Appunti per il precorso di Matematica: Primi rudimenti sui polinomi

annuncio pubblicitario
Appunti per il precorso di Matematica:
Primi rudimenti sui polinomi
Marco Capitani
26 settembre 2012
1
Introduzione
Lo scopo di questa breve lezione è di presentare i polinomi in maniera pratica, senza soffermarsi troppo sulle sottigliezze teoriche, e dedicandosi invece
alle strategie per “fare i conti”. Le definizioni non saranno precise, e le
dimostrazioni mancheranno quasi del tutto.
Per cominciare diamo il proverbiale nome alle cose, giusto per capire di
cosa stiamo parlando. Cominciamo dando la definizione di polinomio. Voi
probabilmente chiamate polinomi cose come
x2 + 2x + 1
(1)
o
2
(2)
5x5 + x4 − πx2 + e
3
Ebbene, ma che cos’è davvero un polinomio?
Partiamo dalle cose semplici: tutti quanti ci intendiamo parlando di coefficienti. Per esempio, nel polinomio 5x5 + 23 x4 − πx2 + e, non c’è dubbio che
5 sia il coefficiente di x5 o che π sia il coefficiente di x2 .
Ci basta quindi capire da dove venga la “parte letterale”, ovvero la x.
Il punto è proprio questo: la x viene anche chiamata indeterminata, ovvero
sconosciuta, non specificata. La x non deve avere nessuna proprietà particolare, né essere alcun numero. La x serve solamente per distinguere il ruolo di
5 da quello di π. In effetti, possiamo scrivere anche un polinomio con come
indeterminata la t, la z la ξ, un , un o un qualsiasi scarabocchio (purché
sia distinguibile da altri scarabocchi). Il polinomio sarà sempre lo stesso.1
1
Ovviamente, sorgerebbero più problemi qualora confrontassimo un polinomio scritto
con uno di questi simboli con uno scritto con un altro, ma presi singolarmente sono del
tutto equivalenti.
1
In effetti, concorderemo sul fatto che due polinomi sono diversi quando
i coefficienti sono diversi, e sono uguali quando i coefficienti sono uguali.
Ricordatevi questo fatto, è molto importante!
Abbiamo quindi convenuto che due polinomi sono uguali se e solo se i
loro coefficienti, confrontati in ordine, sono uguali. Per questo una possibile
definizione di polinomio - ad esempio, a coefficienti interi - è “una lista finita
di numeri interi”.2 .
Proviamo allora a scrivere sotto forma di lista i polinomi sopra citati. Il
polinomio (1) diventerà
(1, 2, 1)
(3)
mentre il polinomio (2) diventerà
2
(e, 0, π, 0, , 5)
3
(4)
La ragione per cui abbiamo aggiunto degli 0 nella seconda lista è perché
altrimenti non avremmo saputo distinguerla da quella associata al polinomio
5x3 + 32 x2 +πx+e. Il motivo per cui le abbiamo scritte a partire dal coefficiente
di x0 invece è perché i polinomi possono avere più o meno coefficienti, e
conviene quindi partire da quello della cui presenza siamo certi.3 .
Qualcuno potrebbe chiedersi: “E le funzioni? Se il polinomio è i suoi
coefficienti, allora che cos’è la funzione y = f (x) con f (x) polinomio?”
La domanda è legittima, e la risposta è quantomai semplice: una funzione
di quel genere verrà chiamata funzione polinomiale, per ovvi motivi, ma il
fatto sorprendente è che non è legata molto strettamente al polinomio che
l’ha generata. Il medesimo polinomio può dare origine a funzioni diverse,
mentre due polinomi diversi (con coefficienti diversi) possono determinare la
stessa funzione polinomiale.
Per chiarire meglio questo concetto, consideriamo la semplicissima funzione y = x2 − 2, generata dal polinomio x2 − 2. Questo polinomio ha come
unici cha (quasi) nullaoefficienti 0, 1 e 2, di conseguenza è sia un polinomio a
coefficienti interi, che un polinomio a coefficienti razionali, che un polinomio
a coefficienti reali. Potremmo quindi considerare tre diverse funzioni da esso
determinate: quella con come dominio - e codominio - gli interi, quella con
come dominio i razionali, e quella con come dominio i reali.
2
O, meglio, una lista infinita di numeri dei quali solo un sottoinsieme finito è non
nullo. Questa definizione risulta più pratica perché non si pone il problema della differente
lunghezza delle liste.
