Appunti per il precorso di Matematica: Primi rudimenti sui polinomi Marco Capitani 26 settembre 2012 1 Introduzione Lo scopo di questa breve lezione è di presentare i polinomi in maniera pratica, senza soffermarsi troppo sulle sottigliezze teoriche, e dedicandosi invece alle strategie per “fare i conti”. Le definizioni non saranno precise, e le dimostrazioni mancheranno quasi del tutto. Per cominciare diamo il proverbiale nome alle cose, giusto per capire di cosa stiamo parlando. Cominciamo dando la definizione di polinomio. Voi probabilmente chiamate polinomi cose come x2 + 2x + 1 (1) o 2 (2) 5x5 + x4 − πx2 + e 3 Ebbene, ma che cos’è davvero un polinomio? Partiamo dalle cose semplici: tutti quanti ci intendiamo parlando di coefficienti. Per esempio, nel polinomio 5x5 + 23 x4 − πx2 + e, non c’è dubbio che 5 sia il coefficiente di x5 o che π sia il coefficiente di x2 . Ci basta quindi capire da dove venga la “parte letterale”, ovvero la x. Il punto è proprio questo: la x viene anche chiamata indeterminata, ovvero sconosciuta, non specificata. La x non deve avere nessuna proprietà particolare, né essere alcun numero. La x serve solamente per distinguere il ruolo di 5 da quello di π. In effetti, possiamo scrivere anche un polinomio con come indeterminata la t, la z la ξ, un , un o un qualsiasi scarabocchio (purché sia distinguibile da altri scarabocchi). Il polinomio sarà sempre lo stesso.1 1 Ovviamente, sorgerebbero più problemi qualora confrontassimo un polinomio scritto con uno di questi simboli con uno scritto con un altro, ma presi singolarmente sono del tutto equivalenti. 1 In effetti, concorderemo sul fatto che due polinomi sono diversi quando i coefficienti sono diversi, e sono uguali quando i coefficienti sono uguali. Ricordatevi questo fatto, è molto importante! Abbiamo quindi convenuto che due polinomi sono uguali se e solo se i loro coefficienti, confrontati in ordine, sono uguali. Per questo una possibile definizione di polinomio - ad esempio, a coefficienti interi - è “una lista finita di numeri interi”.2 . Proviamo allora a scrivere sotto forma di lista i polinomi sopra citati. Il polinomio (1) diventerà (1, 2, 1) (3) mentre il polinomio (2) diventerà 2 (e, 0, π, 0, , 5) 3 (4) La ragione per cui abbiamo aggiunto degli 0 nella seconda lista è perché altrimenti non avremmo saputo distinguerla da quella associata al polinomio 5x3 + 32 x2 +πx+e. Il motivo per cui le abbiamo scritte a partire dal coefficiente di x0 invece è perché i polinomi possono avere più o meno coefficienti, e conviene quindi partire da quello della cui presenza siamo certi.3 . Qualcuno potrebbe chiedersi: “E le funzioni? Se il polinomio è i suoi coefficienti, allora che cos’è la funzione y = f (x) con f (x) polinomio?” La domanda è legittima, e la risposta è quantomai semplice: una funzione di quel genere verrà chiamata funzione polinomiale, per ovvi motivi, ma il fatto sorprendente è che non è legata molto strettamente al polinomio che l’ha generata. Il medesimo polinomio può dare origine a funzioni diverse, mentre due polinomi diversi (con coefficienti diversi) possono determinare la stessa funzione polinomiale. Per chiarire meglio questo concetto, consideriamo la semplicissima funzione y = x2 − 2, generata dal polinomio x2 − 2. Questo polinomio ha come unici cha (quasi) nullaoefficienti 0, 1 e 2, di conseguenza è sia un polinomio a coefficienti interi, che un polinomio a coefficienti razionali, che un polinomio a coefficienti reali. Potremmo quindi considerare tre diverse funzioni da esso determinate: quella con come dominio - e codominio - gli interi, quella con come dominio i razionali, e quella con come dominio i reali. 2 O, meglio, una lista infinita di numeri dei quali solo un sottoinsieme finito è non nullo. Questa definizione risulta più pratica perché non si pone il problema della differente lunghezza delle liste. 