l`articolo in pdf - Il rasoio di Occam

Roberta De Monticelli
L’Essere in guerra con l’ente. Heidegger, la questione dei “Quaderni neri” e la
cosiddetta “Italian Theory”
Perché la maggior parte della intelligentsia italiana di sinistra continua a considerare Heidegger
come il principale crocevia per comprendere la modernità? La compromissione di Heidegger con il
nazismo non affonda le radici nel suo pensiero filosofico? Perché il profondo antiliberalismo del
pensiero heideggeriano continua ad affascinare i maggiori rappresentanti di ciò che è stato chiamato
“Italian Theory”? La pubblicazione dei Quaderni neri e le più recenti ricerche a riguardo aiutano a
rispondere a questi quesiti.
Tags: Heidegger, Quaderni neri, nazismo, antisemitismo, essere
La pubblicazione, ancora in corso, dei Quaderni neri continua ad alimentare in tutta Europa
un dibattito forse non solo mediatico sulla questione del nesso fra il pensiero di Heidegger e la sua
adesione, mai revocata né da lui commentata, al nazismo. Una questione che sopravvive ai fiumi di
inchiostro versati, per una ragione molto semplice: non è soltanto Heidegger in questione, né
soltanto la sua eredità, con cinquant’anni di dominio quasi incontrastato nell’accademia e perfino
nell’insegnamento scolastico della filosofia nell’Europa continentale, soprattutto neolatina.
In questione è la natura stessa della filosofia, se possiamo assumerne a paradigma Socrate e
contemporaneamente chiamare “filosofia” la più esplicita negazione dello spirito socratico, fino
all’ultima conseguenza, che è l’indifferenza alle distinzioni (fra il vero e il falso, il nobile e
l’ignobile, la vittima e il carnefice). Un’indifferenza in cui molti, specie fra i più giovani, vedono
invece una “filosofica” impassibilità. Abituati come sono dai loro maestri a chiamare “moralismo”
le distinzioni morali, e “violenza” quelle logiche.
Questa riflessione prende le mosse dal recente libro – esso stesso al centro di molte
polemiche – di Donatella Di Cesare1, e può considerarsi un commento carico di interrogativi alla
frase che ne condensa la tesi centrale e il senso ultimo:
“Il pensiero più elevato si è prestato all’orrore più abissale” (2014, 3)
Questa riflessione si articola in tre punti. Il primo e il secondo si riferiscono rispettivamente
all’accezione più ristretta de “il pensiero più elevato” (che sarebbe quello Heidegger) e a quella più
lata (la tradizione filosofica occidentale), sollevando rispettivamente la questione I) di questa
“elevatezza” e II) della legittimità di una chiamata di correo della tradizione filosofica (antica e)
moderna. Il terzo, la pars construens, fornisce un criterio di distinzione della filosofia dalla sofistica
e argomenta che Heidegger è – dal punto di vista della filosofia – peggio che un nazista o un
antisemita: è un sofista.
I.
Nazismo e antisemitismo. I tre moduli dello heideggerese
1
D. Di Cesare (2014) Heidegger e gli ebrei. I «Quaderni neri», Bollati Boringhieri 2014. Se ne veda un’ ampia
recensione a cura di Stefano Cardini: L’antisemitismo metafisico nell’ombra dell’Essere. Heidegger e gli ebrei alla luce
dei Quaderni neri, http://www.phenomenologylab.eu/index.php/2014/11/heidegger-quaderni-neri-di-cesare/. La stessa
Di Cesare, forse anche in qualità di vice-presidente della “Martin Heidegger Gesellschaft”, è tornata a più riprese in
interventi pubblici sul tema di un antisemitismo metafisico che lungi dall’essere una peculiarità di Heidegger sarebbe il
basso continuo dell’intera filosofia tedesca (e non solo di quella, l’autrice non dimentica naturalmente di ricordarci
Shakespeare e Lutero), e in particolare di quella kantiana.
1
In un suo articolo del 19882 Jeanne Hersch, la cui analisi del nazismo di Heidegger in quanto
radicato nel suo pensiero è ancora la più limpida e articolata che io conosca, aveva relativizzato
l’antisemitismo di Heidegger.
La sua tesi è infatti che l’antisemitismo non sarebbe di per sé ragione sufficiente di adesione
al nazismo, in quanto: 1) il nazismo non si riduce all’antisemitismo 2) ci sono nel pensiero di H.
ragioni ancora più consistenti di adesione al nazismo.
Su entrambi i punti 1) e 2) si può continuare a concordare con Hersch – e vedremo quali
sono le ragioni più consistenti, radicate nel pensiero di Heidegger; ricordiamo che circa
quarant’anni fa Hersch aveva definito il pensiero di Heidegger “dittatoriale” (come Löwith) e
“irresponsabile”.
