SOFIA RAGLIO (4 LICEO MANIN) - Il 7 e l’8 febbraio il Teatro Ponchielli si è riempito più che mai di
un pubblico ancora una volta richiamato da un grande nome del teatro italiano, Michele Placido, attore
protagonista e regista insieme a Francesco Manetti di un, nelle intenzioni, innovativo Re Lear. L’opera,
non tra le più conosciute ma di certo una delle più interessanti della produzione shakespeariana, ruota
attorno alla tematica del contrasto generazionale, con padri che nel cedere ai figli la loro eredità sono
incapaci di farsi da parte e lasciare che, a creare un nuovo ordine, siano le giovani generazioni, per
quanto un po’ superbe. Forse inconsapevolmente, la trama si è dimostrata un’ottima metafora dello
spettacolo e del teatro di Placido. Una seconda parte azzardata, ma di certo più ragionata, si fa largo sul
palco dopo l’intervallo, tentando di emanciparsi da una recitazione melodrammatica e poco credibile.
L’enfasi che tanto trascina il pubblico nella commozione, penalizza un testo dagli spunti più che
interessanti, che si trova relegato a un secondo piano sfumato, in cui nemmeno si distinguono in modo
definito i contorni della vicenda, che risulta in alcuni passaggi poco chiara. Una semantica improntata
ad un’arida e macinata provocazione, non fa che accrescere la sensazione di un’opera un po’ pacchiana,
che non vuole conformarsi alla tradizione, ma nemmeno cedere il passo a un linguaggio innovativo,
risultando nel complesso confusa e di poco gusto. Placido, re capriccioso del palco, costringe attori
talvolta talentuosi dietro maschere superate, di un teatro che punta sulla finzione anziché sulla realtà,
stringendo col pubblico un patto ammiccante, fatto di piccoli coinvolgimenti, portati avanti in modo
discontinuo dai personaggi. Restano alcune scene molto suggestive e argomenti trattati con delicatezza,
oltre che attori carismatici e idee discrete di attualizzazione di tematiche senza tempo, che sono
purtroppo interessanti miniature in una struttura complessivamente poco riuscita. Forse un po’ più di
fiducia negli eredi e una minor ricerca del favore di un pubblico non più al passo coi tempi, legato più
all’abitudine che alla ricerca, avrebbero salvato un’opera con potenzialità dalla tragedia.
BIANCA BOLZONI (5 LICEO ANGUISSOLA) - Cosa succede se prendiamo una delle migliori tragedie
di tutti i tempi e ne affidiamo l'interpretazione ad un attore e regista della scena cinematografica
italiana? Sicuramente un pubblico numeroso , pieno di aspettative che meritano di essere assecondate.
Eppure non sempre determinate scelte , nonostante all'apparenza siano cariche di promesse, portano ad
un completo successo. E' infatti il caso di Re Lear, perla della produzione drammatica di William
Shakespeare , recitato e diretto da Michele Placido e Francesco Manetti in scena al teatro Ponchielli di
Cremona il 7 e 8 febbraio. L'opera si intreccia su piu' vicende sospese in un' epoca destinata a un
doloroso declino: Lear, sovrano della Britannia in balia di un'incontrollabile demenza , decide di
abdicare in favore delle tre figlie, spartendo il proprio regno in base all'amore che le donne dichiarano di
provare nei suoi confronti. Il casus belli della tragedia è scatenato dalla figlia minore che rivela al padre
di non poterlo amare sinceramente, consapevole che i propri sentimenti potrebbero essere contaminati
dall'ambizione e dal potere. Tutto questo darà vita a innumerevoli episodi che, sovrapponendosi in un
giro vizioso, porteranno alla luce i più malvagi istinti della natura umana , come la brama e l'avidità.
Placido mette in scena la tragedia inserendo particolari che richiamano il contesto storico attuale, come
la scenografia, la musica e l'aspetto fisico di alcuni personaggi . Inutile dire come lo spettatore possa
cogliere all'interno di questo riadattamento freschezza e novità in un'opera interpretata ormai dalla
prima metà del '600 ad oggi. Altrettanto, alcune scelte stilistiche effettuate dal regista potrebbero essere
intese come forzate e stucchevoli. L'interpretazione degli attori condita da dialoghi esasperati , i costumi
incoerenti e l'inappropriato coinvolgimento del pubblico in determinati momenti salienti, lasciano un
senso di smarrimento. Come se mancassero gli aspetti caratteristici che rendono eterne le opere di
Shakespeare e che attirano ancora oggi in teatro il pubblico più eterogeneo.