3 Una motivazione più stringente la si ha se si sceglie di utilizzare la definizione alternativa della precedente nota. In una lista infinita, infatti, non c’è un ultimo elemento, e di conseguenza non risulta possibile scriverla “ribaltata” 2 Queste tre funzioni, avendo domini distinti, sono funzioni diverse. Non solo:√le prime due non sono mai uguali a 0, mentre la terza è uguale a 0 per x = 2.4 Per concludere questo inizio, facciamo la conoscenza della scrittura “classica” per indicare un polinomio: f (x) = n X ai x i (5) i=0 dove si suppone che an sia diverso da 0, altrimenti la scrittura è ridondante. In tal caso n è un numero naturale detto il grado del polinomio, mentre gli ai sono i coefficienti e apparterranno quindi all’insieme5 appropriato. Nel nostro caso saranno sempre interi, razionali o reali. Si noti che i polinomi di grado 0 sono i polinomi del tipo f (x) = a0 , detti anche “costanti” o “polinomi costanti”. Usualmente il grado del polinomio nullo (f (x) = 0) viene considerato −1 o −∞. In questa scrittura abbiamo reintrodotto per comodità l’indeterminata x. Ricordiamoci però che, come abbiamo visto, il suo ruolo è puramente di segnaposto. 2 Le operazioni di base Una volta stabilito che cosa sia un polinomio, che cosa ci possiamo fare? Per cominciare, possiamo definire la somma algebrica e il prodotto di polinomi, nel modo che tutti conoscete. Lo ricordiamo, come scusa P per fare pratica Pn j i con la nostra notazione. Siano f (x) = i=0 ai x e g(x) = m j=0 bj x , e sia k = max(n, m), allora: # " k n+m X X X f (x) + g(x) = (ai + bi )xi f (x) ∗ g(x) = (aj bh ) xi (6) i=0 i=0 j+h=i dove si intende per convenzione che i coefficienti di un polinomio di indice maggiore del grado siano tutti nulli. Se ripensiamo alle operazioni “normali”, dopo addizione (e sottrazione) e moltiplicazione, ci rimane solo la divisione. È evidente che dati due polinomi f (x) e g(x) non sempre è possibile trovare un polinomio q(x) tale 4 Per un esempio di polinomi distinti che determinano la stessa funzione polinomiale servono conoscenze più tecniche. Per gli interessati rimandiamo all’appendice. 5 In generale i coefficienti apparterranno ad un particolare tipo di struttura chiamato “anello”, su cui sono definite somma e prodotto, e inoltre la somma è dotata di inverso (non necessariamente anche il prodotto). 3 che f (x) = g(x)q(x), come si riesce a fare con i numeri razionali. Basta ad esempio considerare f (x) = 1 e g(x) = x. Poiché x1 non è un polinomio, non riusciremo mai a trovare il reciproco di x. D’altra parte è possibile, come con i numeri interi, fare la divisione euclidea, ovvero la divisione con il resto. Dati due polinomi f (x) e g(x) con deg f ≥ deg g riusciremo sempre a trovare altri due polinomi q(x) e r(x) detti quoziente e resto, tali che f (x) = q(x)g(x) + r(x) (7) In maniera simile a quanto accade tra i numeri interi, dove il resto è sempre minore del divisore, accade con i polinomi: il polinomio resto avrà sempre grado strettamente minore del grado del divisore. Il procedimento è molto simile a quello della divisione tra interi: ne diamo una breve esposizione sotto forma di algoritmo. Siano f (x) = Pm informale P n j i j=0 bj x , con n ≥ m. i=0 ai x e g(x) = Per cominciare, poniamo r0 (x) = f (x) e q0 (x) = 0. D’ora in poi chiame(j) remo ci i coefficienti di rj (x) e sj il suo grado. c (0) Al primo passaggio poniamo h1 (x) = bsm0 xs0 −m . Si noti che h1 (x)g(x) ha termine di testa (quello corrispondente al grado massimo) uguale a quello di r0 (x). Poniamo ora q1 (x) = q0 (x) + h1 (x) e r1 (x) = r(x) − g(x)r0 (x). Per costruzione di h1 (x) ora r(x) sarà di grado strettamente minore di n = s0 . Procediamo in maniera simile a ogni passo: fintanto che si ≥ m poniamo c (i) hi+1 = bsmi xsi −m in modo che hi+1 (x)g(x) abbia termine di testa uguale