle ipotesi di lesioni gravi,
gravissime o di decesso, o di lesioni ai terzi trasportati, invece, si deve seguire la procedura
ordinaria. Se però l’incidente è avvenuto perché l’amministratore aveva omesso di far collocare i
dispositivi di sicurezza, tralasciando di dare esecuzione alla delibera dell’assemblea che li aveva
introdotti, lo stesso amministratore può essere chiamato a rispondere dei danni quanto meno a
livello di concorso, ove si dimostri che i conducenti hanno usato la diligenza richiesta dalla
situazione.
Locazione
Il conduttore, nell’ambito di un contratto di assicurazione stipulato dal condominio, non può essere
considerato “assicurato“: la qualifica di assicurato, infatti, salvo patto contrario, spetta
esclusivamente ai condomini (Tribunale di Napoli 15/5/1990).
Spesa
Il premio per l’assicurazione del fabbricato va suddiviso fra i condomini in base ai millesimi di
proprietà, a meno che un regolamento contrattuale non preveda un diverso criterio di ripartizione.
La delibera con la quale l’assemblea decide di aggiornare il premio di assicurazione è atto di
ordinaria amministrazione (Corte di Cassazione 8/11/1989, n 4691), e in quanto tale può essere
approvata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000.
AUTOCLAVE
Il problema della carenza di acqua ai piani alti dell’edificio può essere risolto dall’installazione di
un’autoclave condominiale. L’introduzione di questo servizio può essere deliberata con il voto
favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/
1.000. La spesa dev’essere suddivisa in base ai millesimi di proprietà, indipendentemente
dall’altezza di ciascun piano dal suolo (Corte di Cassazione 29/11/1983, n 7172), e dal fatto che
alcuni condomini traggano o meno vantaggi dall’impianto (App. Roma 30/1/1962). Se, nonostante
ripetuti solleciti, l’assemblea non si preoccupa di risolvere il problema (Di vitale importanza poiché
l’erogazione di acqua nelle unità immobiliare è un servizio essenziale), si può chiede l’intervento del
giudice. L’autoclave condominiale può essere collocata in cortile anche se avvantaggia tutti i
condomini tranne uno e questi ne riceve un pregiudizio limitato (Corte di Cassazione 21/10/1998, n
10445). Se poi un’unità immobiliare (Per esempio un negozio) non è servita dall’impianto, il
proprietario non è tenuto a contribuire alla spesa.
Autonoma
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Il condominio può, assumendosene la spesa, installare un’autoclave autonoma, purché l’innovazione
non comporti una riduzione dell’ afflusso di acqua nelle altre unità immobiliari. L’impianto può essere
collocato in cortile, a condizione di non precludere agli altri condomini un pari utilizzo di questa
parte comune e di non alternare la destinazione (23/2/1987, n 1911); alle stesse condizioni
l’autoclave autonoma può essere collocata nell’intercapedine condominiale (Corte di Cassazione
11/2/1998, n 1389). Relativamente all’androne condominiale, la Corte di Cassazione (Sentenza n.
2746 del 6/6/1989) ha confermato la sentenza con la quale il giudice di merito aveva consentito
l’installazione dell’autoclave in una zona altrimenti non utilizzabile di questa parte comune
dell’edificio.
Rinuncia
Il principio antico dall’articolo 1118 codice civile, per il quale il condomino non può rinunciare al suo
diritto sulle cose comuni, non trova applicazione per quelli impianti che possono considerarsi
superflui. Pertanto, se l’impianto idrico pubblico è perfettamente efficiente anche ai piani alti
dell’edificio, si può legittimamente rinunciare all’autoclave (Corte di Cassazione 27/4/1991, n
4652). Se invece, l’impianto è indispensabile si è tenuti a concorrere alla spesa, a meno che gli altri
condomini, all’unanimità, non esonerino alcuni proprietari dalla contribuzione. Per la corte d’appello
di Napoli (Sentenza 8/10/1993) si può rinunciare all’autoclave se c’è una riduzione delle pese di
gestione e quindi un minore onere per gli altri condomini che intendono continuare a utilizzare
l’impianto.
Sostituzione
La spesa occorrente alla sostituzione dell’autoclave va suddivisa fra i condomini in proporzione ai
millesimi di proprietà, essendo ininfluente la circostanza che l’edificio sia composto da più piani,
serviti in misura differente (Corte di Cassazione 29/12/1983, n 7172). In occasione della
sostituzione dell’autoclave i condomini in precedenza non collegati all’impianto possono chiedere di
allacciar visi, ma devono ottenere il via libera di chi già usufruiva del servizio.
Spese di esercizio
In mancanza di un regolamento di disponga altrimenti, o di diverso accordo fra i condomini, per la
suddivisione della spesa richiesta dal funzionamento dell’autoclave si può applicare il secondo comma
dell’articolo 1123 codice civile, per il quale, se si tratta di cose destinate a servire i condomini in
misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne >>Scale e
ascensore, escludendo però le unità immobiliari non servite dall’impianto. Dovendosi, in particolare,
tener conto della diversa energia occorrente a sollevare l’acqua ai diversi piani, è giusto suddividere
la spesa per metà in base ai valori millesimali di ciascuna unità immobiliare e per metà in base
all’altezza di ciascun piano dal suolo (Paga di più chi sta più in alto). Per il pretore di Pordenone
(Sentenza del 25/2/1989) la spesa occorrente al sollevamento dell’acqua va ripartita in base alla
superficie reale di ciascuna unità immobiliare.
AVVISO DI CONVOCAZIONE
L’assemblerà dev’essere preceduta dall’invio, agli aventi diritto a parteciparvi, di un avviso di
convocazione. Questo dev’essere spedito per tempo, in modo che giunga al destinatario almeno 5
giorni prima di quello in cui si terrà l’assemblea. Il termine, previsto dal terzo comma dell’articolo
66 disp. Att. Codice civile, decorre dal giorno di ricezione dell’avviso, non da quello di spedizione, e i
giorni intercorrenti fra quello di ricezione e quello in cui si terrà l’assemblea sono, come si dice
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tecnicamente, non liberi (Tribunale di Milano 7/5/1992), ossia non devono trascorrere
integralmente fra quello di ricevimento dell’avviso e quello in cui si terrà l’assemblea: cosi, se
l’assemblea è stata convocata per il giorno 25, è sufficiente che l’avviso venga recapitato entro il
20. Il regolamento di condominio può prevedere un termine diverso: sia più breve (App. di Napoli 11
/10/1962) sia più lungo (Trib. di Napoli 13/5/1991). Quest’ultima sentenza ha stabilito che l’
eventuale maggior termine previsto dal regolamento è inderogabile. Occorre però aggiungere che
l’articolo 72 Disp. Att. Codice civile considera inderogabile l’articolo 66 delle stesse condizioni, che
stabilisce in 5 giorni il termine di convocazione, per cui è opportuno attenervisi, soprattutto nel
caso in cui il regolamento contenga un termine inferiore. Il termine dev’essere osservato anche in
caso di convocazione diretta da parte dei condomini (Corte di Cassazione 22/11/1985, n 5769,
>>Assemblea, Convocazione). Se l’avviso è stato recapitato nei
tempi previsti, la circostanza che il
destinatario abbia respinto la raccomandata, o non l’abbia ritirata, è irrilevante. Il condomino, poi,
che abbia ricevuto l’avviso fuori termine, ma che abbia partecipato all’assemblea, non può eccepire il
mancato rispetto del termine, poiché la sua presenza sana il vizio di convocazione ( Tribunale di
Roma 4/3/2005). La Corte di Cassazione (Sentenza n. 875 del 3/2/1999 ) ha ritenuto corretto il
comportamento dell’amministratore che aveva messo tempestivamente, ossia rispettando il termine
di 5 giorni, l’avviso nella cassetta della posta; nel caso esaminato, però, era stato provato che il
destinatario consultava assiduamente la presenza di corrispondenza. È comunque sconsigliabile
seguire questa modalità. Il mancato rispetto del termine comporta l’annualità delle delibere
adottate dall’ assemblea, sia in prima sia in seconda convocazione, stante il rapporto di dipendenza,
temporale e logico tra le due riunioni (App. di Lecce 9/5/1983). Se però, pur in presenza di un
avviso arrivato fuori termine per la prima convocazione, ma in tempo utile per la seconda, la prima
convocazione era andata deserta, le delibere adottate in seconda convocazione con la maggioranza
richiesta per la prima sono valide (Corte di Cassazione 24/6/2003, n 9992).
Comproprietari
Sull’obbligo di convocare tutti i comproprietari di una stessa unità immobiliare la corte di
cassazione (sentenza n. 138 del 9/1/1998) ha stabilito che è sufficiente la prova, anche
presuntiva, che l’avviso inviato ad uno solo di essi sia stato portato a conoscenza degli altri per
rendere pienamente valida l’assemblea; così, si presume che, nel caso di comproprietà tra due
coniugi conviventi in pieno accordo e senza contrasto d’interessi fra di loro, la moglie comunichi al
marito la data e il luogo dell’assemblea, e viceversa. Alla prova per presunzioni non si può invece
ricorrere se i coniugi sono separati o se i comproprietari hanno residenze diverse. All’assemblea può
partecipare una sola persona per unità immobiliare, anche se ci sono più comproprietari; questi,
pertanto, devono designare un rappresentante.
Forma
L’avviso di convocazione deve contenere l’indicazione del luogo, la data e l’ora in cui si terrà
l’assemblea in prima e in seconda convocazione, e l’>> Ordine del giorno, ossia i punti sui quali i
partecipanti sono chiamati a deliberare. L’incompletezza dell’ordine del giorno comporta
l’annullabilità delle delibere. Per una convocazione formale dell’assemblea può essere seguita la
traccia appresso riprodotta.
AVVISO DI
CONVOCAZIONE
40
OGGETTO: (1) Assemblea condominio di Via . . . . . , 20162 Milano
Sig. 2) . . . . . . . scala ( 3) . . . . . . interno . . . . . . % di proprietà
La S. V. è invitata a partecipare all’assemblea ( 4) ordinaria/straordinaria del condominio in oggetto, che si
terrà in (5) . . . . . . Via . . . . . . n. . . . , in prima convocazione il giorno (6) . . . . . . alle ore
7 ) . . . . . . , e, qualora non si raggiungesse il numero legale, in seconda convocazione il giorno (6) . . . . . . alle
ore (7) . . . . . . , per deliberare sul seguente
ORDINE DEL GIORNO (8)
1-......
2-......
3-......
4-.......
5-......
6-......
7 -......
8-......
Como, (9)
L’AMMINISTRATORE (10)
ATTO DI DELEGA (11)
Io sottoscritto (A) . . . . . . delego a rappresentarmi all’assemblea suddetta, con ogni facoltà di legge, il Sig. (B
) . . . . . . , approvandone fin d’ora l’operato.
. . . . . . (C)
(firma del delegante)
Leggenda
1 – Applicare il timbro del condominio oppure indicare l’esatto indirizzo in cui è ubicato l’immobile.
2 – Nome e cognome (ragione o denominazione sociale se si tratta di società) del destinatario.
3 – Indicare la scala (solo se il condominio ne ha più d’una), l’interno dell’unità immobiliare e,
qualora siano stati predisposti, i millesimi di proprietà facenti capo al condominio.
4 – Lasciare com’è se la convocazione riguarda entrambi i tipi di assemblea, oppure cancellare la
denominazione non corrispondente al tipo di assemblea cui si riferisce la convocazione.
5 – Indicare esattamente il luogo in cui si terrà l’assemblea.
6 – Giorno, mese e anno.
7 – Ora esatta.
8 – Indicare, numerandoli progressivamente, i vari punti all’ordine del giorno, descrivendoli
sinteticamente ma esattamente. All’ultimo punto mettere “Varie ed eventuali“.
9 – Giorno, mese e anno in cui viene diramata la convocazione.
10 – Firma di chi provvede alla convocazione.
11 – Questa parte può essere compilata dal condominio che intende delegare altri affinché partecipi
all’assemblea per suo conto.
A – Generalità del delegante.
B – Generalità del delegato.
C – Firma del delegante
Se la data indicata sull’avviso manca o è errata, la convocazione può essere considerata valida se si
dimostra che il destinatario era, di fatto e con certezza, a conoscenza della data ( Corte di
Cassazione 12/5/1967, n 993). Stesso discorso se non erano stati indicati, o lo erano stati indicati
41
erroneamente, ora e luogo della riunione. È ammesso qualsiasi tipo di prova, anche per presunzioni
(Corte di Cassazione 15/12/1982, n 6919). In particolare, se il luogo di riunione non è stato
indicato nell’avviso, e vi è assoluta incertezza sulla sua ubicazione, o è palesemente inidoneo allo
svolgimento dell’assemblea (Come nel caso di un locale adibito a raccolta di rifiuti (Corte di
Cassazione 22/12/19999, n 14461) o moralmente disdicevole (App. Firenze 11/6/2009), si è
legittimati a non intervenire e ad impugnare le delibere che dovessero essere adottate. Non deve
neppur trattarsi di luogo difficilmente raggiungibile; di regola deve trattarsi di sede ubicata nella
stessa città in cui sorge l’edificio condominiale (Corte di Cassazione 26/6/1958, n 2284). Nel caso
di una città molto grande si può ragionevolmente pretendere che il luogo di convocazione sia ubicato
nel quartiere in cui si trova l’edificio. L’avviso di convocazione dev’essere inviato a mezzo posta
raccomandata oppure per posta elettronica certificata o fax, o consegnato a mano. In
quest’ultima ipotesi si può consegnare l’avviso ai destinatari e riprodurre il testo su di un foglio,
aggiungendovi l’indicazione “per presa visione“ e facendovi opporre in calce data e firma degli stessi
destinatari, naturalmente almeno 5giorni prima di quello fissato per la riunione. Il Tribunale di
Cagliari, tuttavia (Sentenza del 27/12/1993), ha stabilito che la violazione del regolamento che
preveda l’invio dell’avviso nella forma della raccomandata con avviso di ricevimento non determina
l’invalidità della delibera quando il diritto del condomini ad aver piena conoscenza della convocazione
non sia stato concretamente leso, come nel caso in cui si dimostri che l’avviso gli è stato consegnato
a mano. Sempre nel caso in cui il regolamento preveda che l’avviso debba essere spedito a mezzo
raccomandata, ci si può rifiutare di ricevere quello consegnato a mano ( Tribunale di Monza
6/2/1997); se però viene accettato non si può porre la violazione della norma del regolamento a
fondamento dell’impugnazione della delibera (Tribunale di Cagliari 27/12/1993). La Corte di Appello
di Milano (Sentenza del 19/3/1996) ha ritenuto valida la convocazione effettuata mediante
raccomandata a mano, alcune delle quali consegnate dalla portinaia ai condomini, che avevano
firmato per ricevuta, e altre inserite nella rispettiva cassetta postale. Se l’avviso è stato inviato
per raccomandata non occorre che sia stato ricevuto personalmente dal destinatario, e neppure
occorre che questi l’abbia letto; l’importante è che l’avviso sia pervenuto alla persona che, in virtù
dei suoi rapporti con il destinatario, o per ragioni di ufficio (Si pensi al portiere dello stabile o al
sostituto, Corte di Cassazione 19/1/1985, n 140), sia tenuta a consegnarglielo, o che sia stato
depositato in luogo normalmente destinato a tale scopo, e che di ciò il condominio destinatario,
impiegando l’ordinaria diligenza, abbia avuto o possa aver avuto notizia (Tribunale di Milano
2/4/1992 ). Per la Corte d’Appello di Napoli (Sentenza dell’11/1/2012) la ricevuta di spedizione
della raccomandata, anche senza la ricevuta di ritorno, fa presumere che il destinatario abbia
ricevuto l’avviso, per cui sta a questi provare di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di
prenderne visione. Non è stata invece considerata legittima (Tribunale di S. Maria Capua Vetere
28/10/1988) l’affissione dell’avviso di convocazione in bacheca, ancorché accompagnata dall’invio a
mezzo raccomandata e questa sia pervenuta fuori termine. L’avviso dev’ essere inviato a tutti i
condomini, nessuno escluso, anche se titolari di una quota millesimale minima. Vanno convocati anche
i soggetti che si trovino in conflitto d’interessi con il condominio e quelli eventualmente residenti in
altra città o all’estero, salvo abbiano comunicato all’amministratore la nomina di un delegato.
L’omesso invio dell’avviso anche ad un solo condomino, rende annullabili le eventuali delibere
adottate (Corte di Cassazione 2/10/2000, n 3013); l’assemblea, infatti, non può deliberare
validamente se non risulta che tutti i condomini sono stati convocati - sesto comma articolo 1136
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codice civile -. Se però, pur in presenza di questa irregolarità, l’assemblea adotta una delibera e
questa non viene impugnata entro 30 giorni, diventa valida e vincolante per tutti i condomini, il
termine – stabilisce il secondo comma dell’articolo codice civile – decorre dalla stessa data della
delibera per i dissenzienti e dalla data della comunicazione per gli assenti. Vi sono però dei casi in
cui, nonostante l’omesso invio dell’avviso di convocazione, l’assemblea è valida: se sono presenti tutti
gli aventi diritto, o se si dimostra altrimenti (Per esempio facendo firmare e datare un condomini un
avviso collettivo) che tutti hanno avuto notizia della convocazione in tempo utile per partecipare alla
riunione. In particolare il Tribunale di Prato (Sentenza dell’11/12/1989) ha ritenuto legittima
l’immissione dell’avviso di convocazione nei confronti del condomino che aveva partecipato ad
un’assemblea auto convocata, e firmato il verbale in cui la riunione veniva riconvocata per altra data,
per deliberare sull’ordine del giorno pure indicato sul verbale.
Trasferimento di un condomino
Non è raro, specialmente nei megacondomini, che il destinatario risulti trasferito dal precedente
condominio. Nel qual caso l’amministratore, al fine di assicurare una regolare convocazione
dell’assemblea, è tenuto a svolgere le indagini suggerite dall’ordinaria diligenza per rintracciare il
condomino non più presente al precedente recapito (Corte di Cassazione 28/11/2000, n 15283).
Dal punto di vista pratico, nel caso di condomino già residente nella città sede del condominio, si
possono attingere informazioni presso l’ufficio anagrafe del Comune, mentre se risiedeva in altra
città ci si può rivolgere ad un’agenzia di disbrigo pratiche, in entrambi i casi addossando il relativo
costo al condomino resosi irrepetibile.
Morte
Un caso particolare è quello della morte del condomino. In tale ipotesi, se l’amministratore è a
conoscenza dell’evento ma non degli eredi, non è obbligato a fare alcuna ricerca, e quindi non è
tenuto ad inviare alcun avviso di convocazione, fino a quando gli eredi non siano manifestati (Corte
di Cassazione 15/2/2007, n 6926).
Lettera B
BALCONE
I balconi e il loro utilizzo sono fonte perenne di discussione: dai panni stesi allo sgocciolamento
dell’acqua usata per annaffiare piante e fiori, dalla caduta di briciole, al “fall out“ liberato dalla
battitura dei tappeti, per non parlare delle spese da sostenere quando è necessario rifargli e
magari non tutti i condomini godono di questo spazio esterno. I balconi non rientrano fra le parti
comuni dell’edificio (Corte di Cassazione 7/9/1996, n 8159) ma non fare parte integrante dell’
appartamento cui si riferiscono. Alcuni elementi di essi, però (Per esempio: i decori), se destinati
all’abbellimento della facciata sono considerati parti comuni dell’edificio; la circostanza, da valutarsi
caso per caso, rileva ai fini della ripartizione delle spese. Non è raro che un balcone venga
trasformato in → Veranda. Il balcone va tenuto distinto dal >>Lastrico solare di uso esclusivo.
Apertura: è possibile aprire un balcone nella facciata, alle seguenti condizioni:
> si deve rispettare il decoro architettonico dell’edificio;
> non si deve arrecare danno alle parti comuni o alla proprietà individuale di uno o più condomini;
43
> va rispettata la normativa urbanistica e quella sulla distanza legale fra costruzioni.
L’apertura di un balcone è consentita anche se questo sporge sul cortile condominiale, con
conseguente occupazione della colonna d’aria sovrastante la parte comune; occorre però accertare
che l’iniziativa non pregiudichi la normale fruizione o la possibilità di utilizzo del cortile da parte
degli altri condomini (Corte di Cassazione 21/6/1993, n 6850). In pratica l’innovazione non deve
comportare un sensibile diminuzione di aria e luce a carico di un condomino o delle parti comuni
dell’edificio. Una volta accertato che non vi siano controindicazioni (Ma sul decoro architettonico si
può sempre discutere), se ne deve dare preventiva notizia all’amministratore, specificando i
dettagli dell’intervento e le modalità di esecuzione. L’amministratore, a sua volta, ne riferisce
all’assemblea (Secondo comma articolo 11222 codice civile).
Danni
La distinzione, nell’ambito dei balconi, fra parti comuni e parti esclusive, si riflette
sull’accertamento di chi sia tenuto a risarcire gli eventuali danni che dovessero derivare da questa
porzione del fabbricato: il condominio o il singolo proprietario, a seconda che si tratti di una parte
considerata comune o di proprietà esclusiva. Cosi, se i decori sono riguardabili come abbellimento
dei solo balcone, del danno risponderà il proprietario; se, invece, hanno funzione di abbellimento
della facciata, sono considerati parti comuni dell’edificio, per cui toccherà al condominio risarcire il
danno (Corte di Cassazione 7/9/1996, n 8159). In particolare, con riferimento ai frontalini (Ossia
alla parte visibile della soletta del balcone), la Corte di Cassazione (Sentenza n 2241 del
30/1/2008) li ha considerati beni comuni, in quanto elementi che s’inseriscono nella facciata e
concorrono a costituire il decoro architettonico dell’edificio. Se però il danno è causato
direttamente dal proprietario del balcone, sarà questi a doverlo risarcire, come nel caso del
distacco di un pezzo d’intonaco provocato da una pianta rampicante, da infiltrazioni dovute
all’annaffiatura o da cattiva manutenzione.
Divieti
Un condomino non può alzare il parapetto del balcone se ciò compromette il decoro architettonico
dell’edificio, né può spostare in avanti la ringhiera, acquisendo la possibilità, fino a quel momento
preclusa, di affacciarsi sulla sottostante terrazza (Tribunale di Napoli 18/6/1998). Inoltre sul
balcone non si possono stendere panni se ciò è vietato dal regolamento del condominio o da quello di
polizia urbana. In particolare, il Tribunale di Milano (Sentenza del 27/9/1965) ha considerato in
contrasto con l’articolo 1102 codice civile l’esposizione di biancheria sgocciolante da balconi o
finestre degli appartamenti nel sottostante cortile condominiale, mentre il Giudice di pace di
Caserta (Sentenza del 28/4/1998) ha considerato la sciorinatura (Ossia l’esposizione) di panni sulle
ringhiere dei panni superiori compresa nei limiti della normale tollerabilità per i proprietari delle
unità immobiliari sottostanti. Il Tribunale di Bologna, infine (Sentenza del 4/3/1993), ha precisato
che la norma del regolamento condominiale che impone di non sciorinare i panni riguarda
esclusivamente le parti comuni nel rispetto di un generale principio di decoro architettonico, e non è
pertanto applicabile quando si tratti del rapporto tra due proprietà individuali; in tale ipotesi,
quindi, trovano applicazione le norme sui rapporti di buon vicinato e quella che obbliga a risarcire
l’eventuale danno provocato dolorosamente o colposamente (Articolo 2043 codice civile). Altro
punto “caldo“ è la trasformazione del balcone in
Scale
>>Veranda.
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I balconi di cui fossero dotate le scale, che siano accessibili unicamente da queste e abbiano una
funzione architettonica, si presume rientrino fra le parti comuni dell’edificio, ai sensi dell’articolo
1117 codice civile (Corte di Cassazione 13/12/1979, n 6502).
Soletta
La soletta, vale a dire la struttura di sostegno del piano di calpestio, è in comproprietà con il
titolare del balcone sottostante. La colonna d’aria compresa fra il piano di calpestio del balcone
sovrastante, invece, appartiene al proprietario del balcone sottostante. È possibile installare sulla
soletta sovrastante apparecchi d’illuminazione o farvi vegetare piante rampicanti (Corte di
Cassazione 16/1/1987, n 283). In seguito la Suprema Corte (Sentenza n. 14576 del 30/7/2004)
ha distinto fra balconi aggettanti, cioè sporgenti dal fronte facciata, e balconi rincasati nel corpo
dell’edificio o interni a esso, considerando la soletta in comproprietà nel caso di balcone incassato e
non nel caso di balcone aggettanti. Di conseguenza il proprietario dell’appartamento sottostante non
può agganciare la tenda alla soletta del sovrastante balcone aggettante, a meno che il proprietario
di questo non lo consenta (Corte di Cassazione 17/7/2007, n 15913).
Spesa
Le spese occorrenti al rifacimento dei balconi costituenti pertinenza dei vari appartamenti gravano
sui rispettivi proprietari, con la sola eccezione di quelle relative agli elementi decorativi se
destinati all’abbellimento della facciata nel suo insieme e non del singolo balcone, da porsi a carico
di tutti i condomini su base millesimale (Corte di Cassazione 28/11/1992, n 12792 ): rientrano nel
concetto, per esempio, i rivestimenti e i frontalini. Alla spesa richiesta dai decori dei balconi, se
destinati all’abbellimento della facciata, devono contribuire anche i condomini i cui appartamenti
non siano dotarti di balcone o siano situati su un altro lato dell’edificio (Corte di Cassazione
30/7/2004, n 14576). L’indagine volta ad accertare se gli elementi decorativi sono finalizzati ad
abbellire il balcone o non piuttosto la facciata nel suo insieme dev’essere condotta in concreto, in
relazione alle caratteristiche dell’ edificio (Fra gli elementi decorativi possono essere compresi, a
seconda dei casi, anche le ringhiere e i divisori). La Corte d’Appello di Napoli (Sentenza del
16/10/1990), per esempio, ha posto la spesa per la riparazione delle colonnine e dei pilastrini che
fanno parte integrante del parapetto dei balconi a carico del proprietario esclusivo, motivando con
il fatto che il parapetto assolve la funzione primaria di protezione dell’unità immobiliare del
condominio; la Corte d’Appello di Salerno (Sentenza del 16/3/1992), invece, al pari del Tribunale di
Roma (Sentenza n. 31717 del 24/11/2004), ha posto le spese per il rifacimento dei parapetti a
carico del condominio, insieme ai doccioni (Canalini che allontanano l’acqua del piano di calpestio del
balcone) e delle fasce d’intradosso (Superfici interne delle porte e delle finestre). Anche la
verniciatura dei parapetti, trattandosi di elementi cromatici inseriti nella facciata e quindi
componenti del decoro architettonico dell’edificio, viene posta dai giudici a carico di tutti i
condomini, in base ai millesimi di proprietà, mentre la spesa richiesta dalla sostituzione dei
gocciolatoi (Canalini che facilitano il deflusso dell’acqua del parapetto) compete al proprietario se
non possono essere considerati ornamenti della facciata. In caso contrario la spesa va divisa fra
tutti i condomini, in proporzione ai millesimi di proprietà. In occasione del rifacimento della
facciata l’assemblea può imporre ai singoli condomini la sistemazione dei parapetti dei balconi,
qualora siano riguardabili come elementi decorativi della facciata, deliberando con il voto
favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Corte
di Cassazione 3078/1994, n 7603). Se però si tratta di lavori particolarmente costosi occorre
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anche in seconda convocazione il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in
rappresentanza di almeno 500/1.000.
Vasi
Sui parapetti dei balconi si possono collocare vasi di fiori, salvo non lo vieti il regolamento; i vasi,
però, devono essere contenuti all’interno di fioriere saldamente ancorate alla ringhiera e non
devono creare problemi di stillicidio (Tribunale di Bologna 1/3/1993), ossi di caduta di acqua dai
piani inferiori. Se il balcone è separato dal sottostante locale da una pavimentazione in
vetrocemento, non è possibile collocarvi vasi se chi sta al piano di sotto vanta una servitù per
ricevere luce.
BARRIERE ARCHITETTONICHE
Il problema del superamento delle barriere architettoniche nel condominio ha il suo riferimento
normativo nella: 9/1/1989, n 12. Questo provvedimento ha il dichiarato obiettivo di favorire, nell’
ambito del condominio, l’introduzione di innovazioni che possono facilitare la mobilità delle persone
disabili. L’assemblea può deliberare a riguardo con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000. Il Tribunale di Milano (Sentenza del 19/9/
1991) ha ritenuto che, dovendosi deliberare l’installazione dell’ ascensore, la maggioranza prevista
dalla legge possa essere applicata anche se nel fabbricato non vivono portatori di handicap,
trattandosi d’intervento finalizzato a consentire l’accesso all’edificio anche ai disabili che,
dovessero recarvisi e non solo a coloro che vi abitano stabilmente.
Informazioni
A parte i numerosi siti Internet attivati dalle associazioni di categoria e da diversi Comuni si può
chiamare, dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 19 (Il sabato dalle ore 9 alle 13), il numero 800
810 810 del servizio Super Abili predisposto dall’ INAIL (La chiamata è gratuita da tutta Italia,
esclusi telefoni cellulari), oppure collegandosi al sito www.superabile.it.
Iter da seguire
Va premesso che la condizione di disabile dev’essere accertata dalla speciale commissione prevista
dall’articolo 4 della Legge 5/2/1992, n 104 (Corte di Cassazione 30/1/2002, n 1197). Il Pretore
di Roma, con sentenza del 15/5/1996, ha considerato disabile anche chi, pur non essendo affetto
da menomazioni motorie, si trovi in minorate condizioni fisiche. Per l’installazione dell’ascensore o
per la realizzazione di altra apparecchiatura che consenta il superamento delle barriere
architettoniche (Si pensi ad uno scivolo), il disabile, o chi esercita su di lui la potestà o la tutela,
deve presentare all’amministratore una richiesta scritta convocare l’assemblea entro 30 giorni
(Terzo comma articolo 1120 del codice civile). Se questa non approva la richiesta il disabile può
installare a proprie spese il servo scala (Piattaforma mobile ripiegabile con l’indicazione del
contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. L’amministratore è
tenuto a e, fissata ai piedi della scala e azionata elettricamente, che consente ai portatori di
handicap di raggiungere i piani superiori dell’edificio senza scendere dalla carrozzella) oppure altra
struttura mobile facilmente rimovibile. È inoltre possibile modificare l’ampiezza delle porte per
rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garage (Articolo 2 della
Legge 9/1/1989, n 13) Queste opere, per le quali è prevista una deroga alla normativa sulle
distanze legali, non devono però recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, né
possono rendere talune parti comuni inservibili all’ uso o al godimento anche di un solo condomino (
46
in questi casi, quindi, è necessario il consenso di tutti gli altri condomini: la Corte di Cassazione, per
esempio (Sentenza n. 12847 dell’1/6/2007), ha sancito l’illegittimità della delibera con la quale l’
assemblea, per favorire un disabile, aveva disposto l’installazione di un ascensore che avrebbe
comportato il restringimento della rampa delle scale di 85 cm., rendendo disagevole il
contemporaneo passaggio di più persone e problematico il trasporto di oggetti di grosse dimensioni.
Superabile invece lo scoglio del decoro architettonico; la Suprema Corte, infatti (Sentenza n.
18335 del 25/10/2012), ha stabilito che l’installazione dell’ascensore avviene per favorire un
disabile o un anziano, è consentita ancorché comporti alterazioni del decoro architettonico dell’
edificio. Non si può comunque pretendere che sia il condominio a realizzare le opere (Pretore di
Roma 15/5/1996). Nei casi in cui queste vengano realizzate esclusivamente a cura e spese del
disabile, gli altri condomini e i loro eredi o aventi causa possono in qualunque tempo partecipare ai
vantaggi dell’innovazione, contribuendo alle spese, opportunamente rivalutate, come previsto dall’
articolo 1121 codice civile. Per l’installazione si può usufruire dei contributi previsto dall’articolo 9
della Legge 9/1/1989, n 13 (Il cui terzo comma precisa che il beneficio spetta anche ai condomini
dell’ edificio in cui risiede il portatore di handicap), mentre le spese di esercizio (Per esempio forza
motrice) gravano sul condominio che utilizza il servo scala. Se gli interventi sono stati deliberati
dall’ assemblea, alle spese di installazione devono contribuire i soli condomini della scala interessata
all’ intervento, mentre a quelle di esercizio deve contribuire il solo disabile, salvo diverso accordo
con gli altri condomini.
BILANCIO
La stesura del bilancio rientra tra i principali compiti dell’amministratore, ma se il professionista
trascura di redigerlo non può esservi costretto attraverso il giudice; i condomini, infatti, possono
rivolgersi all’Autorità giudiziaria solo per chiedere la revoca dell’amministratore (App. Catanzaro 8
/7/1996), come previsto dall’undicesimo comma dell’articolo 1129 codice civile. Il bilancio si
distingue in preventivo e consuntivo. nel bilancio preventivo vengono indicate tutte le entrate e
tutte le spese che caratterizzano l’esercizio che si apre, mentre nel bilancio consuntivo si dà conto
(Dal che è conosciuto anche come rendiconto) delle entrate e delle spese registrate nell’esercizio
che si è chiuso. Il periodo di riferimento è l’anno condominiale, che può anche non coincidere con
l’anno solare, in molti condomini, per esempio, il periodo di gestione ha inizio con il giorno di
accensione del riscaldamento, per terminare il giorno, precedente a questo, dell’anno successivo. Un’
altra distinzione è quella che vede da un lato il bilancio di competenza e dall’altro il bilancio di cassa.
Il bilancio di competenza considera spese ed entrate relative all’anno condominiale, prescindendo
dal fatto che siano state materialmente erogate o incassate in quel periodo. Il bilancio di cassa,
invece, considera le spese e le entrate effettivamente erogate e riscosse nel periodo considerato,
anche se riferite ad un altro anno condominiale. Il Tribunale di Milano, con sentenza n 5036 del 20
/6/1991, ha stabilito che il rendiconto dev’essere sempre strutturato con riferimento al criterio di
cassa.
Approvazione
L’approvazione del bilancio richiede il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti
all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000. Non occorre che l’approvazione sia
preceduta da una o più o meno ampia discussione: l’assemblea, infatti, può procedere
all’approvazione sintetica del documento restando fede ai dati forniti dall’ amministratore
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(Tribunale Torre Annunziata 12/2/1998). E’ anche possibile approvare il bilancio preventivo senza
aver approvato quello consuntivo dell’anno precedente, a meno che un regolamento contrattuale non
disponga diversamente (Corte di Cassazione 30/12/1997, n 13100). In sede di approvazione del
bilancio consuntivo l’assemblea può rettificare una spesa fatta dall’ amministratore, ma occorre una
delibera specifica (Tribunale di Genova 27/1/2004, n 327). L’amministratore che sia anche
condomino deve astenersi dal votare il bilancio, versando in una situazione di conflitto d’interessi;
se non dovesse farlo la delibera sarebbe ugualmente valida se, sottraendo dal totale dei voti
favorevoli quello che non poteva essere espresso, si raggiunge ugualmente il richiesto quorum
(Corte di Cassazione 22/7/2002, n 10638). Il condomino non può rifiutarsi di pagare i contributi
dovuti in base ad un bilancio regolarmente approvato, a meno che non impugni la relativa delibera
davanti al giudice nel termine di legge: irrilevante, di conseguenza, qualsiasi contestazione scritta
avanzata in sede stragiudiziale (Corte di Cassazione 14/7/1989, n 3291).
Controllo
L’assemblea può in qualsiasi momento, con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Sia in prima che in seconda
convocazione), nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio. La relativa
spesa è ripartita fra tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà (Primo comma articolo
1130-bis). Naturalmente i condomini hanno il diritto di controllare, ed eventualmente estrarre
copie a proprie spese, la >>Documentazione di supporto al bilancio.
Forma
Il bilancio deve contenere le voci di entrata e di uscita, e ogni altro dato inerente alla
situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili e alle eventuali riserve, che devono
essere espressi in modo da continuare l’immediata verifica. Il bilancio si compone di un
registro di contabilità, di un riepilogo finanziario e di una nota sintetica esplicativa della
gestione, con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni penderti (Primo comma
articolo 1130-bis). Forma a parte, l’importante è che il bilancio rifletta in modo completo, e
soprattutto veritiero, la situazione dei conti condominiali, e che i relativi dati siano ordinati in
maniera tale da mettere i condomini in condizione di verificare entrate, uscite e quota dovuta
(Corte di Cassazione 25/11/ 1975, n 3936); è dalla sua lettura, infatti, e dall’esame
della. >>Documentazione giustificativa allegata ad esso le cosiddette “pezze d’appoggio“), che i
condomini possono rendersi conto delle spese da affrontare (Il bilancio preventivo) e di quelle
sostenute (Bilancio consuntivo). In particolare, si devono distinguere analiticamente le spese
occorrenti all’uso delle parti comuni da quelle richieste dalla loro conservazione; questo
accorgimento, infatti, se tra i partecipanti vi sono usufruttuari di unità immobiliari, consente di
ripartire tra questi e i nudi proprietari, con una semplice operazione aritmetica, le spese da
ciascuno dovute (Corte di Cassazione 21/11/2000, n 15010). La contabilità, di regola, è divisa in
due parti: nella prima vengono riportate tutte le voci di spesa, indicate, oltre che nell’importo,
anche con la data del pagamento e con i riferimenti a fatture, ricevute e simili, mentre nella
seconda parte si da conto della posizione dei condomini in relazione alle quote versate e al saldo
ancora da corrispondere o a credito. Di solito le voci di spesa vengono raggruppate in :
>
2 >
1
spese generali di proprietà (Compenso amministratore, assicurazione),
assicurazione,
48
> pese per i servizi comuni (Pulizia, manutenzione, energia elettrica, disinfestazione, etc.),
4> spese per il riscaldamento centralizzato (Acquisto combustibile, conduzione caldaia,
3
manutenzione),
5 > spese per il servizio di portineria,
6 > spese individuali (Sono quelle sostenute nell’interesse esclusivo di un condomino e soltanto a
questi addebitate). Il bilancio, che dev’essere firmato sia dall’amministratore sia dal presidente
dell’assemblea che lo ha approvato (Giudice conciliatore di Roma 14/5/1988), diventa operativo
decorso il termine utile senza che siano state proposte impugnazioni, tranne che si tratti di bilancio
nullo: nel qual caso, infatti, la nullità può essere fatta valere senza limite di tempo.
Nullità e annullabilità
L’invalidità del bilancio può assumere due forme: nullità e annullabilità. Il bilancio nullo - per
esempio per violazione di norme inderogabili o per menomazione dei diritti, anche di un solo
condomino, derivanti dall’atto di acquisto o da una convenzione - può essere impugnato senza limiti
di tempo (Corte di Cassazione 31/3/1988, n 3701). La Corte d’Appello di Milano (Sentenza del
20/5/1992) ha considerato nullo il bilancio non veritiero, che in quanto tale trasmette la nullità
della delibera dell’ assemblea che lo ha approvato, mentre il Tribunale di Napoli (Sentenza del
9/7/1996) ha sancito la nullità di bilancio approvato senza l’indicazione delle spese relative ad un
servizio in comune. E’ invece annullabile il bilancio sostanzialmente veritiero ma non redatto secondo
i criteri di un’ ordinata e rigorosa contabilità; la relativa delibera dev’essere impugnata entro 30
giorni, decorrenti: per i dissenzienti dal giorno in cui è sta adottata, per gli assenti dal giorno della
comunicazione. Pure annullabile la delibera di approvazione di un rendiconto che non contenga la
specificazione della voce relativa alle spese generali, neppure per grandi linee e per raggruppamenti
omogenei (Corte di Cassazione 6/2/1984, n 896).
BOVINDO
Il bovindo (Forma italianizzata dell’inglese bow window) è un tipo particolare di veranda, sporgente
rispetto al muro perimetrale. La sua costruzione, se implica l’incorporazione di una parte della
colonna d’aria sovrastante il cortile condominiale, non è consentita (Corte di Cassazione 13/4/
1991, n 3952), a meno che non vi sia il consenso degli altri condomini.
Lettera C
CAMPANELLI
L’installazione della pulsantiera con a fianco i nomi dei condomini e il relativo campanello per farsi
aprire il portone, ma senza essere messi in comunicazione con l’appartamento come avviene con il
citofono, può essere deliberata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti
all’ assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000.
CANCELLO
Apertura
E’ possibile trasformare il sistema di apertura del cancello, da manuale a elettrico, con il voto
favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno
49
500/1.000. (Corte di Cassazione 29/8/1992, n 9999). Con la stessa maggioranza può essere
deliberata la sostituzione dell’ apertura ad ante con una scorrevole. Se invece si vogliono ricavare
da un unico, grande cancello, due cancelli: uno carrabile e uno pedonale, è necessario che la
trasformazione non impedisca l’uso di quello carrabile anche ad un solo condomino, magari perché
proprietario di un’autovettura molto larga.
Chiusura
La chiusura del cancello di accesso ai posti macchina situati nel sottosuolo dell’edificio non
costituisce innovazione ma va considerata come una regolamentazione dell’uso ordinario della cosa
comune, consistente nel non consentire a terzi estranei al condominio l’indiscriminato accesso al
sottosuolo. Di conseguenza può essere deliberata con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Corte di Cassazione
29/8/1992, n 9999).
Installazione
L’assemblea può deliberare l’installazione di un cancello (O di una sbarra automatica, Corte di
Cassazione 28/11/1986, n 7023) all’ingresso del cortile. Non si deve però limitare il diritto che i
condomini hanno di fruire di questo spazio comune, per cui dev’essere consegnata a ciascun
condomino una copia della chiave o del telecomando. Sarebbe pertanto illegittima, per eccesso di
potere, la delibera che prevede la consegna delle chiavi al solo portiere o ad alcuni soltanto dei
condomini (Tribunale di Milano 26/5/1994). Un condomino può installare un cancello per creare un
altro accesso alla propria unità immobiliare, a condizione, però, di non pregiudicare la statica o il
decoro architettonico del fabbricato, e di non ledere i diritti degli altri condomini ( Corte di
Cassazione 1/8/2002, n 11411). Alle stesse condizioni il condomino può, per sua comodità,
mettere in comunicazione uno spazio condominiale con la pubblica via (Corte di Cassazione
30/5/2003, n 8808): in entrambi i casi, infatti, si tratta di porre in essere un uso più intenso delle
cose comune, come previsto dall’ articolo 1102 codice civile. Non costituisce innovazione neppure il
ripristino di un cancello inutilizzato da anni (App. Milano 25/6/1991).
Spese
La spesa d’installazione o modifica del sistema di apertura va ripartita tra i condomini in
proporzione ai millesimi di proprietà, indipendentemente dal numero di autovetture possedute da
ciascuno (Tribunale di Milano 4/3/1991). Se il cancello è posto esclusivamente al servizio delle
autovetture di alcuni condomini, gli altri non sono tenuti a concorrere alle spese di manutenzione, ai
sensi del terzo comma dell’articolo 1123 codice civile (App. Roma 15/7/1994); questa norma,
infatti, stabilisce che, se nel condominio vi sono impianti destinati a servire una parte del
fabbricato, le spese di manutenzione sono a carico del gruppo dei condomini che ne trae utilità. Se
vi sono due cancelli collocati in successione, e, per come sono ubicate le autorimesse, alcuni
condomini ne usano uno soltanto, mentre altri sono costretti ad usarli entrambi, questi ultimi
concorreranno con gli altri alle spese di manutenzione del primo cancello, e dovranno inoltre farsi
esclusivo carico dei costi relativi al secondo, fatto salvo un diverso accordo al quale abbiano aderito
tutti i condomini.
Lucchetto
L’amministratore può sostituire il lucchetto del cancello senza l’autorizzazione dell’ assemblea, se la
sostituzione è determinata dall’ esigenza di salvaguardare i diritti dei condomini sulle cose comuni:
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per esempio perché il lucchetto si è rotto o risulta che estranei si sono procurati la chiave
(Tribunale di Milano 18/5/1992).
CANNA FUMARIA
La canna fumaria può appartenere in proprietà esclusiva al singolo condomino, se destinata soltanto
al servizio della sola unità immobiliare, o appartenere in comproprietà a più condomini, se destinata
al servizio delle rispettive unità immobiliari, ubicate sulla stessa verticale del manufatto.
Allaccio
Per allacciarsi alla canna fumaria di proprietà di un altro condomino è ovviamente necessario il suo
consenso, sempre che l’innesto sia compatibile con la speciale normativa esistente in materia (Legge
9/1/1991, n.10). Ci si può invece allacciare - sempre normativa permettendo - alla canna fumaria
dell’impianto centralizzato di riscaldamento dismesso, per immettervi i fumi di quello autonomo
(Corte di Cassazione 17/2/1995, n 1719).
Distanza
La legge non prevede il rispetto di una distanza precisa tra la canna fumaria e la finestra del vicino.
La distanza di almeno un metro dal confine, che il secondo comma dell’articolo 889 codice civile
prescrive per l’installazione dei tubi di acqua, gas e simili, infatti, si riferisce alle condutture che
abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e comportino conseguentemente un periodi
permanente per il fondo vicino, in relazione alla naturale possibilità di trasudamento e di
infiltrazioni. Trova pertanto applicazione il successivo articolo 890 in materia di distanza per
fabbriche e depositi nocivi o pericolosi, che rimanda alla distanza eventualmente prevista dai
regolamenti locali (Corte di Cassazione 13/12/1994, n 10652); in mancanza di questi, si deve
osservare una distanza necessaria a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, alla salute e
alla sicurezza.
Divieti
Il condomino non può ostruire la canna fumaria che serve anche i sottostanti appartamenti. In caso
contrario il proprietario danneggiato può agire, anche con richiesta al giudice di un provvedimento d’
urgenza, per il ripristino dei luoghi e, in sede di causa di merito, per il risarcimento del danno. Se
però chi ha posto in essere la violazione, dimostra che sono trascorsi più di 20 anni dall’otturazione,
e che il comproprietario della canna fumaria non l’ha utilizzata per tutto il periodo, il ricorrente
dovrà rassegnarsi alla perdita del diritto per prescrizione. È invece legittimo ridurre la sezione
della canna fumaria, ma a patto che la modifica non ne alteri la destinazione e non impedisca agli
altri condomini di fare parimenti uso (Corte di Cassazione 29/4/1996, n 1092).
Installazione
La spesa per l’installazione di una canna fumaria comune dev’essere ripartita in base ai millesimi di
proprietà fra i soli condomini che fruiscono dell’impianto: la canna fumaria, infatti, costituisce
l’applicazione più frequente del cosiddetto >>Condominio parziale. Il condomino può appoggiare una
canna fumaria al muro comune (Per esempio quello di una chiostrina, Tribunale di Roma 22/6/2005).
Ciò a condizione che l’intervento non alteri la stabilità, la sicurezza o il decoro architettonico dell’
edificio (Tribunale di Napoli 17/3/1990), che sia rispettata la normativa sulle distanze legali (
Corte di Cassazione 6/3/2002, n 3199) e che il manufatto non leda il diritto degli altri condomini
sulle parti comuni dell’edificio e su quelle di proprietà esclusiva. Inoltre le >> Immissioni di fumo e
calore provenienti dall’impianto non devono superare la normale tollerabilità. Se ci sono tutti questi
51
presupposti non è necessaria l’autorizzazione dell’assemblea, ma per evitare possibili contestazioni
soprattutto sotto il profilo dell’alterazione del decoro architettonico dell’edificio è preferibile
acquisire il consenso de quest’organo condominiale. Non è invece consentito inserire una canna
fumaria nel muro condominiale o in quello comune a un altro condomino, perché questo tipo
d’intervento non configura un uso particolare o più intenso del bene comune ai sensi dell’ articolo
1102 codice civile, ma un’invasione della proprietà altrui, condominiale o singola che sia (Corte di
Cassazione 10/5/2004, n 8852). È possibile utilizzare tetto e lastrico solare per inserirvi il
comignolo di una canna fumaria (Corte di Cassazione 7/3/1992, n 1774), anche più d’uno se
occupano una porzione esigua di queste parti comuni dell’edificio (Tribunale di Milano 30/12/1991
); inoltre le dimensioni del manufatto non devono essere tali da impedire agli altri condomini di
sistemare a loro volta sul tetto o sul lastrico analogo manufatto, o da menomare la funzione di
calpestio di queste parti comuni. La corte di Cassazione (Sentenza n. 8040 dell’878/1990) ha
consentito questo tipo d’intervento anche in presenza di un regolamento condominiale che
prevedeva il divieto di sopraelevazione. Nei centri abitati l’altezza del comignolo deve superare in
altezza non solo la copertura dell’edificio, ma anche quella dei fabbricati adiacenti per evitare
inconvenienti ai vicini (C. Stato 5/10/2011, n 5474). Il proprietario, nell’installare una canna
fumaria su una parte comune dell’edificio, per esempio il tetto, non può attraversare la proprietà
esclusiva di un altro condomino senza il suo consenso (Corte di Cassazione 2/8/1977, n 3385).
Pulizia
La spesa corrente della pulizia della canna fumaria viene generalmente suddivisa per metà in misura
inversamente proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo (Paga meno chi abita più in alto), e
per l’altra metà in ragione dei millesimi di proprietà. Il condomino non può più sigillare
l’accesso alla canna fumaria comune per sottrarsi alla spesa, a meno che gli altri condomini che
fruiscono dell’impianto non vi acconsentano.
Ripristino
Se una canna fumaria comune a più condomini è divenuta inservibile, ciascuno può pretendere che
venga ripristinata, ai sensi dell’articolo 1118, secondo comma, e 1123, terzo comma, codice civile.
Alla spesa devono concorrere tutti i condomini che la utilizzavano, anche quelli che nel frattempo
avessero provveduto in un altro modo allo smaltimento dei fumi.
CASSETTE POSTALI
La spesa richiesta dall’installazione delle cassette postali va ripartita fra i condomini in parti uguali,
trattandosi di servizio del quale i condomini usufruiscono in uguale misura. Se non vi è apposita
cassetta condominiale destinata a ricevere la pubblicità che, pressoché quotidianamente, viene
distribuita dagli incaricati delle varie società, e non si vuole ricevere questo tipo di comunicazione,
è sufficiente apporre sulla propria cassetta un invito a non introdurvi materiale pubblicitario. Per
non ricevere il materiale pubblicitario distribuito dal portalettere, oltre all’invito collocato sulla
cassetta è necessario inviare apposita richiesta scritta all’ufficio postale incaricato del recapito.
Per il Giudice di pace di Bari (Sentenza del 22/12/2003) chi è attinto da una forma di pubblicità
commerciale ossessiva, aggressiva e invadente, qual è quella svolta attraverso l’inserimento di
volantini nella propria cassetta postale, ha diritto al risarcimento del danno esistenziale, derivante
sia dal fastidio di dover svuotare quotidianamente la cassetta, sia dalla lesione del diritto al
rispetto della propria sfera di riservatezza e quiete privata.
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CAVO TELEFONICO
L’assemblea non può, a maggioranza, accordare a una Compagnia telefonica la servitù di passaggio di
un cavo telefonico sulla facciata dell’edificio; trattandosi, infatti, di costituire una servitù, è
necessario il consenso di tutti i condomini (Corte di Cassazione 30/3/1993, n 3865).
CITOFONO
Installazione
Installare il citofono in un edificio che ne sia sprovvisto non costituisce innovazione voluttuaria,
trattandosi d’impianto che introduce una comodità per i condomini. Questo anche nel caso in cui vi
sia un normale servizio di portierato durante le ore diurne (Tribunale di Milano11/5/19970 ). Per
dare il via libera all’installazione è quindi sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000. anche la sostituzione
dell’impianto non più funzionante non è considerata innovazione e può essere approvata con la stessa
maggioranza; lo stesso dicasi se si tratta di sostituire il citofono con un >> Videocitofono. E’
possibile installare un impianto singolo a propria cura e spese, a condizione di non alterare la
destinazione della parte comune della quale è collocato, sempre che l’intervento non impedisca agli
altri condomini di farne parimenti uso.
Spesa
Il criterio da seguire alla ripartizione fra i condomini della spesa richiesta dall’installazione di un
impianto citofonico condominiale è, salvo diverso accordo, quello dettato dell’articolo 1123, codice
civile, ossia in base ai millesimi di proprietà. Il Tribunale di Bologna (Sentenza del 22/5/1998) ha
però distinto, nell’ambito di questo tipo d’ impianto, parti comuni (Per esempio il quadro esterno e il
tratto di cavo fino alla diramazione delle singole unità immobiliari) e parti di proprietà esclusiva dei
singoli condomini (Per esempio il ricevitore), ritenendo applicabile il criterio dei millesimi di
proprietà soltanto alle prime; pertanto, se un condomino vuole installare più terminali deve
accollarsi la relativa spesa.
CONDIZIONATORI D’ ARIA
Se l’edificio è dotato d’impianto centralizzato di aria condizionata, questo si considera comune fino
al punto in cui le canaline entrano nelle proprietà esclusive. Se i compressori sono collocati sul
lastrico solare (Soprattutto se nella parte centrale, non visibile dall’esterno) non dovrebbero
sorgere problemi dal punto di vista dell’alterazione del decoro architettonico dell’edificio, ma
bisogna fare in modo che il loro rumore non disturba il sonno non solo dei condomini degli ultimi
piani, ma anche delle persone che abitano negli edifici vicini.
Autorizzazione comunale
Per installare un condizionatore potrebbe essere richiesta l’autorizzazione comunale; è pertanto
consigliabile verificare preliminarmente presso l’ufficio tecnico del Comune se è richiesto
l’espletamento di questa formalità. Le sezioni Unite del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la
regione Siciliana, per esempio (Decisione n. 682 del 13/12/1993), hanno stabilito che l’ancoraggio
di un condizionatore d’ aria a un muro esterno va considerato installazione d’ impianto tecnologico al
servizio di edifici già esistenti e pertanto, ai sensi dell’articolo 5 della Legge Regionale 10/8/
1985, n. 37, richiede autorizzazione, pena l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie di cui all’ articolo
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10 della Legge 28/2/1985, n 47, salvo il potere del Sindaco di tutelare il decoro generale degli
edifici interessati ai sensi del regolamento dell’edificio.
Condensa
Il Tribunale di Padova (Sentenza n. 352 del 22/2/2011) ha considerato legittimo il foro praticato
nel muro comune per farvi passare un tubo che smaltisca la condensa prodotta da un condizionatore
d’aria, ma illegittimo l’innesto del tubo di scarico del pluviale condominiale, perché cosi facendo si
verrebbe ad alterare la funzione di questa parte comune dell’edificio, che è quella di provvedere
allo smaltimento delle sole acque meteoriche.
Inquilino
Il conduttore, come previsto dall’articolo 10 della Legge 27/7/1972, n 392, ha diritto di voto al
posto del proprietario quando l’assemblea deve decidere sulle spese e sulle modalità di gestione dei
servizi di condizionamento d’aria e di riscaldamento. La convocazione da parte dell’amministratore
dev’essere, comunque, inviata al condomino-locatore, che a sua volta avviserà il conduttore.
Installazione
Salvo che il regolamento del condominio non la vieti, l’installazione sul muro perimetrale coincidente
con la proprietà esclusiva di un condomino, di un condizionatore d’aria rientra fra gli usi consentiti
della cosa comune e teoricamente può essere effettuata senza autorizzazione dell’assemblea. Se
però, come, di fatto, accade, si ha ragione di temere che, per le dimissioni dell’impianto o per
l’ubicazione e le caratteristiche dell’edificio, dell’ innovazione potrebbe derivare alterazione del
decoro architettonico, è consigliabile trasmettere all’amministratore un disegno della parte visibile,
affinché lo sottoponga all’assemblea per l’approvazione o per l’introduzione di eventuali modifiche;
ciò per evitare di essere coinvolti in eventuali liti giudiziarie ( L’ autorizzazione è in ogni caso
necessaria se richiesta dal regolamento). La Corte di Cassazione (Sentenza n 12343 del
22/8/2003) ha stabilito che l’installazione, da parte di alcuni condomini, di un voluminoso
condizionatore sul muro perimetrale comune è considerata una modifica dell’uso della parte comune
e non un’innovazione; in quanto tale non deve alterare la destinazione della cosa comune né impedire
agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto, e neppure deve alterare il decoro
architettonico dell’edificio. Sulla stessa linea interpretativa il Tribunale di Milano (Sentenza del
9/1/2004, n 179), che ha considerato illegittima, perché in contrasto con l’articolo 1102 codice
civile, l’installazione, senza autorizzazione dell’assemblea, del compressore di un condizionatore
d’aria della facciata del fabbricato, in posizione sporgente e perpendicolare rispetto a uno degli
ingressi condominiali, a nulla rilevando - nel caso specifico - che la facciata in questione non fosse
esposta al pubblico, ma solo ai condomini. Il Tribunale di Napoli (Sentenza del 21/10/2003) ha
invece considerato legittima l’ installazione del condizionatore su un prospetto interno del
fabbricato, mentre il Tribunale di Monza (sentenza del 15/12/2008) non ha ritenuto in contrasto
con il decoro architettonico dell’ edificio l’installazione, ad opera di un condomino sul proprio
balcone, dell’unità esterna di un impianto di raffreddamento, ancorché l’installazione comportasse
una modifica dell’originario profilo dello stabile, dal momento che le linee estetiche del fabbricato
risultavano già alterate da precedenti interventi realizzati da altri condomini. Il TAR della Puglia, a
sua volta, con ordinanza n 847 del 20/10/2011, ha stabilito che il posizionamento di
condizionatore climatici esterni dall’ edificio, pur comportando alterazione della sagoma e
dell’aspetto esteriore, può dirsi opera minore e sostanzialmente libera, non idonea a ledere
l’interesse paesaggistico e urbanistico. Pertanto - hanno argomentato i giudici -, nel bilanciamento
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dei contrapposti interessi appare prevalente quello privato, in considerazione dello scarso impatto
dell’intervento sul corretto assetto del territorio. Il TAR della Sicilia (Sentenza 26/10/2005, n.
4101), infine, ha sancito l’illegittimità dell’ordinanza con la quale il Comune aveva ordinato la
rimozione di un condizionatore d’aria collocato sulla parete esterna di un fabbricato, motivando col
fatto che si trattava d’impianto assolutamente coerente con l’uso normale dell’immobile. Alcuni
Comuni hanno comunque ordinato la rimozione dei condizionatori collocati sugli edifici di pregio
storico. Occorre pertanto fare attenzione a non collocare i motori sul balcone piazzandoli in alto, al
di sopra della linea del parapetto, visibili dalla strada. Può essere motivo di lite anche piazzare il
motore del condizionatore in cortile, se non si rispettano i limiti di cui sopra.
Rumori
Se le immissioni rumorose provenienti da un condizionatore d’aria superano la normale tollerabilità (
>>Rumori)
si può chiedere la rimozione dell’impianto (Corte di Cassazione 22/8/2003, n 12343).
L’uso, anche notturno, di questo tipo d’impianto, è sufficiente a realizzare il reato di disturbo delle
occupazioni o del riposo delle persone, previsto dall’articolo 659 codice penale, anche qualora
manchi la prova che il disturbo sia stato avvertito da più condomini, essendo sufficiente che “il
rumore sia stato avvertito fastidiosamente da un numero imprecisato di vicini di casa“ (Corte di
Cassazione 12/7/2005, n 34240). Più di recente la Suprema Corte (Sentenza n 270
dell’11/1/2012) ha precisato che il reato non sussiste se i rumori prodotti dall’impianto arrecano
disturbo ai soli occupanti di un appartamento e non ad altri soggetti abitanti nel condominio in cui è
inserita detta abitazione o nelle zone circostanti; in tali ipotesi, infatti, il disturbo viene arrecato a
un numero definito di persone e non ad un numero indeterminato di soggetti, per cui il fatto non
costituisce reato ma semplice illecito civile, per il quali si è legittimati a chiedere il risarcimento del
danno.
CONDOMINIO
Cos’è
Il condominio (Il termine deriva dalla fusione delle parole latine cum, che significa con, insieme, e
domus, che significa proprietario: vale a dire comunione, comunanza della proprietà) è un ente di
gestione senza personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, per cui l’esistenza
dell’organo rappresentativo unitario (L’ amministratore) non priva i singoli condomini del potere di
agire direttamente a tutela dei diritti connessi alla partecipazione a questo tipo di comunità.
Costituzione
La nascita del condominio non richiede un formale atto costitutivo ma si verifica con la costruzione
sul suolo comune o con il frazionamento, da parte dell’unico proprietario, di un edificio i cui piani o
porzioni vengano attribuiti a due o più soggetti in proprietà esclusiva. Ciò non esclude che gli
interessati possano formalizzare il rapporto davanti ad un notaio, magari in occasione della
formazione delle tabelle millesimali. La nascita del condominio prescinde dal rilascio del certificato
di abitabilità: l’essenziale è che sia avvenuta la costruzione dell’edificio e che i piani o le porzioni di
piano di questo appartengano a distinti proprietari (Corte di Cassazione 26/1/1982, n 510).
Norme applicabili
Per quanto non espressamente previsto dalle norme sul condominio, si applicano quelle che regolano
la comunione (articolo 119-1116 codice civile).
Sede
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Il condominio, non essendo una persona giuridica ma un ente di gestione, non ha una sede in senso
tecnico, a mono che non abbia adibito, nell’ambito dell’edificio, un locale utilizzato per
l’organizzazione e lo svolgimento della gestione comune. In caso contrario il domicilio del condominio
coincide con quello dell’amministratore che lo rappresenta (Corte di Cassazione 28/1/2000, n 976).