ELENA SARTORI (4 LICEO VIDA) - Sabato 7 e domenica 8 febbraio alle ore 20:30, al Teatro
Amilcare Ponchielli Cremona è stata messa in scena la tragedia Re Lear di William Shakespeare
rivisitata da Michele Placido. I personaggi dell’opera sono Re Lear, interpretato da Michele Placido, il
Conte Gloucester, Edgar, interpretato da Francesco Bonomo, Cordelia, Kent, Edmund, il Conte di
Albany, il Matto, che è interpretato da Brenno Placido, il Duca di Cornovaglia, Gonerill, Regan, il Re di
Francia, il Principe di Borgogna ed Osvald. Il dramma comincia con la decisione di Re Lear di abdicare e
dividere il suo regno fra le tre figlie Gonerill, Regan e Cordelia. Le prime due sono già sposate, mentre
Cordelia, che è la preferita del padre, ha molti pretendenti. In un eccesso di vanità senile, il re propone
una gara: ogni figlia riceverà dei territori in proporzione all’amore verso il padre che saprà dimostrare
con le proprie parole. Ma il piano fallisce; solo dopo aver abdicato, Lear scopre i veri sentimenti di
Gonerill e Regan verso di lui. Nel frattempo, Gonerill e Regan litigano a causa della loro attrazione per
Edmund, e sono costrette ad affrontare un esercito francese, guidato da Cornelia, che vuole ricollocare
sul trono Lear. La vicenda secondaria coinvolge il Conte Gloucester e i suoi figli, Edgar ed Edmund.
Edmund inventa racconti calunniosi sul fratellastro legittimo Edgar, il quale è costretto all’esilio e a
fingersi pazzo, finché trova il conte ormai cieco e abbandonato nella tempesta e lo salva. Ma una tragica
fine sarà la sorte di tutti i personaggi. Questa rappresentazione ha come tema principale i sentimenti
più forti dell’esistenza umana: l’amore e il dolore, il potere e la perdita, il bene ed il male; racconta la
fine di un mondo, il crollo di tutte le certezze di un’epoca, lo sgomento dell’essere umano di fronte
all’imperscrutabilità delle leggi. Il pubblico sembra aver apprezzato questa rappresentazione soprattutto
per la partecipazione di Michele Placido: numerosi gli applausi mentre gli attori recitavano. Erano
presenti molte scene forti, anche per l’aspetto linguistico. La scenografia era formata da vari elementi
architettonici che simboleggiavano l’essere dell’uomo, storie di civiltà che si credono eterne, ma che
fondano il loro potere su resti di altri poteri, in un continuo susseguirsi di catastrofi e ricostruzioni.
ELISA ANGLOIS (1 LICEO SCIENTIFICO) - È difficile riuscire a criticare uno spettacolo così
complesso e meraviglioso come quello messo in scena sabato 7 e domenica 8 febbraio; si rischia di
andare a sminuire quello che è lo spettacolo e l’ammirazione del pubblico. Gli spettatori, compresi gli
adolescenti, sono rimasti pietrificati davanti alla rappresentazione teatrale di Michele Placido e della
sua compagnia. Gli attori si sono immedesimati completamente nei loro ruoli, senza sminuire l’opera di
Shakespeare, trasformando la semplice scenografia, invariata durante il corso dello spettacolo, in tanti
luoghi diversi. La trama complessa non è stata semplificata, ma resa più piacevole e coinvolgente.