3
Una motivazione più stringente la si ha se si sceglie di utilizzare la definizione alternativa della precedente nota. In una lista infinita, infatti, non c’è un ultimo elemento, e
di conseguenza non risulta possibile scriverla “ribaltata”
2
Queste tre funzioni, avendo domini distinti, sono funzioni diverse. Non
solo:√le prime due non sono mai uguali a 0, mentre la terza è uguale a 0 per
x = 2.4
Per concludere questo inizio, facciamo la conoscenza della scrittura “classica” per indicare un polinomio:
f (x) =
n
X
ai x i
(5)
i=0
dove si suppone che an sia diverso da 0, altrimenti la scrittura è ridondante.
In tal caso n è un numero naturale detto il grado del polinomio, mentre gli
ai sono i coefficienti e apparterranno quindi all’insieme5 appropriato. Nel
nostro caso saranno sempre interi, razionali o reali.
Si noti che i polinomi di grado 0 sono i polinomi del tipo f (x) = a0 , detti
anche “costanti” o “polinomi costanti”. Usualmente il grado del polinomio
nullo (f (x) = 0) viene considerato −1 o −∞.
In questa scrittura abbiamo reintrodotto per comodità l’indeterminata
x. Ricordiamoci però che, come abbiamo visto, il suo ruolo è puramente di
segnaposto.
2
Le operazioni di base
Una volta stabilito che cosa sia un polinomio, che cosa ci possiamo fare? Per
cominciare, possiamo definire la somma algebrica e il prodotto di polinomi,
nel modo che tutti conoscete. Lo ricordiamo,
come scusa P
per fare pratica
Pn
j
i
con la nostra notazione. Siano f (x) = i=0 ai x e g(x) = m
j=0 bj x , e sia
k = max(n, m), allora:
#
"
k
n+m
X
X X
f (x) + g(x) =
(ai + bi )xi
f (x) ∗ g(x) =
(aj bh ) xi (6)
i=0
i=0
j+h=i
dove si intende per convenzione che i coefficienti di un polinomio di indice
maggiore del grado siano tutti nulli.
Se ripensiamo alle operazioni “normali”, dopo addizione (e sottrazione)
e moltiplicazione, ci rimane solo la divisione. È evidente che dati due polinomi f (x) e g(x) non sempre è possibile trovare un polinomio q(x) tale
4
Per un esempio di polinomi distinti che determinano la stessa funzione polinomiale
servono conoscenze più tecniche. Per gli interessati rimandiamo all’appendice.
5
In generale i coefficienti apparterranno ad un particolare tipo di struttura chiamato
“anello”, su cui sono definite somma e prodotto, e inoltre la somma è dotata di inverso
(non necessariamente anche il prodotto).
3
che f (x) = g(x)q(x), come si riesce a fare con i numeri razionali. Basta ad
esempio considerare f (x) = 1 e g(x) = x. Poiché x1 non è un polinomio, non
riusciremo mai a trovare il reciproco di x.
D’altra parte è possibile, come con i numeri interi, fare la divisione euclidea, ovvero la divisione con il resto. Dati due polinomi f (x) e g(x) con
deg f ≥ deg g riusciremo sempre a trovare altri due polinomi q(x) e r(x) detti
quoziente e resto, tali che
f (x) = q(x)g(x) + r(x)
(7)
In maniera simile a quanto accade tra i numeri interi, dove il resto è sempre
minore del divisore, accade con i polinomi: il polinomio resto avrà sempre
grado strettamente minore del grado del divisore.
Il procedimento è molto simile a quello della divisione tra interi: ne diamo
una breve esposizione
sotto forma di algoritmo. Siano f (x) =
Pm informale
P
n
j
i
j=0 bj x , con n ≥ m.
i=0 ai x e g(x) =
Per cominciare, poniamo r0 (x) = f (x) e q0 (x) = 0. D’ora in poi chiame(j)
remo ci i coefficienti di rj (x) e sj il suo grado.
c
(0)
Al primo passaggio poniamo h1 (x) = bsm0 xs0 −m . Si noti che h1 (x)g(x) ha
termine di testa (quello corrispondente al grado massimo) uguale a quello di
r0 (x). Poniamo ora q1 (x) = q0 (x) + h1 (x) e r1 (x) = r(x) − g(x)r0 (x). Per
costruzione di h1 (x) ora r(x) sarà di grado strettamente minore di n = s0 .