Ma Hersch ha un secondo punto: e cioè che sull’antisemitismo di Heidegger si può anche
dar ragione alla pletora dei suoi difensori, che pretendevano Heidegger non fosse personalmente
antisemita. E’ vero che Hersch ricorda che
“Heidegger non è stato antisemita come non lo sono molti non-ebrei di stampo corrente che
tuttavia non sono neppure anti-antisemiti. Heidegger non è stato abbastanza anti-antisemita perché
l’antisemitismo del nazional-socialismo costituisse un ostacolo sufficiente alla sua adesione; e non
lo è stato neppure abbastanza da impedirgli – quando le persecuzioni erano in corso - di affibbiare il
termine “ebreo” a questo o quel collega, al quale voleva nuocere” (2004, 2)
Fu anche un miserabile delatore, Heidegger, e si sa quale era il rischio cui mise alcune vite,
a parte il famoso tradimento di Husserl. A questo proposito ci sarebbero da ricordare parecchi nomi:
Baumgarten, Hönigswald, Marck, Heinemann3…..
Ma sul secondo punto Donatella Di Cesare e i Quaderni neri hanno definitivamente
dimostrato che Jeanne Hersch era stata eccessivamente indulgente. Altro che non antiantisemitismo!
Partiamo quindi dalla questione dell’antisemitismo. Donatella Di Cesare ha dimostrato due
cose:
1) Che certamente un anti-semitismo, non biologico-razziale ma “metafisico”, è essenziale
al pensiero heideggeriano;
2) Che questo anti-semitismo metafisico è inscindibile dalla lettura heideggeriana della
modernità (gli ebrei sono infatti “gli agenti della modernità”).
Nel seguito di questa sezione estrarrò da alcune citazioni dai Quaderni neri tre moduli di
linguaggio heideggeriano, che riassumono il suo pensiero (o per lo meno la sua parte più nota e
divulgata nei cinquant’anni successivi al ’45).
1. Primo modulo: lo sradicamento
2
J. Hersch (1988), tr. it. (2004), Il dibattito su Heidegger: la posta in gioco, in R. Ascarelli, ed., Oltre la
persecuzione, Carocci, Roma, ora reperibile anche su http://www.phenomenologylab.eu/index.php/2015/03/heideggerhersch/. Da vedere anche R. Klibansky (1991), L’Université allemande dans les années trente (Notes
autobiographiques), in « Revue de la société de philosophie du Québec », pp. 139-158. Ho riassunto e ripreso le tesi di
questi due testimoni oculari in De Monticelli (2004), Il vuoto dentro. Jeanne Hersch e il dibattito su Heidegger e il
nazismo, in: R. Ascarelli (a c.di) Donne, memoria, ebraismo, Carocci, Roma, ora disponibile online su Academia.edu.
3
Ne parla E. Faye (2012), Heidegger - L’introduzione del nazismo nella filosofia, L’Asino d’oro, pp.
52, 67, 465. Si veda anche G. Piana, citato in http://www.phenomenologylab.eu/index.php/2014/01/heidegger-il-vatedelatore/ (Il volume di Giovanni Piana, Conversazioni su “La crisi delle scienze europee” di Husserl, è reperibile
presso Lulu.com all’indirizzo:
http://www.lulu.com/shop/giovanni-piana/conversazioni-sulla-crisi-delle-scienze-europee-dihusserl/paperback/product-21316384.html)
2
Ecco uno dei passaggi dei Quaderni neri che Donatella Di Cesare ha reso più famosi:
“La questione riguardante il ruolo dell’ebraismo mondiale [Weltjudentum] non è una
questione razziale [rassisch], bensì la questione metafisica [metaphysisch] su quella specie di
umanità che, essendo per eccellenza svincolata, potrà fare dello sradicamento di ogni ente
dall’essere il proprio “compito” nella storia del mondo»4.
Il primo modulo dunque è “lo sradicamento di ogni ente dall’essere”.
Ora, Heidegger ha ragione: prendiamo un bel caso di ebreo sradicatore, Edmund Husserl. E’
una pagina da Tipi ideali di cultura, (1923), tr. it. L’idea d’Europa)5.
Il contesto è quello di una riflessione sull’universalità dei giudizi ben fondati – anche quelli
di semplice esperienza – che costituiscono acquisizioni per tutti:
“I giudizi motivati sulla base delle cose hanno validità oggettiva, ossia intersoggettiva, nel
senso che quello che vedo io può vederlo chiunque; al di là di tutte le differenze fra individui,
nazioni, tradizioni, quali che siano, in vigore e profondamente radicate, stanno le comunanze, che
sono il titolo di un mondo comune di cose, che è costituito da esperienze interscambiabili, così che
tutti possono intendersi con tutti, possono ricorrere alle stesse cose vedute. E dapprima riferito a
queste e poi proseguendo oltre si schiude un regno di verità, che ognuno può portare alla propria
vista, che ognuno vedendolo può realizzare in sé, da qualsiasi cerchia culturale provenga, amico o
nemico, greco o barbaro, figlio del popolo di Dio o Dio dei popoli nemici”6.
Ecco qui all’opera l’ebreo errante che sradica.
