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CAPITOLO 58
Epidemiologia, 1633
Gruppi di pazienti, 1633
Microrganismi responsabili, 1636
Patogenesi, 1639
Endocardite infettiva
Adolf W. Karchmer
Fisiopatologia, 1640
Aspetti clinici, 1640
L’endocardite infettiva (EI) è un’infezione batterica delle superfici endoteliali del cuore. La
Esami di laboratorio, 1643
lesione caratteristica, la vegetazione, è una
massa amorfa di dimensioni variabili costiTrattamento, 1644
tuita da piastrine e fibrina in cui si mescoTerapia antibiotica per specifici
lano numerosi microrganismi e un numero
microrganismi, 1645
limitato di cellule infiammatorie. Il più delle
Trattamento chirurgico delle
volte sono coinvolte le valvole cardiache; tutcomplicanze intracardiache, 1649
tavia, l’infezione può insorgere nella sede di
Trattamento delle complicanze
un difetto settale o sulle corde tendinee o sulextracardiache, 1651
l’endocardio parietale. L’infezione degli shunt
Risposta alla terapia, 1652
artero-venosi, degli shunt artero-arteriosi
Prevenzione, 1653
(dotto arterioso pervio) o della coartazione
dell’aorta, benché in realtà sia un’endoarBibliografia, 1655
terite, è simile, dal punto di vista clinico e
Linee guida: Endocardite infettiva,
anatomo-patologico, all’EI. Molte specie di
1656
batteri e funghi, micobatteri, rickettsie, clamidie e micoplasmi possono causare un’EI;
nonostante ciò, gli streptococchi, gli stafilococchi, gli enterococchi e i fastidiosi coccobacilli Gram-negativi sono la causa
della maggior parte di EI.
Per descrivere l’EI si usano i termini acuta e subacuta. L’EI acuta si presenta
con importanti segni di tossicità e progredisce nel giro di giorni o settimane
verso la distruzione valvolare e l’infezione diffusa. Al contrario, l’EI subacuta
evolve nel giro di settimane o mesi con segni di modesta tossicità e causa raramente un’infezione diffusa. L’EI acuta è tipicamente, benché non esclusivamente, causata dallo Staphylococcus aureus, mentre la forma subacuta è più
probabilmente causata dagli streptococchi viridans, dagli enterococchi, dagli
stafilococchi coagulasi-negativi o dai coccobacilli Gram-negativi.
Diagnosi, 1642
EPIDEMIOLOGIA
L’incidenza dell’EI è rimasta relativamente stabile dal 1950 al 1987 a circa 4,2 per 100.000
anni-paziente. Durante i primi anni ’80, l’incidenza annuale dell’EI per 100.000 abitanti era di
2,0 nel Regno Unito e nel Galles e di 1,9 in Olanda.1 Un’incidenza più alta era stata osservata
dal 1984 al 1999 ed erano stati segnalati 5,9 e 11,6 episodi per 100.000 abitanti, rispettivamente in Svezia e nell’area metropolitana di Philadelphia.2,3 L’uso di sostanze stupefacenti per
via endovenosa nei tossicodipendenti era responsabile di circa la metà dei casi a Philadelphia.
L’endocardite, di solito, si verificava più frequentemente negli uomini con un rapporto tra i due
sessi da 1,6 a 2,5. L’incidenza età-specifica dell’endocardite aumentava progressivamente dopo
i 30 anni e superava i 14,5-30 casi per 100.000 anni-paziente tra la sesta e l’ottava decade di
vita.3 Il 36-75% dei pazienti con endocardite di una valvola nativa (Native Valve Endocarditis,
NVE) presenta condizioni predisponenti: malattia reumatica cardiaca, cardiopatia congenita,
prolasso della valvola mitrale, malattia cardiaca degenerativa, ipertrofia settale asimmetrica
o dipendenza da droghe iniettive.2 Le protesi valvolari sono coinvolte nel 7-25% dei casi.2,3
Condizioni predisponenti non possono essere identificate nel 25-47% dei pazienti. La natura
delle condizioni predisponenti e, in parte, la microbiologia dell’EI sono correlate all’età dei
pazienti (Tab. 58-1).
MODIFICAZIONI NEI PAZIENTI CON ENDOCARDITE INFETTIVA. L’età media dei
pazienti è andata gradualmente aumentando dai 30 ai 40 anni dell’era preantibiotica e dell’iniziale era antibiotica ai 47-69 anni degli ultimi decenni.2 Nei paesi industrializzati c’è stata una
notevole riduzione nell’incidenza della febbre reumatica e della conseguente cardiopatia reumatica nei bambini e nei giovani adulti. La malattia valvolare acquisita diventa un importante
fattore di rischio per l’EI, a mano a mano che aumenta la longevità. Inoltre, in vecchiaia, molti
di questi pazienti richiedono una sostituzione protesica delle valvole, che li pone a maggiore
rischio di endocardite. L’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione generale determina
un ruolo accresciuto delle cardiopatie degenerative come principale substrato per l’EI. Infine,
l’endocardite nosocomiale si presenta sempre più frequentemente tra gli anziani, che vanno
incontro a numerosi ricoveri ospedalieri per altre patologie.4
Gruppi di pazienti
BAMBINI. L’incidenza dell’EI tra i bambini ricoverati varia da 1 su 4500 a 1 su
1280.1 In Olanda, l’EI è stata osservata rispettivamente in 1,7 e 1,2 su 100.000 bambini di
sesso maschile e femminile di età inferiore
a 10 anni.1 L’EI è stata osservata con crescente frequenza nei neonati, nei quali coinvolge tipicamente la valvola tricuspide di
un cuore strutturalmente normale ed è associata a percentuali di mortalità molto elevate. È probabile che molti di questi episodi
siano la conseguenza di cateteri endovenosi
posizionati nel cuore di destra o di interventi di cardiochirurgia.5
La grande maggioranza dei bambini con EI che
si manifesta dopo il periodo neonatale ha delle
anomalie cardiache strutturali identificabili (Tab.
58-1). In alcune casistiche, la cardiopatia reumatica
era un fattore predisponente raro per l’EI (<4%).5
Anomalie cardiache congenite, soprattutto quelle
che interessano la valvola aortica, i difetti del setto
interventricolare, la tetralogia di Fallot e altre anomalie strutturali complesse, associate a cianosi, sono
state osservate nel 75-90% dei casi.Tra i bambini con
un’EI insorta su di una cardiopatia congenita, il 50%
sviluppa l’infezione dopo un intervento di cardiochirurgia; in questi bambini, l’infezione coinvolge spesso
le valvole protesiche, le protesi valvolate o i patch
sintetici.5 Il difetto interatriale di tipo ostium secundum non è associato a un aumento del rischio di EI,
così come la pervietà del dotto arterioso o la stenosi
polmonare dopo riparazione chirurgica.6 Dal 1990,
il prolasso della valvola mitrale è stato riconosciuto
come fattore predisponente all’EI nei bambini; esso,
generalmente associato a un soffio da rigurgito, è
stato l’anomalia cardiaca predisponente nel 15% e
nel 5% dei casi in due casistiche.
Le caratteristiche cliniche e i rilievi ecocardiografici dell’EI nei bambini sono simili a quelli segnalati
negli adulti, rispettivamente con NVE o con endocardite della valvola protesica (Prosthetic Valve Endocarditis, PVE).
ADULTI. Il prolasso valvolare mitralico
(Mitral Valve Prolapse, MVP) è diventato
un’importante alterazione strutturale cardiaca predisponente e negli adulti è responsabile del 7-30% delle endocarditi di
una valvola nativa (Native Valve Endocarditis, NVE), nei casi non correlati a tossicodipendenza o a infezioni nosocomiali.1
La frequenza del MVP nell’EI non riflette
direttamente il rischio, ma piuttosto l’elevata incidenza di questo difetto nella popolazione generale, pari al 2,4% negli studi
di comunità.
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1634
Tabella 58–1
Condizioni predisponenti e microbiologia
dell’endocardite su valvola nativa
Condizioni e
microbiologia
Bambini (%)
Neonati 2 mesi-15 aa
Condizioni predisponenti
RHD
Adulti (%)
15-60 aa
>60 aa
2-10
25-30
8
75-90*
10-20
2
5-15
10-30
10
Cardiopatia reumatica
Raro
30
Abuso di sostanze
per via parenterale
15-35
10
10-15
10
Cardiopatia congenita 28
MVP
Capitolo 58
Altro
Nessuna
†
72
2-5
25-45
25-40
15-20
40-50
45-65
30-45
4
5-8
15
40-50
25
30-40
25-30
Stafilococchi
coagulasi-negativi
10
5
3-5
5-8
GNB
10
5
4-8
5
Miceti
10
1
Polimicrobiche
4
Microbiologia
Streptococchi
Enterococchi
S. aureus
Altro
Colture negative
4
0-15
1
Raro
1
Raro
1
2
3-10
5
GNB = batteri gram-negativi, frequentemente Hemophilus spp, Actinobacillus
actinomycetemcomitans, Cardiobacterium hominis; MVP = prolasso della
valvola mitrale; RHD = cardiopatia reumatica.
*Il 50% dei casi segue l’intervento e può interessare dispositivi impiantati e
materiale eterologo.
†
Spesso EI della valvola tricuspide.
Il rischio relativo di endocardite fra i pazienti con MVP varia
da 3,5 a 8,2. Questo aumentato rischio di endocardite è soprattutto limitato ai pazienti con prolasso, ispessimento dei lembi
valvolari (>5 mm) e con soffio da insufficienza mitralica. Il
rischio è aumentato anche fra i maschi e i pazienti di età superiore ai 45 anni (Cap. 57). Tra i pazienti con MVP e un soffio
sistolico, l’incidenza di EI è di 52 su 100.000 anni-paziente,
rispetto all’incidenza di 4,6 su 100.000 anni-paziente in quelli
con prolasso, ma senza soffio o nella popolazione generale. La
microbiologia dell’EI insorta su MVP è simile a quella della
NVE non associata ad abuso di sostanze stupefacenti. Analogamente, la percentuale di mortalità del 14% si avvicina a
quella della NVE.
Negli anni ’70 e ’80, la cardiopatia reumatica era la lesione
predisponente dell’EI nel 20-25% dei casi. Nei lavori provenienti da ospedali nordamericani ed europei, negli anni ’80,
la cardiopatia reumatica predisponeva all’EI solo nel 7-18%
dei casi.2 Nei pazienti con cardiopatia reumatica, l’endocardite
interessa più frequentemente la mitrale, una sede che viene
colpita più spesso nelle donne. La valvola aortica è la seconda
sede interessata in quanto a frequenza; l’infezione a questo
livello si verifica più frequentemente negli uomini.
Le cardiopatie congenite sono il substrato dell’EI nel 10-20%
degli adulti più giovani e nell’8% degli adulti più anziani. Fra
gli adulti, le lesioni predisponenti più frequenti sono la pervietà del dotto arterioso, i difetti del setto interventricolare e
la valvola aortica bicuspide, quest’ultima riscontrata soprattutto negli uomini più anziani (>60 anni).2
L’infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV), a
meno che non sia associata a un comportamento che predi-
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sponga all’endocardite, cioè uso di droghe per via endovenosa,
non è un fattore di rischio significativo per l’EI. Tra i soggetti
HIV positivi che non fanno uso di droghe per endovena, l’EI
non è causata solo dai microrganismi tipici per la NVE, ma
anche da quei microrganismi che sono peculiarmente associati
alla batteriemia in questa popolazione, cioè Salmonella spp.
e Streptococcus pneumoniae. In particolare, il 40% dei casi
era rappresentato da infezioni nosocomiali.7
Nelle situazioni in cui la NVE degli adulti non è dovuta
principalmente alle infezioni nosocomiali o che si verificano
tra i consumatori di droghe per endovena, la microbiologia è
molto simile a quella mostrata nella Tabella 58-1.2 Coxiella
burnetii, una causa infrequente di EI negli Stati Uniti, ha provocato il 3% di tutti i casi nel Regno Unito dal 1976 al 1985
ed è una causa importante di EI in Francia.8 Alcune specie di
Bartonella sono emerse quali causa significativa di EI, risultando responsabili del 3% dei casi in un lavoro.9
TOSSICODIPENDENTI DA DROGHE INIETTIVE. Il rischio
stimato di EI fra i tossicodipendenti da droghe iniettive, dal 2
al 5% per anni-paziente, è di parecchie volte superiore a quello
dei pazienti con cardiopatia reumatica o con protesi valvolari.10
In uno studio, l’EI è stata diagnosticata in 74 (6,4%) su 1150
tossicodipendenti da droghe iniettive ospedalizzati nel corso
di 12 mesi. Nell’area metropolitana di Philadelphia, 5,3 casi
su un totale di 11,6 casi di EI per 100.000 abitanti erano attribuibili all’uso di droghe iniettive. Il 65-80% dei casi di EI in
questa popolazione insorge negli uomini, e l’età media dei
pazienti varia da 27 a 37 anni.11-13
L’endocardite nei tossicodipendenti da droghe iniettive
infetta particolarmente le valvole del cuore destro.10-13 Nelle
casistiche cliniche, la distribuzione del coinvolgimento valvolare è del 46-78% per la tricuspide, del 24-32% per la mitrale
e dell’8-19% per la valvola aortica (un’infezione localizzata in
più sedi è presente in una percentuale che arriva fino al 16%
dei pazienti).11 Nei tossicodipendenti da droghe iniettive, le
valvole erano normali prima dell’infezione nel 75-93% dei
pazienti.10,11 Gli altri pazienti avevano alterazioni preesistenti
dell’aorta o della mitrale, dovute soprattutto a una cardiopatia
reumatica, a una cardiopatia congenita o a episodi precedenti
di EI. L’assunzione endovenosa di droghe è un fattore di rischio
per la recidiva di NVE.
MICROBIOLOGIA. La microbiologia dell’EI che insorge nei tossicodipendenti da droghe iniettive è peculiare sotto diversi aspetti (Tab. 58-2).
Al contrario dell’eziologia della NVE fra gli adulti in generale, lo S. aureus
causa nel complesso più del 50% di queste infezioni e più del 60-70%
di quelle che colpiscono la valvola tricuspide. Nei tossicodipendenti, è
evidente l’accertata predilezione dello S. aureus a infettare le valvole
del cuore sinistro normali o alterate. Benché l’infezione della tricuspide
normale da parte dello S. aureus non sia peculiare nei tossicodipendenti,
è caratteristica la sua frequenza elevata.10 L’infezione da streptococco e da
enterococco di una valvola mitrale o aortica precedentemente alterata in
pazienti tossicodipendenti è simile a quella segnalata generalmente nella
NVE. Al contrario, l’infezione delle valvole del cuore destro e sinistro da
Pseudomonas aeruginosa e da altri bacilli Gram-negativi e quella delle
valvole del cuore sinistro dovute a funghi, si verificano con crescente frequenza fra i tossicodipendenti. Inoltre, in questi pazienti sono responsabili
dell’endocardite organismi insoliti, alcuni dei quali probabilmente correlati
all’iniezione di materiale contaminato, p.es., Corynebacterium spp, Lactobacillus, Bacillus cereus e Neisseria spp nonpatogenico. L’endocardite
polimicrobica è responsabile del 3-5% dei casi di EI.
Le manifestazioni cliniche dell’EI nei tossicodipendenti da
droghe iniettive dipendono dalla valvola o dalle valvole interessate e, in minor misura, dall’agente infettante. L’endocardite
della tricuspide, soprattutto quando causata dallo S. aureus,
si presenta con dolore toracico di tipo pleuritico, dispnea, tosse
ed emottisi. Nel 65-75% dei pazienti, la Rx del torace mostra
alterazioni dovute a emboli settici polmonari. I soffi dovuti
all’insufficienza della tricuspide si riscontrano in meno della
metà di questi pazienti. L’infezione delle valvole aortica o
mitrale nei tossicodipendenti ricorda clinicamente l’EI osservata negli altri pazienti. Quella causata dallo S. aureus si pre-
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Tabella 58–2
1635
Microbiologia dell’endocardite associata all’abuso di sostanze per via endovenosa
Numero di casi (%) di endocardite nei tossicodipendenti*
Sezioni di destra†
N = 346
Microrganismi
Streptococchi||
Enterococchi
Staphylococcus aureus
Stafilococchi coagulasi-negativi
Totale‡
N = 675
17 (5)
31 (15)
80 (12)
7 (2)
49 (24)
59 (9)
267 (77)
47 (23)
396 (57)
—
—
17 (5)
26 (13)
Spagna (1977-1993)§
N = 1529
131 (8,5)
21
(1)
1138 (74)
44
(3)
45 (7)
23 (1,5)
Miceti (soprattutto Candida spp)
—
25 (12)
26 (4)
18
(1)
Polimicrobica/varie
28 (8)
20 (10)
49 (7)
48
(3)
Colture negative
10 (3)
6 (3)
20 (3)
106
(7)
*Dieci pazienti con EI delle sezioni destre e sinistre sono stati contati due volte.
†
Dati da riferimenti 10 e Levine DP, Crane LR, Zervos MJ: Bacteremia in narcotic addicts at the Detroit Medical Center. Infectious endocarditis: A prospective
comparative study. Rev Infect Dis 8:374, 1986. Hecht SR, Berger M: Right-sided endocarditis in intravenous drug users: Prognostic features in 102 episodes.
Ann Intern Med 17:560, 1992.
‡
Dati da riferimenti 10, 11 e Sandre RM, Shafran SD: Infective endocarditis: Review of 135 cases over 9 years. Clin Infect Dis 22:276-286, 1996.
§
Dati da riferimento 7.
||
Comprende gli streptococchi viridans, Streptococcus bovis, altri streptococchi di gruppo non A, Abiotrophia spp streptococchi varianti (nutrizionalmente).