Procediamo in maniera simile a ogni passo: fintanto che si ≥ m poniamo
c
(i)
hi+1 = bsmi xsi −m in modo che hi+1 (x)g(x) abbia termine di testa uguale a
ri (x). A questo punto sottraiamo questo polinomio da ri (x) per farne calare
il grado, ponendo ri+1 (x) = ri (x) − hi+1 (x)g(x) e poniamo qi+1 (x) = qi (x) +
hi+1 (x).
Il procedimento terminerà nel momento in cui si < m, e quindi ri (x) sarà
il nostro resto e qi (x) il nostro quoziente, poiché il grado di ri (x) è minore
del divisore e si ha anche che f (x) = r0 (x) = qi (x)g(x) + ri (x) poiché questa
uguaglianza vale ad ogni passo.6
Notiamo immediatamente che, se la somma e il prodotto di due polinomi
a coefficienti interi è ancora un polinomio a coefficienti interi, nel fare la divisione euclidea abbiamo avuto bisogno di invertire (considerare il reciproco)
alcuni coefficienti degli ri (x). Questo non è - quasi mai - possibile farlo rimanendo all’interno dei polinomi a coefficienti interi. Per questo, per fare la
divisione euclidea avremo bisogno di polinomi a coefficienti razionali o reali.7
6
Si dimostra facilmente per induzione, per chi fosse interessato ai dettagli.
Più precisamente, avremo bisogno di trattare polinomi a coefficienti in un campo,
ovvero un anello in cui gli elementi diversi da 0 abbiano anche inverso moltiplicativo.
7
4
3
Divisibilità, radici e fattorizzazione.
3.1
Il concetto di divisibilità tra polinomi
La divisione tra polinomi gode di molte proprietà interessanti come la divisione tra interi. In effetti, queste proprietà sono spesso le stesse, e mostrano
una grande somiglianza tra i polinomi a coefficienti in Q e gli interi.
Cominciamo a definire il concetto di divisibilità. Si dice che, dati due
polinomi f (x) e g(x), f (x) è divisibile per g(x) se esiste un polinomio q(x)
tale che f (x) = q(x)g(x).
La prima osservazione che è opportuno fare è che affinché un polinomio
sia divisibile per un altro non è necessario poter dividere i polinomi. Nella
definizione compare solo il prodotto. Qualora, però, la divisione abbia senso,
ad esempio se i polinomi in questione hanno coefficienti razionali, è evidente
che f (x) è divisibile per g(x) se e solo se il resto della divisione euclidea del
primo per il secondo è 0.
Per chiarire, vediamo qualche esempio:
x2 + 2x + 1
x4 + 3x3 − x2 − 3x
x3 + 3x2 + 3x + 2
x2 + x + 1
x2 − 1
x+1
(8)
(9)
(10)
(11)
(12)
(13)
Come esercizio, il lettore potrà determinare quali di questi polinomi sono
divisibili per quali altri. A titolo d’esempio, verifichiamo che (10) è divisibile
per (11) ma non è divisibile per (13).
Per risolvere la questione è sufficiente dividere il polinomio per gli altri
due. Otteniamo cosı̀ che
x3 + 3x2 + 3x + 2 = (x2 + x + 1)(x + 2)
(14)
e che
x3 + 3x2 + 3x + 2 = (x + 1)(x2 + 2x + 1) + 1 = (x + 1)(x + 1)2 + 1
(15)
Il lettore particolarmente attento sarà giunto alla conclusione espressa in
(15) più velocemente notando che il dividendo si può scrivere come x3 +3x2 +
3x + 1 + 1 e ricordandosi che x3 + 3x2 + 3x + 1 = (x + 1)3 .
5
3.2
Le radici di un polinomio
L’altro concetto a far la parte del leone quando si parla di polinomi è il
concetto di radice. Si dice che un numero α è radice di un polinomio f (x)
se f (α) = 0, dove con f (α) si intende il numero ottenuto “sostituendo” α al
posto dell’incognita.
Apparentemente le radici potrebbero sembrare legate più alla funzione
associata ad un polinomio, che non al polinomio stesso, eppure si parla comunque di “radici di un polinomio”. Questo accade perché vale il seguente
fatto:
Proposizione 3.1. Sia f (x) un polinomio e sia α un numero reale.8 Allora
α è radice del polinomio f (x) se e solo se f (x) è divisibile per il polinomio
x − α.