Traduciamo ora queste piane parole husserliane in heideggerese – la stessa Donatella Di
Cesare ci aiuta egregiamente a farlo.
Questa pagina è indubbiamente una descrizione e un elogio dell’evidenza, della
“oggettualità” di ciò che è dato e universalmente accessibile.
Ecco qui, colto in flagrante, il peccato di oblio dell’Essere, l’elogio dell’evidenza, “il
predominio dell’ente che sbarra l’accesso all’essere, ridotto a “semplice presenza”, “sprecato in una
quantità di concetti privi di radici”7.
2. Secondo modulo: l’oblio dell’Essere
La riduzione dell’Essere all’ente, ovvero l’oblio dell’Essere, questo è il secondo modulo
heideggerese.
Qui però c’è un’altra cosa che non deve sfuggire. Husserl insiste sullo sradicamento, non
solo e non tanto in relazione all’evidenza universale dei giudizi di fatto, ma anche e soprattutto in
relazione alla ricerca di evidenza per i giudizi di valore: perché accade che, continua,
“le motivazioni provenienti dall’esperienza e in generale dall’evidenza della cosa si
mescolano con motivazioni di minor valore, con quelle che sono così profondamente radicate nella
personalità che già il loro metterle in dubbio minaccia di “sradicare” la personalità stessa, la
4
QN Riflessioni XIV, all’indomani dell’offensiva tedesca a est, annunciata da Hitler il 22 giugno 1941; DDC
101.
5
E. Husserl (1923), tr. it. L’idea di Europa (Cinque saggi sul rinnovamento), trad. it. C. Sinigaglia, Cortina,
Milano 1999, pp. 71-110
6
Husserl (1923), trad. it. L’idea d’Europa, cit., p. 91, corsivo nostro.
7
Di Cesare (2014), p. 100
3
quale ritiene di non poter rinunciare a loro senza rinunciare a se stessa – cosa che può portare a
violente reazioni d’animo”8.
Il bello è che Husserl sta parlando di qualunque tipo di ricerca cognitiva, compresa quella
morale, giuridica, politica: sta semplicemente variando sul tema del “sapere aude”- con una nuova
e sofferta consapevolezza di quanto sia difficile il passaggio alla maggiore età: dalle care certezze
della comunità d’appartenenza all’autonomia del pensiero adulto, quando uno scopre il “minor
valore” delle motivazioni cui aderiva con tutto il cuore, ma che non sono giuste.
Ecco come Husserl ribadisce il concetto dello sradicamento:
“Il pensiero non è giusto perché io o noi, per come siamo, non possiamo non pensare in
questo modo; semmai, solo se un pensiero è giusto, è giusto anche il nostro pensare, e noi stessi
siamo giusti”9.
Insiste, dunque, spietato:
“E non importa che piaccia o meno a me o ai miei compagni, che ci colpisca tutti “alla
radice”: la radice non serve”10.
3. Terzo modulo: la macchinazione
Ora che sappiamo in cosa consiste la “malessenza” dello “sradicamento” (anzi del giudeo
errante e sradicante) possiamo ritrovare dentro un altro grumo di fango nero il terzo moduletto di
questo linguaggio: la macchinazione. Ecco:
“Il mio “attacco” a Husserl è diretto non solo contro di lui, il che lo renderebbe inessenziale
– l’attacco è diretto contro l’omissione della questione dell’Essere, cioè contro l’essenza della
metafisica come tale, sulla cui base la macchinazione dell’ente riesce a determinare la storia”11.
“La Machenschft, il Wesen, l’essenza della metafisica”, ci ricorda Donatella Di Cesare:
“la macchinazione che tenta di occultare il corso della storia imponendo il predominio
dell’ente e occultando l’Essere”12.
Questo è veramente, di tutti i moduletti, il più passepartout che ci sia, anche perché dà
espressione a una nostra pulsione profonda, sempre latente anche quando evita l’esplosione
paranoica: c’è una potenza “macchinatrice” che ha colpa di tutto, e più genericamente è descritta,
più tranquilli siamo noi, amici dell’Essere, filosofi che contemplano l’Essenza del Nichilismo, il
Destino dell’Occidente o della Necessità, la Tecnica, il Capitalismo o la Finanza, tutti i volti della
Metafisica, insomma, e qualcuno ce ne sarà sfuggito. Il Neoliberismo, forse.
Quella volta, però, il pastore dell’Essere non rimase tranquillo, e andò all’appuntamento col
Destino dell’Occidente (o meglio, specificamente, con “l’intima grandezza del
8
9
10
11
Ibid., p.92, corsivo nostro.
Ibid., p. 92
Ibid., p. 92, corsivo nostro.
Heidegger (1939-41), Ueberlegungen XII-XV, Schwartze Hefte pp. 46-47, cit. da Di Cersare (2014), cit., p.
154
12
Ibid., p. 154
4
Nazionalsocialismo”, pronto all’“incontro tra la tecnica planetaria e l’uomo moderno”13), a
braccetto di Hitler, contro il Nemico che è “la malessenza dell’ente”.