¶
P. aeruginosa, S. marcescens, e Enterobacteriaceae.
senta generalmente come un’endocardite acuta, con marcata
tossicità sistemica. I sintomi e i segni di insufficienza cardiaca
sinistra, il danno neurologico, gli emboli sistemici, le infezioni
metastatiche e le classiche stimmate periferiche dell’EI sono
fortemente associati alle endocarditi del lato sinistro del
cuore.10,11
Le infezioni da virus dell’immunodeficienza umana (HIV)
sono state osservate nel 27-73% dei soggetti con EI che assumevano stupefacenti per via parenterale (Cap. 61).11-13 Tra i
tossicodipendenti con EI, la condizione sierologica rispetto
all’HIV non modifica significativamente la presentazione clinica, la microbiologia, le complicanze e la sopravvivenza complessiva. Tuttavia, tra i tossicodipendenti HIV positivi con EI,
il rischio di morte è aumentato quando la conta dei CD4 è
inferiore a 200/mm3.12,13
ENDOCARDITE SU VALVOLA PROTESICA. Gli studi epidemiologici indicano che la PVE comprende il 10-30% di tutti
i casi di EI osservati nei paesi industrializzati.3,12 Nell’area
metropolitana di Philadelphia, 0,94 casi di EI ogni 100.000
abitanti interessavano protesi valvolari. In sei studi clinici su
pazienti sottoposti a sostituzione valvolare tra il 1965 e il 1995,
l’incidenza cumulativa di PVE stimata in modo attuariale
variava dall’1,4 al 3,1% a 12 mesi e dal 3,0 al 5,7% a 5 anni.1417
Tuttavia, il rischio di PVE nel tempo non è uniforme: è più
alto nei primi 6 mesi dalla sostituzione valvolare (soprattutto
nelle prime 5-6 settimane) e poi scende a un livello più basso,
ma stabile (0,2-0,35% all’anno).14-17
La PVE è stata definita “precoce” quando i sintomi iniziano
entro 60 giorni dalla sostituzione valvolare e “tardiva” quando
si manifesta dai 60 giorni in poi. Questi termini sono stati utilizzati per distinguere le PVE che insorgono precocemente
come complicanze della chirurgia valvolare dalle infezioni che
divenivano sintomatiche più tardi e che erano più probabilmente acquisite in comunità. Infatti, molti casi con insorgenza
tra 60 giorni e 1 anno dopo l’intervento sono probabilmente
di origine nosocomiale e, malgrado la loro presentazione tardiva, sono dovuti a eventi accaduti durante il ricovero per
l’intervento. Gli studi eseguiti per identificare i fattori di rischio
della PVE non hanno fornito un quadro univoco. I dati indicano che, durante i primi mesi dall’impianto, le protesi meccaniche sono a maggiore rischio di infezione rispetto alle protesi valvolari biologiche ma che, dopo 12 mesi, il rischio di
infezione delle bioprotesi supera quello delle valvole meccaniche.14-16 A distanza di 5 anni dall’intervento di sostituzione
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Tabella 58–3
Endocardite infettiva
Batteri Gram-negativi
¶
Sezioni di sinistra†
N = 204
Microbiologia dell’endocardite su valvola
protesica 1975-1994
Numero di casi (%)* per
tempo di insorgenza dopo la
sostituzione valvolare
Microrganismi
<2 mesi
N = 144
2-12 mesi
N = 31
>12 mesi
N = 194
Streptococchi†
2 (1)
3 (9)
61 (31)
Pneumococchi
—
—
—
Enterococchi
12 (8)
4 (12)
22 (11)
Staphylococcus aureus
32 (22)
4 (12)
34 (18)
Stafilococchi coagulasi-negativi
47 (33)
11 (32)
22 (11)
—
—
11 (6)
Batteri Gram-negativi
19 (13)
1 (3)
11 (6)
Miceti, Candida spp
12 (8)
4 (12)
3 (1)
Polimicrobica/varie
4 (3)
2 (6)
9 (5)
Difteroidi
9 (6)
—
5 (3)
Colture negative
7 (5)
2 (6)
16 (8)
Coccobacilli Gram-negativi
esigenti (gruppo HACEK)‡
Adattato da Karchmer AW: Infections of prosthetic valves and intravascular
devices. In Mandell GL, Bennett JE, Dolin R (eds): Principles and Practice of Infectious Disease. 5th ed. New York, Churchill Livingstone, 2000,
pp 907-917.
*Dati da riferimento 90.
†
Comprende streptococchi viridans, Streptococcus bovis, altri streptococchi non di gruppo A, Abiotrophia (varianti streptococciche di tipo nutrizionale).
‡
Comprende Hemophilus spp, Actinobacillus actinomycetemcomitans, Cardiobacterium hominis, Eikenella spp e Kingella kingae.
valvolare, i tassi di PVE per i due tipi di valvola sono paragonabili.17 I pazienti con una precedente NVE, soprattutto se la
malattia è in fase attiva, presentano un rischio aumentato di
PVE.14-16
Microbiologia. La microbiologia della PVE è relativamente
prevedibile e riflette in parte la presunta acquisizione nosocomiale o comunitaria dell’infezione (Tab. 58-3). Gli stafilococchi
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1636 coagulasi-negativi, che quando vengono identificati sono rap-
Capitolo 58
presentati soprattutto dallo S. epidermidis, sono i principali
responsabili della PVE diagnosticata entro 60 giorni dall’intervento. Anche lo S. aureus, i bacilli Gram-negativi, i difteroidi
(soprattutto Corynebacterium jeikeium) e i miceti (soprattutto
Candida) sono frequentemente causa di PVE in questo periodo.
Sono stati riportati casi occasionali di PVE nosocomiale causati
da specie di Legionella, micobatteri atipici, mycoplasmi e
miceti diversi dalla Candida.
Anatomia patologica. Le caratteristiche anatomo-patologiche intracardiache della PVE si differenziano notevolmente da
quelle della NVE, in cui le lesioni sono confinate soprattutto ai
lembi valvolari. L’infezione delle protesi meccaniche si estende
comunemente oltre l’anello valvolare, verso l’anulus e il tessuto
perianulare, così come alla componente fibrosa intervalvolare
mitro-aortica, determinando ascessi dell’anello, ascessi del
setto, tramiti fistolosi e deiscenza della protesi con rigurgito
paravalvolare emodinamicamente significativo e disturbi di
conduzione. In uno studio autoptico su 74 casi, che chiaramente includeva le forme più gravi, si sono osservati un’invasione anulare nell’85% dei casi, un ascesso miocardico nel 32%
e un’ostruzione valvolare da parte di vegetazioni sovrabbondanti, una caratteristica della PVE in sede mitralica, nel 19%.18
Un’erosione attraverso l’anulus aortico, tale da causare una
pericardite, si era verificata nel 5% dei casi (Fig. 58-1).18
In una casistica clinica che riguardava 85 casi, l’incidenza dell’invasione
dell’anulus è stata del 42%, un ascesso miocardico si era verificato nel
14%, un’ostruzione valvolare nel 4% e una pericardite nel 2%.18 L’EI di una
protesi valvolare biologica può causare una malattia invasiva, confrontabile
con quella osservata quando la PVE coinvolge le valvole meccaniche, così
come la distruzione dei lembi valvolari. Su 85 pazienti con PVE su protesi
biologica, 29 (59%) dei 49 pazienti con infezione insorta entro un anno
dall’intervento chirurgico ebbero una malattia a carattere invasivo, al contrario dei soli 9 (25%) su 36 pazienti con un’infezione insorta a più di 1
anno dall’intervento. Nell’EI su protesi biologica trattata chirurgicamente,
l’invasione fu confermata in 15 su 19 casi (79%), con insorgenza nei primi
12 mesi dall’intervento chirurgico, ma solo in 22 delle 71 bioprotesi (31%),
quando l’infezione era comparsa a più di 12 mesi dall’intervento chirurgico.19 La localizzazione aortica e l’insorgenza clinica entro un anno dalla
chirurgia valvolare sono risultate significativamente correlate a un rischio
aumentato di infezione invasiva.
I segni e i sintomi nei pazienti che sviluppano una PVE entro
60 giorni dall’intervento cardiochirurgico possono essere
nascosti dall’intervento o da altre complicanze postoperatorie.
I segni periferici dell’endocardite (5-14%) e gli emboli nel
sistema nervoso centrale (10%) si verificano meno frequente-
mente in questi pazienti rispetto a quelli con PVE che si manifesta tardivamente dopo l’intervento. Tra i pazienti con una
PVE a inizio tardivo, l’insufficienza cardiaca congestizia (CHF)
si verifica nel 40%, le complicanze cerebro-vascolari nel 2628% e i segni periferici nel 15-28%.18,20
ENDOCARDITE NOSOCOMIALE. L’endocardite nosocomiale include la vera EI ospedaliera così come l’EI che origina
in comunità come diretta conseguenza dell’impianto prolungato di dispositivi sanitari, p.es., di vie venose centrali, di
accessi vascolari tunnellizzati e di cateteri per emodialisi. L’endocardite acquisita in ospedale non correlata a un intervento
cardiochirurgico concomitante rappresenta il 5-29% di tutti i
casi di EI in varie casistiche.4 L’EI nosocomiale predilige le
valvole cardiache native alterate, le valvole normali compresa
la tricuspide, i pacemaker e i defibrillatori transvenosi e le
valvole protesiche.1,17 La batteriemia da S. aureus associata
all’emodialisi è spesso correlata alla disseminazione metastatica nei tessuti profondi, comprese le valvole cardiache; in
effetti, l’emodialisi è associata in maniera indipendente con
l’EI da S. aureus.21 I dispositivi intravascolari e i cateteri infetti
danno origine al 45-65% delle batteriemie che evolvono in
un’EI nosocomiale.4 Le endocarditi del cuore destro sono state
riscontrate nel 5% e nel 7% dei pazienti, rispettivamente con
un catetere venoso centrale che arrivava nell’atrio destro o
nelle sue vicinanze, e con cateteri posizionati per mezzo del
flusso nell’arteria polmonare.
L’insorgenza di un’EI nosocomiale è generalmente acuta e,
sebbene possa essere ascoltato un soffio mutevole, gli altri
segni classici di endocardite non sono frequenti. I tassi di mortalità fra questi pazienti, molti dei quali anziani e con importanti patologie di base, sono elevati (dal 40 al 56%).4
MICROBIOLOGIA. I cocchi Gram-positivi rappresentano la causa prevalente di EI nosocomiale. Su 82 episodi riportati in due casistiche, lo S.
aureus ha causato il 55% dei casi, gli stafilococchi coagulasi-negativi il
10%, gli enterococchi il 16%, gli streptococchi il 7%, Candida 4% e i bacilli
Gram-negativi il 5%; il 3% aveva colture negative.
La batteriemia legata a catetere da S. aureus si verifica con una frequenza tale da essere il principale fattore predisponente per l’EI nosocomiale.4,21,22 In una metanalisi sulla batteriemia legata a catetere da S. aureus,
l’incidenza media di successive endocarditi o di altre infezioni profonde
dopo un breve periodo di terapia era pari al 6,1%.21 Comunque, quando 69
pazienti con batteriemia legata a catetere da S. aureus sono stati studiati
con la ETE, 16 (23%) sono stati trovati affetti da un’EI. Solamente sette
episodi di EI sarebbero stati diagnosticati senza i reperti ottenuti dalla
ETE.22 I pazienti con una batteriemia legata a catetere da S. aureus che
hanno una valvulopatia, una protesi valvolare o una febbre persistente o
una batteriemia per 3 giorni dopo la rimozione del catetere e l’inizio della
terapia, sono ad alto rischio di EI.
Dato il rischio relativamente elevato di EI in
pazienti con batteriemia legata a catetere da S. aureus
e data la sua morbilità, questi pazienti devono essere
valutati con l’ecocardiografia. Due studi di analisi decisionale hanno concluso che la gestione di maggior
efficacia dal punto di vista dei costi dovrebbe procedere direttamente con la ETE per stabilire la presenza
o l’assenza di un’EI.23,24 Se, tuttavia, l’ecocardiografia
transtoracica (ETT) è eseguita inizialmente e non è
diagnostica, la valutazione deve procedere con l’esecuzione della ETE.
Microrganismi responsabili
FIGURA 58–1 A, Un’ampia vegetazione causata da Candida albicans occlude parzialmente l’orifizio
di una protesi valvolare biologica rimossa dalla posizione mitralica. B, Protesi Starr-Edwards rimossa dalla
posizione aortica, dove questa vegetazione estesa collegata all’infezione da Aspergillus ha parzialmente
ostruito il tratto di efflusso, ma ha anche causato un’insufficienza valvolare impedendo la chiusura della
valvola. (A, Da Karchmer AW: Infections of prosthetic heart valves. In Korzeniowski OM [ed]: Cardiovascular Infection, vol x, Atlas of Infectious Diseases. Philadelphia, Churchill Livingstone, 1998, p 5.7.)
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STREPTOCOCCHI VIRIDANS. Questi streptococchi, responsabili del 30-65% dei casi di NVE
non correlati all’abuso di droghe, sono normali abitanti dell’orofaringe, producono caratteristicamente
un’alfa-emolisi quando crescono su agar e sangue
di pecora e sono di solito non tipizzabili usando il
sistema di Lancefield. Utilizzando la tassonomia precedente, le specie che causano la NVE streptococcica
sono state distinte nel modo seguente: S. mitior (31%
dei casi), S.sanguis (24%), S. bovis (27%), S. mutans
(7%), S. milleri (4%), S. faecalis (adesso Enterococcus
faecalis) (7%) e S. salivarius e altre specie (2%). Un
altro studio, adattato alla nuova tassonomia, ha ripor-
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STAFILOCOCCHI. Gli stafilococchi coagulasi-positivi sono una singola
specie, S. aureus. Delle 13 specie di stafilococchi coagulasi-negativi che
colonizzano l’uomo, uno, S. epidermidis, è emerso come un importante
patogeno nell’ambito dei dispositivi impiantati e dei pazienti ospedalizzati.
Gli stafilococchi coagulasi-negativi presenti sulla superficie di questi materiali estranei presentano delle alterazioni del fenotipo, tra cui un’aumentata
resistenza agli effetti battericidi di molti antibiotici.
Resistenza agli antibiotici. Oltre il 90% dei ceppi di S. aureus, sia
acquisiti in ospedale che in comunità, produce beta-lattamasi e quindi è
resistente alla penicillina, all’ampicillina e alle ureidopenicilline. Tuttavia,
questi microrganismi sono sensibili agli antibiotici beta-lattamici penicillinasi-resistenti (oxacillina, nafcillina, cefazolina e altre cefalosporine di
prima generazione). I ceppi meticillino-resistenti di S. aureus sono prevalenti in ambito nosocomiale e in particolari popolazioni non ospedalizzate
(tossicodipendenti da droghe iniettive, pazienti ricoverati in case di cura,
soggetti ospedalizzati o incarcerati nei 6-12 mesi precedenti) e devono
essere tenuti in considerazione quando si sceglie la terapia empirica iniziale
per l’EI.21 Gli stafilococchi coagulasi-negativi producono frequentemente le
beta-lattamasi; inoltre, i ceppi che causano infezioni acquisite in comunità
sono spesso sensibili alla meticillina, mentre quelli che causano infezioni
nosocomiali, compresa l’EI, sono generalmente meticillino-resistenti.30 Gli
stafilococchi coagulasi-negativi possono non esprimere sempre fenotipicamente la resistenza alla meticillina (proprietà chiamata eteroresistenza).
Di conseguenza, possono essere necessari particolari test per identificare
questo tipo di resistenza.30 Benché la maggior parte degli stafilococchi,
compresa la maggior parte dei ceppi resistenti alla meticillina, rimanga sensibile agli antibiotici glicopeptidici e alla teicoplanina, sono emersi come
agenti patogeni ceppi di S. aureus e di stafilococchi coagulasi-negativi con
ridotta sensibilità (e, talvolta, conclamata resistenza) ai glicopeptidi.21
Aspetti clinici. S. aureus è la maggiore causa di EI in tutti i gruppi
di popolazioni (Tabb. 58-1 e 58-2). L’EI da S. aureus è caratterizzata da
una forte sindrome tossica, febbrile, con frequenti infezioni focali metastatiche e un’incidenza del 30-50% di CHF e di complicanze a carico del
sistema nervoso centrale.21 È frequente una pleiocitosi polimorfonucleata
del liquido cerebrospinale, con o senza una positività colturale per lo S.
aureus del liquido cerebrospinale. Soffi cardiaci sono presenti nel 30-45%
dei pazienti all’esame clinico iniziale e, infine, nel 75-85% come esito del
danno intracardiaco. Il tasso di mortalità delle endocarditi del cuore sinistro
da S. aureus in pazienti non tossicodipendenti, varia complessivamente
dal 16 al 65% e aumenta in quelli con età superiore ai 50 anni, in quelli
con importanti malattie concomitanti e quando l’EI è complicata da un
evento neurologico maggiore, una disfunzione valvolare o una CHF.21,31,32
Nei tossicodipendenti, l’EI del cuore sinistro da S. aureus ricorda quella
dei pazienti non tossicodipendenti. Al contrario, nei pazienti con EI limitata alla tricuspide, le complicanze sono rare e la mortalità è solo del 24%.11 L’EI stafilococcica della tricuspide a volte causa una grave embolia
polmonare di tipo settico, un piopneumotorace e una grave insufficienza
respiratoria.
Stafilococchi coagulasi-negativi. Questi rappresentano la causa principale di PVE, particolarmente nel primo anno dopo la chirurgia valvolare,
un’importante causa delle EI nosocomiali e la causa del 3-8% dei casi di
NVE, solitamente nell’ambito di alterazioni valvolari preesistenti (Tabb. 58-1
e 58-2).30 La grande maggioranza degli stafilococchi coagulasi-negativi che
causano una PVE, quando isolati, è rappresentata dallo S. epidermidis. Al
contrario, quando l’infezione coinvolge le valvole native, solo il 50% dei
germi isolati è S. epidermidis.30 Staphylococcus lugdunensis, una specie
coagulasi-negativa, ha causato NVE e PVE altamente distruttive, spesso
fatali. L’EI da S. lugdunensis è di solito acquisita in comunità e il microrganismo è spesso sensibile a molti antibiotici antistafilococchi, compresa
la penicillina.
BATTERI GRAM-NEGATIVI. I microrganismi del cosiddetto gruppo
HACEK (Hemophilus parainfluenzae, Hemophilus aphrophilus, Actinobacillus actinomycetemcomitans, Cardiobacterium hominis, Eikenella
corrodens e Kingella kingae), che fanno parte della flora del tratto respiratorio superiore e della flora orofaringea, infettano le valvole cardiache
alterate, provocando una NVE subacuta, e causano una PVE che compare
dopo un anno o più dalla chirurgia valvolare.33,34 Nelle NVE, i microrganismi del gruppo HACEK sono risultati associati a grosse vegetazioni e a
un’elevata incidenza di emboli sistemici.33,34 Tra il gruppo HACEK, in ordine
decrescente, Actinobacillus actinomycetemcomitans, Cardiobacterium
hominis, Hemophilus aphrophilus e Hemophilus parainfluenzae sono
le cause più comuni di EI. Nonostante siano subdoli e crescano lentamente, i microrganismi del gruppo HACEK sono solitamente rilevati nelle
emocolture dopo 5 giorni d’incubazione; a volte è richiesto un tempo
d’incubazione più prolungato.34
P. aeruginosa è il bacillo Gram-negativo che più frequentemente causa
un’endocardite. Le Enterobacteriaceae, sebbene causino frequenti episodi
di batteriemia, sono implicate solo in casi sporadici di EI.
Neisseria gonorrhoeae, una causa diffusa di EI nell’era preantibiotica,
è oggi raramente causa di un’endocardite.35 I gonococchi, come gli pneumococchi, infettano la valvola aortica di pazienti giovani, determinando
distruzione valvolare, formazione di ascessi e probabile necessità di una
sostituzione valvolare.33-35 Sebbene siano in genere sensibili al ceftriaxone,
1637
Endocardite infettiva
tato una distribuzione simile degli streptococchi che causano un’EI. Organismi con varianti nutrizionali che richiedono mezzi di coltura integrati con
piridossal cloridrato o L-cisteina per la crescita e che erano in precedenza
definiti Streptococcus adjacens o Streptococcus defectivus, sono responsabili del 5% dei casi delle NVE streptococciche. Questi microrganismi sono
stati riclassificati in un nuovo genere, l’Abiotrophia.25
Gli streptococchi viridans, oltre che i microrganismi con varianti nutrizionali, sono stati, in generale, molto sensibili alla penicillina (concentrazione minima inibente (Minimum Inhibitory Concentration [MIC] (£ 0,1
mg/ml per l’83%) e vengono eradicati più efficacemente (sinergicamente)
dall’associazione di penicillina e gentamicina.25
STREPTOCOCCUS BOVIS E ALTRI STREPTOCOCCHI. S. bovis e altri
streptococchi di gruppo D, parte della normale flora del tratto gastroenterico, sono responsabili del 25-40% degli episodi di NVE streptococcica.3
Benché superficialmente simili agli enterococchi, questi microrganismi
possono essere facilmente distinti per le loro caratteristiche biochimiche.
La distinzione è importante poiché gli streptococchi di gruppo D sono altamente sensibili alla penicillina, a differenza degli enterococchi, che hanno
una resistenza relativa alla penicillina. La NVE da S. bovis di tipo I è spesso
associata a una coesistente poliposi o neoplasia maligna del colon.