a ri (x). A questo punto sottraiamo questo polinomio da ri (x) per farne calare il grado, ponendo ri+1 (x) = ri (x) − hi+1 (x)g(x) e poniamo qi+1 (x) = qi (x) + hi+1 (x). Il procedimento terminerà nel momento in cui si < m, e quindi ri (x) sarà il nostro resto e qi (x) il nostro quoziente, poiché il grado di ri (x) è minore del divisore e si ha anche che f (x) = r0 (x) = qi (x)g(x) + ri (x) poiché questa uguaglianza vale ad ogni passo.6 Notiamo immediatamente che, se la somma e il prodotto di due polinomi a coefficienti interi è ancora un polinomio a coefficienti interi, nel fare la divisione euclidea abbiamo avuto bisogno di invertire (considerare il reciproco) alcuni coefficienti degli ri (x). Questo non è - quasi mai - possibile farlo rimanendo all’interno dei polinomi a coefficienti interi. Per questo, per fare la divisione euclidea avremo bisogno di polinomi a coefficienti razionali o reali.7 6 Si dimostra facilmente per induzione, per chi fosse interessato ai dettagli. Più precisamente, avremo bisogno di trattare polinomi a coefficienti in un campo, ovvero un anello in cui gli elementi diversi da 0 abbiano anche inverso moltiplicativo. 7 4 3 Divisibilità, radici e fattorizzazione. 3.1 Il concetto di divisibilità tra polinomi La divisione tra polinomi gode di molte proprietà interessanti come la divisione tra interi. In effetti, queste proprietà sono spesso le stesse, e mostrano una grande somiglianza tra i polinomi a coefficienti in Q e gli interi. Cominciamo a definire il concetto di divisibilità. Si dice che, dati due polinomi f (x) e g(x), f (x) è divisibile per g(x) se esiste un polinomio q(x) tale che f (x) = q(x)g(x). La prima osservazione che è opportuno fare è che affinché un polinomio sia divisibile per un altro non è necessario poter dividere i polinomi. Nella definizione compare solo il prodotto. Qualora, però, la divisione abbia senso, ad esempio se i polinomi in questione hanno coefficienti razionali, è evidente che f (x) è divisibile per g(x) se e solo se il resto della divisione euclidea del primo per il secondo è 0. Per chiarire, vediamo qualche esempio: x2 + 2x + 1 x4 + 3x3 − x2 − 3x x3 + 3x2 + 3x + 2 x2 + x + 1 x2 − 1 x+1 (8) (9) (10) (11) (12) (13) Come esercizio, il lettore potrà determinare quali di questi polinomi sono divisibili per quali altri. A titolo d’esempio, verifichiamo che (10) è divisibile per (11) ma non è divisibile per (13). Per risolvere la questione è sufficiente dividere il polinomio per gli altri due. Otteniamo cosı̀ che x3 + 3x2 + 3x + 2 = (x2 + x + 1)(x + 2) (14) e che x3 + 3x2 + 3x + 2 = (x + 1)(x2 + 2x + 1) + 1 = (x + 1)(x + 1)2 + 1 (15) Il lettore particolarmente attento sarà giunto alla conclusione espressa in (15) più velocemente notando che il dividendo si può scrivere come x3 +3x2 + 3x + 1 + 1 e ricordandosi che x3 + 3x2 + 3x + 1 = (x + 1)3 . 5 3.2 Le radici di un polinomio L’altro concetto a far la parte del leone quando si parla di polinomi è il concetto di radice. Si dice che un numero α è radice di un polinomio f (x) se f (α) = 0, dove con f (α) si intende il numero ottenuto “sostituendo” α al posto dell’incognita. Apparentemente le radici potrebbero sembrare legate più alla funzione associata ad un polinomio, che non al polinomio stesso, eppure si parla comunque di “radici di un polinomio”. Questo accade perché vale il seguente fatto: Proposizione 3.1. Sia f (x) un polinomio e sia α un numero reale.8 Allora α è radice del polinomio f (x) se e solo se f (x) è divisibile per il polinomio x − α. Questa affermazione è evidente se si osserva che sottrarre x − α ad un polinomio corrisponde a sostituire una x con un α. Ripetendo questo procedimento quanto basta, si arriverà di fatto a sostituire tutte le x con degli α, ovvero si è valutato il polinomio in α. Essendo il resto “ciò che rimane” dopo la divisione, è evidente