Michele Placido e gli altri attori hanno messo a confronto tutti gli aspetti dell’essenza vera e propria
dell’uomo: l’amore smisurato che non ha parole, come quello di Cordelia per il padre, l’odio eccessivo,
come quello di Edmund per il fratellastro e per suo padre; la ricchezza e la perdita di essa, che vediamo
in Re Lear e in Edgard, costretto a trasformarsi in un mendicante per colpa di una delle tante ingiustizie
della vita e altri aspetti ancora che fanno l’uomo, quello con le stesse passioni, emozioni e sentimenti fin
dall’origine. Ogni personaggio ha una propria personalità che emerge nelle diverse situazioni presentate
e gli attori sono stati tutti in grado di donare ai loro ruoli espressività, non solo nel modo di recitare
fisicamente, ma anche con il diverso linguaggio e tono di voce. Le scene e i personaggi dell’opera
shakespeariana sembrano prendere vita sotto gli effetti speciali e le luci dei riflettori. Shakespeare rivive
in spettacoli come questi, dove viene rappresentata la natura dell’uomo, dell’umanità. È proprio questo
il talento di Shakespeare: le sue storie sono eterne, ed è grazie a grandi attori come quelli che si sono
visti questo fine settimana, che le opere del grande scrittore inglese vengono portate avanti e ricordate.
Non ci sono parole per descrivere quanto è stato piacevole e interessante assistere alla rappresentazione
teatrale di Re Lear.
FRANCESCA BALESTRERI (4 LICEO VIDA) - Il 7 e 8 dicembre è andata in scena al Ponchielli, la
shakespiriana vicenda di un vecchio sovrano che decide di abdicare in favore delle tre figlie: Re Lear. Se
all’altisonante nome di Shakespeare si affianca anche quello di Michele Placido, a cui si deve il
riadattamento e, insieme a Francesco Manetti, la regia della pièce, il successo potrebbe sembrare
assicurato ed effettivamente le apparenze non sempre ingannano. Una folta compagnia di attori ruota
su una scena tutta macerie e anacronismi intorno a un sovrano completamente imporporato in un
vivace intreccio di sentimenti, inganni e trasformazioni che sotto le luci cangianti dei riflettori, usati
quasi con virtuosismo, rasentano il limite della magia. I personaggi si muovono nella lunga penombra
gettata dalla diafana figura di re Lear, che si pone come fulcro della tragedia nella sua perdita di senno
dovuta allo scontro con una realtà che non può accettare: la negazione dell’amore filiale di cui un re, un
uomo, un vecchio sente la profonda necessità a sostegno dei suoi anni più fragili, in una regressione che
lo conduce alla follia. Le entrate e le uscite di tutti i personaggi sono difficili da gestire, la vicenda
complessa e poliedrica nel descrivere le sfaccettature dell’amore e del tradimento tra le diverse
generazioni e il lento, travolgente moto ondoso dell’animo umano tra saggezza e follia, impressionante
nelle sue manifestazioni portate sul palco con profondità di analisi e abilità, eppure con un tocco
distante, che tiene a freno un eccessivo coinvolgimento emotivo dello spettatore. La vicenda della
discesa nella follia e del confronto anche violento tra padri e figli, o in questo caso, figlie, ha risvolti
attuali e risoluzioni inaspettate, come evidenziato sul piano visivo anche dal cambio di costumi e dalla
commistione tra moderno e classico. Emblematica è la devozione sincera che la giovane Cordelia tributa
al suo re e padre Lear, che pure l’aveva privata della sua eredità, a vantaggio delle sue sorelle abili con le
parole, ma dal cuore duro e spietato. La tragedia, quest’umana tragedia, scuote ogni fondamento
esistenziale provocando in modo classico e fortemente recitativo lo spettatore affascinandolo col suo
aroma elisabettiano, ma al tempo stesso pungendolo con i suoi spunti di intrinseca realtà.