Gli streptococchi di gruppo A, che possono infettare le valvole normali,
causano rari episodi di endocardite. Nei tossicodipendenti da droghe iniettive, gli streptococchi di gruppo A causano un’EI della tricuspide simile a
quella causata dallo S. aureus. I microrganismi di gruppo B, Streptococcus
agalactiae, fanno parte della normale flora orale, del tratto genitale e del
tratto gastrointestinale. Gli streptococchi di gruppo B infettano sia le valvole
normali che quelle alterate e causano una sindrome da NVE con un’elevata
incidenza di embolie sistemiche e complicanze muscoloscheletriche settiche (artrite, discite, osteomielite).26 Anche gli streptococchi di gruppo G
provocano una NVE distruttiva, molto grave, del cuore sinistro. Il gruppo
dello S. milleri, ora distinto in tre specie – S. intermedius, S. constellatus e S.
anginosus – è formato da microrganismi altamente piogenici che causano
infezioni distruttive e un’EI simile a quella causata dallo S. aureus. Benché sia
il gruppo dello streptococco beta-emolitico (gruppo A, B, C e G) sia quello
dello S. milleri comprendano microrganismi invasivi che distruggono i tessuti,
essi causano sindromi di EI differenti.27 L’EI causata dagli streptococchi beta
emolitici spesso insorge in assenza di una patologia valvolare, ha un esordio
rapido e frequentemente comporta complicanze extracardiache. Quella da
S. milleri si instaura più probabilmente nel contesto di una patologia valvolare e si presenta meno aggressiva con minori complicanze extracardiache.
Entrambe, tuttavia, sono gravate da frequenti complicanze intracardiache, e
il 65% dei pazienti richiede l’intervento chirurgico spesso precocemente
durante la terapia. I tassi di mortalità sono maggiori per l’EI causata dallo
streptococco beta emolitico versus S. milleri, 27% e 14 %, rispettivamente.
STREPTOCOCCUS PNEUMONIAE. Anche se una batteriemia pneumococcica compare frequentemente, lo S. pneumoniae è responsabile
solamente dell’1-3% dei casi di NVE.28 Quando causa un’EI, lo S. pneumoniae interessa di solito una valvola aortica precedentemente normale e
progredisce rapidamente con la distruzione della valvola, la formazione di
un ascesso miocardico e con una CHF acuta.29 La diagnosi di EI è spesso
ritardata finché non divengono evidenti le complicanze intracardiache
o gli emboli sistemici. La presentazione clinica, le complicanze e l’esito
dell’endocardite causata da S. pneumoniae penicillino-sensibile e penicillino-resistente sono simili. Quasi la metà dei pazienti richiede l’intervento
cardiaco a causa di disfunzione valvolare, insufficienza cardiaca o per
febbre persistente. La mortalità (35%) è correlata a insufficienza cardiaca
sinistra e non alla sensibilità alla penicillina del ceppo infettante.27
ENTEROCOCCHI. E. faecalis e E. faecium causano rispettivamente
l’85% e il 10% dei casi di EI da enterococchi. Gli enterococchi, che fanno
parte della normale flora gastrointestinale e che provocano infezioni del
tratto genitourinario, sono responsabili del 5-15% dei casi di NVE e di
una percentuale analoga di casi di PVE (Tabb. 58-2 e 58-3).18 L’infezione
si verifica nelle giovani donne in conseguenza di manovre o di infezioni
del tratto genito-urinario e nei pazienti anziani, prevalentemente maschi,
in cui il tratto genito-urinario rappresenta la probabile porta d’ingresso
dell’infezione. Gli enterococchi infettano le valvole normali o quelle già
alterate e si presentano con un’EI acuta o subacuta.
Gli enterococchi sono notoriamente resistenti alle cefalosporine, alle
penicilline semisintetiche penicillinasi-resistenti (oxacillina e nafcillina) e a
concentrazioni terapeutiche di aminoglicosidi. La maggior parte degli enterococchi è stata inibita da concentrazioni modeste di antibiotici attivi sulla
parete cellulare: penicillina, ampicillina, vancomicina e teicoplanina (non
in vendita negli Stati Uniti). L’attività battericida antienterococcica può
essere ottenuta associando un farmaco inibitore attivo sulla parete cellulare
con la streptomicina o la gentamicina. Questa attività battericida chiamata
sinergia, è essenziale per il trattamento ottimale dell’EI da enterococchi.
Sono stati identificati come causa di EI ceppi di enterococchi altamente
resistenti alla penicillina e all’ampicillina, resistenti alla vancomicina o
altamente resistenti a tutti gli aminoglicosidi. Questi ceppi di enterococchi
resistenti possono non rispondere alle terapie antienterococco standard e
sfuggire allo sviluppo di un trattamento battericida sinergico. Deve essere
sempre valutata la sensibilità all’antibiotico di ogni enterococco causa di
un’EI per assicurare il trattamento ottimale.
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1638
Capitolo 58
la resistenza agli antibiotici è assai diffusa tra N. gonorrhoeae; quindi, il
trattamento deve basarsi sulla sensibilità del ceppo isolato.Altre specie di
Neisseria (non gonococcica, non meningococcica) causano rari episodi di
EI, solitamente nell’ambito di una valvulopatia preesistente.34
ALTRI MICRORGANISMI. Le specie di Corynebacterium, spesso
dette difteroidi, benché contaminino frequentemente le emocolture, non
possono essere ignorate quando isolate da più emocolture. È spesso necessaria un’incubazione prolungata delle emocolture per isolare questi microrganismi subdoli, a lenta crescita, dai pazienti con EI. Essi rappresentano una
causa importante delle PVE che si verificano durante il primo anno dall’impianto valvolare e sono una causa sorprendentemente comune di endocarditi che si sviluppano sulle valvole alterate.18,35,36 Listeria monocytogenes,
un piccolo bastoncello Gram-positivo, è responsabile di casi occasionali di
EI che coinvolgono le valvole alterate del cuore di sinistra e quelle protesiche,35 più frequentemente in pazienti immunocompromessi. Tropheryma
whippelii, la causa della malattia di Whipple, ha causato una forma criptica
afebbrile di EI con artralgie associate, ma senza diarrea, così come patologia valvolare come parte della tipica malattia di Whipple.37 La diagnosi è
stata accertata tramite l’identificazione del microrganismo all’interno dei
macrofagi nelle valvole asportate, colorate con l’acido periodico di Schiff
– o tramite reazione a catena polimerasica (PCR).34,38 Il coinvolgimento
valvolare può complicare la malattia di Whipple più spesso di quanto venga
riconosciuto. L’EI causata da T. whippelii spesso non soddisfa i criteri di
Duke per la diagnosi (Tab. 58-4); quindi, la diagnosi richiede un alto indice
di sospetto.34,37
La rickettsia C. burnetii infetta gli esseri umani dopo l’inalazione di
materiale essiccato proveniente da bestiame o da animali domestici infetti
o dopo il contatto con animali partorienti infetti. A distanza variabile dall’infezione acuta da C. burnetii (febbre Q), i pazienti con alterazioni delle
valvole aortica o mitralica, in particolare quelli con valvole protesiche, che
non sono riusciti a eradicare il microrganismo, sviluppano un’EI subacuta
molto insidiosa.8,39 I pazienti a rischio per endocardite con febbre Q acuta
dovrebbero ricevere una prolungata terapia antibiotica con doxiciclina e
idrossiclorochina per prevenire l’EI.39 L’EI frequentemente si presenta con
febbricola, astenia, perdita di peso e CHF. Non sono rari epatosplenomegalia, ippocratismo digitale e una vasculite da immunocomplessi che determina un’eruzione purpurica. Le vegetazioni sono piccole, hanno superfici
lisce e non sono uniformemente visibili.All’esame anatomo-patologico, le
Tabella 58–4
vegetazioni dell’EI nella febbre Q sono nodulari con una superficie liscia (in
confronto a quelle delle altre cause di EI) e i microrganismi vengono rilevati
dalla colorazione immunoistologica o di Gimenez quasi esclusivamente
all’interno dei macrofagi o tramite PCR.34 La diagnosi si basa tipicamente
su elevati titoli di anticorpi IgG anti-fase I diretti contro gli antigeni di fase
I della C. burnetii in aggiunta all’elevato titolo delle IgA o sulla dimostrazione della presenza del microrganismo nelle valvole cardiache asportate
tramite le colorazioni immunoistologica o di Gimenez.8
Bartonella quintana e Bartonella henselae, che insieme possono
causare il 3% delle NVE, possono essere isolate dalle emocolture dopo
un’incubazione prolungata e con tecniche speciali. In assenza di particolari
mezzi di coltura, rilevazione con PCR su materiale genetico nelle vegetazioni asportate o test sierologici, molti casi sarebbero risultati “negativi
alla coltura”.9,34 B. henselae, che causa la malattia da graffio di gatto e
negli HIV positivi l’angiomatosi bacillare e la peliosi epatica, determina
un’EI in pazienti con preesistente danno valvolare ed esposizione al gatto.
Viceversa, B. quintana, l’agente della febbre delle trincee, causa un’EI
soprattutto nei barboni che sono esposti ai pidocchi e si verifica comunemente in assenza di precedente patologia valvolare.34 L’EI da Bartonella
si presenta in modo insidioso; la diagnosi è spesso ritardata, e una CHF e
un’embolia sistemica frequentemente complicano l’infezione.9,34 L’infezione da Bartonella distrugge il tessuto valvolare e la terapia in genere
richiede la sostituzione valvolare.34,40 Sulla base di test sierologici, le specie
Chlamydia sono state suggerite come causa di frequenti episodi di EI.Vista
la marcata reazione crociata sierologica tra Chlamydia e Bartonella, molti
di questi episodi di EI sono in realtà dovuti a Bartonella.9,34
FUNGHI. Candida albicans, la specie di Candida non albicans, Histoplasma e Aspergillus spp sono i più frequenti tra i molti organismi fungini
identificati come causa di un’EI.38 Gli inusuali funghi cosiddetti emergenti
e le muffe sono responsabili del 25% dei casi.Tra 269 casi di EI da funghi
descritti tra il 1965 e il 1995, il 25% era nosocomiale.41 I fattori di rischio
includono pregressa chirurgia valvolare, utilizzo di antibiotici, abuso di
droghe iniettive, cateteri intravascolari, chirurgia diversa da quella cardiaca
e uno stato immunocompromesso. Gli ultimi tre sono aumentati, e praticamente tutti i pazienti hanno due o più fattori di rischio. Febbre, soffi nuovi
o con caratteristiche mutate, embolia sistemica che include l’occlusione
di arterie principali degli arti, alterazioni neurologiche e insufficienza cardiaca sono sintomi frequenti. Le emocolture sono frequentemente positive
Diagnosi di endocardite infettiva (Criteri di Duke modificati)
Endocardite infettiva certa
Criteri anatomopatologici
Microrganismi: isolati mediante coltura o istologicamente in una
vegetazione, o in una vegetazione che ha embolizzato, o in
un ascesso intracardiaco, o
Lesioni anatomopatologiche: presenza di vegetazione o di
ascesso intracardiaco, confermata da segni istologici di
endocardite acuta
Criteri clinici, in base alle definizioni specifiche elencate di seguito
Due criteri maggiori, o
Un criterio maggiore e tre criteri minori, o
Cinque criteri minori
Possibile endocardite infettiva
Un criterio maggiore e uno minore o tre criteri minori
Esclusione della diagnosi di EI
Presenza di un’alternativa diagnostica evidente per le
manifestazioni di endocardite, o
Duratura risoluzione delle manifestazioni di endocardite, con
terapia antibiotica per 4 giorni o meno, o
Assenza di reperti anatomopatologici di endocardite infettiva in
sede operatoria o autoptica, dopo terapia antibiotica per 4 giorni
o meno
Criteri per la diagnosi di endocardite infettiva
Criteri maggiori
Emocoltura positiva
Microrganismi tipici per l’endocardite infettiva in due
emocolture distinte
Streptococchi viridans, Streptococcus bovis, Gruppo HACEK
o Staphylococcus aureus o enterococchi acquisiti in
comunità in assenza di un focolaio primitivo, o
Positività persistente dell’emocoltura, definita come riscontro
di un microrganismo compatibile con endocardite batterica
in: emocolture (≥2) prelevate a più di 12 ore di distanza,
o Tre emocolture su tre o la maggioranza di quattro o più
emocolture distinte, con la prima e l’ultima prelevate ad
almeno 1 ora di distanza
Singola emocoltura positiva per Coxiella burnetii o titolo
anticorpale IgG anti fase I >1 :800
Evidenza di coinvolgimento endocardico
Ecocardiogramma positivo
(ETE consigliata per una PVE o per EI complicata)
Massa oscillante intracardiaca, su una valvola o su strutture
di supporto, o sulla traiettoria dei getti di sangue
rigurgitato, o su materiale impiantato, in assenza di una
spiegazione anatomica alternativa, o
Ascesso, o
Nuova deiscenza parziale di una valvola protesica, o
Nuovo rigurgito valvolare (non è sufficiente l’accentuazione
o la modificazione di un soffio preesistente)
Criteri minori
Predisposizione: condizioni cardiache predisponenti o Utilizzo
di droghe per via endovenosa
Febbre ≥38,0°C
Fenomeni vascolari: embolia delle grosse arterie, infarti polmonari
settici, aneurisma micotico, emorragia intracranica, emorragie
congiuntivali, lesioni di Janeway
Fenomeni immunologici: glomerulonefrite, noduli di Osler,
macchie di Roth, fattore reumatoide
Evidenza microbiologica: emocoltura positiva ma che non soddisfa
il criterio principale come evidenziato precedentemente*
o prova sierologica di infezione attiva con microrganismo
compatibile con endocardite infettiva
EI = endocardite infettiva; IgG = immunoglobulina G; PVE = endocardite su valvola protesica; ETE = ecocardiografia transesofagea.
Adattato da Durack DT, Lukes AS, Bright DK: New criteria for diagnosis of infective endocarditis: Utilization of specific echocardiographic findings. Am J Med
96:200, 1994; modificato da Li JS, Sexton DJ, Mick N, et al: Proposed modifications to the Duke criteria for the diagnosis of infective endocarditis. Clin Infect
Dis 30:633, 2000.
*Escludendo le singole emocolture positive per stafilococchi coagulasi-negativi e per microrganismi che non causano endocardite frequentemente.
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quando l’EI è causata da specie di Candida, ma lo sono raramente quando
l’EI è causata da microrganismi miceliali. Coltura ed esame istologico delle
vegetazioni conducono a una diagnosi microbiologica nel 75 e nel 95%
dei casi, rispettivamente, e il 65% delle vegetazioni emboliche da arterie
periferiche è diagnostico.
Patogenesi
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Endocardite infettiva
Le interazioni fra l’organismo ospite e i particolari microrganismi che culminano nell’EI coinvolgono l’endotelio vascolare,
i meccanismi emostatici, il sistema immunitario dell’ospite,
le alterazioni macroscopiche delle strutture anatomiche del
cuore, le caratteristiche di membrana dei microrganismi, la
produzione di enzimi e tossine da parte dei microrganismi e
gli eventi periferici che danno inizio alla batteriemia. Ciascuna
componente di queste interazioni è in sé complessa, influenzata da molteplici fattori non ancora del tutto chiariti. Queste
complesse interazioni producono una sequenza patogenetica
in cui i microrganismi aderiscono alla superficie valvolare, si
fissano nella sede di adesione, proliferano causando un danno
locale e la crescita della vegetazione e, alla fine, si diffondono
nel sangue. Studi dettagliati in vitro e in vivo, aiutati da manipolazioni genetiche, hanno iniziato a chiarire la fisiopatologia
dell’EI causata da streptococchi viridans e S. aureus.42 La rarità
delle endocarditi nonostante le frequenti batteriemie transitorie, sintomatiche o meno, indica che l’endotelio integro è
relativamente resistente all’infezione. Il danno endoteliale
determina un deposito di piastrine e fibrina, che è più recettivo alla colonizzazione batterica rispetto all’endotelio sano.
È stato ipotizzato che il deposito di piastrine e fibrina avvenga
spontaneamente nelle persone con valvulopatia e che questi
depositi, detti endocardite trombotica non batterica (NonBacterial Thrombotic Endocarditis, NBTE), siano le sedi su
cui aderiscono i microrganismi durante una batteriemia per
dare origine all’EI.43
SVILUPPO DELL’ENDOCARDITE TROMBOTICA NON
BATTERICA. Due sono i principali meccanismi che determinano la formazione della NBTE: la lesione endoteliale e uno
stato di ipercoagulabilità. La NBTE si riscontra all’autopsia
nell’1,3% dei pazienti ed è più frequente con l’età avanzata e
nei pazienti con tumori, CID, uremia, ustioni, LES, cardiopatie
valvolari e cateteri intracardiaci.44 Le lesioni da NBTE si riscontrano a livello della linea di chiusura o di contatto della valvola
sulla faccia atriale della mitrale e della tricuspide, oltre che
sulle superfici ventricolari delle valvole aortica e polmonare,
sedi delle vegetazioni infette nei pazienti con EI.
Le circostanze emodinamiche che possono causare una
lesione dell’endotelio, dando inizio alla NBTE sono tre: (1) un
flusso ad alta velocità che danneggia l’endotelio, (2) un flusso
da una camera ad alta pressione a una a bassa pressione e (3)
un flusso ad alta velocità attraverso un orifizio ristretto. Il flusso
attraverso un orifizio ristretto, come conseguenza dell’effetto
Venturi, determina il deposito di batteri principalmente nel
punto in cui il flusso diventa a bassa pressione, immediatamente a valle dell’orifizio o nel punto in cui il flusso ad alta
pressione colpisce la superficie. Queste sono le stesse sedi in
cui si forma la NBTE come conseguenza di fattori emodinamici. La sovrapposizione della formazione della NBTE e del
deposito preferenziale di batteri contribuisce a spiegare la
distribuzione delle vegetazioni infette.45
CONVERSIONE DELL’ENDOCARDITE TROMBOTICA
NON BATTERICA A ENDOCARDITE INFETTIVA. La batteriemia è l’evento scatenante che, alla fine, converte la NBTE
in un’EI. La frequenza e l’entità della batteriemia associata alle
attività quotidiane e alle procedure sanitarie sembrano correlate a specifiche superfici mucose e cutanee, alla densità dei
batteri colonizzatori, allo stato di malattia della superficie e
all’estensione del trauma locale. L’incidenza della batteriemia
è più elevata per eventi che traumatizzano la mucosa orale, in
particolare la gengiva, e diminuisce progressivamente nelle
procedure che interessano il tratto genitourinario e intestinale. 1639
Una superficie mucosa alterata, specialmente se infetta, è associata a un rischio aumentato di batteriemia.
Affinché i microrganismi vitali circolanti raggiungano una
NBTE, essi devono essere resistenti all’attività battericida del
plasma mediata dal complemento.