Minimo
Il condominio minimo, da non confondere con il piccolo condominio (Ossia quello fino a otto
condomini), non quale non è obbligatoria la nomina dell’amministratore), è formato da due soli
condomini. Anche in questo caso estremo l’assemblea dev’essere formalmente convocata per
deliberare sui lavori da eseguire. Il principio è comunque derogabile se vi sono ragioni di particolare
urgenza, o se vi è trascuratezza da parte dell’altro condomino. Naturalmente si tratta un’assemblea
sui generis, cui la stessa Corte di Cassazione (sentenza n 5914 del 26/5/1993) ritiene applicabili
gli articoli 1104, 1105 e 1106 codice civile, che disciplinano la comunione, e non l’articolo 1136,
che regola l’assemblea condominiale. Se uno dei due condomini ha anticipato una spesa
nell’interesse comune, come ci si regola? Se l’effettuazione della spesa non era stata deliberata
d’accordo con l’altro condomino, ai sensi dell’ articolo 1134 codice civile non si ha il diritto al
rimborso, a meno che non si tratti di spesa urgente (Corte di Cassazione Ss.UU. 12/1/2006, n
2046). Sta al condomino che ha effettuato la spesa provare sia che questa era urgente, sia che è
stato impossibilitato ad avvisare tempestivamente l’altro condomino. Possono sorgere problemi se le
quote sono uguali, e i condomini non si mettono d’accordo; in questo caso ciascuno di esse può
rivolgersi a Tribunale, che nomina, se lo ritiene opportuno, un amministratore.
Lastrico solare
Il criterio previsto dall’articolo 1126 codice civile trova applicazione, ai sensi del successivo
articolo 1139, anche nel caso di condominio formato da soli due condomini; pertanto un terzo della
spesa fa carico a proprietario esclusivo del lastrico solare, mentre i restanti due terzi fanno carico
al condomino alla cui unità immobiliare il lastrico serve da copertura.
Usufruttuario
Gli usufruttuari di una delle due unità immobiliari possono commissionare lavori urgenti anche nel
dissenso del nudo proprietario (Corte di Cassazione 30/10/2007, n 22898).
Parziale
Quando in un edificio ci sono opere o impianti destinati a servire solo una parte dei condomini si
parla di condominio parziale: è il caso, per esempio, delle scale e dell’ ascensore posti al servizio di
un’ala dell’edificio, o di una canna fumaria utilizzata solo dalle unità immobiliari ubicate sulla sua
verticale. In uno stesso condominio possono quindi coesistere parti (per esempio: facciata, tetto)
comuni a tutti i condomini, e parti comuni a un numero ristretto di essi. Se l’assemblea deve
deliberare su di un impianto comune soltanto ad alcuni condomini, nel calcolare la maggioranza si
deve tener conto di essi e dei relativi millesimi (Corte di Cassazione 8/6/1995, n 6496). Allo
scopo di rendere più efficiente la gestione dei condomini in cui questo tipo di situazione è
particolarmente diffuso (Vi possono essere edifici con diversi androni e quindi diverse scale e
ascensori ), può essere nominato un >>Consiglio di condominio. Corridoio: la Corte di Cassazione
(Sentenza n. 21246 del 10/10/ 2007) ha escluso, con riferimento alla parte finale del corridoio,
che possa configurarsi un’ipotesi di condominio parziale, se tale parte non è dotata di autonomia
rispetto alla parte anteriore di esso, quanto meno come volume di spazio e aria, nonché dal punto di
vista estetico; di conseguenza non può affermarsi che la parte finale del corridoio sia suscettibile
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di godimento esclusivo da parte dei soli proprietari degli appartamenti che vi affacciano; di essa,
pertanto, devono fruire anche i proprietari degli appartamenti che si aprono sul primo tratto.
CONSIGLIO DI CONDOMINIO
Il consiglio di condominio (Secondo comma dell’articolo 1130-bis codice civile) è un organo di
raccordo fra condomini e amministratore, che può essere nominato dall’assemblea con il voto
favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1000
(Tribunale di Milano 6/4/1992). E’ composto da un certo numero di condomini (Almeno 3 negli
edifici con almeno 12 unità immobiliari). Generalmente vi un consigliere per ogni scala (Il
cosiddetto caposcala) o edificio (Nel caso del super-condominio).
Funzioni
Il Consiglio di condominio è in un certo senso la cinghia di trasmissione fra i condomini e
l’amministratore, o anche fra i condomini e l’assemblea, nel senso che cerca di filtrare le esigenze,
le proposte, eventualmente le lamentele, dei condomini e degli inquilini abitanti nella scala o
nell’edificio di competenza dei singoli componenti il Consiglio, per sottoporle agli organi canonici,
amministratore soprattutto, nei cui confronti ha una funzione di controllo e di stimolo. Il Consiglio
può anche collaborare con l’amministratore, coadiuvandolo nell’espletamento delle sue molteplici
incombenze: si pensi alla preparazione di un capitolato di appalto o all’analisi dei preventivi quando si
tratti di appaltarvi un’opera o un servizio, anche se la scelta spetta all’assemblea. Altra funzione del
Consiglio di condominio è quella consultiva: quella, cioè, di dare pareri all’amministratore. In questo
ambito il regolamento potrebbe, rifacendosi al diritto amministrativo, prevedere pareri facoltativi
e pareri obbligatori. I pareri facoltativi sono quelli che l’amministratore è libero di chiedere o meno
e, una volta che li abbia chiesti, di seguirli oppure no. I pareri obbligatori sono invece quelli che
devono essere chiesti ma che possono non essere seguiti. La carica di consigliere di condominio non
prevede compenso.
CONTO CORRENTE
L’amministratore (Settimo comma articolo 1129 codice civile) è obbligato a far transitare le
somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo
erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario,
intestato al condominio. Quest’obbligo commette un’irregolarità di gestione tale da legittimare la
richiesta di revoca al Tribunale (Tribunale di Milano 29/9/1993). Il Tribunale di Genova, a sua volta
(Sentenza del 16/9/1993), ha sancito l’illegalità della delibera con la quale l’assemblea aveva
stabilito di appoggiare l’amministrazione condominiale su un conto corrente intestato a una società
di cui erano unici soci l’amministratore del condominio e sua moglie.
Apertura
L’apertura del conto corrente condominiale non richiede autorizzazione dell’assemblea;
autorizzazione che sarebbe invece necessaria se l’amministratore volesse aprire una linea di credito
a nome del condominio (Corte di Cassazione 10/5/2012, n 7162).
Congiunto
Se, per comodità operativa, è preferibile che gli assegni del conto corrente possano essere emessi,
indifferentemente, dall’amministratore e da uno o più condomini, l’assemblea può validamente
deliberare a riguardo con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in
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rappresentanza di almeno 500/1.000. La circostanza, ovviamente, va formalizzata presso la
struttura dove si apre il conto. Di contro, per evitare il rallentamento della gestione è sconsigliabile
aprire un conto corrente con firma congiunta dell’amministratore e di un condomino.
Controllo
Ciascun condomino può, attraverso l’amministratore, chiedere di prendere visione ed estrarre
copia, a proprie spese, degli estratti conto della banca e della posta, con la banca o la posta
che può esigere una commissione per il servizio (Settimo comma articolo 1129 codice civile).
Vantaggi
Il conto corrente condominiale comporta diversi e sostanziali vantaggi:
a) consente ai condomini di controllare la reale situazione economica del condominio e di verificare
se questo viene amministrato correttamente; ciascun condomino può anche, per esempio, esigere
che l’amministratore gli comunichi l’ammontare degli interessi attivi maturati, anche di quelli a lui
imputabili pro quota (Tribunale di Milano 9/9/1991).
b) evitare gli inconvenienti derivanti dal blocco del conto corrente personale dell’amministratore in
seguito a decesso;
c) impedisce che si crei confusione tra le diverse gestioni che fanno capo all’amministratore.
CONTRATTI
I contratti stipulati dall’amministratore nell’interesse del condominio sono vincolanti per i
condomini, ai sensi dell’articolo 1131 codice civile. Deve ovviamente trattarsi di contratti stipulati
nell’ambito dei criteri e degli importi di spesa fissati dall’assemblea (Corte di Cassazione 17/3/
1993, n 3159). In particolare, ai contratti conclusi dall’amministratore con il “professionista“ come
definito dall’articolo 3, lettera C), del Decreto Legge 6/9/2005, n 206, che disciplina i contratti
del consumatore, si applica il secondo comma dell’articolo 35 di detto decreto, per il quale, in caso
di dubbio sul senso di una clausola, prevede l’interpretazione più favorevole al consumatore; l’
amministratore, infatti, agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali
devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad
attività imprenditoriale o professionale (Corte di Cassazione 24/7/2001, n 10086).
CONTRIBUTI CONDOMINIALI
I contributi condominiali sono costituiti dall’importo che i condomini devono versare periodicamente
all’ amministratore per metterlo in grado di portare avanti la gestione ordinaria, o in occasione di
una spesa straordinaria. Nel momento in cui i contributi condominiali escono dalla cassa comune per
andare a coprire una spesa diventano >>Spese comuni.
Acquirente
L’acquirente di un appartamento può essere chiamato a pagare i contributi condominiali non onorati
dal precedente proprietario; il IV° comma dell’articolo 63 disposizione att. Codice civile, infatti,
stabilisce che chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, in solido con questo, al
pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente. Il Tribunale di Napoli
(9/10/1978) ha precisato che non ci si deve riferire all’anno solare ma all’anno condominiale, ossia
al periodo preso a riferimento ai fini della gestione, che può anche non coincidere con quello solare.
Da ciò deriva che l’amministratore può rivolgersi, per il pagamento, indifferentemente al venditore
o al compratore. Questi, se costretto a pagare, potrà naturalmente rivalersi nei confronti del
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venditore, se i patti prevedevano che sarebbe stato lui a pagare. Prima di firmare l’atto di acquisto,
quindi, è opportuno informarsi presso l’amministratore se e per quale importo il venditore è esposto
nei confronti del condominio; se il debito dovesse essere particolarmente elevato, infatti, sarà bene
inserire in atto una clausola che preveda la trattenuta, sul prezzo, della somma dovuta, in modo da
non essere costretti a rimetterci nel caso in cui il venditore si renderebbe irreperibile o non avesse
bene sui quali avvalersi. Quanto meno è opportuno specificare in atto che il pagamento dei
contributi condominiali (Anche di quelli conseguenti a delibere adottate dall’assemblea fino ad una
certa data) farà esclusivo carico al venditore. Questa clausola,se non mette l’acquirente al riparo
dalla richiesta di pagamento avanzata dall’amministratore, serve quanto meno a rendere più agevole
la dimostrazione dell’ obbligazione in capo al venditore qualora si dovesse andare in causa per il
recupero del credito. Va detto, a riguardo, che in caso di vendita di unità immobiliare, qualora siano
stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione, di ristrutturazione o innovazioni, in mancanza
di accordo tra le parti, nei pagamenti interni tra venditore e compratore, tenuto a sopportare i
costi è chi era proprietario al momento della delibera dell’assemblea; di conseguenza, se le spese
sono state deliberate antecedentemente alla stipulazione dell’atto di trasferimento dell’ unità
immobiliare, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che i lavori siano stati, in tutto o in parte,
eseguiti successivamente. Pertanto, l’acquirente che fosse costretto a pagare in forza del principi
di solidarietà passiva di cui sopra, ha diritto a rivalersi nei confronti del venditore (Corte di
Cassazione 3/12/2010 n 24654). Il venditore, per parte sua, rimane obbligato solidalmente con
il compratore per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore
copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto. Attenzione, infine, a non
acquistare senza garantirsi da chi sia in debito, oltre che dei contributi condominiali, anche delle
spese legali sostenute dal condominio per il recupero coattivo del credito: il Tribunale di Roma,
infatti (Sentenza del 17/10/1996), ha stabilito che la solidarietà dell’acquirente si estende ad
esse.
Appartamento disabitato
Alle spese condominiali devono contribuire anche i proprietari che lascino le rispettive unità
immobiliari disabitate, a meno che non vengano esonerati da tutti gli altri condomini. O, nel caso di
riscaldamento centralizzato, non intervenga, ricorrendone i presupposti, il distacco dell’impianto,
con conseguente diminuzione di questa voce di spesa; diciamo diminuzione perché un contributo per
le spese generali è comunque dovuto dal condomino che rinuncia al servizio.
Appartamento in comproprietà
Ai fini del pagamento dei contributi condominiali fra i comproprietari di una stessa unità
immobiliare qualsiasi accordo è valido. Nei confronti del condominio, però, essi sono responsabili in
solido, con la conseguenza che l’amministratore può pretendere il pagamento dell’intero debito dall’
uno o dall’altro, salvo il diritto, per chi abbia pagato, di esigere dall’ altro o dagli altri la rispettiva
quota (Corte di Cassazione 21/10/1987, n 4769).
Interessi
Il regolamento del condominio può prevedere che ai pagamenti effettuati con ritardo vengano
applicati interessi di mora. Se non ne viene indicata la misura si applicano gli interessi legali.
Interessi superiori a quelli legali (Per esempio bancari) possono essere previsti solo da un
regolamento contrattuale (Corte di Cassazione 18/5/2011, n 10929). Se però sono
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particolarmente elevati, possono essere ridotti dal giudice, anche d’ufficio, come stabilito da Corte
di Cassazione SS.UU. con sentenza n. 18128 del 13/9/2005.
GLI INTERESSI LEGALI NEL TEMPO
Dal lontano 1942 (Anno in cui entrò in vigore il quarto libro del codice civile che comprende questa
disposizione) al 15/12/1990, sono stati pari al 5% annuo; il 16/12/1990, e fino al 31/12/1996,
furono portati al 10%, mentre dall’1/1/1997 furono stati nuovamente ridotti al 5%, ma con questa
innovazione: il loro ammontare non viene più fissato per legge ma viene aggiornato annualmente con
decreto del Ministro dell’economia e delle finanze entro il 15 dicembre dell’anno precedente a
quello in cui il nuovo tasso sarà applicabile, tenuto conto del rendimento medio annuo lordo dei titoli
di Stato di durata non superiore a 12 mesi del tasso d’inflazione registrato nell’anno (Se entro il 15
dicembre non viene fissata una nuova misura del saggio, questo rimane invariato per l’anno
successivo). Riassumendo:
dal 21 - 04 - 1942 al 15 1990
dal 16 - 12 - 1990 al 31 1996
dall’ 1 - 01 - 1997 al 31 1998
dall’ 1 - 01 - 1999 al 31 2000
dall’ 1 - 01 - 2001 al 31 2001
dall’ 1 - 01 - 2002 al 31 2003
dall’ 1 - 01 - 2004 al 31 2007
dall’ 1 - 01 - 2008 al 31 2009
dall’ 1 - 01 - 2010 al 31 2010
dall’ 1 - 01 - 2011 al 31 2011
dall’ 1 - 01 - 2012 al 312012
dall’ 1- 01 - 2013 al 31 2013
12 – 5%
12 – 10%
12 – 5
12 – 2,50
12 – 3,50
12 – 3
01 – 2,50
12 – 3
12 – 1
12 – 1,50
12 – 2,50
12 –
Locazione
L’amministratore non può agire, per il pagamento dei contributi condominiali, nei confronti del
conduttore. Egli, infatti, deve riscuotere i contributi direttamente ed esclusivamente dai
condomini, restando esclusa un’azione diretta nei confronti degli inquilini. Il locatore deve a sua
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volta, per esigere il pagamento del conduttore, fornirgli un’adeguata giustificazione della spesa,
anche sotto il profilo dell’indicazione dei criteri di riparto adottati, e offrirgli in visione i relativi
documenti (Tribunale di Nocera Inferiore 6/5/1999).
Morosità
Salvo non sia stato espressamente esonerato dall’assemblea, l’amministratore, se il condominio non
paga alla prevista scadenza, deve attivarsi, entro sei mesi dalla chiusura dell’ esercizio nel quale il
credito esigibile è compreso (Nono comma art. 1129 codice civile), per il suo recupero coatto,
inviando al debitore una lettera di sollecito e, battuta senza esito questa strada, provvedendo a
richiedere al giudice competente per valore un >>Decreto ingiuntivo. Può anche sospendere
l’erogazione dei servizi ad uso separato (Per esempio riscaldamento), ma solo se il condominio è in
mora da almeno un semestre. Per il Pretore di Roma (Sentenza del 4/12/1997) la sospensione non è
ammessa se il recupero del credito non è a rischio. L’assemblea può deliberare di ripartire
provvisoriamente fra i condomini solvibili la quota dovuta da chi è in mora con i pagamenti, ma
occorre distinguere. Se non ci sono creditori che premono -per esempio con azioni esecutive-,
l’assemblea non può, a maggioranza, decidere di scaricare, sia pure temporaneamente, l’onere su
coloro che sono in regola con i pagamenti; in tal caso, quindi, una decisione del genere potrebbe
essere adottata soltanto all’unanimità. Se invece ricorre una situazione di effettiva e improrogabile
urgenza, la delibera può essere adottata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti
all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Corte di Cassazione 21/10/1975, n
3463). Da ultimo il Tribunale di Salerno (Sentenza del 6/6/2009) ha sancito la nullità della delibera
con la quale l’ assemblea aveva stabilito, a maggioranza, di ripartire tra i condomini solvibili il debito
dei condomini morosi, con la motivazione che non sussiste, in capo ai condomini adempienti, alcun
vincolo di solidarietà passiva nei confronti del terzo creditore, non potendosi perciò prefigurare
alcuna urgenza derivante dalla possibile esecuzione individuale, che rimane comunque limitata alla
quota dovuta da ciascun condomino.
Diffusione elenco condomini morosi
L’amministratore non può affiggere nell’ androne condominiale l’elenco dei condomini morosi, con
l’invio a mettersi in regola o addirittura con l’indicazione dell’importo dovuto, dal momento che
l’Autorità garante della protezione dei dati personali ha stabilito che questo tipo d’iniziativa
contrasta con il diritto alla privacy dei destinatari. La Corte di Cassazione (Sentenza n. 35543 del
26/9/2007) ha addirittura ravvisato il reato di diffamazione nell’affissione nella bacheca
condominiale, potenzialmente accessibile anche agli estranei, dell’elenco dei condomini morosi.
Decisione confermata con sentenza n 13540 del 13/2/2008, che ha ravvisato il reato
nell’affissione, in un luogo accessibile non già ai soli condomini (Per i quali può sussistere un
interesse giuridicamente apprezzabile alla conoscenza dei fatti), ma a un numero indeterminato di
altri soggetti, del comunicato nel quale un condomino era indicato come moroso. Sempre il Garante
per la protezione dei dati personali, con nota del 21/7/2008 ha precisato che l’amministrazione può
comunicare ai creditori del condominio i nominativi dei condomini morosi, i millesimi di cui sono
titolati e gli importi dovuti. Il primo comma dell’ articolo 63 disp. Att. Codice civile, come
modificato dalla legge di riforma, ha trasformato questa facoltà di un obbligo, stabilendo che
l’amministratore è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i
dati dei condomini morosi.
Morte del condomino
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Gli eredi del condomino devono concorrere al pagamento dei contributi condominiali in proporzione
alla rispettiva quota ereditaria (Tribunale di Sanremo 8/5/1992). Nei confronti del condominio,
però, essi rispondono in solido (Corte di Cassazione 20/1/2009). Per evitare il pagamento delle
spese gli eredi possono rinunciare all’eredità o accettarla con il beneficio dell’inventario. Con la
rinuncia l’ erede non percepisce nulla del patrimonio a lui devoluto. Con l’accettazione con beneficio
d’inventario, invece, si redige l’inventario dei beni lasciati dal defunto, si pagano debiti e spese
gravanti sull’ eredità, e l’eventuale residuo va all’erede. Se l’amministratore non conosce gli eredi
del condominio può inviare la richiesta di pagamento, impersonalmente e collettivamente, Agli eredi
di . . .“ presso l’ ultimo domicilio del defunto (Tribunale di Napoli 16/6/1992).
Pagamento
Di regola il condomino non può sospendere il pagamento dei contributi condominiali, né
autoridursene l’importo (>>Riscaldamento centralizzato, Temperatura). Il Tribunale di Treviso, però
(Sentenza del 21/1/2003), ha stabilito che, se l’amministratore, più volte sollecitato ad
intervenire, trascura di curare la pulizia delle parti comuni dell’edificio, il condomino può
sospendere il pagamento della parte di contributi riguardante il compenso dell’amministratore.
Prescrizione
I pagamenti periodici finalizzati alla copertura delle spese condominiali si prescrivono in cinque anni
(Corte di Cassazione 28/8/2002, n 12596). La prescrizione inizia a decorrere dalla delibera con la
quale l’assemblea ha approvato la ripartizione delle spese comuni (Corte di Cassazione 5/11/1992,
n 11981). Anche il credito del locatore per il pagamento degli oneri condominiali posti a carico del
conduttore dall’articolo 9 della Legge 27/7/1978, n 392, si prescrive al termine di cinque anni
(Articolo 2948, n 3, codice civile).
Ripartizione provvisoria
L’assemblea può, a maggioranza, deliberare una ripartizione provvisoria dei contributi condominiali,
salvo conguaglio, ma la provvisorietà dev’essere superata entro un ragionevole lasso di tempo,
identificabile nella chiusura dell’esercizio cui la ripartizione si riferisce, o in altra data a questa
prossima (Tribunale di Pavia 23/5/1988). In ogni caso, la ripartizione provvisoria può essere
deliberata solo in assenza di un precedente diverso accordo (Corte di Cassazione 11/11/1992, n
12115).
Separazione e divorzio
Quando i coniugi si separano, alle pressoché immancabili questioni riguardanti l’affidamento dei
figli, il pagamento dell’ assegno di mantenimento e l’uso della casa famigliare, può aggiungersi il
dilemma di chi debba pagare le spese di condominio: problema particolarmente sentito nei casi in cui
il godimento della casa venga attribuito dal Tribunale al coniuge non proprietario. L’assegnazione in
godimento della casa famigliare è gratuita. Ma come comportarsi con le spese condominiali? La
risposta viene da una sentenza della Corte di Cassazione (n.18476 del 19/9/2005), con la quale si è
stabilito che la gratuità dell’ uso dell’abitazione non si estende alle spese collegate a tale uso, quali
sono appunto le spese ordinarie di condominio, in quanto finalizzate alla manutenzione delle cose
comuni poste a servizio della casa famigliare. Di conseguenza, salvo diverso accordo, obbligato al
relativo pagamento è il coniuge cui è stato assegnato in godimento l’immobile, restando a carico del
partner, che sia unico proprietario, l’obbligo di pagare le spese straordinarie: si pensi alla
tinteggiatura della facciata o al rifacimento del tetto. Per quanto attiene, invece, ai rapporti
coniugi-condominio, in mancanza di diverso accordo contenente l’indicazione di chi debba pagare,
62
accordo che dev’essere idoneamente portato a conoscenza dell’amministratore, questi è legittimato
a chiedere il pagamento al coniuge proprietario dell’ appartamento. Nel caso in cui la casa sia in
comproprietà fra gli ex coniugi, fermo restando che il coniuge assegnatario dovrà accollarsi le
spese ordinarie, quelle straordinarie andranno ripartite in proporzione alla rispettiva quota di
proprietà . >>Spese comuni.
CONTROVERSIE
Da un’indagine dell’ANAMMI (Associazione Nazionaleuropea Amministratori d’Immobili) risulta che
le liti condominiali sono innescate, nell’ordine, dai rumori molesti, dagli odori di cucina, dall’utilizzo
improprio delle aree comuni (Parcheggio soprattutto), dall’annaffiatura di piante e dalla gestione
degli animali domestici (In testa i cani, seguiti a distanza dai gatti). Le cause condominiali, che
stando alle statistiche del Ministero della Giustizia costituiscono oltre il 20% del contenzioso
portato all’attenzione dei giudici, interessano circa due milioni di contendenti l’anno, su un totale di
circa un milione di condomini: qualcosa, quindi come due litiganti per condominio, con 45% dei
giudizi al Sud, il 35% al Centro e il 20% al Nord. La Corte Costituzionale, con sentenza del 24/10
/2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del Decreto Legislativo 4/3/2010, n 28, nella
parte in cui ha introdotto l’obbligo di esperire il tentativo di conciliazione prima d’intraprendere un’
azione giudiziaria in materia civile e commerciale, e quindi anche condominiale, per cui si potrà adire
direttamente l’Autorità Giudiziaria.
Difesa
Davanti al Giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente, ossia senza l’assistenza
di un avvocato, se il valore della controversia non eccede 1.100 €; per importi superiori occorre
l’assistenza di un difensore. Il giudice, tuttavia, in considerazione della natura e dell’entità della
causa, può autorizzare la parte a stare in giudizio di persona anche per importi superiori. In
Tribunale, invece, è indispensabile l’assistenza di un avvocato, mentre davanti alla Corte di
Cassazione occorre l’assistenza di un avvocato iscritto in uno speciale albo.
Dissenso di un condominio
Il condomino che voglia, dissociandosi dalla lite, separare la propria responsabilità da quella del
condominio, deve, entro 30 giorni da quello in cui ha avuto la notizia della delibera con la quale
l’assemblea ha stabilito di iniziare una causa o di resistere a una causa promossa da altri, notificare
apposito atto all’amministratore. Il dissenso può essere comunicato anche a mezzo raccomandata
con avviso di ricevimento (Corte di Cassazione 15/6/1978, n 2967) o risultare dal verbale della
seduta se l’amministratore ne prende formalmente atto; questa sentenza, infatti, ha stabilito che la
manifestazione del dissenso non richiede forme solenni. Il condomino che dissente dalla lite non può
essere chiamato a sostenere le relative spese: l’eventuale delibera che lo prevedesse sarebbe
radicalmente nulla (Corte di Cassazione 8/6/1996, n 5334). Egli può, salvo che il regolamento non lo
vieti espressamente (Corte di Cassazione 5/12/2001, n 15360), partecipare a prendere la parola
nelle assemblee in cui si discuta sull’opportunità di proseguire o meno la lite. Se l’assemblea, prima
di deliberare se intraprendere o meno un’azione giudiziaria, incarica un avvocato di un parere
tecnico, il condomino che si dissoci dalla successiva delibera con la quale l’assemblea decide di dar
corso alla causa non può esimersi dal contribuire alla spesa richiesta dalla consulenza legale:
avrebbe dovuto, infatti, impugnare la delibera con la quale il professionista è stato investito del
parere, trattandosi di onere non riconducibile alla difesa del giudizio ma propedeutico ad essa
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(Tribunale di Firenze 4/12/2006, n 4149). Per il Tribunale di Bologna (sentenza n 2618 del
12/10/2007) l’operatività dell’articolo 1132 codice civile (Riguardante appunto il dissenso di un
condomino rispetto alla lite) non va oltre l’esonero dell’onere di partecipare alla rifusione delle
spese di giudizio in favore della controparte, nell’ipotesi di esito sfavorevole per il condominio,
lasciando la norma immutato l’onere di partecipare alle spese affrontate dal condominio per la
propria difesa. Il Tribunale di Civitavecchia (sentenza n. 1806 del 26/11/2007) ha stabilito che il
condomino che abbia vinto una causa nei confronti del condominio non è tenuto a contribuire alle
spese legali da questo sostenute, dovendosi ritenere il condomino implicitamente dissenziente
rispetto alla lite.
Giudice competente
Competente a decidere la maggior parte delle cause condominiali è il Giudice di pace. Si tratta, in
particolare, delle controversie riguardanti:
1) la misura e le modalità d’uso dei servizi condominali (anche nel caso in cui riguardino i conduttori,
Corte di Cassazione 21/2/2012, n 2483)
2) le
>>Immissioni di fumo, calore, rumore ecc., che superino la normale tollerabilità.
3) l’ apposizione di termini (ossia dei segnali che delimitano il confine tra le due proprietà) e
l’ osservanza delle distanze previste per la messa a dimora di alberi e siepi.
In questi casi quella del Giudice di pace è una competenza per materia, vale a dire attribuitagli dalla
legge indipendentemente dal valore della lite. Quando, invece, si discute se un condomino abbia o
meno il diritto di fruire di una cosa o di un servizio comune, il giudice competente va individuato
sulla base del valore della causa (Corte di Cassazione 14/6/1996, n 5467). In tale ipotesi, se si
tratta di beni mobili, competente a giudicare è, fino a 5.000 €, il Giudice di pace, mentre se il
valore della lite supera questo importo, o è indeterminabile, o riguarda beni immobili, la competenza
è del Tribunale. Se il condomino contesta la delibera che lo chiama a contribuire alle spese comuni
secondo una certa quota, il valore della causa coincide con l’intera somma deliberate non con la sola
quota gravante sul condomino che agisce in giudizio; se invece la pretesa del condomino non è
fondata sulla delibera ma su altro titolo, il valore della controversia coincide con la quota facente
capo al condominio (Corte di Cassazione 22/1/2010, n 1201). Contro le sentenze del Giudice di pace
può essere proposto appello davanti al Tribunale e quindi ricorso in Corte di Cassazione; se però il
valore della controversia supera 1.100€ le sentenze possono essere impugnate esclusivamente per
violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie o dei
principi regolatori della materia (Fanno eccezione le sentenze riguardanti i rapporti giuridici
derivanti dalla stipulazione di contratti per adesione, appellabili regolarmente anche se il loro
valore non supera il suddetto importo). Le sentenze che abbiano deciso una controversia di valore
non superiore a 25,82€ sono comunque inappellabili (Articolo 440 codice penale), come sono
inappellabili le sentenze relative a cause decise secondo equità su concorde richiesta delle parti
(Secondo comma articolo 339 codice penale ). Se la causa viene portata all’attenzione del Tribunale,
la relativa sentenza può essere impugnata davanti alla Corte d’Appello, la cui decisione, ricorrendo i
presupposti previsti dall’articolo 360 codice penale (Per esempio. Nullità della sentenza o del
procedimento), è a sua volta impugnabile davanti alla Corte di cassazione. Per quanto attiene alla
competenza per territorio, competente a decidere sia le controversie fra condomini che quelle fra
condomini e condominio, è il giudice del luogo in cui si trovano i beni comuni o la maggior parte di
essi.
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Spese
La ripartizione fra i condomini delle spese di causa dev’essere fatta in proporzione ai millesimi di
proprietà, salvo diverso accordo. Il condominio che abbia vinto una causa contro un condomino può
pretendere che questi concorra pro quota al pagamento delle spese legali, ove queste non siano
ripetibili (Ossia non possono essere pretese) dalla controparte (Che poi è lo stesso condomino,
Corte di Cassazione 25/3/1970, n 801 ).
CORTILE
Nella nozione di cortile vanno compresi non solo la sovrastante colonna d’aria (Corte di Cassazione
30/7/1951, n 2252), ma anche gli spazi esterni che consentono l’accesso alla pubblica via (Corte di
Cassazione 29/10/2003, n 16241), nonché le parti esterne alle facciate dell’edificio (quali gli spazi
verdi, le zone di rispetto, le intercapedini), che sebbene non menzionati espressamente nel’ articolo
1117 codice civile devono ritenersi comuni ai sensi di questa norma (Corte di Cassazione 9/6/2000,
n 7889). Il cortile è bene comune anche ai condomini proprietari di unità immobiliari che non vi
affacciano, poiché è suscettibile di essere usato anche da costoro; per esempio per parcheggiarvi
veicoli o depositarvi temporaneamente cose. Ciascun condomino può utilizzare liberamente il cortile,
osservando le limitazioni contenute nel regolamento e rispettando il principio di non alterarne la
destinazione o di non impedire agli altri comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro
diritto. Così, è lecito installare nel cortile comune un’autoclave autonoma, collocarvi una tubatura,
interrarvi un serbatoio dell’impianto di riscaldamento, aprirvi una feritoia per dare aria e luce alla
sottostante cantina. Consentita anche l’apertura di una finestra o di una porta in corrispondenza
della propria unità immobiliare. Se i lavori coinvolgono anche la proprietà esclusiva del condomino,
questi deve darne preventiva notizia all’amministratore, specificando i dettagli dell’intervento e le
modalità di esecuzione. L’amministratore, a sua volta, ne riferisce all’ assemblea (Secondo comma
articolo 1122 codice civile). E’ comunque opportuno avvisare l’amministratore - meglio ancora
assicurarsi l’autorizzazione dell’assemblea - anche quando si tratti d’intervenire direttamente nel
cortile, ed evitare contestazioni e screzi. Se questo spazio è adibito soltanto a transito pedonale, il
condomino non può aprirvi un varco di accesso per automezzi, trattandosi d’ innovazione vietata e
non di un uso più intenso ed esteso dell’area comune (Corte di cassazione 30/8/1991, n. 9273).
Animali
Un condomino non può far circolare il proprio cane in cortile, a condizione che ciò avvenga in modo
da non impedire agli altri condomini di usare liberamente questo spazio comune l’animale al
guinzaglio (Corte di Cassazione 3/11/2000, n 14353).
Autoveicoli
L’assemblea può vietare l’accesso al cortile degli autoveicoli dei condomini, ma se il divieto è
indiscriminato diventa illegittimo perché lede il diritto di godimento della cosa comune ( Corte
d’appello di Napoli 8/7/1965). Illegittimo anche concedere il cortile in locazione soltanto ad alcuni
condomini, per uso parcheggio, poiché l’attribuzione è è lesiva del diritto che tutti hanno di usare
la cosa comune in proporzione alla rispettiva quota (Tribunale di Milano 12/2/1987). Un’operazione
che spesso genera attriti fra i condomini è quella di lavare l’auto in cortile utilizzando l’acqua
condominiale. Questa attività dev’essere prevista dal regolamento e in ogni caso va condotta nel
rispetto delle disposizioni comunali in materia d’igiene. Se poi il divieto di lavare l’auto è previsto da
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un regolamento contrattuale, per abolirlo è necessaria l’unanimità (Tribunale di Piacenza
29/10/1992).
Biciclette
Comuni e Ragioni hanno emanato provvedimenti che, per invogliare l’ uso della bicicletta, scavalcano i
divieti posti dai regolamenti di condominio. In Piemonte (Legge Regionale n. 33 del 17/3/1990) e in
Lombardia (Legge regionale n 95 del 5/8/1992), per esempio, c’è l’obbligo per i Comuni di
modificare i propri regolamenti e prevedere, nei nuovi progetti di edilizia residenziale e terziaria,
spazi per il deposito di biciclette. Inoltre i proprietari di edifici pubblici residenziali devono
prendere provvedimenti per ospitare le bici negli spazi comuni. In particolare, il Comune di Milano si
è adattato alla disposizione inserendo nel regolamento d’igiene una norma per la quale “in tutti i
cortili, esistenti o di nuova edificazione, deve essere consentito il deposito delle biciclette di chi
abita o lavora nei numeri civici collegati al cortile“. L’acquisto e l’installazione di rastrelliere può
essere deliberato dall’ assemblea anche nel caso in cui il regolamento vieti ogni uso del cortile che
non sia d’interesse comune (Tribunale di Milano 12/12/1994). A proposito di biciclette, il furto di
un oggetto depositato nel cortile condominiale è considerato furto in abitazione e in quanto tale è
punito con la reclusione da 1 a 6 anni e con la multa da 309,00 a 1.032 € (Articolo 624-bis codice
penale, Tribunale di Bari 2/3/2009, con riferimento al furto di un’autovettura).
Comune a più condomini
Se un cortile è posto al servizio di due o più condomini, in mancanza di un regolamento che ne
disciplini l’uso non ci si deve rifare agli eventuali regolamenti dei singoli edifici ma alla normativa
che disciplina la comunione: in particolare, all’articolo 1102 codice civile, con il risultato che ciascun
condomino può servirsi del cortile, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Corte di Cassazione 10/3/1986, n
1598).
Costruzione
Il condomino può costruire manufatti in cortile, a condizione di non alterare la normale destinazione
del bene comune e di non impedire agli altri condomini di farne parimenti uso. La costruzione,
pertanto, è vietata se consiste in corpi di fabbrica aggettanti (Per esempio un ballatoio), con
incorporazione di una parte della colonna d’aria sovrastante e utilizzazione della stessa via esclusiva
(Corte di Cassazione 16/2/2005, n 3098), o se comporta un pregiudizio apprezzabile: per esempio
una riduzione di aria e di luce in danno della proprietà esclusiva, anche di un solo condomino, o un
impedimento della veduta in appiombo dei piani superiori (Corte di Cassazione 6/5/1972, n 1391).
Giochi
L’assemblea può deliberare, con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in
rappresentanza di almeno 500/1.000, che una parte del cortile venga adibita ad area giochi per
bambini. Questo anche in presenza dell’eventuale divieto contenuto in un regolamento contrattuale;
infatti, i giochi dei bambini che si svolgono nel cortile o nel giardino condominiale non comportano né
un’occupazione di questo spazio comune, né un’alterazione della sua destinazione ( Corte di
Cassazione 8/7/1981, n 4479). Il Tribunale di Milano (Sentenza del 28/1/1991) ha precisato che
deve trattarsi di bambini di età inferiore a 12 anni. Occorre in ogni caso fare attenzione a
rispettare le eventuali indicazioni del regolamento, specialmente per quanto riguarda gli orari di
utilizzo.
Muri
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I muri che delimitano il cortile non ne fanno parte integrante, stante la loro diversa funzione di
concorrere a costruire la struttura portante dell’edificio, di contribuire alla formazione della sua
linea architettonica e di proteggere le parti interne degli agenti atmosferici ( Corte di Cassazione
26/1/1998, n 714).
Officina
Un condomino può utilizzare il cortile comune per il passaggio delle auto dei clienti dirette alla sua
officina, a condizione che si tratti di passaggio ridotto e inidoneo ad arrecare danno agli altri
condomini (Corte di Cassazione 19/1/2005, n 1072).
Pavimentazione
Il Tribunale di Milano (Sentenza dell’8/5/1989) ha considerato la pavimentazione del cortile
condominiale intervento di manutenzione straordinaria di notevole entità, la cui delibera richiede il
voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno
500/1.000: sia in prima che in seconda convocazione. Quanto alla sostituzione della pavimentazione,
il tribunale di Piacenza (Sentenza del 5/2/1991) l’ha considerata opera di ordinaria manutenzione e
non innovazione, per cui può essere deliberata con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000.
Bocca di lupo
La possibilità di aprire nel piano del calpestio del cortile condominiale una bocca di lupo (
intendendosi per questa un varco idonea a far passare aria e luce) è stata riconosciuta dalla Corte
di Cassazione con sentenza n. 1378 del 9/9/1970, a condizione che l’apertura fosse munita di solida
griglia metallica.
Spese
I costi per la manutenzione del cortile vanno suddivisi in base ai millesimi di proprietà fra tutti i
condomini, compresi quelli le cui unità immobiliari non affacciano su questo spazio comune. Ci si può
però sottrarre alla spesa dimostrando che, data la particolare struttura dell’edificio, il cortile è al
servizio esclusivo di alcune unità immobiliari. Se il cortile funge da copertura di un locale (Per
esempio. Autorimessa) di proprietà solo di alcuni condomini, in mancanza di un titolo che disponga
altrimenti si applica, per analogia, l’articolo 1125 codice civile, che pone a carico di coloro che
utilizzano il piano di calpestio le spese da questo richieste, e a carico dei proprietari della
sottostante autorimessa che spese riguardanti l’intonaco, la tinteggiatura e la decorazione del
soffitto (Corte di Cassazione 14/9/2005, n 18194).
Suddivisione fra i condomini
L’assemblea può deliberare di dividere il cortile fra i condomini, trasferendone a ciascuno di essi
una parte in proprietà esclusiva; l’operazione, però, richiede il consenso di tutti i condomini,
consenso che deve risultare da atto scritto (Corte d’Appello di Perugia 9/2/1988). Occorre inoltre
che la ripartizione avvenga senza pregiudizio dell’originario valore del bene, e in parti
vantaggiosamente utilizzabili dai singoli condividenti (Corte di Cassazione 24/2 /1995, n 2117).
Lettera D
DANNO
Caduta
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Per chiamare il condominio a rispondere del danno provocato da una caduta avvenuta per le scale o
in cortile, il, danneggiato deve provare il nesso di causalità fra la cosa comune e l’evento dannoso.
Sussiste responsabilità del condominio, per esempio, se la caduta avviene lungo la rampa
condominiale di accesso all’ autorimessa, a causa della presenza di una macchia di olio non visibile
(Corte di Cassazione 20/10/2005, n 20317). Il tribunale di Nocera Inferiore (Sentenza n. 15
dell’8/1/2003), occupandosi di una fattispecie analoga, ha invece escluso la responsabilità del
condominio poiché la caduta, occorsa sui gradini d’ingresso, era stata provocata da materiale
scivoloso abbandonato sul posto da terzi, il cui comportamento è assimilabile al caso fortuito. La
Suprema Corte (Sentenza n. 16607 del 1/6/2008) ha respinto anche il ricorso presentato da una
signora che chiedeva il risarcimento del danno subito a causa della caduta occorsole nell’atrio dell’
edificio reso scivoloso dalla cera applicata dal custode dello stabile, frammista all’acqua piovana
trasportata dal passaggio degli inquilini; ciò in quanto la vittima, pur potendo verificare in condizioni
di normale visibilità che il pavimento appariva in condizioni di percepibile scivolosità, non aveva
prestato la normale diligenza e la dovuta, particolare attenzione alla situazione anomala dei luoghi.
A proposito di corrimano, il Tribunale di Milano (Sentenza n. 10587 del 30/9/2005) ha chiamato il
condominio a rispondere, ai sensi dell’articolo 2051 codice civile, del danno occorso a una persona
caduta lungo la scala di accesso al cortile, risultata priva di corrimano. Il Tribunale di Terni (
sentenza del 12/8/1997) ha escluso la responsabilità del condominio nel caso di una persona che,
abbandonando il normale tragitto, aveva scelto un percorso diverso tra fioriere e gradini, subendo
gravi danni in seguito ad una caduta favorita anche dalla scarsa visibilità. Il condomino, a differenza
di chi si reca saltuariamente o per la prima volta nell’edificio, conosce lo stato dei luoghi; di
conseguenza, se a causa di un guasto all’impianto d’illuminazione cade per le scale fidandosi della
conoscenza del percorso e omettendo di procedere con la dovuta attenzione, il condominio non è
tenuto al risarcimento del danno (Tribunale di Roma 16/9/1995). A riguardo la corte di Cassazione
(sentenza n. 11592 del 13/5/2010) ha respinto la domanda risarcitoria di un condomino che era
caduto per le scale a causa dell’acqua piovana entrata da una finestra notoriamente difettosa,
trattandosi di evento che il danneggiato poteva prevedere. Il Tribunale di Aosta (Sentenza n. 79
del 16/6/2010) ha escluso la responsabilità del locatore nel caso del conduttore scivolato sulla
pavimentazione del cortile condominiale a causa del mancato sgombero della neve, motivando col
fatto che, con la stipulazione del contratto di locazione, l’obbligo di custodia ex articolo 2051
codice civile, e il conseguente obbligo di provvedere alla suddetta operazione, si trasferisce al
conduttore. Il Tar del Lazio, infine (Sentenza n. 2695 del 13/4/2005), non ha considerato
infortunio in itinere la caduta di chi scende le scale di una casa per recarsi al lavoro. Responsabilità
del condominio, invece, per la caduta provocata dall’errata posa in opera del tappeto-moquette
situato nell’ atrio (Parte pelosa rivolta verso il pavimento e parte gommosa rivolta verso l’alto,
Tribunale di Milano 21/3/1991) o dal sollevamento di un suo lembo scollato (Corte di Cassazione
9/6/1983, n 3971). Lo stesso dicasi se la caduta è provocata da un gradino rotto o sconnesso
(Tribunale di Monza 2/10/2007).
Caso fortuito
Il condominio non ha alcuna responsabilità per il danno che non si poteva evitare: quello provocato
dalla rottura di un collettore condominiale in seguito ad un temporale di violenza tale da non poter
essere previsto usando la normale diligenza ( Tribunale di Verona 28/3/1973). Caso fortuito anche
nell’allagamento di un appartamento dovuto a una pioggia di eccezionale intensità, con il condominio
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che aveva provato di aver provveduto scrupolosamente alla manutenzione del sistema di
smaltimento delle acque (Corte di Cassazione 16 /5/2011, n. 10720). Il Giudice di pace di Napoli,
invece (Sentenza del 24/7/1996), ha ritenuto il condominio responsabile dal danno occorso al
veicolo di un condomino in seguito alla caduta di un’ inferriata, di una colonna in pietra, di calcinacci
e di una pianta nel corso di un temporale con vento molto forte; il condominio, infatti, non aveva
provato di aver adottato le misure atte ad evitare possibili danni.
Esistenziale
Il danno esistenziale, ossia, il disagio psicologico (Per esempio: nittitazione, ansia, frustrazione,
perdita di tempo) prodotto ad una persona da un errore o da un disservizio altrui - si pensi al
trambusto conseguente alla infiltrazioni di acqua proveniente dal soprastante lastrico solare - non è
automaticamente risarcibile, avendo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione statuito (Sentenza n
26972 dell’11/11/2008) che esso non costituisce una sottocategoria del danno non patrimoniale:
risarcibile, questo, soltanto nei casi stabiliti dalla legge, ai sensi dell’articolo 2059 codice civile.
Così, nell’esempio, se le infiltrazioni costringono chi le ha subite a convivere per alcuni giorni con il
disagio conseguente alle necessarie riparazioni, questo tipo di fastidio non è risarcibile; se invece le
infiltrazioni sono tali da costringerlo a trasferirsi in albergo per alcuni giorni, ha diritto al
rimborso, da parte del condominio, della relativa spesa, detratta la quota a suo carico in quanto ad
un tempo danneggiato e danneggiante.
Lastrico solare di uso esclusivo
Dei danni derivanti dal lastrico solare di un esclusivo ne rispondono tutti i condomini, nella
proporzione prevista dall’articolo 1126 codice civile: un terzo a carico del proprietario esclusivo del
lastrico ed i restanti due terzi a carico dei proprietari delle unità immobiliari cui il lastrico serve da
copertura (Corte di Cassazione 13/3/2007, n 5848). Se però il danno è dovuto a fatto e colpa di chi
ha l’uso esclusivo del lastrico, sarà soltanto questi a doverlo risarcire.
Locazione
Il locatore, conservando la disponibilità giuridica, e quindi la custodia delle strutture murarie e
degli impianti in esse conglobati (Come cornicioni e tetti), è responsabile in via esclusiva, ai sensi
degli articoli 2051 e 2053 codice civile, dei danni arrecati a terzi da dette strutture e impianti,
salvo eventuale rivalsa nei confronti del conduttore che abbia omesso di avvertirlo della situazione
di pericolo. Con riguardo, invece, alle altre parti comuni e agli ascensori del bene locato, nei cui
confronti il conduttore acquista detta disponibilità con facoltà e obbligo d’intervenire per evitare
pregiudizio ad altri (Come i servizi dell’appartamento o le piante di un giardino), la responsabilità
verso terzi grava, ai sensi dell’articolo 2051 codice civile, soltanto sul conduttore medesimo (Corte
di Cassazione 10/2/2003, n 1948). Quanto ai danni causati al conduttore dalle cose comuni, ne
risponde il condominio, in quanto custode delle parti e dei servizi comuni.
Marciapiede esterno all’edificio
Del danno provocato a un passante da alcune buche presenti sul marciapiedi pubblico antistante
l’edificio condominiale risponde l’ente pubblico, cui incombe l’ obbligo di manutenzione non solo della
sede stradale (Corte di Cassazione 3/8/2005, n 16226).
Parti comuni
Provocato: del danno derivato agli stessi condomini o a terzi (per esempio un conduttore, un
passante) da parti comuni dell’edificio risponde il condominio, in quanto custode del fabbricato:
come nel caso della caduta della classica tegola, dovuta a cattiva manutenzione del tetto ( Corte di
69
Cassazione 6/5/1983). Ricorrendone i presupposti (Per esempio vizio di costruzione e garanzia
decennale non scaduta), il condominio può rivalersi nei confronti del costruttore (Corte di
Cassazione 8/11/2007, n 23308). Il risarcimento del danno derivante da parti comuni dell’edificio
va ripartito fra i condomini su base millesimale. Se il fabbricato è coperto da assicurazione, il
risarcimento riguarderà soltanto la quota di danno eventualmente non coperta dal massimale per il
quale è stato stipulato il contratto. In particolare, dei danno derivanti a terzi da parti comuni
dell’edificio i condomini rispondono in solito ai sensi degli articoli 2051 e 2055 codice civile. Ciò
significa che il danneggiato può rivolgersi, per il risarcimento, indifferentemente all’uno o all’altro
condomino. Chi ha pagato per tutti è può a sua volta agire nei confronti dei colleghi per il rimborso
della quota da ciascuno dovuta in base ai millesimi di proprietà ( Corte di Cassazione 25/6/1990, n
6405).
Subito
Il condomino può agire in giudizio in prima persona per ottenere il risarcimento dei danni subiti
dalle parti comuni dell’edificio, ma nei limiti della sua quota (Tribunale di Napoli 3/6/1970).
Prescrizione
Il diritto al risarcimento del danno derivante da una parte comune dell’edificio o dall’unità
immobiliare di un condomino si prescrive (Primo comma articolo 2947 codice civile) in cinque anni dal
giorno in cui il fatto si è verificato. Il terzo comma dello stesso articolo precisa che, se il fatto è
considerato dalla legge come reato, e per il reato è stabilità una prescrizione più lunga, questa si
applica anche all’azione civile.
Provocato dal condomino
Ciascun condomino risponde in prima persona del danno provocato a un altro partecipante alla
comunione, a terzi (Per esempio conduttore) o alle parti comuni dell’edificio: tipico esempio
l’allagamento dell’appartamento sottostante causato dalla rottura di un tubo. Come previsto
dall’articolo 2043 e segg. Codice civile, la responsabilità si estende ai comportamenti tenuti dai
figli minori, dai domestici e dagli animali di cui si abbia la custodia. La Corte di Cassazione (
sentenza n 7890 del 22/7/1999) ha stabilito che il condominio risponde del danno derivato dagli
altri condomini dei guasti verificatesi nella sua proprietà esclusiva, e deve pertanto farsi carico
delle relative conseguenze economiche, soltanto qualora abbia riconosciuto la propria
irresponsabilità o questa sia stata accertata giudizialmente; in mancanza di uno di questi
presupposti, quindi, la spesa dev’essere suddivisa provvisoriamente fra tutti i condomini, sulla base
degli ordinari criteri di ripartizione.
Provocato dall’incaricato di una riparazione
Del danno provocato dalla persona incaricata di effettuare una riparazione alle parti comuni
dell’edificio risponde la stessa persona o comunque la ditta da cui dipende. Potrebbe però esserci un
concorso di responsabilità da parte del condominio, circostanza da accertarsi caso per caso
(Tribunale di Milano 17/4/1989).
Ripartizione provvisoria
Se il danno alle parti comuni è stato provocato da uno o più condomini, in attesa che vengano
accertate le responsabilità l’assemblea può ripartire la spesa occorrente alla riparazione in base ai
millesimi di proprietà, salvo il diritto, in capo al condominio e ai singoli condomini, di agire nei
confronti di chi risulterà responsabile (Corte di Cassazione 27/6 /1978, n 3176),
Subito dal condominio
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In capo al condominio che abbia ricevuto un danno da una parte comune dell’edificio si radicano due
posizioni giuridiche soggettive diverse e separate: da un lato quella di danneggiato, avente diritto in
quanto tale al risarcimento, e dall’altra quella di danneggiante, in quanto facente parte del
condominio (Tribunale di Napoli 26/9/1984); di conseguenza il risarcimento da diminuito dell’
importo da lui dovuto.
DEBITI DEL CONDOMINO
I condomini rispondono delle obbligazioni assunte nel loro interesse dall’amministratore
debitamente autorizzato: queste, infatti, sono direttamente riferibili ad essi. Le sezioni Unite della
Corte di Cassazione, ponendo fine a un contratto giurisprudenziale che durava da decenni, con
sentenza n. 9148 dell’8/4/2008 avevano stabilito che la responsabilità dei condomini di fronte alle
obbligazioni assunte dal condominio è parziaria e non solidale, per cui ciascun condomino avrebbe
dovuto rispondere soltanto alla propria quota di debito. Usiamo il condizionale perché il secondo
comma dell’articolo 63 disponibile att. Codice civile, nel testo modificato dalla legge di riforma, ha
reintrodotto la solidarietà passiva fra i condomini, sia pure temperata dall’ obbligo della preventiva
escussione: la riforma, infatti, stabilisce che i creditori non possono agire nei confronti degli
obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini. Nei rapporti,
invece, fra condominio e comproprietari di un’unità immobiliare, sussiste piena solidarietà passiva
(Corte di Cassazione 24/4/2008, n 14813). Qualora, infine, l’amministratore assuma un’obbligazione
eccedendo i limiti del mandato, ne risponde in proprio, a meno che l’ assemblea non ne ratifichi
l’operato.
DECORO ARCHITETTONICO
Per decoro architettonico s’intende “l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture che
connotano il fabbricato e gli imprimono una determinata, armoniosa fisionomia“ (Corte di Cassazione
3/9/1998, n 8731); ogni innovazione che pregiudichi questa identità esterifica è pertanto
illegittima. Il decoro architettonico non è un valore assoluto, ma dev’essere valutato in relazione
alle caratteristiche specifiche dell’ edificio, ma anche a quelle dell’ambiente in cui esso è ubicato
(Corte di Cassazione 10/12/1979, n 6397). Il decoro architettonico è anche suscettibile di
valutazione economica, in quanto concorre a determinare sia il valore delle proprietà individuali sia
quello delle parti comuni dell’edificio (Corte di Cassazione 31/7/1987, n 6640). La possibilità di
alterare questa identità esteriore è sempre in agguato: si tratta d’installare un’antenna parabolica o
una canna fumaria, un condizionatore d’aria o delle inferiate, o di trasformare il balcone in veranda.
Alterazione
Per il Pretore di Capri (Sentenza del 26/5/1990) gli elementi da prendere in considerazione per
stabilire se un intervento condotto sull’edificio abbia o meno provocato alterazione del decoro
architettonico sono tre: l’esistenza di un effettiva turbativa, una diminuzione di valore dell’interro
edificio e delle singole unità immobiliari che lo compongono, l’utilità derivante dalle opere e dagli
interventi realizzati. Pertanto, se al danno economico prodotto dall’alterazione del decoro si
accompagna un’utilità tale da compensarlo, non vi è turbamento. A riguardo la corte di cassazione
(Sentenza n. 15/5/1987, n 4474, ha considerato legittimi gli interventi che, pur ledendo il decoro
architettonico del fabbricato, non provocano un danno economicamente valutabile, o pur
provocandolo, si accompagnano ad un’utilità tale da compensare un’alterazione architettonica che
71
non sia grave e appariscente: un’applicazione di questo principio può essere costituita
dall’installazione di inferriate per motivi di sicurezza. Sempre la Corte di Cassazione (Sentenza n.
6341 del 16/5/2000) ha identificato l’alterazione del decoro architettonico non nelle opere che
producono un mutamento delle originarie linee architettoniche dell’ edificio, ma in quelle che si
riflettono negativamente nel suo aspetto armonico. Alcuni esempi di situazioni in cui i giudici hanno
ravvisato alterazione del decoro architettonico: nella realizzazione sul balcone di una struttura in
ferro che altera il rigoroso ordine geometrico che caratterizzava la successione verticale dei
balconi (Tribunale di Napoli 9/2/1978); nella posa in opera dei doppi infissi metallici (Pretore di
Taranto 23/10/1982); nella sostituzione dei serramenti delle finestre, se il regolamento, ancorché
approvato soltanto a maggioranza, prevede che la sostituzione debba avvenire con manufatti uguali
a quelli precedentemente installati (Corte di Cassazione 3/9/1998, n 8371); nell’installazione di un
cartellone pubblicitario occupante l’intera parete esterna dell’ edificio (App. di Milano 17/6/1997
); nella sostituzione del rivestimento della facciata dell’edificio in cortina o listelli similari con
intonaco civile ai silicati (Tribunale di Roma 9/6/2009, n 12573); nella sostituzione degli infissi in
alluminio di una veranda con una struttura in muratura a vetrate a nastro (App. di Napoli
14/5/2009, n 1637); nella realizzazione di un ascensore che aveva comportato la modifica
dell’originario aspetto di una parte dell’edificio (Cass. 24/3/2004, n 5899). Se però l’installazione
avviene per favorire un disabile o un anziano, è consentita ancorché comporti alterazione del decoro
architettonico dell’edificio (Corte di Cassazione 25/10/2012, n 18334). Pertanto prima di
avventurarsi nell’introduzione di un’innovazione, è consigliabile acquisire l’autorizzazione
dell’assemblea, meglio ancora di tutti gli altri condomini, dal momento che la violazione del decoro
architettonico può essere eccepita anche da un solo condomino: sia in sede civile che in sede penale
e amministrativa (Corte di Cassazione 5/2/1985, n 805). Ai fine dell’alterazione del decoro
architettonico sono ininfluenti sia il grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai
diversi punti di osservazione dell’edificio, sia la presenza do altre modiche non autorizzate (Corte
di Cassazione 16/1/2007, n 851). Successivamente la Suprema Corte ha mutato indirizzo
(Sentenza n. 14992 del 7/9/2012), stabilendo - con riferimento all’installazione di tubi di gas e
cavi elettrici, posta in essere da un condomino in presenza di un decoro architettonico alterato da
preesistenti interventi modificativi, di cui non era stato preteso il ripristino -che una modifica non
può essere ritenuta pregiudizievole per il decoro architettonico se apportata ad un edificio la cui
estetica sia già stata menomata da precedenti lavori, o se la costruzione è di mediocre livello
architettonico. Per la Corte D’appello di Napoli, invece (Sentenza del 6/8/1996, l’alterazione può
riguardare anche un edificio che non abbia particolare pregio artistico. Non è stata infine ritenuta
lesiva del decoro architettonico l’esposizione di panni su un balcone o all’esterno delle finestre,
trattandosi i un comportamento saltuario che non modifica stabilmente le linee architettoniche
dell’edificio, ne quella di stracci e tendaggi sul lastrico solare condominiale, trattandosi di oggetti
collocati provvisoriamente e facilmente rimovibili (Corte di Cassazione ordinanza n.1326 del
30/1/2012).
Aspetto architettonico
Analogo al concetto di decoro architettonico è quello di aspetto architettonico, che assume rilievo
in materia di esercizio del diritto di sopraelevazione da parte del proprietario dell’ultimo piano e
che la stessa Corte di Cassazione (Sentenza n. 8861 del 28/11/1987) ha definito come la
“caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edificio“. I giudici hanno ravvisato
72
un’alterazione di questo connotato dell’edificio, per esempio, nella diversa composizione dei
materiali usati, nella minore altezza del piano dell’edificato rispetto a quelli preesistenti, nel tipo di
copertura, nelle caratteristiche degli infissi. Ai fini dell’alterazione dell’aspetto architettonico, la
valutazione va condotta in relazione alla visibilità dell’opera e all’esistenza di un danno economico
valutabile (Corte di Cassazione 22/1/2005, n 1025). Successivamente, però (Sentenza n. 851 del
16/1/2007), la stessa Suprema Corte ha stabilito che, una volta accertata la lesione del decoro
architettonico a seguito di opere innovative, nessuna influenza in proposito può essere riconosciuta
alla maggiore o minore visibilità, trattandosi di una tutela accordata in sé e per sé, a prescindere da
situazioni contingenti. Regolamento. Il regolamento può vietare qualsiasi opera modificatrice, anche
migliorativa, del decoro architettonico dell’edificio, ma dev’essere contrattuale (Corte di
Cassazione 12/12/1986, n 7398). Ancorché approvato a maggioranza, invece, può contenere norme
intese a tutelare il decoro architettonico dell’edificio, tali da incidere anche sulla sfera della
proprietà esclusiva dei condomini, nei limiti in cui ciò si riveli necessario in funzione della
salvaguardia del bene comune protetto (Corte di Cassazione 3/9/1998, n 8731). L’alterazione del
decoro architettonico non può essere eccepita da un confinante con l’edificio condominiale, dal
momento che questo concetto opera soltanto nei confronti dei condomini di questo.
DECRETO INGIUNTIVO
L’amministratore, se i solleciti rivolti ai condomini in mora con i pagamenti non sortiscono effetto,
può chiedere al giudice, sulla base dello stato di ripartizione delle spese approvato dall’assemblea, l’
emanazione di un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nonostante opposizione; ciò significa
che il debitore può opporsi al decreto entro 40 giorni dalla notifica, ma deve pagare subito se vuole
evitare il pignoramento dei beni. La provvisoria esecuzione del decreto non può invece essere
accordata se la richiesta viene avanzata sulla base dei prospetti mensili non contestati dalle spese
condominiali (Corte di Cassazione 10/4/1996, n 3296). Il condomino non può opporsi al decreto
eccependo l’annullabilità della delibera posta a fondamento dello stesso: avrebbe dovuto, infatti,
impugnare direttamente la delibera nel termine di 30 giorni previsto dall’articolo 1137 codice civile.
Il decreto ingiuntivo non può essere emesso nei confronti dell’ex condomino; dal momento in cui il
trasferimento dell’unità immobiliare viene reso noto al condominio (Corte di Cassazione 9/9/2008,
n 23345) infatti, lo status di condomino appartiene all’acquirente. Con sentenza n. 23686 del 9/11/
2009) la suprema corte ha ulteriormente precisato che la qualifica di condomini si perde con l’atto
notarile che trasferisce la proprietà dell’immobile, per cui il decreto ingiuntivo relativo alle spese
deliberaste dopo il rogito ma prima della sua trascrizione non può essere chiesto nei confronti del
venditore (>>Contributi condominiali, Acquirente).
DELIBERE ASSEMBLEARE
La delibera è l’atto con il quale l’assemblea decide in merito a una questione riguardante la vita
condominiale: si tratta della nomina dell’amministratore, del rifacimento del tetto, o di modificare il
regolamento. Essa è il risultato del voto espresso, direttamente o per delega, dai singoli condomini (
>>Assemblea, Voto)
e dev’essere adottata con la prevista maggioranza variabile a seconda dell’
importanza della decisione (>>Assemblea, Maggioranza).
Amministratore decaduto
73
La delibera adottata dall’assemblea convocata da un amministratore la cui nomina venga
successivamente dichiarata nulla è valida se l’assemblea era validamente costituita ( Tribunale di
Milano 18/05/1992 ).
Annullamento
La sentenza di annullamento di una delibera ad opera del giudice si estende a tutti i condomini
(Corte di Cassazione 26/1/2000, n 852). In analogia a quanto previsto dall’articolo 2377 codice
civile per la società per azioni, il giudice non può annullare una delibera impugnata ma sostituita nel
frattempo da altra delibera adottata in conformità alla legge ( Corte di Cassazione 29 /8/1998, n
8622).