che il resto della divisione non sarà altro che f (α), cioè ciò che volevamo ottenere.9 Per chiarire il vero significato di quanto detto, occorre fare due osservazioni: la prima è che non si è specificata la natura dei coefficienti: essi potrebbero essere interi, razionali o reali, e allo stesso modo α potrebbe essere sia un numero intero che una frazione che un irrazionaleindipendentemente tra loro. La seconda osservazione è che, avendo ricondotto il concetto di radice a quello di divisibilità, il quale dipende solo dai polinomi coinvolti,10 abbiamo mostrato che le radici sono caratteristiche solamente del polinomio, e non dipendono dall’insieme di coefficienti che si è scelto, al contrario delle funzioni polinomiali. Ad esempio, se un polinomio a coefficienti interi ha una radice intera quando lo considerate come funzione da R in R, allora potete stare sicuri che esso avrà la medesima radice anche considerandolo come funzione da Z in Z, e viceversa. Ovviamente esistono polinomi a coefficienti interi che hanno radici irrazionali (ad esempio x2 − 2) e in tal caso esse non potranno essere individuate, per ovvi motivi, studiando la funzione che il polinomio determina sugli interi. 8 Si rammenti che Z ⊂ Q ⊂ R Per una dimostrazione più precisa, vedere l’appendice 10 In realtà la divisibilità è indipendente dall’anello dei coefficienti solo se il divisore è monico, ovvero quando il coefficiente del termine di grado massimo è 1, come nel nostro caso. 9 6 Come ulteriore applicazione di questa proprietà, abbiamo una “scorciatoia” per verificare la divisibilità di un polinomio per uno della forma x − α. Consideriamo l’esempio visto in precedenza, risolto dalla disuguaglianza (15). Avremmo potuto verificare la divisibilità del polinomio per (x+1) in maniera più veloce semplicemente sostituendo −1 al posto della variabile (si ricordi che il polinomio associato alla radice α è x − α). In tal caso avremmo ottenuto (−1)3 + 3(−1)2 + 3(−1) + 2 = 1 ovvero, come previsto, il resto della divisione (per conoscere il quoziente c’è la regola di Ruffini). Avendo ora un metodo efficiente per verificare se un numero è una radice di un dato polinomio, ci serve un metodo per trovare le radici. Per quanto riguarda le radici razionali di un polinomio a coefficienti interi, abbiamo a disposizione un teorema che restringe notevolmente il campo, permettendoci di terminare la ricerca sostituendo a mano le potenziali radici e verificando che il polinomio si annulli. Teorema 3.2. Sia f (x) = an xn + · · · + a0 un polinomio a coefficienti interi. Allora le sue radici razionali sono della forma pq con p e q coprimi e p | a0 e q | an . Dimostrazione. Un lemma, la cui dimostrazione si rifà al lemma di Gauss,11 ci garantisce che se pq è una radice di f (x), allora f (x) è divisibile per qx − p, di conseguenza f (x) = g(x)(qx − p) per qualche polinomio g(x). Poiché l’uguaglianza tra due polinomi significa l’uguaglianza dei polinomi coefficiente per coefficiente, sappiamo che an = bq e che a0 = cp dove b e c sono rispettivamente il coefficiente di testa e il termine noto del polinomio g(x). 3.3 Fattorizzazione Il terzo argomento che affronteremo in questa sezione è la cosiddetta “fattorizzazione” di un polinomio. Essa è del tutto analoga alla fattorizzazione di un numero intero: si tratta semplicemente di scrivere un polinomio come prodotto di altri due (o più). Come accade per i numeri interi, esistono alcuni polinomi che non si possono fattorizzare se non in maniera banale, che vengono detti irriducibili. Il parallelismo con i numeri interi, purtroppo, finisce qui: se la fattorizzazione di un numero intero, per lo meno di dimensione contenuta, è un problema abbastanza semplice, individuare una fattorizzazione di un polinomio - o escluderne l’esistenza - può essere estremamente difficile, e altrettanto difficile è