L’adesione dei microrganismi alla NBTE o all’endotelio valvolare apparentemente integro, è un evento precoce, fondamentale nello sviluppo dell’EI. Sovrabbondanti molecole interagenti situate sulla superficie batterica mediano l’adesione
alle molecole della matrice extracellulare dell’ospite sull’endotelio valvolare o sulla NBTE. Collettivamente, queste molecole batteriche sono conosciute come componenti della superficie microbica che riconoscono le molecole di adesione alla
matrice (Microbial Surface Components Recognizing Adhesive
Matrix Molecules, MSCRAMM). Gli streptococchi che producono polisaccaridi di superficie chiamati glucano o destrano
causano endocardite più frequentemente dei ceppi che non
producono destrano. È stato dimostrato che il destrano presente sulla superficie degli streptococchi media l’adesione ai
depositi di piastrine e fibrina e alle valvole danneggiate e facilita lo sviluppo di endocardite in modelli sperimentali.42,44 La
produzione di destrano, comunque, non è sempre una delle
principali cause microbiche di EI; pertanto, è probabile che
altri meccanismi favoriscano l’adesione. Ad esempio, la proteina Fim A dello Streptococcus parasanguis, che appartiene
a una famiglia di adesine della mucosa orale negli streptococchi viridans, facilita l’adesione alla fibrina e lo sviluppo di
endocardite in modelli sperimentali.42
La fibronectina, un importante fattore nella patogenesi dell’EI, è stata identificata nelle lesioni presenti sulle valvole cardiache ed è prodotta dalle cellule endoteliali, dalle piastrine
e dai fibroblasti in risposta al danno vascolare; la sua forma
solubile si lega al collagene sottoendoteliale esposto. I recettori
per la fibronectina, MSCRAMM, sono presenti sulla superficie
dello S. aureus, degli streptococchi viridans, degli streptococchi di gruppo A, C e G, degli enterococchi, S. pneumoniae e
C. albicans. La fibronectina ha molti siti di legame e può,
quindi, legarsi simultaneamente a fibrina, collagene, cellule e
microrganismi e facilitare l’adesione dei batteri alle valvole
nelle sedi delle lesioni o delle NBTE. Nello S. aureus le proteine A e B, legandosi alla fibronectina, sono critiche nell’induzione dell’endocardite in modelli sperimentali. Anche il
fattore di agglutinamento (o proteina di superficie legante il
fibrinogeno) dello S. aureus media il legame di questi microrganismi alle piastrine, ai trombi di fibrina e alle valvole aortiche nei modelli di endocardite.42 Il glicocalice o limo sulla
superficie dello S. epidermidis non sembra agire come un’adesina, ma può rendere i microrganismi più virulenti, aumentando la loro capacità di sfuggire all’eradicazione da parte dei
meccanismi di difesa dell’ospite.
Il meccanismo con cui i microrganismi virulenti colonizzano
e infettano l’endotelio valvolare sano è meno chiaramente compreso. Nelle persone anziane, la sclerosi degenerativa valvolare
può essere associata con l’infiammazione locale, la quale, a
sua volta, può promuovere il legame della cellula endoteliale
alla fibronectina e ad altre molecole della matrice extracellulare. Materiale particellare iniettato durante l’uso di droghe
iniettive può stimolare eventi simili a livello endoteliale. Queste modificazioni endoteliali potrebbero promuovere l’adesione dello S. aureus attraverso le MSCRAMM a valvole apparentemente normali.42 Il legame dello S. aureus alla proteina
legante la fibronectina è necessario per l’invasione di cellule
endoteliali integre.42 La moltiplicazione intracellulare dell’organismo determina la morte della cellula che causa, a sua volta,
la distruzione della superficie endoteliale e dà inizio alla formazione di depositi di piastrine e fibrina e di zone aggiuntive
per l’adesione batterica.
Dopo l’adesione alla NBTE o all’endotelio, i batteri devono
rimanere fissi e moltiplicarsi perché si sviluppi un’EI. La resistenza degli streptococchi viridans e dello S. aureus alle pro-
19-02-2007 19:05:23
1640 teine antimicrobiche delle piastrine è associata a un’aumentata
Capitolo 58
capacità di causare un’endocardite in modelli sperimentali.42
La persistenza e la moltiplicazione del microrganismo determinano un complesso processo dinamico durante il quale le
vegetazioni infette aumentano di dimensioni per l’aggregazione delle piastrine e della fibrina, i microrganismi si moltiplicano e sono disseminati nella corrente ematica e i frammenti
delle vegetazioni embolizzano. Le proteine di superficie di
stafilococchi e streptococchi legano le piastrine e promuovono
l’aggregazione piastrinica e lo sviluppo delle vegetazioni. In
modelli sperimentali i microrganismi che legano e aggregano
le piastrine sono più virulenti.42 Inoltre, gli streptococchi e gli
stafilococchi aumentano l’attività procoagulante locale inducendo i monociti adesi alla fibrina a produrre il fattore tissutale
(una tromboplastina tissutale che si lega al fattore VII attivato
per indurre la coagulazione).42 Anche lo S. aureus può indurre
la produzione di fattore tissutale da parte delle cellule endoteliali e potrebbe facilitare lo sviluppo di endocardite su valvole normali.42 Molte ripetizioni del ciclo dall’adesione alla
moltiplicazione e alla deposizione di piastrine e di fibrina portano all’EI clinica.
Fisiopatologia
Al di là dei sintomi propri dell’infezione, probabilmente mediati
dalle citochine, le manifestazioni cliniche dell’EI sono dovute
(1) agli effetti distruttivi locali dell’infezione intracardiaca, (2)
all’embolizzazione in sedi distanti di piccoli frammenti o di
frammenti settici delle vegetazioni, che provocano un infarto
o un’infezione, (3) alla disseminazione per via ematica in zone
lontane durante la batteriemia persistente e (4) e alla risposta
anticorpale verso l’organismo infettante, con la successiva
lesione tissutale causata dalla deposizione di immunocomplessi preformati o dall’interazione degli anticorpi e del complemento con gli antigeni presenti nei tessuti.
Le conseguenze intracardiache dell’EI variano da forme
banali, caratterizzate da una vegetazione infetta con nessun
danno tissutale associato, a forme molto gravi, quando l’infezione è localmente distruttiva o si estende oltre i lembi valvolari. La distorsione o la perforazione dei lembi valvolari, la
rottura delle corde tendinee e la perforazione o la formazione
di tramiti fistolosi fra i vasi maggiori e le camere cardiache o
fra le camere stesse, come conseguenza di un’infezione che si
approfonda nel tessuto, possono causare una CHF che è progressiva (Fig. 58-2).46-48 L’infezione, particolarmente quella che
coinvolge la valvola aortica o le valvole protesiche, può estendersi al tessuto paravalvolare e causare ascessi e febbre persistente collegati alla mancata risposta alla terapia antibiotica,
lesione del sistema di conduzione con alterazioni ECG e aritmie clinicamente rilevanti o pericardite purulenta.48 Le grosse
vegetazioni, particolarmente a livello della mitrale, possono
determinare una stenosi valvolare funzionale e un deterioramento emodinamico.18,49 In generale, le complicanze intracardiache che coinvolgono la valvola aortica evolvono più rapidamente di quelle associate all’interessamento della mitrale;
nonostante ciò, la progressione è molto variabile e non prevedibile nel singolo paziente.
L’embolizzazione di frammenti dalle vegetazioni in grado di
produrre sintomi di infezione o di infarto, è clinicamente evidente nell’11-43% dei pazienti.45,50-52 Tuttavia, l’evidenza anatomopatologica di emboli viene osservata più frequentemente
all’autopsia (45-65%). Gli emboli polmonari, spesso di tipo
settico, si verificano nel 66-75% dei tossicodipendenti da droghe iniettive con EI a carico della valvola tricuspide.10,11 La
batteriemia persistente dell’EI, con o senza emboli settici, può
causare infezioni metastatiche a carico di qualunque organo o
tessuto. Queste infezioni, variabili nelle dimensioni da piccoli
ascessi miliari ad ascessi estesi, possono manifestarsi con segni
e sintomi locali o con una febbre persistente durante la terapia.
L’EI causata da microrganismi virulenti, soprattutto dallo S.
Braun Cap 58ok.indd 1640
FIGURA 58–2 Una valvola normale con una vegetazione estesa e sporgente
causata da un’infezione da Staphylococcus aureus. È presente un coagulo al
centro della vegetazione, che nasconde una fenestrazione valvolare.
aureus o dagli streptococchi beta-emolitici, è più frequentemente complicata da infezioni metastatiche rispetto a quella
dovuta a germi non virulenti, p.es., gli streptococchi viridans.21,27 Gli ascessi metastatici sono spesso piccoli e miliari.
L’infezione metastatica assume particolare importanza quando
è necessaria una terapia diversa dai soli antibiotici indicati per
l’EI, oppure quando queste infezioni costituiscono un focolaio
che favorisce la recidiva.
Aspetti clinici
Si stima che l’intervallo fra la presunta batteriemia iniziale e
l’insorgenza dei sintomi dell’EI sia inferiore a 2 settimane in
oltre l’80% dei pazienti con NVE. È interessante che in alcuni
pazienti con infezioni intra- o perioperatorie delle valvole protesiche, il periodo di incubazione può essere più lungo (2-5
mesi o più).18
La febbre è il segno e il sintomo più frequente nei pazienti
con EI (Tab. 58-5). La febbre può essere assente o minima negli
anziani o nei pazienti con CHF, grave debilitazione o insufficienza renale cronica e, talora, nei pazienti con una NVE causata dagli stafilococchi coagulasi-negativi.30,53 Soffi cardiaci
sono ascoltati nell’80-85% dei pazienti con NVE e sono emblematici della lesione predisponente all’EI. I soffi non sono di
solito udibili nei pazienti con EI della valvola tricuspide.
Similmente, nella NVE acuta da S. aureus, i soffi sono udibili
solo nel 30-45% dei pazienti all’esame clinico iniziale, ma
sono alla fine udibili nel 75-85% dei pazienti. I soffi nuovi o
con caratteristiche mutate (una modificazione non correlata
alla frequenza cardiaca o alla portata cardiaca, ma piuttosto
soffi da rigurgito indicativi di una disfunzione valvolare) sono
relativamente infrequenti nella NVE e sono maggiormente prevalenti nell’EI acuta e nella PVE.18 Essi sono frequentemente
segni premonitori importanti di CHF. L’ingrossamento della
19-02-2007 19:05:23
Tabella 58–5
Sintomi
Percentuale Segni
Percentuale
80-85
Febbre
80-90
Brividi
42-75
Soffio
80-85
25
Soffio mutato o di nuova
insorgenza
10-40
Anoressia
25-55
Alterazioni neurologiche†
30-40
Perdita di peso
25-35
Evento embolico
20-40
Malessere generale 25-40
Splenomegalia
15-50
Dispnea
Ippocratismo digitale
10-20
20-40
Tosse
25
Manifestazione
periferica
Ictus
13-20
Noduli di Osler
7-10
Cefalea
15-40
Emorragia subungueale
5-15
Nausea/vomito
15-20
Petecchie
10-40
Mialgie/artralgia
15-30
Lesione di Janeway
6-10
Dolore toracico*
8-35
Lesione retinica/
macchie di Roth
4-10
FIGURA 58–4 Emorragie subungueali (emorragie a scheggia) e petecchie
delle dita in un paziente con endocardite batterica. (Da Korzeniowski OM, Kaye
D: Infective endocarditis. In Braunwald E [ed]: Heart Disease. 4th ed. Philadelphia, WB Saunders, 1992, p 1087.)
Endocardite infettiva
Febbre
Sudorazioni
1641
Aspetti clinici dell’endocardite infettiva
Dolore addominale 5-15
Dolore alla schiena 7-10
Confusione
10-20
*Più comune nei tossicodipendenti che fanno uso di droghe iniettive.
†
Sistema nervoso centrale
FIGURA 58–5 Macchia di Roth (emorragia retinica con parte centrale
chiara) in un paziente con endocardite batterica. (Da Korzeniowski OM, Kaye
D: Infective endocarditis. In Braunwald E [ed]: Heart Disease. 4th ed. Philadelphia, WB Saunders, 1992, p 1087.)
FIGURA 58–3 Petecchie congiuntivali in un paziente con endocardite batterica. (Da Kaye D: Infective Endocarditis. Baltimore, University Park Press,
1976.)
milza è osservato nel 15-50% dei pazienti ed è più frequente
nell’EI subacuta di lunga durata.
Le classiche manifestazioni periferiche dell’EI sono oggi
meno frequenti e sono assenti nell’EI limitata alla valvola tricuspide.10,54 Le petecchie (Fig. 58-3), la più comune di queste
manifestazioni, sono osservate sulla congiuntiva palpebrale,
sulla mucosa della bocca e del palato e sulle estremità. Non
sono specifiche dell’endocardite anche quando interessano la
congiuntiva. Le emorragie subungueali (Fig. 58-4) sono di
colore rosso scuro, di aspetto lineare od occasionalmente strie
a forma di fiamma nel letto ungueale delle dita delle mani o
dei piedi. Le lesioni distali sono probabilmente dovute a
traumi, mentre quelle più prossimali sono verosimilmente correlate all’EI. I noduli di Osler sono piccoli noduli, dolorabili,
Braun Cap 58ok.indd 1641
sottocutanei, che si sviluppano nel polpastrello delle dita o, a
volte, più prossimalmente e persistono per ore, fino a parecchi
giorni. Neanche questi sono patognomonici dell’EI. Le lesioni
di Janeway sono piccole lesioni eritematose o emorragiche,
maculari, non dolenti, sul palmo delle mani o sulla pianta dei
piedi, conseguenza di emboli settici. Le macchie di Roth (Fig.
58-5), emorragie retiniche ovalari con la regione centrale pallida, sono rare nei pazienti con EI, osservate nei pazienti con
collagenopatie vascolari e con disordini ematologici, compresa
l’anemia grave.
I sintomi muscoloscheletrici, non correlati all’infezione
locale, sono relativamente frequenti nei pazienti con EI. Essi
comprendono artralgie e mialgie, vere artriti occasionali con
caratteristiche non diagnostiche, ma infiammatorie, del liquido
sinoviale e notevole dolore al dorso senza prova di infezione
dei corpi vertebrali, dello spazio discale o delle articolazioni
sacroiliache. Nei pazienti con artrite o dolore del dorso, l’infezione locale deve essere esclusa, poiché potrebbe richiedere
una terapia aggiuntiva.
Gli emboli sistemici sono tra le sequele cliniche più comuni
dell’EI, si verificano in una percentuale di pazienti che arriva
al 40%, e sono eventi subclinici frequenti, rilevati solo all’autopsia.45,50-52,54 Gli emboli spesso si manifestano prima che sia
definita la diagnosi. Benché possano verificarsi durante o dopo
la terapia antibiotica, la loro incidenza diminuisce prontamente durante un’efficace terapia antibiotica.53,55 L’infarto splenico su base embolica può causare dolore nel quadrante superiore sinistro dell’addome e alla spalla sinistra. Gli emboli
20-02-2007 11:52:19
1642 renali possono essere asintomatici o presentarsi con un dolore
Capitolo 58
al fianco e causare un’ematuria franca o microscopica. L’ictus
cerebrale su base embolica, che interessa soprattutto il territorio dell’arteria cerebrale media, si verifica nel 15-20% dei
pazienti con NVE e PVE.18 Gli emboli coronarici sono reperti
frequenti all’autopsia, ma di rado causano un infarto transmurale. Gli emboli alle estremità possono causare dolore e
un’ischemia evidente, mentre quelli alle arterie mesenteriche
possono causare dolore addominale, ileo paralitico e positività
del test al guaiaco delle feci.
Sintomi e segni neurologici compaiono nel 30-40% dei
pazienti con EI, sono più frequenti quando l’EI è causata dallo
S. aureus, e sono associati a una mortalità elevata.50,56,57 L’ictus
embolico è la manifestazione neurologica più frequente e clinicamente più importante. Un’emorragia intracranica si verifica nel 5% dei pazienti con EI. Il sanguinamento deriva dalla
rottura di un aneurisma micotico, dalla rottura di un’arteria
causata da un’arterite settica nella sede dell’occlusione embolica o dall’emorragia in una zona infartuale.58 Gli aneurismi
micotici, con o senza rottura, si verificano nel 2-10% dei
pazienti con EI; circa la metà coinvolge le arterie intracraniche
(Fig. 58-6). Un’encefalite con microascessi complica un’EI causata da microrganismi virulenti come lo S. aureus, ma i grossi
ascessi cerebrali sono rari. La meningite purulenta complica
alcuni episodi di EI causati da S. aureus o S. pneumoniae ma,
più tipicamente, il liquido cefalorachidiano ha caratteristiche
asettiche.29,56 Altre manifestazioni neurologiche comprendono
grave cefalea (potenziale segno di un aneurisma micotico),
convulsioni ed encefalopatia.
I soffi cardiaci che complicano l’EI sono dovuti soprattutto
alla distruzione valvolare o all’alterazione o alla rottura delle
corde tendinee. Le fistole intracardiache, la miocardite o l’embolia delle coronarie possono occasionalmente contribuire
all’instaurarsi della CHF, così come le patologie cardiache preesistenti. In assenza di un intervento chirurgico di correzione
della disfunzione valvolare, la CHF, particolarmente quella
correlata a insufficienza della valvola aortica, è associata a una
mortalità molto elevata.46
L’insufficienza renale dovuta a una glomerulonefrite da
immunocomplessi, insorge in meno del 15% dei pazienti con
EI. In conseguenza di questo processo, può comparire o progredire durante il trattamento iniziale un’iperazotemia; essa
generalmente migliora con la somministrazione prolungata di
una terapia antibiotica efficace. La glomerulonefrite focale e
gli infarti renali su base embolica causano ematuria, ma di rado
iperazotemia. L’insufficienza renale nei pazienti con EI è il più
FIGURA 58–6 Aneurisma micotico irregolare dell’arteria cerebrale media
situato in posizione laterale sulla corteccia cerebrale. Un secondo aneurisma
si proietta appena lateralmente all’arteria cerebrale anteriore.
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delle volte la manifestazione di una compromissione emodinamica o di una tossicità associata alla terapia antimicrobica
(nefrite interstiziale o danno da aminoglicosidi).
Diagnosi
I sintomi e i segni dell’endocardite sono spesso sistemici
e, quando localizzati, spesso derivano da una complicanza
dell’EI più che riflettere l’infezione intracardiaca stessa (Tab.
58-5). Perciò, se si vuol evitare di misconoscere la diagnosi di
EI, si deve mantenere un livello di sospetto elevato. La diagnosi deve essere ricercata quando un paziente febbrile si presenta con uno o più reperti fondamentali dell’EI: una lesione
cardiaca predisponente o un comportamento a rischio, una
batteriemia, un fenomeno embolico e la prova di un processo
endocarditico attivo. Poiché i pazienti con protesi valvolare
sono sempre a rischio di una PVE, la presenza di febbre o di una
nuova disfunzione protesica impone, in qualsiasi momento, di
considerare questa diagnosi. Nei pazienti a rischio di endocardite, una malattia concomitante o un evento iatrogeno possono
creare sintomi e segni simili a quelli di un’EI che richiedono
un’attenta considerazione per giungere a una diagnosi corretta.
Anche quando la malattia sembra un’endocardite tipica, la diagnosi definitiva richiede la positività delle emocolture o delle
colture (o dell’esame istologico o della PCR per il DNA del
microrganismo) delle vegetazioni o degli emboli. Molte condizioni con colture negative mimano un’EI: il mixoma atriale,
la febbre reumatica acuta, il LES o altre collagenopatie vascolari, l’endocardite marantica, la sindrome da antifosfolipidi, la
sindrome carcinoide, il carcinoma renale con aumento della
portata cardiaca e la porpora trombotica trombocitopenica.