Come ci spiega la nostra guida:
“La guerra mondiale viene letta attraverso la differenza ontologica e si rivela, perciò, la
guerra dell’Essere contro l’ente”14.
Cosa possiamo ricavare da questo delirio? Non c’è dubbio: i tre moduli ricombinati insieme
danno l’essenziale del “pensiero” di Heidegger. O per lo meno, questa è la nostra tesi. Come scrive
un altro studioso:
“Ma in verità tutti i tratti fondamentali ascritti al giudaismo si attagliano perfettamente al
processo di oblio dell’essere, così come tratteggiato da Heidegger in celebri analisi. Lo
sradicamento, la mancanza di fondamento e l’atteggiamento strumentale nei confronti di ogni cosa
sono tratti essenziali dell’oblio dell’essere a favore dell’ente, ovvero della riduzione di tutto ciò che
è a mero oggetto scientifico o cosa disponibile”15.
Questa analisi mostra quali sono i riferimenti intuitivi di questo linguaggio, che da allora
infiniti epigoni ripetono, con i tre moduli: lo sradicamento dall’Essere, l’oggettivazione (la
metafisica e la sua storia!) con relativa disponibilità di ogni cosa ottenuta attraverso la scienzatecnica, la macchinazione in cui la modernità si dispiega (per mano del capitalismo giudaico
internazionale, i banchieri etc.).
Alla nostra tesi segue una prima domanda per Donatella Di Cesare, ricordando la frase
citata: “Il pensiero più elevato si è prestato all’orrore più abissale”.
Ma che cosa ci sarà di “elevato”?
Perché: come si può considerare “elevata” l’idiozia etno-metafisica dell’ebraismo
sradicatore? Come risulta bene dal passaggio di Husserl, Heidegger imputa a questo “sradicatore”
quella che è per Husserl la gloria di Socrate: la vita esaminata, il vaglio critico delle tradizioni e
culture d’appartenenza.
Ma non sembra molto più elevata l’idea di incolpare l’Ebreo Metafisico di essere l’agente
della modernità, che è il bersaglio di tutt’e tre i moduletti: e modernità – in filosofia - vuol dire
l’Illuminismo, il principio kantiano di autonomia morale della persona, l’universalismo morale, il
cosmopolitismo politico, la scienza e la democrazia.
Qui viene opportuna la pagina di Hersch che riassume l’altra lettura del nazismo di
Heidegger. Una lettura che distingue, anzi fortemente separa, la “modernità” e il “destino
dell’Occidente”, la ragion pratica e Auschwitz, l’Illuminismo e il nazismo. Con buona pace di
Adorno-Horkheimer, e della loro oscura Dialettica del’Illuminismo.
Nel cuore del pensiero di H., scrive J. Hersch, troviamo
“Un disprezzo ardente, appassionato, ossessivo, per tutto ciò che è comune, medio e
generalmente ammesso; per il senso comune, per la razionalità, per le istituzioni, per le regole, per il
diritto, per tutto quello che gli uomini hanno inventato, nello spazio in cui devono convivere, al fine
di confrontare i loro pensieri e le loro volontà, di dominare la loro natura selvaggia, di attenuare il
regno della forza. Assoluto disprezzo dunque, per la civiltà occidentale, cristallizzata in tre
direzioni: la democrazia, la scienza, la tecnica; - per tutto ciò che, generato dallo spirito
13
L’espressione si trova (fra l’altro) nei Seminari ’34-’35, che hanno dato nuovo materiale alla ricerca di E.
Faye, (2007) Heidegger. L’introduzione del nazismo nella filosofia, L’asino d’oro. L’abbiamo ritrovata nel delizioso
romanzo di Josè Pablo Feinmann, L’ombra di Heidegger, Neri Pozza Editore 2007, p. 99.
14
Di Cesare (2014), p. 98
15
Zhock (2014), La deludente verità dell’antisemitismo di Heidegger, http://mimesis-scenari.it/2015/01/09/ladeludente-verita-dellantisemitismo-di-heidegger/
5
dell’Illuminismo, fa assegnamento su ciò che può esserci di universale nel senso di Cartesio, in tutti
gli esseri umani. Tutto questo è vuoto. La democrazia è vuota”. (Hersch 2004, 3)
II. Antisemitismo e filosofia. La chiamata di correo della “metafisica”
“Il pensiero più elevato si è prestato all’orrore più abissale”.
La portata della tesi di Donatella Di Cesare vuol essere enormemente più vasta. E’ tutta la
tradizione filosofica “occidentale”, è appunto ciò che Heidegger chiama “la metafisica”, che deve
venir coinvolta insieme con Heidegger in una riflessione sulla Shoah.
“Perché la Shoah non è solo una questione storica, ma è una questione filosofica che
coinvolge direttamente la filosofia. Le responsabilità di una lunga tradizione di pensiero devono
essere ancora accertate e discusse”16.
