programma di sala

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PROSA
venerdì 25, sabato 26 novembre ore 21 - Domenica 27 novembre ore 15,30
TEATRO VALLI
2005-2006
Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia / Compagnia Mario Chiocchio
presentano
RE LEAR di William Shakespeare
traduzione di Agostino Lombardo
Scene Bruno Buonincontri
Musiche Germano Mazzocchetti
Luci Nino Napoletano
RE LEAR
di
William Shakespeare
Regia Antonio Calenda
Personaggi / Interpreti
Re Lear / Roberto Herlitzka
Cordelia, figlia di Lear / Daniela Giovanetti
Gonerilla, figlia di Lear / Rossana Mortara
Regana, figlia di Lear / Arianna Ninchi
Re di Francia / Sebastiano Colla
Duca di Borgogna / Adriano Braidotti
Duca di Cornovaglia, marito di Regana / Marco Casazza
Duca di Albany, marito di Gonerilla / Stefano Alessandroni
Conte di Kent / Osvaldo Ruggieri
Conte di Gloucester / Giorgio Lanza
Edgar, figlio di Gloucester / Luca Lazzareschi
Edmund, figlio bastardo di Gloucester / Adriano Braidotti
Oswald, maggiordomo di Gonerilla / Francesco Benedetto
Un giovane / Adriano Braidotti
Matto / Claudio Tombini
Ufficiale al servizio di Edmund / Sebastiano Colla
Gentiluomo al servizio di Cordelia / Sebastiano Colla
Cavaliere al servizio di Lear / Luciano Pasini
Ufficiali / Christian Cerne, Luciano Pasini
Messaggeri / Luciano Pasini, Adriano Braidotti
Servi / Christian Cerne, Luciano Pasini
NOTE DI REGIA
«Noi dobbiamo accettare il peso di questo tempo triste. Dire ciò che sentiamo e
non ciò che conviene dire […]»
Risuona con tale forza e senso nelle coscienze contemporanee il monito racchiuso
nella bellissima battuta con cui Edgar conclude il Re Lear, che questo suo appello
potrebbe essere sufficiente a sintetizzare le ragioni che ci inducono oggi ad affrontare
l’opera.
In un mondo come il nostro, in cui sempre più spesso dimentichi della realtà vera,
dei valori più profondi, sembriamo inclini a giustificare qualsiasi cosa — la guerra,
la violenza, la disonestà — attraverso una ridda di parole vuote, di asserzioni prive
di senso, Re Lear si rivela un testo fortemente allusivo alla contemporaneità, capace
di testimoniare con sorprendente intensità l’aporia che tuttora viviamo fra significante
e significato, fra parola e sentimento, fra ciò che dichiariamo per convenienza e
quanto invece si agita nell’oscurità del nostro animo.
Nella figura poetica di Lear si intuisce il protagonista d’una vicenda di dolenti
contraddizioni, di virtù punite, di saggezza che sgorga dalla follia e dalla sofferenza,
di cecità fisiche e morali che rendono impossibile addirittura ai padri leggere nei
cuori dei figli… Un uomo dunque posto al centro di un universo di solitudine e
illusione, in cui ogni certezza è precaria e in cui — con straordinaria precisione —
si riflettono le angosce del tempo di Shakespeare e del nostro.
Angosce, sofferenze contro le quali a volte solo la follia — mimata o reale —
sembra poter rappresentare uno scudo efficace.
Un mondo che a Lear appare come “un grande palcoscenico di pazzi” e che proprio
attraverso il palcoscenico continua a parlarci e a muoverci alla riflessione.
Ho affrontato quest’opera, che considero una vetta assoluta della coscienza civile
e poetica dell’occidente, con grande emozione e senso di responsabilità forte
dell’apporto intellettuale, oltre che artistico, di una compagnia d’interpreti di notevole
prestigio, a partire dal protagonista, Roberto Herlitzka a cui mi lega un lungo e
fruttuoso rapporto di collaborazione, che spesso ci ha portati al Festival
Shakespeariano di Verona (un ricordo particolarmente bello conservo del Sogno
d’una notte di mezza estate, nel cui cast figuravano anche Mario Scaccia ed Eros
Pagni).
Con gli attori e i collaboratori ho condiviso l’idea di mettere al servizio di quest’opera
tutte le nostre precedenti esperienze, tutte le nostre potenzialità e tensioni,
concependo veramente il mestiere del teatro — che spesso, davanti alla durezza
del nostro presente, ci sembra quasi inadeguato e frustrante — in senso di grande
profondità morale, e affidandogli non solo il compito di rappresentare le dilacerazioni
della realtà, il disagio esistenziale ma di farsi anche testimone di valori che debbono
sopravvivere.
Si tratta dei valori positivi incarnati da Cordelia — tutta protesa a non sottoporre
le parole a deformazioni di comodo, a dare a ogni verbo il valore e il senso che
le viene dal cuore — e da Edgar, la cui fiduciosa
consapevolezza illumina la conclusione del testo.
Nell’accingerci alla messinscena, abbiamo cercato di realizzare
un’utopia: quella di non scegliere fin dall’inizio una via univoca
d’interpretazione che elida tutte le altre, ma di rispettare il più
possibile la polisemia del testo, esprimendo la ricchezza
immensa di piani di lettura, di prospettive, di nuovi orizzonti
che continuamente l’opera schiude ai nostri occhi.