determinarne le eventuali radici. Se non si fosse convinti di questa 11 Vedi appendice 7 difficoltà, si provi a fattorizzare il polinomio (2) della prima sezione. Un veloce studio di funzione potrà assicurarci dell’esistenza di almeno una radice, ma in quanto a quale sia, è un problema di tutt’altra difficoltà. Riguardo all’esistenza di una fattorizzazione esistono però dei risultati che ci permettono di risolvere la questione, sebbene non ci permettano di trovare una fattorizzazione. Ad esempio, lo studio di funzione suggerito in precedenza per il polinomio (2) si può generalizzare nella seguente maniera: Proposizione 3.3. Sia f (x) un polinomio a coefficienti reali di grado dispari. Allora esso ha almeno una radice reale, e possiede quindi una fattorizzazione propria. Dimostrazione. Sia n il grado di f (x) e an il suo coefficiente di testa, ovvero quello del termine di grado massimo. Per risultati dell’analisi sappiamo che lim f (x) = lim an xn x→+∞ x→∞ (16) e similmente per x → −∞. Essendo n dispari i due limiti sono discordi, essendo inoltre f (x) continua, per il teorema della permanenza del segno si ha che esiste N tale che per x < N f (x) è sempre positivo (o negativo) mentre per x > N f (x) è sempre negativo (o positivo). Considerando allora f (N +1) e f (−N − 1) si ha che la funzione y = f (x) assume valore positivo in uno di essi e negativo nell’altro. Pertanto, per il teorema dei valori intermedi, la funzione assume il valore 0 per qualche α reale. Si ha che α è, per definizione, una radice di f (x). Di conseguenza il polinomio f (x) è divisibile per il polinomio x − α. Si noti che questo teorema non permette di trovare la radice in questione, ma ne assicura solo l’esistenza. Inoltre, avere il polinomio f (x) a coefficienti interi o razionali non garantisce nulla su α: si pensi come controesempio al solito x2 − 2. Il teorema che risolve il problema dell’esistenza di una fattorizzazione, pur non garantendo nulla riguardo all’esistenza di radici, è il seguente: Teorema 3.4. I soli polinomi irriducibili su R sono i polinomi di grado 1 e quelli di grado 2 con delta negativo. Questo teorema, la cui dimostrazione richiede tecniche più avanzate, ci assicura che i polinomi a noi già noti come “intrattabili”, ovvero i polinomi di secondo grado con discriminante negativo, sono gli unici polinomi irriducibili eccetto il caso banale di quelli di primo grado. Anche se, come vedrete in una delle successive lezioni di questo precorso, anche questi polinomi si fattorizzeranno, sebbene per farlo si dovranno addirittura introdurre nuovi numeri. 8 4 4.1 Appendice Un’ultima aggiunta Integriamo il discorso sulla fattorizzazione di polinomi con un risultato noto come “Lemma di Gauss” - la cui dimostrazione è decisamente complicata e verrà perciò omessa12 - ci viene in aiuto: Teorema 4.1 (Lemma di Gauss). Sia f (x) un polinomio a coefficienti interi tale che non esista un primo p che divida tutti i suoi coefficienti.13 Se esiste una fattorizzazione di f (x) tramite polinomi a coefficienti razionali allora esiste anche una fattorizzazione di f (x) tramite polinomi a coefficienti interi. Il lemma di Gauss ci risparmia la fatica di cercare fattorizzazioni “troppo strane” per un polinomio a coefficienti interi. Questo però non significa che le fattorizzazioni intere siano facili da trovare. In effetti l’aiuto che questo teorema ci dà è puramente teorico, perché per quanto sia più facile che cercare fattorizzazioni razionali, cercare fattorizzazioni intere è comunque un problema dalla soluzione, nella maggior parte dei casi, decisamente ostica. Nella dimostrazione di alcuni teoremi, però, sarà fondamentale poter considerare una fattorizzazione intera, per quanto nella pratica essa non si riesca comunque a trovare. 