Questa affermazione è evidente se si osserva che sottrarre x − α ad un
polinomio corrisponde a sostituire una x con un α. Ripetendo questo procedimento quanto basta, si arriverà di fatto a sostituire tutte le x con degli
α, ovvero si è valutato il polinomio in α. Essendo il resto “ciò che rimane”
dopo la divisione, è evidente che il resto della divisione non sarà altro che
f (α), cioè ciò che volevamo ottenere.9
Per chiarire il vero significato di quanto detto, occorre fare due osservazioni: la prima è che non si è specificata la natura dei coefficienti: essi
potrebbero essere interi, razionali o reali, e allo stesso modo α potrebbe essere sia un numero intero che una frazione che un irrazionaleindipendentemente
tra loro.
La seconda osservazione è che, avendo ricondotto il concetto di radice a
quello di divisibilità, il quale dipende solo dai polinomi coinvolti,10 abbiamo
mostrato che le radici sono caratteristiche solamente del polinomio, e non
dipendono dall’insieme di coefficienti che si è scelto, al contrario delle funzioni
polinomiali.
Ad esempio, se un polinomio a coefficienti interi ha una radice intera
quando lo considerate come funzione da R in R, allora potete stare sicuri
che esso avrà la medesima radice anche considerandolo come funzione da
Z in Z, e viceversa. Ovviamente esistono polinomi a coefficienti interi che
hanno radici irrazionali (ad esempio x2 − 2) e in tal caso esse non potranno
essere individuate, per ovvi motivi, studiando la funzione che il polinomio
determina sugli interi.
8
Si rammenti che Z ⊂ Q ⊂ R
Per una dimostrazione più precisa, vedere l’appendice
10
In realtà la divisibilità è indipendente dall’anello dei coefficienti solo se il divisore è
monico, ovvero quando il coefficiente del termine di grado massimo è 1, come nel nostro
caso.
9
6
Come ulteriore applicazione di questa proprietà, abbiamo una “scorciatoia” per verificare la divisibilità di un polinomio per uno della forma x − α.
Consideriamo l’esempio visto in precedenza, risolto dalla disuguaglianza (15).
Avremmo potuto verificare la divisibilità del polinomio per (x+1) in maniera
più veloce semplicemente sostituendo −1 al posto della variabile (si ricordi
che il polinomio associato alla radice α è x − α). In tal caso avremmo ottenuto (−1)3 + 3(−1)2 + 3(−1) + 2 = 1 ovvero, come previsto, il resto della
divisione (per conoscere il quoziente c’è la regola di Ruffini).
Avendo ora un metodo efficiente per verificare se un numero è una radice
di un dato polinomio, ci serve un metodo per trovare le radici. Per quanto
riguarda le radici razionali di un polinomio a coefficienti interi, abbiamo a
disposizione un teorema che restringe notevolmente il campo, permettendoci
di terminare la ricerca sostituendo a mano le potenziali radici e verificando
che il polinomio si annulli.
Teorema 3.2. Sia f (x) = an xn + · · · + a0 un polinomio a coefficienti interi.
Allora le sue radici razionali sono della forma pq con p e q coprimi e p | a0 e
q | an .
Dimostrazione. Un lemma, la cui dimostrazione si rifà al lemma di Gauss,11
ci garantisce che se pq è una radice di f (x), allora f (x) è divisibile per qx − p,
di conseguenza f (x) = g(x)(qx − p) per qualche polinomio g(x). Poiché
l’uguaglianza tra due polinomi significa l’uguaglianza dei polinomi coefficiente per coefficiente, sappiamo che an = bq e che a0 = cp dove b e c
sono rispettivamente il coefficiente di testa e il termine noto del polinomio
g(x).
3.3
Fattorizzazione
Il terzo argomento che affronteremo in questa sezione è la cosiddetta “fattorizzazione” di un polinomio. Essa è del tutto analoga alla fattorizzazione
di un numero intero: si tratta semplicemente di scrivere un polinomio come
prodotto di altri due (o più).
Come accade per i numeri interi, esistono alcuni polinomi che non si
possono fattorizzare se non in maniera banale, che vengono detti irriducibili.
Il parallelismo con i numeri interi, purtroppo, finisce qui: se la fattorizzazione di un numero intero, per lo meno di dimensione contenuta, è un
problema abbastanza semplice, individuare una fattorizzazione di un polinomio - o escluderne l’esistenza - può essere estremamente difficile, e altrettanto
difficile è determinarne le eventuali radici. Se non si fosse convinti di questa
11
Vedi appendice
7
difficoltà, si provi a fattorizzare il polinomio (2) della prima sezione. Un veloce studio di funzione potrà assicurarci dell’esistenza di almeno una radice,
ma in quanto a quale sia, è un problema di tutt’altra difficoltà.