Circolare
La delibera non può essere sostituita da una circolare firmata dalla maggioranza dei condomini: la
volontà del condominio, infatti, si deve esprimere in sede di assemblea ( Corte di Cassazione
28/10/1982, n 5646). Di conseguenza la circolare può essere impugnata senza limite di tempo.
Efficacia
La delibera, una volta adottata, è automaticamente obbligatoria e operativa per tutti i condomini,
fino all’eventuale provvedimento di sospensione del giudice (Articolo 1137 codice civile); essa,
quindi, non perde valore per il fatto che la maggioranza dei condomini si comporti in modo difforme
rispetto al suo contenuto, ma resta in vigore fino a quando non venga revocata dall’assemblea o
annullata dal giudice (Corte di Cassazione 25/5/1984, n 3236). La delibera ha efficacia anche nei
confronti di chi subentra a chi era condomino nel momento in cui fu adottata (Tribunale di Milano
25/6/1986), con l’avente causa ( per esempio acquirente, erede) che, se la delibera incide nella sua
sfera giuridica e non è scaduto il termine di legge, è legittimato ad impugnarla ( Corte di Cassazione
10/9/1976, n 4137).
Forma
La delibera dev’essere messa per iscritto, nel verbale dell’assemblea, come previsto dal settimo
comma dell’ Articolo 1136 codice civile. La forma scritta, oltre a lasciare una traccia del lavoro
svolto dall’ assemblea, serve a dare ai condomini assenti la possibilità di conoscere la delibera
adottata e, se del caso, impugnarla. Di regola l’adozione della forma scritta è richiesta ad
probationem, ossia al fine di poter provare, in un eventuale giudizio, che quella determinata
decisione è stata effettivamente adottata. Se però la delibera contiene dichiarazioni che incidono
sui diritti immobiliari di uno o più condomini (Si pensi alla costituzione di una servitù), la forma
scritta è richiesta ad substantiam, ossia ai fini della stessa esistenza pena nullità (Corte di
Cassazione 30/5/1978, n 2747).
Impugnazione
Una delibera può diventare oggetto di controversia giudiziaria anche se adottata con la prevista
maggioranza: per esempio, perché l’assemblea ha dato il via libera a un intervento di straordinaria
amministrazione che però non figurava all’ordine del giorno, o perché è stato trattato nell’ambito
delle “varie ed eventuali“ anziché essere espressamente indicata nell’ordine del giorno (Tribunale
di Roma 19/6/2012, n 12684). Anche le delibere aventi contenuto negativi (Per esempio, la
bocciatura della proposta di ripristino dell’ascensore) sono impugnabili al pari di tutte le altre
(Corte di Cassazione 14/1/1999, n 313). Il condomino deve avere un interesse concreto
all’impugnazione della delibera, nel senso che da un’eventuale decisione favorevole del giudice deve
derivargli un vantaggio effettivo e non solo teorico, astratto ( Corte di Cassazione 1/12/2000, n.
74
15377). Successivamente, però, la stessa Corte di Cassazione (Sentenza n. 4270 del 23/3/2001)
ha stabilito che si può agire per fare annullare una delibera contraria alla legge avendo il solo
interesse a rimuovere l’atto viziato. Oltre che dai condomini assenti o allontanata tosi prima della
votazione, o che abbiano votato contro, la delibera può essere impugnata da chi si è astenuto dal
voto (Corte di Cassazione 9/12/1988, n 6671); il Tribunale di Bologna, però, con ordinanza del
25/5/1995, lo ha escluso, perché l’astenuto non può essere considerato dissenziente, non avendo
espresso alcuna volontà. Altri soggetti ammessi dai giudici a impugnare le delibere sono l’acquirente
subentrato nella proprietà del condominio, ma non convocato per l’assemblea (Corte di Cassazione
10/9/1976, n 4137), e il delegante se il delegato ha avuto contro (App. Milano 27/2/1998). Chi ha
votato a favore della delibera può impugnarla solo se essa è nulla, e sempre che con il proprio voto
non abbia assunto o riconosciuto una sua personale obbligazione; se invece si tratta di delibera
annullabile (>>Invalidità) non è ammesso ad impugnarla (Corte di Cassazione 16/11/1992, n 12281).
L’impugnazione dev’essere proposta, attraverso un avvocato, davanti al giudice e non, per esempio,
con una semplice contestazione scritta indirizzata all’amministratore (Corte di Cassazione
14/7/1989, n 3291). Il ricorso all’autorità giudiziaria non blocca l’operatività della delibera, a meno
che non intervenga un provvedimento di sospensione da parte del giudice. La delibera può essere
impugnata dal conduttore se comprime o nega un suo diritto sul bene comune (Tribunale Di Roma
10/3/2011, n 5179); ciò anche al di fuori delle materie sulle quali ha diritto di voto, purché vi
abbia interesse (Trib. Di Monza 8/2/2002). Il conduttore non può, invece, impugnare le delibere
aventi per oggetto, per esempio, la nomina dell’ amministratore o l’approvazione del regolamento di
condominio (Corte di Cassazione 18/8/1993, n 8755). Le delibere aventi per oggetto l’adozione di
un criterio di ripetizione delle spese diverso da quello stabilito dall’articolo 1123 codice civile o da
un regolamento contrattuale devono essere adottate all’unanimità; pertanto, se approvate a
semplice maggioranza sono nulle e impugnabili in qualsiasi tempo. Le delibere, invece, con le quali le
spese vengono concretamente ripartite fra i condomini seguendo un criterio diverso da quello
stabilito dal citato articolo e dal regolamento contrattuale, sono annullabili e quindi impugnabili nel
termine di decadenza di 30 giorni (Corte di Cassazione 5/8/1988, n 4851). Annullabile anche la
delibera se la spesa è priva, in tutto o in parte, di dimostrazione; l’assemblea, infatti, deve poter
sindacare la spesa nei suoi elementi giustificativi, elementi che l’amministratore è tenuto ad offrire
in esame (Tribunale di Genova 5/12/1983) Non è però indispensabile che la delibera indichi con
precisione l’ammontare di una spesa, se i dati in essa riportati sono sufficienti a determinare
l’entità (Cassazione 9/7/1971, n 2217). Non si può, infine, invocare la nullità di una delibera che
abbia approvato una spesa senza indicare il criterio di ripartizione ( Corte di Cassazione 1/9/1999,
n 10886).
Invalidità
Una delibera è invalida quando è affetta da vizi più o meno gravi. Nel primo caso ( Vizi meno gravi) si
parla di nullità, mentre nel secondo (Vizi più gravi) si parla di annullabilità. In particolare, la
delibera è nulla quando il vizio che la caratterizza è insanabile: per esempio: perché è stata
approvata la maggioranza mentre era richiesta l’unanimità (Tribunale di Brescia 6/7/2000), con
riferimento all’introduzione, nel regolamento, del divieto di battere i tappeti), perché incide sulla
proprietà esclusiva di un condomino senza il suo consenso, o riguardo ad un oggetto impossibile o
illecito (Corte di Cassazione 22/11/2002, n 16485): come nel caso in cui disponga la realizzazione
di un’ opera edilizia abusiva o tale che, se posta in esecuzione, pregiudicherebbe la sicurezza
75
dell’edificio (Corte di Cassazione 25/1/2007, n 1626). Nulla anche la delibera avente per oggetto
una materia che esula dalle competenze dell’ assemblea (Corte di Cassazione 2/10/2000, n 13013),
o adottata dopo che la seduta, già dichiarata chiusa con alcuni condomini che si erano allontanati,
era stata riaperta (E’ invece valida se, pur a seduta chiusa, sono presenti tutti i condomini e
l’approvazione interviene all’unanimità). La delibera nulla può essere impugnata in qualsiasi tempo:
non vi è, un termine di decadenza, a meno che non sia misurata usucapione in favore della persona
avvantaggiata dalla decisione. È invece annullabile, come già detto, la delibera caratterizzata da un
vizio meno grave. È annullabile, per esempio, la delibera adottata in un giorno diverso da quello per il
quale l’assemblea era stata convocata o su di un oggetto non compreso nell’ordine del giorno (Corte
di Cassazione 5/5 /2009, n 10344), se non è stato rispettato il termine di 5 giorni previsto per la
convocazione dell’assemblea, se la seconda convocazione dell’assemblea, se la seconda convocazione
si è tenuta lo stesso giorno della prima, se un condomino ha preso parte alla votazione con un
numero do deleghe superiore a quello previsto dal regolamento o dalla legge >>Assemblea, Delega
(Corte di Cassazione 12/12/1986, n 7482). In questi caso la delibera diventa valida se non viene
impugnata entro 30 giorni. Il termine decorre dal giorno dell’assemblea per i dissenzienti e dal
giorno in cui si riceve copia del verbale della seduta per gli assenti l’eventuale vizio della
comunicazione della delibera a un condomini non incide sulla validità della delibera stessa ma rileva
ai soli fini della decorrenza del termine utile per l’assegnazione (Corte di Cassazione 22/5/1974, n
1507) se l’ultimo giorno utile per impugnare una delibera cade di giorno festivo, per il tribunale
(Sentenza del 31/1/1980) il termine non è automaticamente prorogato al primo giorno non festivo
successivo; non cosi per il pretore di Verona (Sentenza del 12/2/1990). Nel dubbio, quindi, è bene
impugnare la delibera per tempo. Può anche accadere che una delibera sia in parte valida e in parte
nulla o annullabile. Pertanto, se la maggioranza viene raggiunta solo per alcune parti della delibera,
la decisione è valida limitatamente a queste (Corte di Cassazione 28/3/1995, n 3680).
Maggioranza
Se una delibera era stata adottata in prima convocazione senza che sussistesse la maggioranza
richiesta affinché la seduta potesse essere dichiarata aperta (Assemblea, Maggioranza), non può
essere modificata in seconda convocazione. È infatti necessario provvedere a una nova convocazione
dell’assemblea (Corte di Cassazione 29/3/1982, n 1930)
Modifica
Una delibera adottata all’unanimità può essere successivamente modificata a maggioranza, a
condizione che il quorum sia quello previsto dalla legge per quel tipo di assemblea e per quel tipo di
delibera (Corte di Cassazione 19/10/1961, n 2246).
Ratifica
L’assemblea può ratificare una delibera nulla, purché lo faccia con la prevista maggioranza. Nel qual
caso la delibera nulla è sanata con effetto retroattivo (Corte di Cassazione 13/6/1991, n 6697).
Sospensione
Gli elementi in presenza dei quali il giudice può disporre la sospensione di una delibera sono il
probabile fondamento della richiesta di sospensione e il pericolo nel ritardo, vale a dire la
possibilità che da un ritardo nell’adozione del provvedimento di sospensione possano derivare dei
danni al richiedente o ad altri.
DISTANZE
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Dal confine
Fra le costruzioni edificate su fondi confinanti, se non sono unite o aderenti, vi dev’ essere una
distanza di almeno 3 metri (Articolo 873 codice civile); i regolamento comunali possono però
imporre una distanza maggiore. Distanze minime dal confine sono previste, fra l’altro, per la posa
in opera di tubi dell’ acqua, del gas e simili (Un metro ), per l’evacuazione di pozzi e di fosse
biologiche (Due metri), per la messa a dimora di siepi e alberi (>>Alberi ). In particolare, nel calcolo
della distanza fra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, effettuato in occasione di una
>>Sopraelevazione, si deve far riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si
fronteggiano, e indipendentemente dal fatto che la parete sopraelevata si trovi alla stessa o a
diversa altezza rispetto all’altra (TAR Toscana 22/1/ 2007, n 55). Il consiglio di stato ( Sentenza n
2847 del 17/5/2012) ha precisato che, in tema di distanze legali tra edifici, rientrano nel concetto
civilistico di costruzione le parti dell’edificio (Quali, per esempio, le scale e le terrazze ) che,
seppure non corrispondenti a volumi abitativi coperti, sono destinate ad ampliare la consistenza del
fabbricato. Non sono invece computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano una
funzione meramente ornamentali, di finitura, oppure accessoria di entità limitata: per esempio:
mensole e grondaie.
In condominio
Le norme relative alle distanze fra costruzioni devono essere osservate anche all’ interno del
condominio: sia nel rapporto fra proprietà individuali e parti comuni che in quello fra proprietà
individuali, a condizione, però, che il loro rispetto non sia incompatibile con l’esercizio di
fondamentali diritti condominiali. In caso di contrasto prevalgono le norme relative all’uso delle
cose comuni, con conseguente inapplicabilità di quelli relative alle distanze legali, che vengano
pertanto trovarsi in rapporto di subordinazione rispetto alle prime (Corte di Cassazione
9/10/1998, n 9995). Successivamente, però, la stessa (Corte di Cassazione sentenza n. 13170 del
25/10/2001), ha stabilito che il principio dell’inapplicabilità della normativa sulle distanze legali, se
può valere con riferimento alle opere eseguite sulle parti comuni, non si estende ai rapporti fra
singole proprietà. Alla luce di questo criterio è stata ritenuta illegittima, per esempio, l’apertura di
una finestra sul muro condominiale senza che fosse stata rispettata la distanza di legge in materia
di vedute (Corte di cassazione 4/8/1988, n 4844). Di contro, l’articolo 889 codice civile, relativo
alle distanze da rispettare per pozzi, cisterne, fossi e tubi, non è stato ritenuto dai giudici
applicabile agli edifici in condominio quando si tratti d’ impianti indispensabili ai fini di una concreta
e moderna abitabilità (Corte di Cassazione 20/8/1999, n. 8801). Per quanto attiene, in particolare,
ai pannelli solari, la disciplina della distanza dal confine è quella dettata dall’articolo 890 codice
civile (Pret. Pietrasanta 2/4/1985), ossia quella stabilita dai regolamenti e, in mancanza , quella
necessaria a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, alla salubrità e alla sicurezza. Agli
effetti del rispetto delle distanze verticali, per costruzione deve intendersi non solo l’opera che
abbia le caratteristiche di un edificio in muratura, ma anche ogni manufatto che possegga i
caratteri della stabilità e dell’immobilità rispetto al suolo, ancorché si tratti di un semplice
accessorio (Corte di Cassazione 23/1/1982, n 448). Con una precedente decisione (N. 12907 del
22/11/1955) la stessa Corte di Cassazione aveva stabilito che, agli effetti del rispetto delle
distanze verticali, per costruzione deve intendersi non solo il manufatto in mattoni e cemento, ma
qualsiasi opera, di qualsiasi specie, che ostacoli l’esercizio della veduta. A riguardo la Suprema
Corte, con sentenza n. 20092 del 12/7/2011, ha stabilito che la costruzione di una pensilina a
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distanza inferiore a quella legale è legittima se i materiali usati, in quanto trasparenti e fragili, non
privano della veduta in appiombo i condomini dei piani superiori e non facilitano l’accesso a detti
piani da parte di malintenzionati.
Tende e verande
Vi sono delle opere che sfuggono, in considerazione della loro natura, al regime delle distanze
legali: che non è stata ritenuta dalla Corte di Cassazione (Sentenza n. 2873 del 18/3/1991)
“costruzione“; la tenda non deve però comportare, in danno di altro condomino, una diminuzione del
godimento dell’aria, della luce e della possibilità di esercitare la veduta in appiombo sullo spazio
sottostante. Diverso, invece, il caso di una veranda che, realizzata da un condomino sul proprio
balcone, dovesse protendersi in altezza a distanza inferiore a quella legale rispetto alla finestra del
sovrastante appartamento, di proprietà di altro condomino; sempre i giudici della Corte di
Cassazione infatti, (Sentenza n 682 del 28/1/1984), ne hanno ordinato l’abbassamento, fino a
osservare la distanza legale (Tre metri dalla parte inferiore della finestra).
DOCUMENTAZIONE
I condomini e i titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari (Per esempio:
usufruttuario) possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed
estrarre copia a proprie spese (Primo comma articolo 1130-bis codice civile). Pertanto il
condomino ha la facoltà di ottenere dall’amministratore l’esibizione dei documenti contabili, non solo
in sede di approvazione del bilancio annuale da parte dell’assemblea, ma anche al di fuori di tale
sede, senza essere tenuto a specificare la ragione per la quale intende prendere visione o estrarre
copia dei documenti medesimi, sempre che l’esercizio di tale potere non intralci l’attività
amministrativa e non sia contrario ai principi di correttezza (Corte di Cassazione 29/11/2001, n
15159). Se l’amministratore disattende la richiesta, avanzata da un condomino, di esaminare la
documentazione riguardante un argomento all’ordine del giorno dell’imminente assemblea,
l’eventuale delibera che dovesse essere adottata è annullabile, in quanto la lesione del diritto che il
condomino ha all’informazione incide sul procedimento di formazione della maggioranza assembleare
(Corte di Cassazione 19/5/2008, n 12650). Per il Tribunale di Bologna (Sentenza del 25/3/1999)
la mancata presenza dei documenti giustificativi del bilancio all’assemblea convocata per la sua
approvazione non è causa d’invalidità della delibera; nel caso esaminato dai giudici bolognesi, però,
nessuno dei partecipanti aveva chiesto di esaminare la documentazione, e non vi era alcuna prova
che l’amministratore ne avesse negato la visione nei giorni precedenti l’assemblea, in cui era
obbligato a tenerla a disposizione dei condomini.
Conservazione
Le scritture e i documenti giustificativi devono essere conservati per dieci anni dalla data
della relativa registrazione (Primo comma articolo 1130-bis codice civile): termine, questo,
coincidente con quello ordinario di prescrizione.
Irregolarità
Se il precedente amministratore ha disperso i documenti condominiali, e si nutrono sospetti sulla
correttezza della sua gestione, il nuovo amministratore può chiedere ai fornitori, facendo carico al
condominio delle eventuali spese, copia della documentazione intrattenuta con il precedente
professionista e, una volta raccolto le prove sufficienti e dimostrarne la responsabilità contabile,
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chiedere all’assemblea di essere autorizzato ad intraprendere un’azione giudiziaria per la
restituzione delle somme e il risarcimento del danno.
Pagamenti
Il nuovo amministratore, se non viene autorizzato dall’assemblea, non può approvare incassi e spese
condominiali risultanti dai prospetti sintetici consegnatigli dal precedente amministratore;
pertanto, l’aver accettato tali documenti non costituisce prova del debito dei condomini a tal fine
l’approvazione del rendiconto da parte dell’assemblea (Corte di Cassazione 4/6/1999, n 5449).
Restituzione
Al termine dell’incarico l’amministratore deve riconsegnare tutta la documentazione
condominiale in suo possesso ed espletare le attività urgenti atte ad evitare pregiudizi agli
interessi comuni, senza diritto a ulteriori compensi (Ottavo comma articolo 1129 codice civile
). Se, a causa della ritardata consegna della documentazione, il condominio riceve un danno,
l’amministratore è tenuto a risarcirlo (Tribunale di Bari 17/3/2010, n 967). E’ considerata
tardiva la consegna effettuata in seguito a ordine del giudice (Tribunale di Milano 5/11/1992). Se
poi, per farsi restituire la documentazione, si è costretti a ricorrere alla polizia giudiziaria,
l’amministratore è passibile di denuncia per il reato appropriazione indebita aggravata ( punito
dall’articolo 646 codice penale con la reclusione fino a 3 anni e con la multa fino a 1.032 € ), con
l’amministratore subentrato legittimato a costituirsi parte civile nel processo penale, senza
necessità di autorizzazione dell’assemblea (Tribunale di Roma, 20/7/2007).
Lerttera
E/F
ESALAZIONI E FUMI
Rientrano nelle >>Immissioni e in quanto tali non possono essere impediti se non superano la normale
tollerabilità, tenuto conto delle condizioni di tempo e di luogo.
FACCIATA
Il termine facciata, parlando di condominio, ha un significato più ampio di quello usato nel linguaggio
comune. Per facciata, infatti, non s’intende solo la parete esterna dell’edificio, ma anche gli
elementi che, pur appartenendo alle singole unità immobiliari, ne costituirono parte integrante: un
esempio classico è costituito dagli elementi decorativi dei balconi (>>Balcone), che se destinati
all’abbellimento della facciata nel suo insieme (Accertamento da condurre caso per caso) sono
considerati parti comuni dell’edificio (Corte di Cassazione 7/9/1996, n 8159). Ogni modifica della
destinazione d’uso delle parti comuni dell’edificio (A maggior ragione la facciata) è realizzabile se
non pregiudica la stabilità o la sicurezza dell’edificio, o non ne altera il >>Decoro architettonico (
sesto comma articolo 1117-ter codice civile); il mancato rispetto di questo principio rende
illegittima l’eventuale delibera adottata.
Opera illegittima
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Chi è chiamato in causa per aver eseguito sulla facciata un’opera illegittima non può eccepire che in
precedenza interventi simili non sono stati contestati; si tratta, infatti, dei rapporti giuridici
distinti, che possono essere fatti valere disgiuntamente (Tribunale di Napoli 10/10/1973).
Ponteggio
Se, per l’effettuazione di lavori alle parti comuni dell’edificio, si rende necessario installare un
ponteggio sulla proprietà esclusiva di un condomino, ciò non fa sorgere automaticamente, in capo al
proprietario dello spazio, il diritto a percepire un indennizzo (Tribunale di Roma 10/12/2007). Se
però la presenza del ponteggio, magari per mesi, causa un danno alla proprietà esclusiva del
condomino, questi ha diritto a un’adeguata indennità, ai sensi del secondo comma dell’articolo 843
codice civile. Possibile anche, a questo fine, occupare temporaneamente una striscia di terreno
confinante con l’edificio condominiale, per consentire il rifacimento della facciata autorizzato dal
Comune (Tribunale di Salerno 27/1/2004).
Danni
Dei danni provocati dal ponteggio installato sul suolo condominiale risponde, ai sensi dell’articolo
2051 codice civile, l’appaltatore dei lavori, in quanto custode dell’impalcatura: come nel caso dei
danni provocati dalla caduta, dal ponteggio, di materiali sulle autovetture parcheggiate nei pressi
(Tribunale di Messina 12/6/2012, n 1238).
Furto
Se un condomino subisce un furto nella propria abitazione ad opera di malviventi che si sono serviti
del ponteggio predisposto dall’appaltatore per l’effettuazione dei lavori sulle parti comuni
dell’edificio, dei danni risponde l’appaltatore, ai sensi dell’articolo 2043 codice civile, qualora non
abbia adottato le cautele idonee ad evitare l’uso anomalo dell’impalcatura e creando di conseguenza
un agevole accesso ai ladri (Corte di Cassazione 11/2/2005, n 2844). L’appaltatore, infatti, è
tenuto a custodire e vigilare l’impianto per tutta la durata delle opere, predisponendo appositi
sistemi di antifurto o d’allarme sull’impalcatura, al fine di evitare furti negli appartamenti, mentre l’
amministratore del condominio è estraneo ad ogni rapporto tra appaltatore e condomini (Tribunale
di Roma 21/10/2002). Per il Tribunale di Milano (Sentenza n. 2328 del 28/10/2002) c’è una
responsabilità solidale dell’impresa e del condominio se questo, invitato dall’appaltatore e dotar
l’impalcatura d’idoneo antifurto, abbia rifiutato questa forma di custodia e vigilanza. Nel qual caso il
danneggiato può pretendere il risarcimento, indifferentemente, dall’impresa o dal condominio (Chi
paga si rivarrà nei confronti del corresponsabile per la quota da questi dovuta). La responsabilità
dell’appaltatore è stata ribadita dalla Corte di Cassazione 11/6/2008, n 15492, con riferimento ad
un imprenditore che aveva trascurato le più elementari norme d diligenza e perizia, e quindi la
doverosa adozione di cautele idonee a impedire l’uso anomale dell’impalcatura, creando cosi
colposamente un agevole accesso ai ladri. Con una successiva decisione (N. 6435 del 17/3/2009),
però, la Suprema Corte ha mutato indirizzo, chiamando il condominio a rispondere per omessa
custodia ai sensi dell’articolo 2051 codice civile, insieme all’appaltatore, del furto consumato
tramite impalcatura sprovvista delle luci esterne e degli altri dispositivi di sicurezza volti a
garantire ”l’inviolabilità degli appartamenti“. Da ultimo la Suprema Corte (Sentenza n. 12274 del
27/5/2009) ha sancito l’esclusiva responsabilità dell’appaltatore ex articolo 2061 codice civile,
quale custode dei beni presenti nel cantiere.
Spesa
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L’installazione del ponteggio fa parte dei costi complessivi per il rifacimento della facciata: il
relativo onere, quindi, dev’essere ripartito fra i condominio in base ai millesimi di proprietà. Se poi
alcuni condomini approfittano della presenza del ponteggio per eseguire interventi nella propria
unità immobiliare, la spesa richiesta dal montaggio, l’utilizzo e lo smontaggio della struttura andrà
suddivisa per la durata (Espressa in giorni) dei lavori. Il quoziente cosi ottenuto va moti plicato per
il periodo in cui il ponteggio è servito esclusivamente ad alcuni condomini, ponendo a loro carico la
relativa spesa. In questo contesto non si tiene conto dell’altezza del piano dal suolo; all’altezza che,
invece, va considerata nel caso in cui i condomini decidano di noleggiare una struttura per eseguire
esclusivamente lavori nelle rispettive proprietà: paga di più chi sta più in alto.
Rifacimento
Per decidere il rifacimento della facciata è necessario il quorum prescritto per le riparazioni
straordinarie di notevole entità (App. di Napoli 29/10/1971); pertanto l’intervento dev’essere
deliberato con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000, anche in seconda convocazione ( quarto comma articolo
1136 codice civile). Alla copertura della spesa, da suddividersi in base ai millesimi di proprietà,
devono contribuire tutti i condomini, ad eccezione dei proprietari di sole autorimesse separate
dall’edificio, anche se situate all’interno del perimetro condominiale (Corte di Cassazione 2/2/1995,
n. 1255). Quando, in occasione del rifacimento della facciata, vengono eseguiti interventi sia
ornamentali della stessa facciata sia protettivi delle proprietà esclusive (Per esempio il rifacimento
della pennellatura, che assolve alla duplice funzione di abbellimento della facciata e di protezione
dei balconi degli agenti atmosferici), la spesa dev’essere ripartita per quote distinte, seguendo il
criterio dettato dal secondo comma dell’articolo 1123 codice civile (Corte di Cassazione
23/12/1992, n 13655): si tratta quindi di stabilire qual è la quota di spesa attinente all’aspetto
esteriore della facciata (Da ripartire fra tutti i condomini), e quale, invece, la parte a carico dei soli
condomini che traggono dall’intervento anche un’ utilità diretta.
FALLIMENTO
Amministratore
L’amministratore di condominio, ancorché eserciti la propria attività in forma associata, svolge un
servizio che rientra fra le attività intellettuali; pertanto non può essere dichiarato fallito in proprio
e nemmeno come socio di fatto dell’associazione (Tribunale di Bologna 2 /7/1997).
Condomino
Se un condomino, per il fatto di svolgere attività commerciale, viene dichiarato fallito ed è in mora
con il pagamento dei contributi condominiali, il condominio deve chiedere di essere ammesso al
passivo del fallimento per il credito vantato, come previsto dall’articolo 61 della legge fallimentare.
L’insinuazione può avvenire per l’intero importo, anche se il fallito è comproprietario dell’ immobile
con il coniuge (Tribunale di Milano 27/7/1995). Contributi condominiali. I contributi per le spese di
manutenzione ordinaria e straordinaria, e quelli per le innovazioni, sono prededucibili ai sensi
dell’articolo 111 della legge fallimentare, se divenuti esigibili durante la procedura concorsuale in
seguito all’ emanazione di decreto ingiuntivo. L’amministratore può pertanto depositare nei termini
di legge gli atti del fallimento del condomino una domanda di ammissione al passivo, con allegato il
decreto ingiuntivo, richiamando nel testo il titolo che da diritto alla prelazione (Articolo 30 della
legge di di riforma).
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FASCICOLO DI FABBRICATO
Conosciuto anche come “Libretto casa“, è stato introdotto nel 1999, a garanzia della sicurezza degli
edifici, soprattutto per cercare di evitare incendi, esplosioni, crolli. Si tratta di una sorta di
patentino nel quale devono essere indicati tutti gli elementi utili a questo fine: per esempio
caratteristiche del sottosuolo sul quale insiste la costruzione (Dev’essere legata la planimetria),
tipologia delle strutture di fondazione e in elevazione, descrizione delle eventuali modifiche
introdotte nelle parti comuni dell’edificio o sulle singole unità immobiliari, eventuali presenze di
fessure o lesioni, rispondenza a norma degli impianti. Questi elementi devono essere indicati sul
libretto, obbligatorio per tutti gli edifici, da un tecnico iscritto all’albo, o vanno aggiornati
periodicamente (Ogni otto anni per il comune di Roma). Il libretto casa, vera e propria carta
d’identità del fabbricato, dev’essere trasmessa al Comune e costituisce documentazione
indispensabile per l’ottenimento di autorizzazioni e certificazioni da parte della pubblica
Amministrazione. La sua introduzione è però ancora in discussione, avendo incontrato ostacoli sia a
livello di Confagricultura, Confcommercio e Confedilizia, sia da parte della stessa Autorità
giudiziaria: il Consiglio di Stato, infatti, con ordinanza del 2/7/2002, ha sospeso l’entrata in vigore
del fascicolo di fabbricato nel Comune di Roma, motivando col fatto che non vi è una legge che
preveda, in campo al Comune, la facoltà d’intuirlo, mentre la Corte Costituzionale, con sentenza n.
315 del 28/10/2003, ha dichiarato l’illegittimità della legge della Regione Campania che aveva
istituito il “Il libretto“. Da ultimo, il TAR del Lazio (Sentenza n 12320 del 13/11/2006) ha sancito
la legittimità del “libretto“.
FIBRA OTTICA
In seguito al rinvio fatto dal settimo comma dell’articolo 1 della Legge 18/6/2009, n 69, al
tredicesimo comma dell’articolo 2-bis del D.L. 23/1/ 2001, n 66, l’esecuzione dei lavori aventi per
oggetto il passaggio di cavi in fibra ottica può essere deliberata con il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 334/1.000.
FINESTRA
Va premesso che il secondo comma dell’articolo 1122 codice civile stabilisce che, il condomino
che esegua un’opera su parti di proprietà o uso individuale, deve darne preventiva notizia
all’amministratore, specificando i dettagli dell’intervento e le modalità di esecuzione.
L’amministratore, a sua volta, ne riferisce all’assemblea (Secondo comma dell’articolo 1122 codice
civile). Pertanto tutti gli interventi sotto descritti sono subordinati all’adempimento di quest’
obbligo.
Apertura
In mancanza di un divieto contenuto nel regolamento contrattuale del condominio, il condomino può
aprire una finestra nel muro comune, anche nel caso in cui affacci sul cortile condominiale, a
condizione che l’innovazione non alteri la stabilità o il decoro architettonico dell’edificio, e non leda
i diritti degli altri condomini; si tratta, infatti, di una facoltà compresa nel diritto di servirsi delle
parti comuni dell’edificio per il miglior godimento di esse (Corte di Cassazione 4/2/1988, n 1112).
Occorre ovviamente mettersi in regola con il Comune (>>Distanze). Vietato, invece, aprire una
porta-finestra per mettere in comunicazione l’area comune con l’unità immobiliare che il condomino
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dovesse possedere in una costruzione adiacente all’edificio condominiale, perché cosi facendo si
verrebbe ad asservire il bene comune a un bene di proprietà esclusiva (Corte di Cassazione
1/12/2000, n 15390).
Doppie finestre
L’applicazione di doppie finestre è consentita, a condizione che non alterino il decoro architettonico
dell’edificio. È fatto ovviamente salvo l’eventuale divieto contenuto nel regolamento contrattuale
del condominio, come nel caso in cui gli infissi non si limitano a rinforzare quelli preesistenti, ma
intercludano spazi dei balconi prima aperti, creando un effetto di “tutto pieno“ laddove in
precedenza esisteva un’alternanza fra “pieni“ e “vuoti“ (App. Milano 19/11/1993). L’applicazione
delle doppie finestre non comporta aumento della volumetria e, quindi non occorre permesso edilizio
(Corte di Cassazione 6/4/1998 ).
Trasformazione
(In balcone)
In mancanza di un divieto contenuto nel regolamento contrattuale del condominio, la trasformazione
di una finestra in balcone, innestando sul muro perimetrale la relativa soletta, è consentita se non
pregiudica la stabilità o il decoro architettonico dell’edificio e non lede il diritto all’uso o al
godimento delle parti comuni dell’edificio da parte degli altri condomini (>>Distanze). Il Tribunale di
Napoli (Sentenza del 25/10/1989), per esempio, ha dato ragione al condomino che aveva
contestato la delibera con la quale l’assemblea, a maggioranza, aveva autorizzato un altro
proprietario a trasformare una finestra in un balcone la cui soletta si sarebbe venuta a collocare a
un metro e mezzo dalla pavimentazione del cortile condominale. Questo perché l’innovazione
sottraeva, di fatto, una parte del cortile all’uso e al godimento degli altri condomini.
In porta
In mancanza di un divieto contenuto nel regolamento contrattuale del condominio, la trasformazione
di una finestra in porta rientra fra i diritti che gli articoli 1102 e 1122 codice civile riconoscono ai
condomini sulle cose comuni. L’intervento, però, non è consentito se pregiudica la stabilità o il
decoro architettonico dell’ edificio, o se lede il diritto all’ uso o al godimento delle parti comuni da
parte degli altri condomini (Corte di cassazione 23/4/1980, n 2676). Stesso discorso per la
trasformazione della finestra in porta-finesta (Corte di Cassazione 28/11/1987, n 8861).
Consentito anche trasformare una finestra in porta di accesso al cortile condominiale, poiché
questo tipo d’intervento non costituisce abuso del muro comune, né lede il compossesso degli altri
condomini (Corte di cassazione 4/2/1988, n 1112).
FIORIERE
La spesa per le fioriere collocate sui pianerottoli e nell’ androne condominiale va ripartita fra i
condomini in proporzione ai millesimi di proprietà. La Corte i Cassazione (sentenza n. 6624 del30/3/
2012), con riferimento alle fioriere in cemento realizzate dal costruttore per delimitare la
superficie dell’appartamento situato all’ultimo piano dell’edificio e non sporgenti rispetto al muro
perimetrale dello stesso, ha ritenuto prevalente, all’esito di una consulenza tecnica, rispetto a
quella di contribuire al decoro architettonico dell’edificio, ponendo le relative spese a esclusivo
carico del proprietario.
Rimozione
83
Un condomino può essere obbligato a rimuovere le fioriere collocate sul proprio balcone, a
condizione che si dimostri che alterano il decoro architettonico dell’edificio o che creano una
situazione di pericolo.
FOGNATURA
Allaccio
Il condomino non può allacciare water alla fognatura condominiale, servendosi dei pozzetti d’
ispezione situato nel proprio garage, se ciò comporta la soppressione della funzione specifica del
pozzetto, che è quella di consentire le periodiche ispezioni dell’impianto (Corte di Cassazione 26/
11/2002, n 16847).
All’impianto comunale
Se i lavori di allaccio al sistema fognario comunale, interessano solo alcune unità immobiliari, la
spesa dev’essere ripartita tra i rispettivi proprietari, in proporzione ai millesimi di proprietà, salvo
diverso accordo al quale abbiano aderito tutti i condomini. La stessa regola vale per le spese di
spurgo. In particolare, se gli appartamenti sono dotati di fosse biologiche separate, ma collegate a
un collettore condominiale che immette i liquami della fognatura pubblica, l’impianto è considerato
comune; è pertanto legittimo il criterio di eseguire lo spurgo contestuale dei pozzetti, ripartendo la
spesa su base millesimale. Nulla vieta che i condomini si accordino per provvedere singolarmente
all’operazione, anche se questa soluzione è sconsigliabile perché potrebbe creare inconvenienti
all’impianto, per non parlare del fastidio arrecato alla frequente presenza, nell’area condominiale,
del mezzo adibito a quest’attività.
Danni
Se la fognatura causa danni a un condomino, ne risponde il condominio se derivano infiltrazioni
provenienti dal tratto di fognatura condominiale che arriva fino al punto dell’innesto della rete
pubblica. Se invece i danni derivano dalla parte esterna dell’impianto, ne risponde il Comune: per
esempio perché dovuti a cattiva manutenzione (App. di Roma 30/11/1964 ) se poi il danno proviene
dalla fognatura posta al servizio di una sola scala o di una parte di essa, la spesa grava sui condomini
che traggono utilità dall’impianto che ha provocato il danno, in proporzione ai rispettivi millesimi.
Se, invece, si dimostra che l’occlusione della fognatura, e quindi il danno, sono riconducibili a fatto e
colpa di un condominio, dei danni risponde questi (Corte di cassazione 23/10/1998, n 10556).
Spese
Le spese richieste dall’impianto fognario condominiale vanno ripartite fra i condomini delle unità
immobiliari che vi sono allacciate, in base ai millesimi di proprietà salvo diverso accordo, e sempre
che un regolamento contrattuale non chiami a contribuire alla spesa anche i proprietari delle unità
immobiliari non servite dall’impianto.
FONDO COMUNE
L’accantonamento di un fondo comune per far fronte a spese più o meno ingenti e impreviste è
legittimo, ma solo se deliberato all’unanimità (Corte di Cassazione 21/8/1996, n 7706). In
precedenza la Suprema Corte (sentenza n. 1553 del 13/12/1988) aveva riconosciuto la legittimità
di un fondo di riserva deliberato a maggioranza (ai sensi del secondo comma dell’articolo 1105
codice civile) e costituito dai canoni di locazione provenienti da alcuni locali condominiali. Il
Tribunale di Napoli (Sentenza del 26/1/1994) ha ritenuto nulla la delibera con la quale l’ assemblea
84
aveva costituito un fondo da investire in titoli pubblici, per sopperire a future spese straordinarie
non determinate né determinabili, mentre il Tribunale di Roma (sentenza del 22/5/1986) ha
sancito che l’ assemblea non può chiamare un condomino a partecipare alla costituzione di un fondo
avente lo scopo di fronteggiare la sua morosità e le spese di una causa avviata a questo titolo nei
suoi confronti. Anche se la costituzione del fondo è consigliabile, per ridurre l’ impatto che spese
inattese possono avere sul budget famigliare, non è facile raggiungere l’unanimità. Una possibile
soluzione è che alla costituzione del fondo partecipano i soli condomini che l’hanno approvata,
versando i relativi importi su di un conto separato da quello riservato alla gestione condominiale e
suddividendo fra i depositanti, in proporzione ai versamenti effettuati, sia gli utili (per esempio gli
interessi bancari od obbligazionari) che le spese di gestione. L’assemblea, però, che deliberi opere
di manutenzione straordinaria o innovazioni, è obbligata a costituire un fondo speciale d’
importo pari all’ammontare dei lavori (primo comma, n 4, articolo 1135 codice civile).
FUMO
Il divieto di fumare introdotto dall’articolo 51 della L. 16/01/2003, n 3, si applica anche ai locali
comuni chiusi dei condomini: per esempio androne, scale e ascensore. Il Ministro della salute, con
nota del 24/1/2005, n 1505, ha chiarito che il divieto è motivato dall’indubbia esigenza di
garantire anche in ambito condominiale la tutela della salute dal fumo passivo; questi spazi, infatti,
non possono essere equiparati a un’abitazione privata, in quanto frequentati da condomini e da altre
persone (per esempio: portiere, addetti alla manutenzione degli impianti, portalettere) che vi
svolgono la propria attività lavorativa e alle quali dev’essere estesa e garantita la tutela prevista
dalla legge. Da ciò deriva che l’amministratore è tenuto a esporre nell’ androne, sulle scale e
nell’ascensore, i cartelli che prescrivono il divieto di fumo e a vigilare sulla sua osservanza. I
condomini e i frequentatori del fabbricato, per parte loro, possono richiamare i trasgressori al
rispetto del divieto e, in caso d’inosservanza, segnalare la violazione all’ Autorità (>>Immissioni). La
Corte di Cassazione (sentenza n. 7875 del 31/3/2009) ha stabilito che, se le immissioni di fumo di
sigaretta proveniente dal sottostante bar superano la normale tollerabilità, l’inquilino del
soprastante appartamento può esigere il risarcimento del danno patrimoniale.
LETTERA
G
GARAGE
Il garage, in genere, è una pertinenza dell’abitazione e quindi di proprietà esclusiva di questo o quel
condomino. I singoli proprietari possono adibirlo anche ad altro uso (per esempio: ripostiglio o sala
hobby), a meno che ciò non sia vietato da un regolamento contrattuale. In ogni caso vanno rispettati
il diritto e la sicurezza degli altri condomini: non è consentito, per esempio, depositare in garage
sostanze infiammabili o altri materiali pericolosi, nè svolgervi attività rumorose, a meno di non
provvedere a idonea insonorizzazione. Il proprietario può, inoltre, intervenire sul garage di sua
proprietà in vari modi: per esempio sostituendo la porta con una serranda, ma a condizioni di non
alterare il decoro architettonico dell’edificio. Se poi la porta è basculante, po’ essere sostituita con
altra che si apra a libro, ma in tal caso, oltre a non alterare il decoro architettonico, si deve evitare
85
che l’innovazione comporti un restringimento dello spazio condominiale destinato al transito o una
situazione di pericolo.
Ampliamento
L’assemblea può deliberare l’ampliamento dell’autorimessa condominiale utilizzando i locali già
adibiti a portineria e a centrale termica, poiché questo tipo di intervento non costituisce
innovazione vietata (Corte di Cassazione 5/11/2002, n 15460). La relativa spesa, salvo diverso
accordo al quale abbiano aderito tutti i condomini, va ripartita in proporzione ai millesimi di
proprietà.
Autorimesse separate dall’edificio
- copertura –
Per le spese richieste della copertura di autorimesse separate dall’ edificio condominiale si
applicano criteri diversi a seconda che la superficie sia calpestabile o meno. Se la copertura è
calpestabile, per esempio perché costituita da un cortile condominiale, trova applicazione, per
analogia l’articolo 1125 codice civile, che regola la manutenzione e la ricostruzione dei soffitti,
delle volte e dei solai, ponendo a carico di coloro che utilizzano il piano di calpestio le spese da
questo richieste, e a carico dei proprietari delle sottostanti autorimesse le spese riguardanti l’
intonaco, la tinteggiatura e le decorazioni del soffitto (Corte di Cassazione 14/9/2005, n 18194).
Lo stesso criterio è applicabile qualora le autorimesse ubicate sotto il cortile o il giardino
condominiale siano interessate da infiltrazioni d’acqua, sia quella piovana o d’irrigazione, provenienti
dalla copertura, e si ponga quindi il problema di effettuare i dovuti lavori per evitare danni ai
sottostanti locali.
Impermeabilizzazione
Per il Tribunale di Bergamo (Sentenza del 27/4/2000) le spese d’impermeabilizzazione di
autorimesse sottostanti al giardino condominiale vanno ripartite ai millesimi di proprietà, ai sensi dl
primo comma dell’articolo 1123 codice civile, in quanto no è configurabile una diversa misura d’uso
da parte dei condomini in relazione all’oggettiva, duplice funzione di sostegno del giardino e di
copertura delle autorimesse svolta dal bene comune. Se invece la copertura non è calpestabile si
applica il terzo comma dell’articolo 1123 codice civile: la spesa dev’essere sostenuta dai soli
proprietari di garage o posto di auto.
Autoveicolo alimentato a GPL
Il paragrafo 10.6 del decreto del ministero dell’interno 1/2/1986 sulla sicurezza antincendi per la
costruzione e l’esercizio di autorimesse e simili stabilisce che il parcheggio di autoveicoli alimentati
a gas avente densità superiore a quella dell’aria è consentito soltanto ai piani fuori terra, a
condizione che non siano comunicanti con i piani interrasti. Con successivo decreto 22/11/2002, lo
stesso Ministro ha stabilito che il parcheggio degli autoveicoli alimentati a gas petrolio liquefatto
con impianto dotato di sistema di sicurezza conforme al regolamento ECE/ONU 67-01 è consentito
nei piani fuori terra e al primo piano interrato delle autorimesse, anche se organizzate su più piani
interrati. Deve però trattarsi di autorimesse conformi al decreto ministeriale 1/2/1986. Nel caso,
poi, di autorimesse soggette ai controlli di prevenzione incendi, è richiesto il rispetto delle
procedure di cui al DPR 12/1/1998, n 37. All’ingresso dell’autorimessa, infine, dev’essere
installata una cartellonistica idonea a segnalare gli eventuali divieti derivanti dalle limitazioni al
parcheggio dei suddetti autoveicoli.
Costruzione
86
Per costruire autorimesse sul cortile o sui giardini condominiali nell’interesse del condominio è
necessario un numero di voti pari a 4/5 dei partecipanti al condominio, in rappresentanza de 4/5
del valore dell’edificio (800/1000), trattandosi di cambiare la destinazione di queste parti comuni,
mentre se si tratta di costruirle nel sottosuolo o nei locali siti a piano terra (Sempre che le
condizioni dell’edificio lo consentano) è sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1000 (Articolo 9 della L. 24/3/1989, n
122).
Danni
Il risarcimento dei danni da infiltrazioni provenienti dalla copertura calpestabile delle autorimesse
va ripartito fra tutti i condomini, in proporzione ai millesimi di proprietà, con i proprietari delle
autorimesse in veste, ad un tempo, di danneggianti e di danneggiati, per cui la quota di risarcimento
a ciascuno dovuta dev’essere diminuita della rispettiva quota di spesa.
Pavimentazione
La pavimentazione del cortile antistante i garage è intervento di manutenzione straordinaria
(Tribunale di Milano 8/5/1989). In quanto tale può essere deliberata con il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1000. Se il
piazzale antistante i garage è separato dalla restante zona condominiale da un cancello la cui chiave
sia in dotazione elusivamente ai proprietari dei garage, alle spese di rifacimento del manto di
asfalto sono tenuti a concorrere soltanto questi. Se invece il cortile è utilizzabile anche dai
condomini che non hanno garage, la spesa va ripartita fra tutti in base ai millesimi di proprietà.
Porta
Il condomino può aprire, in corrispondenza della propria unità immobiliare, una porta di accesso
all’intercapedine e al garage comune, trattandosi d’intervento che non rientra tra le innovazioni.
Non è pertanto richiesta l’approvazione dell’assemblea a maggioranza qualificata e non si determina
neppure la costituzione di una servitù (Corte di Cassazione 3/6/2003, n 8830) Il condomino che
intenda prendere questo tipo d’iniziativa deve però darne preventiva notizia all’amministratore,
specificando i dettagli d’intervento e le modalità di esecuzione. L’amministratore, a sua volta, ne
riferisce all’assemblea (secondo comma articolo 1122 codice civile).
Rampa di accesso
Per le spese richieste dalla manutenzione della rampa di accesso e dell’area antistante le
autorimesse occorre distinguere, se vi hanno accesso i soli proprietari di garage, la spesa grava
esclusivamente su di loro. Se invece queste parti possono essere, sia pure potenzialmente, usate
anche dagli altri condomini, la spesa dev’essere ripartita fra tutti i condomini in base ai millesimi di
proprietà, salvo diverso accordo. La rampa si considera destinata all’uso comune se può essere
utilizzata per operazioni di carico e scarico al piano cantine o se possono accedervi camion di
fornitori o manutentori del condominio: per esempio: approvvigionamento gasolio, spurgo fossa
biologica, rotazione dei sacchi dell’immondizia.
Realizzazione box
E’ possibile utilizzare lo spazio dell’autorimessa condominiale, di cui sia proprietario esclusivo, per
costruirvi un box, ma a condizione che la costruzione non sia vietata da un regolamento contrattuale
e non arrechi danno alle parti comuni dell’edificio o al godimento, anche da parte di un solo
condomino, dell’area a lui riservata (Corte di Cassazione 25/5/1991, n 5933): per esempio non gli
dev’essere impedito di aprire lo sportello della propria auto.
87
Spese
Le spese di pulizia, illuminazione e manutenzione del garage condominiale devono essere suddivise in
proporzione ai millesimi di proprietà, salvo diverso accordo al quale abbiano aderito tutti i
condomini (>>Incendio, Adeguamento normativa antincendio).
Tetto
Alla spesa occorrente al rifacimento del tetto posto a copertura di diversi piani di autorimesse
devono contribuire, in proporzione alla quota millesimale, tutti i proprietari alle cui autorimesse
esso serve da copertura e non solo i proprietari delle autorimesse a questo immediatamente
sottostanti.
Trasformazione
LOCALE
Se le caratteristiche obiettive di un locale condominiale lo consentono, per esempio perché si trova
al piano terra e ha accesso alla via pubblica mediante passo carrabile, l’assemblea può deliberare di
trasformarlo, nell’interesse del condominio, in autorimessa con un numero di voti che rappresenti
i 4/5 del valore dell’edificio (800/1000) (Primo comma articolo 1117-ter codice civile). La
delibera è valida anche se i posti auto non sono sufficienti per tutti, dal momento che il pari
godimento della cosa comune, come previsto dall’articolo 1102 codice civile, non richiede il
godimento contemporaneo: si possono infatti stabilire dei turni.
>>Parcheggio.
RIEPILOGANDO IL GARAGE
Costruzione. Se in cortile o in giardino può essere deliberata con un numero di voti pari a 4/5 dei
partecipanti al condominio e a 4/5 del valore dell’edificio. Nel sottosuolo sono sufficienti la
maggioranza degli intervenuti e almeno 500/1000.
Copertura box. Se è calpestabile le spese del piano di calpestio sono a carico di tutti i condomini,
mentre i proprietari delle sottostanti autorimesse pagano per l’intonaco, la tinteggiatura e la
decorazione del soffitto. Se la copertura non è calpestabile l’intera spesa è a carico dei proprietari
dei box.
Rampa di accesso. Se è utilizzabile dai soli proprietari di box la spesa grava soltanto su questi. Se
invece vi hanno accesso anche gli altri condomini alla spesa devono contribuire tutti in proporzione
ai millesimi di proprietà salvo diverso accordo.
Norme. Articolo 9 L. n 122/1989.
GAS
L’impianto del gas è comune ai proprietari dei diversi piani o porzioni di piano dell’edificio fino al
punto di diramazione ai locali di proprietà esclusiva.
Assicurazione
L’autorità per l’energia elettrica è il gas, con delibera n 152 del 12/12/2003, ha stabilito che tutti
i clienti finali civili siano garantiti da un contratto di assicurazione per gli infortuni (Anche subiti
dai familiari conviventi e dai dipendenti), gli incendi e la responsabilità civile, derivanti dall’uso del
gas loro fornito tramite un impianto di distribuzione a valle del punto di consegna. Ciò avviene
attraverso una polizza di assicurazione stipulata dal Cig (Comitato Italiano Gas) per conto dei
clienti, polizza il costo viene caricato sulla bolletta del gas. In caso di sinistro il cliente deve inviare
88
al CIG la relativa denuncia redatta sull’apposito modulo scaricabile dal sito www.cig.it. Per
informazioni sullo stato della pratica si può chiamare il numero verde 800 929 286 o inviare la
richiesta a mezzo posta elettronica all’indirizzo [email protected] o fax al numero 02 72 00 16 46.
Installazione impianto
Il condomino può utilizzare le parti comuni dell’edificio per installarvi un impianto a gas (Trattasi
infatti di servizio indispensabile al godimento del proprio appartamento), ma a condizioni che venga
rispettata la proprietà esclusiva degli altri condomini (Corte di Cassazione 29/4/1982, n 2697).
L’assemblea che avesse a suo tempo autorizzato alcuni condomini a collocare nel cortile
condominiale le bombole del gas collegate alla rispettiva cucina può deliberare la rimozione una volta
intervenuto l’allacciamento alla rete pubblica, essendo venuta meno l’esigenza che aveva giustificato
la precedente autorizzazione (Corte di Cassazione 29/3/2007, n 7711).
GETTO PERICOLOSO DI COSE
Spazzare l’acqua piovana dal pavimento del balcone, sporcando i vetri o la biancheria stesa dal
balcone del condominio del piano di sotto, non configura, per il Pretore di Foligno (Sentenza del 16
/11/1984), il reato di getto pericoloso di cose, consiste (articolo 674 codice penale) nel gettare o
versare in un luogo di pubblico transito, o in luogo privato di comune o di altrui uso, come atte a
offendere o imbrattare o molestare persone, o, nei casi non consentiti dalla legge, nel provocare
ammissioni di gas, di vapori o di fumo, atte a cagionare tali effetti. Meglio, comunque, evitare
questo tipo di operazione: sia per educazione, sia perché si può incontrare un giudice che la pensi
diversamente (La sanzione prevista e l’arresto fino a un mese o l’ammenda fino a 206,00€), sia,
infine, perché si può comunque essere chiamati a risarcire il danno. Il reato è stato ravvisato, per
esempio (Corte di Cassazione 11/7/2012, n 27625), nel battere i tappeti dalla finestra o nello
scuotere la tovaglia all’esterno della propria abitazione dopo i pasti, qualora l’operazione si ripeta e
provochi la caduta di cose atte a imbrattare o molestare le persone. Non si può neppure aprire un
foro nel parapetto del balcone per far cadere l’acqua piovana nel sottostante cortile, perché cosi
facendo, oltre a gravare questa parte comune di una servitù di stillicidio (Articolo 908 codice civile
), si creerebbe una situazione di pericolo per chi vi transita (Corte di Cassazione 11/10/1986, n
5949). Possono dar luogo al reato di cui sopra anche le esalazioni maleodoranti provenienti da
animali o da un’abitazione non convenientemente pulita, se d’ intensità tale da arrecare molestia o
disturbo ai vicini (Corte di Cassazione 28/9/1993). Sempre in fatto di odori, quelli particolarmente
intensi provenienti da una cucina possono dar luogo al reato; il criterio da prendere in
considerazione - ha precisato la Corte di Cassazione (Sentenza n 16670 del 4/5/2012) con
riferimento agli odori provenienti dallo sfiatoio della cucina di un bar ubicato nell’edificio
condominiale - non è quello della “Normale tolleranza“ di cui all’articolo 844 codice civile, ma quello
della “stretta tolleranza ”, non esistendo disposizioni specifiche e valori - limite in materia di odori.
Si realizza il reato anche se a provocare molestia alle persone sono i gas, fumi o vapori (Corte di
Cassazione 6/10/1989), come nel caso di un’autovettura (diesel nel caso di specie) lasciata per
molto tempo con il motore acceso (Pretore di Brunico 14/3/1989 ); delle immissioni di monossido di
carbonio e fumi superiori alla normale tollerabilità, provocare dall’impianto termico condominiale e
di cui si era accertata la presenza all’interno dell’appartamento di un condomino (Corte di
Cassazione 21/6/2007); delle missioni di gas, vapore e fumo provenienti dalla camma fumaria di un
impianto di riscaldamento a metano non conforme alla normativa sull’abbattimento dei fumi, quando
89
il disturbo concretamente arrecato alle persone superiori la normale tollerabilità, con conseguente
pericolo per la salute pubblica (Corte di Cassazione 19/6/2007). Punibile allo stesso titolo anche il
condomino sorpreso a imbrattare il vicino di pianerottolo lanciandogli contro uova marce ( Corte di
Cassazione 10/5/1995) e quello intento a gettare acqua nella vicina abitazione servendosi di una
pompa (Corte di Cassazione 2/7/1992). Il reato di getto pericoloso di cose è ipotizzabile anche in
presenza di onde elettromagnetiche superiori ai limiti di legge, emesse dall’antenna di una stazione
radio (GIP di Trani 4/4/2003) o da un ripetitore televisivo (Corte di Cassazione 14/3/2002)
collocati sul lastrico solare, purché - ha precisato la Suprema Corte con sentenza del 13/ 5/2008 si accerti un’effettiva e concreta idoneità delle emissioni da offendere o molestare persone. L’
emissione di calore, infine, anche quando superi la normale tollerabilità, non integra il reato di getto
pericoloso di cose (Corte di Cassazione 29/1/2009, n 9853).
GIARDINO
Il codice civile non lo cita tra le parti comuni dell’edificio, per cui la sua appartenenza
(Condominiale o di proprietà esclusiva di uno o più condomini) va valutata caso per caso sulla base
dei titoli di proprietà. Le norme di carattere generale che regolano l’uso del giardino sono le stesse
del >>Cortile.
Frazionamento
L’assemblea può deliberare di dividere il giardino fra i condomini, trasferendone a ciascuno di essi
una parte in proprietà esclusiva. L’operazione, però, richiede il consenso di tutti, consenso che deve
risultare da atto scritto. Occorre inoltre che la ripartizione avvenga senza pregiudizio
dell’originario valore del bene, e in parti vantaggiosamente utilizzabili dai singoli condividenti ( Corte
di Cassazione 24/2/1995, n 2117).
Locazione a un condomino
Per concedere in locazione a un condomino una parte del giardino condominiale è necessaria
l’unanimità; se però l’uso diretto da parte di tutti non è possibile, la delibera è adottabile a
maggioranza (Corte di Cassazione 22/11/1984, 6010). Lo stesso discorso vale per il rinnovo del
contratto. Il conduttore non può arrecare al giardino trasformazione che causino pregiudizio alle
altri parti comuni, in termini, per esempio, di aereazione, amenità, veduta ( Corte di Cassazione
27/7/1984, n. 4451) né utilizzarlo per altri scopi: per esempio per costruirvi una veranda o per
adibirlo a parcheggio. Se non c’è stato un accordo preventivo sulle spese di manutenzione - per
esempio quelle occorrenti al taglio dell’erba e alla potatura degli >>Alberi - il condominio può essere
chiamato a contribuirvi, tenuto conto di diverso uso che viene fatto dello spazio: godimento diretto
da parte dell’utilizzatore, indiretto da parte degli altri condomini, sotto il profilo dell’abbellimento
e quindi della valorizzazione dell’edificio.
Recinzione
Recintare le aree verdi in modo da impedirne il calpestio costituisce atto di ordinaria
amministrazione, la cui delibera può essere approvata dalla maggioranza degli intervenuti
all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1000 (Corte di Cassazione 21/9/1997, n 4035).
Stesse regole per sostituire una preesistente delimitazione in paletti uniti da una catena con una
recinzione in rete metallica (Tribunale di Bologna 7/3/2000). La spesa per il rifacimento o la
ripartizione dei muti che delimitano i giardini individuali rispetto ai fondi confinanti è a carico
esclusivo dei proprietari, a meno che un regolamento contrattuale non li consideri comuni,
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assimilandoli cosi ai muri di cinta. In questa seconda ipotesi, come anche stabilito dalla Corte di
Cassazione con sentenza n. 8198 dell’11/8/1990, la spesa va ripartita fra tutti i condomini in base
ai millesimi di proprietà salvo diverso accordo. Sottosuolo. Il condomino può utilizzare il sottosuolo
del giardino condominiale, a condizione di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri
condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Corte di Cassazione 14/11/1988, n 6146).
Spese di manutenzione
I costi richiesti dalla manutenzione del giardino sono suddivisi in base ai millesimi di proprietà, ma è
possibile predisporre un’apposita tabella che tenga conto, per esempio, della diversa ubicazione
delle unità immobiliari rispetto a questa parte comune. Dalla spesa sono esonerati i proprietari di
negozi se, considerata la struttura dell’edificio, non hanno accesso al giardino (Corte di Cassazione
29/4/1992, n 5179). Se nell’ambito del condominio vi è un giardino di proprietà esclusiva di un
condomino, questi, provando che la sua presenza contribuisce ad abbellire e valorizzare l’edificio,
può chiedere agli altri condomini di contribuire alle spese di manutenzione, tenuto conto del diverso
uso che ne viene fatto: godimento diretto da parte di un condominio, godimento indiretto da parte
degli altri condomini.
Uso particolare
La Corte di Cassazione (Sentenza n. 3188 del 6/2/2011) ha ritenuto la piantagione, da parte di un
condomino, di fiori ed essenza erboree nel giardino condominiale, compatibile con il rispetto
dell’articolo 1102 codice civile.
LETTERA
I
IMMISSIONI
Le immissioni sono i rumori, le esalazioni, i fumi e i simili che, inevitabilmente, si propagano da una
proprietà all’altra. Proprio per la loro inevitabilità devono essere sopportate entro certi limiti,
nel’ambito di quella che l’articolo 844 codice civile definisce <<normale tollerabilità>>. Ma cosa deve
intendersi con questa espressione? La “normale tollerabilità“, prima di tutto, dev’essere valutata in
relazione al luogo in cui le immissioni si propagano e non a quello di provenienza ( Corte di Cassazione
30/7/1984, n 4523). Nella valutazione si deve anche tener conto Tribunale di Siracusa
30/11/1983) di come la normale tollerabilità viene intesa, in quel luogo e in quel tempo, dalla
coscienza sociale. In particolare, nell’ ambito del condominio le immissioni non devono superare la
normale tollerabilità non solo quando si propaghino alla proprietà esclusiva di un altro condomino, ma
anche quando interessino le sole parti comuni dell’edificio: per esempio le scale ( Corte di Cassazione
6/4/1983, n 2396). Vi sono poi delle immissioni che non si è tenuti a tollerare, neppure se
contenute nella norma: sono queste prodotte dall’esercizio di un’attività rumorosa in orario vietato
dall’Autorità. Buona parte della litigiosità riguardante le immissioni ha appunto a che fare con i
>>Rumori.
Canna fumaria
Se le immissioni di fumo, ancorché potenzialmente dannose alla salute di un vicino affetto da asma,
sono prodotte dal normale utilizzo di una canna fumaria e non raggiungono livelli d’inequivocabile
intollerabilità, devono essere sopportate (Tribunale di Cagliari 24/9/1987). Se poi provengono dalla
canna fumaria di un’esercizio commerciale - si pensi a una pizzeria -, nel conflitto fra le esigenze
91
connesse all’ abitazione e quelle dell’attività economica prevalgono le prime (Corte di Cassazione
15/3/1993, n 3090); è quindi possibile ottenere la rimozione di una canna fumaria che smaltisca
fumo, odori e calore a ridosso della propria finestra (Corte di Cassazione 28/7/1993, n 9130), o la
sostituzione di una canna fumaria difettosa che produca immissioni superiori alla normale
tollerabilità (Corte di Cassazione 6/3/1978, n 1108).