4.2 4.2.1 Dimostrazioni e precisazioni L’algoritmo di divisione dei polinomi Dedichiamoci ora al vero scopo di quest’appendice, ovvero tappare i buchi lasciati durante l’esposizione. Per cominciare, finiamo di dimostrare la validità dell’algoritmo da noi dato per la divisione tra polinomi. È necessario provare che, a tutti i passi, vale l’eguaglianza f (x) = r0 (x) = qi (x)g(x) + ri (x). Dimostriamolo per induzione: il passo base è ovvio, poiché r0 (x) = q0 (x)g(x) + r0 (x) per costruzione, essendo q0 (x) nullo e r0 (x) ovviamente uguale a sé stesso. Supponiamo che l’eguaglianza valga al passo i-esimo e mostriamo che vale al passo i + 1-esimo. Supponiamo valida l’eguaglianza r0 (x) = qi (x)g(x) + ri (x) 12 I lettori interessati potranno trovarne una dimostrazione con metodi elementari in http://it.wikipedia.org/wiki/Lemma di Gauss (polinomi) 13 Un polinomio siffatto viene in genere detto primitivo 9 Per definizione, ri+1 (x) = ri (x) − hi+1 (x)g(x) mentre qi+1 (x) = qi (x) + hi+1 (x). Pertanto, riscrivendo il secondo membro dell’uguaglianza (4.2.1) si ottiene r0 (x) = qi (x)g(x) + hi+1 (x)g(x) − hi+1 (x)g(x) + ri (x) = = [qi (x) + hi+1 (x)]g(x) + ri+1 (x) = qi+1 (x)g(x) + ri+1 (x) come volevasi dimostrare. 4.2.2 Radici e divisibilità Proposizione 4.2. Sia f (x) un polinomio e sia α un numero reale. Allora α è radice del polinomio f (x) se e solo se f (x) è divisibile per il polinomio x − α. Dimostrazione. Mostriamo semplicemente che il resto della divisione di f (x) per x − α) è f (α). È sufficiente verificarlo per un singolo monomio: se Pn i scriviamo il polinomio f (x) come somma di monomi f (x) = i=0 ai x e i poniamo ai x = qi (x)(x − α) + ri come da divisione euclidea, si ottiene che " n # n n X X X f (x) = [qi (x)(x − α) + ri ] = qi (x) (x − α) + ri i=0 i=0 i=0 e quindi il resto della somma non è altro che la somma dei resti. Sul singolo monomio lo dimostriamo per induzione sul grado. Il passo base è evidente: se f (x) = a0 allora f (x) = 0(x − α) + a0 , mentre f (α) = a0 e non c’è nulla da dimostrare. Supponiamolo vero per monomi di grado n e dimostriamolo per quelli di grado n+1. Sicuramente, per ogni a, axn+1 = axn (x−α)+aαxn . Per ipotesi induttiva, dividendo aαxn si ottiene a(α)n+1 , ovvero il monomio valutato in α. Poiché il resto della somma e la somma dei resti sono uguali e il resto di axn (x − α) è palesemente 0, si ha che il resto della divisione di axn+1 per (x − α) è a(α)n+1 , come volevasi dimostrare. 4.2.3 Polinomi e funzioni polinomiali Diamo un esempio di polinomi distinti con la medesima funzione polinomiale. Per farlo, ci serve introdurre gli anelli Zn , ovvero gli anelli delle classi di resto modulo n. Una essenziale (e non troppo precisa) descrizione di Zn potrebbe essere l’insieme dei numeri non negativi minori di n; su cui si definiscono somma e prodotto di due numeri come il resto della divisione della somma 10 (o del prodotto) usuale dei due numeri. L’esempio più classico è quello dell’orologio, per familiarizzare con Z12 : se sono le 11, tra tre ore saranno le 2, ovvero 11 + 3 = 14 = 12 ∗ 1 + 2 ⇒ 11 +Z12 3 = 2 Si lascia al lettore di verificare che quasi tutte le “normali” proprietà di somma e prodotto continuano a valere (commutativa, associativa, distributiva, elementi neutro e annullatore). Essendo definite somma e prodotto su di essi, si possono definire i polinomi a coefficienti in Zn con n qualunque. Ora, approfittando della finitezza di Zn , potremmo definire Q su di esso il polinomio (x − 0)(x − 1)(x − 2)(x − 3) . . . (x − (n − 1)) = n−1 i=0 (x − i). Questo polinomio (prodotto di polinomi a coefficienti in un anello è ancora un polinomio a coefficienti nel medesimo) è nullo su ogni elemento di Zn , com’è evidente dalla scrittura che ne abbiamo dato. Eppure, essendo di grado n (il coefficiente di testa è 1) è diverso dal polinomio nullo. Le rispettive funzioni polinomiali invece coincidono, come appena osservato. 11