Immediate sono le questioni che si pongono:
1. Su quale base possiamo dire che questa “lunga tradizione di pensiero” è in qualche senso
connessa al nazismo? Non era Heidegger, il nazista, e non era Husserl, l’ebreo sradicatore, culmine
del pensiero della metafisica? Questi due non erano in guerra?
2. Una risposta è: possiamo dirlo appunto perché Husserl e la metafisica sono la modernità,
cioè perché leggiamo la filosofia pre-heideggeriana con gli occhi di Heidegger.
3. Ma qui c’è un buco: perché per Heidegger metafisica implica Oblio dell’Essere, Ente,
modernità; ma Hitler non era l’Essere in guerra con l’Ente, contro la modernità?
Quindi occorre un altro passaggio per riempire il gap: e cioè
4. Modernità, Illuminismo, Ragione, significano Scienza, Tecnica, Industria. E “dunque”
conducono all’industria della morte, alla scienza dello sterminio, alla tecnica dell’erogazione di gas.
Per l’ultimo passo (di stringente consequenzialità logica, come si può vedere) dobbiamo in
effetti saltare dallo Heidegger di prima a quello di dopo la sconfitta nazista. Che non rinnega il
nazismo, ma adesso dice che è colpa della modernità, dell’industria, della tecnica! Che era il
nazismo, il destino della modernità!
Nel ’45 infatti Heidegger, che aveva pur cantato le lodi dell’attacco motorizzato alla Francia,
cioè dello slancio metafisico della nuova umanità capace di coltivare la propria razza con la tecnica,
improvvisamente paragona l’agricoltura meccanizzata industriale con la fabbricazione di cadaveri
nei campi di concentramento17.
Di Cesare quasi-cita Heidegger:
“Ma lo sterminio è stato senza precedenti anche perché non era mai avvenuto che si
uccidesse in una catena di montaggio. Il processo di industrializzazione della morte, che assunse la
precisione quasi rituale della tecnica, trovò nell’uso del gas un cambiamento di qualità”18.
Ma qual è il senso di questo ultimo punto – l’equazione di Illuminismo/nazismo o Modernità
/sterminio? Esattamente quello enucleato dalla tesi più scioccante di Heidegger: gli ebrei – gli
agenti della Modernità si sono auto-annientati!
16
17
18
Di Cesare, “Shoah, ecco l’anno nero di Heidegger”, “Corriere della Sera”, 9/02/2015
Faye (2012), 79, 27.
“Corriere della sera” 9/02/2015, art. cit.
6
“Selbstvernichtung, autoannientamento, è la parola chiave: gli ebrei si sarebbero
autoannientati. Nessuno potrebbe allora essere chiamato in causa, se non gli ebrei stessi. Già nei
quaderni del 1940 e del 1941, quando viene avanzata l’esigenza di una “purificazione dell’Essere”,
fa la sua inquietante comparsa il termine ‘autoannientamento’” 19.
Ho riletto più e più volte quel passo, apparso su un grande quotidiano, nella speranza che mi
fosse sfuggito un commento non assolutorio, almeno su questo. Macché.
“Rigoroso e coerente, Heidegger non fa che trarre la conclusione di ciò che ha detto in
precedenza. Gli ebrei sono agenti della modernità: hanno diffuso i mali…complici della Metafisica,
hanno portato ovunque l’accelerazione della tecnica. L’accusa non potrebbe essere più grave”.
Qui le cose però si fanno serie. Se avessimo un po’ di sense of humour ci verrebbe da
commentare che in tempi di patti e compromessi fra ex avversari politici, perché no: immaginare
una specie di kafkiana chiamata di correo, da parte del carnefice e calunniatore della ragione etica e
di quella logica, delle sue vittime già calunniate, è una trovata.
E invece non lo trovo umoristico, questo, ma rivoltante. La domanda per Donatella Di
Cesare è dunque: E’ antisemita e nazista o non lo è, Heidegger?
Se non lo è, non sappiamo di cosa si stia parlando.
Ma se lo è, nel senso preciso che i suoi moduli di pensiero sono inseparabili da questo
antisemitismo metafisico e da questo nazismo, come è possibile utilizzare esattamente la stessa
“logica” senza consegnarsi appunto a un pensiero capace di legittimare la più orrenda nefandezza?
Non c’è verso: se sono loro gli agenti della modernità, e se la modernità conduce ai campi di
sterminio, allora gli ebrei si sono auto-annientati.
In conclusione: come è possibile unirsi a Heidegger proprio nel gesto più osceno, che è
quello di rigettare la colpa di Hitler e propria sulle sue vittime?
Ma se di questo gesto osceno si prova orrore più ancora che del nazismo e
dell’antisemitismo, c’è forse ragione, dopo aver dimostrato l’intrinsecità del’antisemitismo e del
nazismo al pensiero di Heidegger, di chiamare “giustizialista” e “totalitario”20 chi invece si rifiuta
di equiparare Kant e Husserl a Heidegger? Infine, resta qualche ragione per non “prendere
posizione”? Tutta la vita è prendere posizione – ma si può farlo in modo più o meno fondato.