Riguardo all’esistenza di una fattorizzazione esistono però dei risultati
che ci permettono di risolvere la questione, sebbene non ci permettano di
trovare una fattorizzazione.
Ad esempio, lo studio di funzione suggerito in precedenza per il polinomio
(2) si può generalizzare nella seguente maniera:
Proposizione 3.3. Sia f (x) un polinomio a coefficienti reali di grado dispari.
Allora esso ha almeno una radice reale, e possiede quindi una fattorizzazione
propria.
Dimostrazione. Sia n il grado di f (x) e an il suo coefficiente di testa, ovvero
quello del termine di grado massimo. Per risultati dell’analisi sappiamo che
lim f (x) = lim an xn
x→+∞
x→∞
(16)
e similmente per x → −∞. Essendo n dispari i due limiti sono discordi,
essendo inoltre f (x) continua, per il teorema della permanenza del segno si
ha che esiste N tale che per x < N f (x) è sempre positivo (o negativo) mentre
per x > N f (x) è sempre negativo (o positivo). Considerando allora f (N +1)
e f (−N − 1) si ha che la funzione y = f (x) assume valore positivo in uno
di essi e negativo nell’altro. Pertanto, per il teorema dei valori intermedi, la
funzione assume il valore 0 per qualche α reale. Si ha che α è, per definizione,
una radice di f (x). Di conseguenza il polinomio f (x) è divisibile per il
polinomio x − α.
Si noti che questo teorema non permette di trovare la radice in questione,
ma ne assicura solo l’esistenza. Inoltre, avere il polinomio f (x) a coefficienti
interi o razionali non garantisce nulla su α: si pensi come controesempio al
solito x2 − 2.
Il teorema che risolve il problema dell’esistenza di una fattorizzazione,
pur non garantendo nulla riguardo all’esistenza di radici, è il seguente:
Teorema 3.4. I soli polinomi irriducibili su R sono i polinomi di grado 1 e
quelli di grado 2 con delta negativo.
Questo teorema, la cui dimostrazione richiede tecniche più avanzate, ci
assicura che i polinomi a noi già noti come “intrattabili”, ovvero i polinomi di
secondo grado con discriminante negativo, sono gli unici polinomi irriducibili
eccetto il caso banale di quelli di primo grado. Anche se, come vedrete
in una delle successive lezioni di questo precorso, anche questi polinomi si
fattorizzeranno, sebbene per farlo si dovranno addirittura introdurre nuovi
numeri.
8
4
4.1
Appendice
Un’ultima aggiunta
Integriamo il discorso sulla fattorizzazione di polinomi con un risultato noto
come “Lemma di Gauss” - la cui dimostrazione è decisamente complicata e
verrà perciò omessa12 - ci viene in aiuto:
Teorema 4.1 (Lemma di Gauss). Sia f (x) un polinomio a coefficienti interi
tale che non esista un primo p che divida tutti i suoi coefficienti.13 Se esiste
una fattorizzazione di f (x) tramite polinomi a coefficienti razionali allora
esiste anche una fattorizzazione di f (x) tramite polinomi a coefficienti interi.
Il lemma di Gauss ci risparmia la fatica di cercare fattorizzazioni “troppo
strane” per un polinomio a coefficienti interi. Questo però non significa che
le fattorizzazioni intere siano facili da trovare. In effetti l’aiuto che questo
teorema ci dà è puramente teorico, perché per quanto sia più facile che cercare fattorizzazioni razionali, cercare fattorizzazioni intere è comunque un
problema dalla soluzione, nella maggior parte dei casi, decisamente ostica.
Nella dimostrazione di alcuni teoremi, però, sarà fondamentale poter considerare una fattorizzazione intera, per quanto nella pratica essa non si riesca
comunque a trovare.
4.2
4.2.1
Dimostrazioni e precisazioni
L’algoritmo di divisione dei polinomi
Dedichiamoci ora al vero scopo di quest’appendice, ovvero tappare i buchi
lasciati durante l’esposizione.
Per cominciare, finiamo di dimostrare la validità dell’algoritmo da noi
dato per la divisione tra polinomi. È necessario provare che, a tutti i passi,
vale l’eguaglianza f (x) = r0 (x) = qi (x)g(x) + ri (x).