ILARIA CAUZZI (4 LICEO MANIN) - “Re Lear”, intramontabile successo tragico shakespeariano, è
portato in scena da Michele Placido al teatro Ponchielli le sere di sabato e domenica, davanti ad un
entusiasta e numeroso pubblico carico di aspettative. La scenografia, l’espressività degli attori, il
linguaggio utilizzato, i costumi; tutto ha concorso a rendere il dramma della confusione,
dell’abbandono, della pazzia. L’intero spettacolo si gioca sul crescendo della follia del re. Giunto alla
vecchiaia questi ha bisogno che l’affetto e l’ammirazione delle persone che gli sono care (le tre figlie) gli
venga dimostrato e raccontato, e per riceverlo è disposto a rinunciare al suo potere. Le due maggiori lo
persuadono con lusinghe poco sentite, mentre la terza si rifiuta di dichiarargli un amore assoluto, che
poi non avrebbe potuto mantenere per sempre: preso dalla rabbia ed incapace di vedere le menzogne
delle più grandi, priva della sua eredità Cordelia e la esilia. Da questo momento il suo invecchiare
accelera a grande velocità, Lear viene privato non solo del potere, ma anche dell’amore filiale che gli era
stato promesso e, progressivamente, della sua dignità. Rimane solo con il suo matto ed un fedele
servitore; e così, reietto, abbandonato, confuso e vecchio consuma una follia che viene violentemente
comunicata al pubblico, coinvolto in prima persona. Il cambiamento di scena dato dalla sola variazione
delle luci rendendo il palco un ambiente surreale, i costumi che da tradizionali si trasformano in
moderni simboli di trasgressione, il linguaggio Shakespeariano mischiato a gestualità e parole moderne,
la potenza espressiva delle voci e dei movimenti dei personaggi danno a tutta la rappresentazione
un’espressività volta alla creazione di una forte confusione nella platea. Inchiodati alle poltroncine, gli
spettatori rapiti dall’intreccio e coinvolti nel personale dramma di Lear, hanno seguito incantati questa
storia di cupidigia, amore, odio, gelosia, rabbia, solitudine, lealtà, egoismo e cecità. La disperata ricerca
di affetto ed approvazione di Lear ha coinvolto i pensieri di chiunque abbia assistito allo spettacolo,
lasciando qualcosa su cui ragionare. E “sai perché si piange? Perché nascendo si mette piede su questo
immenso palcoscenico di matti…”
LUCREZIA BARISELLI (3 CLASSICO LICEO VIDA) - Sabato 7 e domenica 8 febbraio al teatro
Ponchielli di Cremona è andato in scena Re Lear di e con Michele Placido. Lear (Michele Placido),
ormai vecchio e stanco decide di lasciare il regno nelle mani delle figlie, dividendolo a seconda di come
esse riportano a parole i loro sentimenti per lui; le prime due lo adulano e dicono solo ciò che conviene,
ma Cordelia (Federica Vincenti), la più giovane, essendo sincera dice ciò che prova, e così viene
diseredata. Contemporaneamente la storia di Edgard (Francesco Bonomo), figlio legittimo del conte di
Gloucester, è vittima di un tranello da parte del fratellastro Edmund (Giulio Forges Davanzati) che tenta
così di appropriarsi del titolo nobiliare, ed è costretto a fuggire e diventare un mendicate sotto mentite
spoglie, sarà poi, per un gioco della sorte, la guida del proprio padre, reso cieco per colpa dei tranelli
intessuti dalle due figlie maggiori di Lear e Edmund. La scenografia, formata da un’enorme corona in
parte distrutta e parti più moderne, come la presenza di foto di personaggi del 1900 come decorazioni,
trasporta una storia, sempre attuale, da un’epoca passata, antica, quella shakespeariana, fino ai giorni
nostri. Lo spettatore è accompagnato in questo viaggio anche per mezzo dei costumi dai primi, di
stampo elisabettiano,si inizia a vedere un cambiamento nei pantaloncini mimetici del Matto (Brenno
Placido), fedele compagno di Lear, per poi passare ad abiti in pelle moderni e vestiti attillati. Una storia
di incomprensioni, tranelli, cospirazioni ed inganni che tratta il delicato tema della relazione tra genitori
e figli, portata sul palco da un eccezionale Michele Placido e dalla compagnia che con emozione e
sentimento ed una grande capacità interpretativa, aiutati anche da spettacolari effetti visivi, trasportano
il pubblico all’interno di questo dramma con maestria ed emozione, ma anche molto umorismo.