I criteri di Duke modificati forniscono uno schema che facilita la valutazione dei pazienti per la diagnosi di endocardite
(Tab. 58-4).59,60 I dati clinici e di laboratorio, compresa l’ecocardiografia, devono essere raccolti in modo da permettere di
determinare la presenza o l’assenza dei criteri maggiori e
minori elencati. La presenza di due criteri maggiori o di uno
maggiore e di tre minori o di cinque criteri minori determina
la diagnosi clinica di “endocardite certa”, mentre la presenza
di un criterio maggiore e di uno minore o di tre criteri minori
indica una “possibile endocardite”. Quando utilizzati con giudizio nella valutazione di tutto l’iter della malattia, cioè non
solo limitandosi all’analisi dei reperti iniziali, questi criteri
sono sensibili e specifici per la diagnosi di EI (Tab. 58-4).59-61
Un’esclusione errata della diagnosi di endocardite è improbabile. Quando si usano questi criteri diagnostici per guidare la
terapia, i pazienti classificati come affetti da possibile endocardite devono essere trattati come se avessero un’EI. Richiedere almeno un criterio maggiore o tre criteri minori per diagnosticare una possibile endocardite riduce l’eventualità di
sovradiagnosi (impossibilità di escludere la diagnosi) e la possibilità di trattare pazienti non infetti.60
Per utilizzare la batteriemia causata da stafilococchi coagulasi-negativi o da difteroidi (microrganismi che possono causare l’EI ma che più spesso contaminano le emocolture) a supporto della diagnosi di endocardite, le emocolture devono
essere persistentemente positive o i microrganismi isolati in
più emocolture positive sporadiche devono appartenere a un
singolo ceppo.59,60 Queste considerazioni sono inglobate nei
criteri diagnostici (Tab. 58-4).57-59
ECOCARDIOGRAFIA. L’inclusione della prova ecocardiografica dell’infezione endocardica in questi criteri riconosce
l’elevata sensibilità dell’ecocardiografia bidimensionale con
color Doppler, specialmente se vengono eseguite sia l’ecografia
transesofagea multiplanare (ETE) che l’ecografia transtoracica
(ETT), e la relativa rarità dei risultati falsi positivi, quando
operatori esperti usano delle definizioni specifiche per le vegetazioni.61,62 Sebbene la sensibilità della ETE nell’identificazione delle vegetazioni nei pazienti con un’EI sospetta vari
dall’85 al 95% (o anche più se si eseguono controlli a distanza),
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rococchi e lo S. aureus, che, quando vengono riscontrati nel 1643
sangue, possono indicare o meno un’EI. Infine, la presenza o
l’assenza di fonti alternative della batteriemia aiuta nella valutazione della batteriemia stessa.
Esami di laboratorio
Molti altri test vengono inevitabilmente eseguiti nella valutazione dei pazienti con sospetta EI. I parametri ematologici sono
generalmente alterati. Un’anemia normocromica normocitica,
una bassa sideremia e una ridotta capacità sierica di legare il
ferro sono presenti nel 70-90% dei pazienti. L’anemia peggiora
con il prolungarsi della malattia e pertanto può essere assente
nell’EI acuta. Nell’EI subacuta, la conta dei globuli bianchi è
generalmente normale; al contrario, una leucocitosi con un
aumento dei granulociti è frequente nell’EI acuta. Una trombocitopenia è raramente presente.
La velocità di eritrosedimentazione (VES) è elevata (in media
circa 55 mm/ora) in quasi tutti i pazienti con EI, a eccezione
di quelli con CHF, insufficienza renale o coagulazione intravascolare disseminata (CID). Altri test spesso indicano una
stimolazione immunitaria o uno stato infiammatorio: titolazione degli immunocomplessi circolanti, del fattore reumatoide, delle immunoglobuline, delle crioglobuline e della proteina C reattiva. Benché i loro risultati rispecchino l’attività
della malattia, questi esami sono un modo costoso e non efficace di diagnosticare un’EI o di monitorare la risposta alla
terapia. La misurazione degli immunocomplessi circolanti e
del complemento può essere utile per valutare l’iperazotemia
legata a una glomerulonefrite diffusa da immunocomplessi. Il
risultato dell’analisi delle urine è spesso alterato, anche quando
la funzione renale è nei limiti. Proteinuria ed ematuria microscopica sono presenti nel 50% dei pazienti.
Endocardite infettiva
un risultato negativo non esclude la diagnosi o la necessità di
instaurare la terapia in presenza di un elevato sospetto clinico.62 La possibilità di un risultato falso negativo può essere
ridotta al 5-10% se la ETE viene ripetuta, soprattutto se lo
studio è biplanare o multiplanare.61,62 Pertanto, questi esami
aiutano a escludere la diagnosi quando il sospetto clinico è
modesto.61,62 Nonostante ciò, quando il sospetto clinico è elevato, anche questi esami altamente sensibili non permettono
di escludere la diagnosi. Inoltre, poiché l’ecocardiogramma
non può distinguere gli esiti di vegetazioni e le masse valvolari
dalle vegetazioni con infezione attiva, queste linee guida possono determinare un’errata diagnosi di EI con colture negative
nei casi in cui le vegetazioni complicano il marasma, le neoplasie, la collagenopatia vascolare criptica o la sindrome da
anticorpi antifosfolipidi.
STABILIRE LA CAUSA MICROBICA. La causa microbica
dell’EI viene accertata riscontrando la presenza dell’agente
infettante nel sangue o identificandolo nelle vegetazioni o nel
materiale embolico prelevati chirurgicamente. Nell’evidenziare la batteriemia dell’EI non c’è alcun vantaggio a eseguire
le emocolture in rapporto alla puntata febbrile o dal sangue
arterioso (invece che sul sangue venoso). Nei pazienti che non
hanno assunto in precedenza una terapia antibiotica e che
avranno, alla fine, un’EI con emocoltura positiva, è probabile
che il 95-100% delle emocolture ottenute sia positivo e che
una delle prime due emocolture sarà positiva in almeno il 95%
dei pazienti. Un trattamento antibiotico precedente è la causa
principale di EI con emocoltura negativa, soprattutto quando
il microrganismo responsabile è molto sensibile agli antibiotici. Almeno il 35% dei casi di EI con esame colturale negativo
può essere attribuito a una precedente terapia antibiotica.63
Dopo un trattamento antibiotico non ottimale, il tempo necessario perché le colture tornino a essere positive è direttamente
correlato alla durata della terapia antibiotica e alla sensibilità
dell’agente causale; possono essere necessari giorni, settimane
o anche più tempo.
ESEGUIRE LE EMOCOLTURE. Per la valutazione dei
pazienti con sospetta endocardite sono raccomandati tre
diversi prelievi per l’emocoltura, ciascuno eseguito attraverso
un accesso venoso differente, ottenuti nel corso di 24 ore.61
Ciascun prelievo deve includere due provette, una contenente
un mezzo di coltura aerobio e l’altro un brodo con tioglicolato
(terreno anaerobio) in cui devono essere introdotti almeno
10 ml di sangue.64
Perché la coltura sia eseguita in modo ottimale, il laboratorio
dovrebbe essere avvisato che l’endocardite è una possibile diagnosi e quali batteri insoliti eventualmente si sospettano
(Legionella, Bartonella, microrganismi HACEK). Se un paziente
clinicamente stabile ha assunto un antibiotico nelle settimane
precedenti, è consigliabile ritardare la terapia in modo da poter
ripetere nei giorni successivi nuove colture.64 Se si sospetta
un’endocardite fungina, le emocolture devono essere ottenute
con il metodo della lisi per centrifugazione. Si deve richiedere
al laboratorio di conservare il microrganismo responsabile dell’endocardite finché non è stata completata con successo la
terapia. Alcuni test sierologici sono impiegati per porre diagnosi eziologica presunta di endocardite causata da Brucella
Legionella, Bartonella, C. burnetii o Chlamydia. Grazie a tecniche speciali, tra cui la PCR, questi agenti e altri di difficile
isolamento nell’emocoltura possono essere identificati nel sangue o nelle vegetazioni.8,38,61,65
Una batteriemia prolungata è tipica dell’EI. Nel valutare la
positività delle emocolture, si devono distinguere le batteriemie prolungate (persistenti per oltre un’ora) da quelle transitorie. Se molte emocolture eseguite nel corso di 24 ore o più
sono positive, deve essere presa in considerazione la diagnosi
di EI. Anche l’identificazione del microrganismo è utile nel
determinare la forza con cui può essere sostenuta la diagnosi.
I microrganismi possono essere divisi in quelli che causano
comunemente un’EI, quelli che raramente determinano un’EI
e quelli dal comportamento intermedio, per esempio gli ente-
Ecocardiografia (vedi anche Cap. 11)
La valutazione dei pazienti con EI clinicamente sospetta con
questa tecnica rende spesso possibile la conferma morfologica
dell’infezione e contribuisce sempre più alle decisioni circa
la gestione.62,66 L’ecocardiografia non deve essere utilizzata
come test di screening per l’EI in pazienti non selezionati con
emocolture positive o in pazienti con febbre di origine sconosciuta, quando la probabilità clinica della malattia è bassa.61,67
Nonostante ciò, la valutazione ecocardiografica deve essere
eseguita nella maggior parte dei pazienti con un’EI clinicamente sospetta, specialmente quelli con emocolture negative.61
Benché molti pazienti con una NVE che coinvolge le valvole
aortica o mitrale possano essere studiati in maniera adeguata
con la ETT, la ETE con l’impiego della tecnica biplanare o
multiplanare, con il color Doppler e con il Doppler continuo
o pulsato rappresenta il gold standard.67-69 La ETE permette la
visualizzazione delle vegetazioni più piccole e ha una risoluzione migliore rispetto alla ETT. Non soltanto la ETE è l’approccio strumentale preferito nei pazienti con EI clinicamente
sospetta in cui la ETT non è ottimale, ma è anche la procedura
di scelta per studiare la valvola polmonare, i pazienti con PVE
(specialmente in sede mitralica) e i pazienti che sono ad alto
rischio di complicanze intracardiache o quelli con i segni di
un’infezione persistente o aggressiva nonostante un’adeguata
terapia antibiotica.61,68-70
Una valutazione analitica decisionale dal punto di vista dell’ecocardiografia per la diagnosi di NVE in pazienti con batteriemia suggerisce che, presumendo che l’efficacia diagnostica
della ETE sia superiore a quella della ETT del 15%, la strategia
con il miglior rapporto costo-efficacia (che offre una qualità
opzionale standardizzata per gli anni di vita) è quella che
segue: (1) se la probabilità a priori di EI è inferiore al 2%, trattare la batteriemia senza eseguire un’ecocardiografia; (2) se la
probabilità a priori è del 2-4%, utilizzare la ETE; e (3) se la
probabilità a priori è del 5-45%, eseguire una ETE inizialmente
al posto della ETT. Se la probabilità di un’EI è superiore al
45%, il trattamento senza ecocardiografia è efficace dal punto
19-02-2007 19:05:25
1644 di vista dei costi, anche se sarebbero ancora auspicabili degli
Capitolo 58
studi per valutare le complicanze e gli altri rischi.24 L’elevata
frequenza di pazienti con EI che presentavano un’alta probabilità a priori di endocardite porta a studi che dimostrano che
i dati ottenuti tramite ETE raramente alterano la gestione clinica elaborata sulla base dei dati della ETT.67,68 La ETE diviene
fondamentale quando la ETT è tecnicamente inadeguata,
quando è ricercata una PVE e quando la probabilità clinica a
priori è intermedia.
Un’altra analisi costo-efficacia suggerisce che nei pazienti
con batteriemia correlata a catetere da S. aureus clinicamente
non complicata, la valutazione con ETE per determinare la
durata della terapia antibiotica (4 contro 2 settimane, cioè,
trattamento dell’endocardite oppure no) è più efficace, dal
punto di vista dei costi, della scelta empirica di una delle due
durate.23 La strategia di diagnosi di EI tramite ETT, seguita da
ETE se negativa, non era stata valutata ma, data la probabilità
di EI a priori (≥6%), sarebbe probabilmente più costosa.
La sensibilità della ETT per l’identificazione delle vegetazioni nella NVE è circa del 65%. Al contrario, la sensibilità
della ETE per l’identificazione delle vegetazioni nella NVE è
dell’85-95%.62 Nei pazienti con PVE, la ETT è limitata dall’effetto ombra della protesi, soprattutto in posizione mitralica, e
la sua sensibilità si riduce al 15-35%. Al contrario, la sensibilità della ETE nell’identificare le vegetazioni nella PVE che
interessa valvole meccaniche o biologiche in posizione aortica
o mitralica, variava dall’82 al 96%.70,71
Nonostante la sensibilità della ETE nell’identificare le vegetazioni nei pazienti affetti da EI accertata, l’ecocardiografia non
fornisce una diagnosi definitiva: può dimostrare le vegetazioni
e la disfunzione valvolare, ma la determinazione della causa
richiede conferme cliniche o anatomiche e microbiologiche
dirette. In base all’ecocardiogramma, le vegetazioni infette non
possono essere distinte dalle lesioni marantiche, né dai trombi
o dal panno di fibrina presenti sulla protesi. Inoltre, nella NVE
non è in genere possibile distinguere le vegetazioni attive da
quelle guarite.72 Le valvole ispessite, la rottura delle corde o
delle valvole, le calcificazioni valvolari e i noduli possono
essere scambiati per vegetazioni, a riprova della specificità
limitata dell’ecocardiografia da sola.
La disfunzione valvolare causata da lacerazione tissutale, da perforazione del lembo o da grosse vegetazioni ostruenti può essere visualizzata
e quantificata con l’ecocardiografia Doppler. Un certo grado di rigurgito
all’esame Doppler è quasi sempre presente nelle fasi precoci della NVE e
della PVE e non predice necessariamente un progressivo deterioramento
emodinamico. L’estensione dell’infezione attraverso il lembo valvolare
nel tessuto circostante determina la formazione di ascessi in varie parti
dell’anulus o delle strutture adiacenti, di aneurismi micotici del seno di
Valsalva o della valvola mitrale, di fistole intracardiache e di una pericardite
purulenta. Nei pazienti con NVE o PVE, gli ascessi miocardici sono più
facilmente identificabili con la ETE che con la ETT.70,71 La sensibilità e la
specificità nell’identificazione degli ascessi sono state del 28% e del 98%
per la ETT, in confronto all’87% e al 95% per la ETE. La ETE è ancora più
sensibile e accurata rispetto alla ETT nel riconoscere la malattia invasiva
sottoaortica e le perforazioni valvolari.73
RISONANZA MAGNETICA E TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA.
Queste tecniche hanno identificato l’estensione paravalvolare dell’infezione, gli aneurismi della radice aortica e le fistole; tuttavia, la loro utilità
in rapporto all’ecocardiografia non è stata stabilita.
SCINTIGRAFIA. Nel tentativo di identificare le vegetazioni e gli ascessi
intracardiaci, nei pazienti con EI e in modelli animali è stata usata la scintigrafia con granulociti marcati con gallio-67 citrato e con indio-111 e
con piastrine marcate con indio-111. Questi tentativi non sono risultati
abbastanza sensibili, né hanno permesso una localizzazione anatomica,
per essere considerati utili clinicamente.74
Trattamento
Due obiettivi principali devono essere raggiunti per trattare
l’EI in modo efficace. Il microrganismo infettante deve essere
eradicato dalla vegetazione. Il fallimento di questo obiettivo
causa una recidiva dell’infezione. Inoltre, devono essere risolte
Braun Cap 58ok.indd 1644
le complicanze distruttive intracardiache e focali extracardiache dell’infezione se si vogliono ridurre significativamente la
morbilità e la mortalità. Il secondo obiettivo spesso va oltre le
capacità di un’efficace terapia antibiotica e richiede un intervento cardiochirurgico o altre procedure chirurgiche.
I batteri si moltiplicano nelle vegetazioni fino a raggiungere
delle densità di 109-1010 microrganismi per grammo di tessuto,
divengono metabolicamente quiescenti e sono difficili da eradicare. L’esperienza clinica e i modelli sperimentali animali
indicano che la terapia ottimale deve prevedere la somministrazione di un antibiotico battericida o di un’associazione di
antibiotici, piuttosto che di farmaci ad azione batteriostatica.
Inoltre, gli antibiotici raggiungono le aree centrali delle vegetazioni non vascolarizzate per diffusione passiva. Per raggiungere concentrazioni antibiotiche efficaci nelle vegetazioni,
devono essere ottenute delle concentrazioni sieriche elevate
e, anche in questo caso, la penetrazione di alcuni farmaci è
limitata. La terapia antibiotica parenterale viene usata ogni
qualvolta sia possibile, per ottenere un’adeguata concentrazione sierica di antibiotico e per evitare l’assorbimento potenzialmente irregolare della terapia per via orale. Il trattamento
deve continuare per periodi prolungati per assicurare l’eradicazione dei microrganismi quiescenti.
Nella scelta della terapia antibiotica per il paziente con EI,
si devono considerare la capacità dei possibili farmaci di eliminare il microrganismo responsabile, così come la concentrazione minima inibente (Minimum Inhibitory Concentration, MIC) e la concentrazione minima battericida (Minimum
Bactericidal Concentration, MBC) di questi antibiotici per il
microrganismo. La MIC è la concentrazione più bassa che
inibisce la crescita, e la MBC è la concentrazione più bassa
che riduce un inoculo standard di microrganismi del 99,9%
in 24 ore. Per gran parte degli streptococchi e degli stafilococchi, la MIC e la MBC delle penicilline, delle cefalosporine o
della vancomicina sono le stesse o differiscono di un fattore
che varia da 2 a 4. Talora si incontrano microrganismi per i
quali la MBC di questi antibiotici è 10 volte o più rispetto alla
MIC. Questo fenomeno è stato chiamato tolleranza.66 La maggior parte dei ceppi tolleranti viene eliminata solo in modo
più lento rispetto ai ceppi non tolleranti e, dopo una prolungata incubazione (48 ore), le MIC e le MBC dei due gruppi
sono simili. Gli enterococchi possono sembrare tolleranti
quando testati con le penicilline e la vancomicina; tuttavia,
essi non sono, di fatto, eliminati da questi farmaci, ma vengono
solamente inibiti, anche dopo un tempo di incubazione più
lungo. Gli enterococchi possono essere eliminati dall’attività
combinata di specifiche penicilline o della vancomicina e di
un aminoglicoside. L’aumentata attività antibiotica dell’associazione contro gli enterococchi, se di sufficiente entità, è detta
sinergia o effetto battericida sinergico.66 Un effetto simile può
essere osservato con queste associazioni contro gli streptococchi e gli stafilococchi.
Un effetto battericida sinergico è necessario per un trattamento ottimale dell’endocardite da enterococco ed è stato utilizzato per ottenere una terapia più efficace o di durata più
breve per l’EI causata da altri microrganismi. Negli streptococchi e negli stafilococchi, la tolleranza, sebbene dimostrabile in
vivo, negli esperimenti su modelli animali non è stata associata
a una ridotta percentuale di eradicazione o a una risposta ritardata al trattamento con le penicilline, le cefalosporine o la
vancomicina. Pertanto, la presenza di tolleranza negli streptococchi o negli stafilococchi non ha richiesto una terapia combinata e, in effetti, i trattamenti sono ideati sulla base delle
MIC di questi microrganismi.75
I regimi raccomandati per il trattamento dell’EI causata da
specifici microrganismi sono ideati per fornire concentrazioni
elevate di antibiotici, nel siero e all’interno delle vegetazioni,
che superino la MIC del microrganismo per la maggior parte
della durata dell’intervallo fra le dosi. Benché le concentrazioni degli antibiotici nelle vegetazioni dei pazienti con EI
19-02-2007 19:05:26
Tabella 58–6
Antibiotico
Terapia dell’endocardite su valvola
nativa dovuta a streptococchi viridans
penicillino-sensibili e Streptococcus bovis
(concentrazione minima inibente
£0,1 mg/ml)*
Dosaggio e
via di somministrazione†
Durata
(settimane)
12-18 milioni di unità/24 ore in
infusione continua oppure ogni 4
ore in sei dosi uguali
4
Ceftriaxone
2 g una volta al giorno EV o IM
4
Penicillina G
acquosa
12-18 milioni di unità/24 ore in
infusione continua oppure ogni
4 ore in sei dosi uguali
2
1 mg/kg IM o EV ogni 8 ore
2
30 mg/kg/24 ore EV in due dosi
uguali, senza superare i 2 g/24 ore
a meno che non siano monitorati
i livelli sierici
4
più
Gentamicina
Vancomicina
Modificato da Wilson WR, Karchmer AW, Dajani AS, et al: Antibiotic treatment of adults with infective endocarditis due to streptococci, enterococci,
staphylococci, and HACEK microorganisms. JAMA 274:1706, 1995. Copyright 1995 American Medical Association.