Dimostriamolo per induzione: il passo base è ovvio, poiché r0 (x) =
q0 (x)g(x) + r0 (x) per costruzione, essendo q0 (x) nullo e r0 (x) ovviamente
uguale a sé stesso.
Supponiamo che l’eguaglianza valga al passo i-esimo e mostriamo che vale
al passo i + 1-esimo. Supponiamo valida l’eguaglianza
r0 (x) = qi (x)g(x) + ri (x)
12
I lettori interessati potranno trovarne una dimostrazione con metodi elementari in
http://it.wikipedia.org/wiki/Lemma di Gauss (polinomi)
13
Un polinomio siffatto viene in genere detto primitivo
9
Per definizione, ri+1 (x) = ri (x) − hi+1 (x)g(x) mentre qi+1 (x) = qi (x) +
hi+1 (x). Pertanto, riscrivendo il secondo membro dell’uguaglianza (4.2.1) si
ottiene
r0 (x) = qi (x)g(x) + hi+1 (x)g(x) − hi+1 (x)g(x) + ri (x) =
= [qi (x) + hi+1 (x)]g(x) + ri+1 (x) = qi+1 (x)g(x) + ri+1 (x)
come volevasi dimostrare.
4.2.2
Radici e divisibilità
Proposizione 4.2. Sia f (x) un polinomio e sia α un numero reale. Allora
α è radice del polinomio f (x) se e solo se f (x) è divisibile per il polinomio
x − α.
Dimostrazione. Mostriamo semplicemente che il resto della divisione di f (x)
per x − α) è f (α). È sufficiente verificarlo per un singolo monomio:
se
Pn
i
scriviamo il polinomio f (x) come somma di monomi f (x) =
i=0 ai x e
i
poniamo ai x = qi (x)(x − α) + ri come da divisione euclidea, si ottiene che
" n
#
n
n
X
X
X
f (x) =
[qi (x)(x − α) + ri ] =
qi (x) (x − α) +
ri
i=0
i=0
i=0
e quindi il resto della somma non è altro che la somma dei resti.
Sul singolo monomio lo dimostriamo per induzione sul grado. Il passo
base è evidente: se f (x) = a0 allora f (x) = 0(x − α) + a0 , mentre f (α) = a0
e non c’è nulla da dimostrare.
Supponiamolo vero per monomi di grado n e dimostriamolo per quelli di
grado n+1. Sicuramente, per ogni a, axn+1 = axn (x−α)+aαxn . Per ipotesi
induttiva, dividendo aαxn si ottiene a(α)n+1 , ovvero il monomio valutato in
α. Poiché il resto della somma e la somma dei resti sono uguali e il resto di
axn (x − α) è palesemente 0, si ha che il resto della divisione di axn+1 per
(x − α) è a(α)n+1 , come volevasi dimostrare.
4.2.3
Polinomi e funzioni polinomiali
Diamo un esempio di polinomi distinti con la medesima funzione polinomiale.
Per farlo, ci serve introdurre gli anelli Zn , ovvero gli anelli delle classi di resto
modulo n. Una essenziale (e non troppo precisa) descrizione di Zn potrebbe
essere l’insieme dei numeri non negativi minori di n; su cui si definiscono
somma e prodotto di due numeri come il resto della divisione della somma
10
(o del prodotto) usuale dei due numeri. L’esempio più classico è quello dell’orologio, per familiarizzare con Z12 : se sono le 11, tra tre ore saranno le 2,
ovvero
11 + 3 = 14 = 12 ∗ 1 + 2 ⇒ 11 +Z12 3 = 2
Si lascia al lettore di verificare che quasi tutte le “normali” proprietà di somma e prodotto continuano a valere (commutativa, associativa, distributiva,
elementi neutro e annullatore).
Essendo definite somma e prodotto su di essi, si possono definire i polinomi a coefficienti in Zn con n qualunque. Ora, approfittando della finitezza
di Zn , potremmo definire
Q su di esso il polinomio (x − 0)(x − 1)(x − 2)(x −
3) . . . (x − (n − 1)) = n−1
i=0 (x − i). Questo polinomio (prodotto di polinomi a
coefficienti in un anello è ancora un polinomio a coefficienti nel medesimo) è
nullo su ogni elemento di Zn , com’è evidente dalla scrittura che ne abbiamo
dato. Eppure, essendo di grado n (il coefficiente di testa è 1) è diverso dal
polinomio nullo. Le rispettive funzioni polinomiali invece coincidono, come
appena osservato.
11
Scarica