MARIA ELENA CRISTIANO (2 LICEO SCIENTIFICO ASELLI) - Il dolore, l'amore e la pazzia questi
sono gli elementi predominanti nell'opera di Shakespeare "Re Lear" inscenato sabato 7 febbraio 2015 al
teatro Ponchielli. Il vecchio re Lear (Michele Placido), ormai stanco decide di lasciare tutto il suo potere
alle figlie Goneril (Marta Nuti), Regan (Maria Chiara Augenti) e Cordelia (Federica Vincenti); al
momento della divisione chiede loro di esporre il loro amore nei suoi confronti ma Cordelia si rifiuta di
adularlo e per questo viene diseredata. Nel frattempo Edmund, figlio illegittimo del conte di Gloucester ,
escogita un piano per impossessarsi dell'eredità del fratello Edgar e metterlo al bando. Le due sorelle
rivelano il loro animo malvagio appena raggiungono il potere, non mantenendo la promessa fatta al
padre che inzia a girovagare con il suo matto. Il conte mostra pietà per il re e il figlio Edmund rivela il
tradimento al conte di Cornovaglia che lo punisce accecandolo. Inizia un lungo peregrinaggio in
compagnia di Edgar che si finge un pazzo mendicate. Le due perfide sorelle innamorate di Edmund si
uccidono. Questo prima di morire ordina di uccidere il re e Cordelia, che erano stati imprigionati, ma è
stato revocato. Sul regno di Gran Bretagna sale Edgar. Una delle migliori tragedie di Shakespeare del
1605 è stata rappresentata in versione più moderna...forse anche troppo dato il linguaggio volgare,
alcuni costumi simili ai vestiti dei dark; infatti nel primo atto le attrici Nuti e Augenti avevano abiti
tipici del 1600 ma nel secondo atto il loro abbigliamento è mutato drasticamente e non mancavano poi
alcune scene troppo spinte. Lo spettacolo metteva a confronto il bene e il male, il potere che in assenza
di questo e dell'amore da alla pazzia. Va riconosciuta la bravura dell'attore che ha interpretato Edgar
che come Ulisse è riuscito ad assumere diverse forme: un giovane abbastanza ingenuo e pauroso, un
mendicante, un pazzo e in fine re. Particolari complimenti anche a Michele Placido che come un re ha
saputo farsi rispettare, governare il palco e guadagnare l'ammirazione del pubblico. Opera che ha avuto
dei problemi dato che un attore si è ammalato e quindi sostituito dai colleghi che però hanno
interpretato egregiamente la nuova parte. Nonostante il disaccordo di alcuni interpreti la compagnia
teatrale a fine spettacolo è stata applaudita con entusiasmo.
SABRINA CAPPELLETTI (4 LICEO SCIENTIFICO ASELLI) - Il vociante pubblico del Ponchielli è in
forte contrasto con la decadenza della scenografia, decadenza che si ricollega alla stessa trama della
tragedia. Questa sottile similitudine sembra essere stata poco colta da un pubblico, poco conoscitore
della storia, ma quanto più interessato al grande Michele Placido. Se volessimo cercare l’incarnazione
perfetta della follia andremo sicuramente a cercarla in colui, che con la sua interpretazione del povero
Tom(Francesco Bonomo) ha fatto trasalire più volte il pubblico. Altrettando non si può certo dire delle
due sorelle Regan (Maria Chiara Augenti) e Goneril (Marta Nuti) figlie di re Lear. La loro performance è
parsa alquanto piatta e in certi versi scolastica come se il personaggio non appartenesse loro, ha tolto
drammaticità e importanza. Inoltre i loro cambi d’abito tra la prima e la seconda parte sono stati fuori
luogo, poiché hanno generato un contrasto troppo forte passando dal tradizionale abito elisabettiano a
tutine in ecopelle lucida. Questo cambio avrebbe dovuto rappresentare il mutamento dell’animo delle
giovani, ma invece è apparso solo come volgare e prettamente come capriccio estetico del regista. Altra
figura controversa è quella del Matto bene interpretata da Brenno Placido, ma a cui i tagli apportati
hanno tolto spessore e con esso il senso della sua esistenza come metafora della pazzia di re Lear. La
prima parte dello spettacolo, più attinente alla versione originale della tragedia aveva trovato il giusto
equilibrio tra modernità e tradizione, mentre, soprattutto nel finale, le scene che avrebbero richiesto
una carica di pathos maggiore, come le morti dei personaggi, sono invece state messe in scena in
maniera troppo caotica e sbrigativa. Un perfetto pastiche linguistico che non ha suscitato però la stessa
meraviglia che suscita un testo di Gadda.