Ho chiesto agli interpreti di indagare a fondo nelle scene, nelle
battute, poiché ognuna — appartenga essa agli altissimi
monologhi di Lear o ai giochi verbali del Matto, all’adamantina
autenticità di Cordelia o al partecipe contrappunto delle figure
minori — ha una propria profonda necessità, cela qualcosa
di misterioso.
È stato dunque naturale, nel passaggio dal testo alla scena,
non guardare alla stretta verosimiglianza, al realismo minuto,
ma puntare sull’astrazione dei personaggi, sulla dimensione
metaforica della storia. Naturale, ancora, puntare su riferimenti
iconografici che — sia a livello di scenografia che di costume
— non rimandassero a un preciso periodo storico, ma
alludessero piuttosto a una “stratificazione” di tempi e di
inquietudini: elementi che nel corso dello spettacolo, a partire
dal primo monologo di Edmund, divengono oggetto di una
sorta di spoliazione, quasi si volesse destituire questo mondo
delle sue icone, della sua ritualità.
Un teatro dunque che non intende restituire una facile imitazione
della vita, ma il senso della sua ambiguità, di quell’imprevedibilità
e incoerenza delle cose umane che appartengono a ogni esistenza e che trovano
nella celeberrima scena della tempesta — con Lear privato del suo regno e del suo
seguito, dell’amore delle figlie e in balia della furia dei venti — la rappresentazione
più forte, vera e dolente.
Antonio Calenda
Il regista Antonio Calenda propone una lettura essenziale, lontana
da clichés, che mette in luce soprattutto la polisemia del testo,
il meraviglioso, misterioso profilo di ogni personaggio e che ricrea
quell’universo irto di contraddizioni, in cui la verità, la giustizia
sono mete raggiungibili solo attraverso la cecità e la follia. Un
universo in cui la figura poetica di Lear appare dignitosa ma
abbandonata, indifesa come un grande albero sradicato.
Roberto Herlitzka — che ha ricevuto nelle ultime due stagioni i
premi più prestigiosi per il suo impegno teatrale e cinematografico
—, conosciuto ai più come l’interprete di Aldo Moro nel film
Buongiorno, notte di Marco Bellocchio, offre all’anziano Re tutte
le sfumature che trascolorano fra fragilità e violenza, tenerezza
e dolore. Accanto a lui Daniela Giovanetti dà vita al complesso
personaggio di Cordelia, alla sua purezza, a quell’“Ama e taci”
che segue fino alla fine come unica regola di vita. Luca Lazzareschi
offre alla fondamentale figura di Edgar la propria intensità
drammatica ed il suo appassionato talento.
E di grande spessore saranno le prove di Giorgio Lanza, teso ad
affrontare un Gloucester in cui specularmente si riflettono i tormenti
di Lear, di Rossana Mortara, di Osvaldo Ruggieri, tutti attori di
riferimento dello Stabile del Friuli-Venezia Giulia, cui il regista ha
chiesto un impegno interpretativo e d’analisi notevole.
«(…) La tua sincerità sia dunque la tua dote: e infatti, per i sacri raggi del sole, per
i misteri di Ecate e della notte, per tutti gli influssi delle sfere per cui esistiamo e
cessiamo di esistere, qui io ripudio ogni mia cura paterna, affinità e legame di
sangue, e d’ora in poi ti avrò sempre straniera al mio cuore e a me».
Re Lear rivolge parole durissime alla propria figlia prediletta, Cordelia: la sua sola
colpa è quella di non saper dar voce al proprio amore, usando i termini, la retorica
che il padre vorrebbe e secondo cui egli intende misurare l’affetto della propria
prole. Lear non immagina quale vuoto, o peggio, quali trame infide possano celarsi
dietro le parole: e quindi si spoglia di ogni avere e autorità in favore delle figlie
meno meritevoli.
È questo il nodo da cui scaturisce la tragedia del Re Lear di Shakespeare: uno dei
maggiori capolavori della cultura occidentale — paragonato dalla critica moderna
alla perfezione della Nona Sinfonia di Beethoven, del Parsifal wagneriano o del
Giudizio Universale di Michelangelo — e contemporaneamente testo vivo, moderno,
palpitante, veramente capace di “parlare” alle nostre platee.
Il regista si è avvalso per l’allestimento della collaborazione dello scenografo Bruno
Buonincontri e di Germano Mazzocchetti per le musiche di scena; Nino Napoletano
ha curato il disegno luci dello spettacolo e il maestro d’armi Jerry Ferlan ha seguito
gli attori che si battono in un duello che nello spettacolo allude a un combattimento
kendo.
Martedì 13 . Mercoledì 14 novembre ore 21
TEATRO MUNICIPALE VALLI
Fondazione Teatro dell’Archivolto
Per il Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia questo allestimento del Re Lear
rappresenta un nuovo importante passo nel percorso di ricerca che da anni ormai
Antonio Calenda ha legato al teatro elisabettiano, ed ha significativi precedenti in
lavori molto apprezzati come Riccardo III (1996) con Franco Branciaroli, Amleto
(1998) con Kim Rossi Stuart, Otello (2002) con Michele Placido e Sergio Romano,
Giulio Cesare (2002) per Giorgio Albertazzi, fino al recente Riflessioni sul Sogno
d’una notte di mezza estate, laboratorio dedicato a giovani attori professionisti.
GRAZIE
di Daniel Pennac
Con
Guido Fiorato
Giorgio Gallione
Scene e costumi
Regia
Claudio Bisio
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