Fogna
Le immissioni provenienti dall’impianto fognario, a causa del loro impatto sulla salute delle persone,
sono trattate dai giudici con particolari severità. Per il Tribunale di Genova (sentenza del
17/7/2011), per esempio in un centro destinato ad edilizia abitativa è inaccertabile anche una
percepibile, seppur minima, immissione di aria fognaria.
Lavori
A chi non è capitato di perdere la pace in occasione di interminabili e fastidiosi lavoro di
ristrutturazione da parte del vicino di pianerottolo? Ebbene: i rumori e la polvere prodotti da
questo tipo d’intervento, se contenuti nella norma, non possono dar luogo al risarcimento del danno
non patrimoniale, avendo la Corte di Cassazione (Sentenza n. 17427 del 19/8/2011) ritenuto non
meritevoli di tutela risarcitoria i disagi, i fastidi, le ansie e ogni altro tipo d’insoddisfazione
concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana (>>Danno, Esistenziale). Danno
patrimoniale risarcibile, invece, se le immissioni di polvere e rumori superano la normale tollerabilità
(Corte di Cassazione 14/6/2012, n 9735).
Locazione
Se le immissioni provengono da un bene (Per esempio congelatore rumoroso) di proprietà del
conduttore, è questi a rispondere (Corte di Cassazione 28/11/1981, n 6356). Se invece sono da
imputarsi a deficienze strutturali dell’immobile (per esempio canna fumaria difettosa dell’impianto
autonomo di riscaldamento), ne risponde il locatore (Tribunale di Milano 2/7/1990). Per le
immissione provocate dal conduttore si può agire direttamente nei suoi confronti senza passate per
il locatore (Corte di Cassazione 1/12/2000, n 15392).
Onde elettromagnetiche
Le immissioni elettromagnetiche prodotte da un elettrodotto sono intollerabili, e rientrano quindi
nell’abuso di cui all’articolo 844 codice civile, se superano il parametro di 0,3-0,4 microtesla di
campo magnetico (Tribunale di Como 30/11/2001).
Regolamento
Condominiale
Il regolamento condominiale può essere, in maniera di immissioni, più rigoroso della legge, ma a
condizione che sia contrattuale. In questa ipotesi, quindi, non occorre accertare se l’attività
costituisce o meno immissione vietata dall’articolo 844 codice civile, ma è sufficiente accertare se
essa è o meno idonea a turbare la tranquillità degli altri condomini, come tutelata dal regolamento
(Corte di Cassazione 15/7/1986, n 4554).
Regolamento
Comunale
La circostanza che le immissioni siano inferiori al minimo previsto dal regolamento comunale non
esclude l’applicazione dell’articolo 844 codice civile o delle altre norme poste a tutela della salute,
se si accerta in concreto la nocività delle immissioni stesse per la salute della persona ( Corte di
Cassazione 3/2/1999, n 915).
92
Risarcimento
Se le immissioni eccedono la normale tollerabilità, il condomino che ne sia danneggiato può
sollecitare l’amministratore ad intervenire per porvi firma. Se l’invito non sortisce effetto può
rivolgersi al Giudice di pace. Se il fenomeno perdura, come nel caso dei cattivi odori provenienti
dalla sottostante pizzeria (Corte di Cassazione 2/10/1970, n 1770), è possibile ottenere un
indennizzo liquidabile dal giudice anche in via equitativa (Tribunale di Biella 16/6/1989), fino a
quando il pregiudizio non venga eliminato; l’indennizzo, in quanto prestazione diretta di ripristinare l’
originaria entità del patrimonio leso dalle immissioni, viene identificato dai giudici come “ debito di
valore“, che in quanto tale dev’essere liquidato in base al potere d’ acquisto della moneta al
momento della sentenza, oltre agli interessi (Corte di Cassazione 15/1/1986, n 18). Se poi le
immissioni di fumi ed esalazioni non possono essere ricondotte nella norma con gli opportuni
accorgimenti, ricorrono i presupposti per la cessazione dell’attività (Tribunale di Perugia
10/10/1994). Il fatto che le immissioni siano prodotte da un servizio pubblico (Per esempio la
metropolitana) non trasforma in lecito un comportamento antigiuridico, ma può indurre il giudice a
condannare l’autore delle immissioni intollerabili al risarcimento del danno anziché alla cessazione
dell’attività, se esse non sono altrimenti eliminabili (App. Roma 16/1/1986). Se poi il servizio è
svolto in regime di concessione, vi è la responsabilità solidale della Pubblica Amministrazione e del
gestore del servizio (Corte di Cassazione 10/12/1984, n 6476). Le violazioni della normativa sulle
immissioni, in considerazione degli effetti negativi che possono produrre sulla tranquillità delle
persone, son o suscettibili di essere vietare dal giudice con provvedimento d’urgenza.
IMPIANTI
Adeguamento
L’assemblea (Articolo 155-bis disp. Att. Codice civile), ai fini dell’adeguamento degli impianti
non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovanti,
esistenti alla data di entrata in vigore della riforma, adotta le necessarie prescrizioni con il
voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1000.
Spese
La spesa occorrente all’adeguamento degli impianti comuni dev’essere ripartita fra i condomini in
proporzione ai millesimi di proprietà. Se però si tratta d’impianto comune solo ad alcuni condomini,
alla spesa devono contribuire soltanto i beneficiari, a nulla rilevando che si tratti di misure
attinenti alla sicurezza dell’intero edificio (App. di Roma 24/4/1991, con riferimento
all’installazione di porte tagliafuoco). Di avviso contrario i Tribunali di Parma (Sentenza del
29/9/1994) e di Bologna (Sentenza del 2/5/1995), che con riferimento alla spesa di adeguamento
dell’ascensore alla normativa dell’Unione Europea (Anche questa dettata da esigenze di sicurezza)
hanno stabilito che alla relativa spesa devono contribuire, in base ai millesimi di proprietà, tutti i
condomini, compresi i proprietari di appartamenti siti al piano terra, non usufruenti in quanto tali
dell’ascensore. Nel caso di un supercondominio la spesa di adeguamento relativa alla parte
dell’impianto comune a tutti gli edifici va suddivisa in proporzione alla caratura millesimale di
ciascun corpo di fabbrica rispetto al complesso condominiale, mentre nell’ambito di ciascun edificio
la spesa va ripartita in base ai millesimi facenti capo a ciascun condomino.
Elettrico
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L’impianto che serve a illuminare e a fornire energia alle parti comuni si presume in comproprietà
fra i condomini; le spese d’illuminazione, comprese quelle relative alla forza motrice, vanno pertanto
divise tra tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà. Lo stesso dicasi della spesa occorrente
alla messa a terra dell’impianto (Corte di Cassazione 18/10/2001, n 12737 ). Tra gli argomenti che
possono finire all’ordine del giorno in un’assemblea ci può essere l’introduzione del temporizzatore
per l’accensione e lo spegnimento automatico delle luci. Non si tratta di un’innovazione, né di una
spesa voluttuaria o gravosa, ma di un intervento che mira a rendere più funzionale l’impianto
d’illuminazione, risparmiando energia. Di conseguenza, i condomini dissenzienti non possono chiedere
di essere esonerati dalla spesa.
Rinuncia
Il condomino non può, rinunciando al diritto sulle cose comuni, esimersi dal contribuire alla relativa
spesa. La Corte di Cassazione, però (Sentenza n 4652 del 27/4/1991), ha ritenuto legittima la
rinuncia avente per oggetto un impianto illegale (Pozzo nero in contrasto con le prescrizioni di legge
) e un impianto superfluo (Autoclave, in presenza di un impianto idrico pubblico perfettamente
funzionante).
Sicurezza
Dal 27/3/2008 è in vigore il decreto del Ministero dello sviluppo economico 22/1/2008, n 37,
contenente il regolamento di attuazione dell’articolo 11-quaterdecies, comma 13, lett. a ) della L.
2/12/2005, n 248, che prevede il riordino delle disposizioni in materia di attività d’installazione
degli impianti all’interno degli edifici. La normativa si applica praticamente a tutti gli impianti
esistenti in un condominio: da quelli elettrici (Per esempio pannelli solari e fotovoltaici, porte e
cancelli automatico, parafulmini), a quelli radiotelevisivi e di videosorveglianza (Antenne,
telecamere), da quelli idrici e sanitari a quelli per la distribuzione e l’utilizzazione di qualsiasi tipo di
gas, da quelli antincendio al riscaldamento, al condizionamento d’aria, agli ascensori. Il tecnicismo
della materia esula dagli intenti di questo scritto. Ci limitiamo a ricordare che per la progettazione,
l’ installazione, la trasformazione e l’ampliamento degli impianti dev’essere redatto un progetto a
cura di un professionista iscritto all’apposito albo. Al termine dei lavori, da eseguirsi a cura di un’
impresa abilitata, questa, dopo aver effettuato le verifiche di legge, deve rilasciare al committente
una dichiarazione di conformità dell’impianto alle norme che presiedono alla realizzazione e
installazione. In caso di rifacimento parziale del progetto, la dichiarazione di conformità e
l’attestazione di collaudo ove previsto, si riferiscono alla sola parte oggetto dello dell'opera di
rifacimento, tenendo però conto della sicurezza e della funzionalità dell’interno impianto. Nella
dichiarazione di conformità e nel progetto dev’essere indicata la compatibilità tecnica con le
condizioni preesistenti dell’impianti. La manutenzione ordinaria non comporta la redazione del
progetto né il rilascio dell’attestazione di collaudo, né l’obbligo di affidare i lavori ad un’impresa
abilitata. Fanno eccezione gli impianti di ascensori e montacarichi in servizio privato. Si è tenuti a
conservare la documentazione amministrativa e tecnica, nonché il libretto di uso e manutenzione, e
in caso di trasferimento dell’immobile, a qualsiasi titolo (Per esempio vendita, donazione) bisogna
consegnarla all’avente causa. Copia della stessa documentazione dev’essere consegnata anche al
soggetto che utilizza, a qualsiasi titolo, l’immobile. Le sanzioni, alla cui irrogazione provvede la
Camera si Commercio territorialmente competente, sono sostanzialmente due:
I° sanzione amministrativa da 100 a 1.000€ nel caso di mancato rilascio al committente, da parte
dell’ impresa installatrice, della dichiarazione di conformità. L’importo da irrogare al responsabile
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varia a seconda dell’entità e della complessità dell’impianto, dal grado di pericolosità e di altre
circostanze obbiettive e soggettive della violazione;
II° sanzione amministrativa da 1.000 a 10.000€ a chi si renda responsabile della violazione di
taluno degli altri obblighi previsti dal regolamento.
Anche in questo caso, nell’applicare la sanzione, si tiene conto dei suddetti elementi. La violazione
reiterata per la terza volta comporta anche, in casi di particolare gravità, la sospensione
temporanea dell’iscrizione dell’impresa abilitata al registro delle imprese e nell’albo provinciale delle
imprese artigiane, su proposta dei soggetti accertatori e su giudizio delle commissioni che
sovrintendono alla tenuta dei registri e degli albi. In ogni caso, alla terza violazione i soggetti
accertatori propongono agli ordini professionali provvedimenti disciplinari a carico degli iscritti nel
rispettivo albo. L’iniziativa per introdurre innovazioni finalizzate a migliorare la sicurezza degli
impianti può essere assunta da uno o più condomini, seguendo l’iter previsto per l’installazione di un’
>>Antenna,
Televisiva, Centralizzata. Spesa. Alla spesa richiesta dagli impianti comuni devono
contribuire tutti i condomini, in proporzione ai millesimi di proprietà. Se però un impianto serve
soltanto alcuni condomini, gli altri sono esonerati dal contribuire alla spesa, salvo un regolamento
contrattuale non disponga altrimenti (Corte di Cassazione 20/9/1991, n 9833). Sportivi. Le spese
di gestione e manutenzione degli impianti sportivi condominiali (Per esempio piscina, campo da
tennis, campo da calcetto) vanno divise in base ai millesimi di proprietà. Gli unici esonerati sono i
titolari dei negozi se, per la particolare struttura dell’edificio, non hanno accesso al servizio. Un
motivo di discussione potrebbe essere quello dell’utilizzo degli impianti da parte di persone invitate
dai condomini. Se il regolamento non ne vieta l’ accesso, esse sono ammesse a fruirne, trattandosi
(Tribunale di Milano 28/2/1991) di una modalità di utilizzazione del bene comune; il condomino non
deve però eccedere, perdendo di vista il rapporto fra le persone invitate (E la frequenza con la
quale le ospita) e i millesimi di cui è titolare. In particolare, per quanto concerne il campo da calcio,
se il regolamento prevede che una determinata area condominiale possa essere adibita a questo
sport, un condomino può provvedere a recintarla e a dotarla di porte e reti, con gli altri condomini
che acquistano la comproprietà dei manufatti in virtù del principio dell’accensione di cui all’articolo
934 e segg. Codice civile (Tribunale di Monza 22/1/1085). Questa stessa sentenza ha stabilito che
la soppressione o la sostituzione delle porte da calcio esistenti nello spazio condominiale può essere
deliberata con il, voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000.
INCENDIO
Anche se l’edificio è privo di servizio di portierato, il fatto che l’incendio sia stato provocato fa
soggetto estraneo al condominio, introdottosi nell’edificio attraverso il portone d’ingresso lasciato
incautamente aperto, non è di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità del condominio,
qualora si accerti che, per le particolari circostanze in cui è stato concretamente posto in essere l’
atto illecito, il suo compimento è stato reso possibile dall’assenza di idonea custodia da parte del
condominio. In particolare, il condominio è responsabile ai sensi dell’articolo 2051 del codice civile
se la propagazione dell’incendio è stata agevolata dalla natura infiammabile del materiale di
rivestimento delle scale; tale responsabilità deriva dall’inosservanza, da parte del condominio, dell’
obbligo di provvedere, in qualità di cestode delle parti comuni dell’ edificio, ad adottare tutte le
misure e le cautele atte ad eliminare le caratteristiche dannose della casa, in modo da impedire che
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dalla stessa derivino danni a terzi (Tribunale di Milano 11/8/1997). Se poi, a causa di un incendio
che coinvolge diverse autovetture parcheggiate nel cortile condominiale, si riceve un danno ma non
si riesce a stabilire da quale auto è partito il fuoco, al conseguente risarcimento possono o esse
chiamati, in solido fra loro, i proprietari di tutte le autovetture coinvolte nell’incendio. Sempre a
proposito di autoveicoli, se dall’incendio non doloso di un’autovettura parcheggiata sulla pubblica via
deriva un danno all’edificio condominiale, poiché i veicoli in sosta su strada pubblica sono da
considerare a tutti gli effetti in circolazione, i danni sono risarcibili dalla Compagnia che assicura il
veicolo per la responsabilità civile automobilistica, indipendentemente dall’ esistenza di una clausola
di incendio e furto (Giu.pa Caltanisetta 20/1/2004, n 783).
Adeguamento normativa antincendio
Dalla sentenza con la quale la Corte di Cassazione ha posto a carico dei soli proprietari di
autorimessa la spesa richiesta dell’introduzione delle >>Porte tagliafuoco si deduce che anche la
spesa occorrente all’adeguamento di questi locali alla normativa antincendio, e quella per il rilascio
del certificato di prevenzione incendi, debbano essere ripartite soltanto fra i rispettivi proprietari.
Porte tagliafuoco. La Corte di Cassazione (Sentenza n. 7077 del 22/6/1995) ha stabilito che la
spesa occorrente all’ introduzione delle porte tagliafuoco per le autorimesse fa carico, salvo
contrario convenzione, esclusivamente ai proprietari di queste, a nulla rilevando, ha precisato la
Corte d’Appello di Roma (Sentenza del 24/4/1991), che tale intervento attenga alla sicurezza dell’
intero edificio.
INFERRIATE
Un’esigenza molto sentita, soprattutto nelle zone ad elevato rischio di furti, è quella di dotare le
finestre di inferriate. Questo intervento dev’essere coniugato con il decoro architettonico
dell’edificio, ma se il pregiudizio estetico non è economicamente apprezzabile è consentito in quanto
finalizzato alla tutela della sicurezza di persone e beni (App. Milano 14/4/1989). Naturalmente le
inferiate non possono essere realizzate in modo tale (Per esempio per linee orizzontali) da
agevolare la scalata ai piani superiori dell’edificio da parte di malintenzionati, altrimenti si può
pretendere che vengano modificate. Se l’esigenza di sicurezza riguarda un locale condominiale,
l’installazione di inferriate può essere deliberata con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000, trattandosi di modifica diretta
di miglioramento di una parte comune dell’edificio (>>Innovazioni, Differenza fra innovazione e
modifica).
INFILTRAZIONI
Acqua piovana
Se il danno prodotto dall’acqua piovana interessa la terrazza a livello di un condomino, che non abbia
funzione di copertura dell’edificio, sarà questi a doverlo sopportare. Se invece la terrazza funge
anche da copertura alle sottostanti unità immobiliari, la spesa va ripartita in ragione di un terzo a
carico del proprietario e due terzi a carico dei condomini alle cui unità immobiliari la terrazza serve
da copertura.
Acque nere
Se il danno è causato dalla rottura dei servizi igienici di un’unità immobiliare ne risponde il
proprietario di questa (Corte di Cassazione 30/12/1964, n 299). Se invece è prodotto dalla
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tubatura comune ne risponde il condomino, con onere da ripartirsi fra i condomini in proporzione ai
millesimi di proprietà salvo diveso accordo.
Cantina
L’eliminazione delle macchie di umidità provenienti dal sottosuolo dell’edificio formatesi nella
cantina di un condomino fa carico allo stesso condomino; se però le macchie superano la normale
tollerabilità di cui all’articolo 844 codice civile, tenuto a provvedere è il condomino (Corte di
Cassazione 29/11/2011, n 25239).
Lucernario
Se le infiltrazioni provengono da un lucernario non apribile, la spesa va ripartita fra tutti i
condomini, seguendo il criterio previsto per il tetto, vale a dire in proporzione ai millesimi di
proprietà. Se invece il lucernario è apribile, occorre stabilire se sia stato usato impropriamente o
meno da un condomino; in caso affermativo, infatti, sarà questi a doversi fare esclusivo carico della
spesa.
Muro perimetrale
I muri perimetrali rientrali fra le parti comuni dell’edificio, di cui il condomino è custode. Pertanto,
se le infiltrazioni di acqua che si manifestano in corrispondenza di un appartamento di proprietà di
un condomino provengono da un muro perimetrale, riparazione e risarcimento del danno sono a
carico di tutti i condomini, in proporzione ai millesimi di proprietà, con il condomino che ha subito il
danno in veste sia di danneggiato che di danneggiante, per cui il risarcimento andrà ridotto della
quota a suo carico. Se poi l’inconveniente è tale da configurare un “Grave difetto“ di costruzione, e
la garanzia decennale non è scaduta, sia il danneggiato che il condomino possono agire nei confronti
del costruttore per ottenere sia l’eliminazione dell’inconveniente che il risarcimento del danno
(Corte di Cassazione 15/4/1999, n 3753) dev’essere risarcito sia il danno patrimoniale che il danno
non patrimoniale, mentre la corte di Cassazione (Sentenza n. 6128 del 19/4/2012) ha precisato
che, se il condomino è costretto, a causa delle infiltrazioni, a trasferirsi, in attesa che
l’appartamento venga reso di nuovo agibile, in altro alloggio preso in locazione, il condomino è tenuto
a farsi carico anche di questa spesa.
Tetto e lastrico solare
Se le infiltrazioni provengono sia dal tetto che dal lastrico solare di cui un condomino abbia l’uso
esclusivo, per la ripartizione della spesa si dovranno seguire due diversi criteri: uno per il tetto
(millesimi di proprietà) e uno per il >>Lastrico solare. Di uso esclusivo. Se però le infiltrazioni sono
dovute al fatto e colpa di chi usa in via esclusiva il lastrico solare, sarà questi a doversi fare
esclusivo carico della spesa. Se il condomini la cui unità immobiliare sia stata danneggiata da
infiltrazioni di acqua provenienti dal tetto rifiuta l’offerta di una riparazione immediata, il
risarcimento per mancato godimento dell’immobile dev’essere limitato al periodo intercorrente tra
l’evento che ha causato il danno e il momento in cui viene fatta l’offerta di riparazione, oltre al
periodo occorrente all’esecuzione dei lavori (Corte di Cassazione 3/ 8/2012, n 13936 ).
INFISSI
Gli infissi - finestre, porte-finestre, persiane, tapparelle >>Finestra, Doppie finestre - sono
pertinenza delle singole unità immobiliari e di conseguenza ogni spesa grava sul proprietario. Nel
provvedere alla loro riverniciatura il condomino deve attenersi, a salvaguardia del decoro
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architettonico dell’ edificio, al colore preesistente. Stando a una sentenza del Tribunale di Milano
del 30/12/1991, è ammessa una certa tolleranza; i giudici, infatti, hanno ritenuto il marroncino
(Colore adottato dal condomino) compatibile con il beige della facciata. Dato che oramai tutte le
aziende che producono vernici e smalto hanno un catalogo numerato, è consigliabile farsi dire
dall’ amministratore marca e numero di colore del prodotto, in modo da usare lo stresso tipo. Se ciò
non fosse possibile perché sono passati molti anni dall’ultima tinteggiatura, è meglio attenersi al
colore preesistente, o quanto meno farsi autorizzare dagli altri condomini ad adottarne uno diverso.
Di regola non sono ammesse iniziative individuali, ma è l’assemblea a decidere se cambiare il colore
di tutti gli infissi, vincolando quindi anche la minoranza dissenziente. Questo intervento rientra nel
concetto di manutenzione, se non di migliore utilizzazione della cosa comune, e in quanto tale può
essere deliberato con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000 (Maggioranza degli intervenuti e almeno 340/1.000 in
seconda convocazione, Corte i Cassazione 7/11/1997, n 4755). Anche l’eventuale modifica degli
infissi ad opera di un condomino, sempre che non sia vietata dal regolamento, deve fare i conti con
la salvaguardia del decoro architettonico dell’edificio. Chi intende farvi luogo deve darne preventiva
notizia all’amministratore, specificando i dettagli dell’intervento e le modalità dell’esecuzione.
L’amministratore, a sua volta, ne riferisce all’assemblea (Secondo comma articolo 1122 codice
civile).
INNOVAZIONI
Fra le decisioni più delicate che l’assemblea è chiamata ad adottare rientrano quelle aventi per
oggetto le innovazioni. Il primo comma dell’articolo 1120 codice civile autorizza le innovazioni
dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni,
introducibili con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 667/1.000. Un quorum inferiore e in prima convocazione (Maggioranza
degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000) è invece richiesto al
secondo comma dello stesso articolo per le innovazioni che, nel rispetto della normativa di
settore, hanno per oggetto:
a ) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità dell’edificio e degli
impianti;
b) le opere e gli interventi finalizzati all’eliminazione delle barriere architettoniche, al
contenimento del consumo energetico, alla realizzazione di parcheggi destinati a servizio delle
unità immobiliari o dell’edificio, nonché alla produzione di energia mediante l’utilizzo di impianti
di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di
terzi che conseguono a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico
solare o di altra idonea superficie comune;
c ) l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a
qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi
collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non
comportano modifiche i grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli
altri condomini di farne uso secondo il loro diritto. Il condomino che intenda introdurre taluna
delle innovazioni sopra elencate deve farne richiesta all’amministratore, indicando il contenuto
specifico e le modalità di esecuzione degli interventi proposti. L’amministratore deve convocare
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l’assemblea entro 30 giorni dalla richiesta. Sono vietate le innovazioni che possono recare
pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o
che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo
condomino. La disposizione dell’articolo 1138 codice civile, per il quale le norme del regolamento di
condominio non possono in nessun caso derogare, tra l’altro, a quanto stabilito dall’articolo 1120 in
materia di innovazioni, si riferisce, oltre che al regolamento approvato dall’assemblea con la
prevista maggioranza, anche al regolamento predisposto dall’unico, originario proprietario e
accettato dai condomini con l’atto di acquisto dell’ immobile di proprietà esclusiva (Corte di
Cassazione 26/5/1990, n 4905).
Differenza tra innovazione e modifica
La differenza fra innovazione e modifica rileva ai fini del diverso quorum richiesto affinché la
relativa delibera passi nell’assemblea di prima convocazione: voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 667/1.000, per l’innovazione (Quinto comma articolo 1136
c. c.), maggioranza degli intervenuti e almeno 500/1.000 per la modifica (secondo comma stesso
articolo). Si tratta, in sostanza, di una differenza di tipo quantitativo; infatti, mentre l’innovazione
è una trasformazione materiale della osa comune, che ne altera la sostanza o ne muta la
destinazione originaria, la modifica mira a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa
comune da parte di uno o più condomini, lasciandone immutata la consistenza e la destinazione, in
modo da non turbare i concorrenti interessi degli altri condomini (Corte di Cassazione 20/08/1986,
n 5101). Ovviamente stabilire se si tratti di innovazione o di modifica è accertamento che
dev’essere condotto caso per caso: è stata, per esempio, considerata innovazione la sostituzione di
due centrali termiche con un unico impianto Tribunale di Sanremo 23/02/1999), mentre sono stati
considerati semplice modifica la sostituzione della pavimentazione del lastrico solare con
mattonelle di altro tipo (Corte di Cassazione 5/11/1990) e il modesto restringimento di un viale di
accesso pedonale (Corte di Cassazione 23/10/1999, n 11936).
Gravosa o voluttuaria
L’articolo 1121 codice civile stabilisce che, se l’innovazione comporta una spesa molto gravosa o ha
carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio, e consiste in
opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini non interessati sono
esonerati da qualsiasi contributo alla spesa. In questa ipotesi, l’innovazione può essere introdotta a
cura e spese del condomino (O del gruppo di condomini) che intende avvalersene. Per stabilire se
l’innovazione comporta o meno una spesa molto gravosa, o se abbia o meno carattere voluttuario, è
necessario quindi valutarla in relazione alle caratteristiche dell’edificio (Corte di Cassazione
18/01/1984, n 428). L’onere di provare che si tratta d’innovazione gravosa o voluttuaria fa carico
al condomino che intende sottrarsi alla spesa (Corte di Cassazione 23/04/1981, n 2408 ). E’ invece
ininfluente, ai fini della valutazione dell’onerosità dell’innovazione, il reddito più o meno elevato dei
condomini che abitano l’immobile (Tribunale di Milano 04/05/1989). I condomini che non intendono
contribuire alla spesa richiesta da innovazione gravosa o voluttuaria devono far mettere a verbale il
loro dissenso o impugnare la delibera che l’ha provocata (Corte di Cassazione 17/04/1969, n 1215).
Essi e i loro eredi o aventi causa possono però, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi
dell’innovazione, diventandone quindi comproprietari, anche se abbia comportato l’occupazione da
parte di uno spazio di proprietà esclusiva del condomino che l’ha introdotta (Corte di Cassazione
01/04/1995, n 3840). La possibilità di aderire all’innovazione è subordinata alla condizione di
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contribuire alle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera, spese opportunamente rivalutate;
fino a quel momento la proprietà dell’innovazione spetta a chi l’ha introdotta ( Corte di Cassazione
01/04/1995, n 3840). Se l’utilizzo separato non è possibile l’innovazione non è consentita, a meno
che la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata o accettata non ne sopporti integralmente il
costo.
Introdotta da un condomino
Un condomino può introdurre a propria cura e spese, senza autorizzazione dell’ assemblea (Ma è
preferibile procurarsela per evitare discussioni), una modifica della cosa comune, nel rispetto dei
limiti fissati dal primo comma dell’articolo 1102 codice civile: non alterarne la destinazione e non
impedire agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Per introdurre un’
innovazione, invece, trattandosi di alterare la sostanza della cosa comune o di mutarne la
destinazione originaria (>>Differenza fra innovazione e modifica), è indispensabile l’autorizzazione
dell’assemblea o il consenso di tutti gli altri condomini, a seconda del tipo d’intervento.
INSEGNA
In virtù del principio scolpito nell’articolo 1102 codice civile, per il quale ciascun condomino può
servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini
di farne parimenti uso secondo il loro diritto, è possibile utilizzare le superfici comuni, per esempio
i muri perimetrali, per opporvi insegne (Anche luminose, Corte di Cassazione 03/02/1998, n 1046)
e targhe che segnalino il luogo di esercizio di un’ attività artigianale, commerciale o professionale;
ciò anche se si tratta di occupare una parte di muro comune corrispondente all’ unità immobiliare di
un altro condomino (Corte di Cassazione 09/07/1973, n 1975). Lo stesso diritto è accordato al
conduttore; quindi, infatti, ha sulle parti comuni gli stessi diritti, e incontra gli stessi limiti, del
condomino-locatore (Corte di Cassazione 21/09/1988, n 5189). Non occorre autorizzazione dell’
amministratore o dell’assemblea (Anche se è sempre meglio procurarsela), a meno che ciò non sia
previsto da un regolamento contrattuale o non venga deliberato dai condomini all’umanità ( Corte di
Cassazione 03/09/1993, n 9311). Se però l’insegna, per dimensioni o ubicazione, arreca pregiudizio
alla proprietà esclusiva di un condomino, la sua collocazione è da ritenersi illegittima (Corte di
Cassazione 03/02/1998, n 1046 ). Un’insegna può essere collocata anche nel vano di una finestra
(Tribunale di Roma 01/03/1986), ma è opportuno acquisire l’autorizzazione dell’assemblea per
evitare dispute su di una possibile alterazione del decoro architettonico dell’edificio. Il Tribunale di
Brescia (Sentenza del 26/04/1994), per esempio, ha considerato illegittima la collocazione di
insegne luminose, targhe e cartelli pubblicitari sul portone d’ingresso, sul muro e nel corridoio dell’
atrio condominiale, avendo ritenuto tale utilizzo in contrasto con la destinazione tipica di queste
parti comuni dell’ edificio. La previsione di un corrispettivo a carico di chi voglia collocare un’insegna
nel rispetto di suddetti limiti è stata ritenuta illegittima dal Tribunale di Roma (Sentenza del
30/01/1996), poiché l’assemblea non può imporre ai condomini, per l’uso della cosa comune,
l’adempimento di oneri che non siano diretti a evitare l’alterazione della suddivisione della cosa e
che ne sia impedito il pari uso da parte di tutti i partecipanti al condominio.
LETTERA
LASTRICO
SOLARE
100
L
La copertura di molti edifici è costituita, in tutto o in parte, non dal tetto ma dalla terrazza,
tecnicamente indicata come lastrico solare. Questo spazio può essere condominiale, cioè di
proprietà comune, oppure destinato all’uso esclusivo di un condomino che, il più delle volte, coincide
con il proprietario dell’attico. Il lastrico solare non va confuso con la terrazza a livello, cioè con la
superficie scoperta destinata non tanto a coprire il verticale sottostante dell’edificio, quanto e
soprattutto a dare un affaccio e ulteriori comodità all’appartamento cui è collegata e dal quale
costituisse una protezione verso l’esterno. Cioè non esclude che la funzione di lastrico solare possa
essere assolta da una terrazza a livello, quando questa sia posta a copertura dei piani sottostanti
(Corte di Cassazione 16/5/1963, n 1224).
Condominiale
Se il lastrico solare è comune la sua utilizzazione è consentita a tutti i condomini, che possono
servirsene, salvo controindicazioni contenute nel regolamento (Che deve però essere contrattuale)
e a condizione di non pregiudicare il pari diritto degli altri comproprietari, per le finalità più
disparate: per esempio per collocarvi un’antenna, stendervi biancheria, battervi tappeti, prendervi il
sole. Il condomino non potrebbe invece attrarre il lastrico nell’orbita della propria disponibilità
esclusiva, per esempio realizzandovi un vano (Corte di Cassazione 2/2/2005, n 2099) o
trasformandolo in terrazza a livello da lui solo praticabile, neppure se la trasformazione dovesse
essere parziale (Corte di Cassazione 3/8/1962, n 2358 ), perché in tal modo si verrebbe ad
alterare l’originaria destinazione della cosa comune, sottraendola alla possibilità di utilizzo da parte
degli altri condomini (Corte di Cassazione 19/1/2006, n 972). Alla spesa occorrente alla
manutenzione e alla ricostruzione del lastrico condominiale devono contribuire tutti i condomini,
anche se il lastrico funge da copertura soltanto ad alcune unità immobiliari (Corte di Cassazione
20/3/2009, n 6889).
Coibentazione
La spesa occorrente alla coibentazione del lastrico solare comune dev’essere suddivisa in
proporzione ai millesimi di proprietà, salvo diverso accordo al quale abbiano aderito tutti i
condomini.
Collegamento alla propria unità immobiliare
Il collegamento, da parte di un condomino, del proprio appartamento al lastrico solare condominiale,
realizzato mediante la costruzione di una scala, non costituisce innovazione vietata (App. Milano
1/3/1968 ). Lo stesso dicasi se il collegamento avviene mediante l’apertura di una porta del muro di
proprietà esclusiva (Corte di Cassazione 2/2/2005, n 2099).
Pavimentazione
La sostituzione della pavimentazione del lastrico solare comune non è riguardabile come
innovazione; può pertanto essere deliberata con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Corte di Cassazione 5/11/1990,
n 10602).
Sostituzione con tetto
Per deliberare la sostituzione del lastrico solare con il tetto è necessaria l’unanimità poiché, pur
restando immutata la funzione di copertura, risultano compromesse le facoltà accessorie di
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godimento consentite dal lastrico, quali l’accessibilità, l’affaccio e la permanenza, senza che il danno
sia compensato da alcun vantaggio (Tribunale di Nocera Inferiore 8/10/2002).
Di uso esclusivo
Al condomino che abbia l’uso esclusivo del lastrico solare spetta il diritto di >>Sopraelevazione,
salvo che dal rogito non risulti il contrario. A riguardo il costruttore può, in sede di vendita
frazionata dell’edificio, riservarsi la sola proprietà del lastrico solare per poter usufruire del
diritto di sopraelevazione, ma è necessario uno specifico atto negoziale (Corte di Cassazione
16/7/2004, n 13279). Il proprietario esclusivo del lastrico può anche apportarvi tutte le
modifiche richieste da una sua migliore fruibilità, purché non ne pregiudichino la funzione di
copertura (Corte di Cassazione 6/6/1969, n 1995) e non comportino danni o limitazioni a carico
degli altri condomini. Egli è inoltre ammesso a rinunciare al particolare diritto di uso di questa
struttura, a norma dell’articolo 1104 codice civile, facendo trasferire agli altri condomini il
godimento particolare del bene, con la conseguenza di sottrarsi all’ obbligo di contribuire alla quota
di spesa che la legge ricollega a tale godimento (Corte di Cassazione 10/4/1996, n 3294).
Coibentazione
Se la posa in opera del materiale isolante è indispensabile alla funzionalità del lastrico di cui un
condomino abbia l’uso esclusivo, la spesa va suddivisa seguendo il criterio stabilito dall’articolo 1126
codice civile (>>Riparazione e ricostruzione). Se invece la coibentazione non è indispensabile alla
funzionalità del lastrico, ma serve soltanto ad isolare termicamente e acusticamente la sottostante
unità immobiliare, la spesa grava sul proprietario di questa.
Costruzione
Il proprietario esclusivo del lastrico solare, che in presenza di un divieto contenuto nel regolamento
intenda ampliare o ristrutturare un locale destinato a stenditoio e lavatoio per aumentare la
cubatura del proprio appartamento, necessita dell’autorizzazione dell’assemblea, pena
l’abbattimento dell’eventuale costruzione realizzata (Corte di Cassazione 16/4/2008, n 10040).
Danni
Il condomino che ha l’uso esclusivo del lastrico solare è tenuto ad avvisare tempestivamente l’
amministratore non appena riscontri un danno alla struttura. Se il condominio, pur ripetutamente
diffidato dal proprietario non provvede alla riparazione con la dovuta tempestività, la relativa spesa
verrà suddivisa fra tutti i proprietari, compreso il denunciante, in proporzione ai millesimi di
proprietà e non sulla base del criterio detto dall’articolo 1126 codice civile (Tribunale di Napoli
26/9/1984,
>>Riparazione e ricostruzione). Qualora, invece, il danno sia riconducibile unicamente a
fatto e colpa del proprietario esclusivo del lastrico, questi deve farsi carico dell’ intera spesa (App
di Cagliari 20/2/1964), come pure dovrà accollarsi l’intero costo nel caso in cui la riparazione si
rendesse necessaria non per vetustà ma per difetto originario di progettazione o di costruzione
indebitamente tollerato, salva la possibilità di rivalersi, ricorrendone i presupposti (per esempio
garanzia decennale non scaduta), nei confronti del costruttore (Corte di Cassazione 18/6/1998, n
6060).
Giardino pensile
Se sul lastrico solare di uso esclusivo vi è un giardino pensile, e si rendono necessari lavori per
eliminare le infiltrazioni di acqua e umidità, la spesa occorrente alla rimozione e al ripristino del
giardino è a carico del proprietario che ha l’uso esclusivo del lastrico; ciò in quanto il criterio di
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ripartizione della spesa dettato dall’articolo 1126, codice civile (>>Riparazione e ricostruzione) si
riferisce solo alle riparazioni riguardanti il manufatto posto alla sommità della costruzione, non
anche a ciò che vi è sovrapposto e che, pur essendo ad esso collegato, è dotato di una propria
autonomia strutturale e funzionale (Corte di Cassazione 4/6/2001, n 7472). Se poi le infiltrazioni
dipendono esclusivamente dalla cattiva manutenzione del giardino, il proprietario dovrà farsi
esclusivo carico anche della spesa occorrente alla loro eliminazione.
Riparazione e ricostruzione
L’articolo 1126 codice civile parla di “riparazione“ e di “ricostruzione“. Riparazione è sinonimo di
manutenzione, mentre nel concetto di ricostruzione sono compresi gli interventi che incidono sugli
elementi strutturali del lastrico, quali per esempio il solaio portante e la guaina impermeabilizzante
(Corte di Cassazione 25/2/2002, n 2726). Le spese occorrenti alla riparazione e alla ricostruzione
del lastrico solare di uso esclusivo di un condomino vanno suddivise, salvo diverso accorso al quale
abbiamo aderito tutti i condomini, seguendo il criterio dettato dall’articolo 1126 codice civile: un
terzo a carico del proprietario esclusivo del lastrico ed i restanti due terzi a carico dei condomini
alla cui unità immobiliari il lastrico serve da copertura, in proporzione ai millesimi di proprietà.
Questo criterio si applica non solo alle spese riguardanti il rifacimento o la manutenzione del solaio
o del manto impermeabilizzante, ma anche a quelle rese necessarie da questi interventi: per
esempio rifacimento della pavimentazione, trasporto e discarica dei detriti ( Corte di Cassazione 19
/10/1992, n 11449). Se il condomino che ha l’uso esclusivo del lastrico solare è anche proprietario
di un’unità immobiliare ubicata sotto la sua verticale (Per esempio Autorimessa), deve contribuire
ad entrambe le quote di spesa. Se poi il lastrico funge da copertura a uno spazio comune ( Per
esempio androne, scala), a questa parte di spesa devono contribuire tutti i condomini, anche quelli le
cui unità immobiliari non siano coperte dal lastrico. Se, infine, una parte del lastrico aggetta
rispetto al perimetro del fabbricato, la relativa spesa grava esclusivamente sul proprietario del
lastrico, salvo diverso accordo al quale abbiano aderito tutti i condomini. Sono ad esclusivo carico
del condomino che ha l’uso esclusivo del lastrico i costi relativi agli elementi collegati al suo
godimento diretto e avulsi alla funzione di copertura: come quelli occorrenti alla manutenzione delle
ringhiere e dei parapetti (Corte di Cassazione 25/2/2002, n 2726), funzionali alla sicurezza del
calpestio (Corte di Cassazione 28/9/2012, n 16583). Il proprietario esclusivo del lastrico è tenuto
a contribuire alla spesa anche nel caso in cui le norme edilizie vietano la sopraelevazione nella zona
in cui è ubicato l’edificio (Corte di Cassazione 29/11/1999, n 13328). Se il lastrico solare di uso
esclusivo non funge da copertura delle sottostanti unità immobiliari, ma raccoglie le acque di scolo
provenienti da parti comuni dell’edificio, alla spesa devono contribuire sia il proprietario esclusivo
che gli altri condomini che traggono utilità dal lastrico, in proporzione al vantaggio di ciascuno (
Corte di Cassazione 16/4/1999, n 3803). Nel deliberare il rifacimento del lastrico, di cui sia
proprietario esclusivo un condomino, l’assemblea non può deliberare che esso venga ricostruito in
modo da modificarne l’aspetto estetico (Tribunale di Sanremo 12/12/1990).
Tubatura
Se, a causa dell’usura di una tubatura condominiale inserita nel lastrico solare di proprietà esclusiva
di un condomino, si rende necessario smantellare la pavimentazione, la spesa va ripartita fra tutti i
condomini in base ai millesimi di proprietà. Se però, con l’occasione, si provvede, per esempio, anche
al rifacimento dell’impermeabilizzazione e della coibentazione, per questa parte di spesa si applica
103
al criterio ordinario: un terzo a carico del proprietario esclusivo del lastrico ed i restanti due terzi
a carico dei condomini alle cui unità immobiliari il lastrico serve da copertura.
Veranda
Se una parte del lastrico viene successivamente occupata da una veranda la cui costruzione sia
stata autorizzata e le cui caratteristiche, per materiali utilizzati e stabilità, siano assimilabili a
quelle di un tetto, al criterio di ripartizione della spesa previsto per il lastrico solare di uso
esclusivo si sostituisce, per la parte edificata, quello previsto per il tetto ( Concorso di tutti i
condomini in proporzione ai millesimi di proprietà).
LAVORI CONDOMINIALI
Delibera
La delibera che autorizza l’amministratore a scegliere l’impresa cui affidare i lavori sulle parti
comuni dell’ edificio può essere adottata (Corte di Cassazione 11/7/2003, n 10937) con il voto
favorevole della maggioranza degli interventi all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/
1.000. Se però si tratta di lavori straordinari di notevole entità è necessario, anche in seconda
convocazione, il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno
500/1.000. Le decisioni sui lavori di manutenzione straordinaria non possono essere demandate a
una commissione composta di alcuni condomini (>>Consiglio di condominio), trattandosi di materia
riservata alla competenza esclusiva dell’assemblea (Tribunale di Napoli 14/7/1987). La delibera
avente per appoggio l’approvazione del piano di riparto delle spese attinenti ai lavori di
ristrutturazione, che non contenga alcuna specificazione circa la natura della spesa, il costo totale
dell’ intervento, le voci che lo compongono e il criterio di riparto adottato, è nulla perché rende
impossibile qualsiasi tipo dio controllo da parte dei condomini sulla legittimità delle spese
addebitare e sulla misura della quota di contribuzione ( Tribunale di Roma 18/5/2005).
Indispensabili
Se si rendono necessari lavori indispensabili sulle parti comuni dell’edificio o in singole unità
immobiliari nell’interesse di tutti i condomini (Si pensi a un infisso pericolante), e i rispettivi
proprietari non si attivano, gli altri condomini possono provvedere all’effettuazione dei lavori,
facendo ricorso a prestiti bancari, con diritto al rimborso anche per quanto attiene gli interessi
passivi idoneamente documentati (Corte di Cassazione 11/6/1986, n 3860). Lo stesso vale se alcuni
condomini si oppongono ingiustificatamente all’ effettuazione dei lavori (Corte di Cassazione
30/5/1978, n 2748 ). Naturalmente per i lavori riguardanti le unità immobiliari, occorre il consenso
del proprietario, pena la nullità della relativa delibera (Corte di Cassazione 30/12/1997, n 13116),
o l’autorizzazione del giudice.
Infortunio
Nell’affidare l’esecuzione di lavori di ristrutturazione è opportuno rivolgersi a un’impresa rispettosa
delle norme sulla sicurezza del lavoro. Infatti, se durante l’esecuzione dei lavori un operaio o un
artigiano s’infortuna, il condominio se risponde, poiché il committente non è esonerato, neanche alla
presenza di un contratto di appalto, dalle responsabilità connesse alla mancata osservanza degli
obblighi imposti dalla legge in materia di sicurezza del lavoro (Corte di Cassazione 19/12/2008, n
47370). Successivamente la Suprema Corte (Sentenza n. 36581 del 21/9/2009) ha stabilito che,
se il condominio, anziché affidare i lavori a una ditta specializzata, li ha commissionati a un singolo
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operaio senza adottare le misure infortunistiche, in caso d’infortunio mortale risponde di omicidio
colposo.
Manutenzione
L’amministratore può disporre l’esecuzione di lavori di ordinaria manutenzione anche senza
autorizzazione dell’assemblea, poiché ciò rientra fra le sue attribuzioni (Corte di Cassazione
18/8/1986, n 5068). Per i lavori di manutenzione straordinaria è invece necessaria l’autorizzazione
di quest’organo, altrimenti l’amministratore risponde in proprio nei confronti dei terzi ( Corte di
Cassazione 7/5/1987, n 4232). Fanno eccezione i lavori urgenti, ma in questo caso l’amministratore
ne deve riferire alla prima assemblea (Secondo comma articolo 1135 codice civile). L’assemblea può
sempre, nell’esercizio dei poteri previsti da questo stesso articolo, ratificare la spesa effettuata
dall’amministratore in ordine ai lavori di manutenzione straordinaria delle parti comuni, ancorché
non indifferibili e urgenti (Corte di Cassazione 7/2/2008, n 2864). Se l’amministratore affida a
un’impresa l’effettuazione di un lavoro di manutenzione straordinaria urgente, i condomini
rispondono delle relative obbligazioni poiché l’amministratore, quando agisce nei limiti dei poteri
attribuitigli dalla legge, rappresenta il condominio, per cui gli effetti del suo operato ricadono
direttamente su questo qualora ne abbia speso il nome (Corte di Cassazione 18/3/2010, n 6557).
L’amministratore che, al termine dei lavori, presenti un conto superiore a quello del preventivo
approvato dall’assemblea, risponde della differenza (Corte di Cassazione 11/5/2012, n 7401).
Ordinaria
Rientrano nel concetto di manutenzione ordinaria tutti gli interventi di riparazione, rinnovamento e
sostituzione delle finiture degli edifici e quelli necessari a integrare o mantenere in efficienza gli
impianti tecnologici esistenti (Articolo 31, lett. A) della L. 5/8/1978, n 457, confluito nell’articolo
3 del DPR 6/6/2001, n 380). Gli interventi di manutenzione ordinaria possono essere approvati
dall’assemblea con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di
almeno 500/1.000.
Straordinaria
Per interventi di manutenzione straordinaria s’intendono le opere e le modifiche necessarie per
rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i
servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole
unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d’uso (Articolo 31, lett. B) della L.
5/8/1978, n 457, confluito nell’articolo 3 del DPR 6/6/2001). Questi interventi possono essere
deliberati dall’assemblea con la stessa maggioranza prevista per i lavori di ordinaria
amministrazione (Vedi sopra). Se però si tratta d’intervenire sulle parti comuni con opere
straordinarie di notevole entità è richiesto il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti
all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000, sia in prima che in seconda convocazione.
L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano
carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea ( Secondo comma articolo
1135 codice civile). Se poi affidata a un’impresa l’effettuazione di un lavoro di manutenzione
straordinaria urgente, i condomini rispondono della relativa obbligazione poiché l’amministratore,
quando agisce nei limiti dei poteri attribuitigli dalla legge, rappresenta il condominio, per cui gli
effetti del suo operato ricadono direttamente su questo qualora ne abbia speso il nome ( Corte di
Cassazione 18/3/2010, n 6557).
Vendita
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Nei rapporti fra venditore e acquirente di un’unità immobiliare, in mancanza di diverso accordo fra
le parti, obbligato al pagamento delle spese per lavori straordinari è chi risulta proprietario nel
momento in cui la spesa viene deliberata (>>Contributi condominiali. Acquirente).
LOCAZIONE
L’assemblea può, a maggioranza, concedere in locazione a un condomino o a terzi un locale comune
solo se non è possibile un’utilizzazione diretta di esso da parte dei condomini, neppure attraverso
l’istituzione di turni. In caso contrario occorre il consenso di tutti i condomini (Corte di Cassazione
27/10/2011, n 22435). Il contratto di locazione di un bene comune altrimenti non utilizzabile dai
condomini può essere stipulato dall’amministratore anche senza autorizzazione dell’assemblea, che
può ratificarlo a maggioranza (Corte di Cassazione 21/10/1998, n 1998, n 10446, con riferimento
a un appartamento), trattandosi di atto di ordinaria amministrazione attraverso il quale è possibile
conseguire la finalità del “miglior godimento delle cose comuni“. La Suprema Corte (Sentenza n.
3653 dell’8/4/1998), ammette che a stipulare questi tipo di contratto possa essere anche un
singolo condomino, perché in mancanza di prova contraria i condomini hanno pari poteri di gestione e
si presume che ciascuno agisca con il consenso degli altri. Preferibile, però, che un’iniziativa del
genere venga posta in essere dall’amministrazione previamente autorizzato dall’assemblea. Se la
durata della locazione supera i nove anni, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione il
contratto richiede il consenso di tutti i condomini (Tribunale di Cagliari 7/6/1993 ) e dev’essere
trascritto presso l’Agenzia del territorio (Articolo 2463, n 8, codice civile). Nei confronti del
conduttore che sia in buona fede, il contratto ultranovennale è valido anche se firmato da un
condomino, ma gli altri condomini possono agire nei confronti di questo per il risarcimento degli
eventuali danni (Corte di Cassazione 9/11/1982, n 5890) se un contratto di locazione era stato
stipulato nell’ interesse del condominio, da tutti i condomini, alla scadenza la delibera se rinnovare o
meno l’accordo può essere adottata a maggioranza (Corte di Cassazione 25/7/1995, n 8085).
Canone
L’assemblea, nel concedere il locazione un bene comune, non può preferire un condomino a un altro,
se questi offrono un canone maggiore; la relativa delibera che non fosse adeguatamente motivata
sarebbe nulla per eccesso di potere. Rientra fra gli atti di ordinaria amministrazione posti in essere
dall’assemblea deliberare di accantonare temporaneamente i canoni di locazione provenienti da un
bene condominiale (Corte di Cassazione 13/2/1988, n 1553).
Prelazione
Se il condominio decide di concedere in locazione una parte comune dell’ edificio, il condomino non
ha il diritto di prelazione, a parità di condizioni, rispetto a un estraneo, neppure se le condizioni
offerte sono, per il condomino, più favorevoli di quelle offerte dal terzo ( Corte di Cassazione
22/3/2001, n 4131). L’assemblea, però, deve adeguatamente motivare l’eventuale preferenza
accordata al terzo che offre un canone inferiore, pena nullità della delibera per eccesso di potere).
Privacy
Il Garante della privacy, con provvedimento del 20/11/2008, ha vietato la diffusione a terzi, in
bacheca o in altro luogo nel quale siano viabili da chiunque, dei dati personali riferiti, anche
indirettamente, al conduttore intestatario di un contratto di locazione.
LUCERNARIO
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Il lucernario, a differenza dell’>>Abbaino, è un’apertura dotata di finestra, praticata nel tetto per
dare aria e luce al sottostante locale, laddove l’abbaino comporta anche la costruzione di una
sovrastruttura. Il proprietario del sottotetto può aprirvi un lucernario, trattandosi di facoltà
rientrante nel diritto, previsto dal primo comma dell’articolo 1102 codice civile, di apportare alle
cose comuni le modifiche necessarie al loro miglior godimento (Corte di Cassazione 24/2/1964, n
391). Ne deve però dare preventiva notizia all’amministratore, specificando i dettagli
dell’intervento e le modalità di esecuzione. L’amministratore, a sua volta, ne riferisce all’assemblea
(Secondo comma articolo 1122 codice civile). Il Comune può subordinare il rilascio del permesso di
costruire all’autorizzazione dell’assemblea (TAR Toscana 20/7/1990, n 381). Il lucernario
dev’essere costruito e messo in opera a regola d’arte, e non deve pregiudicare la funzione di
copertura del tetto, né ledere altrimenti il diritto degli altri condomini (Tribunale Ariano Irpino
21/9/2006). Il contro lucernario delle scale, che sia privo tanto di una funzione di copertura e
impermeabilizzazione della parte sottostante di edificio, quanto di una funzione statica ( Per la
mancanza di un sovrastante piano di calpestio ), fa parte integrante non del tetto ma del vano scale,
di cui costituisce una finitura al pari del controsoffitto (Tribunale di Firenze 2/7/1999).
Spesa
Se il lucernario è stato realizzato dal proprietario del sottotetto per dare luce e aria al locale, le
spese di manutenzione sono a suo esclusivo carico. Se invece la struttura è stata inserita nel tetto
al momento della costruzione, costituisce parte integrante di questo e in quanto tale la spesa è a
carico di tutti i condomini, in proporzione ai millesimi di proprietà salvo diverso accordo.
LUCI E VEDUTE
Sia le luci e le vedute sono aperture ricavate nel muro dell’ edificio, ma con questa differenza:
mentre le luci consentono il solo passaggio di aria e luce, le vedute permettono anche di vedere,
direttamente od obliquamente, nella proprietà del vicino senza ricorrere a mezzi artificiali Per ex
scala). Nel disciplinare la materia il Legislatore ha cercato di trovare un punto di equilibrio tra la
necessità del proprietario di un immobile aria e luce o di avere una veduta verso l’esterno, e il
diritto del confinante o del dirimpettaio di non veder violata la propria privacy. In particolare, le
luci (Articolo 901 codice civile), oltre a dover essere munite di un’ inferriata idonea a garantire la
sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non devono superare i tre centimetri
quadrati, devono essere collocate, rispetto al pavimento, con il lato inferiore ad almeno due metri e
mezzo da esso se sono al piano terreno, e ad almeno due metri se sono ai piani superiori. Inoltre
devono avere il lato inferiore a un’altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo
vicino, a meno che non si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del
vicino e le condizioni dei luoghi non consentono di osservare l’altezza minima. Ovviamente l’apertura
nel muro condominiale di luci che affaccino sulla strada o sul cortile è consentita se non vi ostano
esigenze di sicurezza o di rispetto del decoro architettonico dell’ edificio. Se poi il muro funge
anche da divisorio fra le proprietà di due condomini, è necessario il consenso del vicino (Corte di
Cassazione 12/6/1982, n 3819). Un telaio munito di spesso vetro opaco è considerato luce, poiché
non presenta caratteristiche analoghe alla struttura del muro; non altrettanto dicasi delle aperture
alle quali siano stati applicati dei pannelli di vetrocemento, a loro volta non considerabili come luci in
senso tecnico (Corte di Cassazione 28/11/1984, n 6192). Di regola un condomino può chiudere una
luce esistente nella porzione di muro condominiale coincidente con la sua proprietà esclusiva.
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Occorre però verificare se, dallo stato dei luoghi, non emergano elementi tali da vietare questo tipo
d’ intervento, come nel caso in cui l’apertura serva a dare aria e luce a una parte comune dell’
edificio: per esempio le scale (Corte di Cassazione 16/3/1981, n 1455). Il condomino può anche
trasformare una luce in una finestra, a condizione che non vi siano controindicazioni in termini di
sicurezza, di stabilità del muro, di alterazione del decoro architettonico dell’edificio, di danno alla
proprietà esclusiva degli altri condomini e d’impedimento, in capo a questi, di fare pari uso del muro
comune secondo il loro diritto (Corte di Cassazione 9/10/1970, n 1899). Regole diverse disciplinano
le vedute, dal momento che consentono anche di vedere, direttamente o obliquamente, nella
proprietà del vicino senza ricorrere a mezzi artificiali. In particolare se le due proprietà non sono
separate da una pubblica via (In caso contrario non si è tenuti al rispetto di alcuna distanza), si
deve osservare la distanza minima di un metro e mezzo per la veduta diretta, e di 75 centimetri per
le vedute laterali od oblique. La distanza va misurata dal lato più vicino della finestra o dallo sporti
più vicino.
LETTERA
M
MILLESIMI
Tabelle
Il condominio non è una società per azioni. Ma paragonare i due organismi può essere utile per
capire uno dei concetti fondamentali della vita condominiale: i millesimi. I millesimi rappresentano,
infatti, quello che le azioni sono per una società. In pratica, ogni singolo proprietario è socio del
condominio per una quota pari ai millesimi di cui è titolare. Questa quota è proporzionale al valore
dell’appartamento, comprese le relative pertinenze (Box, cantina, soffitta), in rapporto all’ intero
edificio. Si usa il termine millesimi perché all’edificio condominiale viene attribuito un valore
complessivo di mille, con la proprietà dei singoli condomini che viene, appunto, espressa con
riferimento a questo valore globale: per esempio 147/1.000, 234/1.000. i millesimi sono quindi l’
unità di misura della proprietà nell’ ambito del condominio e vengono definiti, attraverso la messa a
punto di apposite tabelle a cura di un tecnico (Per esempio Geometra, ingegnere), di norma
contestualmente alla predisposizione del regolamento da parte del costruttore. Il regolamento e le
relative tabelle vengono accettate dai condomini via via che acquistano le varie unità immobiliari con
atto notarile. Si parla a riguardo di regolamento contrattuale. I millesimi incidono su tre aspetti
fondamentali della vita condominiale: a
>> rappresentano la misura dei diritti vantati da ciascun
condomino sulle parti e sui servizi comuni dell’edificio;
b
c
>> sono il parametro fondamentale per la ripartizione fra i condomini delle spese comuni;
>> sono uno dei parametri in cui si fa riferimento per la formazione della maggioranza in
assemblea ( L’altro è quello delle persone che prendono parte alla riunione).
Le tabelle millesimali vanno rispettate fino a quando i condomini non decidono di modificarle. Se
invece il regolamento nasce successivamente, sono gli stessi condomini che, approvandolo, fanno
predisporre in questa sede le tabelle millesimali. Una sentenza della Corte d’appello di Napoli nel
lontano 14/12/1967 ha stabilito che i millesimi sono obbligatori se i condomini sono più di 4:
numero, questo, coincidente con quello che, prima della riforma, l’articolo 1129 codice civile
prescriveva per rendere obbligatoria la riforma dell’amministratore (attualmente la nomina di quest’
108
organo è obbligatoria se i condomini sono più di 8). Il numero delle tabelle millesimali dipende sia
dalle caratteristiche dell’edificio sia dai servizi che offre, sia dalla meticolosità del compilatore.
Cosi, per scale e ascensore possono essere predisposte tabelle separate o un’unica tabella. In
genere si compilano 3 tabelle: una di proprietà generale, una per le scale e ascensore e una per il
riscaldamento, ciascuna caratterizzata dal fatto che il totale è 1.000, con la proprietà di ciascun
condomino che viene espressa con riferimento a questo valore globale. Le tabelle millesimali sono
una sorta di “Etichetta“ che rimane attaccata all’unità immobiliare - anche nel caso in cui dovesse
essere venduta, donata o lasciata in eredità - fino a quando non si pervenga alla loro eventuale
rettifica dimostrando che sono viziate da errore (>>Modifica), per cui ad evitare disparità di
trattamento è opportuno affidare la stesura ad un tecnico di comprovata abilità: una valutazione
errata del valore delle unità immobiliari e dei relativi millesimi, infatti, è destinata a riflettersi sia
sul portafoglio dei condomini che sul “Peso“ del voto in sede di assemblea. La scelta del
professionista può essere approvata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’
assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Tribunale di Bari 12/2/2010, n 505), mentre
non può essere fatta dall’amministratore senza autorizzazione dell’ assemblea (Corte di Cassazione
11/2/2000, n 1520). La tabella dei millesimi di proprietà viene utilizzata per suddividere la
maggior parte delle spese comuni: manutenzione ordinaria e straordinaria, compreso
amministratore, polizza assicurativa, spese telefoniche, postali e di cancelleria. Vi si fa riferimento
ogniqualvolta si debbano ripartire delle spese che interessano la proprietà in generale. Questa
tabella è importante anche per stabilire se l’assemblea ha raggiunta la richiesta maggioranza: si
tratta di quella occorrente alla valida costituzione di quest’organo o all’approvazione di una
specifica delibera (>>Assemblea, Maggioranza).
Approvazione
Se le tabelle millesimali introducono un criterio di ripartizione delle spese comuni diverso da quello
stabilito dalla legge hanno natura convenzionale e la loro approvazione richiede il consenso di tutti i
condomini, espresso all’ atto di acquistare l’unità immobiliare dal costruttore o manifestato in sede
di assemblea. Se invece il criterio di ripartizione delle spese recepisce quello stabilito dalla legge è
sufficiente il quorum prescritto dal secondo comma dell’articolo 1136 codice civile: maggioranza
degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Corte di Cassazione
23/2/2007, n. 4219). Questo orientamento è stato confermato dalla Corte di cassazione SS.UU.
con sentenza n. 18477 del 9/8/2010. Chi ha concorso all’ approvazione delle tabelle può impugnarle
solo in caso di errore ( Corte di Cassazione 10/2/1994, n 1367), mentre il condomino che abbia
espressamente accettato che le tabelle millesimali fossero redatte seguendo un criterio diverso da
quello previsto dalla legge non può chiederne la rettifica poiché la dichiarazione di accettazione
concorre a formare la “Diversa convenzione“ di cui all’ultima parte del primo comma dell’articolo
1123 codice civile (Corte di Cassazione 26/3/2010, n 7300). L’amministratore non può, di sua
iniziativa, ripartire le spese fra i condomini seguendo un criterio diverso da quello previsto dalle
tabelle millesimali; egli deve pertanto attenersi a quelle accettate in sede di rogito o approvate dall’
assemblea (Corte di Cassazione 18/8/2005, n 16982). E’ però valida l’applicazione dei valori
millesimali diversi da quelli riportati nelle tabelle, a patto che tutti i condomini, in modo non
equivoco, abbiano votato o accettato per diversi anni, senza contestazioni, una suddivisione delle
spese diversa da quella prevista (Corte di Cassazione 17/5/1994, n 4814).