Davvero non ci sono buone ragioni per giudicare moralmente ignobile e intellettualmente ridicola la
posizione di Heidegger?
Ma soprattutto, come si fa, infine, a giudicare Heidegger
“un naufrago che attraversa la notte del mondo, rischiarata da profondi sguardi filosofici e
potenti visioni escatologiche”?21.
Un naufrago! Non l’ignobile delatore che fu22, non colui che mise a rischio la vita di alcuni,
non il traditore della fiducia dell’antico maestro, e neppure l’autore della vergognosa uscita (che
19
Di Cesare, “Heidegger: ‘Gli ebrei si sono auto-annientati’”, “Corriere della Sera”, 8/02/2015. E infatti,
nell’articolo già citato del giorno successivo, l’autrice non lesina critiche al povero Günter Figal, che sotto lo choc della
pubblicazione dei Quaderni neri, si è dimesso dalla carica di Presidente della Società Martin Heidegger.
20
Di Cesare (2014): si può essere presi “dalla pulsione giustizialista” (p. 17); oppure da “un mediocre
revanscismo e una forte pulsione reazionaria” (p.18) : in tal modo si “depotenzia la filosofia di Heidegger nella sua
carica rivoluzionaria” (p. 28), e ci si attesta “integralisti”, sia pure del “liberalismo”.
21
Di Cesare (2014), p. vii
22
Numerosi documenti sulla sua attività in questo senso si trovano in Faye (2007); da Di Cesare (2014)
possiamo citarne uno, la lettera di denuncia di Richard Hönigswald, “che ha sostenuto una filosofia tagliata su misura
per il liberalismo”, con il quale “l’attenzione viene sviata dall’uomo nel suo radicamento storico e in quella sua
tradizione di popolo che proviene da suolo e sangue. A ciò si è accompagnato un consapevole rifiuto di ogni interrogare
metafisico” (ibid. p. 95). Pare, ci fa notare l’autrice, che Heidegger stesso aspirasse a quella cattedra a Monaco, “per
7
egli stesso ha deciso di rendere pubblica, offrendola dunque al nostro giudizio) sugli ebrei che “si
sono auto-annientati”. E i profondi sguardi filosofici quali sono? E quali le visioni escatologiche?
Dobbiamo dunque credere che è vero, gli ebrei sono il popolo eletto a svelare la loro propria
essenza che è insieme quella di homo sacer sottratto alla protezione della legge e quella di
modernità sradicante-calcolante-reificante che nel campo di concentramento svela la natura ultima
del potere, come potere della ragione sulla nuda vita? Sarebbe questo il profondo sguardo
filosofico? E’ un riassunto (sgangherato, lo riconosco) delle idee fondamentali di quella che
chiamano oggi Italian Theory)23. Sia come sia, certo nessuna prosopopea, o personificazione mitica,
come quella ultra-indeterminata del “Potere” che si aggira in libri molto popolari di autori
contemporanei – da Michel Foucault a Giorgio Agamben a Slavoj Žižek sembra meglio
impersonare l’idea (o – mi si perdoni – il delirio) della Machenschaft, della macchinazione
universale.
III. Pars construens: il criterio di distinzione fra filosofia e sofistica, ovvero Heidegger
sofista prima che nazista.
La mia pars construens offre un criterio di distinzione fra filosofia e sofistica, da usarsi
come argomento contro la chiamata di correo della tradizione filosofica.
Accettiamo anzitutto le premesse più atte a screditare questa tradizione.
1. Platone con la sua ricerca di verità in materia di giustizia “fonda” una distopia totalitaria;
2. Kant ha espressioni antisemite, anche forti (non più di quelle anticattoliche, naturalmente,
ma che importa).
3. Frege nutre convinzioni razziste.
Fra i critici della distopia platonica ci sono i più profondi estimatori di Socrate – cioè della
veglia critica e della costante richiesta di evidenza e buone ragioni per le proprie asserzioni, come
Karl Popper e Isaiah Berlin.
Kant, nella sua Religione nei limiti della semplice ragione, dispone le religioni in ordine di
lontananza dall’ideale dell’autonomia morale. Inoltre, come tutto il cristianesimo paolino, oppone la
legge interiore al comando sacerdotale e alla precettistica rituale, e con Grozio oppone la legge
dello Stato a quella di Dio. Può essere giusto metterlo nel calderone delle responsabilità “della”
filosofia per la Shoah24? Kant, il più strenuo difensore filosofico dell’universalismo morale e di
quello cosmopolitico? Non lo crediamo, ma per quali ragioni?
Può essere giusto mettere in questo stesso calderone Gottlob Frege, morto nel 1925, di cui
sappiamo da un Nachlass mai pubblicato dall’autore in vita che nutriva opinioni razziste, e
suggerire addirittura l’esistenza di un nesso fra il suo “terzo regno” platonico dei pensieri e il Terzo
Reich25? Anche in questo caso, crediamo di no, ma perché?
