IL TEATRO
La parola "teatro" voleva dire in greco "guardare con attenzione",
infatti,il testo scritto non poteva essere letto ma solo ascoltato e visto
rappresentato in una scena teatrale.
I testi scritti teatrali costituivano la letteratura drammatica, che in greco
voleva dire "di azione", in riferimento all'agire in scena degli attori. Le
principali forme del "dramma" erano la tragedia e la commedie.
Nella tragedia gli eventi riguardavano personaggi illustri e/o mitologici e
si concludevano con una catastrofe (omicidio, suicidio...). Gli argomenti
trattati erano molteplici e in genere si ponevano come fine il rispetto
delle istituzioni, del destino, della religione... Gli attori generalmente
erano tre e usavano le maschere, interpretando più personaggi. Esisteva
poi un coro, attraverso cui l'autore della tragedia parlava al pubblico.
Gli autori più significativi sono stati Eschilo, Sofocle, Euripide (Seneca in
area latina).
Commedia in greco vuol dire "gioia condivisa con altri". Qui infatti i
protagonisti non sono né i nobili né gli eroi mitologici, ma la gente
comune. Le situazioni sono quelle della vita quotidiana. Il linguaggio è
medio-basso e il finale è sempre lieto. La caratterizzazione dei
personaggi avviene per tipi fissi (il giovane vagabondo sempre
innamorato, il padre avaro, lo schiavo furbo ecc.).
Anche questo genere teatrale nasce in Grecia, dove gli autori principali
sono Aristofane e Menandro (in area latina Plauto e Terenzio).
Nel Medioevo il dramma si esprimeva nelle rappresentazioni religiose di
episodi del Vecchio e Nuovo Testamento. Ma vi sono anche giullari e
saltimbanchi, di piazza e di corte.
L'attore protagonista del teatro medievale è il giullare, che agisce in pubblico
(strade, piazze, corti signorili...), non essendo ancora presente un apposito
edificio teatrale.
Il giullare sa fare di tutto: suonare, cantare, ballare, recitare, imitare,
raccontare storie, fare giochi divertenti e acrobatici, contorsionismi e altro
ancora. Fa queste cose da solo o in gruppo, senza differenze di sesso o di età.
A causa della sua parodia-ironia-sarcasmo, ma anche a causa del fatto che
trasforma il proprio corpo, finge (come tutti gli attori), non ha fissa dimora,
frequenta luoghi poco convenienti e non tiene in considerazione la fede
religiosa, è costantemente attaccato dalla chiesa. Proprio per il suo ateismo di
fatto è visto come un folle, un perverso, un immoral
All'opposto della tradizione teatrale del giullare vi è quella del dramma
liturgico, dove viene trattato un soggetto sacro, per lo più in forma canora
(cori maschili e femminili) e con strumenti musicali, generalmente composto in
versi latini, collocato in edifici preposti al culto, possibilmente all'interno di una
funzione liturgica o comunque entro un rito sacro, che dagli spettatori venga
vissuto come autentico, non come una finzione scenica.
Nel Rinascimento le tragedie tornano al modello classico, rispettando i precetti
che Aristotele aveva indicato nella sua Poetica: le unità di tempo luogo azione
(la vicenda doveva limitarsi a un'unica situazione, accaduta in uno stesso luogo
e nell'ambito delle 24 ore). I temi mitologici vennero sostituiti con quelli storici
o psicologici degli eroi nobili colpiti da sventure.
In Italia mancò un autentico autore tragico. Il teatro fu più un'esercitazione di
letterati che creazione di artisti. Il primo esempio di tragedia in lingua volgare
viene offerto da Giangiorgio Trissino (1478-1550), con la sua Sofonisba, che è
ineccepibile sotto il profilo del rigore stilistico ma fredda e priva di forza
drammatica.
Sulle orme dei tragici greci si posero Ruscellai, Cinzio e Speroni, concedendo
ampio spazio al macabro, alle passioni sfrenate, all'orrido. Più equilibrata è
l'Orazia dell'Aretino.
Il teatro rinascimentale è anche dramma pastorale, i cui elementi costitutivi
sono la fuga dalla realtà, percepita come troppo angosciosa, il miraggio di un
mondo ideale, il malinconico senso della fugacità della vita, cui si cerca di
opporre una gioia di vivere un po' forzosa. Gli autori principali sono Tasso
(l'Aminta), Beccari e Guarini.
Nel Seicento si sviluppano due filoni tragici in Europa: quello legato al mondo
classico (in cui si rispettano le unità aristoteliche, le regole compositive, la
costruzione razionale dell'intreccio e della psicologia dei personaggi). Gli autori
principali sono Pierre Corneille (1606-84) e Jean Racine (1639-99); e quello
poco legato al mondo classico, o perché troppo religioso (come in Spagna), o
perché rifiuta le regole aristoteliche e si collega a temi storici (come quello
inglese di Christopher Marlowe e di William Shakespeare).
Nel Settecento la tragedia sopravvive in Italia con l'Alfieri, dove la figura
principale è quella del tiranno. Nell'Ottocento i romantici tedeschi (Sturm und
Drang) e il milanese Manzoni si rifanno a Shakespeare, per cui rifiutano le
unità aristoteliche, usano il coro riservato all'autore, prediligono il realismo ecc.
CARATTERISTICHE SUL TESTO TEATRALE
In un testo teatrale, i personaggi hanno senza dubbio un ruolo di fondamentale
importanza: in totale assenza di un narratore che agevoli loro il compito, essi
devono raccontare e sviluppare la vicenda rappresentata attraverso le proprie
parole e le proprie azioni.