Forma
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L’approvazione e la modifica delle tabelle millesimali, tranne che queste non siano allegate a un
regolamento contrattuale (Corte di Cassazione 10/2/2009, n 3245), non necessitano di forma
scritta pena nullità, essendo sufficiente il consenso, anche tacito purché inequivocabile, dei
condomini: per esempio, perché hanno pagato, consapevolmente e per diversi anni, i contributi
determinati in base ad una specifica tabella (Corte di Cassazione 10/2/1994, n 1367). Il consenso
dell’ approvazione può essere dato mediante delega, anche verbale ( Corte di Cassazione 27/3/1998,
n 3251). E’ comunque opportuno che, sia le tabelle che la loro approvazione, risultino da atto
scritto.
Formazione
Per la formazione delle tabelle si deve tener conto in primo luogo della superficie dell’ unità
immobiliare, essendo di tutta evidenza che, a parità di altre condizioni, un appartamento grande
vale più di uno piccolo. Si deve poi valutare una serie di altri parametri, fra cui:
- la cubatura: a parità di superficie e di altri elementi, un locale con il soffitto regolare vale meno
di un locale con il soffitto fortemente inclinato;
- il livello di piano in cui è ubicata l’unità immobiliare: un conto un piano terra, altra cosa un secondo
piano o un attico;
- destinazione d’uso, ufficio, negozio. Questo se nell’immobile vi sono unità immobiliari aventi
diversa categoria catastale;
- nell’ambito di una stessa unità immobiliare, poi, vengono presi in considerazione gli ambienti e le
pertinenze che la compongono: per esempio camera, cucina, ripostiglio, corridoio, balcone coperto o
scoperto, cantina, soffitta, garage;
- l’ orientamento: per esempio se esposta a nord, a sud o su più lati;
- il prospetto: per esempio se affaccia sulla pubblica via o su un cortile interno, su un giardino o su
un vicino muro;
- se è o meno servita dall’ascensore, se e di quante luci e vedute dispone, se fruisce di un giardino
privato.
A ognuna delle suddette caratteristiche corrisponde un coefficiente uguale, inferiore o superiore a
no: per esempio 1,0,05,1,15; migliore è la caratteristica dell’ unità immobiliare, più elevato è il
coefficiente. Nell’attribuire i millesimi di proprietà non si tiene conto del canone di locazione, dei
miglioramenti e dello stato di manutenzione delle varie unità immobiliari. Il risultato delle suddette
valutazioni è che le differenze di valore fra le varie unità immobiliari si rispecchiano nelle tabelle
millesimali. E’ possibile includere in un’unica espressione millesimale più unità immobiliari
appartenenti allo stesso proprietario (Corte di Cassazione 19/10/1988, n 5686). Un diverso
procedimento è seguito per la messa a punto delle tabelle millesimali del >>Supercondominio.
Impugnazione
Ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al
regolamento di condominio, può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona
dell’amministratore. Questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini. Se
non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è tenuto a risarcire gli eventuali danni.
Mancanza. In mancanza di tabelle millesimali il condominio può funzionare ugualmente; le tabelle,
infatti, agevolano ma non condizionano l’attività del condominio, dal momento che il rapporto tra il
valore della proprietà singola e quello dell’intero edificio esiste prima e indipendentemente dalla
formazione delle tabelle. Pertanto, in un eventuale giudizio si può sempre stabilire, sia pure a
110
posteriori, se in assemblea erano state raggiunte le richieste maggioranze ( Corte di Cassazione
25/1/1990, n 431).
Modifica
La regola, scolpita nell’articolo 69 disp. Att codice civile, è che i valori proporzionali delle
singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di proprietà possono essere
rettificati o modificati all’unanimità. Tali valori possono però essere rettificati o modificati,
anche nell’interesse di un solo condomino, con il voto favorevole degli intervenuti all’
assemblea, un rappresentante di almeno 500/1.000:
a
>>quando risulta che sono conseguenza di un errore. In questo caso si parla di rettifica. Può
trattarsi di un errore di fatto, cioè dipendente da un’errata valutazione degli elementi da prendere
in considerazione per il calcolo delle tabelle ( Per esempio superficie - altezza - ubicazione di un’
unità immobiliare, o non aver considerato una sua pertinenza), o di un errore di diritto, ossia
riguardante l’identificazione degli elementi fissati dalla legge. E’ errore di fatto, per esempio, aver
indicato una superficie diversa da quella effettiva, mentre è un errore di diritto aver tenuto conto
di un elemento che la legge considera irrilevante: per esempio lo stato di manutenzione dell’ unità
immobiliare.
B
>>quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di
sopraelevazione, di incremento di superfici o d’incremento o diminuzione delle unità immobiliari,
è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo
condomino. In tal caso si parla di modifica e il relativo costo è a carico del condomino che ha
dato luogo alla variazione.
L’accettazione della modifica può anche essere tacita: come nel caso dei condomini non presenti
all’ assemblea ma che abbiano consapevolmente e inequivocabilmente accettato, per più anni,
l’applicazione dei nuovi millesimi (Corte di Cassazione 19/10/1988, n 5686). Una volta che la
modifica sia stata deliberata dall’ assemblea o disposta dall’ Autorità Giudiziaria su iniziativa anche
di un solo condomino, il condomino non può impedire l’accesso alla propria unità immobiliare al
tecnico incaricato dei rilievi; può solo concordare giorno e ora per lui più favorevoli. La Corte di
Cassazione (Sentenza n. 7696 dell’8/9/1994 ) ha stabilito che la rettifica delle tabelle millesimali,
sia essa deliberata dall’assemblea o disposta dal giudice, non ha effetto retroattivo (In particolare,
la sentenza che dispone la rettifica delle tabelle produce i suoi effetti dal giorno in cui passa in
giudicato, ossia diventa definitiva), per cui si vuole ottenere il rimborso di quanto pagato in
eccedenza - ha stabilito la Suprema Corte con sentenza n. 5690 del10/3/2011 - si deve
promuovere un’azione d’indebito arricchimento nei confronti di chi ha pagato meno del dovuto. L’
amministratore non può, di sua iniziativa, dare il via al processo di modifica delle tabelle millesimali:
si tratta, infatti, di una prerogativa riservata all’assemblea (Corte di Cassazione 11/2/2000, n
1520). Disco rosso anche per l’usufruttuario o per il titolare di altro diritto reale di godimento (
Uso e abitazione), poiché il diritto di promuovere la modifica delle tabelle millesimali compere solo
al proprietario (tribunale di Milano 29/5/1989). In attesa della modifica delle tabelle il condomino
non può rifiutare il pagamento dei contributi sulla base di quelle attuali, ma può agire per il
recupero delle somme pagate in più, dei relativi interessi legali e del risarcimento del danno, nei
confronti dei condomini che avessero, per esempio, arbitrariamente aumentato la superficie
radiante del proprio appartamento, creando cosi le premesse per la modifica della tabella
millesimale relativa al riscaldamento.
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Prescrizione
Il diritto alla prescrizione delle tabelle millesimali non si prescrive, in quanto connaturato al diritto
di proprietà, a meno che altri non acquisti per usucapione la proprietà dell’ immobile cui inerisce il
diritto; nel qual caso, infatti, il titolare perde la proprietà del bene e quindi i diritti connessi.
RIEPILOGANDO: I MILLESIMI
Cosa sono. Sono l’unità di misura della proprietà individuale rispetto all’edificio, espressa in
millesimi.
Perché si chiamano così. Perché il valore dell’ edificio è considerato pari a mille.
Chi li approva. Se predisposte dal costruttore-venditore vengono accettate dagli acquirenti in
sede di atto notarile. Possono anche essere approvate dall’assemblea o stabilite dal giudice su
ricorso anche di un solo condomino.
A cosa servono. Sia per dividere le spese relative alle parti comuni, sia per contribuire a
determinare le maggioranze assembleari.
Modifica. Quando per le mutate condizioni di una parte dell’ edificio, in conseguenza di
sopraelevazione, di incremento di superfici o d’incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è
alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’ unità immobiliare anche di un solo
condomino.
Rettifica. Quando sono conseguenza di un errore di fatto o di diritto.
Norme. Articoli 1118 - 1123 - 1124 - 1125 e 1126 c.c., articolo 69 disp. Att. c.c.
MURO COMUNE
Il condomino può servirsi del muro comune, salvo espresso divieto contenuto nel regolamento
contrattuale. Legittimo, quindi, collocarvi targhe, insegne, bacheche, appoggiarvi una canna fumaria,
installarvi un condizionatore d’aria o no sfiatatoio, praticarvi tracce per l’inserimento di tubi o cavi
elettrici, aprirvi una porta, una finestra, un balcone o una veranda. La possibilità di far luogo o meno
a questi interventi è indicata in corrispondenza delle singole voci. Nella maggior parte dei casi,
però, si tratta di una possibilità soltanto teorica; l’intervento, infatti, deve conciliarsi con l’esigenza
di non indebolire il muro, di salvaguardare il decoro architettonico dell’edificio, di non ledere il
diritto degli altri condomini su questa parte comune dell’edificio (In termini, per esempio, di
sensibile diminuzione della fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori, Corte di
Cassazione 14/2/1994, n 10704) e di rispettare le distanze legali dalle proprietà esclusive.
Secondo il tipo d’ intervento da realizzare, quindi, è opportuno munirsi, a seconda dei vasi, di
autorizzazione da parte dell’assemblea o dei condomini che potrebbero ricevere un danno
dall’intervento.
Appoggio
E’ legittimo o appoggiare materiali al muro comune, a condizione che non se ne alteri la destinazione
e non si pregiudichi il pari diritto degli altri condomini (Corte di Cassazione 3/3/1965, n 350). Per
appoggiarvi una costruzione, invece, è necessario il consenso di tutti gli altri comproprietari (Corte
di Cassazione 7/11/1978, n 5085); il muro, infatti, è destinato al servizio esclusivo dell’edificio, di
cui costituisce parte organica, per cui non è applicabile l’articolo 884 codice civile, che consente al
comproprietario del muro comune di appoggiarvi la costruzione di sua esclusiva proprietà (Corte di
Cassazione 22/12/2000, n 16117),
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Attico
Rientrano fra i muri comuni anche quelli che delimitano l’attico anche nel caso in cui non svolgano
una funzione di sostegno dell’edificio perché collocati all’ interno del perimetro del lastrico solare (
Corte di Cassazione 5/12/1987, n 5732).
Di confine
Se due condomini sono separati da un muro di contenimento di un terrapieno, edificato interamente
sul suolo di uno di essi, il proprietario del muro è tenuto alla manutenzione in caso di degrado
causato dall’ umidità, mentre il confinante deve consentire l’accesso al proprio fondo per
l’esecuzione delle opere necessarie (Tribunale di Milano 24/1/2004 ).
Spese
Le spese per il rifacimento o la riparazione dei muri che separano i giardini di proprietà di singoli
condomini dai fondi confinanti sono a carico esclusivo dei proprietari, se non un regolamento
contrattuale non consideri detti muri di proprietà comune, assimilandoli cosi ai muri di cinta; in
questa seconda ipotesi, come anche stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n 8198
dell’11/8/1990, la spesa va ripartita fra tutti i condomini in proporzione ai millesimi di proprietà.
Se poi il muro, in considerazione della sua ridotta altezza, è inidoneo a tutelare la sicurezza del
condominio, non può essere compreso fra le parti comuni dell’edificio (A meno che non vi sia un
titolo che preveda il contrario), per cui la spesa grava esclusivamente sul proprietario del giardino
(Corre di Cassazione 26/1/1981, n 577).
Divisorio
I muri che non hanno alcuna funzione statica, per essere soltanto divisori di unità immobiliari, hanno
un’ utilità limitata alle parti comuni di edificio cui inseriscono e interessano quindi i soli condomini
delle proprietà che delimitano. Di conseguenza non rientrano tra le parti comuni dell’edificio, salvo
non risulti il contrario del titolo ( Corte di Cassazione 8/11/1958 n 3654 ).
Spese
Le spese di riparazione del muro divisorio fra due unità immobiliari sono a carico di entrambi i
proprietari in proporzione al diritto di ciascuno. Se però si accerta che la riparazione si è resa
necessaria per fatto e colpa di uno dei due comproprietari, saranno questi a doversi fare esclusivo
carico della spesa.
Tubo
E’ illegittimo l‘inserimento del muro divisorio di alcuni tubi di scarico, oltre la linea mediana, perché
questo tipo d’intervento impedisce al comproprietario di fare un uso del muro nella metà di sua
pertinenza, pari a quello fatto dall’altro proprietario (Corte di Cassazione 1/4/2003, n 4900).
Maestro
Muro maestro non è solo l’intelaiatura di pilastri e architravi, costituenti, negli edifici in cemento
armato, l’ossatura del fabbricato, ma anche tutto ciò che completa la struttura e la linea
architettonica delle pareti perimetrali del fabbricato stesso, come i pannelli in muratura di mattoni
o altro materiale, che riempiono all’esterno i vuoti di quest’ossatura (Corte di Cassazione 7/3/
1992, n 2773). I muri maestri rientrano tra le parti comuni dell’edificio (Articolo n. 1117 codice
civile), salvo non risulti il contrario dal titolo.
Edifici in appoggio
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Nel caso di edifici condominiali costruiti in appoggio l’uno all’altro, costituisce muro perimetrale non
solo quello che delimita gli edifici all’esterno, ma anche quello che delimita, all’interno, un edificio
dall’altro (Corte di Cassazione 16/12/2004, n 23453).
Indebolimento
Il condomino non può diminuire la consistenza originaria del muro maestro, inglobando la propria
unità immobiliare il vuoto così ricavato, perché questo tipo d’intervento comporta l’attrazione da
parte del bene comune nella sua proprietà individuale, a danno degli altri condomini, cui viene
preclusa la possibilità di fare pari uso di questa parte comune dell’edificio (Corte di Cassazione
9/3/2006, n 5085).
Porta
Il condomino può aprire una porta nel muro comune, per esempio, per mettere la propria unità
immobiliare in comunicazione con il garage condominiale (Corte di Cassazione 11/1/1997, n 240),
con il giardino condominiale (Corte di Cassazione 13/10/1978, n 4592), ma con il limite di non
arrecare pregiudizio alle parti comuni dell’edificio, alla stabilità o alla sicurezza del muro, e di non
alterarne il decoro architettonico. Legittima anche l’apertura di una porta per collegare il proprio
appartamento al lastrico solare condominiale, trattandosi d’intervento rientrante nell’ambito
dell’uso più intenso del bene comune (Corte di Cassazione 2/2/2005, n 2099), o una scala
condominiale diversa da quella dalla quale si è serviti, a condizione che si rispettino i limiti indicati
in precedenza e che l’incremento di passaggio e traffico sulla seconda scala non comporti
un’apprezzabile limitazione del godimento in capo agli altri condomini (Corte di Cassazione
20/6/1977, n 2589). Consentita, infine, l’apertura, da parte di un condomino, di una porta che
affacci sul ballatoio comune, ricavata abbattendo il corrispondente tratto di muro perimetrale che
delimita la sua unità immobiliare (Tribunale di Napoli ordinanza 6/12/2004). Un condomino non può
invece aprire una porta nel muro perimetrale per mettere in comunicazione la propria unità
immobiliare con altra unità immobiliare, sempre di sua proprietà ma sita in altro edificio ( Corte di
Cassazione 19/4/2006, n 9036); in tale ipotesi, infatti, è necessario il consenso scritto di tutti gli
altri condomini ( Corte di Cassazione 5/4/2011, n 7748).
Parzialmente comune
Se un muro è in parte condominiale e in parte appartenente in proprietà esclusiva a un condomino,
questi non può compiere sulla sua parte opere che ne pregiudicano la stabilità (Corte di Cassazione
18/10/1978, n 4688).
Spese
Le spese richieste dal muro comune vanno ripartite fra i condomini in proporzione ai millesimi di
proprietà, ai sensi del primo comma dell’articolo 1123 codice civile, salvo diversa convenzione. Vi
possono però essere delle situazioni tali da comportare l’adozione di un diverso criterio di
ripartizione della spesa: così, se si tratta di muri di autorimesse separate dall’ edificio, alla quale
hanno eccesso soltanto alcuni condomini, saranno soltanto questi a dover contribuire alla spesa
(Terzo comma articolo 1123 codice civile).
Cappotto
La spesa occorrente alla rivestitura “a cappotto“ dei muri perimetrali del fabbricato condominiale
dev’essere ripartita fra i condomini seguendo il criterio dettato dal primo comma dell’articolo 1123
codice civile, ossia in proporzione ai millesimi di proprietà e non in proporzione all’ uso che ciascun
condomino può farne (Secondo comma stesso articolo), dal momento che i muri perimetrali
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dell’edificio non sono suscettibili di un uso diverso da parte dei condomini (Corte di Cassazione
23/11/2009, n 24658). Nel caso di specie, però, il regolamento condominiale prevedeva
espressamente che le spese per la conservazione e la manutenzione delle parti comuni fossero
ripartite in base ai millesimi di proprietà (>>Facciata, Rifacimento).
Tubo
L’utilizzo del muro condominiale per installarvi tubature per lo scarico di acque o per il passaggio
del gas, nonché sfiatatoi per il ristagno di odori, costituisce uso legittimo della cosa comune,
sempre che ciò non sia vietato da un regolamento contrattuale. L’installazione deve però avvenire in
modo da non alterare la destinazione del muro e da non impedire agli altri condomini di farne
parimenti uso secondo il loro diritto, avendo inoltre cura di scegliere il percorso architettonico
dell’edificio (Corte di Cassazione 3/4/1968, n 1226). Stesso discorso per l’inserimento di un tubo
all’interno del muro comune (Corte di Cassazione11/2/1999, n 1162) >>Divisorio, Tubo.
MUTUO
I condomini possono, per fronteggiare la copertura delle spese comuni straordinarie
particolarmente impegnative, accendere un mutuo con una banca. Trattandosi il più delle volte
d’iscrivere ipoteca sull’edificio condominiale, occorrerebbe l’umanità, come previsto dal terzo
comma dell’articolo 1109 codice civile. Il comma successivo, però, stabilisce che l’ipoteca può
essere iscritta con il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti al condominio, in
rappresentanza di almeno 667/1.000, qualora abbia lo scopo di garantire la restituzione delle
somme mutuate per la ricostruzione o il miglioramento della cosa comune. Molte banche sono
disponibili a concedere mutui cosiddetti chirografari, vale a dire garantiti non da ipoteca ma da
garanzia personale: è sufficiente pertanto la firma del richiedente, accompagnata da quella di un
fideiussore. Questo tipo di finanziamento di regola non supera i cinque anni e comporta la
sottoscrizione obbligatoria di un’assicurazione sul fabbricato. La possibilità di accendere un mutuo
nell’interesse del condominio esula dalle attribuzioni dell’amministratore; pertanto, se non vuole
rispondere in proprio, deve farsi autorizzare dall’ assemblea (Corte di Cassazione 5/3/1990, n
1734).
LETTERA
N
NEGOZIO
Divieti
Non è consentito trasformare un appartamento in negozio se l’innovazione è vietata fa un
regolamento contrattuale o è realizzato con opere tali da alterare il decoro architettonico
dell’edificio (Corte di Cassazione 13/7/1965, n 1472). Qualora non venga osservato il divieto, il
condominio può agire sia nei confronti del condomino sia nei confronti dell’eventuale conduttore
(Corte di Cassazione 29/10/2003, n 16240).
Orario
Il regolamento di condominio può prevedere che gli esercizi commerciali ubicati nell’edificio
debbano rispettare un determinato orario di chiusura, con il condominio che risponde dell’eventuale
violazione attuata dal conduttore (Corte di Cassazione 26/6/2006, n 14735).
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Secondo ingresso
Il proprietario di un negozio con ingresso sulla pubblica via non può mettere in comunicazione l’
esercizio commerciale con il cortile interno dell’edificio, in modo da usufruire di un secondo
ingresso se il regolamento stabilisce che l’accesso sia limitato agli autoveicoli dei condomini (Corte
di Cassazione 12/1/1965, n 48).
Spese
Il secondo comma dell’articolo 1123 codice civile stabilisce che, quando le parti comuni sono
destinate a servire i condomini in maniera diversa, le relative spese vanno ripartite in proporzione
all’uso che ciascuno può farne. I proprietari di negozi, pertanto non sono tenuti a concorrere alle
spese che si riferiscono ai servizi di giardinaggio, piscina e portineria, ai quali non abbiano accesso (
Corte di Cassazione 29/4/1992, n 5179 ). E’ fatto ovviamente salvo l’eventuale diverso accordo o la
diversa previsione di un regolamento contrattuale. I proprietari di negozi con accesso autonomo
dalla strada sono invece tenuti concorrere alle spese di manutenzione inerenti all’androne e alle
scale, perché elementi necessari alla configurazione del fabbricato; per i Tribunali di Milano
(Sentenza del 28/1/1991) e Palermo (Sentenza del 9/4/1990) la configurazione dev’essere
rapportata all’uso che ciascuno può fare di queste parti comuni, pur sempre necessarie, per
esempio, per eseguire una riparazione al lastrico solare. Contribuzione in proporzione ai millesimi di
proprietà, infine, per le spese richieste dai locali in cui si trovino impianti comuni, e per quelle
riguardanti il tetto, il lastrico solare e la facciata dell’edificio.
NEVE
Danni
Nel momento in cui si deposita sul tetto, la neve diventa in un certo senso “parte comune
dell’edificio“ fino a quando non i sciolga, obbligando di conseguenza il condominio a vigilare affinché
non accadano inconvenienti che possano arrecare danno a terzi, con conseguente obbligo
risarcitorio ai sensi dell’articolo 2051 codice civile. Il Tribunale di Milano, per esempio, (Sentenza
del 31/1/1987), ha condannato un condominio a rimborsare i danni provocati dalla caduta di blocchi
di neve dal tetto sull’auto ferma nei pressi dell’edificio, escludendo il concorso di colpa di chi aveva
parcheggiato il veicolo. La responsabilità del condominio, però, può essere attenuata ad addirittura
esclusa se il danneggiato parcheggia il veicolo in modo imprudente: per esempio senza porre
attenzione alla segnaletica apprestata dal condominio (Pretore Torino 14/1/1988). Se poi il danno
avviene nel corso di una violenta nevicata ricorre l’ ipotesi del caso fortuito, con il condominio che
non può essere chiamato a rispondere Tribunale di Milano 2/11/1988).
Sgombero
Tutti i condomini devono concorrere alle spese occorrenti allo sgombero della neve dal vialetto di
accesso all’ edificio, a nulla rilevando che la maggior parte di essi non abiti l’immobile durante il
periodo invernale. Se, invece, si tratta di liberare il vialetto posto al servizio soltanto di alcune
autorimesse, la spesa dev’essere sostenuta esclusivamente dai rispettivi proprietari. Se una strada
condominiale è gravata da servitù in favore di un altro edificio, e il titolo costitutivo della servitù
non prevede espressamente che lo sgombero della neve debba essere fatto a cura e spese del
condominio proprietario della strada, agli oneri devono concorrere tutti i proprietari interessati a
esercitare il passaggio. A riguardo l’articolo 1069 codice civile stabilisce che le spese per le opere
occorrenti alla conservazione della servitù sono a carico del proprietario del fondo cui la servita
116
giova, salvo che il titolo o la legge dispongano altrimenti. Se però le opere giovano anche sul fondo
sul quale viene esercitata la servitù, le spese sono sostenute in proporzione ai rispettivi vantaggi.
NUDO PROPRIETARIO
Il nudo proprietario è chi ha la proprietà di un bene, mobile o immobile, il cui godimento spetta ad
altro soggetto (L’usufruttario) fino alla morte o fino alla scadenza di un termine convenuto. In
ambito condominiale questa situazione incide sulla procedura da seguire nella convocazione delle
assemblee e sul diritto di voto. In particolare, il nudo proprietario dev’essere convocato con le
assemblee indette per decidere su innovazioni o su opere di manutenzione straordinaria (Corte di
Cassazione 5/11/1990, n 10611), o sulla modifica delle tabelle millesimali (App. Roma 6/5/1989 ).
Quando invece si tratti di decidere su argomento di ordinaria amministrazione dev’essere
convocato l’usufruttuario. Se non viene seguito questo criterio le delibere che dovessero essere
adottate sono annullabili (>>Usufruttuario). Un altro aspetto dei rapporti fra nudo proprietario e
usufruttuario riguarda la ripartizione delle
>>Spese comuni, Usufruttuario.
LETTERA
O
OPERA
Abusiva
Un’opera abusiva realizzata da un condomino su di una parte comune dell’edificio, anche se
condonata, può essere contestata tanto dall’amministratore quanto dai singoli condomini, che ne
possono chiedere la demolizione ai sensi dell’articolo 2933 codice civile Corte di Cassazione 15/1
/1986, n 175. Il condono, infatti, disciplina l’opera dal punto di vista amministrativo, ma non da
quello del diritto degli altri condomini: diritto che non si prescrive, se non nel frattempo non sia
maturata l’usucapione in favore di chi ha realizzato l’opera Corte di Cassazione 16/3/2981, n 1455.
Interna
Le opere interne, purché realizzate nel rispetto dell’articolo 22 del DPR 6/6/2001, n 380, come
modificato dal D. Lgs. 27/12/2002, n 301 (Non devono, per esempio, alterare la sagoma
dell’edificio, né modificare la destinazione d’uso dell’unità immobiliare sulla quale sono eseguite),
non richiedono il rilascio del permesso di costruire ma è sufficiente la SCIA (Segnalazione
certificata d’inizio attività), da inoltrare al comune in cui è ubicato l’edificio. La SCIA è stata
introdotta dal comma 4-bis dell’articolo 49 della L. 30/7/2010, n 122, in sostituzione della DIA
(Denuncia di inizio attività); in base ad essa è possibile dare inizio ai lavori nel giorno stesso della
segnalazione dell’interessato al comune, senza dover attendere i 30 giorni che erano previsti dalla
DIA.
ORDINE DEL GIORNO
Una corretta, preventiva informazione dei condomini sugli argomenti sui quali saranno chiamati a
decidere è indispensabile ai fini di un regolare e proficui svolgimento dei lavori assembleari. E’
quindi opportuno indicare nell’>>Avviso di convocazione, in modo chiaro anche se sommario, tutti i
punti sui quali l’assemblea sarà chiamata a decidere. L’eventuale delibera adottata su di un
argomento non inserito nell’ ordine del giorno sarebbe, infatti, annullabile (Corte di cassazione 9/
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1/2004, n 143), anche se il condomino non può eccepire il merito se non contesta l’irregolarità della
convocazione (Corte di Cassazione 24/8/1998, n 8344). Così, per i tribunali di Udine (Sentenza del
10/2/2003) e Roma (Sentenza del 15/6/2005), il condomino che abbia partecipato alla discussione
votando contro una delibera adottata in presenza di un ordine del giorno incompleto, senza, però,
sollevare eccezioni al riguardo, non può successivamente impugnare il provvedimento invocando
questa irregolarità. Sempre per il tribunale di Roma (17/10/1973), l’indicazione degli argomenti da
trattare può anche non essere analitica. Il tribunale di Napoli (Sentenza del 17/12/1990) ha
ritenuto insufficiente la generica espressione “lavori urgenti e indispensabili“ per deliberare
legittimamente sul rifacimento dell’intonaco e la tinteggiatura della facciata, mentre i tribunal di
Bologna (Sentenza del 14/1/1998) ha dichiarato nulla la delibera adottata in presenza di un ordine
del giorno contenente la dizione “gestione“ per indicare la nomina di un nuovo amministratore. Se
però il condomino era comunque a conoscenza degli argomenti da trattare, l’insufficienza dell’ordine
del giorno non è motivo di annullabilità delle relative delibere (App. di Roma 30/8/1973).
Perfettamente valida, invece, la delibera su di un argomento non indicato nell’ ordine del giorno ma
approvato da tutti i partecipanti al condominio. Se nel giorno fissato per la convocazione non si
riesce a esaurire l’ordine del giorno, e non erano state fissate più sedute con un unico avviso
(>>Assemblea, Ordine del giorno), la seduta può essere aggiornata ad altro giorno senza nuova
convocazione, a condizione che i presenti siano d’accordo, che gli assenti siano stati
tempestivamente avvisati e che la discussione prosegua sullo stesso ordine del giorno ( Corte di
Cassazione 12/2/1988, n 1516).
Delibera precedente
Non è indispensabile specificare nell’ordine del giorno che l’assemblea è chiamata a ridiscutere su di
un argomento oggetto di precedente delibera, essendo sufficiente indicare l’argomento ( Tribunale
di Monza 2/10/1984).
Discussione
Se nell’ordine del giorno figura l’indicazione “discussione“ su un determinato argomento, l’assemblea
può anche deliberare in merito (Tribunale di Parma 9/11/1991). Se però a un condomino che ne
aveva diritto è stato impedito di partecipare alla discussione e votare i punti all’ordine del giorno, la
relativa delibera è annullabile (Corte di Cassazione 11/5/1984, n 2893.
Errore
Se, a causa di un errore nell’ordine del giorno, l’assemblea non si può tenere, l’eventuale spesa per
l’affitto del locale in cui doveva aver luogo la riunione è a carico dell’amministratore che ha
provveduto alla convocazione.
Richiesta di un condomino
L’amministratore può legittimamente rifiutarsi d’inserire nell’ordine del giorno un argomento
proposto da un condomino, poiché non vi è alcuna disposizione di legge che lo obblighi a farlo.
L’articolo 66 dispos. att. Codice civile, infatti, prevede che almeno due condomini che rappresentino
un sesto del valore dell’edificio (167/1.000) possano chiedere all’amministratore la convocazione di
un’assemblea straordinaria, e che possano provvedere direttamente alla convocazione in caso di
mancato accoglimento della richiesta: solo in tale ipotesi, quindi, si può pretendere che
l’amministratore inserisca un determinato argomento all’ordine del giorno (Corte di Cassazione
31/10/008, n 26336). Buonsenso vuole, però, che l’amministratore recepisca, e inserisca all’ordine
del giorno, gli argomento proposti dai condomini.
118
Varie ed eventuali
L’espressione “Varie ed eventuali“), che viene generalmente inserita come ultimo punto all’ordine del
giorno, è di regola riservata alle comunicazioni che l’amministratore e i condomini intendono fare in
assemblea; essa, pertanto, può al massimo preludere a delibere da adottarsi in una successiva
riunione, previa comunicazione del relativo ordine del giorno (Tribunale di S. Maria Capua Vetere
7/2/1984). La Corte di Cassazione (Sentenza n. 4316 del 28/6/1986) ha escluso che la dizione
“varie“ potesse legittimare la delibera sul rifacimento della facciata dell’edificio, trattandosi di un
argomento di straordinaria amministrazione. Il Tribunale di Napoli, a sua volta (Sentenza del
14/11/1966), ha escluso che questa indicazione potesse legittimare la delibera si innovazioni
riguardanti le parti comuni dell’edificio o la costituzione di un fondo speciale finalizzato a
fronteggiare spese condominiali urgenti (Sentenza del 28/11/2000) Il Tribunale di Milano
(Sentenza del 28/1/1965) ha stabilito che la dizione “Varie ed eventuali“ non consente neppure la
semplice discussione sulla legittimità della sopraelevazione effettuata da un condomino sul lastrico
solare condominiali, mentre il Tribunale di Perugia (Sentenza del 15/1/2000) ha considerato
annullabile la delibera che aveva compreso fra le “Varie ed eventuali“ il pagamento del compenso a
un professionista per l’attività svolta nell’interesse del condomino, in un contesto in cui la spesa non
risulta altrimenti e non vi era la prova del conferimento dell’incarico. La Corte d’Appello di Genova
(Sentenza del 20/2/1988), infine, ha escluso che questa dizione sia sufficiente a legittimare la
delibera di stipulare un contratto di assicurazione contro gli incendi.
LETTERA
P
-
Q
PANNELLI SOLARI
La tendenza a incrementare la produzione di energia elettrica mediante l’impiego di fonti
alternative (Per esempio solare, eolica, geotermica) rinnovabili, ossia non esauribili, ha la sua
disciplina nel D. Lgs. 29/12/2003, n 387, emanato in attuazione della direttiva comunitaria
2001/77/CE del 27/9/2001. In particolare, i pannelli solari si distinguono in fotovoltaici e termici:
i primi producono energia elettrica, mentre i secondi utilizzano l’energia solare per il riscaldamento
dell’ acqua per uso domestico. Le informazioni relative alle caratteristiche tecniche e ai costi d’
installazione possono essere attinte da vari siti Internet, fra i quali segnaliamo www.enel.it,
www.informazioni-pannelli-solari.com, www.pannellisolari.info.
Installazione
(Autonomi).
Un condomino può installare pannelli solari sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie
comune e sulle parti di proprietà esclusiva. Se l’installazione avviene su una parte comune non se
ne può alterare la destinazione, né impedire agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il
loro diritto. Di conseguenza, se le dimensioni dei pannelli sono tali da alterare il rapporto di
equilibrio tra le facoltà attuali e potenziali di utilizzazione da parte degli altri condomini,
l’installazione non né consentita (App. Salerno 13/5/1983). Anche nel caso di dimissioni normali,
però, si tratta di verificare se i pannelli non possono alterare il decoro architettonico dell’ edificio,
per cui è consigliabile installarsi previo consenso degli altri condomini. Per installare un impianto al
servizio di una singola unità abitativa non occorre autorizzare ma, se l’installazione comporta
modifiche delle parti comuni, l’interessato (Articolo 1122-bis codice civile) ne deve dare
119
comunicazione all’amministratore, indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione
degli interventi, e l’assemblea può prescrivere, con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 667/1.000, adeguate modalità alternative di
esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro
architettonico dell’edificio. L’assemblea può anche provvedere, a richiesta degli interessati, a
ripartire l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse
forme di utilizzo previsto dal regolamento di condominio o comunque in atto. L’assemblea,
infine, con la stessa maggioranza di cui sopra può subordinare l’esecuzione dei lavori alla
prestazione, da parte dell’interessato, d’idonea garanzia per eventuali danni. Il condomino è
obbligato a consentire l’accesso della propria unità immobiliare se necessario per la
progettazione e per l’esecuzione delle opere (Quarto comma articolo 1122-bis codice civile).
Condominiali
L’installazione di pannelli solari condominiali può essere deliberata con il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 334/1.000 (Secondo
comma articolo 26 della legge 9/1/1991, n 10, e successive modificazioni). Per l’iter da seguire
>>Antenna,
Televisiva, Centralizzata. Sul punto, però, è legittimo il dubbio. Infatti, mentre la
citata norma, la cui maggioranza è stata modificata dall’articolo 28 della legge di riforma, si
riferisce a “impianti individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una
diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato“, il secondo comma dell’articolo 1120
codice civile, nel testo riformato, stabilisce genericamente che, nel rispetto della normativa di
settore“, le opere e gli interventi finalizzati all’utilizzo di fonti solari o comunque rinnovabili
possono essere deliberati con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti
all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000. La distinzione appare pertanto alquanto
bizantina.
Adeguamento
L’assemblea, ai fini dell’adeguamento degli impianti non centralizzati esistenti alla data di
entrata in vigore della riforma, adotta le necessarie prescrizioni con le maggioranze di cui al
primo, secondo e terzo comma dell’articolo 1136 codice civile (articolo 155-bis att. codice
civile).
Agevolazioni
L’acquisto e l’installazione di pannelli fotovoltaici beneficiano di diverse agevolazioni: per esempio
possibilità di vendere al gestore nazionale l’energia elettrica prodotta in eccedenza rispetto al
fabbisogno (Cosidetto “Conto energia“), mentre per i pannelli termici sono previsto finanziamenti
agevolati, contributi a fondo perduto, IVA al 10%, 55% del costo detraibile ai fini IRPEF. Poiché i
benefici vengono gestiti a livello regionale, provinciale e comunale, attraverso bandi pubblicati
periodicamente, al fine di disporre d’informazioni aggiornate è consigliabile documentarsi
localmente.
Distanza legale
La disciplina della distanza dal confine applicabile ai pannelli solari è quella dettata dall’articolo 890
codice civile (Pret. Pietrasanta 2/4/1985), ossia quella stabilita dai regolamenti e, in mancanza,
quella necessaria a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, alla salubrità e alla
sicurezza. Le tubazioni, invece, che trasferiscono il fluido riscaldato dai pannelli solari alla
120
struttura alla quale sono asserviti, devono essere collocati, in applicazione del secondo comma
dell’articolo 889 codice civile, alla distanza di un metro dal confine.
Passaggio
Il condomino è obbligato a consentire il passaggio, attraverso la propria unità immobiliare, del
personale incaricato di collocare o riparare impianti solari o fotovoltaici situati sul tetto o sul
lastrico solare, se necessario per la progettazione e l’esecuzione delle opere (Quarto comma
articolo 1122-bis codice civile).
PARCHEGGIO
Autovettura troppo grande
Il condomino che acquisti un’autovettura più grande della precedente, che in quanto tale non entra
nel posto assegnato, non può pretendere che il giudice ordini al condominio di ridefinire gli spazi
adibiti a parcheggio, poiché l’acquisto di un’autovettura è un atto di libera scelta (Corte di
Cassazione 11/7/2011, n 15203).
Chiusura dell’area
Se nell’area destinata a parcheggio vi sono dei negozi è possibile chiuderla con un cancello o una
sbarra automatica, ma è necessario dotare i condomini della relativa chiave o consegnare di
apertura e chiusura, e lasciare aperto un passo pedonale che consenta alla clientela di accedere ai
negozi esistenti nell’edificio. Per introdurre questa modifica è sufficiente il voto favorevole
della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000,
trattandosi non d’introdurre ma di regolamentare l’uso ordinato della cosa comune per non
consentire a terzi estranei al condominio l’indiscriminato accesso al parcheggio (Corte di Cassazione
29/8/1992, n 9999).
Androne
Il parcheggio di autoveicoli nell’androne condominiale, anche temporaneo, può essere vietato se la
presenza delle auto non consente ai pedoni di raggiungere le unità immobiliari e tanto meno il
transito dei veicoli da e per le autorimesse ubicate nell’edificio (Corte di Cassazione 12/11/2012,
n. 19165 ). L’alterazione della destinazione della cosa comune prevista dall’articolo 1102 codice
civile – ha precisato la Suprema Corte – può, infatti, essere determinata non solo dal mutamento
della finzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore.
Cortile
La delibera di adibire il cortile a parcheggio di autovetture può essere adottata con il voto
favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno
667/1.000, trattandosi d’introdurre un’innovazione diretta al miglioramento o all’uso più comodo o
al maggior rendimento delle cose comuni ai sensi del primo comma dell’articolo 1120 codice civile
(Corte di Cassazione 15/6/2012, n 9877). Per quanto attiene all’assegnazione degli spazi, se vi è
una tabella millesimale per le spese di manutenzione dell’area condominiale destinata ai posti d’auto,
e vi sono spazi di diverse dimensioni, appare logico assegnare quelli più grandi ai condomini titolari
dei millesimi più alti, con pagamento di eventuale conguaglio qualora non sia possibile rispettare
rigorosamente le proporzioni. Poiché, poi, gli spazi possono essere più o meno comodi da utilizzare,
se i condomini non raggiungono un accordo si può procedere a sorteggio tra quelli di pari grandezza,
oppure, anche in questo caso, al pagamento di un conguaglio. L’assegnazione degli spazi può ance
avvenire, anziché in base ai millesimi di proprietà, tenendo conto del numero di auto possedute dai
121
condomini, ma soltanto in base a una convenzione alla quale abbiano aderito tutti i proprietari,
trattandosi di modificare il criterio di ripartizione della spesa previsto dalla legge ( Articolo 1123
codice civile). Qualora l’assemblea dovesse, nell’assegnazione degli spazi, adottare dei criteri
oggettivamente iniqui, la relativa delibera sarebbe impugnabile per eccesso potere.
Divieto
Il divieto di parcheggio nell’area condominiale può essere previsto solo da un regolamento
contrattuale o da un accordo al quale abbiano aderito tutti i condomini (Corte di Cassazione
21/1/2009, n 1547). L’amministratore deve curare l’osservanza del divieto e se trascura questo
compito può essere revocato. L’assemblea può, con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000, derogare il divieto di parcheggio in favore
dell’amministratore, trattandosi di eccezione giustificata dalle funzioni svolte dal professionista
nell’interesse dei condomini (App. di Napoli 17/9/1987).
Sanzioni
Il regolamento può stabilire l’irrogazione di sanzioni pecuniarie nei confronti di chi non rispetta il
divieto di parcheggio, demandando l’accertamento delle violazioni a guardie giurate operanti
all’interno degli spazi condominiali (Pret. Di Milano 13/3/1986) >>Regolamento, Sanzioni.
Estranei
Per vietare che gli estranei che accedono all’edificio possono parcheggiare nel cortile condominiale
è sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza
di almeno 500/1.000, trattandosi non d’introdurre un’innovazione ma di regolamentare l’uso
ordinato della cosa comune (Corte di Cassazione 3/2/1999, n 875). L’assemblea non può invece, a
maggioranza, consentire il parcheggio nell’area condominiale delle autovetture dei condomini in un
altro edificio; è, infatti, necessario che siano d’accordo tutti i condomini, trattandosi di non
sottrarre l’uso del bene comune agli aventi diritto (Corte di Cassazione 3/2/1999, n 875).
L’assemblea non può invece, a maggioranza, consentire il parcheggio nell’area condominiale delle
autovetture dei condomini di altro edificio; è, infatti, necessario che siano d’accordo tutti i
condomini, trattandosi di sottrarre l’uso del bene comune agli aventi diritto (Corte di Cassazione
15/5/1972, n 1467). Il proprietario di un esercizio commerciale (Per esempio bar) ubicato
nell’edificio condominiale non può pretendere che i propri clienti parcheggino nel cortile comune,
poiché l’articolo 1102 codice civile, pur consentendo a un condomino l’utilizzo della cosa comune
anche in modo particolare e più intenso rispetto alla generalità dei comproprietari, vieta di
alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro
diritto, escludendo che l’utilizzo del singolo possa risolversi in una comprensione quantitativa o
qualitativa di quello, attuale o potenziale, degli altri condomini (Corte di Cassazione 30/3/2009, n
7637). In mancanza di un titolo (per esempio regolamento) dal quale risulti il contrario, e in
presenza di una prassi in base alla quale una parte dell’area comune è riservata agli ospiti dei
condomini, ciascuno di questi può invitare i rispettivi visitatori a parcheggiarvi la propria
autovettura.
Giardino. Per adibire a parcheggio nell’interesse del condominio un’area comune adibita a parcogiardino è necessario un numero di voti che rappresenti i 4/5 dei partecipanti al condominio e i
4/5 del valore dell’edificio (800/1.000), trattandosi di modificare la destinazione d’uso di
questa parte comune (Primo comma articolo 1117-ter codice civile).
Giudice competente
122
La sosta di un’autovettura negli spazi condominiali configura una modalità d’uso dei beni comuni, per
cui la controversia nella quale si discuta della legittimità o meno di tale forma di utilizzazione
rientra nella competenza per materia del Giudice di pace, ai sensi dell’articolo 7 codice penale
(Corte di Cassazione 17/3/1999, n 2402).
Insufficiente
Se lo spazio non è sufficiente ad accogliere tutte le auto dei condomini, l’assemblea può deliberare
di consentire il parcheggio a chi arriva prima, ma a condizione che non ne risulti pregiudicato il
godimento della proprietà esclusiva e relative pertinenze da parte di altri condomini ( Tribunale di
Milano 23/4/1990). In alternativa l’assemblea può, con delibera adottata con il voto favorevole
della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Corte di Cassazione
16/6/2005, n 12873), stabilire dei turni (Per esempio settimanale, mensile o addirittura
giornaliero), delimitando gli spazi mediante strisce e ricorrendo a sorteggio qualora non si riesca a
trovare un accordo sulla successione degli utilizzatori.
Limiti
Il parcheggio è consentito a condizione di non impedire agli altri condomini l’accesso ai locali di
proprietà individuale (Corte di Cassazione 5/9/1989, n 3858), di non comportare una diminuzione
apprezzabile dell’aria e della luce nelle unità immobiliari circostanti ( Corte di Cassazione
27/6/1987, n 5709) e di non creare una situazione di pericolo: per esempio facilitando la salita di
malintenzionati al piano superiore perché un veicolo è stato lasciato a ridosso di una finestra del
primo piano.
Locale comune
Per adibire a parcheggio un locale comune è sufficiente il voto favorevole dalla maggioranza degli
intervenuto all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000, trattandosi di non apportare
una modifica sostanziale alla cosa comune, ma di assicurarne il miglior godimento e la migliore
utilizzazione da parte dei condomini. Questo anche nel caso in cui lo spazio disponibile non consenta
il parcheggio contemporaneo di tutti gli autoveicoli dei condomini, potendosi deliberare un uso
turnario dello stesso (Corte di Cassazione 20/2/1992, n 2084).
Locazione
Per concedere il cortile in locazione per uso parcheggio soltanto ad alcuni condomini è necessario il
consenso di tutti i proprietari (Tribunale di Milano 12/2/1987).
Marciapiede
Il Tribunale di Napoli (Sentenza del 29/1/1987) ha sancito la legittimità di una clausola del
regolamento che destinava a parcheggio a pagamento il marciapiede, con onere delle spese di
manutenzione a carico di tutti i condomini.
Millesimi
L’assemblea non può subordinare il diritto di parcheggio alla titolarità di una quota millesimale
minima, ma la possibilità di parcheggiare dev’essere consentita a tutti i condomini, sia pure a turno
(Pret. Modugno 29/5/1987).
Motoveicoli
La delibera con la quale si decida di adibire il cortile comune, di ampiezza insufficiente a garantire
il parcheggio delle autovetture dei condomini, a parcheggio di motoveicoli, con individuazione degli
spazi, delimitazione e assegnazione degli stessi ai singoli condomini, non da luogo a un’innovazione
vietata, non comportando una trasformazione dell’originaria destinazione del bene comune, o
123
l’inservibilità di talune parti dell’edificio all’uso o al godimento anche di un singolo condomino (Corte
di Cassazione 5/5/2008, n. 5997). Di conseguenza la relativa delibera può essere adottata con il
voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno
500/1.000.
Pagamento
Due sentenze del Tribunale di Napoli (del 28/2/1979 e del 24/10/1984) hanno riconosciuto, fra i
poteri dell’assemblea, quello di subordinare il parcheggio nell’area condominiale al pagamento di un
corrispettivo in favore del condominio, in modo da assicurare un’entrata da destinare alla
manutenzione della relativa area. In entrambi i casi, però, si trattava di spazio insufficiente ad
accogliere tutte le autovetture di proprietari e inquilini, e di conseguenza la decisione era
finalizzata a regolamentarne l’uso in modo da evitare discussioni. Qualora, invece, lo spazio fosse
sufficiente, una delibera del genere potrebbe essere adottata soltanto con il consenso di tutti i
condomini. Il corrispettivo non può in ogni caso essere del tutto svincolato dai costi
specificatamente riguardanti l’area sulla quale viene esercitato il parcheggio Tribunale di Milano
3/11/2000).
Piano terra
Se gli altri condomini hanno, in base al titolo di acquisto, il diritto di parcheggiare negli spazi loro
assegnati, chi abita a piano terra può lamentarsi delle immissioni (Rumori e gas di scarico) presso il
Giudice di pace solo qualora esse superino la normale tollerabilità di cui all’articolo 844 del codice
civile. Una soluzione potrebbe essere quella di proporre una permuta dei posti ( Offrendo
eventualmente un conguaglio), in modo da allontanare dalle finestre i veicoli più ingombranti e
rumorosi.
Posto auto
L’assegnazione dei posti auto va effettuata in proporzione ai millesimi di proprietà,
indipendentemente dal possesso, o meno, di una o più autovetture. La Corte di Cassazione ( Sentenza
n. 26226 del 7/12/2006), però, in una situazione in cui per utilizzare alcuni posti auto era
necessario spostare a mano e rimettere al loro posto due vetture adiacenti, ha stabilito che
l’assemblea non può deliberare a maggioranza che la scelta del posto auto venga effettuata dai
condomini seguendo la consistenza dei millesimi di cui sono titolari (Sceglie per primo chi ha più
millesimi). In una situazione del genere, infatti, il criterio da seguire è, nel disaccordo delle parti,
quello indicato dall’articolo 1102 codice civile, che ponendo il limite del “ Pari uso“ impedisce che
alcuni comproprietari facciano un utilizzo della cosa comune, dal punto di vista qualitativo, diverso
da quello degli altri. Di conseguenza si dovrà seguire il criterio della turnazione. I posti auto
possono essere concessi in uso esclusivo e permanente a determinati condomini, in cambio di un
corrispettivo in denaro o anche gratuitamente; in tal caso, però, la relativa delibera dev’essere
adottata con il consenso di tutti i partecipanti al condominio, trattandosi di una vera e propria
divisione del bene comune (Tribunale di Foggia 25/3/1994). Se lo spazio da adibire a posto auto è
stato assegnato in proprietà esclusiva ai singoli condomini, questi, in mancanza di una contraria
disposizione contenuta nel regolamento contrattuale o a tutolo di acquisto, possono recintarlo
(Corte di Cassazione 18/10/1991, n 11019 ); ciò, però, a condizione che la recinzione non impedisca
ai proprietari degli spazi adiacenti di utilizzarli e (Corte di Cassazione 22/11/2011, n 24645) non
leda il decoro architettonico dell’edificio. Se invece lo spazio è stato assegnato in uso, e il
regolamento non prevede altra possibilità che quella di utilizzarlo come posto auto, qualsiasi diversa
124
modalità dev’essere autorizzata da tutti gli altri condomini. Il proprietario del solo posto auto deve
contribuire alle spese riguardanti l’area condominiale nella quale esso è compreso: anche a quello per
l’assicurazione e l’amministrazione del fabbricato se si riferiscono al cortile, e se questo è
compreso in un’area condominiale più vasta deve contribuire anche alle spese di recinzione. La
vendita di una spazio condominiale adibita a posto auto richiede l’unanimità dei consensi, trattandosi
di bene comune e non di esclusiva proprietà del condominio, senza il consenso degli altri condomini,
quindi, la vendita non è ammessa neppure se abbinata a quella dell’appartamento (Corte di
Cassazione 10/1/1990, n 9).
Prolungato
Non è lecito lasciare parcheggiata, magari per mesi, l’auto in cortile, perché cosi facendo si altera
la normale destinazione di questa parte comune e si lede il pari diritto degli altri condomini (Corte
di Cassazione 24/2/2004, n 3640 ).
Realizzazione
Uno o più condomini possono attivarsi per proporre la realizzazione, nell’area condominiale, di
un parcheggio al servizio delle unità immobiliari o dell’edificio, presentando all’amministratore
una richiesta contenente l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione
degli interventi proposti. L’amministratore è tenuto, entro 30 giorni dalla richiesta, a
convocare l’assemblea, che delibera con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti,
in rappresentanza di almeno 500/1.000. A riguardo l’assemblea può, con un numero di voti che
rappresenti i 4/5 dei partecipanti al condominio e i 4/5 del valore dell’edificio (Primo comma
articolo 1117-ter codice civile), destinare a parcheggio nell’interesse del condominio un locale
comune, anche se questa soluzione non consente di alloggiarvi contemporaneamente tutti gli
autoveicoli, potendosi stabilire dei turni (Corte di Cassazione 20/2/1992, n 2084). L’assemblea non
può, invece, deliberare a maggioranza di adibire a parcheggio una parte dell’area comune destinata,
come previsto dall’atto di acquisto di un condomino, al libero accesso del pubblico; è infatti
necessaria l’unanimità, trattandosi d’incidere sul diritto di un condomino risultante dall’atto di
acquisto (Corte di Cassazione 14/7/1988, n 4851).
Reato
Se una persona, invitata a spostare l’auto che impedisce ad altra autovettura parcheggiata nel
cortile condominiale di uscire sulla pubblica via, rifiuta di farlo, commette il reato di violenza
privata, punito dall’articolo 610 codice penale con la reclusione fino a 4 anni (Corte di Cassazione
20/4/2006, n 16571).
Rimozione forzata
Il condomino non può, nel proprio esclusivo interesse, chiedere l’intervento del carro attrezzi per
far rimuovere un’auto abusivamente parcheggiata nel cortile condominiale, e il proprietario dell’auto
ha il diritto di farsi rimborsare la spesa sostenuta per la rimozione (Giu.pa Bologna 3/2/2005). La
Corte di Cassazione (Sentenza n 10323 del 21/4/2008) ha stabilito che la rimozione di un
ciclomotore parcheggiato nel portico condominiale, nonostante la presenza di appositi cartelli con
l’indicazione “Proprietà privata - divieto di sosta -“ e con l’intervento che i motoveicoli sarebbero
stati rimossi a spese dei trasgressori, è possibile solo con l’intervento della Polizia municipale
perché il portico, pur essendo di proprietà condominiale, è gravato da una servitù di pubblico
passaggio su area privata, il cui uso dev’essere regolato esclusivamente dalla Pubblica
Amministrazione. Sulla base di questo principio la Suprema Corte (Sentenza n. 3180 del 9/2/2011)
125
ha respinto il ricorso di una società di soccorso stradale condannata dal Giudice di pace alla
restituzione dei soldi pagati per la rimozione, il trasporto e la custodia del veicolo, oltre al
pagamento degli interessi legali e delle spese di giudizio. In particolare - ha precisato la Corte –
l’incarico all’impresa di soccorso stradale dev’essere conferito non dal singolo condomino nel suo
esclusivi interesse ma dall’amministratore nell’interesse della collettività condominiale.
Riserva da parte del venditore
La Corte di Cassazione (Sentenza n 7994 del 18/7/1991) ha sancito la nullità, e quindi la sua
sostituzione, per legge, con l’articolo 18 della L. 6/8/1967, n 765, della clausola contrattuale con
la quale il venditore dell’immobile si era riservato la proprietà dell’area di parcheggio. Di
conseguenza venditore e acquirente hanno, rispettivamente, il diritto di esigere e l’obbligo di
corrispondere la differenza di prezzo (Corte di Cassazione 16/4/1996, n 3580). Il costruttore può
invece legittimamente riservarsi o cedere a terzi i parcheggi che eccedono il limite previsto con le
nuove costruzioni dell’articolo 41-sexies della L. 17/8/1942, n 1150, e successive modificazioni:
non meno di un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione (Corte di Cassazione
3/2/2012, n 1664).
Seconda autovettura
Costituisce innovazione vietata, e in quanto tale nulla, l’assegnazione nominativa a favore dei singoli
condomini di posti fissi nel cortile comune per il parcheggio della seconda autovettura; tale
delibera, infatti, da un lato sottrae l’utilizzazione del bene comune a coloro che non posseggono due
veicoli, e dall’altro crea i presupposti per l’acquisto, da parte del condomino che usi la cosa comune
come se ne fosse proprietario, della relativa proprietà a titolo di usucapione (Corte di Cassazione
22/1/2004, n 1004 ).
Veicolo ingombrante
Anche se lo spazio riservato al condomino è adibito a parcheggio di autoveicoli, egli può
parcheggiarvi un autocaravan ma non può usarlo come area di campeggio (Giu.pa di Foligno
6/3/1997). Possibile anche parcheggiarvi una roulotte, a meno che il regolamento non preveda
particolari divieti o limitazioni (Corte di Cassazione 26/9/1998, n 9649). Lo stesso dicasi di un
autocarro. In tutti questi casi, però, non si può impedire al vicino di fare uso dello spazio a lui
assegnato: per esempio perché impossibilitato ad aprire lo sportello della propria autovettura. Se
invece la mole dell’autocarro non eccede lo spazio assegnato, il parcheggio è legittimo ma il motore
dev’essere acceso solo per il tempo limitato all’arrivo e alla partenza (Giu.pa di Arcireale
27/12/1996). Quanto alla possibilità di parcheggiare un’autocisterna nello spazio assegnato, ciò non
è consentito se contrasta con la destinazione abitativa dell’edificio causa un danno di tipo estetico
all’aspetto dei luoghi e comporta la sostanziale trasformazione del cortile in un luogo di deposito
(Pretore di Foligno 12/3/1987).
Vialetto
Il condomino non può parcheggiare la propria auto in un vialetto condominiale se questo tipo di
utilizzo rende gli altri condomini meno agevoli alle manovre di entrata e di uscita dai garage (Corte
di Cassazione 24/8/ 2012, n 14633), >>Garage.
RIEPILOGANDO: IL PARCHEGGIO
Da giardino a parcheggio. Per trasformare un giardino in parcheggio occorre il voto favorevole di
4/5 dei partecipanti al condominio, in rappresentanza dei 4/5 del valore dell’edificio.
126
Divieto. Possibile solo se previsto dal regolamento contrattuale.
Estranei. Possono essere esclusi dalla maggioranza degli intervenuti all’assemblea con 500/1.000.
Pagamento. Se vi è spazio sufficiente devono essere d’accordo tutti i condomini.
Rimozione forzata. Solo su richiesta dell’amministratore e con l’intervento della Polizia municipale.
Spazio sufficiente. Si possono stabilire dei turni.
Veicolo ingombrante. Dipende dal tipo di veicolo.
Norme. Articolo 1117-ter codice civile.
PARTI COMUNI DELL’ EDIFICIO
L’articolo 1117 codice civile contiene l’elencazione, anche se non tassativa, ma soltanto
esemplificativa (Corte di Cassazione 14/3/1877, n 1030), delle pari comuni dell’edificio,
intendendosi per edificio l’intera costruzione, dalle fondamenta al tetto, inclusi, quindi, i vani
cantinati compresi tra le fondamenta stesse (Corte di Cassazione 24/8/ 1998, n 8346). In
particolare, rientrano fra le parti comuni il >>Suolo su cui sorge l’edificio (>>Sottosuolo), le
fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i
portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate. Compresi nell’elenco
anche le aree destinate a parcheggio e i locali per i servizi in comune, come la portineria,
incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le
caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune. Appartengono infine al novero delle parti
comuni dell’edificio le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso
comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi
centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica per il
riscaldamento e il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a
qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi
collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuali dei singoli condomini,
in altre parole, in caso d’impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle
normative di settore in materia di reti pubbliche. Quella dell’articolo 1117 è un’elencazione non
solo esemplificativa, ma anche presuntiva, nel senso che l’appartenenza dei beni alla comunità
condominiale ammette la prova contraria; prova contraria che può essere fornita da un titolo dal
quale risulti che la proprietà spetta soltanto a uno o più condomini ( Non è necessario che l’atto
contenga l’espressa esclusione del bene dal novero delle parti comuni dell’edificio, Corte di
Cassazione 21/11/1978, n 5412). L’unico titolo ammesso non può essere che quello di acquisto, da
parte del singolo condomino, della propria unità immobiliare dall’originario, unico proprietario
dell’intero edificio (Corte di Cassazione 22/8/2002, n 12340) e deve contenere elementi chiari e
inequivocabili, dai quali sia dato escludere la condominialità del bene (Corte di Cassazione 7/6/
1989, n 3862). Spetta naturalmente al condomino che sostenga di essere proprietario esclusivo di
un bene compreso dal citato articolo tra le parti comuni dell’edificio dimostrare la legittimità della
pretesa (Corte di Cassazione 7/6/1988, n 3862).
Cambio di destinazione
L’assemblea può, con un numero di voti che rappresenti i 4/5 dei partecipanti al condominio e i
4/5 del valore dell’edificio, modificare la destinazione d’uso delle parti comuni (Primo comma
articolo 1117-ter codice civile) per soddisfare esigenze d’interesse condominiale, a meno che ciò
le renda inservibili nei confronti anche di un solo condomino dissenziente (Tribunale di Rimini
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6/12/1988). L’avviso di convocazione della relativa assemblea deve impedire, pena nullità, le
parti comuni oggetto della modifica e la nuova destinazione d’uso, deve rimanere affisso per
non meno di 30 giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine
destinati, e va comunicato mediante raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da
pervenire almeno 20 giorni prima della data di convocazione. In ogni caso sono vietate le
modifiche delle destinazioni d’uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza
del fabbricato, o che alterano il decoro architettonico (Articolo 117-ter codice civile ).
Tutela
In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulla destinazione d’uso delle
parti comuni, l’amministratore, i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e
chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni
giudiziarie. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Articolo 1117-quater
codice civile).
Divisione fra condomini
E’ possibile dividere fra i condomini una parte comune dell’edificio, per esempio un cortile, ma
soltanto con il consenso di tutti i proprietari (Tribunale di Foggia 25/3/1994) e nel rispetto della
condizione prevista dall’articolo 1119 codice civile, vale a dire senza rendere l’uso della cosa più
incomodo a ciascun condomino, valutando sia l’uso attuale sia quello che potrebbe fare della parte a
lui assegnata una volta avvenuta la divisione (Corte di Cassazione 23/1/2012, n 86). La Corte di
Cassazione, per esempio, (Sentenza n. 4806 del 24/10/1978), non ha ritenuto divisibile un
cortile che sarebbe stato destinato alla costruzione di autorimesse, in considerazione delle
imitazioni di luce e aria, e delle immissioni moleste che ne sarebbero derivate agli appartamenti dei
piani inferiori, nonché dell’impossibilità di destinare a giardino il cortile stesso. Occorre poi che per
fare la divisione non si renda necessaria una spesa sproporzionata rispetto al valore della cosa
(Tribunale di Padova 21/3/1986 ) e che non vi siano controindicazioni sotto il profilo del rispetto
del regolamento edilizio comunale. La divisione, inoltre, deve essere da uno scritto, altrimenti è
possibile chiedere la rimozione dei manufatti eventualmente posti in opera, poiché abusivi (App. di
Perugia 9/2/1988) >>Pannelli solari, installazione.
Modifiche
Il condomino può apportare alle parti comuni dell’edificio le modifiche che gli possono arrecare
vantaggio, a condizione di non alterarne la destinazione, di non impedire agli altri condomini di farne
parimenti uso secondo il loro diritto e di non compromettere la stabilità, la sicurezza o il decoro
architettonico dell’edificio (Corte di Cassazione 3/4/1979, n 1889), fatto ovviamente salvo
l’eventuale divieto contenuto in un regolamento contrattuale. Rispettando queste condizioni non
sarebbe neppure necessaria l’autorizzazione dell’assemblea, che però è sempre meglio acquisire per
evitare possibili contestazioni, soprattutto dal punto di vista della possibile alterazione del decoro
architettonico. Per l’esecuzione di opere altrimenti non consentite è necessario il consenso di tutti
gli altri condomini, consenso che deve risultare, pena nullità, da atto pubblico o da scrittura privata
(Corte di Cassazione 7/11/1978, n 5086). L’opera, in ogni caso, non dev’ essere tale da creare una
situazione di pericolo.