Cominciamo dall’ultimo. Frege è il filosofo la cui teoria del significato come peso di verità
delle espressioni, cioè contributo di ogni espressione alle condizioni di verità dell’enunciato in cui
compare, getta le basi di una nuova dimensione della nostra responsabilità: quella delle parole.
Offre a Husserl (che ne fa la base delle sue Ricerche logiche) l’idea prima e centrale del socratismo
avvicinarsi a Hitler”. In ogni caso Hönigswald ne fu rimosso nel ’33, per essere poi, durante la Notte dei cristalli del
’38, preso e internato a Dachau.
23
Cf. un’intervista di D. Gentili a R. Esposito, G. Marramao su questa nozione,
http://www.losguardo.net/public/archivio/num15/articoli/2014-15_Italian_Theory.pdf
24
Cosa che D. Di Cesare fa citando (p. 42) una non felice frase kantiana sull’”eutanasia dell’ebraismo”, senza
però metterla nel suo contesto, che è quello della previsione di una spiritualizzazione progressiva di una religione
ancora lontana dallo status di “pura religione morale”, come lo è del resto il cattolicesimo romano. Ringrazio Stefano
Bacin per la segnalazione: Cf. Marcus Willaschek, Jürgen Stolzenberg, Georg Mohr, Stefano Bacin (Hg.), KantLexikon, Berlin–Boston, De Gruyter, 2015
25
Ci perdoni l’autrice, ma questa frase è di un’arbitrarietà inaccettabile: “Certo, per leggere un trattato di logica
non è necessario occuparsi dell’antisemitismo dell’autore, sebbene in Frege sussista più di un nesso fra il Reich logico,
quello teologico e quello politico” (Di Cesare 2014, p. 8).
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fenomenologico: la logica è l’ideale del parlare onesto, è l’etica del pensare. Per merito di Frege la
logica potrebbe e dovrebbe diventare il cuore dell’educazione umanistica: infatti ci insegna il peso
o valore semantico delle parole, il loro ruolo o contributo di verità (o falsità), e ci educa a una
responsabilità nell’uso del linguaggio, la cui mancanza finisce invece per distruggere il più
prezioso bene comune che abbiamo: la luce delle parole.
Frege è anche l’autore di una formula lapidaria – “il pensiero non ha padrone”.
E’ il pensiero di un filosofo che – come nel caso di Platone, nel caso di Kant, nel caso di
Frege – ci dà occhi per vedere i suoi errori, e perfino giudicare le sue opinioni. E’ con lo standard
dell’universalismo kantiano che giudichiamo stridenti le espressioni che lo tradiscono, come è con
lo standard socratico della vita esaminata che giudichiamo inaccettabile la società chiusa di Platone.
E’ con lo standard fregeano del peso di verità delle parole che giudichiamo non solo obiettivamente
falso, ma per questa ragione anche obiettivamente infame qualunque giudizio di inferiorità razziale
di un uomo rispetto ad un altro.
Ma con lo standard di Heidegger è impossibile vedere la nefandezza di molti giudizi
pubblici e privati di Heidegger, è impossibile giudicarli bassi e anche stupidi quanto veramente
sono. Questa è la differenza fra filosofo e sofista.
E’ questo il criterio della differenza fra un filosofo e un sofista, e mi sembra un criterio
abbastanza chiaro. Che sia applicabile al caso di Heidegger è altrettanto chiaro, se non altro perché
il sistema di un autore il cui motto è “tanto peggio per la logica” contiene la negazione di ogni sua
proposizione, ovvero dice tutto e il contrario di tutto. Come strumento di giudizio non vale un
granché, qualunque sia l’argomento.
Risale al 1929 il testo forse più letto di Heidegger, Che cos’è la metafisica? - fra gli scritti di
Heidegger, quello che ebbe più immediato successo, e che lo rese da subito famoso (ne dipende fra
l’altro la maggior parte delle letture “di prima generazione” di Sein und Zeit, che era uscito nel
1927. Ne dipende pesantemente il trattato di Sartre del 1943, L’essere e il nulla).
Risale al 1932 il trattatello logico di Rudolf Carnap, Il superamento della metafisica
attraverso l’analisi logica del linguaggio, in cui si mostra entro che ristretti limiti si può parlare
dell’essere e del nulla – senza parlar di nulla. In quegli anni le due vie del pensiero si separano.