A partire dal ruolo che ciascuno di essi svolge, è possibile individuare, come nel
romanzo o nella novella, un protagonista, che è il personaggio principale, quello
intorno al quale ruota l’intera vicenda, dei personaggi secondari, che avranno, a
seconda dei casi, la funzione di aiutanti o di antagonisti, e delle
semplici comparse, che pronunceranno pochissime battute o saranno addirittura
“mute”.
Il testo teatrale si divide generalmente in atti e scene. Gli atti sono, in
sostanza, le diverse parti in cui è articolato il testo. Il loro numero varia in base
al genere drammatico. Ciascun atto viene poi suddiviso in scene, che cambiano a
seconda dell’entrata o dell’uscita di uno o più personaggi; il loro numero può
variare a piacimento dell’autore.
Dal punto di vista letterario, gli elementi fondamentali del testo teatrale sono
due: le didascalie (dal greco didascalia, «istruzione») e le battute di dialogo.
Le didascalie sono, in sostanza, delle sintetiche indicazioni che l’autore fornisce
sul luogo e il tempo in cui si sviluppa la vicenda o sul modo in cui i personaggi
entrano oppure escono dalla scena, si muovono, sono vestiti, parlano. Sul testo
sono generalmente stampate in corsivo o poste tra parentesi se si intervallano
alle battute. Pur nei riconosciuti limiti di estensione, la lunghezza delle
didascalie può variare da poche parole a periodi più lunghi e dettagliati.
Colonna portante del testo teatrale sono, invece, le battute di dialogo che
occupano la quasi totalità del testo stesso. Alle parole dei personaggi, infatti, è
affidato lo svolgersi integrale dell’intera vicenda: il racconto dei fatti presenti e
passati, la delineazione del carattere e dei sentimenti dei singoli personaggi, gli
avvenimenti non rappresentati direttamente in scena.
In base al numero di persone che pronunciano le battute e alla maniera in cui
esse vengono pronunciate, è possibile distinguere vari tipi di battute di dialogo:








dialogo: rappresenta, senza dubbio, il tipo di battuta più frequente e si
realizza tra due personaggi che si alternano a parlare;
concertato: è un dialogo tra tre o più personaggi;
duetto: indicato più comunemente con l’espressione «botta e risposta», è un
dialogo dall’andamento incalzante e serrato che si svolge tra due personaggi;
soliloquio: è il “pensiero” del personaggio che, rimasto solo sulla scena,
espone ad alta voce le proprie idee perché il pubblico possa venirne a
conoscenza;
monologo: è ancora la riflessione intima del personaggio che questa volta non
è solo, ma appartato sulla scena e si rivolge direttamente al pubblico;
tirata: è, solitamente, un discorso relativo a qualcosa di importante circa fatti
avvenuti in passato o a commenti di determinati eventi o azioni e per recitare
il quale il personaggio chiede esplicitamente che si faccia silenzio;
a parte: è un commento (segnalato sul testo da una didascalia e posto fra
parentesi) che il personaggio fa sull’argomento trattato, estraniandosi per un
momento dalla rappresentazione stessa e rivolgendosi solo allo spettatore;
fuori campo: sono delle battute affidate a un personaggio non direttamente
coinvolto nell’azione scenica, ma incaricato di intervenire “fuori scena” a
interloquire con i personaggi o a commentare la vicenda in atto.
OPERA TEATRALE
Testo usato e abusato, “La Locandiera”, oggetto di un’ infinità di
messe in scena, a opera di teatranti di ieri e di oggi, amatori e professionisti, che
ci hanno consegnato un universo di Mirandoline: una ricchissima galleria per
comporre quell’enciclopedia del femminile che permea tutto il teatro goldoniano.
Lo spettacolo di ARCOBALENO TEATRO è lontano dagli stereotipi e parte dalla
rilettura dell’ illuminante presentazione dell’autore a chi legge, il quale riteneva
questa commedia , scritta nel 1753, solo pochi anni dopo la difficile attuazione
della riforma, “... la più morale, la più utile, la più istruttiva”, grazie alla figura
della sua protagonista, donna “... più lusinghiera, più pericolosa” mai descritta,
esempio perfetto di “...barbara crudeltà”, di queste “...incantatrici sirene”.
Pensando al significato di questa lezione che Goldoni intese offrire,quasi un
esempio di teatro pedagogico, ma al contrario di come è stato considerato nella
maggioranza degli allestimenti, è stata riletta la figura della protagonista.
Occorre far tesoro della lezione impartita, per non comportarsi come
Mirandolina, che con disprezzo e crudeltà gioca d’azzardo coi sentimenti del
Cavaliere, vinto dalle sue trame scaltre e ardite, unico tra i personaggi della
commedia a cambiare in nome del nuovo sentimento e a partire, a lasciare quella
locanda, microcosmo di un’umanità meschina, avara di sentimenti, avida di
denaro, tutta volta al conseguimento del profitto come unico valore.
E nella locanda è stata intravista allora, un’altra locanda, allusiva al palco
teatrale e al suo gioco di illusioni capaci di incantare e ingannare gli uominispettatori.
La recita della commedia diventa quasi una lezione di teatro rivolta a una giovane
interprete di domani, discepola di una Mirandolina che usa il testo goldoniano,
restituito con fedeltà, come un percorso di formazione al palcoscenico e alla vita
MARINOTTI GIOVANNI E GIANMARCO ANNESE