Rinuncia
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Il condomino non può rinunciare al diritto sulle parti comuni (Secondo comma articolo 1118 codice
civile), neppure modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, (Salvo quanto
disposto da leggi speciali), a meno che non venga autorizzato da tutti gli altri condomini (Corte di
Cassazione 6/12/1991, n 13160). E’ possibile però rinunciare a impianti superflui in relazione alle
condizioni obiettive e alle esigenze delle moderne concezioni di vita, oppure illegali perché vietati
da norme imperative (Corte di Cassazione 27/4/1991, n 4652).
Riparazione
Il condomino è tenuto a consentire il passaggio, attraverso la propria unità immobiliare, dagli
incaricati di una riparazione alle parti comuni dell’edificio, senza che sia necessaria una delibera
dell’assemblea (Corte di Cassazione 5/9/ 1969, n 3059).
Riserva da parte del venditore
Il costruttore-venditore del fabbricato, all’atto del frazionamento e della vendita delle unità
immobiliari che lo costruiscono, può attribuire agli acquirenti la proprietà soltanto di alcune parti
comuni (Per esempio il portone, l’atrio, le scale), riservandosi la proprietà esclusiva di altre (Corte
di Cassazione 15/6/1998, n 5948 ): per esempio il lastrico solare per eseguirvi una sopraelevazione.
Spese
Le spese occorrenti alla riparazione delle parti comuni dell’edificio (Articolo 1123 codice civile)
vanno ripartite tra i condomini in proporzione ai millesimi di proprietà, salvo diverso accordo. Se
però una parte è comune solo ad alcuni di essi, alla spesa devono contribuire soltanto i beneficiari (
>>Condominio parziale). Può anche accadere che una stessa cosa serva i condomini in misura diversa;
nel qual caso la spesa va ripartita in proporzione all’uso che ciascuno può farne. Qualora, infine, la
spesa si renda necessaria esclusivamente per fatto e colpa di uno o più condomini, saranno questi a
doversene fare esclusivo carico (Corte di Cassazione 23/2/1965, n 296). L’obbligo di concorrere
alle spese comuni in proporzione ai millesimi di proprietà prescinde dall’uso effettivo che il
condomino faccia di esse, dovendosi far riferimento all’uso potenziale; di conseguenza deve pagare
anche il condomino che tiene disabitata la propria unità immobiliare, a meno che non sia stato
esonerato da tutti gli altri condomini.
Tutela
In fatto di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle
parti comuni, l’amministratore o i condomini anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e
chiederne la convocazione dell’assemblea per far essere la violazione, anche mediante azioni
giudiziarie. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti di almeno 500/1.000 (Articolo 1117-quater codice civile).
Vendita
La vendita o la permuta di una parte comune dell’edificio è nulla senza il consenso di tutti i
condomini, ciascuno dei quali è legittimato a far valere la nullità (Corte di Cassazione 26/11/ 1998,
n. 11968).
Violazione
In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso
delle parti comuni, l’amministratore o i condomini, che singolarmente, possono diffidare
l’esecutore e chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, se del caso
ricorrendo al giudice. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con il voto
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favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000
(Articolo 1117-quater codice civile).
Vizio di costruzione
Se le parti comuni dell’edificio evidenziano un vizio di costruzione, l’azione giudiziaria nei confronti
dell’appaltatore, prevista dall’articolo 1669 codice civile, può essere promossa dall’amministratore
anche senza preventiva autorizzazione dell’assemblea, poiché l’articolo 1130, n 4), codice civile, non
va interpretato nel senso che l’amministratore possa chiedere soltanto misure cautelati, ma si
riferisce a tutti gli atti diretti a conservare le parti comuni dell’edificio (Corte di Cassazione
8/8/1990, n 8053).
PASSO CARRABILE
Barbacani.
I barbacani sono sporgenze in ferro, pietra o altro materiale, che restringono l’accesso al passo
carrabile per impedire l‘ingresso ai veicoli che, per la loro mole, potrebbero danneggiare gli stipiti.
La loro installazione non costituisce innovazione (Tribunale di Milano 10/10/1988) e può pertanto
essere deliberata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000.
Cancello. L’assemblea può, con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in
rappresentanza di almeno 500/1.000, deliberare l’installazione di un cancello in coincidenza del
passo carrabile, non essendo questo intervento riguardabile come innovazione ( Tribunale di Cagliari
6/2/2004).
Spesa
La spesa richiesta del passo carrabile va ripartita in proporzione ai millesimi di proprietà fra tutti i
condomini, anche quelli sprovvisti di auto se hanno la possibilità di attraversarlo a piedi ( Tribunale
di Milano 4/3/1991). Se però quest’accesso è al servizio esclusivo di alcune autorimesse, la spesa
grava sui proprietari di queste. Se poi il passo carrabile è al servizio di due o più edifici (
>>Supercondominio), la spesa va ripartita in proporzione alla caratura millesimale di ciascun edificio,
e, fra i condomini di ciascuno di questi, in proporzione ai millesimi di proprietà.
PIANEROTTOLO
I pianerottoli fanno parte integrante delle scale. Di conseguenza un condomino non può
appropiarsene (Per esempio incorporandolo nel proprio appartamento) senza il consenso di tutti gli
altri condomini, trattandosi di escluderli dall’uso di questa parte comune (Corte di Cassazione
2/8/1990, n 7704 ). Ovviamente il discorso cambia se un titolo, vincendo la presunzione stabilità
dall’articolo 1117 codice civile, assegna il pianerottolo in proprietà esclusiva a uno o più condomini
(14/11/1998, n 11405). Non è consentito occupare stabilmente il pianerottolo, per esempio, con
mobili, biciclette e altri oggetti non destinati ad abbellire questa parte comune. La Corte di
Cassazione, per esempio (sentenza n. 5474 dell’8/3/2011), ha stabilito il diritto di esigere il
risarcimento del danno nei confronti del condomino che aveva depositato, sistematicamente per
alcuni giorni, la spazzatura sul pianerottolo adiacente alla propria abitazione.
Negozi
I pianerottoli sono comuni anche ai proprietari dei negozi con accesso dalla strada, essendo
anch’essi interessati a usufruire delle scale, ai fini della conservazione (E manutenzione ) della
130
copertura dell’edificio della quale anch’essi godono (Corte di Cassazione 10/7/2007, n 15444).
Porta
E’ possibile aprire una porta sul pianerottolo per dotare il proprio appartamento di un secondo
ingresso a condizione che l’intervento non limiti il godimento degli altri condomini e non arrechi
pregiudizio all’edificio e al suo decoro architettonico (Corte di Cassazione 20/7/2011, n 15968);
l’immagine dell’edificio non ha valenza interna oltre che esterna.
Spesa
La spesa occorrente alla manutenzione e alla ricostruzione dei pianerottoli va ripartita fra i
condomini con lo stesso criterio previsto per le >>Scale, Spese.
PISCINA
Igiene
Le linee guida in materia di aspetti igienico-sanitari delle piscine sono tracciate dall’accordo
intervenuto il 16/1/2003 tra il Ministero della salute, le regioni e le Province autonome di Trento e
di Bolzano. I controlli sono affidati all’Azienda sanitaria Locale e l’inosservanza delle prescrizioni
comporta l’irrogazione delle sanzioni previste dalla regione.
Incidente
Se non è previsto il servizio di salvataggio, in caso d’incidente la responsabilità è del condominio e
non dell’amministratore (Tribunale di Ferrara 28/12/1999). Se i condomini non vogliono rispondere
dell’evento devono pertanto provare che questo è stato determinato da caso fortuito.
Ospiti
Il Pretore di Roma (Sentenza del 13/7/1989) ha considerato il diritto d’invitare ospiti alla piscina
condominiale una modalità da fruizione del bene comune, aggiungendo che ciò de’ essere
proporzionato alla proprietà di ciascuno: più millesimi si hanno, quindi, più persone si possono
invitare, avendo però sempre presenti i diritti degli altri condomini.
Spesa
La spesa richiesta dalla manutenzione della piscina, salvo diverso accordo al quale abbiano aderito
tutti i condomini, dev’essere suddivisa in proporzione ai millesimi di proprietà. I proprietari di
negozi che, per ragioni di struttura dell’immobile, non abbiano accesso alla piscina condominiale, non
sono tenuti a contribuire alla spesa (Corte di Cassazione 29/4/1992, n 5179).
PORTIERE
Il servizio di portierato è comodo e prezioso; da prestigio e sicurezza all’edificio condominiale, ma è
piuttosto costoso e quindi tale da interessare una minoranza di condomini.
Contratto
A regolare i rapporti tra condominio e portiere c’è il contratto collettivo nazionale di lavoro, la cui
validità abbraccia il periodo 1/1/2013 - 31/12/2014. E’ in base ad esso, quindi, che sono
determinati i diritti e i doveri delle parti, l’orario di lavoro, le ferie e i permessi, le indennità per
particolari servizi come lo sgombero della neve.
Controversie
In caso di controversia fra portiere e condominio, l’articolo 15 del contratto collettivo stabilisce
che, prima di ricorrere all’Autorità Giudiziaria, la questione dev’essere portata all’esame di una
Commissione di conciliazione. Se il tentativo di conciliazione fallisce, ferma restando la facoltà di
131
adire il giudice, ciascuna delle parti può promuovere il deferimento della commessa al Collegio
arbitrale istituito dalle associazioni territoriali aderenti alle organizzazioni che hanno stipulato il
contratto di lavoro. Il Collegio, che è formato da 3 membri, decide entro 45 giorni (prorogabili a
60) dalla prima riunione.
Corrispondenza
Fra le mansioni classiche del portiere rientra quella di prendere in consegna la corrispondenza
ordinaria, i pacchi e gli espressi indirizzati ai condomini, anche se consegnati da corriere privati
(Corte di Cassazione 28/7/1986, n 4832), ma non le raccomandate e le assicurate. Il portiere può
invece rifiutarsi di prendere in consegna la corrispondenza indirizzata agli inquilini ( App. di Milano
30/9/196). La moglie del portiere non può, in sua precaria assenza, ritirare la corrispondenza
indirizzata ad un condomino, se non è stata espressamente autorizzata dal destinatario (Corte di
Cassazione 6/5/2005, n 9511). Se il portiere aveva acetato di ritirare la corrispondenza di un
inquilino trasferitosi dall’edificio condominiale, non può rinunciare all’incarico senza giusta causa, o
congruo preavviso, pena il risarcimento del danno.
Danni
Dei danni provocati a terzi dal portiere nell’esercizio delle sue mansioni risponde il condominio a
titolo di culpa in esigendo (Ossia colpa nella scelta nella persona alla quale è stato affidato
l’incarico, articolo 2049 codice civile). Il condominio può comunque rivalersi nei suoi confronti.
Infortunio
Se il portiere riceve un danno a causa del mancato rispetto delle norme di sicurezza, come nel caso
di una caduta mortale dovuta a un parapetto di altezza inferiore e quella minima ( Un metro)
prevista dalla normativa contro gli infortuni sul lavoro, ne risponde l’amministratore (Corte di
Cassazione 1/6/2911, n 22239).
Istituzione del servizio
L’introduzione del servizio di portierato in un edificio particolarmente signorile non è stata dal
Tribunale di Torino (sentenza del 16/3/1981) considerata innovazione e in quanto tale può essere
deliberata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000. Negli altri casi è considerata innovazione e richiede pertanto
il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno
667/1.000.
Licenziamento
Il portiere che, contrariamente a quanto previsto dal contratto di assunzione, non abiti l’alloggio
messogli a disposizione dal condominio, può essere licenziato perché cosi facendo viene mono agli
obblighi di vigilanza e di custodia, gravando inutilmente il condominio degli oneri al mantenimento
dell’abitazione (Pret. Di Napoli 17/8/1998).
Locali
Anche se l’originaria destinazione dei locali a portineria era stata prevista da un regolamento
contrattuale, l’assemblea può deliberare di destinarli ad altro uso con tanti voti che rappresentino il
4/5 dei partecipanti al condominio e il 4/5 di valore dell’edificio (Primo comma articolo 1117-ter
codice civile), a meno che il regolamento non contenga particolari disposizioni che attribuiscono ai
condomini diritti soggettivi (Corte di Cassazione 27/1/1996, n 642); nel qual caso, infatti, sarebbe
necessaria l’unanimità. Detti locali, una volta venuta meno la loro destinazione, possono essere
concessi in locazione a maggioranza, ma soltanto quando non sia possibile un loro utilizzo da parte
132
dei condomini, neppure stabilendo dei turni. Altrimenti è necessaria l’unanimità e eventuale delibera
adottata a maggioranza sarebbe nulla e quindi impugnabile senza il limite tempo (Corte di
Cassazione 18/1/1982, n 312). La locazione non può essere disposta dall’amministratore, a meno
che non sia espressamente prevista dalla delibera di soppressione del servizio ( Corte di Cassazione
24/3/ 972, n 899 ). Per la vendita a un condomino o a terzi, invece, è necessario il consenso scritto
da tutti i condomini. In entrambi i casi il ricavato, salvo che il regolamento disponga altrimenti, va
ripartito fra i condomini in proporzione ai millesimi di proprietà (Corte di Cassazione 29/6/1979, n
3690).
Secondo lavoro
L’articolo 24 del contratto collettivo stabilisce che il portiere a tempo pieno non può esercitare
altra attività lavorativa nell’edificio. Lo stesso articolo, però, prevede che, al di fuori dell’orario di
lavoro, nell’alloggio del portiere possono essere esercitare, sia da parte del portiere che dei suoi
familiari, attività lavorative, purché non siano artigianali, non comportino afflusso di pubblico e non
arrechino comunque disturbo ai condomini. Il portiere a tempo parziale, invece, può esercitare, al di
fuori dell’orario previsto dal contratto individuale di lavoro, qualunque altra attività, purché al di
fuori dei locali condominiali.
Soppressione del servizio
La soppressione di portierato dev’essere approvata dall’assemblea con il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Corte di Cassazione
29/3/1995 n 3708 e Corte di Cassazione 26/8/2002 n 12481).
Sostituzione
Se il regolamento, ancorché contrattuale, prevede che il servizio di portierato sia finalizzato
esclusivamente alla custodia e alla pulizia delle cose comuni, la sua sostituzione con un sistema di
apertura atomizzata del portone (Cosiddetto portiere automatico) può essere deliberata con il voto
favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno
667/1.000 (Corte di Cassazione 3/5/1969).
Spese
Le spese del servizio di portierato (anche di quello notturno se svolto nell’interesse di tutti i
condomini e non vi sia diversa convenzione tra gli stessi, Corte di Cassazione 30/10/1981, n 5751)
devono essere ripartite in base ai millesimi di proprietà. Se l’edificio ha più ingressi e il servizio è
riferito soltanto a uno di essi, alla spesa devono contribuire i soli condomini di questo. Nei confronti
del portiere i condomini dono obbligati, ai fini del pagamento della retribuzione e degli altri oneri,
ciascuno per la propria quota, avendo le Sezioni Unite della Corte di Corte di Cassazione (Sentenza
n. 9148 dell’8/4/2008) decretato che la responsabilità dei condomini per le obbligazioni assunte
dal condomino non è più solidale ma parziale. Per le unità immobiliari concesse in locazione le spese
per il servizio di portierato sono a carico dell’inquilino nella misura del 90%, salvo che le parti
abbiano convenuta una misura inferiore (Articolo 9 della L. 27/7/1978, n 392). Il conduttore non
può impugnare una delibera assembleare riguardante le spese di portierato, poiché l’articolo 10 di
questa legge non gli attribuisce il diritto di voto in materia, ma soltanto quello di partecipare alle
assemblee (Tribunale di Cagliari 14/4/1992). Se il regolamento del condominio comprende le spese
del servizio di portierato fra quelle di carattere generale, devono parteciparvi anche proprietari di
negozi, indipendentemente dalla maggiore o minore utilizzazione del servizio (Corte di Cassazione
30/05/1990, n 5081). Successivamente le stessa Corte di Cassazione (Sentenza n. 5179 del
133
29/4/1992) ha stabilito che i proprietari dei negozi che non hanno accesso al servizio di portierato
sono esonerati dal contributo alla spesa, mentre con sentenza n. 12298 del 21/8/2003 ha sancito
che l’attività di custodia e di vigilanza è svolta dal portiere anche nell’interesse dei proprietari delle
unità immobiliari accessibili direttamente dalla strada mediante autonomo ingresso, per cui anche
questi soggetti devono contribuire alle spese.
Supercondominio
Se la portineria è ubicata in uno degli immobili costituenti il >>Supercondominio, alla spesa per il
rifacimento del tetto di questo edificio devono contribuire anche i proprietari delle altre palazzine,
ripartendosi fra tutti i condomini (Compresi quelli che abitano nell’edificio sede della portineria) la
spesa gravante sui millesimi dell’unità immobiliare destinata al servizio: i locali che ospitano la
portineria, infatti, sono parti comuni.
RIEPILOGANDO: IL PORTIERATO
Istituzione del servizio. Negli edifici molto signorili è sufficiente il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000
(Maggioranza degli intervenuti e almeno 667/1.000 negli altri).
Soppressione. Ci vuole il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000.
Divisione spese. In base ai millesimo di proprietà salvo diverso accordo.
In caso di locazione. L‘inquilino paga il 90% della spesa, il proprietario il restante 10%.
Norme. Contratto collettivo 2008-2010.
PORTONE
Apertura
Per la sostituzione del sistema di apertura manuale del portone con uno automatizzato è richiesto
il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno
500/1.000 (Pret. Di Pisa 3/4/1995). Non consentita, invece, la trasformazione dell’apertura da
automatizzata a manuale, in quanto determina un’evidente comprensione della facoltà di godimento
della cosa comune da parte di chi dovesse soffrire di gravi limitazioni fisiche (Tribunale di Milano
1/3/1993).
Chiusura
L’assemblea può deliberare la chiusura del portone nelle ore diurne, ma solo se viene installato un
congegno di apertura automatizzata azionabile dagli appartamenti, pena la nullità della relativa
delibera (Tribunale di Milano 9/3/1989). Se però nell’androne c’è un negozio, la chiusura non può
essere disposta durante le ore lavorative, a meno che lo stato dei luoghi non consenta di separare
l’ingresso agli appartamenti di quello dell’esercizio commerciale. Nessun problema, invece, per
deliberare la chiusura del portone nelle ore notturne, trattandosi di garantire la sicurezza della
proprietà condominiale e dei singoli (Corte di Cassazione 29/3/1963, n 779).
Rumore
Può accadere che il meccanismo di chiusura del portone sia particolarmente rumoroso, e quindi
fastidioso, soprattutto nelle ore notturne. Se, all’esito di una perizia fonometrica, risulta che le
immissioni rumorose superano la normale tollerabilità, si può pretendere che l’assemblea deliberi le
opportune modifiche o addirittura la sostituzione del portone (Tribunale di Napoli 26/1/1974)
134
POZZO
Danni
Se da un pozzo esistente nell’area condominiale deriva un danno a terzi, i condomini ne rispondono
indipendentemente dall’ubicazione della propria unità immobiliare (Corte di Cassazione 17/4/1998,
n 3887)
Nero
Il condomino può collocare un pozzo nero nel cortile condominiale, ma il manufatto, in virtù del
principio giuridico dell’accessione, diventa comune anche agli altri condomini, che possono pertanto
utilizzarlo, salvo costruirne altri qualora non fosse sufficiente a soddisfare le esigenze delle varie
unità immobiliari (Corte di Cassazione 29/3/1978, n 1456). Naturalmente è necessario rispettare
la normativa igienicosanitaria e quella sulle
>>Distanze.
PREVENTIVO
Una corretta delibera relativa a una spesa condominiale presuppone che i condomini vengano
preventivamente informati sul prezzo e sulle condizioni praticati da almeno due imprese, e che i
rispettivi preventivi. Una volta adottata la decisione, vengano allegati al verbale; verbale che dovrà,
sia pure sinteticamente, riportare i termini della discussione e le ragioni della scelta. Nei casi più
complessi è consigliabile che a valutare i preventivi sia un tecnico designato dall’assemblea. Se poi
questa approva un preventivo di spesa d’importo superiore a un altro, la minoranza è tenuta ad
adeguarsi, a meno che non voglia impugnare la delibera davanti al giudice, dimostrandone
l’illegittimità; non sempre però, il prezzo più basso è il più conveniente, dovendosi avere riguardo
alla qualità del risultato.
PROSTITUZIONE
Il condominio, se una o più persone esercitano la prostituzione in un appartamento, può attivarsi
giudizialmente solo se le immissioni prodotte da questa attività (Sostanzialmente rumori molesti
anche in ore notturne) superano la normale tollerabilità di cui all’articolo 844 codice civile:
prostituirsi in un luogo privato, infatti, non è reato. Se però nell’edificio viene gestita una vera e
propria casa di prostituzione, o un appartamento è stato concesso in locazione ai fini dell’esercizio
della prostituzione, o una o più persone, lucrano una percentuale sugli incontri di cui si prostituisce
nell’appartamento, i condomini possono segnalare il fatto all’Autorità di pubblica sicurezza; in tali
ipotesi, infatti, ricorrono, rispettivamente, i reati di esercizio di una casa di prostituzione, della
locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione, di favoreggiamento della prostituzione e
di sfruttamento della prostituzione.
PUBBLICITA’
Il condomino - lo stesso diritto è riconosciuto al conduttore (Corte di Cassazione 3/2/1998, n
1046) - può installare un’ >>Insegna (Anche luminosa) sul muro perimetrale comune, trattandosi di
un’ attività che (Di regola) non impedisce agli altri partecipanti di fare ugualmente uso di questa
parte comune secondo il loro diritto. E’ comunque opportuno consegnare un progetto dell’opera
all’amministratore, affinché lo sottoponga all’assemblea, e acquisire il via libera di quest’organo
condominiale.
135
Cartellone
Non è raro che l’assemblea, allo scopo di acquisire un’entrata da destinare alla copertura delle
spese comuni, autorizzi l’installazione, da parte di terzi, di un cartellone pubblicitario su di una
parete dell’edificio priva di finestre. Se però le dimensioni della struttura sono tali da occupare
l’intera superficie disponibile, si è in presenza di un’innovazione che destina il bene comune a una
funzione diversa da quella originaria, con pressoché certa alterazione del decoro architettonico
dell’edificio (App. di Milano 17/6/1997), per cui è necessario che l’installazione venga deliberata
all’unanimità, trattandosi tra l’altro di costituire una servitù a carico del condominio. I proprietari
di un edificio adiacente a quello sulla cui facciata sia stato collocato un cartellone a quello sulla cui
facciata sia stato collocato un cartellone pubblicitario non possono eccepire l’alterazione del decoro
architettonico e chiedere il ristoro dei conseguenti danni (Corte di Cassazione 27/4/1989, n.
1954), possono, però, invocate il rispetto del regolamento edilizio comunale da parte del vicino,
come nel caso di un cartellone molto grande installato su di un edificio del centro storico (Corte di
Cassazione 21/2/1998, n 1873).
QUORUM
Questo termine deriva dall’espressione latina quorum maxima paes (La maggior parte dei quali) ed è
sinonimo di maggioranza o numero legale, ossia di condomini (E relativi millesimi) che devono essere
presenti affinché l’assemblea possa dirsi validamente insediata, o di condomini (E relativi millesimi )
che devono essere presenti affinché l’assemblea possa dirsi validamente insediata, o di condomini
(E relativi millesimi) che devono votare a favore affinché una delibera possa essere validamente
adottata (>>Assemblea, Maggioranza). Per le delibere di ordinanza amministrativa (Per esempio
approvazione del preventivo di spesa e del rendiconto annuale) è sufficiente il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti all’assemblea (Si considerano anche i voti espressi per delega e i
relativi millesimi), in rappresentanza di almeno 500/1.000. per le delibere più impegnative, invece
(Per esempio innovazioni dirette al miglioramento o all’ uso più comodo o al maggior rendimento delle
cose comuni ), è richiesto il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza
di almeno 667/1.000. per altre delibere, infine, (Per esempio quelle aventi per oggetto innovazioni
che alterano il decoro architettonico dell’edificio o rendono talune parti comuni dell’edificio
inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino), è richiesto, sia in prima che in seconda
convocazione, il voto favorevole di tutti i partecipanti al condominio, in rappresentanza, quindi, di
1.000/1.000.
LETTERA R
RECINZIONE
Recintare uno spazio condominiale destinato a verde per evitare il calpestio dell’erba è atto di
ordinaria amministrazione (Corte di Cassazione 21/7/1977, n 4035), che in quanto tale può essere
deliberato con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000. Con lo tesso quorum è possibile sostituire una preesistente
delimitazione, costituita da paletti uniti da una catena, con una recinzione in rete metallica
(Tribunale di Bologna 7/3/2000).
Spesa
136
La spesa per la recinzione che delimita le parti comuni, di regola, va suddivisa fra i condomini in
base ai millesimi di proprietà. Se però la recinzione delimita anche una proprietà esclusiva, la spesa
va ripartita per metà fra tutti i condomini, restando l’altra metà a carico del singolo, che in quanto
condomino deve contribuire anche all’altro 50% ( >>Muro, Di confine).
Varco
Il condomino può aprire un varco nella recinzione condominiale per mettere in comunicazione la
propria unità immobiliare con il cortile, a condizione che l’apertura non impedisca agli altri
condomini di continuare a usare il cortile come facevano prima (Corte di Cassazione 5/1/2000, n
42), e che la proprietà esclusiva del condomino non sia estranea al condomino. Per evitare possibili
vertenze è preferibile munirsi di autorizzazione da parte dell’assemblea.
REGALIE
L’amministratore non può, di sua iniziativa, fare una regalia d’uso, per esempio al portiere o
all’addetto delle pulizie, a nome del codominio; è infatti necessaria una delibera o comunque un atto
di ratifica da parte dell’assemblea, non essendo sufficiente l’autorizzazione verbale da parte dei
condomini (Tribunale di Roma 21/2/1987 ).
REGOLAMENTO
Il regolamento contiene le norme, oltre a disciplinare l’uso delle parti e dei servizi comuni, regolano
i rapporti fra i componenti la comunità condominiali. Il regolamento è obbligatorio se nell’edificio vi
sono più di dieci condomini, ma l’assemblea può decidere d’introdurlo anche se il loro numero è
inferiore, purché il documento venga approvato con la prevista maggioranza ( Corte di Cassazione
28/7/1956, n 2957 ). Il regolamento, una volta accettato o approvato dai condomini, ha valore fino
a quando non venga modificato; non può, quindi, essere “A termine“. Il regolamento può essere di
due tipi: assembleare o contrattuale. Il quarto comma dell’articolo 1138 codice civile stabilisce che
le norme del regolamento non possono, in nessun caso (Quindi neppure se si tratta di regolamento
approvato o accettato da tutti i condomini. Corte di Cassazione 26/5/1990, n 4905), derogare alle
disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137
codice civile, i condomini non sono pertanto tenuti ad osservare le clausole che si pongono in
contrasto con taluna di queste disposizioni. Tutte le altre norme, non richiamate dal citato comma,
sono invece derogabili. Se i condomini sono più di 10 e l’assemblea non riesce a darsi un regolamento
(Non, quindi, sul solo presupposto della sua mancanza, Tribunale di Palermo 26/3/1968), uno o più
condomini possono rivolgersi al giudice. Il regolamento giudiziario entra in vigore al momento in cui
passa in giudicato (Ossia diventa definitiva) la sentenza che lo ha introdotto (Corte di Cassazione
1/2/1993, n 1218 ). Il regolamento ha efficacia anche nei confronti dei futuri proprietari delle
unità immobiliari: si pensi a un compratore o a un erede.
Assembleare
Il regolamento assembleare (Detto anche interno) è approvato direttamente dall’ assemblea. In
questo caso sono gli stessi proprietari che sentono la necessità - oltre che l’obbligo, se sono più di
dieci - di darsi delle regole per disciplinare la vita condominiale e per suddividere le spese. Il
regolamento assembleare dev’essere approvato, sia in prima ce in seconda convocazione, con il voto
favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000.
Compratore
137
Chi acquista un’unità immobiliare è tenuto a rispettare il preesistente regolamento (Corte di
Cassazione 25/7/1977, n 3309). Se però questo contiene limitazioni all’uso che il proprietario può
fare delle parti comuni o di quello di proprietà esclusiva - per esempio: divieto di adibire gli
appartamenti a determinate attività -, è necessario che sia stato richiamato nell’atto di vendita
(anche se non materialmente inserito) e che l’acquirente lo abbia accettato per iscritto, in modo
chiaro e inequivocabile (Corte di Cassazione 4/3/1983, n 1645): infatti, solo cosi diventa
vincolante. Non è invece necessario che nel rogito venga fatta espressa menzione delle singole
clausole (Corte di Cassazione 15/6/1991, n 6768). Se poi il regolamento era stato trascritto
presso l’Agenzia del territorio prima dell’ atto di acquisto, diventando cosi di pubblico dominio, va
rispettato dall’ acquirente anche se non richiamato nel rogito (Corte di Cassazione 25/10/2001, n
13164). Le limitazioni vincolano l’acquirente indipendentemente dalla trascrizione se egli, nell’atto
di acquisto, aveva fatto esplicito riferimento al regolamento dimostrando di essere a conoscenza e
di accettare il contenuto (Corte di Cassazione 3/7/2003, n 10523). Se l’acquisto avviene prima che
il regolamento venga predisposto, e nell’atto il compratore si è obbligato, genericamente, a
rispettarlo, no è detti che debba poi attenervisi; egli, infatti, è obbligato a rispettare il
regolamento solo se successivamente vi abbia dato formale e inequivocabile adesione (Corte di
Cassazione 16/2/2005, 3104).
Contrattuale
Il regolamento contrattuale - detto anche esterno in quanto viene di solito predisposto dal
conduttore dell’edificio - è quello accettato da tutti i condomini perché contenuto negli atti di
acquisto delle singole unità immobiliari. In pratica il costruttore mette a punto il regolamento e le
tabelle millesimali, e li consegna agli acquirenti via via che vende loro le unità immobiliari ubicate
nell’edificio. In questo modo tutti i condomini sono messi a conoscenza del regolamento e lo
accettano. Se il costruttore non provvede ad apprestare il regolamento i condomini non possono
pretendere che lo faccia, poiché un obbligo in tal senso non è previsto dall’articolo 1138 codice
civile (Corte di Cassazione 23/2/2012, n 2742). Di regolamento contrattuale si parla anche per
indicare un regolamento assembleare approvato all’ unanimità da tutti i partecipanti al condominio.
Il regolamento contrattuale, proprio perché accettato o approvato all’unanimità, può rendere più
severi i limiti posti dalla legge all’uso delle parti comuni e/o limitare i poteri e le facoltà dei
condomini sulla parti di cui hanno la proprietà esclusiva: per esempio vietare che gli appartamenti
possano essere adibito a determinare attività. Non potrebbe però, in ogni caso, porsi in contrasto
con le norme richiamate dal quarto comma dell’articolo 1138 codice civile, in quanto inderogabili.
Divieti
Divieti e limitazioni possono essere indicati nel regolamento sia in modo specifico, sia con
riferimento ai pregiudizi che s’intendono evitare (Corte di Cassazione 13/2/1995, n 1560). In ogni
caso le clausole che dovessero introdurre restrizioni all’ uso delle parti comuni o di quelle di
proprietà esclusiva devono essere enunciate chiaramente e in modo esplicito, e accettate o
approvate dagli interessati. Non sono quindi valide le disposizioni espresse con formulazioni del
tutto generica (Corte di Cassazione 26/5/1995, n 1560). In ogni caso le clausole che dovessero
introdurre restrizioni all’uso delle parti comuni o di quelle di proprietà esclusiva devono essere
enunciate chiaramente e in modo specifico, e accettate o approvate dagli interessati. Non sono
quindi valide le disposizioni espresse con formulazione del tutto generica ( Corte d Cassazione
26/5/1990, n 4905). Divieti e limitazioni sulle parti comuni o su quelle di proprietà esclusiva
138
possono essere inseriti in un regolamento assembleare, ma devono essere approvati all’unanimità.
Forma
La formazione del regolamento condominiale è soggetta al requisito della forma scritta, pena nullità
(Corte di Cassazione SS.UU. 30/12/1999, n 943). Lo stesso dicasi della modifica.
Impugnazione
Il regolamento può essere impugnato da ciascun condomino davanti al giudice entro 30 giorni
dall’approvazione (Entro 30 giorni dalla comunicazione per gli assenti). Decorso il termine senza che
sia stata proposta impugnazione il regolamento produce i suoi effetti anche nei confronti degli
eredi aventi causa (Per esempio: acquirente) dei condomini (Primo comma art. 1107 codice civile ).
Modifica
Il regolamento è suscettibile di modifica, ma occorre distinguere fra clausole contrattuali e
clausole regolamentari. Clausole contrattuali sono quelle che incidono direttamente sulla sfera
soggettiva dei condomini: per esempio: prevedono un criterio di ripartizione delle spese diverso da
quello stabilito dalla legge, o pongono limiti all’uso che i condomini possono fare delle spese comuni o
di quelle di proprietà esclusiva. La modifica di questa parte del regolamento richiede l’unanimità.
Sono invece regolamentari le clausole che coinvolgono interessi personali della collettività, come per
esempio quelle sulla modalità d’uso e sul funzionamento dei servizi comuni, e in quanto tali possono
essere modificate con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000, sia in prima che in seconda convocazione (Corte di Cassazione
14/11/1991, n 12173).
Sanzioni
E’ compito dell’amministratore far rispettare il regolamento, e se trascura di farlo può essere
revocato dall’assemblea. Per le infrazioni al regolamento può essere stabilito, a titolo di
sanzione, il pagamento di una somma fino a 200€ (Fino a 800€ in caso di recidiva). La somma
è devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie (Articolo 70 disp.
Codice civile). La sanzione, che può essere prevista dallo stesso regolamento o deliberata dall’
assemblea, non può essere superiore ai suddetti importi, pena nullità ( Corte di Cassazione
21/4/2008, n 10329). Il regolamento dev’essere osservato anche dal conduttore, poiché questi si
trova, nei confronti delle norme in esso contenute, nella stessa posizione del condomino-locatore
(Corte di Cassazione 21/9/1988, n 5189). Lo stesso dicasi del comodatario (Pret. di Milano
13/3/1986). La stessa Corte di Cassazione (Sentenza n. 10837 del 17/10/1995) ha precisato che
un’eventuale sanzione non potrebbe essere irrogata al conduttore poiché questi, pur godendo delle
parti comuni dell’edificio, è estraneo all’organizzazione condominiale. Il locatore, però, di fronte alle
ripetute violazioni, da parte del conduttore, del regolamento richiamato nel contratto di locazione,
ha lo strumento giuridico per riottenere la disponibilità dell’immobile: chiedere al giudice la
risoluzione del contratto per inadempimento. Pertanto, il non avere attivato questo strumento lo
rende a sua volta inadempiente all’obbligo di rispettare il regolamento e quindi responsabile nei
confronti del condominio (Corte di Cassazione 16/5/2006, n 11385).
Vendita dell’unità immobiliare
La clausola del regolamento che obbliga il condomino a comunicare all’amministratore la vendita
dell’appartamento è legittima, in quanto finalizzata a una più spedita e corretta gestione
dell’amministrazione condominiale (Corte di Cassazione 21/8/2003, n 12298).
RIEPILOGANDO: IL REGOLAMENTO
139
Obbligatorio. Se i condomini sono più di 10.
Contrattuale. E’ predisposto dal costruttore e allegato agli atti di acquisto, oppure approvato
all’ unanimità dei condomini.
Assembleare. E’ approvato dalla maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di
almeno 500/1.000, anche in seconda convocazione.
Modifica regolamento contrattuale. Consenso di tutti i condomini per modificare le clausole che
limitano i diritti dei condomini sulle cose comuni o su quelle di proprietà esclusiva, maggioranza dei
partecipanti all’assemblea e almeno 500/1.000 per le altre clausole.
Modifica regolamento assembleare. Maggioranza degli intervenuti all’assemblea e almeno 500/
1.000.
Norme. Articolo 1138 codice civile, articoli 68-70 e 72 disp. Att. codice civile.
Sanzioni. Fino a 200€ (Fino a 800€ in caso di recidiva).
RIFIUTI
Un impianto ancora esistente in alcuni edifici condominiali è quello delle canne fumarie ( Condotti di
scarico che portano l’immondizia dalle abitazioni o dal ballatoio direttamente al contenitore
condominiale ubicato in cantina). La Corte di Cassazione (Sentenza n. 11138 del 26/10/1995) ha
stabilito che l’assemblea può, per ragioni igieniche ed economiche, deliberare a maggioranza di
sigillare le canne pattumiere.
Tassa
La ripartizione fra i condomini della TIA (Tariffa igiene ambientale), non rientrando tale esborso
fra le spese di manutenzione e gestione delle parti e dei servizi comuni, in quanto relativa alle
singole unità immobiliari, di proprietà dei singoli condomini, va ripartita applicando i criteri stabiliti
dall’ente impositore (Corte di Cassazione 28/11/2001, n 15131).
RISCALDAMENTO
Autonomo
E’ possibile installare un impianto autonomo di riscaldamento, in aggiunta a quello centralizzato, a
condizione di non arrecare il minimo pregiudizio a quest’ultimo (Tribunale di Roma 9/7/1988).
Danni
Il danno non è solo quello effettivamente prodotto, ma anche quello riconducibile a una situazione di
pericolo attuale e non meramente ipotetico, qual è per esempio il cattivo funzionamento di un
impianto di riscaldamento autonomo (Corte di Cassazione 25/1/1995, n 870). In presenza di una
situazione del genere sia l’amministratore che i condomini possono chiedere l’intervento dei Vigili
del fuoco ed eventualmente rivolgersi al giudice per far cessare la situazione di pericolo.
Installazione caldaia
Prima d’installare la caldaia sul muro condominiale (Intervento che rientra fra i diritti del
condomino) ne deve essere data preventiva notizia all’amministratore, specificando i dettagli
dell’intervento e la modalità dell’esecuzione. L’amministratore a sua volta, ne riferisce all’assemblea
(Secondo comma articolo 1122 codice civile). Se però il regolamento condominiale contrattuale
vieta ai condomini di apportare alla facciata qualsiasi modifica, la caldaia non può esservi collocata,
ancorché non ne alteri il decoro architettonico (Corte di Cassazione 7/6/2011, n 12291). Vietato
140
anche installare la caldaia nel vano senza scale senza il consenso di tutti gli altri condomini, poiché
questo tipo d’intervento fa venir meno la normale e originaria destinazione di questa parte comune
(Corte di Cassazione 21/9 /2011, n 19205).
Centralizzato
<adeguamento normativa antincendio>.
La delibera che stabilisce l’adeguamento dell’impianto di riscaldamento alla normativa antincendio
può essere adottata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000 (Corte di Cassazione 22/4/1992, n 4802).
Allaccio
Il condomino che non l’abbia fatto inizialmente può allacciarsi all’ impianto centralizzato anche se in
secondo momento, trattandosi di un bene comune a tutti i condomini (App. di Firenze 21/6/1965 ).
Caldaia
<locale>
Il locale caldaia rientra fra le parti comuni dell’edificio, ai sensi dell’articolo 1117 codice civile, ma
la comproprietà può essere esclusa in capo al condomino che non usufruisca del servizio in quanto
proprietario soltanto di un negozio escluso dalla tabella millesimale del riscaldamento ( Corte di
Cassazione 6/7/1984, n 3966). Il cambio di destinazione del locale caldaia dismesso può essere
deliberato con tanti voti che rappresentino i 4/5 dei partecipanti al condominio e i 4/5 del valore
dell’edificio (Primo comma articolo 117-ter codice civile). Un condomino non può utilizzare in via
esclusiva il locale già sede dell’ impianto centralizzato dismesso, a meno che non venga autorizzato
da tutti gli altri condomini. L’assemblea può, con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Non trattandosi d’innovazione), deliberare di
concedere il locale caldaia in locazione a uno o più condomini o a terzi, ma soltanto se non sia
possibile l’utilizzo diretto da parte dei condomini, neppure attraverso l’istituzione di turni (Corte di
Cassazione 22/11/1984, n 6010).
Caldaia
<Sostituzione>.
La sostituzione della caldaia (Altrimenti conosciuta come bruciatore) divenuta inservibile rientra
fra gli atti di straordinaria amministrazione; l’intervento, infatti, è diretto a ripristinare la
funzionalità dell’ impianto senza alcuna modifica sostanziale e funzionale, e può essere pertanto
deliberato con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000. Se invece la sostituzione avviene con altro bruciatore, per
esempio a metano anziché a gasolio, si configura un’ innovazione ai sensi del primo comma
dell’articolo 1120 codice civile, introducibile in quanto tale con il voto favorevole della maggioranza
degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 667/1.000. La spesa per la sostituzione
della caldaia dev’essere ripartita fra i condomini (Anche quelli che si sono staccati dall’impianto,
poiché ciò non fa venir meno la loro comproprietà sullo stesso) in proporzione ai millesimi di
proprietà, salvo diverso accordo (Corte di Cassazione 27/10/2004, n 1420). Un criterio
alternativo potrebbe essere quello di applicare i millesimi del riscaldamento. Sono invece esonerati
dal contribuire alla spesa i proprietari dei locali mai allacciati all’ impianto.
Contabilizzatori di calore
Il quinto comma dell’articolo 26 della L. 9/1/1991, n 10, e successive modificazioni, stabilisce che
per le innovazioni relative all’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del
141
calore, e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente
registrato, l’assemblea decide con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in
rappresentanza di almeno 500/1.000. La stessa maggioranza è sufficiente per modificare un
criterio precedentemente adottato. Negli edifici dotati di sistema di contabilizzazione del calore
appare corretto suddividere la spesa globale di consumo in ragione del 20–50% in base alla
superficie radiante di ciascuna unità immobiliare, e per la restante quota tenendo conto del
consumo di ciascuna unità. Una soluzione corretta potrebbe essere 30 e 70%. Quanto alle spese di
manutenzione e conservazione dell’impianto, ci si deve rifare alla tabella millesimale del
riscaldamento. Se l’assemblea ha deliberato l’installazione dei contabilizzazione di calore, alla spesa
devono contribuire anche i condomini che non abbiano votato a favore, a meno che gli altri non
accettino di esonerali, ferma restando l’applicazione dei misuratori anche nelle loro unità
immobiliari. Il decimo comma dell’ articolo 4 del DPR 2/4/1959, n 59, stabilisce che negli edifici
con oltre 4 unità abitative, appartenenti alle categorie E1 (Edifici adibiti a residenza e assimilabili)
ed E2 (edifici adibiti ad uffici ed assimilabili), cosi come classificati in base alla destinazione d’uso
dell’articolo 3 del DPR 26/8/1993, n 42, in caso d’installazione o di ristrutturazione dell’impianto
termico devono essere realizzati gli interventi necessari per permettere, se tecnicamente
possibile, la contabilizzazione e la termoregolazione del calore per singola unità abitativa. La data
d’installazione dei contabilizza tori di calore è fissata con legge regionale. Per la Lombardia, per
esempio, l’articolo 17, lett. c), della L. R. n 3 del 21/2/2011 stabilisce che l’introduzione dovesse
avvenire entro l’1/8/2012 per le caldaie di maggiore potenza e vetustà, e dall’inizio di ciascuna
stagione termica dei 2 anni successivi a detta scadenza per le caldaie di potenza e vetustà
progressivamente inferiore.
Danni
Se un condomino riceve un danno dalla cattiva conduzione dell’ impianto di riscaldamento, gestito in
appalto da terzi, il condominio non è esente da responsabilità se il danno trae origine, per esempio,
dalle condizioni del locale caldaia, preesistenti alla consegna del locale all’appaltatore del servizio
(App. Roma 11/5/1977). Distacco. A meno che non lo vieti un regolamento contrattuale, il condomini
può rinunciare all’impianto centralizzato di riscaldamento, anche senza autorizzazione
dell’assemblea, e distaccare le diramazioni della propria unità immobiliare dall’impianto comune, ma
deve, provare che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di
spesa per gli altri condomini. Il rinunciante è comunque tenuto a contribuire alle spese per la
manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma (IV°
comma articolo 1118 codice civile), a meno che non venga esonerato da tutti gli altri
condomini. Non è invece tenuto a contribuire alla spesa richiesta del funzionamento dell’ impianto:
per esempio quella per l’acquisto del combustibile (Corte di Cassazione 27/1/2004, n 1420). Non
rientrano fra gli squilibri termici idonei sul suddetto fine (ha precisato la Corte di Cassazione con
sentenza n. 11857 del 27/5/2011) - le riduzioni di temperatura assimilabili a quelle che potrebbero
verificarsi nelle unità immobiliari prossime all’appartamento distaccato a causa del non uso
dell’impianto da parte del proprietario. La delibera dell’assemblea che respinge la richiesta di
autorizzazione al distacco in presenza di presupposti di legge sarebbe nulla per violazione del
diritto individuale del condomino sulla cosa comune (Corte di Cassazione 30/3/2006, n 7518). Se
invece le suddette condizioni non sussistono, è necessario il consenso di tutti gli altri condomini
serviti dall’ impianto (devono essere d’accordo anche i conduttori, tribunale di Napoli 24/9/1987 ).
142
Unanimità di consensi anche se il distacco determina uno squilibrio eliminabile soltanto attraverso
un aggravio dei costi a carico dei condomini che continuano a servirsi dell’ impianto, o se l’obbligo di
contribuire comunque alla spesa è sancito da un regolamento contrattuale (Corte di Cassazione 4/ 8
/1954, n 2685). Per evitare discussioni è opportuno, dopo aver accertato l’esistenza delle
condizioni che rendono possibile il distacco, che questo venga eseguito da un tecnico alla presenza
dell’amministratore, e che dell’operazione venga redatto un verbale formato dai presenti, da
conservare agli atti del condominio.
Guasto
L’assemblea può, ma soltanto all’unanimità (Corte di Cassazione 29/7/1994, n 7141), deliberare di
rinunciare a riparare e quindi ripristinare l’impianto che si sia guastato. La stessa Corte di
Cassazione (Sentenza n. 1302 del 7/2/1998 ) ha sancito la nullità della delibera con la quale l’
assemblea aveva, a maggioranza, stabilito di non eseguire i lavori di manutenzione e adattamento
dell’ impianto, perché ritenuti economicamente troppo onerosi.
Introduzione del servizio
Se l’introduzione del servizio d riscaldamento, riferita alle caratteristiche e alla situazione
logistica dell’edificio condominiale, non è riguardabile come innovazione gravosa o voluttuaria, il
condominio non può sottrarsi, poiché a fronte della maggiore spesa a suo carico vi è un obiettivo
miglioramento delle condizioni di utilizzabilità del bene (Corte di Cassazione 24/6/1993, n 7001).
Locazione
se i condomini hanno deliberato di dismette l’ impianto centralizzato, il conduttore può agire, anche
con richiesta di provvedimento d’urgenza, per ottenere che il locatore fornisca l’immobile d’idoneo
impianto autonomo, se dal contratto risulta che ha dritto al servizio di riscaldamento per l’intero
periodo della locazione (Pretore di Roma 3/3/1992). Il conduttore non può invece pretendere il
mantenimento dell’impianto centralizzato (Pretore di Salerno 30/11/1991), può impugnare la
delibera con la quale l’assemblea disponga la sospensione o addirittura la soppressione del servizio,
essendo egli estraneo al rapporto intercorrente fra il condomino-locatore e il condominio. Può però
chiedere i danni al locatore (Tribunale di massa 7/11/1983). I conduttori di appartamenti ubicati
in edificio con unico proprietario possono gestire direttamente il servizio di riscaldamento, ma con
l’ autorizzazione del locatore, poiché il loro potere di decisione è limitato alle spese e alla modalità
di gestione del servizio, non alla gestione in sé (Corte di Cassazione 3/4/1990, n 2762).
Modifiche
Il condominio non può apportare modifiche alla parte dell’impianto condominiale di pertinenza del
suo appartamento, se l’intervento impedisce o riduce l’utilizzo dell’impianto da parte degli altri
condomini, come nel caso in cui si dovesse interrompere il percorso delle tubature ( Corte di
Cassazione 2/5/1996, n 4023).
Orario di accensione
Il periodo di accensione degli impianti di riscaldamento centralizzato, l’orario giornaliero di
funzionamento e la temperatura massima degli ambienti sono stabilito dal DPR 26/8/1993, n 1993,
n 412. A questo fine il territorio nazionale è diviso in sei >>Zone climatiche. L’orario di accensione
può essere frazionato in due o più sezioni. Le prime ore del mattino o quelle serali, essendo le più
fredde, non possono essere escluse dal periodo di accensione (Giu.pa Bari 10/10/1989), mentre di
regola l’impianto rimane inattivo dalle 22 alle 6, per evitare immissioni rumorose. Questa fascia
oraria non è prevista dalla legge ma dettata dal buonsenso, per cui ben può essere diversa in zone
143
particolarmente fredde. Se una sentenza ha stabilito l’accensione notturna dell’impianto per
assicurare a un condomino un’erogazione di calore pari a quella fruita dagli altri, l’assemblea può
ugualmente deliberare lo spegnimento dell’impianto in queste ore, ma a condizione che siano posti in
essere accorgimenti tecnici tali da assicurare al condomino lo stesso calore previsto dal
provvedimento giudiziario (Corte di Cassazione 17/11/1990, n 11124). L’orario di accensione è
generalmente deciso dall’ assemblea, che può delegare il compito all’ amministratore o a un
condomino, allo scopo di conferire maggiore flessibilità alla conduzione dell’impianto in relazione
all’andamento della stagione. Se però l’assemblea ha stabilito un orario giornaliero e non ha
autorizzato l’amministratore a derogarvi, questi non può modificarlo. Se non si trova accordo
sull’orario di accensione dell’impianto, ci si deve rivolgere al Giudice di pace. Il sesto comma, lett.
e), dell’articolo 19 del DPR 26/8/1993, n 412, stabilisce che gli impianti centralizzati, da qualsiasi
potenza, dotati di apparecchi per la produzione di calore con valori minimi di rendimento non
inferiori a quelli richiesti per i generatori di calore, installati a patire dal 29/10/1993 e dotati di
gruppo termoregolatore pilotato da una sonda di rilevamento della temperatura esterna con
programmatore che consenta la regolazione almeno su due livelli nell’arco delle 24 ore, possono
essere condotti in esercizio continuo. E’ però necessario che il programmatore giornaliero venga
tarato e sigillato per il raggiungimento di una temperatura degli ambienti pari a 16 gradi centigradi
con una tolleranza di 2 gradi, nelle ore al di fuori della durata giornaliera di attivazione prevista al
secondo comma dello stesso articolo e variabile a seconda della climatica in cui è ubicato l’edificio.
Il secondo comma dell’articolo 9 del decreto 412–1993 sopra richiamato stabilisce che, al di fuori
dei periodi indicati – anche variabili a seconda della zona climatica in cui è ubicato l’edificio -, gli
impianti possono essere attivati solo in presenza di situazioni climatiche che giustifichino
l’esercizio, e comunque con una durata giornaliera non superiore alla metà di quella consentita a
pieno regime. Il successivo articolo 10 prevede che, in deroga a ciò, il Sindaco, su conforme
delibera immediatamente esecutiva della Giunta Comunale, possa ampliare, a fronte di comprovate
esigenze, i periodi annuali di esercizio e la durata giornaliera di attivazione degli impianti, sia per i
centri abitati sia per i singoli immobili.
Tabella
L’amministratore deve esporre presso l’impianto centralizzato una tabella con l’indicazione sia del
periodo annuale di funzionamento che dell’ orario giornaliero di attivazione prescelto, nonché delle
generalità e del domicilio del responsabile dell’esercizio e della manutenzione.
Radiatori
Se in un appartamento il numero ei radiatori allacciati all’impianto centrale è inferiore a quello degli
attacchi predisposti, è possibile collegare i residui elementi, ma a condizione che non vi sia stata
rinuncia al diritto di usare l’impianto comune, o non risulti che i limiti di utilizzazione del servizio
sono stati raggiunti con l’installazione dei radiatori già funzionanti (Corte di Cassazione
24/11/1973, n 3185). Il condomino può essere autorizzato dall’assemblea ad aumentare la
superficie radiante del proprio appartamento, se del caso a fronte del pagamento di una somma a
titolo di conguaglio di quanto a suo tempo versato per l’allaccio, somma da dividere fra gli altri
condomini in base alla superficie radiante della rispettiva unità immobiliare. L’aumento della
superficie radiante non è consentito se pregiudica il diritto degli altri condomini (Corte di
Cassazione 24/11/1973, n 3185). In mancanza di un regolamento contrattuale che disponga
altrimenti, alle spese richieste dall’eliminazione dell’aria nei radiatori e dalla loro disincrostazione,
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deve provvedere il singolo condomino, poiché proprietario dei radiatori – tribunale di Milano
6/4/1992). Con una recente sentenza (n 19616 del 12/11/2012), però, la Corte di Cassazione ha
stabilito che alla manutenzione dei radiatori (Quindi anche alle suddette operazioni) deve
provvedere il condominio, in modo che ai condomini sia garantito o stesso grado di efficienza dell’
impianto. Il condomino non può chiudere i radiatori del proprio appartamento al solo fine, per
esempio, di far diminuire la temperatura nella soprastante unità immobiliare. Questo
comportamento, peraltro difficile da provare trattandosi di dimostrare sia la mancanza di utilità
per chi lo pone in essere, sia l’intenzione di nuocere al vicino, è riguardabile come atto di emulazione
e quindi illegittimo ai sensi dell’articolo 833 codice civile. Il condomino non può sottrarsi alla spesa
per il riscaldamento facendo sigillare i radiatori, neppure per una parte del periodo di accensione, e
meno che non venga autorizzato da tutti gli altri condomini. Né può sostituire i radiatori che
l’innovazione incide negativamente sul rendimento dell’impianto condominiale (La circostanza può
essere verificata attraverso una perizia).
Ricostruzione.
La demolizione dell’impianto e la sua ricostruzione in altro luogo con caratteristiche diverse per
adeguarlo alla legge costituiscono innovazione e non opera di manutenzione straordinaria. Richiede
pertanto il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di
almeno 667/1.000 (Corte di Cassazione 9/4/1980, n 2288).
Rumori
Il condominio è obbligato ad eliminare le immissioni rumorose prodotte dall’ impianto centralizzato,
se sono tali da superare la normale tollerabilità: circostanza verificabile attraverso una perizia
fonometrica. Dimostrando l’intollerabilità delle immissioni si è ammessi a chiedere il risarcimento
del danno non patrimoniale (Corte di Cassazione 18/2/2010, n 3906), eventualmente quantificato
dal giudice in via equitaria, sulla base di un importo che non può comunque essere meramente
simbolico (App. di Milano 18/9/1990).
Sicurezza
Ciascun condomino o conduttore può richiedere a proprie spese che, a cura delle competenti
Autorità (Il Comune nelle città con più di 40.000 abitanti, le Province negli altri casi), sia verificata
l’osservanza delle disposizioni di legge in materia di sicurezza dell’impianto.
Soppression
La delibera con la quale l’assemblea decida soltanto la soppressione dell’ impianto centralizzato, e
che anche la sua trasformazione in impianti individuali a gas, adottata con un numero di voti
corrispondenti a 334/1.000 ai sensi dell’articolo 26 della L. 9/1/1991, n 10, e successive
modificazioni, è nulla; questo tipo di decisione, infatti, non rientra tra quelle ammesse a fruire della
maggioranza agevolata prevista da questa legge, ma richiede l’unanimità dei consensi (App Torino
4/9/1998).
Spese.
Per la suddivisione delle spese richieste dall’ impianto centralizzato (Dal combustibile all’energia,
dalla manutenzione alle piccole riparazioni) si possono seguire tre diversi criteri. 1< la superficie
irradiata, ossia la dimensione dell’unità immobiliare espressa in metri quadrati. Questo metodo,
molto diffuso, non è corretto e i vari piani hanno altezze diverse: i locali con il soffitto più alto,
infatti, devono essere riscaldati di più. 2< la cubatura dei locali, ossia tenendo conto anche
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dell’altezza delle parerti oltre che delle dimensioni dell’unità immobiliare. 3< la superficie radiante,
vale a dire il numero e la dimensione degli elementi (Radiatori) installate nelle varie unità
immobiliari. Questo criterio presenta alcuni inconvenienti. Il primo riguarda i caloriferi: se sono
tutti dello stesso tipo, non c’è alcun problema, ma se i radiatori sono diversi, bisogna tenere conto
anche delle loro caratteristiche tecniche. L’applicazione del criterio, inoltre, obbliga a una vigilanza
continua, perché qualche condomino potrebbe, per esempio, aggiungere nuovi elementi, oppure
installare di nascosto caloriferi con caratteristiche tecniche diverse da quelle standard, finendo
cosi per consumare più di quanto gli viene addebitato. La giurisprudenza propone per l’applicazione
di quest’ultimo criterio: più elementi radianti si hanno, più si paga. Questo criterio è ritenuto
conforme a quello dettato dal secondo comma dell’articolo 1123 codice civile, per il quale se si
tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa le spese sono ripartite in
proporzione all’uso che ciascuno può farne. È molto seguito anche il criterio misto: metà della spesa
ripartita in base alla cubatura, e l’altra metà in base alla superficie radiante. Il criterio di
suddivisione della spesa previsto dal suddetto articolo può essere modificato solo con il consenso di
tutti i condomini (Corte di Cassazione 16/11/1991, n 12307). Poiché l’obbligo di contribuire alla
spesa prescinde dall’effettivo utilizzo del servizio, deve pagare la bolletta del riscaldamento anche
chi tiene l’appartamento sfitto o passa l’inverno altrove, salvo che gli altri condomini, all’unanimità,
non lo dispensino in tutto o in parte. Per stabilire se il proprietario di un appartamento o di un locale
non servito dal riscaldamento è tenuto o meno a concorrere alle spese di manutenzione dell’impianto
occorre distinguere. Se l’impianto esisteva prima della formazione del condominio, ed è
potenzialmente idoneo a scaldare l’appartamento o il locale. Il condomino dev’essere considerato
comproprietario dell’impianto e quindi tenuto a concorrere alle spese di manutenzione,
indipendentemente dal fatto che nei suoi locali vi siano o no diramazioni dell’impianto (Corte di
Cassazione 23/5/1990, n 4653). Sulla stessa linea interpretativa la Corte d’Appello di Trieste, che
con sentenza del 24/5/1985 ha considerato la centrale termica comune anche al proprietario di uno
scantinato destinato a magazzino, ancorché non servito dall’ impianto, poiché questo era tale da
consentire, senza modifica alcuna e senza alcuna anormalità di gestione tecnica della caldaia,
l’erogazione del calore anche al locale. In seguito, però, la Corte di Cassazione, con riferimento alla
spesa richiesta dalla sostituzione della caldaia (Sentenza n. 1420 del 27/1/2004), ha stabilito che,
se nell’edificio condominiale vi sono locali – come cantine e garage – non serviti dall’ impianto
centralizzato, i condomini che siano proprietari soltanto di questi non sono contitolari dell’ impianto
centralizzato, non essendo questo legato da una relazione di accessorietà, cioè da un collegamento
strumentale, materiale e funzionale al loro uso o al loro servizio. Di conseguenza, vengono meno il
presupposto per l’attribuzione della proprietà comune dell’impianto, viene meno anche l’obbligo di
contribuire alle spese per la sua conservazione.
Locazione
Se il conduttore non paga il riscaldamento l’amministratore non può agire giudizialmente nei suoi
confronti ma deve richiedere il pagamento al condomino-locatore, che può a sua volta rivalersi neon
confronti del conduttore moroso (Corte di Cassazione 14/7/1988, n 4606 ).
Teleriscaldamento
Il teleriscaldamento - dal greco tele, che significa lontano - è una tecnologia che consente di
utilizzare il vapore o l’acqua calda prodotta da una centrale elettrica o da una fonte sulfurea, per il
riscaldamento di edifici - o d’interi quartieri, a seconda della potenza dell’ impianto - situati a
146
distanza, anche considerevole, dal luogo di produzione, con conseguente risparmio nei costi e
riduzione del tasso d’inquinamento. Se la spesa è molto gravosa (Circostanza da verificare in
concreto, in relazione allo stato dei luoghi), i condomini che non intendono trarne vantaggio sono
esonerati dal contribuirvi; si tratta, infatti, di un impianto suscettibile di utilizzazione separata.
Provare l’onerosità dell’intervento è a carico di chi lo contesta. I condomini che non abbiano aderito,
e loro eredi o aventi causa (Per esempio gli acquirenti delle unità immobiliari) possono però, in
qualunque momento, partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo alle spese di
manutenzione e di esecuzione dell’opera, opportunamente rivalutate.
Temperatura
L’articolo 4 del DPR 26/8/1993, n 12, stabilisce che, durante il periodo di accensione, la media
aritmetica delle temperature dell’aria nei diversi ambienti di ogni singola unità immobiliare non deve
superare i 20 gradi, con una tolleranza massima di 2 gradi. Negli edifici adibita ad attività
industriale, invece, la norma è 18 gradi, con possibilità di escursione fra i 16 e i 20 gradi. Se il
valore medio è rispettato può accadere che in un ambiente di temperatura sia costantemente
superiore alla media. Il mantenimento della temperatura entro questi limiti dev’essere ottenuto con
accorgimenti che non comportino spreco di energia.