Resta ben poco oggi di vivo di quel piccolo manifesto carnapiano del verificazionismo: ben poco,
perché Carnap stesso fornì ai suoi successori – a Popper, a Quine – gli strumenti per contestare con
successo la parte insostenibile delle sue teorie (secondo il nostro criterio, Carnap era certamente un
filosofo e non un sofista). Eppure quel poco è essenziale a mettere in luce la natura sofistica del dire
heideggeriano26. Tanto peggio per la logica, sussurra il pastore dell’Essere – con un po’ più di
pathos:
“E se, così, vien fiaccata la potenza dell’intelletto nell’ambito della questione intorno al
niente e all’essere, allora si decide con ciò anche il destino della signoria della “logica” dentro la
filosofia. L’idea della “logica” si risolve nel vortice di un interrogare più originario”27
Ma in questo “vortice” si dissolve anche quel fondamento etico del dire che è, ripetiamolo
ancora una volta, la responsabilità nell’uso delle parole. Vale a dire, la capacità e volontà di
rispondere delle nostre singole affermazioni, in primo luogo costruendole in modo che abbiano la
possibilità di essere vere, o anche, perché no, di essere false. Un sofista è chi oscura il nesso
necessario fra la nostra disponibilità a prendere sul serio ciò che un altro dice e la pretesa di verità
implicita in ogni asserzione. Se dissolviamo la logica in un interrogare più originario la pretesa di
verità delle asserzioni perderà ogni senso. E con essa svanirà la possibilità che abbiamo di
26
Per una esposizione elementare dell’analisi carnapiana del linguaggio di Heidegger si può vedere De
Monticelli (2006), Esercizi di pensiero per apprendisti filosofi, Bollati Boringhieri, Torino, Parte prima L’Essere, il
Nulla e la logica.
27
Ibid., p. 26, corsivo nostro.
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esprimere pensieri definiti, e di attribuirceli gli uni agli altri come credenze, convinzioni, tesi che
abbiamo espresso. Parliamo, parliamo, e non diciamo nulla.
IV. Conclusioni retrospettive – per l’oggi.
Nei primi 7 paragrafi della Crisi delle scienze europee Husserl presenta il suo pensiero in diretta
continuità con quello illuministico, in quanto speranza di dare un fondamento di conoscenza,
ragionevolezza e autonomia al pensiero pratico (etica, diritto, politica) e non solo a quello
scientifico. In questo contesto espone due principi, che già in altri scritti aveva presentato come
costitutivi dell’Idea di Europa, questa sempre rinascente eccedenza dell’ideale sul reale, della norma
sul fatto, del diritto sul potere. Furono anche i due pilastri di un’Europa a venire. E cioè il principio
di personalità – col suo corollario di (pari) dignità e diritti di tutte le persone; e l’universalismo della
legge (di quella morale, certo – ma in linea di principio anche del diritto, sovra statuale e
sovranazionale). Sono i due principi che dopo la guerra ponemmo a fondamento della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Essere Umano, e delle costituzioni delle Repubbliche rifondate, compresa
la nostra. E naturalmente anche alla base dell’Unione Europea.
Heidegger costruì il suo pensiero sulla negazione di questi due principi, e sulla loro
sostituzione con due principi opposti: la concezione destinale della storia, con la rimozione
dell’autonomia e della responsabilità morale degli individui; e l’adozione di un principio di
comunità, radice e destino come esplicitamente più fondamentale di quello di personalità, e sulla
base del quale gli fu possibile esaltare il Führerprinzip e i legami della terra e del sangue, salutando
“l’intima grandezza del Nazionalsocialismo”.
Dopo il ’45, Heidegger fu sdoganato, prima in Francia e poi in Italia, e il suo pensiero
sofistico dominò sul continente per mezzo secolo ancora. Come fu possibile?
Ora abbiamo forse una risposta, a questa domanda. Fu possibile perché il sofista vinse
purtroppo in larga misura anche nella mente di chi per sentimenti, storia personale, adesioni
profonde si situava su un altro fronte politico.
Molto peggio della rimozione del suo nazismo fu ed è l’indifferenza, anzi la stessa
cancellazione mnestica della differenza fra esserlo e non esserlo, fra vittime e carnefici, fra
Illuminismo e Auschwitz, fra ragione e delirio, nel “vortice” dell’interrogare originario, nella sua
“profondità abissale”. E questa è opera della sofistica, come opera sua è l’indistinzione fra sofistica
e filosofia. La cosa – per la mente – peggiore.
Ognuno degli innumerevoli ripetitori delle formule del massimo sofista del Novecento ha
contribuito a diffondere quell’indifferenza e quell’indistinzione. Con i risultati che si sono visti,
quanto alla presenza al nostro tempo dei filosofi della mia generazione, al nostro ruolo di coscienza
critica e ragione indipendente nello spazio pubblico delle ragioni, di sentinelle della democrazia e di
ispiratori di vera ricerca.
Abstract
Why does such a relevant part of the Italian Left Wing intelligentsia keep regarding
Heidegger’s legacy as a necessary key to understanding Modernity, in spite of more and more
indisputable proofs of Heidegger’s involvement in Nazism, and of the roots of this involvement in
Heidegger’s philosophical thought? Why does the deeply illiberal root of Heidegger thought still
captivate some of the best known representatives of what has been called “Italian Theory”? The
ongoing publication of Heidegger’s Schwarze Hefte, and a recent book by D. Di Cesare on them,
tracing back the responsibility for totalitarianism to the whole philosophical tradition, yield the
topics for an analysis aiming at an answer to these questions.
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