*Per varianti streptococciche di tipo nutrizionale (Streptococcus adjacens,
Streptococcus defectivus), vedi Tabella 58-8.
†
Dosaggi indicati per pazienti con funzione renale normale. Le dosi di vancomicina e di gentamicina devono essere ridotte nei pazienti con insufficienza
renale. Le dosi di vancomicina e di gentamicina sono calcolate in base al
peso corporeo ideale (uomo = 50 kg + 2,3 kg per ogni pollice oltre i 5 piedi;
donna = 45,5 kg + 2,3 kg per ogni pollice oltre i 5 piedi).
siano state raramente misurate, il successo degli schemi terapeutici raccomandati indica che questo obiettivo è stato raggiunto. Pertanto, per una terapia ottimale è importante seguire
attentamente gli schemi raccomandati.
Terapia antibiotica per specifici microrganismi
La terapia antibiotica dell’endocardite non deve solo eradicare l’agente causale, ma deve farlo determinando al tempo
stesso una tossicità minima o nulla. La terapia per un dato
paziente richiede delle modificazioni per potersi adattare alle
disfunzioni degli organi terminali, alle allergie esistenti e ad
altre tossicità note. Con l’eccezione dell’endocardite da stafilococco, gli schemi di trattamento antibiotico raccomandati
per la terapia di una NVE e di una PVE sono simili, benché sia
spesso necessario un trattamento più lungo per le PVE.18,74
STREPTOCOCCHI VIRIDANS O STREPTOCOCCUS
BOVIS PENICILLINO-SENSIBILI. Per i pazienti affetti da EI
causata da streptococchi penicillino-sensibili e S. bovis, quattro schemi terapeutici offrono un’efficacia elevata e comparabile (Tab. 58-6). I regimi che durano 4 settimane permettono
un tasso di guarigione batteriologica del 98% tra i pazienti che
completano il ciclo di terapia. Il trattamento con l’associazione
sinergica di penicillina e gentamicina per 2 settimane è efficace
in casi selezionati quanto il trattamento con gli schemi terapeutici della durata 4 di settimane. Il regime combinato è raccomandato per i pazienti con NVE non complicata che non
sono ad aumentato rischio di tossicità da aminoglicosidi. I
pazienti con endocardite causata da streptococchi con varianti
nutrizionali (Abiotrophia), endocardite che coinvolge una protesi valvolare o complicata da un aneurisma micotico, da un
ascesso miocardico, da un’infezione perivalvolare o un focolaio extracardiaco di infezione, non devono essere trattati con
questo regime di breve durata.
Braun Cap 58ok.indd 1645
1645
Endocardite infettiva
Penicillina G
acquosa
Una percentuale dal 2 all’8% degli streptococchi viridans e S. bovis che
causa l’endocardite è altamente resistente alla streptomicina (MIC >2000
mg/ml) e non viene eliminata in maniera sinergica dall’associazione di penicillina e streptomicina. Questi ceppi molto resistenti alla streptomicina,
comunque, vengono eliminati dall’associazione sinergica della penicillina
con la gentamicina. Di conseguenza, a meno che non sia stato possibile
valutare lo streptococco causale per escludere elevati livelli di resistenza
alla streptomicina, si consiglia di usare la gentamicina nei trattamenti combinati di breve durata.76 Il ceftriaxone 2 g una volta al giorno associato
alla gentamicina (3 mg/kg) o alla netilmicina (4 mg/kg) somministrati in
una singola dose giornaliera per 14 giorni, ha permesso un trattamento
efficace delle endocarditi causate da streptococchi penicillino-sensibili.77
Nonostante ciò, l’esperienza con la somministrazione degli aminoglicosidi
in unica dose giornaliera nel trattamento dell’EI è limitata, e questi regimi
terapeutici non sono attualmente raccomandati. Le specie Abiotrophia
sono in genere più resistenti alla penicillina degli altri streptococchi viridans.25 I pazienti affetti da endocarditi causate da questi microrganismi
sono trattati con gli schemi terapeutici raccomandati per l’endocardite
enterococcica (Tab. 58-8); tuttavia, i risultati restano insoddisfacenti.
Per il trattamento dell’endocardite streptococcica nei pazienti con
un’anamnesi positiva per reazioni allergiche acute (orticarioidi o anafilattiche) alla penicillina o alle cefalosporine, è raccomandata la vancomicina (Tab. 58-6). I pazienti con altre forme di allergia alla penicillina
(esantema cutaneo maculopapulare tardivo) possono essere trattati, con
cautela, con il ceftriaxone (Tab. 58-6) o con la cefazolina, 2 g EV ogni 8
ore per 4 settimane.
Nei pazienti affetti da una PVE causata da streptococchi penicillino-sensibili, viene raccomandato il trattamento con la penicillina per 6 settimane,
associando la gentamicina durante le prime 2 settimane.18
STREPTOCOCCHI RELATIVAMENTE PENICILLINORESISTENTI. Per il trattamento dei pazienti con endocardite
da streptococchi con una MIC per la penicillina compresa tra
0,2 e 0,5 mg/ml, è raccomandato un regime di 4 settimane con
elevate dosi di penicillina somministrate per via parenterale,
a cui viene associato un aminoglicoside (soprattutto la gentamicina per le ragioni dette in precedenza) durante le prime 2
settimane (Tab. 58-7). I pazienti che non possono tollerare la
penicillina a causa di un’ipersensibilità di tipo immediato,
possono essere trattati con la sola vancomicina. Per quelli con
ipersensibilità non immediata alla penicillina, si può ottenere
un trattamento efficace con la sola vancomicina o associando
la gentamicina durante le prime 2 settimane di trattamento con
ceftriaxone (Tab. 58-6). I pazienti con endocardite da streptococchi altamente resistenti alla penicillina (MIC >0,5 mg/ml)
devono essere trattati con uno degli schemi raccomandati per
l’endocardite enterococcica (Tab. 58-8).
STREPTOCOCCUS PYOGENES, STREPTOCOCCUS PNEUMONIAE E STREPTOCOCCHI DI GRUPPO B, C, G. L’endocardite causata da questi streptococchi si è dimostrata
refrattaria alla terapia antibiotica o associata a un danno valTabella 58–7
Trattamento dell’endocardite su valvola
nativa dovuta a ceppi di streptococchi
viridans e Streptococcus bovis
relativamente resistenti alla penicillina G
(concentrazione minima inibente
>0,1 mg/ml e <0,5 mg/ml)
Antibiotico
Dosaggio e
via di somministrazione*
Durata
(settimane)
Penicillina G
acquosa
più
Gentamicina
18 milioni di unità/24 ore in
infusione continua o ogni 4 ore
in sei dosi uguali
1 mg/kg IM o EV ogni 8 ore
4
Vancomicina
30 mg/kg/24 ore EV in due
dosi uguali, non
superare 2 g/24 ore a meno che
non siano monitorati i livelli sierici
4
2
*I dosaggi sono per pazienti con funzione renale normale; vedi nota Tabella
58-6. Modificato da Wilson WR, Karchmer AW, Dajani AS, et al: Antibiotic
treatment of adults with infective endocarditis due to streptococci, enterococci, staphylococci, and HACEK microorganisms. JAMA 274:1706, 1995.
Copyright 1995 American Medical Association.
22-02-2007 14:52:37
1646
Tabella 58–8
Terapia standard per l’endocardite dovuta
a enterococco*
Antibiotico
Dosaggio e
via di somministrazione*
Penicillina
acquosa G
18-30 milioni di unità/24 ore in
infusione continua
o ogni 4 ore in sei dosi
uguali
4-6
1 mg/kg IM o EV ogni 8-ore
4-6
12 g/24ore in infusione
continua o
ogni 4 ore in sei dosi
uguali
4-6
più
Gentamicina
Capitolo 58
Ampicillina
più
Gentamicina
Vancomicina‡
più
Gentamicina
Durata
(settimane)
1 mg/kg IM o EV ogni 8 ore
4-6
30 mg/kg/24 ore EV in due
dosi uguali, non
superare 2 g/24 ore a meno che
non siano monitorati i livelli sierici
4-6
1 mg/kg IM o EV ogni 8 ore
4-6
Alcuni Autori preferiscono la gentamicina alla dose di 1,5 mg/kg ogni
8 ore; tuttavia, poiché questa dose può essere associata a un’aumentata
incidenza di nefrotossicità, altri consigliano dosi di 1 mg/kg ogni 8 ore.
Con queste dosi si cerca di ottenere delle concentrazioni plasmatiche di
picco di gentamicina rispettivamente di circa 5 e di 3,5 µg/ml. In assenza
di una resistenza elevata alla streptomicina del ceppo responsabile, si può
usare questo antibiotico al posto della gentamicina nei regimi standard,
somministrandolo per via intramuscolare (IM) o EV, alla dose di 7,5 mg/
kg ogni 12 ore, per raggiungere una concentrazione plasmatica di picco
di circa 20 µg/ml. Nei pazienti allergici alla penicillina, è raccomandato
l’uso della vancomicina con un aminoglicoside (Tab. 58-8); in alternativa, i
Tabella 58–9
Modificato da Wilson WR, Karchmer AW, Dajani AS, et al: Antibiotic treatment of adults with infective endocarditis due to streptococci, enterococci,
staphylococci, and HACEK microorganisms. JAMA 274:1706, 1995. Copyright 1995 American Medical Association.
*Al fine di scegliere la terapia ottimale, si deve testare la sensibilità agli antibiotici di tutti gli enterococchi responsabili di endocardite. Questi schemi
terapeutici sono per la terapia dell’endocardite causata da enterococchi
sensibili alla vancomicina o all’ampicillina e non altamente resistenti alla
gentamicina. Possono essere utilizzati anche per la terapia dell’endocardite causata da streptococchi viridans e varianti streptococciche di tipo
nutrizionale penicillina-resistenti (MIC >0,5) (S. defectivus, S. adjacens), o
dell’endocardite su valvola protesica da enterococco.
†
Dosaggi per pazienti con funzione renale normale. Vedi nota Tabella 58-6.
‡
Le cefalosporine non sono un’alternativa alla penicillina/ampicillina nei
pazienti allergici alla penicillina.
volare esteso. La penicillina G alla dose di 3 milioni di unità
EV ogni 4 ore per 4 settimane è raccomandata per il trattamento
dell’endocardite da streptococco di gruppo A.
L’EI causata dagli streptococchi di gruppo G, C o B è più difficile da
trattare di quella causata dagli streptococchi viridans penicillino-sensibili. Di conseguenza, è spesso consigliata l’associazione della gentamicina
durante le prime 2 settimane di un regime della durata di 4 settimane, che
impiega elevate dosi di penicillina (Tab. 58-7).26,27 In quasi la metà di questi
casi, un intervento cardiochirurgico precoce è necessario per correggere
le complicanze intracardiache e può migliorare la prognosi.26,27
Nella scelta della terapia per l’EI pneumococcica, importanti considerazioni sono sia la resistenza antibiotica del ceppo infettante che la
coesistenza di meningite.28 Il trattamento di un’EI causata da pneumococchi penicillino-sensibili (MIC = 0,6 µg/ml) con o senza la concomitante
meningite comprende la penicillina G 4 milioni di unità EV ogni 4 ore,
ceftriaxone 2 g EV ogni 12 ore o cefotaxime 4 g EV ogni 6 ore. In assenza
di meningite, questi regimi sono efficaci per l’EI causata da pneumococchi relativamente resistenti alla penicillina (MIC 0,1 a 1,0 µg/ml). Se l’EI,
inclusa quella complicata da meningite, è provocata da uno pneumococco
penicillino-resistente (MIC = 2,0 µg/ml) o cefotaxime-resistente (MIC =
2,0 µg/ml), è preferita la terapia con ceftriaxone 2 g EV ogni 12 ore (o
cefotaxime 4 g EV ogni 4 ore) con vancomicina 15 mg/kg EV ogni 12 ore.
La mortalità risulta associata all’insufficienza cardiaca piuttosto che alla
penicillino-resistenza.
ENTEROCOCCHI. La terapia ottimale per l’endocardite enterococcica richiede l’interazione battericida sinergica di un antibiotico diretto contro la parete cellulare batterica (penicillina,
ampicillina o vancomicina) e di un aminoglicoside che sia in
grado di esercitare un effetto battericida (principalmente la
streptomicina o la gentamicina). Un elevato livello di resistenza,
definito come l’incapacità di concentrazioni elevate di streptomicina (2000 mg/ml) o gentamicina (500 a 2000 mg/ml) di inibire
la crescita dell’enterococco, è predittivo dell’incapacità dell’an-
Braun Cap 58ok.indd 1646
tibiotico di esercitare il suo effetto letale e di partecipare all’interazione sinergica di tipo battericida sia in vitro che in vivo. I
regimi standard raccomandati per il trattamento dell’endocardite da enterococco (Tab. 58-8) sono ideati per ottenere una
sinergia battericida. La terapia combinata sinergica ha determinato un tasso di guarigione dell’85% circa, rispetto al 40% ottenuto con trattamento non battericida con un singolo farmaco.
I.
Strategia per scegliere la terapia
dell’endocardite enterococcica causata
da ceppi resistenti ai farmaci
dello schema terapeutico standard 1
La terapia ideale per ottenere un’azione battericida sinergica
comprende un farmaco attivo sulla parete cellulare più un
aminoglicoside
II. Antibiotico attivo sulla parete cellulare
A. Determinare la MIC per l’ampicillina e la vancomicina; test
per la produzione di beta-lattamasi (test al nitrocefin)
B. Se sensibili all’ampicillina e alla vancomicina, usare
l’ampicillina
C. Se resistenti all’ampicillina (MIC ≥16 µg/ml) e sensibili alla
vancomicina, usare la vancomicina
D. Se produttori di beta-lattamasi, usare la vancomicina o
l’ampicillina protetta (associata al sulbactam)
E. Se resistenti all’ampicillina e alla vancomicina (MIC ≥16
mg/ml), considerare la teicoplanina*
F. Se resistenti all’ampicillina e altamente resistenti alla
vancomicina e alla teicoplanina (MIC ≥256 µg/ml), vedi IV
C, D
III. Usare un aminoglicoside con un antibiotico attivo sulla parete
cellulare
A. Se non c’è un alto grado di resistenza alla streptomicina
(MIC <2000 µg/ml) o alla gentamicina (MIC <500-2000
µg/ml), usare la gentamicina o la streptomicina
B. Se c’è un alto grado di resistenza alla gentamicina (MIC
>500-2000 µg/ml), testare la streptomicina. Se non c’è
un alto grado di resistenza alla streptomicina, usare la
streptomicina
C. Se c’è un alto grado di resistenza alla gentamicina e alla
streptomicina, tralasciare la terapia con aminoglicoside;
adottare una terapia prolungata (8-12 settimane) con un
antibiotico attivo sulla parete cellulare se il microrganismo
è sensibile (vedi II A-E) o impiegare una terapia alternativa
(vedi IV C, D)
IV. Terapie e approcci alternativi
A. Monoterapia (vedi III C) e intervento chirurgico
B. Considerare ampicillina, vancomicina (o teicoplanina) e
gentamicina (o streptomicina) in base all’assenza di un alto
grado di resistenza
C. Per l’endocardite infettiva dovuta a Enterococcus faecium
sensibile considerare la terapia con quinupristina/
dalfopristin e l’intervento chirurgico
D. Considerare una terapia con linezolid con o senza
l’intervento chirurgico
E. La terapia con fluorochinolonici, rifampicina oppure con
trimetoprim-sulfametossazolo ha un’efficacia discutibile
F. La daptomicina è attiva in vitro contro gli enterococchi
resistenti alla vancomicina, ma non ci sono dati clinici per
questo farmaco
MIC = concentrazione minima inibente.
*Non approvati dalla Food and Drug Administration per l’impiego negli Stati
Uniti; possono essere utilizzati in protocolli per uso compassionevole.
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STAFILOCOCCHI. Più del 90% degli stafilococchi coagulasi-positivi e coagulasi-negativi è resistente alla penicillina.
La resistenza alla meticillina è frequente tra gli stafilococchi
coagulasi-negativi ed è sempre più frequente tra lo S. aureus.
I ceppi meticillino-resistenti sono resistenti a tutti gli antibiotici beta-lattamici, ma di solito sono sensibili alla vancomicina.
Rari stafilococchi hanno una ridotta sensibilità o una resistenza
alla vancomicina. Tra gli stafilococchi eliminati dagli antibiotici attivi contro la parete cellulare, gli effetti battericidi di
questi farmaci possono essere aumentati dall’associazione con
un aminoglicoside. Le associazioni di penicilline semisintetiche penicillinasi-resistenti o della vancomicina con la rifampicina non producono un’azione battericida sinergica
prevedibile; nonostante ciò, la rifampicina ha un’attività specifica contro le infezioni da stafilococchi che interessano i
materiali estranei.18 Le infezioni stafilococciche che interessano le protesi valvolari sono trattate differentemente dalla
NVE causata dalle stesse specie (Tab. 58-10).18,30,75
ENDOCARDITE DA STAFILOCOCCO DELLE VALVOLE 1647
NATIVE. Le penicilline semisintetiche penicillinasi-resistenti
sono la pietra miliare del trattamento dell’endocardite causata
da stafilococchi meticillino-sensibili. Quando un paziente ha
un’allergia alla penicillina che non induce orticaria o una reazione anafilattica, si può utilizzare una cefalosporina di prima
generazione. L’interazione sinergica degli antibiotici beta-lattamici con un aminoglicoside non ha aumentato il tasso di
guarigione dell’endocardite stafilococcica; tuttavia, la terapia
con questa associazione ha moderatamente accelerato l’eradicazione degli stafilococchi dalle vegetazioni e dal sangue. Per
ottenere questo vantaggio potenziale, nei primi 3-5 giorni di
trattamento alla terapia con antibiotici beta-lattamici per lo S.
aureus si può associare la gentamicina.75 Una somministrazione più prolungata di gentamicina è stata associata a nefrotossicità e deve pertanto essere evitata. Il ruolo della terapia
combinata non è definito altrettanto bene nelle NVE causate
da stafilococchi coagulasi-negativi; i dati complessivi suggeriscono un miglioramento del tasso di guarigione con la terapia
combinata.30
Nei tossicodipendenti da droghe iniettive, l’endocardite da S. aureus
meticillino-sensibile, non complicata e limitata alle valvole del cuore
destro, è stata efficacemente trattata con 2 settimane di penicilline
semisintetiche penicillinasi-resistenti (ma non con la vancomicina) in
associazione con un aminoglicoside (dosi come indicato nella Tab. 58-10).
Tuttavia, alcuni pazienti con endocardite del cuore destro da S. aureus
nella prima settimana di trattamento sviluppano segni suggestivi di infezione del cuore sinistro; questi pazienti non sono candidati a terapia
abbreviata.
Nell’endocardite causata da stafilococchi meticillino-resistenti è necessaria una terapia con vancomicina (Tab. 58-10). Il trattamento con il trimetoprim-sulfametossazolo per le endocarditi del cuore destro causate da S.
aureus sensibile a questo antibiotico è stato solo moderatamente efficace.