Insufficiente
Se la temperatura se la temperatura in un appartamento è insufficiente, in primo luogo occorre
verificare, attraverso una perizia, se l’inconveniente è causato da un difetto di costruzione
dell’impianto, da una diminuzione della sua efficienza o da una gestione non corretta. Nel primo caso
la responsabilità non può essere fatta risalire al condominio e il proprietario dovrà pertanto
rivalersi nei confronti del venditore o del costruttore, sempre che non sia intervenuta prescrizione
dell’ azione. Negli ultimi due casi, invece, si può invitare l’amministratore ad attivarsi per la
rimozione dell’inconveniente: per esempio, attraverso un aumento della superficie radiante. Se,
nonostante le modifiche tecniche, il disagio permane, si può chiedere al giudice una protrazione
dell’orario di avversione, ma nell’ambito della fascia stabilita dalla legge (Tribunale di Milano 25/
5/1992). Questa possibilità incontra dei limiti: il prolungamento dell’ orario, infatti, dev’essere
consentito dalle caratteristiche dell’impianto e non deve recare pregiudizio agli altri condomini. Le
maggiori spese per il più intenso funzionamento dell’impianto, anche in relazione all’eventuale
deterioramento, sono a carico del condomino beneficiario, che dovrà accollarsi anche l’eventuale
spesa necessaria per la messa in opera di strumenti o accorgimenti tecnici finalizzati a evitare un
eccesso di calore negli altri appartamenti. Se la temperatura è insufficiente non si può rifiutare di
contribuire alla spesa, né ci si può autoridurre il contributo; neppure si può pretendere la
restituzione dei contributi versati durante il periodo in cui il riscaldamento era insufficiente, dal
momento che il servizio, ancorché entro certi limiti, è pure sempre stato erogato ( Corte di
Cassazione 31/5/2006, n 12956). È invece possibile agire giudizialmente per ottenere il
risarcimento degli eventuali danni (Corte di Cassazione 28/8/2002, n 12596). Il riscaldamento è un
servizio strettamente collegato alla salute di chi abita l’edificio, per cui non solo il proprietario, ma
anche il conduttore, possono chiedere al giudice un provvedimento d’urgenza per i necessari
interventi.
Trasformazione. Da centralizzato ad autonomo
La trasformazione dell’impianto di riscaldamento da centralizzato in impianti autonomi unifamiliari
può essere adottata con un numero di voti pari ad almeno 334/1.000 (Secondo Comma articolo 26
147
della L. 9/1/1991, n 10). Questa maggioranza ridotta, introdotta per favorire il risparmio
energetico e quindi a tutela di un interesse superiore a quello del condominio, prevale sull’eventuale
più elevata maggioranza prevista dal regolamento, ancorché contrattuale. La delibera è valida anche
se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui
al primo comma dell’articolo 28 della suddetta legge, attenendo tale progetto alla successiva fase
di esecuzione della delibera (Corte di Cassazione 29/1/2002, n 1166). La delibera è però
illegittima se non contiene alcun riferimento al rispetto delle prescrizioni per la riduzione dei
consumi energetici dettate dalla legge (Corte di Cassazione 26/5/1999, n 5117). La spesa richiesta
dell’installazione della canna fumaria alla quale i condomini sono tenuti ad allacciare il rispettivo
impianto per lo smaltimento dei fumi dev’essere ripartita tra tutti i condomini, in proporzione ai
millesimi di proprietà, con la minoranza dissenziente che non può pretendere di mantenere in
esercizio il dismesso impianto, rivolgendosi una tale eventualità in un dispendio maggiore di energia,
anziché in un risparmio come perseguito dalla legge n. 10-1991 (Corte di Cassazione 21/11/2008, n
27822). La Suprema Corte ha precisato che la spesa richiesta dall’installazione e dalla
manutenzione delle camne fumarie occorrenti al funzionamento degli impianti autonomi installati in
seguito alla trasformazione dell’impianto centralizzato fa carico a tutti i condomini e non ai soli
utilizzatori, motivando con il fatto che il passaggio dell’impianto centralizzato agli impianti autonomi
consente il risparmio energetico prescritto dalla legge.
Da gasolio a metano
La trasformazione dell’impianto centralizzato di riscaldamento da gasolio a metano costituisce
innovazione ai sensi del primo comma dell’articolo 1120 codice civile; per la sua introduzione, quindi,
è richiesto il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di
almeno 667/1.000 (Corte di Cassazione 18/5/1994, n 4831). Dimostrando, però, che questo tipo
d’intervento consente un risparmio energetico, ci si potrebbe rifare al secondo comma dell’articolo
26 della L. 10-1991, che considera valida la delibera adottata con un numero di voti pari ad almeno
334/1.000.
Tubi
La spesa per la sostituzione dei tubi dell’impianto centralizzato fa carico, fino al punto di
diramazione ai locali delle singole unità immobiliari, al condominio, con i condomini chiamati a
contribuirvi in proporzione ai millesimi di proprietà. Per il tratto successivo, invece, la spesa è a
carico esclusivo del proprietario dell’unità immobiliare. Se però l’impianto è in una situazione
d’inscindibilità materiale o funzionale con i componenti installati nelle singole unità immobiliari (Per
esempio perché realizzato con serpentine inserite nei solai), l’assemblea può validamente deliberare
che anche la spesa richiesta dalla loro riparazione venga ripartita in base ai millesimi di proprietà
(Corte di Cassazione 5/2/1983, n 960). Se i tubi dell’impianto condominiale attraversano un locale
che non usufruisce del servizio, il proprietario di questo non è tenuto a contribuire alle spese di
riscaldamento, perché tale ipotesi non da luogo a una comproprietà dell’impianto ma a un rapporto di
servitù di conduttura di liquidi a favore del condominio e a carico del condomino (Corte di
Cassazione 20/1/1982, n 369), servitù per la cui costruzione è necessaria la forma scritta (Corte
di Cassazione 12/2/1988, n 1523).
Urgenza
L’esistenza di un pericolo imminente e irreparabile per la salute dei condomini, a causa della
mancata attivazione dell’impianto di riscaldamento, unitamente ai particolari rigori della stagione
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invernale, sono stati ritenuti dal Pretore di Molfetta (Sentenza del 23/12/1988) presupposti validi
per l’emanazione di un provvedimento d’urgenza) ordinanza dell’11/12/1980 ) ha un provvedimento
d’urgenza autorizzato il condomino a provvedere direttamente all’accensione poiché
l’amministrazione non vi aveva fatto luogo.
Zone climatiche
Ai fini del riscaldamento l’Italia è suddivisa in sei zona climatiche: dalla A, che raccoglie le località
più temperate, alla F, che raggruppa quelle più fredde. A ognuna di queste zone corrisponde una
diversa durata sia per il periodo annuale di accensione degli impianti, sia dell’orario giornaliero.
L’unità di misura utilizzata sono i gradi-giorno, costituiti dalla somma delle differenze fra la
temperatura dell’ambiente riscaldato, convenzionalmente fissata in 20°C, e la temperatura media
giornaliera esterna. Il calcolo viene effettuato per tutti i giorni del periodo annuale di accensione
del riscaldamento: più alto è il numero dei gradi-giorno, più rigido è il clima e quindi più lungo il
periodo di accensione del riscaldamento. Al di fuori di tali periodi gli impianti possono essere
attivati solo in presenza di situazioni climatiche che ne giustifichino l’esercizio, e comunque per una
durata giornaliera non superiore alla metà di quella consentita a pieno regine (Secondo comma
articolo 9 DPR 26/8/93, n 412). In deroga a ciò il Sindaco, su conforme delibera immediatamente
esecutiva della Giunta Comunale, può ampliare, a fronte di comprovate esigenze, i periodi annuali di
esercizio e la durata giornaliera di attivazione degli impianti, sia per i centri abitati che per i singoli
immobili (Articolo 10 stesso decreto). La zona climatica di appartenza degli 8.191 Comuni italiani è
consultabile sul sito www.eurometeo.com.
RISCALDAMENTO: IL RISCALDAMENTO
Prolungamento accensione. Ammessa in caso di particolari situazioni climatiche, ma la durata
giornaliera non può essere superiore alla metà di quella consentita a pieno regime. Ulteriore proroga
può essere disposta dal Sindaco.
Temperatura
Non può superare i 22 gradi.
Distacco
E’ possibile, a patto che non ci sia un aggravamento di spesa per gli altri condomini, né uno squilibrio
termico per l’edificio. Chi si stacca deve comunque partecipare alle spese di manutenzione
straordinaria dell’impianto e a quelle di conservazione e messa a norma.
Contabilizzatori di calore
Possono essere introdotti con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea in
rappresentanza di almeno 500/1.000.
Trasformazione. La trasformazione da centralizzato in impianti autonomi può essere deliberata
con tanti voti che rappresentino almeno 334/1.000. Soppressione. Occorre il consenso di tutti i
condomini. Spese di gestione. Vanno ripartite fra i condomini in base al numero e alla dimensione
dei radiatori, oppure considerando anche la cubatura dei locali. Spese straordinarie. Ripartite in
base ai millesimi di proprietà. Norme. Articolo 1118 codice civile, articolo 26 L. n 10/1991.
RUMORI
I rumori sono, nell’ambito delle >>Immissioni, tra le cause più frequenti di dispute condominiali: il
televisore con il volume troppo alto, l’hi-fi che scarica all’esterno tutta la potenza dei suoi watt, i
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giochi dei bambini, ma anche scarpe con tacchi a spillo indossate in camera da letto, o, peggio,
zoccoli di legno calzati regolarmente durante le faccende domestiche. La legge quadro 26 –10–
1995, n 447, è la fonte normativa che ha stabilito i principi fondamentali in materia, mentre il
Decreto del presidente del consiglio dei ministri 1/3/1991, che fissa i limiti massimi di esposizione
al rumore nelle abitazioni e al’esterno. Il fatto, però, che le immissioni rumorose non superino il
limite di accessibilità previsto dalla normativa in materia d’inquinamento acustico e ambientale, non
esclude che possano essere intollerabili ai sensi dell’articolo 844 codice civile (Corte di Cassazione
17/1/2011, n 939, con riferimento a un ventilatore installato su di un muro comune a due
appartamenti adiacenti << Condizionatore d’aria, Rumori, e Immissioni, Lavori).
Campane
Le campane della parrocchia che suonano troppo spesso possono provocare danni non patrimoniali,
con conseguente obbligo, in capo al parroco, di risarcirli e di ricondurre le immissioni rumorose nel
limite massimo di tre decibel oltre la soglia del rumore di fondo. Durante il periodo necessario
all’adozione dei necessari accorgimenti tecnici, l’uso delle campane dev’essere limitato ai momenti
liturgici della celebrazione della sola messa e delle festività natalizie e pasquali, limitando la durata
dello scampanio ad un massimo di 20 secondi (Tribunale di Chiavari 9/8/2008, n 373). La stessa
durata massima è stata stabilita dal Tribunale di Roma (Ordinanza del 9/5/2011) con riferimento
alle campane suonate Alle 7 del mattino.
Decibel
L’unità di misura del rumore è il decibel: più decibel produce un’immissione rumorosa, più è
fastidiosa. I giudici, però, nell’identificare la “soglia“ oltre la quale il rumore è da considerarsi
intollerabile, non si sono pronunciati in modo univoco; ciò in quanto si deve far riferimento anche
alle condizioni ambientali e alla “rumorosità di fondo“ della zona, ossia a quel complesso di suoni, di
origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici della zona medesima, sui quali
s’innestano, di volta in volta, rumori più intensi (Voci, veicoli, ecc.): più elevato è il rumore di fondo,
più alta è la soglia del rumore nell’ambiente considerato. Si deve poi tener conto, oltre che
dell’intensità del rumore, anche della ripetizione e della durata (Tribunale di Padova 20/9/1984);
cosi la Corte di Cassazione (Sentenza del 3/8/2001) ha dato ragione a un condomino che protestava
per il disturbo arrecatogli dalle lezioni di piano impartite da un vicino di casa tutti i pomeriggi dalle
16 alle 20. La Suprema Corte non si è limitata a verificare che la normale tollerabilità era stata
superata di 3 decibel, ma ha stabilito che l’immissione, ripetuta tutti i giorni, incideva seriamente
sul diritto del condomino ad usare la camera da letto per riposare. Per la Corte d’appello di Cagliari
(Sentenza del 2/6/1993) il limite di tollerabilità deve ritenersi superato quando i rumori abbiano
un’intensità di oltre 25 decibel per le camere da letto, e di otre 30 decibel per gli altri ambienti.
Per il tribunale di Como (Sentenza del 21/5/1996) e per quello di Catania (Sentenza del
13/12/2001) il principio da seguire per determinare la tollerabilità del rumore è quello del mancato
superamento della soglia dei 3 decibel oltre del rumore di fondo, criterio seguito anche dal
Tribunale di Venezia con ordinanza del 4/10/2004, mentre il Pretore di Milano (Sentenza del
22/12/1992) ha considerato illecite le immissioni tra appartamenti in condominio che superino il
rumore all’interno dell’ambiente di 5 decibel durante il periodo diurno e di 3 decibel durante il
periodo notturno. La Corte di Cassazione (Sentenza n. 4963 del 4/4/2001) ha ritenuto prevalente il
regolamento contrattuale di condominio, che poneva il divieto di compiere attività che alterassero
la condizione di “tranquillità“ dei condomini, su quello di esercitare un’attività economica (nel caso in
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questione si trattava di una birreria). I casi portati all’attenzione dei giudici hanno riguardato, fra
gli altri, i rumori provenienti dall’impianto di riscaldamento e da una sottostante officina (Con
conseguente obbligo di isolare il rispettivo solaio, a carico dell’affittuario se è questi a svolgervi
l’attività, Corte di Cassazione 7/3/1972, n 651), dal cattivo funzionamento dell’autoclave, dal
meccanismo di chiusura del portone d’ingresso, dall’auto lasciata di notte nel cortile condominiale
per molto tempo con il motore acceso. Chi ha interesse a far cessare le immissioni prodotte da
un’attività rumorosa svolta fuori dall’orario stabilito dall’autorità non è tenuto a dimostrare che
esse superano la normale tollerabilità; questa indagine è, infatti, irrilevante, potendosi comunque
ottenere la sospensione dell’attività svolta in ore non consentite (Corte di Cassazione 8/7/1993).
Sempre la Corte di Cassazione (Sentenza n. 8271 del 14/8/1990) ha ravvisato la violazione anche
nell’uso, da parte di un vicino, dell’elicottero in un’amena zona residenziale.
Oratorio
La normativa dettata dall’articolo 844 codice civile sulle immissioni è applicabile anche alle
strutture parrocchiali sportive e ricettive, per cui il parroco è tenuto ad adottare accorgimenti
idonei a contenere le immissioni rumorose eccedenti la normale tollerabilità, provenienti da tali
strutture, per esempio riducendo l’orario di apertura (Corte di Cassazione 31/1/2006, n 2166 ).
Per restare in ambito sportivo, il Tribunale di Roma (L’ordinanza del 9/6/2009) ha stabilito che
l’attività sportiva rumorosa praticata in campo sportivo adiacente all’edificio condominiale può
svolgersi soltanto dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 20.
Reato
I casi più gravi d’immissioni possono dar luogo al reato di disturbo delle occupazioni o del riposo
delle persone, punito dall’articolo 659 codice penale con l’arresto fino a 3 mesi o con l’ammenda fino
a 309 euro (Ammenda da 103 e 516 euro a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso
contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità -. Affinché scatti il reato non è
sufficiente che i rumori arrechino disturbo ai soli occupanti di un appartamento, neppure se si
tratta di quello sottostante (Corte di Cassazione 23/4/2002, n 17825), o di più appartamenti
contigui (Corte di Cassazione 19/3/2002, n 17670), ma devono coinvolgere nel fastidio anche altre
persone abitanti nel condominio o nelle zone circostanti, anche se a lamentarsene sia una soltanto,
altrimenti l’illecito è soltanto civile e in quanto tale va inquartato fra i rapporti di vicinato (Corte di
Cassazione 28/3/1995, n 3348). Cosi, non è stato ritenuto sufficiente a realizzare il reato di fatto
che i rumori provenienti da un appartamento si propagassero a quelli vicini (Da cui si avvertivano
“rumori di gioco di pallone e di qualche sedia che cadeva davanti ai bambini“ Corte di Cassazione
19/10/1993), poiché non erano d’intensità tale da disturbare le occupazioni o il riposo delle
persone. L’assenza di reato non esclude naturalmente l’applicazione della normativa sulle immissioni
(Corte di Cassazione 13/12/2007). Il tribunale di Genova (Sentenza n. 604 del 2/3/2004) ha
ravvisato l’esistenza del reato anche nel disturbo di una sola persona, mentre la Corte di
Cassazione, con riferimento ai latrati di cani (Sentenza n. 36241 dell’8/7/2004), ha stabilito che
ciò che rileva ai fini del reato non è il disturbo effettivo di una pluralità di persone ma la
potenzialità diffusiva della fonte rumorosa, al di là, quindi, del numero di persone che risultino
concretamente disturbate dai rumori molesti. L’esistenza del reato dev’essere accertata, caso per
caso, da una perizia fonometrica finalizzata a misurare l’intensità e la durata dei rumori: la si può
chiedere ad una delle agenzie Regionali per la protezione dell’ambiente: per esempio
www.arpalombarda.it, www.arpalazio.it – www.arpa.sicilia.it. Vi è reato se la sirena di allarme, in
151
seguiti a manomissioni del veicolo, rimane in funzione per un periodo del tempo e con un’intensità
tali da superare il limite della normale tollerabilità, disturbando cosi la quiete pubblica (pretore di
vallo della Lucania 2/7/1985). A maggior ragione se l’antifurto viene attivato volontariamente
(Corte di Cassazione 20/11/2000). È reato lasciare per lungo tempo acceso il motore di
un’autovettura diesel nelle ore notturne (Pretore di Brunico 14/3/1989) o suonare ripetutamente il
clacson in piena notte (Corte di Cassazione 21/1/1997). Anche il traffico intenso nel cortile
condominiale può dar luogo al reato se provoca disturbo al riposo e alla tranquillità dei condomini, e
diminuisce la sicurezza di tutti (Tribunale di Napoli 27/1/1977). È sufficiente a realizzare il reato
anche il rintocco intenso e diffuso delle campane (Corte di Cassazione 13/10/2000), o dell’orologio
campanario di una chiesa che scandisca regolarmente l’ora (Pretore di Cagliari 27/7/1993). Realizza
il reato l’uso della radio fatto in modo da abusare dei rumori e dei suoni (Corte di Cassazione
10/9/1976); lo stesso dicasi di televisore e impianto stereo, se il volume è talmente alto da essere
udito, nel cuore della notte, a 200/300 metri di distanza (Corte di Cassazione 17/6/1993). Gli
schiamazzi notturni degli avventori di un esercizio pubblico (Per esempio bar - discoteca, possono
legittimare il Sindaco ad adottare un’ordinanza di necessità, qualora il disagio provocato agli
abitanti del posto raggiunga un grado d’intollerabilità, oggettivamente accertato, tale da assurgere
a una forma di vero e proprio inquinamento acustico con danno alla salute delle persone (Consiglio di
Stato 25/9/2008, n 4041). Anche il suono di uno strumento musicale, per dolce e armonioso che
possa essere, in determinate ore e condizioni può essere causa di disturbo, qualora sia udibile da
più persone (Corte di Cassazione 7/12/1979; Pretore di Roma 30/4/1971 con riferimento al
pianoforte).
Tutela
Se le immissioni rumorose eccedono la normale tolleranza, il condomino che ne è danneggiato può
sollecitare l’amministratore ad attivarsi per porre fine al fastidio. Se l’invito non sortisce effetto il
condomino può rivolgersi al Giudice di Pace, eventualmente dopo aver fatto fare una perizia
fonometrica per accertare se l’entità del fenomeno è tale da legittimare il ricorso al giudice. Quella
che rileva, però, è la perizia disposta dal magistrato una volta che sia stato investito del problema.
In alcuni casi (Per esempio svolgimento di attività sportive, Corte di Cassazione 31/1/2006, n
2166) per accertare il livello di rumorosità è stata ammessa la prova testimoniale. Se si accerta la
violazione è possibile chiedere, oltre alla riconduzione del fenomeno nei limiti della norma, il
risarcimento degli eventuali danni sofferti.
LETTERA
S
SCALE
Quando si parla di parti comuni dell’edificio il pensiero corre subito alle scale, luogo privilegiato
d’incontro (E scontro) tra vicini di casa. L’interesse di tutti, però, è mantenerle in buono stato di
manutenzione, anche per evitare possibili danni a chi vi transita. Molto spesso, però, l’uso che i
condomini fanno delle scale può essere diverso, e proprio per questo possono nascere contestazioni
sulla ripartizione delle spese. Sconsigliabile (e scomodo), per esempio, abbandonarsi a pratiche
sessuali lungo la rampa o sul pianerottolo: si potrebbe infatti, incorrere in una condanna per atti
osceni, essendo le scale condominiali luogo aperto al pubblico (Corte di Cassazione 15/12/2011, n
46636).
152
Finestra
Un condomino può aprire un finestrino nella tromba delle scale per dare aria e luce a un vano che ne
sia privo, purché sia rispettata la naturale destinazione di questa parte comune e non venga
impedito agli altri condomini di farne parimenti uso (Corte di Cassazione 2/8/1969, n 2917).
Spese
<manutenzione e sostituzione>.
Le spese di manutenzione e sostituzione delle scale, e relativi pianerottoli, sono finalizzati alla
conservazione di questa parte comune dell’edificio. Pertanto vi devono contribuire tutti i condomini,
compresi i proprietari di autorimesse, laboratori e negozi, ancorché aventi accesso autonomo e
quindi indipendente da quello destinato agli altri piani dell’edificio, nonché di seminterrati senza
accesso ad altri piani. Il principio è stato sancito dalla Corte di Cassazione (Sentenza n. 2328 del
6/6/1997) e ribadito dalla Corte d’Appello di Milano (Sentenza del 3/7/1992) perché le scale
costituiscono una parte essenziale della comune proprietà. La spesa dev’ essere ripartita seguendo
il criterio previsto dall’articolo 1124 codice civile: per metà in proporzione all’altezza di ciascun
piano dal suolo e per l’altra metà in ragione ai millesimi di proprietà (Corte di Cassazione
25/3/2004, n 5975). L’esigenza di adottare due parametri comporta la necessità di predisporre
un’apposita tabella millesimale, peraltro estesa dalla giurisprudenza all’ascensore. Ai fini del
criterio dell’altezza si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto
e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune. Per l’adozione di un criterio diverso di
ripartizione della spesa è necessaria l’unanimità (Corte di Cassazione 21/5/1987, n 4627). Se il
regolamento (Ma dev’essere contrattuale) prevede un criterio di ripartizione diverso da quello
dell’articolo 1124 codice civile, prevale su questo (Corte di Cassazione 16/7/1981, n 4646).
Pulizia
Alle spese richieste dalla pulizia, dall’illuminazione e dalla tinteggiatura della stessa tromba delle
scale devono contribuire i solo condomini che ne traggono utilità (Corte di Cassazione 15/1/2001, n
483): in pratica i soli proprietari delle unità immobiliari che vi affacciano. Il criterio di ripartizione
delle spese destinate all’uso e al godimento di questa parte comune può essere stabilito modificato
dall’ assemblea, a differenza di quello dettato dall’articolo 1124 codice civile per la manutenzione e
la sostituzione (Modificabile soltanto all’unanimità), con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Corte di Cassazione 5/1/2001, n 483). Con
una successiva decisione (N. 432 del 12/1/2007) la Suprema Corte ha precisato che la ripartizione
di questo tipo di spesa va fatta non in base ai millesimi di proprietà ma applicando il criterio
dell’altezza del piano dal suolo, senza che possa attribuirsi rilevanza alla destinazione (Abitativa o
meno) delle singole unità immobiliari o alla consistenza dei nuclei familiari che utilizzano quelle a
destinazione abitativa. Il proprietario di un seminterrato non deve contribuire alle spese di pulizia
delle scale, se non ha accesso agli altri piani, mentre il condomino il cui appartamento abbia accesso
a due scale non può, chiudendone uno, sottrarsi alle spese di pulizia di una scala; anche in questo
caso è fatto salvo il diverso accorso intervenuto fra tutti gli altri condomini.
Uso intensivo
L’uso intensivo delle scale, dovuto alla particolare destinazione di alcune unità immobiliari ( Per
esempio a ufficio, studio professionale, pensione), è ininfluente sia ai fini della ripartizione degli
oneri di manutenzione e sostituzione, sia ai fini delle spese di pulizia, illuminazione e tinteggiatura
(App. di Napoli 13/5/1965 e Tribunale di Genova dell’8/5/1992). E’ tenuto a contribuire a tutte le
153
voci di spesa anche il condomino che tenga chiusa la propria unità immobiliare, a meno che non venga
esonerato da tutti gli altri condomini.
RIEPILOGANDO: LE SCALE
Spese di manutenzione e sostituzione. Da ripartire fra i condomini per metà in base ai millesimi di
proprietà e per metà in base all’altezza di ciascun piano dal suolo. Criterio modificabile soltanto
all’ unanimità.
Spese di pulizia, illuminazione e tinteggiatura. Da ripartire fra i condomini in base all’altezza di
ciascun piano al suolo. Criterio modificabile a maggioranza.
Uso intensivo. E’ irrilevante.
Spese pianerottoli. Stesso criterio delle scale.
Norme. Articoli 1117 - 1123 e 1124 codice civile.
SEMINTERRATO
I locali seminterrati non sono compresi nell’elenco delle parti comuni fatto dall’articolo 1117 codice
civile. Pertanto la loro appartenenza (Se condominiale o in proprietà esclusiva) dev’essere accertata
sulla base dei titoli di acquisto dei singoli condomini (Corte di Cassazione 22 /10/1997, n 10371).
Un condomino può collegare con una scala la propria unità immobiliare, situata a piano terra, con
altra unità immobiliare, sempre di sua proprietà, ubicata nel seminterrato, purché ciò non determini
l’inservibilità del sottosuolo all’uso e al godimento cui è destinato (Corte di Cassazione 5/6/1999, n.
5546). Non è invece possibile realizzare nel cortile comune un vano scale per creare un nuovo
accesso al proprio seminterrato, se il manufatto pregiudica l’uso del cortile degli altri condomini
(Corte di Cassazione 21/7/2004, n 13600 ).
SERVITU’
Sia le parti comuni dell’edificio, sia le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei condomini, possono
essere interessate, attivamente o passivamente, da quel particolare istituto giuridico che è la
servitù: si pensi all’innesto di una canna fumaria sul muro perimetrale o all’attraversamento della
cantina di un condomino con una tubazione condominiale. Non da invece luogo a servitù, ma ad un
diritto personale in capo al condomino o al conduttore, l’installazione di un’antenna televisiva sul
tetto o sul lastrico solare (Corte di Cassazione n. 1176 del 25/2/1986). L’esistenza di una servitù a
favore del condominio e a carico di un’unità immobiliare può risultare dall’ atto di acquisto o dal
regolamento contrattuale di condominio (Corte di Cassazione 13/4/1985, n 2465) >>Usucapione.
Affrancazione
L’affrancazione (Ossia la liberazione) di una parte comune da una servitù può essere deliberata con
il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno
667/1.000, come nel caso in cui si tratti di deliberare il pagamento, in favore del Comune, di un
corrispettivo a fronte della rinuncia, da parte dell’ente, alla servitù di passaggio e parcheggio
pubblico su un’area condominiale (Tribunale di Bergamo 24/7/1999).
Aggravio
Il titolare del diritto di servitù non può rendere più gravosa la condizione del fondo sul quale la
servitù viene esercitata; così, se per raggiungere l’edificio condominiale è stata costituita una
154
servitù di passaggio sulla strada appartenente ad un vicino, i condomini non possono parcheggiarvi l’
auto (Corte di Cassazione 19/10/1998, n. 5685).
Contratto
L’amministratore, non può, di propria iniziativa, stipulare un contratto che preveda la costituzione
di una servitù a carico del condominio, essendo necessario il consenso di tutti i condomini ( Corte di
Cassazione n 5626 del 18/4/2002, con riferimento all’installazione sul lastrico solare di un
ripetitore per telefonia cellulare di un’azienda telefonica).
Regolamento
La servitù a carico di un’unità immobiliare può risultare, oltre che dall’atto dell’acquisto, dal
regolamento contrattuale del condominio (Corte di Cassazione 13/4/1985, n 2465). In ogni caso,
affinché la servitù sia opponibile ai terzi (per esempio: all’acquirente di un’unità immobiliare),
dev’essere stata costituita per atto pubblico trascritto presso l’Agenzia del territorio. Spese. Le
spese per le opere occorrenti alla conservazione della servitù sono a carico del proprietario del
fondo cui la servitù giova, salvo che il titolo o la legge dispongano altrimenti. Se però le pere giovano
alche al fondo sul quale viene esercitata la servitù, le spese sono sostenute in proporzione ai
rispettivi vantaggio (Articolo 1069 codice civile).
SERVIZI COMUNI AD ALCUNI CONDOMINI
Se un servizio è comune solo ad alcuni condomini (Si parla a riguardo di condominio parziale), la
maggioranza in assemblea dev’essere calcolata considerando solo il numero dei condomini
interessati al servizio e i relativi millesimi (Corte di Cassazione 8/1/1966, n 158 ).
SITO INTERNET
Su richiesta dell’assemblea, che delibera con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000, l’amministratore è tenuto ad attivare un
sito Internet del condominio, che consenta agli aventi diritto di consultare ed estrarre copia
in formato digitale dei documenti previsti dalla delibera assemblea. Le spese per l’attivazione
e la gestione del sito sono ripartite fra i condomini in base ai millesimi di proprietà.
SOLAIO
C’è un elemento dell’edificio condominiale che interessa esclusivamente i proprietari di due unità
immobiliari l’una all’altra sovrastante: il solaio divisorio fra i piani. In particolare, la parte che forma
oggetto di comunione fra i due proprietari è quella strutturale che, incorpora nei muri perimetrali,
assolve alla duplice funzione di sostegno del piano superiore e di copertura di quello inferiore. Gli
spazi pieni o vuoti che accedono al soffitto o al pavimento, e non siano essenziali alla struttura ( Per
esempio: il conglomerato cementizio per sottofondo di pavimentazione e protezione termica),
invece, sono esclusi dalla comunione (Corte di Cassazione 7/6/1978, n 2868); essi, pertanto,
possono essere utilizzati autonomamente dai proprietari, per esempio per collocarvi tubi o cavi
elettrici. Ciò, però, a condizione di non pregiudicare il pari godimento del solaio da parte dell’altro
condomino, di non creare situazioni di danno o di pericolo e di non alterarne la destinazione (Corte
di Cassazione 9/3/1987, n 2440). Il condomino non può abbassare o alzare il solaio. Se però, in
occasione di opere di consolidamento, l’abbassamento è necessario nell’interesse di entrambi i
proprietari, quello del piano inferiore ha dritto che l’altro gli versi un indennizzo pari alla cubatura
155
così ridotta, l’aumento di spessore del solaio, sempre che sia compatibile con la struttura
dell’edificio, richiede il consenso di entrambi gli interessati, e se si rende necessario per ragioni
tecniche il proprietario che lo subisce ha diritto ad un indennizzo come sopra (Corte di Cassazione
23/3/1991, n 3178). Se poi, in occasione della sua sostituzione, il solaio viene rialzato in accordo
con i comproprietari, la cubatura così liberata rimane in comune, a meno che non intervenga un atto
scritto con il quale viene ceduta dall’uno all’altro condomino (Corte di Cassazione 9/1/1993, n. 143).
Il solaio del piano terra appartiene elusivamente al proprietario dell’unità immobiliare cui inerisce.
Se il solaio del primo piano coincide con la volta di un portico comune, esso appartiene per metà ai
condomini del primo piano e per metà al condominio.
Spese
<isolamento acustico>.
La spesa richiesta dall’isolamento acustico del solaio, a meno che i rispettivi proprietari non si
accordino altrimenti, grava sul proprietario dell’unità immobiliare che s’intende salvaguardare dal
rumore: quasi sempre quello dell’unità immobiliare sottostante.
Manutenzione e ricostruzione
Come precisato dall’articolo 1125 codice civile, la spesa richiesta dalla manutenzione e dalla
ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai dev’essere sostenuta in parti uguali dai proprietari
dei due piani l’uno all’altro sovrastante. Sono però a carico esclusivo del proprietario del piano
superiore le spese per la copertura del pavimento (Per esempio: piastrelle - parquet), copertura
che può quindi rimuovere e sostituire secondo le sue utilità e convenienza ( Corte di Cassazione
22/8/1994, n 7464), mentre al proprietario sottostante competono le spese per l’intonaco, la
tinteggiatura e la decorazione del soffitto. Naturalmente le parti possono accordarsi per l’adozione
di un diverso criterio (Corte di Cassazione 14/7/1981, n 4601). Se un condomino provvede di sua
iniziativa al rifacimento del solario, l’altro è tenuto a rimborsagli la propria quota di spesa, a
condizione che il condomino che ha fatto eseguire i lavori dimostri che questi erano urgenti,
secondo l’apprezzamento di una persona di media diligenza, per evitare un possibile danno (Corte di
Cassazione 14/7/1981, n 4601). Se, invece, la ricostruzione del solaio si rende necessaria
esclusivamente per fatto e colpa di uno dei due condomini, sarà solo questi a doversi far carico
dell’intera spesa. Travi. Del soffitto fanno parte integrante le travi. Se queste assolvono alla
funzione di sostegno, la spesa va divisa fra entrambi i proprietari in parti ugnali. Se invece sono
meramente decorative del sottostante appartamento, la spesa fa interamente carico al proprietario
di questo (Corte di Cassazione 12/10/2000, n 13606).
SOPRAELEVAZIONE
L’articolo 1127 del codice civile stabilisce che, se il contrario non risulta dal titolo (per esempio
dall’atto di acquisto), il proprietario dell’ultimo piano e il proprietario esclusivo del lastrico solare
hanno diritto di sopraelevazione, ossia il diritto di “elevare nuovi piani (quindi anche più d’uno e in
tempi diversi) o nuove fabbriche“ con l’obbligo di corrispondere agli altri condomini la relativa
indennità. Se sopra l’ultimo piano c’è una soffitta appartenente ad un proprietario diverso da quello
dell’ ultimo piano, il diritto di sopraelevazione spetta al proprietario della soffitta, poiché è questa
che dev’essere considerata come “ultimo piano“ ai sensi dell’ articolo 1127 codice civile (Corte di
Cassazione 28/11/1978, n 5608). Il proprietario dell’ultimo piano, infatti, può sopraelevare solo nel
caso in cui sopra il suo appartamento vi siano manufatti di proprietà comune ( Come il tetto o il
156
sottotetto non praticabile), che possono essere spostati al termine della sopraelevazione. La
normativa sulla sopraelevazione si applica anche alla terrazza a livello se assolve, come il lastrico
solare, alla funzione di copertura di una parte dell’edificio (Corte di Cassazione 14/11/1991, n
12173). Affinché si possa parlare di sopraelevazione non basta la pura e semplice costruzione oltre
l’altezza precedente, come avviene nel caso dell’innalzamento delle quote del sottotetto (Tribunale
di Bologna 9/10/2003, n 4771). A maggior ragione non si più parlare di sopraelevazione nel casso di
modifiche solo interne, contenute negli originari limiti strutturali del fabbricato ( Per esempio:
trasformazione di un sottotetto in abitazione (Corte di Cassazione 24/10/1998, n 10568), o della
costruzione di una tettoia in legno e ferro, munita di parapetto trasparente e volta unicamente a
creare riparo degli agenti atmosferici (Tribunale di Cagliari 7/12/1993). Lo stesso dicasi della
pensilina in tenda o altro materiale che non dia luogo a delimitazione con pareti (Corte di Cassazione
5/2/1999, n 1263). Più di recente, però, la Suprema Corte (Sentenza n. 24327 del 18/11/2011)
ha stabilito che l’>>Indennità di sopraelevazione è dovuta non solo in caso di realizzazione di nuovi
piani o nuove fabbriche, ma anche per la trasformazione di locali preesistenti, mediante incrementi
delle superfici e delle volumetrie, indipendentemente dall’altezza del fabbricato, traendo
fondamento dall’ aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni, conseguente
all’incremento della porzione di proprietà esclusiva. La distinzione è importante perché, in caso di
sopraelevazione, il proprietario dei nuovi piani deve corrispondere un‘>>Indennità agli altri
condomini. La sopraelevazione non deve necessariamente estendersi all’ intera superficie
dell’edificio, se ciò non ne pregiudica l’aspetto architettonico (Corte di Cassazione 3/1/1966, n 28
>>Decoro architettonico).
Teoricamente non occorre autorizzazione dell’assemblea (Corte di
Cassazione 10/2/1970, n 338), ma chi intende procedere a sopraelevazione ne deve dare
preventiva notizia all’amministratore, specificando i dettagli dell’intervento e le modalità
dell’esecuzione. L’amministratore, a sua volta, ne riferisce all’assemblea (Secondo comma articolo
1122 codice civile). Un titolo contrattuale può attribuire il diritto di sopraelevazione a un
condomino diverso dal proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare, stabilendo anche che esso
debba essere esercitato, a pena di decadenza, entro un certo termine; nel qual caso, decorso
inutilmente il termine riprende vigore la disciplina legale dell’articolo 1127 codice civile, che
assegna il diritto ai proprietari dell’ultimo piano (Corte di Cassazione 24/5/1968, n 1593). Se il
lastrico solare appartiene in proprietà esclusiva a diversi condomini, salvo che da un titolo risulti il
contrario, il diritto di sopraelevazione spetta a ciascuno di essi nei limiti della propria porzione di
piano, con utilizzazione dello spazio aereo sovrastante a ciascuna porzione e nel rispetto dei limiti in
cui all’articolo 1127 codice civile (Corte di Cassazione 24/2/2006, n 4258). L’esercizio del diritto
di sopraelevazione è comunque subordinato al rispetto della distanza legale fra costruzioni, per cui
se vi è una costruzione confinante già edificata si deve conservare, in ciascun punto rispetto al
muro perimetrale dell’edificio confinante, la distanza minima (Tre metri) prevista dal codice civile o
dalle norme dei regolamenti edilizi vigenti che ne abbiano portata integrativa (Corte di Cassazione
12/1/2005, n 400).
Divieto
La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la consentono. Pertanto,
chi intende realizzarla deve provare che le strutture dell’ edificio sono in grado di sopportare non
solo il carico della sopraelevazione ma anche le sollecitazioni di origine sismica ( Corte di Cassazione
157
30/5/2012, n 8643). Se un condomino procede a sopraelevare nonostante il divieto l’azione
giudiziaria può essere promossa da qualsiasi altro condomino (Corte di Cassazione 25/10/1988, n
5776). Una vecchia sentenza della Corte di Cassazione (N. 3532 del 26/5/1986) prevede che la
sopraelevazione possa essere realizzata anche se le condizioni statiche dell’edificio non la
consentano, purché si provveda alle opportune opere di consolidamento e vi sia il consenso di tutti
gli altri condomini (Corte di Cassazione 26/5/1986, n 3532). Il divieto di sopraelevazione contenuto
in un regolamento contrattuale vincola anche gli acquirenti dei singoli appartamenti,
indipendentemente dalla trascrizione presso l’Agenzia del territorio, qualora essi, nell’atto di
acquisto, facendo espresso riferimento al regolamento, dimostrino di esserne a conoscenza e di
accertarne il contenuto (Corte di Cassazione 14/1/1993, n 395 ).
Effetti
I proprietari dei piani (O delle porzioni di piano) conseguenti alla sopraelevazione entrano di diritto
a far parte del condominio e, salvo che dal titolo risulti altrimenti, acquistano la comproprietà sulle
parti comuni dell’edificio, anche di quelle relative ai piani preesistenti (Corte di Cassazione
11/5/1984, n 2889).
Indennità
L’obbligo di corrispondere l’indennità trova il suo fondamento nel fatto che chi realizza la
sopraelevazione viene ad occupare una parte della colonna d’ aria sovrastante l’edificio, il cui valore
è compreso, pro quota, in quello di ciascun piano o porzione di piano. Di conseguenza, rimanendo
sempre lo stesso il valore del suolo (Dividendo), con l’aumento del numero dei piani (Divisore)
diminuisce necessariamente il valore di ciascuna quota-piano (Quoziente) e si deve quindi ristabilire
la situazione economica precedente attraverso la corresponsione dell’equivalente pecuniario della
frazione di valore perduta da ciascuna quota-piano per effetto della sopraelevazione (Corte di
Cassazione 16/3/1982, n 1697). L’indennità dev’essere corrisposta anche nel caso in cui il tetto
venga trasformato in terrazza “In trincea“ (Tribunale di Bologna 24/6/1998) o sostituito con un
lastrico solare di uso esclusivo (Corte di Cassazione 7/1/1980, n 1999). Hanno diritto all’indennità
di sopraelevazione i condomini che rivestono questa qualifica al momento dell’ intervento e ai loro
successori secondo le regole che disciplinano la successione nei diritti di credito ( Corte di
Cassazione 15/2/1999, n 1263), anche nel caso in cui la loro unità immobiliare non si trovi sotto la
verticale del nuovo piano, per esempio perché la sopraelevazione ha interessato solo una parte del
perimetro del fabbricato (Tribunale di Roma 25/1/1967). Il Tribunale di Monza (Sentenza del
25/2/1982) il “momento in cui la sopraelevazione viene realizzata“coincide con il completamento
dell’ opera nelle sue strutture essenziali. Per calcolare l’indennità di sopraelevazione si divide il
valore attuale del suolo sul quale poggia l’edificio, o della parte di esso che viene sopraelevata, per il
numero dei piani, compreso quello di nova costruzione, e si detrae dal quoziente la quota che
spetterebbe a chi beneficia della sopraelevazione. La somma residua va ripartita tra i proprietari
degli altri piani preesistenti, in proporzione ai millesimi di proprietà. Il “valore attuale“ è quello che
il suolo ha nel momento in cui la sopraelevazione viene realizzata ( Corte di Cassazione 29/12/1962,
n 3453). Ai fini del calcolo dell’indennità di sopraelevazione non si deve tener conto delle cantine e
delle soffitte, perché pertinenza dell’ intero fabbricato (Se comuni) o dell’ultimo piano (Se
appartengono al proprietario esclusivi di questo, Corte di Cassazione 10/6/1997, n 5164). Si
considerano invece i piani interrati. La maggiore o minore vetustà dell’ edificio è ininfluente ai fini
dell’indennità, dovendosi fare esclusivo riferimento al valore del suolo ( Corte di Cassazione
158
5/12/1987, n 9032). Ininfluente anche l’altezza del piano o dei piani che si realizzano (Corte di
Cassazione 30/7/1981, n 4861). Se l’altezza è diversa da quella dei piani preesistenti, però,
potrebbe porsi un problema di alterazione dell’aspetto architettonico dell’edificio. Se la
sopraelevazione viene realizzata su di un terrazzo, ai fini del calciolo dell’indennità non si deve
tener conto della superficie che aggetta all’esterno dell’edificio, ancorché riservata all’uso esclusivo
del condomino che realizza la sopraelevazione (Corte di Cassazione 15/2/1999, n 1263). L’indennità
dev’essere corrisposta anche se la sopraelevazione sia stata realizzata in assenza del permesso di
costruire (Corte di Cassazione 21/5/2003, n 7956). Se fra la sopraelevazione e la liquidazione
dell’indennità passa molto tempo, gli aventi diritto possono chiedere la rivalutazione della somma
(Corte di Cassazione 5/12/1987, n 9032). Chi effettua la sopraelevazione non sempre è obbligato
al pagamento della relativa indennità; non vi è tenuto, per esempio, quando abbia precedentemente
acquistato (O si sia riservato in quanto originario unico proprietario) la proprietà esclusiva della
colonna d’ aria sovrastante l’edificio (Corte di Cassazione 24/1/1969, n 209). Lastrico solare
Se il lastrico solare è condominiale, il proprietario dell’ultimo piano non può realizzare la
sopraelevazione; se dovesse farlo, la nuova copertura dell’ edificio e il risultate sottotetto
apparterebbero al condominio (Corte do Cassazione 28/4/1999, n 4266).
Millesimi
La sopraelevazione comporta la revisione dei millesimi di proprietà solo se comporta l’alterazione
per più di un quinto del valore proporzionale dell’unità immobiliare del condominio (Corte di
Cassazione 13/9/1991, n 9759, articolo 69 disp. Att. codice civile).
Normativa antisismica
Se un condomino realizza una sopraelevazione o un ampliamento violando la normativa antisismica,
ciascun condomino è legittimato a rivolgersi al giudice per chiedere il ripristino dello stato dei
luoghi (Corte di Cassazione 20/8/1981, n 4958).
Opposizione
Ci si può opporre alla sopraelevazione provando che questa, oltre ad alterare l’aspetto
architettonico dell’edificio, ne comporterebbe una diminuzione del valore (Corte di Cassazione
6/12/2000, n 15504). L’azione dev’essere promossa entro 20 anni, altrimenti scatta l’usucapione
in favore di chi ha eseguito la sopraelevazione (Corte di Cassazione 19/10/1998, n 10334). Il
diritto non si prescrive, però, se la sopraelevazione ha compromesso le condizioni statiche
dell’edificio. Se sussistono le condizioni affinché la sopraelevazione possa essere realizzata non è
possibile impedirla, a meno che un divieto in tal senso non sia contenuto nel regolamento
contrattuale del condominio, o sia intervenuto fra i condomini un accordo volto a costituire una
servitù di non costruire a carico dell’ unità immobiliare il cui proprietario ha il diritto di
sopraelevazione (Corte di Cassazione 28/1/1983, n 805).
Realizzazione
La sopraelevazione deve sere realizzata in modo che gli altri condomini possano continuare a godere
delle pareti comuni dell’edificio senza aggrazio. E’ stata per esempio ritenuta illegittima la
sopraelevazione che costringeva i condomini a passare attraverso un locale di proprietà esclusiva.
Per accedere al lastrico solare, quando prima vi arrivavano dalla scala comune (Corte di Cassazione
15/3/1976, n 939 ). Né è possibile, in sede di sopraelevazione, costruire in oggetto rispetto ai muri
perimetrali se le opere, per struttura ed estensione, compromettono l’equilibrio degli interessi dei
condomini (Corte di Cassazione 12/10/1971, n 2873). Lo stesso dicasi se si tratta di occupare lo
159
spazio sovrastante un cortile comune al proprietario di un edificio contiguo (Corte di Cassazione
26/2/1976, n 624). Non è detto, poi, che la sopraelevazione debba essere caratterizzata dalle
stesse linee architettoniche dell’edificio, l’importante è che non ne pregiudichi il decoro o non ne
peggiori l’aspetto esterno secondo il comune senso estetico (Corte di Cassazione 9/4/1980, n
2267). Superfluo condurre che, trattandosi di aumentare il peso che grava sulle strutture
dell’edificio, è consigliabile muoversi con i . . . . . piedi di piombo, affidando il progetto ad un tecnico
di comprovata professionalità. I muri perimetrali del nuovo piano diventano condominiali (Corte di
Cassazione 19/5/1978, n 2475).
Riserva del diritto
Il costruttore può riservarsi, in sede di vendita frazionata dell’edificio, la sola proprietà del
lastrico solare, per poter usufruire del diritto di sopraelevazione, ma è necessario uno specifico
atto negoziale, poiché la presunzione di comproprietà di cui all’articolo 1117 codice civile può
essere vinta soltanto dal titolo contrario;titolo contrario che non può però essere ravvisato negli
atti relativi alla proprietà del terreno, anteriori alla costruzione del fabbricato (Corte di
Cassazione 16/7/2004, n 13279). Se poi a riservarsi il diritto di sopraelevazione è, all’atto di
vendere, il proprietario dell’ appartamento sito all’ ultimo piano, per rendere la riserva opponibile ai
terzi e agli aventi causa del primo acquirente è necessario curarne la trascrizione presso l’Agenzia
del territorio (Corte di Cassazione 14/11/1997, n 11250).
Scale
In sede di sopraelevazione è possibile modificare la scala comune, procedendo alle indispensabili
demolizioni e alle successive ricostruzioni e livello più elevato (Corte di Cassazione 9/12/1980, n
6362), ma non è possibile occupare con la nuova costruzione parte dell’area sovrastante la scala
comune al proprietario di un appartamento ubicato su di una verticale diversa ( Corte di Cassazione
30/1/1979, n 669).
Termine
Non vi è un termine entro il quale dev’essere esercitato il diritto di sopraelevazione, a meno che non
vi sia un titolo (Per esempio contratto) che lo preveda.
Tetto
Che esegue la sopraelevazione può sostituire il tetto con il lastrico solare, a condizione di non
arrecare danno agli altri condomini (Corte di Cassazione 17/1/1968, n 114). Se però il lastrico,
pur assolvendo alla funzione di copertura precedentemente esercitata dal tetto, presenta
caratteristiche tali da essere destinato anche all’ uso esclusivo dell’autore dell’opera, si pone in
essere un’alterazione della destinazione della cosa comune che non può considerarsi insita nel più
ampio diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell’ultimo piano (Corte di Cassazione
28/1/2005, n 1737). Sulla stessa linea interpretativa il Tribunale di Piacenza ( Sentenza
dell’8/11/2000), che ha considerato alterazione della cosa comune ai sensi del primo comma
dell’articolo 1102 codice civile, e in quanto tale non compresa nel più ampio diritto di
sopraelevazione, la sostituzione, ad opera del proprietario dell’ultimo piano, di una parte del tetto
con terrazza di esclusiva pertinenza della propria unità immobiliare. In precedenza la Corte di
Cassazione (Sentenza n. 99 del 7/1/1980) aveva considerato come sopraelevazione la sostituzione
del tetto con una terrazza non solo quando la terrazza acquisti, per struttura e ubicazione, il
carattere di bene di proprietà e uso esclusivo del titolare dell’ultimo piano, ma anche quando sia
destinata al godimento anche dei condomini estranei alla sopraelevazione (Corte di Cassazione
160
7/1/1990, n 99). Di diverso avviso il Pretore di Firenze, che con sentenza del 14/2/1990 ha
considerato questo tipo d’intervento rientrante non già nel concetto di nuovi piani o nuove
fabbriche – definito dall’articolo 1127 codice civile – ma in quello d’innovazione (Articolo 1120
codice civile).
SOTTOSUOLO
Il sottosuolo, anche se non espressamente menzionato dall’articolo 1117 codice civile fra le parti
comuni dell’edifico, dev’essere considerato di proprietà comune a tutti i condomini, a meno che un
titolo non disponga altrimenti. Di conseguenza non può trovare applicazione il principio generale
dettato dall’articolo 840 codice civile, per il quale “la proprietà del suolo si estende al sottosuolo,
con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non
rechi danno al vicino“ (Corte di Cassazione 9/3/2006, n 5085); un condomino, pertanto, non può,
senza il consenso degli altri condomini, procedere a scavi in profondità nel sottosuolo per ricavarne
nuovi locali o ingrandire quelli preesistenti, comportando tale attività l’assoggettamento di un bene
comune a vantaggio del singolo (>>Suolo).
SOTTOTETTO
Il sottotetto (Primo comma, n 2), articolo 1117 codice civile, rientra fra le parti comuni
dell’edificio se è destinato, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune. Può
invece considerarsi pertinenza dell’appartamento sino all’ultimo piano quando assolva all’esclusiva
funzione di isolare e proteggere l’appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall’umidità,
mediante la creazione di una camera d’aria. Per il tribunale di Milano (Sentenza n. 936 del
23/8/2005) la proprietà del sottotetto dev’essere accertata in base al regolamento condominiale e
agli atti di acquisto.
DIVISIONE FRA I CONDOMINI
Il sottotetto condominiale può essere diviso fra i condomini - per esempio per ricavarne soffitte -,
ma a condizione che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun
condomino e venga deliberata con il consenso di tutti i partecipanti al condominio ( Primo comma
articolo 1119).
Lavori
Il condomino può eseguire dei lavori nel sottotetto della sua proprietà, a condizione che questi non
comportino danni per gli altri condomini; non si potrebbe, per esempio, modificare il solaio con
lesione del vaso di espansione, o ledere la servitù di accesso ivi esistente per l’ispezione del tetto
(App. Milano 25/9/1992). Possibile aprirvi una finestra, a condizione che i lavori vengano condotti a
regola d’arte e che l’opera non pregiudichi la funzione di copertura del tetto, non alteri il decoro
architettonico dell’edificio e non leda altrimenti il diritto degli altri condomini (Corte di Cassazione
27/7/2006, n 17099), >>Abbaino).
Millesimi
Se un condomino mette in comunicazione il proprio appartamento con il sovrastante sottotetto, può
sorgere il problema di modificare la tabella millesimale del riscaldamento. Lo stesso dicasi se, in
seguito alla trasformazione del sottotetto in abitazione, si sia alterato per più di un quinto il valore
proporzionale dell’unità immobiliare.
161
Temperatura
Se la temperatura del sottotetto condominiale è troppo calda d’estate e troppo fredda d’inverno si
può pretendere che il condominio si faccia carico della spesa richiesta dalla coibentazione di questa
parte comune; il condominio, infatti, in quanto custode delle parti comuni dell’edificio ai sensi
dell’articolo 2051 codice civile, è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie affinché esse non
rechino pregiudizio alcuno, e a rimuovere le cause del danno arrecato alle porzioni di proprietà
esclusiva dei condomini, fatta salva la prova del caso fortuito (Tribunale di Milano 11/5/2009, n
6256).
Trasformazione in abitazione
Per trasformare un sottotetto è necessario assicurarsi il consenso di tutti gli altri condomini
(Corte di Cassazione 26/10/1994, n 8777), trattandosi fra l’altro di allacciarsi ai servizi comuni (Si
pensi agli scarichi del bagno e cucina), che potrebbero rivelarsi insufficienti ad accogliere la nuova
utenza. Il tribunale di Piacenza, invece (Sentenza del 2/2/1995), ha stabilito che, in mancanza di un
divieto contenuto nel regolamento o altrimenti intervenuto fra i condomini, questi possono opporsi
alla trasformazione solo quando abbiano a lamentare pregiudizi alla sicurezza o alla stabilità
dell’edificio, o comunque danni che potrebbero conseguire dal concreto svolgimento delle attività
inerenti alla nuova destinazione. La Corte di Cassazione, infine (Sentenza n 11688 del 16/10/
1999), ha ritenuto non consentita la trasformazione in presenza di un regolamento che vietava di
eseguire qualsiasi intervento che potrebbe interessare la struttura organica, la stabilità e l’aspetto
dell’immobile. Se la trasformazione è abusiva gli altri condomini non possono pretendere
l’eliminazione delle opere interne realizzate, ma possono soltanto chiedere l’inibizione del diverso
uso in quanto pregiudizievole per gli occupanti del sottostante appartamento: per esempio per i
maggiori rumori derivanti dall’uso diurno da parte degli occupanti rispetto a quello discontinuo
proprio della soffitta (Corte di Cassazione 5/1/1985, n 17). Se il mutamento di destinazione è
vietato da un regolamento contrattuale, l’innovazione non è possibile, ancorché avvenga in forza di
una legge regionale (Tribunale di Ariano Irpino 23/11/2010, n 493).
Tubatura
Il condomino può collocare tubature idriche, termiche ed elettriche nel sottotetto comune a
esclusivo servizio del proprio appartamento sottostante, se rimane impregiudicato il diritto degli
altri condomini all’uso di questa parte comune dell’edificio e non ne viene alterata la destinazione;
infatti, la posa in opera di tubature sul piano di calpestio e lungo la parete del sottotetto, se
realizzata con gli opportuni accorgimenti, non impedisce di accedere al sottotetto stesso e di
camminare sul piano del calpestio, né di accedere al tetto per la manutenzione delle antenne, delle
canne fumarie e dello stesso tetto (Tribunale di Ariano Irpino 26/4/2006, n 272).
Usucapione
Il sottotetto, quando assolve all’esclusiva funzione di isolare i vani del sottostante alloggio, si pone
in rapporto di dipendenza nei loro confronti e non può, pertanto, essere separato da questi senza
che si verifichi l’alterazione del rapporto di complementarietà dell’insieme; di conseguenza non è
idoneo ad essere utilizzato separatamente dall’alloggio sottostante, cui accede, e pertanto non è
configurabile nei suoi confronti l’acquisto della proprietà per usucapione da parte del proprietario
di altra unità immobiliare (Corte di Cassazione 29/12/2004, n 24147).
SPESE COMUNI
162
Va premesso che il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la
conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità
immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali (Terzo comma articolo 1118 codice civile) o
non venga dispensato da tutti gli altri condomini).
Anticipate dal condominio
Il condomino che abbia anticipato una spesa comune ha diritto al rimborso, a condizione che abbia
precedentemente interpellato, o quanto meno preavvertito, gli altri condomini o l’amministratore, e
fornisca la prova sia della loro trascuratezza che dell’urgenza della spesa (Corte di Cassazione 3/
8/2001, n 10738). Questo anche nel caso di condominio formato da due soli condomini (Corte di
Cassazione 7/1/2004, n 27). Con sentenza n. 11747 del 3/4/2003 la Suprema Corte ha precisato
che sono rimborsabili le spese destinate alla conservazione della cosa comune (Per esempio, quello
per l’acqua occorrente all’irrigazione del giardino), mentre non lo sono le spese destinate al suo
godimento: come quelle per il combustibile e l’energia elettrica necessari all’impianto di
riscaldamento e quello per l’acqua potabile. Il condomino che abbia anticipato una spesa nell’
interesse del condominio ha diritto anche agli interessi legati sul dovuto, mentre per ottenere la
rivalutazione dell’importo deve provare il maggior danno derivante dal ritardo del pagamento (Corte
di Cassazione 26/8/1996, n 7834).
Anticipate dall’amministratore
L’amministratore ha diritto al rimborso delle spese anticipate nell’interesse dei condomini, a
condizione che si tratti di spesa autorizzata o ratificata dall’assemblea, o di spesa urgente, ma in
tale ultima ipotesi deve riferirne alla prima assemblea e dimostrarne l’urgenza (Tribunale di Milano
11/5/1992). Se non ne riferisce alla prima assemblea, ha ugualmente diritto al rimborso, ma nei
limiti in cui il giudice ritenga la spesa giustificata (Corte di Cassazione 15/9/1970, n 1481 ). Il
credito si prescrive in cinque anni (Tribunale di Milano 5/11/1990). Se ad anticipare la spesa è stato
l’ex amministratore, questo può agire sia nei confronti del condominio in persona del nuovo
amministratore, sia nei confronti dei condomini inadempienti (Corte di Cassazione 12/2/ 1997, n
1286), ma limitatamente all’importo da ciascun dovuto (Tribunale di Torino 26/9/2001).
Locazione
Quando un appartamento è dato in locazione, anche il conduttore diventa protagonista della vita
condominiale: sia perché sostiene la maggior parte dei costi di gestione, sia perché il suo
comportamento, più o meno corretto, può incidere sull’utilizzo delle parti comuni e del loro
deterioramento. Le spese di ordinaria amministrazione, vale a dire quelle che servono per la
gestione quotidiana del condominio e per gli interventi di piccola manutenzione, sono a carico del
conduttore, mentre le spese richieste dalle riparazioni straordinarie o dalle innovazioni competono
al condominio-locatore. L’amministratore, di norma, tiene i rapporti con il proprietario; è a lui,
infatti, che invia gli avvisi di pagamento, i verbali delle assemblee, le comunicazioni di qualsiasi tipo
di rendiconto di fine anno, poiché il conduttore è estraneo al rapporto condominiale, sebbene abbia
il diritto di votare in assemblea, al posto del locatore, sulle delibere relative alle spese e alla
modalità di gestione dei servizi di riscaldamento o di condizionamento dell’aria. L’amministratore
può però, su richiesta del locatore, trasmettere direttamente al conduttore i documenti che lo
riguardano. Riportiamo due tabelle riguardanti appunto la suddivisione delle spese fra locatore e
conduttore: la prima si riferisce alle spese condominiali, mentre la seconda si riferisce alle spese
concernenti l’unità immobiliare locata. La materia è disciplinata, oltre che dalla legge, dagli accordi
163
intervenuti fra le organizzazioni di rappresentanza dei proprietari di immobili e dei conduttori,
dagli accordi intervenuti direttamente fra le parti e dagli usi locali: consultabili, questi, presso la
camera di commercio.
Prova
La quantificazione delle spese sostenute dal condominio può essere effettuata unicamente sulla
base di documentazione fiscalmente idonea, ossia recante data certa, identificazione del soggetto
che effettuano e ricevono le prestazioni, e identificazione precisa della spesa; gli scritti e le
annotazioni provenienti da terze persone, infatti, anche se legate al condominio da un rapporto di
lavoro, quale potrebbe essere il portiere, non hanno alcun valore probatorio circa l’esistenza di
entrate e uscite imputabili al condominio (App. di Napoli 1/9/2009, n 2593).
Ripartizione
Il primo comma dell’articolo 1123 codice civile stabilisce che le spese necessarie per la
conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi
nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini
in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun piano, salvo diversa convenzione. Questo
criterio, quindi, può essere modificato solo da un regolamento contrattuale o da una convenzione
alla quale abbiano aderito tutti i condomini (Corte di Cassazione 15/3/1995, n 3042); l’eventuale
modifica deliberata a maggioranza sarebbe pertanto nulla, ancorché disposta una tantum (Corte di
Cassazione 16/2/2001, n 2301). Se l’amministratore suddivide fra i condomini le spese comuni
violando il criterio di ripartizione previsto dalla legge o dal regolamento, l’assemblea può revocarlo,
salva la possibilità di adire il giudice per il risarcimento degli eventuali danni prodotti dalla
violazione. Il secondo comma del suddetto articolo stabilisce che, se si tratta di cose destinate a
servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può
farne. Non si deve avere riguardo all’uso affettivo ma a quello potenziale, a nulla rivelando che un
condomino, pur potendo usare il bene, si astenga dal farlo, o che altro condomino ne faccia un uso
particolarmente intenso (Corte di Cassazione 6/12/1991, n 13160). La mancanza di apposita
tabella o convenzione non consente di ripartire le spese riguardanti le cose comuni destinate a
servire i condomini in misura diversa secondo i millesimi di proprietà, ma si deve considerare l’uso
(Ripetiamo: potenziale, non effettivo) che ciascun condomino può farne (Corte di Cassazione
8/9/1986, n 5458). Il terzo comma del richiamato articolo stabilisce a sua volta che, se un edificio
ha più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero
fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne
trae beneficio. Il regolamento, a condizione che sia contrattuale (Corte di Cassazione 20/9/1991,
n 9833), può prevedere che le spese degli impianti destinati a servire esclusivamente alcuni
condomini siano ripartite fra tutti. Se, in seguito a sopraelevazione o a variazione della consistenza
delle unità immobiliari, si crea il presupposto per la modifica delle tabelle millesimali (>>Millesimi,
Tabelle, Modifica), fino a quando questa non intervenga la ripartizione delle spese fra i condomini
va fatta sulla base delle tabelle attuali, per cui il condominio che intenda contestarle deve
promuovere giudizio di modifica delle tabelle (Corte di Cassazione 31/5/1988, n 3701). Se non sono
state ancora predisposte le tabelle millesimali l’assemblea può deliberare, a maggioranza, una
ripartizione provvisoria delle spese fra i condomini, salvo conguaglio ( Corte di Cassazione
21/11/2006, n 24670), avendo cura di rispettare la proporzione fra le parti di spesa a carico di
ciascun condomino e la sua quota di proprietà esclusiva ( Corte di Cassazione 4/12/1999, n 13554).
164
Il condomino che ritenga violato questo criterio deve impugnare la relativa delibera, dimostrando
sia gli esatti termini in cui è stata commessa la violazione, sia il danno a lui derivante (Corte di
Cassazione 3/12/1999, n 13505). Non è invece possibile una ripartizione provvisoria delle spese,
salvo conguaglio, sulla base di un criterio diverso da quello previsto dal regolamento contrattuale, e
l’eventuale delibera che non fosse adottata con il consenso di tutti i condomini sarebbe nulla
rispetto al condomino che ne risultasse danneggiato (Tribunale di Genova 3/9/1979). E’ possibile
che la modifica del criterio di ripartizione delle spese previsto da un regolamento contrattuale
venga introdotta tacitamente, come nel caso in cui, da comportamenti univoci, protrattasi nel
tempo, sia desumibile l’accettazione, da parte di tutti i condomini, di un differente criterio di
suddivisione delle spese (Corte di Cassazione 15/10/2004, n 20318). Preferibilmente comunque
che l’eventuale modifica risulti da accordo scritto.
Urgente
Spesa urgente è quella che, secondo la valutazione di una persona di media diligenza, appare
indifferibile allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, danno alla cosa comune (Corte di
Cassazione 6/12/1984, n 6400). Vi rientra, per esempio, quella sostenuta per opere la cui
esecuzione sia stata ordinata dal Sindaco nell’esercizio di poteri attribuitegli dalla legge in materia
edilizia (Corte di Cassazione 21/1/1966, n 261). Per la Suprema Corte (Sentenza n 5256 del
12/9/1980) è urgente anche la spesa la cui erogazione non può essere differita, senza danno o
pericolo, fino a quando l’amministratore o l’assemblea possano utilmente provvedere, mentre il
Pretore di Firenze (Sentenza del 17/6/1986) ha ravvisato l’urgenza nella convenienza economica,
per il condominio, d’immediata esecuzione dei lavori. L’onere di provare che si tratta di spesa
urgente spetta a chi ne chieda il rimborso. In particolare, si deve provare sia che sussistano le
condizioni che imponevano di provvedere senza ritardo, sia che non vi era la possibilità di avvertire
tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini (Corte di Cassazione 4/8/1997, n 7181).
Usufrutto
Di fronte al condominio
>>Nudo proprietario e usufruttuario rispondono in solido per il
pagamento dei contributi condominiali, ossia l’amministratore può esigerli indifferentemente
dall’uno o dall’altro, salvo il diritto, per chi ha pagato, di rifarsi nei confronti dell’altro per la
parte da questi dovuta (Ottavo comma articolo 67 disp. Att. codice civile). Nei rapporti interni
fra nudo proprietario e usufruttuario, questi, ai sensi dell’articolo 1004 codice civile, è tenuto a
farsi carico delle spese e, in genere, degli oneri relativi alla custodia, all’amministrazione e alla
manutenzione ordinaria della cosa, nonché a corrispondere al nudo proprietario gli interessi legali
sulle somme da questi spese per riparazioni straordinarie (Terzo comma articolo 1005 codice
civile). Se però si tratta di spese conseguenti all’inadempimento degli obblighi riconducibili alla
manutenzione ordinaria, esse sono a carico dell’usufruttuario e non del nudo proprietario, anche se
attinenti a riparazioni straordinarie (Giurisprudenza di Monza 29/2/1996). Vendita
dell’appartamento. L’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali
sorge per effetto della delibera dell’assemblea che approva le spese stesse. Pertanto, nel caso di
vendita di un appartamento, obbligato al pagamento è di chi è proprietario nel momento in cui la
spesa viene deliberata (Corte di Cassazione 2/9/2008, n 22034), salvo che le parti non si siano
accordate diversamente.
SUOLO
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Per “Suolo su cui sorge l’edificio“ s’intende la porzione di terreno su cui poggia l’edificio e, più
specificamente, la parte inferiore di esso; rientrano pertanto nell’espressione l’area nella quale sono
infisse le fondamenta e la superficie sulla quale poggia il pavimento del pianterreno, non anche
quest’ultimo. Ne consegue che i condomini sono comproprietari non della superficie a livello di
campagna (Che a causa dello sbancamento e della costruzione del fabbricato è venuta a mancare),
ma dell’area di terreno sita in profondità, sottostante, cioè, la superficie alla base del fabbricato,
sulla quale poggiano le fondamenta dell’immobile (Corte di Cassazione 28/4/2004, n 8119); la
locuzione “Suolo su cui sorge l’edificio“ va pertanto intesa in accezione diversa da quella di cui
l’articolo 840 codice civile, il cui riferimento è, invece, alla sola superficie esposta all’aria (Corte di
Cassazione 24/8/1998, n 8346). >>Sottosuolo.
SUPERCONDOMINIO
Si ha supercondominio quando più edifici, strutturalmente autonomi e appartenenti a soggetti
diversi, fruiscono, per la loro utilizzazione e il loro godimento, di opere comuni, anche se
strutturalmente separate: per esempio portineria, viale di accesso, parco, impianti sportivi. Di
conseguenza, se due corpi di fabbrica, uno costituito dall’edificio e uno destinato ad autorimesse,
pur strutturalmente autonomi e appartenenti a soggetti diversi, non hanno in comune alcuna delle
parti indicate nell’articolo 1117 codice civile, non si può parlare di supercondominio (Corte di
Cassazione 20/10/1984, n 5315). Il supercondominio è un insieme di più condomini, ciascun
formato da un certo numero di condomini. Alle parti comuni che caratterizzano il
supercondominio si applica la normativa che disciplina il condominio (Articolo 1117-bis codice
civile). Per agevolare i rapporti tra amministratore e condomini, il supercondominio può essere
caratterizzato dalla presenza di un >>Consiglio di condominio.
Amministratore
L’amministratore del supercondominio è nominato dall’assemblea formata dai condomini dei vari
edifici che compongono il complesso (>>Assemblea, partecipazione). L’assemblea può nominare
dell’amministratore anche qualora il regolamento contrattuale preveda che sia nominato dal
Consiglio di condominio; le clausole del regolamento, infatti, non possono prevalere sulla disciplina
inderogabile della legge (Tribunale di Milano 16/5/2002); l’articolo 1138 codice civile, infatti,
considera inderogabile l’articolo 1129, che riserva all’assemblea la nomina dell’amministratore. Se
l’assemblea non provvede alla nomina dell’amministratore vi fa luogo il giudice, su ricorso di uno o più
condomini, come previsto dal primo comma dell’articolo 1129 codice civile (Corte di Cassazione
31/1/2008, n 2305).
Assemblea
Maggioranza.
Il calcolo della maggioranza necessaria alla costituzione dell’assemblea e all’abolizione delle
delibere viene fatto assegnando ad ogni edificio un certo numero di millesimi, proporzionato al
valore che esso ha nell’ambito dell’intero complesso, mentre nell’ambito di ciascun edificio si
considerano i proprietari e i millesimi di cui sono titolari. Se una delibera ha per oggetto un bene o
un servizio riguardante solo alcuni edifici del supercondominio, il diritto di voto spetta ai rispettivi
condomini (Tribunale di Milano 25/2/1988).
Partecipazione
166
All’assemblea del supercondominio hanno il diritto di partecipare tutti i condomini dei vari edifici
che compongono il complesso; sarebbe pertanto nulla la clausola del regolamento che attribuisce
questo diritto ai soli amministratori dei vari edifici (Corte di Cassazione 6/12/2001, n 1547),
neppure se dovesse trattarsi di regolamento contrattuale (Corte di Cassazione 28/9/1994, n.
7894). Nulla anche la clausola che disponesse che all’assemblea partecipi, per ogni edificio, un solo
condomino in rappresentanza degli altri (Corte di Cassazione 6/12/2001, n 15476). Se però i
rappresentanti del supercondominio sono complessivamente più di 60, ciascun condominio deve
designare, con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 667/1.000, il proprio rappresentante all’assemblea del
supercondominio per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condomini e per la nomina
dell’amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che la nomina del
rappresentante del proprio condominio venga fatta dal giudice. Qualora un condominio non
abbia nominato il proprio rappresentante, alla nomina provvede anche in questo caso il giudice
su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro
congruo termine.
Bilancio
Se il bilancio è stato approvato, anziché dall’assemblea del supercondominio, dalle assemblee
separate dei condomini che concorrono a formarlo, la delibera è valida se, sommando i voti espressi
nell’ambito delle varie assemblee, si raggiunge la prevista maggioranza ( Corte di Cassazione
27/3/2003, n 4531).
Centrale termica
Se vi è una centrale termica comune ai vari deifici del supercondominio, dev’ essere nominato un
amministratore che assicuri la gestione del servizio nell’interesse comune provveda alla riscossione
dei relativi contributi condominiali. L’assemblea può però designare alla riscossione, edificio per
edificio, il rispettivo amministratore (Corte di Cassazione 4/5/1993, n 5160).
Millesimi
Per la messa a punto delle tabelle millesimali del supercondominio si devono predisporre due
distinte tabelle: una riferita al valore di ogni singolo edificio in rapporto all’intero complesso, e una
propria di ciascun edificio (Corte di Cassazione 16/2/1966, n 1206). Se poi il supercondominio si
arricchisce di nuovi edifici, le tabelle millesimali andrebbero aggiornate via via che le nuove
costruzioni vengono ultimate, con i rispettivi proprietari tenuti da questo momento al pagamento
dei contributi condominiali. Durante il periodo di costruzione, invece, a causa dei lavori si provoca
l’occupazione o l’usura di parti condominiali (Per esempio strade, piazzali), si può concordare il
pagamento di un rimborso agli eventuali proprietari, eventualmente affidandone la quantificazione a
un tecnico designato dalle parti.
Portierato
L’assemblea non può deliberare a maggioranza la centralizzazione del servizio di portierato presso
uno degli edifici, lasciando inalterata la ripartizione della spesa, poiché i condomini degli altri edifici
verrebbero a trarne un vantaggio minore del servizio cosi modificato; l’eventuale delibera sarebbe
pertanto nulla (Corte di Cassazione 29/4/1993, n 5083) Se l’assemblea deve deliberare sulla
soppressione del servizio di portierato ubicato in uno degli edifici del supercondominio, devono
essere convocati tutti i condomini, anche quelli degli altri edifici (O i loro rappresentanti se i
167
condomini sono più di 60,
>>Assemblea, Partecipazione),
pena l’annullabilità della relativa delibera.
Spese
La ripartizione delle spese occorrenti alla manutenzione di un impianto di supercondominio ( Per
esempio giardino – piscina) va fatta in primo luogo tenendo conto dell’ eventuale diversa caratura
millesimale dei fabbricati, per poi suddividere l’importo assegnato a ciascun fabbricato fra i
rispettivi condomini, in proporzione ai millesimi di proprietà. L’amministratore del supercondominio
può esigere il pagamento del dovuto direttamente dai condomini, dal momento che le delibere
dell’assemblea del supercondominio hanno efficacia diretta e immediata nei confronti dei singoli
condomini degli edifici che ne fanno parte, senza che sia necessario passare attraverso le decisioni
di ciascuna assemblea condominiale (Corte di Cassazione 6/12/2001, n 15476). Se invece il
supercondominio esiste solo di fatto, le questioni attinenti al pagamento dei contributi condominiali
trovano come legittimi contradditori il condominio in regola con i pagamenti da una parte e il
condominio moroso dall’altra, non avendo l’amministratore del condominio in regola con i pagamenti il
potere di riscuotere i contributi direttamente dai condomini di un altro edificio (Tribunale di
Savona 17/11/1980). Alle spese, invece, proprie di ciascun edificio, concorrono i soli
comproprietari di questo, in proporzione ai millesimi. Se un impianto è al servizio di alcuni edifici
soltanto, le spese fanno carco ai rispettivi condomini, ai sensi del terzo comma dell’articolo 1123
codice civile (Corte di Cassazione 18/4/2005, n 8086).
LETTERA T
TAPPETI
Quelle di battere i tappeti sono una delle faccende domestiche più ricorrenti, caratterizzata, però,
da un elevato tasso di rumorosità e da una fastidiosa ricaduta di polvere e sporcizia. Come ci si
deve regolare? Se il regolamento di condominio contiene una clausola che disciplina quest’attività, è
sufficiente attenervisi per evitare fastidi. In genere il regolamento consente la battitura dei
tappeti solo in alcune ore del giorno (Per lo più dalle otto alle dieci del mattino), e a condizione che
non avvenga dalle finestre o dai balconi che affacciano sulla verticale del portone d’ ingresso. Ma se
il regolamento tace sul punto? In questa ipotesi, se l’edificio è dotato di terrazza condominiale, è
preferibile servirsene per l’operazione, anche nel caso in cui l’assemblea avesse deliberato il divieto
di battervi tappeti o stendervi biancheria: il Tribunale di Milano, infatti, con sentenza del
14/1/1991 ha sancito l’illegittimità di questa delibera perché in contrasto con l’articolo 1102 del
codice civile, per la quale i condomini possono servirsi della cosa comune a condizione che non ne
alterino la destinazione. Sulla stessa lunghezza d’onda il Tribunale di Brescia (6/7/2000). Anche il
Tribunale di Napoli (Sentenza del 5/1/2001) ha stabilito che il divieto di battere tappeti può
essere inserito nel regolamento soltanto all’ unanimità, trattandosi di clausola che introduce una
limitazione delle facoltà inerenti al diritto di proprietà dei singoli condomini. In mancanza di un
terrazzo condominiale, o di un proprio terrazzo, si può usare una finestra interna e comunque che
non si trovi sulla verticale del portone d’ingresso o su quella dei panni stesi dai sottostanti piani.
TELECAMERA
168
La delibera avente per oggetto l’installazione di un impianto di videosorveglianza che consenta
di controllare le parti comuni dell’edificio può essere approvata con il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Articolo
1122-ter codice civile) Se, in relazione alle caratteristiche dell’edificio, la spesa è riguardabile
come gravosa o voluttuaria, chi non è d’accordo può esimersi dal contribuirvi (>>Innovazioni,
Gravosa o voluttuaria). La presenza di un sistema di videosorveglianza, stabilisce il comunicato del
Garante della privacy del 24/5/2004, dev’essere segnalata da un cartello recante il simbolo di una
telecamera e la dicitura “Area video sorvegliata da . . . . . . . . . . . per fini di . . . . . . . . . . . – Articolo
13 del codice in materia di protezione dei dati personali (D. L.gs. 30/6/ 2003, n 196)“. In caso di
registrazione il periodo di conservazione delle immagini non può superare le 24 ore, fatte salve
speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a indagini. L’iniziativa d’installare una o più
telecamere che inquadrino la propria unità immobiliare può essere presa anche dal singolo
condomino. In ogni caso, trattandosi di coniugare l’esigenza di tutelare la sicurezza dell’edificio e
dei suoi abitanti con quella di rispettare la privacy, occorre fare attenzione a calibrare la visuale di
questi “occhi“ elettronici. La Corte di Cassazione, per esempio (Sentenza n. 22602 del 5/6/2008),
considera legittime le videoriprese effettuate tramite una telecamera esterna all’edificio, di cui
inquadri l’ingresso, i balconi e il cortile, a condizione che l’area interessata dalla videoregistrazione
ricada nella fruizione di un numero indifferenziato di persone e non attenga alla sfera privata
dimora di un singolo soggetto. Né, sempre secondo la corte di cassazione, compie violazione della
privacy chi installa sul proprio balcone delle telecamere di sicurezza che riprendano, né
fraudolentemente né clandestinamente, non solo alcune parti dell’edificio, comuni a tutti gli inquilini,
ma anche porzioni esterne all’area di proprietà dei vicini di casa, se si tratta di spazi di pertinenza
dell’abitazione di taluno ma, di fatto, non protetti alla vista degli estranei, assimilabili poiché tali a
luoghi esposti al pubblico (Corte di Cassazione 26/11/2008, n 44156). Le riprese cosi effettuate
sono utilizzabili nei procedimenti contro atti vandalici di danni alla propria abitazione. A proposito
d’immagini, è reato scattare ripetute fotografie ai componenti la famiglia di un condomino, al fine di
documentare le violazioni al divieto di parcheggio nell’area condominiale, essendo sufficiente
documentare il fatto fotografando il veicolo (Corte di Cassazione 6/4/2006, n 15993). Pianerottolo
Chi vuole installare una telecamera sul pianerottolo per controllare l’accesso alla propria abitazione
può farlo, a patto che le riprese siano limitare allo spazio antistante alla porta, e non interessino,
quindi, le parti comuni (Tribunale di Milano 6/4/1992).
TENDA
La possibilità d’installare tende sul proprio balcone è subordinata, oltre che al rispetto del
>>Decoro architettonico dell’edificio, all’osservanza di una serie di canoni fisici ed estetici. Se poi
l’intervento è vietato da un regolamento contrattuale, è necessario acquisire il consenso di tutti gli
altri condomini. La tenda può essere liberamente ancorata alla soletta del sovrastante balcone, a
condizione che sia conforme a quelle già installate sugli altri balconi o al modello approvato
dall’assemblea, e che l’installazione non vada a scapito della sicurezza dell’appartamento
sovrastante e non tolga la visuale ai suoi occupanti; inoltre non deve sporgere dal limite costituito
dalla balaustra, anche se un oggetto “minimo“ è stato ritenuto dal Pretore di Pisa (Sentenza del 3
/5/1993) compatibile con il decoro architettonico. Per quanto riguarda il problema della distanza
legale, essa va rispettata se la tenda, per dimensioni e modalità di utilizzo, può essere riguardata
169
come “costruzione“ (Tribunale di Napoli 24/1/2000). In seguito la Corte di Cassazione (Sentenza n.
22838 dell’11/11/2005) ha stabilito che si deve tener conto, in concreto, della struttura
dell’edificio, dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facoltà spettanti ai
singoli condomini, per accertare la compatibilità o meno del rispetto delle distanze con i diritti degli
stessi condomini; pertanto, se la tenda collocata su un balcone toglie la visuale laterale al condomino
del balcone a fianco, non si è tenuti al rispetto della distanza legale se i due balconi si trovano a
distanza inferiore a quella prescritta dell’articolo 907 codice civile (3 metri). Se non vi sono tende
già installate è opportuno orientarsi su un colore che s’integri con quello della facciata; preferibile,
comunque, chiedere l’autorizzazione dell’assemblea, o quanto meno concordare con gli altri
condomini il colore e la forma. Se invece vi sono tende già installate su altri balconi, buonsenso vuole
che ci si adegui sia al modello che al colore. Consentito anche installare una tenda sulla parte di
area condominiale di cui si abbia l’uso esclusivo (Si pensi ad un bar o a un ristorante), a condizione,
però, che non vengano tolte aria, luce e veduta in appiombo ai condomini dei piani superiori ( Corte di
Cassazione 25/10/1991, n 11392).
TERRAZZO A LIVELLO
La terrazza a livello è la superficie scoperta alla quale si accede da un solo appartamento, di cui fa
parte integrante. Il proprietario della terrazza può compiervi le opere che ritiene necessarie,
purché rispetti il decoro architettonico dell’edificio e gli eventuali divieti contenuti nel
regolamento; questo, per esempio, se contrattuale, potrebbe prevedere, a carico delle terrazze di
alcuni condomini, e a favore delle terrazze i altri, la servitù di non costruirvi ( Corte di Cassazione
15/7/1971, n 2314).
Danni
La regola è che l’obbligo di risarcire i danni derivanti dalla terrazza a livello gravi sul proprietario,
come nel caso della caduta di un pezzo d’intonaco (Corte di Cassazione 18/11/1992, n 12317). Se
però i danni sono provocati, per esempio, dalla caduta di un elemento decorativo della terrazza
destinato ad abbellimento della facciata nel suo insieme, e quindi riguardabile come condominiale, il
risarcimento va suddiviso fra tutti i condomini in proporzione ai millesimi di proprietà. Se la
terrazza a livello funge da copertura alle sottostanti unità immobiliari, del risarcimento dei danni
derivanti, per esempio, da infiltrazioni di acqua, rispondono tutti i condomini, seguendo lo stesso
criterio previsto per il
>>Lastrico solare di uso esclusivo, al quale la terrazza è assimilata (Corte di
Cassazione 17/10/2001, n 12682).
Differenza dal lastrico solare
La funzione di copertura esercitata dalla terrazza a livello nei confronti delle sottostanti unità
immobiliari è, rispetto all’analoga funzione svolta dal lastrico solare, meramente sussidiaria e non
essenziale, prevalendo nella terrazza (Corte di Cassazione 28/4/1986, n 2924). Ciò non esclude
che la funzione di lastrico solare possa essere assolta da una terrazza a livello, quando questa
manifesti la funzione prevalente di copertura dei piani sottostanti (Corte di Cassazione
16/5/1963, n 1224).
Sopraelevazione
Al proprietario della terrazza a livello spetta il diritto di sopraelevazione poiché essa, anche se di
proprietà esclusiva, è equiparata al lastrico solare (Corte di Cassazione 19/7/1999, n 7678).
Spese
170
I rivestimenti esterni dei muretti di recinzione delle terrazze a livello e delle balconate di
proprietà esclusiva sono elemento costituenti parte integrante della facciata, e quindi oggetto di
proprietà comune; di conseguenza alla relativa spesa devono contribuire tutti i condomini e non
soltanto i proprietari esclusivi (Corte di Cassazione 18/3/1989, n 1361).
TETTO
Danni
Alla spesa occorrente alle riparazioni conseguenti ai danni da infiltrazioni di acqua provenienti dal
tetto devono contribuire, in proporzione ai millesimi di proprietà, salvo diverso accordo ( Primo
comma articolo 1123 codice civile), tutti i condomini anche quello che ha subito il danno, per essere
ad un tempo danneggiato e danneggiante. Il risarcimento, pertanto, sarà ridotto della quota a lui
dovuta.
Incorporazione
Un condomino non può incorporare il tetto nella sua proprietà esclusiva; questa innovazione, infatti,
è vietata dall’articolo 1102 codice civile. È necessaria quindi un’autorizzazione da parte di tutti i
condomini (Corte di Cassazione 27/7/1984, n 4449).
Mansarda
Il proprietario del sottotetto può sostituire al tetto una mansarda, a condizione che sia
salvaguardata, mediante opere adeguate, la finzione di protezione e copertura delle sottostanti
strutture svolta dal tetto preesistente (Corte di Cassazione 3/8/2012, n 14107); inoltre non si
deve alterare l’aspetto architettonico dell’edificio, né ledere altrimenti il diritto degli altri
condomini. In ogni caso il condomino deve dare preventiva comunicazione all’amministratore,
specificando i dettagli dell’intervento e le modalità di esecuzione. L’amministratore, a sua volta, ne
riferisce all’assemblea (Secondo comma articolo 1122 codice civile). Lo stesso dicasi se si tratta di
aprire un >>Abbaino. E’ comunque opportuno, a evitare possibili contestazioni sotto il profilo
dell’alterazione dell’aspetto architettonico dell’edificio, acquisire il consenso di tutti gli altri
condomini, tanto più che potrebbe essere richiesto dal Comune come condizione per il rilascio del
permesso per costruire.
Modifiche
Il condomino non può alterare il tetto a proprio ed esclusivo uso e vantaggio, se la modifica è tale
da impedire anche a uno solo degli altri condomini di utilizzare questa parte comune dell’edificio.
Dunque si può pretendere la riduzione in pristino (Corte di Cassazione 13/11/1997, n 11227).
Spesa
La spesa richiesta dalla manutenzione del tetto dev’essere ripartita fra i condomini serviti da
questa struttura, in proporzione ai millesimi di proprietà salvo diverso accordo (Corte di Cassazione
29/4/1993, n 5064). In caso di
>>Supercondominio,
se, per le caratteristiche strutturali e
funzionali di uno dei corpi di fabbrica (Magari perché vi è installata la centrale termica), risulta che
tutti i condomini sono interessati alla riparazione del relativo tetto, alla spesa devono contribuire
tutti, e non solo i condomini di questo edificio (App. Milano 17/1/1992). Può accadere che il
costruttore-venditore delle singole unità immobiliari si sia riservato la proprietà esclusiva del
tetto. Nel qual caso le spese di manutenzione sono a suo esclusivo carico solo se vi sia stata una
specifica ed espressa pattuizione in tal senso (Corte di Cassazione 9/6/1961, n 1338), altrimenti
troverà applicazione il criterio dettato dall’articolo 1126 codice civile per il lastrico solare di uso
171
esclusivo; un terzo a carico del proprietario esclusivo del tetto e i restanti due terzi a carico dei
condomini alle cui unità immobiliari il tetto serve da copertura, in proporzione ai millesimi di
proprietà (Corte di Cassazione 30/1/1985, n 532).
Coibentazione
La coibentazione del tetto può essere considerata intervento su parte comune dell’ edificio volta al
contenimento del consumo energetico, anche se ad avvantaggiarsene è soprattutto il proprietario
del sottotetto. Di conseguenza, la relativa spesa può essere deliberata dall’assemblea, come
previsto dal secondo comma dell’articolo 26 della L. 9/1/1991, n 10, con il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 334/1.000. La spesa va suddivisa in
proporzione ai millesimi di proprietà. Se però l’edificio ha più tetti, alla spesa devono concorrere i
soli condomini che traggono utilità dal tetto interessato all’intervento.
Trasformazione in terrazza
Il proprietario dell’ultimo piano non può sostituire il tetto con una terrazza da annettere al proprio
appartamento. Questi tipo d’intervento, infatti, non rientra nel più ampio diritto di sopraelevazione
spettante al proprietario dell’ultimo piano, ma costituisce un’alternativa della destinazione della
cosa comune (Corte di Cassazione 28/1/2005, n 1737); per la realizzazione occorre quindi il
consenso di tutti gli altri condomini, non potendo l’assemblea decidere a maggioranza, pena nullità
della relativa delibera (Corte di Cassazione 26/10/1994, n 8777). In precedenza la Suprema Corte
(Sentenza n 146 del 9/1/1993) aveva considerato la realizzazione di una terrazza con una
mansarda o sottotetto praticabile a uso esclusivo del proprietario del piano adiacente in
sostituzione del tetto preesistente, compresa nel diritto di sopraelevazione.
Tubo
Un condomino può sistemare sul tetto condominiale un tubo dell’acqua potabile, a condizione di non
menomare in funzione di questa parte comune dell’edificio (Corte di Cassazione 9/6/1975, n 2293 ).
TETTOIA
Il condomino può innestare una tettoia nel muro comune, a condizione che le sue dimensioni non
siano tali da impedire agli altri condomini di fare pari uso di questa parte comune, e che non venga
alterato il decoro architettonico dell’edificio (Tribunale di Milano 31/10/1991). La tettoia, inoltre,
non potrebbe essere costruita in modo tale da comportare la chiusura delle aperture
legittimamente praticate nel muro da un altro condomino per dare aria e luce a un vano di sua
proprietà (Corte di Cassazione 6/4/1981, n 1941), né per coprire un’area di proprietà del
condominio ma estranea al condominio (Corte di Cassazione 24/11/2003, n 17868). La misurazione
della distanza legale va effettuata assumendo come punto di riferimento la linea esterna della
parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate del
manufatto (Corte di Cassazione ordinanza 2/10/2012, n 16776).
TUBATURA
L’assemblea non può, a maggioranza, deliberare l’installazione di una tubatura condominiale nel
locale di proprietà di un condomino; questo tipo d’intervento, infatti, può essere attuato solo con il
consenso del proprietario del locale, poiché l’assemblea non può invadere la sfera di proprietà dei
singoli condomini: né in ordine delle cose comuni né in ordine a quelle di esclusiva proprietà (Corte di
Cassazione 27/8/1991, n 9157). Se la tubatura avvantaggia anche il proprietario del locale, il
172
consenso può essere espresso verbalmente, trattandosi di opera di uso e godimento comune. In
caso contrario si viene a creare una servitù di conduttura a carico del locale, per cui la costituzione
occorre la forma scritta, cui deve seguire la trascrizione presso l’Agenzia del territorio se la si
vuole rendere opponibile a terzi (Corte di Cassazione 12/2/1988, n 1523).
Allaccio
Il collegamento, effettuato da un condomino, di un tubo di scarico della propria unità immobiliare a
una tubazione preesistente esterna al muro perimetrale, non costituisce innovazione ma utilizzo di
un bene comune, pienamente legittimo ai sensi dell’articolo 1102 codice civile Tribunale di Aosta 12
/7/2010, n 354). Danni. Il condomino che subisca un danno dall’occlusione di un tubo di scarico
condominiale non può chiedere il risarcimento direttamente ai soggetti che fruiscono dell’impianto,
ma deve attivarsi nei confronti del condominio, in persona dell’amministratore, trattandosi di
questione attinente all’uso di un bene comune (Corte di Cassazione 16/5/1973, n 1404).
Guasto
Se si guasta un tubo in un appartamento, il costo della riparazione fa carico al proprietario. Se però
si tratta di una tubatura comune che attraversa l’appartamento senza servirlo, la spesa fa carico al
condominio. In particolare, se il guasto si verifica in corrispondenza del raccordo che serve ad
innestare la tubatura proveniente dall’appartamento su quella condominiale, la riparazione grava sul
condomino, essendo il raccordo compreso nella parte d’impianto di proprietà esclusiva (Corte di
Cassazione 14/6/2012, n 9765).
Locazione
Il conduttore che subisce un danno in seguito alla rottura di una tubatura condominiale non può
chiamare in causa il condomino-locatore ma deve citare il condominio in persona dell’amministratore,
trattandosi di molestia di fatto per il quale egli ha azione diretta nei confronti del danneggiante, e
non di molestia di diritto, per la quale il locatore sarebbe invece tenuto a garantire il conduttore
nei confronti del terzo che gli dovesse arrecare molestia (Corte di Cassazione 22/7/1971, n
2410).
Modifica
Il proprietario può modificare le tubature interne all’appartamento, avendo il Tribunale di Roma
(Sentenza del 17/3/1988) stabilito che l’impianto idrico, indipendentemente dal modo in cui è
strutturato, è condominiale fino all’ ingresso nelle singole unità immobiliari. L’intervento, però, non
può comportare un pregiudizio per gli altri condomini.
LETTERA
U
URGENZA
Anche nella vita condominiale possono verificarsi delle situazioni che richiedono l’emanazione di un
provvedimento d’urgenza da parte del giudice, in modo da salvaguardi temporaneamente gli interessi
di chi chiede giustizia, salvo poi attendere i normali tempi processuali per la decisione definitiva: si
tratta di allontanare dall’edificio un animale pericoloso, di essere autorizzato ad avviare il
riscaldamento nell’inerzia dell’amministratore o di porre fine a intollerabili immissioni rumorose. Le
situazioni portate all’attenzione dei giudici sono state evidenziare in corrispondenza delle singole
voci. La possibilità di adire il giudice in via d’urgenza è prevista dall’articolo 700 codice penale, in
favore di chi abbia “fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente a far valere il suo
diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile“. Affinché
173
il giudice possa emettere un provvedimento d’urgenza devono coesistere due presupposti: il fumus
boni iuris, ossia il probabile fondamento della richiesta di sospensione (Lett. Fumo di buon diritto),
e il periculum in mora (Pericolo nel ritardo), vale a dire la possibilità che da un ritardo nell’azione
del provvedimento di sospensione possano derivare dei danni al richiedente o ad altri.
USO DELLE PARTI COMUNI
Il galateo della vita condominiale è scolpito dall’articolo 1102 del codice civile: “Ciascun
partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non
impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto“. La legge, quindi,
dà grande libertà ai condomini, ma nelo stesso tempo pone due limiti invalicabili ai loro
comportamenti: non si possono compiere atti incompatibili con la normale destinazione delle parti
comuni, né atti che rendano agli altri condomini più gravoso o addirittura impossibile l’uso di esse.
La nozione di “Pari uso“ della cosa comune cui fa riferimento la norma non va intesa nel senso di uso
identico e contemporaneo; ciascun condomino, infatti, ha la facoltà di trarre dalle parti comuni la
più intensa utilizzazione possibile, a condizione che questo comportamento sia compatibile con i
diriti degli altri. L’utilizzazione della cosa comune, quindi, può aver luogo non solo secondo la sua
destinazione normale, ma anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri
condomini, senza, però, alterare il rapporto di equilibrio fra le utilizzazioni concorrenti, attuali e
potenziali, degli altri comproprietari. In pratica non ci devono essere pregiudizio veli invadenze
nell’ambito dei diritti altrui, quali asservimenti, immissioni e molestie (Corte di Cassazione 13/12/
1979, n 6502). A maggior ragione l’uso della cosa comune da parte del singolo condomino non può
estendersi alla sua occupazione permanente, cosi da portare all’usucapione della stessa (Corte di
Cassazione 5/2/1982, n 663), nè può portare all’invasione della proprietà esclusiva di un altro
condomino, come nel caso di una tubatura collocata da un condomino e attraversante, oltre ad una
parte comune dell’edificio, anche parte della cantina di un altro proprietario ( Corte di Cassazione
13/3/1982, n 1624). Limiti particolari o più severi possono essere imposti dal regolamento, a
condizione, però, che sia contrattuale.
Assemblea
L’assemblea può limitare il godimento, da parte di uno o più condomini, delle parti comuni
dell’edificio o di quelle dell’esclusiva proprietà, solo a condizione che la relativa delibera venga
adottata da tutti i partecipanti al condominio, primo fra tutti quello che deve subire la limitazione
(Corte di Cassazione 27/6/1987, n 5709). L’assemblea, infatti, non può decidere, a semplice
maggioranza, d’invadere la sfera delle proprietà singole, né privare, in tutto o in parte, i condomini
del loro diritto di usare e godere dei servizi comuni o delle porzioni di piano di loro esclusiva
proprietà.
Cessione
Un condonino può cedere ad altri il diritto di godimento delle parti comuni dell’edificio, solo a
condizione di trasferirgli l’unità immobiliare da esse servita (Corte di Cassazione 19/11/1962, n
3146).
Esclusivo
E’ vietato ogni atto o comportamento finalizzato ad attrarre la cosa comune nella propria
disponibilità, impedendone quindi l’uso collettivo. Il condomino cui gli altri abbiano conferito l’uso
esclusivi della cosa comune non ne diventa proprietario, a meno che non ponga in esame atti idonei a
174
mutare il tutolo del possesso (Corte di Cassazione 22/6/1978, n 3091), cui deve accompagnarsi il
decorso del tempo utile a far scattare l’usucapione (20 anni).
Indiretto
Se non è possibile l’uso diretto della cosa comune da parte di tutti i condomini, neppure stabilendo
dei turni, l’assemblea può, con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in
rappresentanza d almeno 500/1.000, deliberare l’uso indiretto: per esempio dandola locazione
(Tribunale di Napoli, 27/11/2002). I proventi vanno ripartiti fra tutti i condomini in proporzione ai
millesimi di ciascuno.
Intensivo
L’obbligo di concorrere alle spese comuni in proporzione ai millesimi di proprietà prescinde dall’uso
effettivo che il condomino faccia delle parti e dei servizi comuni dell’edificio, dovendosi far
riferimento all’uso potenziale. Di conseguenza deve pagare anche il condomino che tiene l’unità
immobiliare chiusa, a meno che non sia stato esonerato dal contribuire alla spesa da tutti gli altri
condomini. Al contrario, chi usa più intensamente il bene, non può per questo essere chiamato a una
maggior contribuzione; l’intensità dell’uso non deve però essere tale da annullare il pari diritto degli
altri condomini.
Locazione
In caso di locazione il diritto di usare le parti comuni, con i limiti e le facoltà previsti dalla legge o
dal regolamento condominiale, spetta a conduttore, che al pari degli altri partecipanti alla
comunione può apportarvi le modifiche necessarie per migliorarne il godimento. Se un conduttore
eccede nell’uso delle parti comuni dell’edificio, il condominio può agire, per far cessare l’abuso, sia
nei confronti dello stesso conduttore che nei confronti del condomino-locatore ( Tribunale di
Milano 8/6/1992). Particolare. Ciascun condomino può usare la cosa comune in modo particolare e
diverso da quello praticato dagli altri condomini, a patto che tale utilizzazione rientri fra le
destinazioni normali della cosa comune e non alteri od ostacoli l’utilizzo da parte degli altri
condomini (Corte di Cassazione 6/12/1979, n 6338).
Regolamento
Le clausole del regolamento che limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni, e
quelle che attribuirono ad alcuni di essi maggiori diritti rispetto agli altri, hanno natura
contrattuale e sono pertanto modificabili solo con il consenso di tutti i partecipanti al condominio,
consenso che dev’essere manifestato in forma scritta (Corte di Cassazione 18/4/2002, n 5626). I
regolamento contrattuale può anche attribuire a uno o più condomini l’uso esclusivo di determinate
parti comuni dell’edificio (Corte di Cassazione 27/6/1978, n 3169). Se invece le clausole del
regolamento che disciplinano l’uso delle cose comuni non sono contrattuali, possono essere
modificate con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, in
rappresentanza di almeno 500/1.000, Corte di Cassazione 6/2/1999, n 1057).
Turnario
L’assemblea, se una parte comune non è utilizzabile contemporaneamente da tutti i condomini, può
stabilire dei turni: classico esempio di parcheggio, se lo spazio è insufficiente ad accogliere tutte le
auto dei condomini. La delibera può essere adottata con il voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Corte di Cassazione 16/6/2005,
n 12873). Non è detto che la durata dei turni debba essere necessariamente rapportata ai millesimi
175
di proprietà, l’importante è che nessuno venga escluso, neppure se titolare di una quota millesimale
minima (Tribunale di Genova 10/10/1992).
Vietato
Non ci si può servire di una parte comune, per esempio: un viale, per accedere ad un immobile
estraneo al condominio, perché così facendo si verrebbe a costituire una servitù di passaggio a
carico dell’edificio condominiale (Corte di Cassazione 22/3/1975, n 1091). A proposito di viale, non
si può parcheggiare l’auto se ciò rende meno agevoli le manovre di entrata e di uscita dai garage
(Corte di Cassazione 24/8/2012, n 14633 ). >>Parti comuni dell’edificio, Modifiche.
USO DELLE PROPRIETA’ ESCLUSIVE
Il divieto di adibire ad unità immobiliari situate nell’edificio condominiali allo svolgimento di
determinate attività deve risultare da un regolamento contrattuale. In ogni caso le restrizioni alle
facoltà inerenti alla proprietà esclusiva devono essere formulate in modo espresso o comunque non
equivoco, in modo da non lasciare alcun margine d’incertezza sul contenuto e sulla portata delle
relative disposizioni (Corte di Cassazione 20/7/2009, n 16832). Riportiamo alcune situazioni in cui
i giudici hanno, a seconda dei casi, considerato legittime o vietate le varie attività. Se lo statuto
vieta di destinare le unità immobiliari a “sede di circolo e simili“, queste non possono neppure essere
adibite a bar, perché gli inconvenienti sono i medesimi (Tribunale di Milano 6/7/1992). Lo stesso
Tribunale di Milano (Sentenza del 20/2/1992), in presenza di un’autorizzazione dell’ assemblea a
destinare un locale a gelateria, ha ritenuto legittima l’estensione alla somministrazione di caffè e
bevande alcoliche, nonostante una clausola del regolamento non consentisse l’esercizio di attività
quali “mescita di vino, bar e simili“. La Corte d’appello di Perugia (Sentenza dell’8/3/1996) ha
ritenuto legittima l’apertura di una macelleria e di un laboratorio artigianale, anche se lo statuto
non consentiva la destinazione delle unità immobiliari ad uso industriale o di attività rumorose
(Caratteristiche che i giudici non hanno riscontrato nelle suddette attività). Se il regolamento
consente che gli appartamenti vengano adibiti allo svolgimento di attività professionali, vi può
operare uno stilista di moda, a condizione che si tratti di attività meramente intellettuale e non
anche commerciale (Tribunale di Milano 20/3/1989). Il Tribunale di Roma (Sentenza del
29/3/1973), in presenza di una clausola che vietava “attività che comportino rumori molesti “, ha
considerato legittima l’utilizzazione ad ufficio, poiché questo era riservato agli impiegati e non al
pubblico. La corte di cassazione (Sentenza n. 397 del 23/1/1989) ha stabilito, invece, che non può
essere adibito a discoteca un locale riservato a magazzino. Con la sentenza n. 5393 del 2/6/1999,
inoltre, ha vietato l’apertura di un supermercato in un complesso residenziale ubicato in una località
marina, in quanto il regolamento escludeva “Qualsiasi uso incompatibile con l’igiene, il decoro e la
quiete“. Al contrario, il tribunale di Milano (Sentenza del 26/3/1992), ha ritenuto legittima
l’apertura di uno studio dentistico, anche se il regolamento vietava di destinare gli appartamenti a
“gabinetti operatori o per la cura delle malattie infettive“, mentre il Tribunale di Napoli
(Sentenza del 30/12/1997) ha considerato legittimo l’avvio di uno studio medico in presenza di una
clausola che proibiva di adibire le unità immobiliari a “Gabinetto per cura di malattie infettive e
contagiose“, avendo ritenuto che la mera occasionanità con la quale venivano prestate le cure da
parte del medico di base escludeva la violazione della norma. Se l’uso contrario al regolamento dura
da più di 20 anni, il diritto del condominio a far rispettare la clausola deve considerarsi prescritto
(Corte di Cassazione 18/9/2000, n 12282).
176
Locazione
Se il conduttore adibisce l’immobile ad uso vietato dal regolamento, il condominio può agire,
indifferentemente, nei suoi confronti o nei confronti del condomino-locatore (Corte di Cassazione
6/4/1991, n 3600); questi, infatti, è tenuto non solo ad imporre contrattualmente al conduttore il
rispetto degli obblighi e dei divieti previsto dal regolamento, ma anche a prevenirne le violazioni,
sanzionandole, se del caso, con la cessazione del rapporto locatizio (Corte di Cassazione
29/9/1997, n 8239). E’ fatto salvo il diritto del condominio di esigere il risarcimento dei danni. Se
poi il condomino-locatore, nonostante il regolamento glielo impedisse, aveva autorizzato il
conduttore all’uso vietato, questo può chiedergli i danni qualora il condominio lo costringa a
sospenderlo (Corte di Cassazione 13/12/2001, n 15756).
Opere
Il condomino può eseguire nel piano o nella porzione di piano di proprietà esclusiva, o nelle parti
normalmente destinare all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate
all’uso individuale, opere finalizzate a favorirne una destinazione d’uso piuttosto che un’altra, a
condizione che un regolamento contrattuale non contenga limiti in tal senso (Corte di Cassazione
22/1/1985, n 256). Si deve poi trattare di opere che non rechino danno alle parti comuni, né
determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. In
ogni caso il condomino ne deve essere data preventiva notizia all’amministratore, specificando i
dettagli dell’intervento e le modalità di esecuzione. L’amministratore, a sua volta, ne riferisce
all’assemblea (Secondo comma articolo 1122 codice civile).
Regolamento
Per assicurare un miglior godimento dell’edificio nell’interesse comune, il regolamento può
contenere limitazioni, più severe di quelle previste dalla legge, all’uso che i condomini possono fare
delle rispettive unità immobiliari. Le relative clausole, però, devono essere chiaramente enunciate e
approvate da tutti i condomini o da quelli le cui unità immobiliari vengano gravate dal divieto (Corte
di Cassazione 30/7/1990, n 7654). L’approvazione può avvenire sia attraverso l’accettazione del
regolamento predisposto all’originario, unico proprietario dell’edificio / Generalmente si tratta del
costruttore), sia attraverso il consenso manifestato in senso all’assemblea nel caso di regolamento
approvato in questa sede (Corte di Cassazione 19/10/1998, n 10335). I limiti introdotti dal
regolamento hanno carattere tassativo e non sono pertanto suscettibili d’interpretazione estensiva,
né di applicazione per analogia (Tribunale di Milano 21/11/1991). Il condominio, se non viene
rispettato il regolamento che pone un limite alla destinazione d’uso delle proprietà immobiliari
esclusive (Corte di Cassazione 6/12/1984, n 6397) e il risarcimento degli eventuali danni.
USUCAPIONE
E’ un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, ossia che prescinde da un legame diretto
fra il vecchio e il nuovo proprietario, con il diritto che nasce direttamente in capo al nuovo titolare.
L’usucapione (Articolo 1158 e segg. Codice civile) ha lo scopo di conferire certezza ai rapporti
giuridici attraverso la preferenza accordata a chi, pur non essendo proprietario di un bene, si cura
di esso traendone i relativi benefici (Spesso con riflessi positivi anche sulla collettività), rispetto a
chi, ancorché proprietario, trascura di servirsene. Requisiti dell’usucapione sono: il possesso del
bene (Si deve trattare di possesso non violento né clandestino, o se, violento o clandestino, la
violenza o la clandestinità devono essere cessate); occorre poi che il possesso si protragga per il
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previsto periodo di tempo, variabile a seconda delle circostanze (Per esempio 20 anni per gli
immobili il cui possesso sia stato acquistato in malafede, 10 se il possesso di questi beni è
stato acquistato in buona fede e in base ad un titolo astrattamente idoneo a trasferirne la
proprietà e trascritto nei registri immobiliari), senza subire interruzioni superiori ad un anno. E’
necessario infine che il bene sia suscettibile di usucapione: non sono tali, per esempio, i beni
demaniali. Affinché, però, il possesso si trasformi in proprietà giuridicamente riconosciuta, occorre
una sentenza del giudice, ottenibile provando il concorso di queste circostanze. Il condomino, per
poter acquistare per usucapione la proprietà di una parte comune dell’edificio, deve provare di aver
tenuto, per il periodo occorrente a far maturare il diritto ( 20 anni), una condotta diretta a rilevare
in modo non equivoco agli altri condomini l’intenzione di comportarsi nei confronti della cosa comune
non come semplice comproprietario di essa ma come proprietario esclusivo ( Corte di Cassazione 2/
3/1998, n 2261), non essendo sufficiente che gli altri condomini si siano astenuti dal goderne
(Corte di Cassazione 2/3/1998, n 2261): così, non basta aver utilizzato il lastrico solare
condominiale come se fosse proprio, mentre gli altri condomini non si curavano di usarlo, come
occorre, per esempio, averne bloccato l’accesso con una porta chiusa a chiave, facendo così
chiaramente intendere l’intenzione di appropriarsi dello spazio comune. Non è neppure idoneo a far
scattare l’usucapione l’uso particolarmente intenso della cosa comune, come nel caso del condomino
che porti luce e acqua sul terrazzo condominiale, con allacciamento delle proprie utenze (Corte di
Cassazione 25/5/1984, n 3236), o, essendo proprietario delle unità immobiliari ubicate a piano
terra, usi più intensamente il vano d’ingresso (Corte di Cassazione 4/5/2012, n 6775). E’ possibile
evitare l’usucapione notificando al condomino, prima che maturi il termine di legge, un atto di
citazione o quanto meno un atto di costituzione in mora, come previsto dal quarto comma
dell’articolo 2943 codice civile.
USUFRUTTUARIO
L’usufrutto (Articolo 978 e segg. Codice civile) è il diritto, riconosciuto ad un soggetto
(Usufruttuario), di godere gratuitamente di un bene appartenente ad altro soggetto >>(Nudo
proprietario), vita natural durante o per un certo periodo di tempo, usando la diligenza del buon
padre di famiglia (Ossia la diligenza dell’uomo medio), e di ricavarne le relative utilità, con l’obbligo
di rispettarne la destinazione economica, ossia di non orientarlo a scopi diversi da quelli cui è
destinato; così, se l’usufrutto ha per oggetto un’abitazione, l’usufruttuario non può trasformarlo in
ufficio. La posizione dell’usufruttuario di un’unità immobiliare ubicata in un edificio condominiale
rileva sotto due profili: quello della contribuzione alle
>>Spese
comuni (Usufrutto) e quello della
convocazione per l’assemblea (>>Convocazione dell’assemblea, Usufruttuario).
LETTERA
VERANDA
178
V
-
Z
Il divieto di trasformare un balcone in veranda può essere imposto solo da un regolamento
contrattuale (Corte di Cassazione 21/5/1987, n 4632); nel qual vaso per la realizzazione è
necessaria l’unanimità. Comunque, anche se il regolamento tace sul punto, è consigliabile acquisire
l’autorizzazione dell’assemblea e assicurarsi, in particolare, che abbiano votato a favore – e che la
circostanza risulti dal verbale – i condomini cui l’iniziativa potrebbe arrecare particolare danno, per
esempio perché, prolungando la soletta del balcone sul quale appoggia la veranda, la chiusura
toglierebbe aria e luce al sottostante appartamento, ubicato magari sotto il livello stradale (Corte
di Cassazione 14/12/1994, n 10704). In ogni caso ne deve dare preventiva notizia
all’amministratore, specificando i dettagli dell’intervento e le modalità di esecuzione.
L’amministratore, a sua volta, ne riferisce all’assemblea (Secondo comma articolo 1122 codice
civile). Dal punto di vista dei condomini memo direttamente interessati alle conseguenze
dell’intervento, invece, la trasformazione del balcone in veranda potrebbe essere contestata sotto
il profilo igienico (Corte di Cassazione 7/7/1976 n 2543), del pregiudizio per la stabilità o il decoro
architettonico dell’edificio, o della limitazione della circolazione di aria per scale e pianerottoli
(Tribunale di Milano 26/6/1989). Se poi la veranda è realizzata all’ultimo piano ed è quindi
riguardabile come >>Sopraelevazione, si pone l’esigenza di rispettare la relativa normativa, anche in
relazione al maggiore o minore visibilità dell’opera dall’esterno (Corte di Cassazione 27/4/1989, n
1947).
Distanza legale
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17317, ha precisato che il condomino che abbia
trasformato il proprio balcone in veranda, elevandola sino alla soglia del balcone sovrastante, è
soggetto alla normativa sulle distanze di cui all’articolo 907 codice civile quando la costruzione
insista su altra area dei terrazzi non ricadente in quella del sovrastante balcone, mentre non è
tenuto ad analogo rispetto qualora la veranda insista esattamente nell’area del balcone senza
debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e in appiombo del
proprietario sovrastante.
Giardino
A mano che un titolo non disponga altrimenti, il diritto di godere in via esclusiva del giardino comune
non abilita il condomino a compiervi opere di trasformazione (Qual è appunto la sua copertura con
veranda) che si traducono in un pregiudizio delle utilità che esso è destinato ad apportare alle altre
porzioni del fabbricato in termini di aereazione, amenità, vedute, ecc. ( Corte di Cassazione
27/7/1984, n 4451).
Riscaldamento
Alla trasformazione del balcone in veranda segue pressoché inevitabilmente il problema di spostare
o sostituire i radiatori con altri dotati di maggiore superficie radiante. In tal caso, e sempre che
l’innovazione non incida sul rendimento dell’impianto condominiale (Circostanza che può essere
verificata attraverso un accertamento tecnico), prima d’intraprendere i lavori, si deve preavvisare
l’amministratore, consegnandoli copia del progetto tecnico e dichiarandogli la disponibilità a farsi
carico della maggiore spesa per il riscaldamento.
VERBALE DI ASSEMBLEA
Il verbale di assemblea è un documento fondamentale per risolvere molte controversie che possono
accendersi all’interno del condominio; in caso d’impugnazione di una delibera, è ad esso che bisogna
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rifarsi per accertare, per esempio, se la decisione è stata adottata con la prevista maggioranza, o
se vi era il numero legale affinché l’assemblea potesse considerarsi validamente costituita.
Contenuto
Il verbale deve registrare, il più fedelmente possibile, le operazioni che si svolgono durante i lavori
dell’assemblea. In particolare, per ciascuna delibera devono essere indicati con precisione i
nominativi dei condomini che hanno votato a favore di quelli che hanno votato contro, con i rispettivi
millesimi (Per completezza è opportuno indicare anche gli astenuti). Questi elementi sono
indispensabili sia per individuare i condomini legittimati all’impugnazione del provvedimento (Come
gli assenti o i dissenzienti), sia per accertare l’esistenza di eventuali situazioni di conflitto
d’interessi che possono incidere sulla maggioranza ai fini della validità della delibera (Corte di
Cassazione 29/1/1999, n 810). La delibera adottata senza che nel verbale siano stati indicati
questi elementi è invalidata, né può essere attribuita efficacia sanante alla mancata contestazione,
in sede di assemblea, dell’esistenza del quorum da parte del condomino disemnziemte, poiché questi
non ha alcun obbligo di eccepire la circostanza pena decadenza (Corte di Cassazione 22/1/2000, n
697). Non è, invece, indispensabile indicare ora e luogo di convocazione (Tribunale di Trani 29/
11/1984), anche se è consigliabile farlo per evitare discussioni. L’erronea indicazione a verbale
della presenza di un condomino (E relativi millesimi) che sia invece assente non rende invalida la
delibera se, detraendo questa presenza fittizia, non vengono meno né il quorum costitutivo, né
quello deliberativo (Tribunale di Milano 19/10/2004, n 11896). Il verbale va compilato anche se
l’assemblea non ha adottato alcuna delibera, per consentire a tutti i condomini, compresi gli
assenti e i dissenzienti, di controllare lo svolgimento dei lavori e prendere le opportune iniziative
(Corte di Cassazione 22/5/1999, n 5014). La stesura del verbale non è invece obbligatoria se la
prima convocazione è andata deserta (Corte di Cassazione 24/4/1996, n 3862). Il verbale
andrebbe compilato via via che si svolge la seduta, in modo da registrarne l’andamento con la
massima fedeltà. Spesso, però, è redatto dopo che la seduta è stata dichiarata chiusa: il Tribunale
di Palermo (Sentenza del 15/5/1964) lo ha considerato ugualmente valido. Il condomino ha diritto a
che siano messe a verbale sue osservazioni, richieste e dichiarazioni, purché attinenti alla
costituzione dell’assemblea e che le relative delibere (App. di Milano 18/9/1992): non, quindi, se
finalizzate a meno intralcio dei lavori. Egli ha altresì il diritto di farsi rilasciare copia del
verbale, anche se nel corso dell’assemblea non siano state adottare delibere. Il verbale di
assemblea, in quanto atto privato e non pubblico, può ossee redatto in una lingua diversa
dall’italiano, se così stabilisce la maggioranza (Tribunale di Rovereto 25/7/2005, n 2771).
Efficacia probatoria
Il verbale, anche nella parte in cui indica la presenza, di persona o per delega, dei condomini ( Corte
di Cassazione 11/11/1992, n 12119), offre una prova presuntiva dei fatti che afferma esservi
verificati in assemblea, per cui spetta al condomino che impugni la delibera provare la non veridicità
(Corte di Cassazione 13/10/1999, n 11526). Sotto un altro profilo, il verbale contenente
l’indicazione delle spese occorrenti alla conservazione o all’uso delle parti comuni costituisce prova
scritta idonea per la richiesta di un decreto ingiuntivo nei confronti di un condomino moroso, ma se
si vuole ottenere la clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento, è necessario che la
delibera contenga anche lo stato di ripartizione delle spese (Corte di Cassazione 21/11/2000, n
15017).
Firma
180
Il verbale, una volta redatto, dev’essere firmato dal presiedente e dal segretario dell’assemblea. La
Corte d’Appello di Milano (Sentenza del 23/4/1976) ha sancito l’inesistenza delle delibere indicate
in un verbale non firmato dal presidente dell’assemblea. Successivamente, però, la Corte di
Cassazione (Sentenza n. 4615 del 16/7/1980) ha stabilito che la mancanza di sottoscrizione da
parte del presidente rende inopponibili ai condomini che non hanno partecipato all’assemblea le
delibere da questa adottare, ma non impedisce che essi ne abbiano avuta conoscenza in altro modo.
Se poi, attraverso il verbale, si formalizzano particolari accorsi fra i condomini o fra uno o più
condomini da un lato e il condominio dall’altro (Si pensi a una transazione ), e se si vuole che acquisti
l’efficacia probatoria di una scrittura privata, dev’essere firmato da tutti coloro che danno vita
all’accordo (Corte di Cassazione 10/4/1979, n 2071). Invio. Il verbale dev’essere inviato in copia ai
condomini che non erano presenti all’assemblea, neppure per delega. Non c’è un termine entro il
quale l’amministratore è tenuto a curare questo adempimento; al fine, però, di sgomberare quanto
prima il terreno da possibili impugnazioni delle delibere adottare (Quelle annullabili possono esserlo
entro 30 giorni dal ricevimento del documento), è preferibile farvi luogo quanto prima. L’invio del
verbale effettuato con ritardo non è comunque motivo di nullità delle delibere adottate (App.
Milano 22/7/1997). L’amministratore non può limitarsi ad indicare, in calce alla copia del verbale
trasmesso ai condomini assenti, che la maggioranza per la costituzione dell’assemblea non è stata
raggiunta, ma deve indicare in modo preciso e dettagliato gli elementi comprovanti l’esistenza del
vizio denunciato (Corte di Cassazione 19/1/1985, n 140).
Riapertura
Se, dopo che la seduta è stata dichiarata chiusa, e dopo che alcuni condomini si sono allontanati, il
verbale viene riaperto, l’eventuale delibera che dovesse essere adottata senza che si sia fatto
luogo a una nuova convocazione dell’assemblea è nulla (Corte di Cassazione 5/6/1991, n 6366).
VETRINA
E’ possibile installare una vetrina nella parte del muro condominiale che delimita un locale
commerciale di cui si è proprietari, ma, a condizione che, come previsto dall’articolo 1102 codice
civile, non sia alterato la destinazione del muro comune e non s’impedisca agli altri condomini di
farne pari uso secondo il loro diritto (Corte di Cassazione 12/2/1998, n 1499).
VIDEOCITOFONO
L’installazione di un videocitofono può essere deliberata con il voto favorevole della maggioranza
degli intervenuti all’assemblea, in rappresentanza di almeno 500/1.000 (Articolo 1122-ter codice
civile). Se però, considerate le caratteristiche dell’edificio, l’introduzione di questo impianto è
riguardabile come innovazione gravosa o voluttuaria, i condomini devono essere tutti d’accordo;
altrimenti, trattandosi d’impianto suscettibile di utilizzazione separata, l’installazione può avvenite
a cura e spese di alcuni condomini soltanto, con gli altri che potranno, in qualsiasi tempo,
partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo alle spese di esecuzione e di manutenzione
dell’opera opportunamente rivalutate. La prova che si tratti d’innovazione gravosa o voluttuaria è a
carico di chi non intende contribuire alla spesa. Stesse regole per sostituite l’impianto del citofono
con il videocitofono. Quanto ai costi, se si tratta di nuova installazione andrebbero rapportati alla
distanza di ciascun appartamento dalla pulsantiera (Secondo comma articolo 1123 codice civile), e
VIGILANZA
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in ogni caso al numero dei terminali installati in ciascun’unità immobiliare. Se invece si tratta di
riparazione dell’impianto ci si può rifare ai millesimi di proprietà.
ARMATA
Armata.
Al servizio di vigilanza armata, sia pure in presenza di una situazione di estremo disagio
determinata da ripetuti furti, non può essere istituito su iniziativa dell’amministratore, ma è
necessaria una convenzione sottoscritta da tutti i condomini: si tratta, infatti, di un’iniziativa che
esula anche dai poteri dell’assemblea (Corte di Cassazione 20/4/1993, n 4631).
Notturna
L’assemblea può deliberare, limitatamente a determinati periodi dell’anno o giorni della settimana,
un servizio di vigilanza notturna per sopperire all’assenza temporanea del portiere. Trattandosi di
un servizio finalizzato alla conservazione o alla gestione delle cose comuni, può essere attivato con
il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea, in rappresentanza di almeno
500/1.000 (Tribunale di Napoli 21/3/2000).
VIOLENZA
Non è frequente, come testimoniano ricorrenti fatti di cronaca, che gli screzi che caratterizzano la
vita condominiale sfocino in veri e propri reati, quali esercizio arbitrario delle proprie ragioni,
ingiuria, violenza privata, percosse, lesioni personali o addirittura omicidio. Superfluo aggiungere
che è consigliabile astenersi dal tenere comportamenti del genere; sia per evitare le conseguenti
sanzioni penali e di essere chiamati a risarcire il danno, sia per non incorrere in provvedimenti di
altra natura ma non meno pesanti; nei confronti del condomino indagato per lesioni personali e
violenza privata a danno di uno o più vicini, infatti, il giudice può disporre la misura cautelare del
divieto di dimora nell’edificio condominiale (Corte di Cassazione 20/12/2006, n 38101).
ZANZARIERA
Se il regolamento contrattuale stabilisce che l’aspetto esterno dell’edificio non può subire
modifiche, l’assemblea può vietare a un condomino l’installazione sul proprio balcone di una che, per
le sue caratteristiche (Telaio alluminio installato lungo il perimetro esterno del balcone
dell’appartamento), risulti immediatamente visibile dall’esterno e lesiva al decoro architettonico
dell’edificio (Corte di Cassazione 29/4/ 2005, n 8883).
ZERBIN
O
I condomini, a meno che non lo vieti il regolamento o non lo consenta lo stato dei luoghi (Per esempio
perché lo spazio è ristretto), possono collocare sul pianerottolo piante, oggetti ornamentali, tappeti
e zerbini, a condizione di non creare situazioni di pericolo per chi transita lungo le scale, o di non
costringerlo a movimenti disagevoli.
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