Non sono disponibili vere alternative al trattamento con la vancomicina.
Gli stafilococchi meticillino-resistenti sono in genere sensibili al linezolid
e alla daptomicina; tuttavia, l’esperienza nell’utilizzo di questi farmaci per
il trattamento dell’endocardite è limitata. La teicoplanina, un antibiotico
glicopeptidico simile alla vancomicina, è stata presa in considerazione
come possibile alternativa; tuttavia, alcuni ceppi di S. aureus sono diventati
resistenti alla teicoplanina.79
La teicoplanina si inizia a una dose di 6 mg/kg due volte al dì per 3-4
giorni finché non si ottiene una concentrazione sierica costante di 20-30
mg/ml; in seguito, per risultati ottimali, questa concentrazione deve essere
mantenuta con 10 mg/kg/die. Se il ceppo meticillino-resistente è sensibile
alla gentamicina, questo aminoglicoside può essere usato in combinazione
con la vancomicina per aumentare l’attività battericida. Tuttavia, questa
associazione può aumentare anche l’incidenza della tossicità renale. L’associazione della rifampicina alla vancomicina nel trattamento della NVE da
S. aureus meticillino-resistente non è risultata vantaggiosa. L’endocardite
del cuore destro da S. aureus meticillino-resistente non si può trattare con
un regime della durata di 2 settimane.
Endocardite infettiva
pazienti possono essere desensibilizzati nei confronti della penicillina. La
desensibilizzazione può essere opportuna quando un’insufficienza renale
preesistente consiglia di evitare la combinazione potenzialmente più nefrotossica della vancomicina e di un aminoglicoside. Le cefalosporine non
sono efficaci nel trattamento dell’endocardite da enterococco. La terapia
viene somministrata per 4-6 settimane, con una maggiore durata per il
trattamento dei pazienti con EI sintomatica per più di 3 mesi, con malattia
complicata e con PVE enterococciche. Durante il trattamento, si richiede
un accurato controllo clinico dei pazienti e dei livelli di aminoglicoside
per prevenire la nefrotossicità e l’ototossicità.
Nella più vasta casistica pubblicata fino a oggi, di 93 pazienti trattati
per EI enterococcica (66 con NVE, 27 con PVE), 75 (81%) sono guariti,
15 (16%) sono deceduti e 3 (3%) hanno recidivato.78 La guarigione è stata
raggiunta con una durata mediana della terapia antimicrobica attiva sulla
parete cellulare e della terapia con aminoglicoside di 42 e 15 giorni, rispettivamente. Nei 39 pazienti che sono guariti, gli aminoglicosidi sono stati
somministrati per 21 giorni o meno. Questi risultati positivi con regimi che
usano cicli più brevi di aminoglicosidi suggeriscono che la componente
aminoglicosidica della terapia di associazione possa essere ridotta se la
tossicità diventa significativa.
Tutti gli enterococchi responsabili di un’endocardite devono essere
attentamente valutati per poter selezionare una terapia efficace (Tab. 58-9).
Il ceppo responsabile dell’endocardite deve essere testato per un alto livello
di resistenza nei confronti sia della streptomicina che della gentamicina,
nonché per stabilire la sua sensibilità alla penicillina, all’ampicillina e alla
vancomicina. Se il ceppo è resistente alle concentrazioni sieriche raggiungibili del farmaco attivo contro la parete cellulare o è molto resistente agli
aminoglicosidi, il sinergismo e la terapia ottimale non possono essere ottenuti con un regime standard che preveda un antibiotico inattivo. Inoltre,
l’elevata resistenza alla gentamicina predice la resistenza a tutti gli altri
aminoglicosidi, a eccezione della streptomicina. Questi dati sulla sensibilità
permettono la selezione di un regime battericida di tipo sinergico, se ne
esiste uno utilizzabile, o di un trattamento alternativo (Tab. 58-9).46
Tabella 58–10 Trattamento dell’endocardite da stafilococco in assenza di materiale protesico
Antibiotico
Dosaggio e via di somministrazione*
Durata
2 g EV ogni 4 ore
1 mg/kg IM o EV ogni 8 ore
4-6 settimane
3-5 gg
2 g EV ogni 8 ore
4-6 settimane
1 mg/kg IM o EV ogni 8 ore
3-5 gg
30 mg/kg/24 ore EV in due dosi uguali, senza superare
2 g/24 ore a meno che non siano monitorati i livelli sierici
4-6 settimane
30 mg/kg/24 ore EV in due uguali, senza superare
2 g/24 ore, a meno che non siano monitorati i livelli sierici
4-6 settimane
†
Stafilococchi sensibili alla meticillina
Nafcillina od oxacillina
Con aggiunta opzionale di gentamicina
Cefazolina (o altre cefalosporine di prima
generazione ai dosaggi equivalenti)‡
Con aggiunta opzionale di gentamicina
‡
Vancomicina
Stafilococchi resistenti alla meticillina
Vancomicina
Modificato da Wilson WR, Karchmer AW, Dajani AS, et al: Antibiotic treatment of adults with infective endocarditis due to streptococci, enterococci, staphylococci,
and HACEK microorganisms. JAMA 274:1706, 1995. Copyright 1995 American Medical Association.
*Dosaggi per i pazienti con funzione renale normale. Vedi nota Tabella 58-6.
†
Per la terapia dell’endocardite dovuta a stafilococchi penicillino-sensibili (MIC £0,1 mg/ml), penicillina G acquosa (18-24 millioni di unità/24 ore) può essere
usata per 4-6 settimane al posto della nafcillina o dell’oxacillina.
‡
Cefazolina, altre cefalosporine di prima generazione o la vancomicina possono essere impiegate in pazienti selezionati allergici alla penicillina.
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1648 Tabella 58–11 Terapia dell’endocardite da stafilococchi
in presenza di una valvola protesica
o di altro materiale protesico
Antibiotico
Dosaggio e
via di somministrazione*
Durata
(settimane)
Schema terapeutico per stafilococchi resistenti alla meticillina
Vancomicina
30 mg/kg/24 ore EV in due
≥6
dosi uguali,
senza superare 2 g/24 ore
a meno che non siano
monitorati i livelli sierici
Capitolo 58
più
Rifampicina e
gentamicina†
300 mg PO ogni 8 ore
1,0 mg/kg IM o EV
ogni 8 ore
≥6
2
Schema terapeutico per stafilococchi sensibili alla meticillina
Nafcillina od oxacillina 2 g EV ogni 4 ore
≥6
più
Rifampicina e
300 mg PO ogni 8 ore
≥6
gentamicina†
1,0 mg/kg IM o EV
2
ogni 8 ore
Modificato da Wilson WR, Karchmer AW, Dajani AS, et al: Antibiotic treatment of adults with infective endocarditis due to streptococci, enterococci,
staphylococci, and HACEK microorganisms. JAMA 274:1706, 1995. Copyright 1995 American Medical Association.
*Dosaggi sono per pazienti con funzione renale normale. Vedi nota Tabella
58-6.
†
Impiego durante le prime 2 settimane di terapia. Se il ceppo è resistente alla
gentamicina, vedere il testo per le possibili alternative.
ENDOCARDITE DA STAFILOCOCCO SU VALVOLA PROTESICA. Le infezioni stafilococciche delle protesi valvolari
cardiache devono essere trattate con un’associazione di tre
antibiotici. La rifampicina ha un’attività antistafilococcica specifica quando l’infezione colpisce i materiali estranei. Tuttavia,
quando la rifampicina viene utilizzata da sola o in combinazione con la vancomicina o con antibiotici beta-lattamici per
il trattamento delle PVE stafilococciche, compaiono rapidamente stafilococchi resistenti alla rifampicina stessa.18 Di conseguenza, la PVE stafilococcica viene trattata associando alla
rifampicina altri due antibiotici.18 È preferibile ritardare la
somministrazione della rifampicina fino a quando non è stato
somministrato per 48 ore un trattamento con due antibiotici
efficaci contro gli stafilococchi.
Nelle PVE causate da stafilococchi resistenti alla meticillina,
si inizia a somministrare vancomicina e gentamicina, associando la rifampicina se il microrganismo è sensibile alla gentamicina. Se il microrganismo è resistente alla gentamicina, si
deve scegliere un altro aminoglicoside a cui il microrganismo
si dimostri sensibile. In alternativa, se il microrganismo è resistente a tutti gli aminoglicosidi, si può usare un chinolonico
a cui il microrganismo sia sensibile.18 Nel trattamento di una
PVE causata da stafilococchi sensibili alla meticillina, si deve
sostituire la vancomicina con una penicillina semisintetica
penicillinasi-resistente (Tab. 58-11).
I pazienti con allergia alla penicillina di tipo non immediato
possono essere trattati con una cefalosporina di prima generazione invece della penicillina semisintetica. La PVE causata
da stafilococchi coagulasi-negativi, che si manifesta nel primo
anno dall’impianto della valvola, è spesso complicata da
un’estensione perivalvolare dell’infezione, ed è spesso necessario sostituire chirurgicamente la valvola per eradicare l’infezione e mantenere un’appropriata funzione valvolare.18
Pazienti con una PVE da S. aureus hanno frequenti complicanze intracardiache e tassi di mortalità particolarmente elevati. La probabilità di curare una PVE da S. aureus è significativamente maggiore associando l’intervento chirurgico precoce
a un’appropriata terapia antimicrobica combinata.80,81
Braun Cap 58ok.indd 1648
Tabella 58–12 Terapia dell’endocardite dovuta
a microrganismi HACEK*
Antibiotico
Dosaggio e
via di somministrazione†
Ceftriaxone‡
2 gm una volta al giorno EV o IM
4
Ampicillina
12 gm/24 ore EV somministrati
continuamente o ogni 4-ore
in sei dosi egualmente suddivise
4
1 mg/kg IM o EV ogni 8 ore
4
più
Gentamicina
Durata
(settimane)
Modificato da Wilson WR, Karchmer AW, Dajani AS, et al: Antibiotic treatment of adults with infective endocarditis due to streptococci, enterococci,
staphylococci, and HACEK microorganisms. JAMA 274:1706, 1995. Copyright 1995 American Medical Association.
*I microrganismi HACEK sono Hemophilus parainfluenzae, Hemophilus
aphrophilus, Actinobacillus actinomycetemcomitans, Cardiobacterium
hominis, Eikenella corrodens e Kingella spp.
†
Dosaggi per pazienti con funzione renale normale. Vedi nota Tabella 58-6.
‡
Cefotaxime o ceftizoxime in dosi equivalenti possono sostituire il ceftriaxone.
HEMOPHILUS PARAINFLUENZAE, HEMOPHILUS APHROPHILUS, ACTINOBACILLUS ACTINOMYCETEMCOMITANS, CARDIOBACTERIUM HOMINIS, EIKENELLA CORRODENS E KINGELLA
KINGAE (MICRORGANISMI HACEK). Le endocarditi causate dai microrganismi del gruppo HACEK, in passato, sono state trattate con l’ampicillina
da sola o in associazione con la gentamicina. Sono stati occasionalmente
isolati microrganismi del gruppo HACEK ampicillino-resistenti in quanto
produttori di betalattamasi. Data la marcata sensibilità dei microrganismi
del gruppo HACEK, produttori o meno di beta-lattamasi, alle cefalosporine
di terza generazione, per la terapia della NVE o della PVE, causata da questi
microrganismi è raccomandato l’impiego del ceftriaxone o di una cefalosporina di terza generazione equivalente (Tab. 58-12).75 Nell’endocardite
causata dai ceppi non produttori di beta-lattamasi, può essere usata l’ampicillina associata alla gentamicina al posto del ceftriaxone (Tab. 58-12).
ALTRI PATOGENI. La terapia antibiotica per i pazienti con EI causata
da microrganismi atipici si basa su un’esperienza clinica limitata e su dati
derivati da modelli sperimentali su animali e studi in vitro. L’amfotericina
a dosaggio massimo, spesso combinata con la 5-fluorocitosina, è raccomandata per la terapia dell’endocardite da Candida. Molti pazienti con NVE e
PVE da Candida senza complicanze intracardiache risultano guariti con
una terapia prolungata con il fluconazolo.82 Ciononostante, il trattamento
standard per l’endocardite da Candida continua a essere l’intervento chirurgico poco dopo l’inizio della terapia con amfotericina.41,83 È stata sostenuta la necessità di una somministrazione prolungata o a tempo illimitato
di fluconazolo nei pazienti trattati con terapia medica o chirurgica.82,83 Pur
essendo state di uso poco comune per trattare l’EI, le formulazioni liposomiali dell’amfotericina possono essere utili poiché sono meno tossiche
dell’amfotericina desossicolato. I nuovi farmaci echinocandina e gli azolici
sono delle alternative per la terapia acuta e soppressiva.
Deve essere attentamente valutata la sensibilità all’antibiotico dei corinebatteri responsabili di endocardite. Molti sono sensibili alla penicillina,
alla vancomicina e agli aminoglicosidi. Per i ceppi sensibili agli aminoglicosidi si ottiene un effetto battericida sinergico associando la penicillina
con un aminoglicoside. C. jeikeium, sebbene sia spesso resistente alla
penicillina e agli aminoglicosidi, è sensibile alla vancomicina. La NVE o la
PVE causate dalle specie Corynebacterium possono essere trattate con
la penicillina associata a un aminoglicoside o alla vancomicina, a seconda
delle sensibilità del ceppo responsabile.
Le Enterobatteriaceae (Escherichia coli e Klebsiella, Enterobacter,
Serratia e Proteus) sono molto sensibili alle cefalosporine di terza generazione, all’imipenem e all’aztreonam. Per trattare l’EI causata da Enterobacteriacee viene utilizzato uno dei farmaci sopra menzionati, ad alte dosi,
associato a un aminoglicoside.
L’EI da C. burnetii è difficile da eradicare. È stata proposta una terapia
prolungata (di almeno 4 anni) con doxiciclina (100 mg due volte al
giorno) o con un’altra tetraciclina associata a un chinolonico. La terapia
con doxiciclina associata a idrossiclorochina per 18-48 mesi (media 31
mesi, mediana 26 mesi) può essere più efficace di cicli di terapia più
lunghi con doxiciclina e un chinolonico.34,84 La chirurgia è importante
per una terapia efficace.
ENDOCARDITE CON COLTURA NEGATIVA. Devono
essere effettuate indagini particolari per diagnosticare un’EI
causata da batteri subdoli e da altri microrganismi (vedi Diagnosi). Dopo di che, a meno che i dati clinici o epidemiologici
non suggeriscano una diagnosi eziologica, la terapia raccoman-
19-02-2007 19:05:28
EPOCA DI INIZIO DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA. La politica attuale
di contenimento dei costi sanitari spinge spesso a iniziare una terapia
antibiotica empirica per sospetta endocardite subito dopo aver effettuato
l’emocoltura. Questa strategia è appropriata per i pazienti con EI acuta
molto distruttiva e rapidamente progressiva e per i pazienti emodinamicamente scompensati che richiedono un intervento di emergenza o comunque urgente. L’inizio immediato della terapia ha un impatto favorevole
sulla prognosi di questi pazienti. Al contrario, iniziare precipitosamente
la terapia in pazienti emodinamicamente stabili con sospetta endocardite subacuta non previene le complicanze precoci e può, inquinando le
emocolture successive, compromettere la diagnosi eziologica dell’endocardite. In questi ultimi pazienti, è prudente ritardare la terapia antibiotica
in attesa dei risultati della prima emocoltura. Se questa non si positivizza
prontamente, è bene sfruttare questo ritardo per ulteriori emocolture
senza l’effetto confondente della terapia empirica. Questa opportunità è
importante se i pazienti hanno assunto antibiotici di recente.
MONITORAGGIO DELLA TERAPIA DELL’ENDOCARDITE. I pazienti
devono essere accuratamente monitorati durante la terapia e per molti
mesi successivi. Il fallimento della terapia antibiotica, la presenza di ascessi
miocardici o metastatici e di emboli, l’ipersensibilità agli antibiotici e altre
complicanze della terapia (infezione da catetere, tromboflebiti) o malattie
intercorrenti possono manifestarsi con febbre persistente o ricorrente. Nel
33% dei pazienti trattati per EI con antibiotici betalattamici, soprattutto
penicillina e ampicillina, si osservano effetti collaterali della terapia. Le
reazioni includono la comparsa di febbre, di manifestazioni cutanee e
neutropenia e hanno una frequenza crescente dopo 15 giorni di terapia.86
Gli eventi clinici possono indicare la necessità di rivedere la terapia antibiotica, potenzialmente salvavita, o di una terapia chirurgica associata.
La concentrazione sierica di vancomicina o di aminoglicosidi deve
essere misurata periodicamente per effettuare aggiustamenti della dose
che assicurino una terapia ottimale ed evitare gli effetti collaterali. Inoltre,
nei pazienti che assumono questi due antibiotici, deve essere monitorata
la funzione renale; l’emocromo completo deve essere eseguito almeno
settimanalmente nei pazienti che assumono antibiotici betalattamici o
vancomicina ad alte dosi.
Durante i primi giorni di terapia o se la febbre persiste, devono essere
effettuate emocolture ripetute per determinare quando la batteriemia è
sotto controllo. Nei pazienti con recrudescenza della febbre dopo il trattamento, è fondamentale effettuare subito delle emocolture per stabilire
la possibile ripresa del processo endocarditico.
TERAPIA ANTIBIOTICA DOMICILIARE. I progressi tecnici che permettono la somministrazione sicura di protocolli antibiotici complessi,
associati a un’assistenza domiciliare ben organizzata che permette di
supportare e monitorare la terapia, rendono possibile il trattamento dei
pazienti affetti da endocardite in regime ambulatoriale. In questo modo,
si può ridurre significativamente il costo della terapia. Tuttavia, devono
essere presi in considerazione per la terapia domiciliare solo i pazienti che
hanno risposto fin dall’inizio alla terapia e non hanno più febbre, che non
presentano complicanze preoccupanti, che garantiscono una buona compliance terapeutica e che hanno una situazione abitativa idonea. Poiché la
maggior parte delle complicanze del trattamento dell’EI si verifica durante
le 2 settimane iniziali di terapia, alcuni Autori hanno suggerito che il trattamento durante questo periodo debba essere somministrato in regime di
degenza o in ambiente ambulatoriale che fornisca quotidianamente una
sorveglianza medica.87 Inoltre, i pazienti da trattare a domicilio devono
essere informati delle potenziali complicanze dell’endocardite, istruiti a
rivolgersi immediatamente ai medici se dovessero verificarsi eventi clinici
inattesi o sfavorevoli e devono essere costantemente monitorati dal punto
di vista clinico e laboratoristico. Infine, la terapia domiciliare non deve
rappresentare un compromesso terapeutico che porti a un trattamento
subottimale.
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1649
Tabella 58–13 Cardiochirurgia nei pazienti
con endocardite infettiva
Indicazioni
Insufficienza cardiaca congestizia da moderata a grave dovuta
a disfunzione valvolare
Protesi instabile, orifizio della protesi ostruito
Infezione non controllata malgrado una terapia antibiotica ottimale
Terapia antibiotica efficace non disponibile: endocardite dovuta
a miceti, Brucellae, Pseudomonas aeruginosa (valvole aortica
o mitralica)
PVE da Staphylococcus aureus con una complicanza intracardiaca
Recidiva di PVE dopo una terapia ottimale
Fistola nel sacco pericardico
Indicazioni relative*
Estensione perivalvolare dell’infezione, fistola intracardiaca,
ascesso miocardico con febbre persistente
NVE da S. aureus poco responsiva (valvole aortica o mitrale)
Recidiva di NVE dopo terapia antibiotica ottimale
NVE o PVE a emocoltura negativa con persistenza di febbre (≥10 gg)
Grande (>10 mm di diametro) vegetazione ipermobile (con o senza
un precedente episodio di embolia arteriosa)
Endocardite da enterococchi altamente resistenti agli antibiotici
Endocardite infettiva
data per la NVE con coltura negativa è l’associazione dell’ampicillina con la gentamicina (Tab. 58-8); poiché, in assenza di
una terapia antibiotica confondente, è poco probabile che la
NVE con coltura negativa sia dovuta a enterococchi o a stafilococchi, è possibile sostituire il ceftriaxone all’ampicillina
nello schema terapeutico descritto. Per i pazienti con PVE e
coltura negativa, è opportuno aggiungere la vancomicina a questo schema.18 L’incidenza di mortalità è più bassa nei pazienti
con endocardite e coltura negativa che hanno assunto antibiotici prima delle emocolture e in quelli diventati apirettici
durante la prima settimana di terapia antibiotica.85 Nel trattamento dei pazienti con EI e coltura negativa è bene considerare
la possibilità di un’endocardite marantica. L’intervento chirurgico deve essere considerato per coloro che non rispondono
bene alla terapia antibiotica empirica. Se si procede all’intervento, si deve effettuare un esame microbiologico e anatomopatologico approfondito del materiale escisso per stabilire la
diagnosi eziologica.
NVE = endocardite su valvola nativa; PVE = endocardite su valvola protesica.
*Intervento solitamente necessario per una prognosi ottimale.
Trattamento chirurgico delle complicanze
intracardiache
L’intervento cardiochirurgico ha un ruolo sempre più importante nella terapia delle complicanze intracardiache dell’endocardite. I dati retrospettivi suggeriscono che la mortalità è
elevata in modo inaccettabile quando queste complicanze sono
trattate con i soli antibiotici, mentre la mortalità si riduce se
gli antibiotici sono associati all’intervento chirurgico.46,88,89,89a
Pertanto, queste complicanze sono un’indicazione all’intervento chirurgico (Tab. 58-13).
DISFUNZIONE VALVOLARE. La terapia medica della NVE
complicata da CHF di grado da moderato a grave (Classe III e
IV NYHA) dovuta a una disfunzione valvolare ingravescente
o di nuova insorgenza, determina tassi di mortalità dal 50 al
90%. Le percentuali di sopravvivenza per un gruppo di pazienti
simile, ma trattato con antibiotici e intervento cardiochirurgico
sono del 60-80%.46,88 Sebbene le percentuali di sopravvivenza
tra i pazienti con PVE complicata da disfunzione valvolare e
CHF trattati chirurgicamente siano fra il 45 e l’85%, pochi
pazienti con PVE con queste complicanze sopravvivono a 6
mesi, se trattati con i soli antibiotici.17-19 Il peggioramento di
un’insufficienza aortica si associa a una CHF più grave e più
rapidamente progressiva rispetto a quanto accade nell’insufficienza mitralica. Quindi, i pazienti con endocardite della valvola aortica non solo costituiscono il numero maggiore di
pazienti trattati chirurgicamente, ma richiedono anche un
intervento più urgente quando sopraggiunge insufficienza cardiaca. L’insufficienza mitralica grave, tuttavia, evolve inesorabilmente verso l’insufficienza cardiaca e, alla fine, richiede
comunque l’intervento chirurgico. L’ecocardiografia Doppler
e color Doppler, pur individuando nella prima settimana di
terapia dell’endocardite la presenza di insufficienza valvolare
significativa, non riesce a predire in modo affidabile per quali
pazienti sarà necessaria la sostituzione valvolare durante la
fase attiva della malattia. Un’altra possibilità è che, nonostante
l’assenza in fase precoce di un’insufficienza valvolare significativa all’ecocardiografia, possa svilupparsi CHF. Quindi, le
decisioni sull’intervento chirurgico vanno prese integrando i
dati clinici e i reperti ecocardiografici ottenuti durante un
attento monitoraggio periodico. Talora, le vegetazioni molto
estese della mitrale, soprattutto di una protesi mitralica, causano un’ostruzione significativa e richiedono pertanto l’intervento chirurgico.18
19-02-2007 19:05:28
1650
Capitolo 58
PROTESI INSTABILI. La deiscenza di una protesi infetta
con conseguenti alterazioni, spesso emodinamicamente significative, della funzione valvolare è una manifestazione di infezione perivalvolare. Nei pazienti con PVE e con queste
complicanze, viene raccomandato l’intervento chirurgico.18 Il
rischio di un’infezione invasiva è maggiore per i pazienti che
presentano PVE entro un anno dall’impianto della valvola e
fra quelli con infezione della protesi valvolare aortica. L’endocardite in questi pazienti è spesso causata da microrganismi
invasivi antibiotico-resistenti; di conseguenza, aumenta ulteriormente il beneficio di una terapia combinata medica e chirurgica. I pazienti clinicamente stabili, ma con una protesi
chiaramente instabile ed eccessivamente mobile e un reperto
indicativo di deiscenza in più del 40% della circonferenza,
sono probabilmente soggetti a un’instabilità progressiva della
valvola e richiedono un trattamento chirurgico. Occasionalmente, alcuni pazienti con una PVE causata da microrganismi
non invasivi, molto sensibili agli antibiotici, p.es., gli streptococchi, nonostante un decorso clinico favorevole durante la
terapia antibiotica, manifestano tardivamente nel corso della
terapia una deiscenza minore della valvola, senza instabilità
della protesi o deterioramento emodinamico. Il trattamento
chirurgico di questi pazienti può essere differito, a meno che
non emerga una chiara indicazione all’intervento.
INFEZIONE NON CONTROLLATA O TERAPIA ANTIBIOTICA EFFICACE NON DISPONIBILE. L’intervento chirurgico
ha migliorato la prognosi di molte forme di endocardite in cui
la terapia antibiotica massimale non è in grado di eradicare
l’infezione o, in alcuni casi, neppure di sopprimere la batteriemia. L’amfotericina B non è una terapia adeguata per l’endocardite micotica, compresa quella causata dalla specie Candida,
per cui è raccomandato l’intervento chirurgico subito dopo
l’inizio della terapia antimicotica a piene dosi. L’endocardite
causata da alcuni batteri Gram-negativi, p.es., P. aeruginosa,
Achromobacter xylosoxidans, può non essere eradicata dalla
massima terapia antibiotica tollerabile e può richiedere l’escissione chirurgica del tessuto infetto per ottenere la guarigione.
Analogamente, la terapia standard dell’endocardite causata da
Brucella comprende l’intervento chirurgico, poiché la terapia
medica è raramente efficace.61 Si raccomanda di effettuare l’intervento chirurgico quando i pazienti con endocardite da enterococco, causata da un ceppo resistente alla terapia antibiotica
sinergica, non rispondono alla terapia iniziale o vanno incontro
a recidive. Un’infezione perivalvolare invasiva è, in alcuni casi,
una forma di infezione non eradicabile. Una recidiva di PVE,
dopo una terapia antibiotica ottimale, è sintomo di una patologia invasiva o di difficoltà nell’eradicare l’infezione che interessa dispositivi eterologhi. I pazienti con recidiva di PVE sono
trattati con l’intervento chirurgico.28 Al contrario, i pazienti con
recidiva di NVE sono spesso trattati nuovamente con una terapia antibiotica più aggressiva e più prolungata, a meno che non
sia in causa un microrganismo particolarmente resistente o
un’infezione perivalvolare dimostrabile.
ENDOCARDITE SU VALVOLA PROTESICA DA S. AUREUS. Tra i 129
pazienti che presentavano PVE da S. aureus e che erano stati selezionati
dalle casistiche generali di PVE di vasti studi retrospettivi, il tasso grezzo
di mortalità per quelli trattati con i soli antibiotici e per quelli trattati con
l’associazione di antibiotici e intervento chirurgico, era rispettivamente del
73 e del 25%.31,81,90,91 Sebbene il trattamento sia indubbiamente influenzato
dalla selezione dei casi (i pazienti più malati sono spesso esclusi dall’intervento chirurgico), i risultati sono allarmanti. Il tasso globale di mortalità in
33 casi di PVE da S. aureus trattati in un unico centro era del 42%.81 Negli
ultimi casi, quando si adottava un modello di analisi multivariata per correggere i risultati in base alle variabili confondenti, la presenza di complicanze
intracardiache era associata a un rischio di morte aumentato di 13,7 volte
e l’intervento chirurgico durante la fase attiva della malattia riduceva di
20 volte la mortalità. Questi risultati non cambiano quando i dati sono
limitati a pazienti che sopravvivono a una settimana di trattamento (per
correggere i dati tramite esclusione dei pazienti non sottoposti a intervento
chirurgico perché terminali) e vengono rianalizzati. Da questi dati si evince
che la terapia chirurgica può migliorare la prognosi. Sebbene il verificarsi
di un’embolia al sistema nervoso centrale sia spesso considerato un limite
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per l’intervento chirurgico, di fatto, l’intervento programmato al momento
giusto rimane la terapia prioritaria. Perciò, l’intervento chirurgico è indicato nella PVE da S. aureus con complicanze intracardiache e può arrecare
beneficio anche ai pazienti con PVE da S. aureus non complicata.18,81,90
INFEZIONE PERIVALVOLARE A CARATTERE INVASIVO. La NVE in
sede aortica e la PVE si associano molto frequentemente a un’invasione
perivalvolare dell’infezione, con formazione di ascessi o di fistole intracardiache.18 L’infezione invasiva si verifica in una percentuale di pazienti che
va dal 10 al 14% tra quelli con NVE e dal 45 al 60% tra quelli con PVE.18
La febbre persistente e non spiegabile altrimenti nonostante una terapia
antimicrobica appropriata o la pericardite in pazienti con endocardite a
carico della valvola aortica, suggeriscono un’infezione che si estende oltre
i lembi valvolari. Le anomalie di conduzione elettrocardiografiche di nuova
insorgenza e persistenti, benché non rappresentino un indicatore sensibile
di infezione perivalvolare (dal 28 al 53%), sono relativamente specifiche
(dall’85 al 90%).92,93 La ETE è superiore alla ETT nell’identificare un’infezione invasiva nei pazienti con NVE e PVE. Il Doppler e il color-Doppler
o l’ecografia bidimensionale con contrasto sono ottimali per definire le
fistole. Ascessi sospettati ma non identificati mediante ETE iniziale e ripetuta possono essere individuati mediante la RM, inclusa l’angio-RM. Il cateterismo cardiaco aggiunge poco a queste indagini e non è raccomandato
a meno che non si renda necessaria la coronarografia.
Nei pazienti con endocardite complicata da estensione perivalvolare
dell’infezione, deve essere preso in considerazione l’intervento chirurgico per ostacolare la diffusione dell’infezione, per asportare gli ascessi e
per ricostruire il danno anatomico. La chirurgia è d’obbligo nei pazienti
con malattia invasiva che compromette in modo significativo le strutture
cardiache, che è associata a CHF, che determina instabilità di una protesi
valvolare o che rende incontrollabile l’infezione (febbre persistente).Tuttavia, è probabile che tecniche di diagnostica per immagini sempre più
sensibili saranno in grado di rilevare un’infezione invasiva che non richiede
un intervento chirurgico immediato. Casi clinici sporadici di infezioni invasive trattate con la sola terapia medica suggeriscono che queste infezioni
saranno piccole, gli ascessi non strutturalmente significativi e con cavità
aperta verso il torrente circolatorio.
ENDOCARDITE DA S. AUREUS DELLE SEZIONI SINISTRE. Poiché
questa infezione è difficilmente controllabile, altamente distruttiva e
associata a una mortalità elevata (dal 25 al 47%), alcuni ricercatori hanno
suggerito che per questi pazienti debba essere preso in considerazione
l’intervento chirurgico, quando la risposta alla terapia antibiotica non è
pronta e completa.89 Inoltre, i pazienti con NVE (valvola aortica o mitrale)
da S. aureus e con vegetazioni visibili alla ETT sono a rischio aumentato
di embolia arteriosa e di morte e, pertanto, deve essere preso in considerazione l’intervento chirurgico.32 Al contrario, i tossicodipendenti che
fanno uso di sostanze EV con endocardite da S. aureus limitata alle valvole
tricuspide o polmonare spesso presentano febbre prolungata durante la
terapia antibiotica; ciononostante, la grande maggioranza di questi pazienti
risponde alla terapia antibiotica e non necessita dell’intervento.
ENDOCARDITE A COLTURA NEGATIVA NON RESPONSIVA. L’intervento chirurgico deve essere preso in considerazione per i pazienti
che hanno un’endocardite con emocoltura negativa e che presentano
febbre persistente e inspiegabile durante la terapia antibiotica empirica,
soprattutto per quelli con PVE. Se un’endocardite non è marantica, la
febbre persistente è verosimilmente dovuta a un’infezione perivalvolare
non identificata o a una terapia antibiotica inefficace. Nel 40-70% di questi
pazienti, i microrganismi causali possono essere individuati o coltivati da
campioni di vegetazioni valvolari.91 Tecniche molecolari possono identificare altri patogeni.65
VEGETAZIONI ESTESE (>10 mm) E PREVENZIONE DEGLI EMBOLI
SISTEMICI. Sebbene non sia stato dimostrato in tutti gli studi, in dati
comuni e nella metanalisi, l’embolia sistemica è più frequente nei pazienti
con vegetazioni di dimensioni superiori a 10 mm rispetto a quelli con
vegetazioni più piccole o non identificabili, dal 33 al 37% contro il 19%.94
Le vegetazioni estese della valvola mitrale, (>10 mm), soprattutto quelle
del lembo anteriore della valvola, e con vegetazione mobile, sono significativamente associate a embolia sistemica.52,94-96 Benché possa esistere
una relazione fra le caratteristiche delle vegetazioni – come le dimensioni,
la mobilità e l’estensione (numero dei lembi coinvolti) – e le complicanze emboliche, le indicazioni all’intervento chirurgico non sono chiare.
Devono ancora essere eseguite analisi che esaminino le complicanze emboliche o la prognosi o le caratteristiche della vegetazione, ma aggiustate
per la disfunzione valvolare, l’estensione perivalvolare dell’infezione, il
microrganismo coinvolto e la sede dell’infezione. Ciononostante, alcuni
ricercatori hanno concluso che le sole caratteristiche delle vegetazioni
possono essere sufficienti a imporre l’intervento chirurgico per prevenire
l’embolia arteriosa. Questa raccomandazione può essere discutibile, come
la raccomandazione per la chirurgia valvolare dopo due episodi importanti
di embolia arteriosa.61
Quando si decide di intervenire con la chirurgia cardiaca per prevenire l’embolia arteriosa, devono essere attentamente considerati molti
fattori. L’incidenza di emboli sistemici o cerebrali nei pazienti con NVE
o PVE diminuisce durante il corso di una terapia antibiotica efficace.55,97
Inoltre, non è chiaro se l’intervento chirurgico riduca la frequenza delle
19-02-2007 19:05:29
Tecniche per la riparazione dei difetti intracardiaci
TECNICHE. Sono state sviluppate nuove tecniche chirurgiche per ovviare alla grave distruzione tissutale in corso di
NVE e di PVE. Benché questo esuli dagli scopi di questo capitolo, alcuni esempi possono essere la sostituzione del bulbo
aortico con tubi valvolati, l’impiego di ampi anelli di sutura
fissati alla protesi e la sostituzione della valvola aortica e del
bulbo mediante innesto omologo con reimpianto delle coronarie. Inoltre, la riparazione della mitrale in pazienti con endocardite acuta o guarita evita l’inserimento di materiali protesici
e i rischi associati. Benché la valvolectomia tricuspidale senza
sostituzione valvolare sia stata proposta nel trattamento dell’infezione non controllata della tricuspide in tossicodipendenti che fanno uso di droghe EV ad alto rischio per recidiva
di endocardite ricorrente, la probabilità di insufficienza cardiaca destra refrattaria negli anni successivi alla valvolectomia
rende preferibile la riparazione della tricuspide. Il trapianto
cardiaco è stato utilizzato occasionalmente per salvare un
paziente con endocardite refrattaria.
SCELTA DEL MOMENTO OPPORTUNO PER L’INTERVENTO CHIRURGICO. Quando l’endocardite si complica con
un’insufficienza valvolare e con una compromissione significativa della funzionalità cardiaca, viene raccomandato l’intervento chirurgico prima che si sviluppi una disfunzione
emodinamica intrattabile, a prescindere dalla durata della terapia antibiotica.98 La mortalità postoperatoria è correlata con la
gravità dei disturbi emodinamici preoperatori; di conseguenza,
questo approccio è giustificato.94 Nei pazienti che hanno
disfunzioni valvolari e in cui l’infezione è controllata e la funzionalità cardiaca è in fase di compenso, l’intervento può
essere posticipato fino a quando non sia stata completata la
terapia antibiotica. Se l’infezione non è controllata, l’intervento chirurgico deve essere eseguito rapidamente. Allo stesso
modo, se un paziente che necessiterà di una sostituzione valvolare nel prossimo futuro ha una vegetazione estesa, che
indica alto rischio di embolia sistemica, è indicato l’intervento
chirurgico precoce (vedi Vegetazioni estese e prevenzione degli
emboli sistemici).
Sono state proposte indicazioni più specifiche per la scelta
del momento opportuno dell’intervento chirurgico.88 Una forte
evidenza clinica suggeriva l’intervento chirurgico d’emergenza
(nello stesso giorno) per l’insufficienza aortica acuta con chiusura anticipata della valvola mitrale, rottura del seno di Valsalva nel cuore destro e fistola nel sacco pericardico; l’intervento chirurgico d’urgenza (da 1 a 2 giorni) in caso di ostruzione valvolare, protesi instabile, insufficienza aortica o
mitralica acuta con insufficienza cardiaca (Classe NYHA III o
IV), perforazione del setto, estensione perivalvolare dell’infezione e terapia antibiotica non efficace e l’intervento chirurgico
precoce elettivo per una progressiva insufficienza paravalvolare, per una disfunzione valvolare e febbre persistente e per
l’EI micotica (muffe o lieviti aggressivi).
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Può essere necessario procrastinare il momento dell’inter- 1651
vento chirurgico nei pazienti che hanno subito un danno neurologico recente, per evitare il peggioramento delle condizioni
neurologiche o la morte. Tra i pazienti che hanno avuto un
ictus embolico non emorragico si ha un’esacerbazione della
disfunzione cerebrale durante l’intervento di cardiochirurgia
nel 44% dei casi quando l’intervallo tra l’ictus e l’intervento
è di 7 giorni o meno, nel 17% quando l’intervallo è fra gli 8 e
i 14 giorni e nel 10% o meno dopo più di 2 settimane. Dopo
eventi cerebrali emorragici, il rischio di peggioramento neurologico o di morte a seguito di un intervento cardiochirurgico
rimane del 20% anche dopo 1 mese.99 Pertanto, quando la
risposta dell’EI alla terapia antibiotica e le condizioni emodinamiche lo permettono, viene raccomandato di ritardare l’intervento chirurgico di 2-3 settimane dopo un infarto embolico
significativo e di almeno un mese dopo un’emorragia intracerebrale (con precedente intervento sull’aneurisma micotico).99,100
DURATA DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA DOPO L’INTERVENTO CHIRURGICO. Nelle vegetazioni asportate da
pazienti che hanno ricevuto la maggior parte o tutta la terapia
antibiotica standard raccomandata per l’endocardite da un
microrganismo specifico, sono stati riscontrati alterazioni
infiammatorie e batteri visibili con la colorazione di Gram. In
effetti, in pazienti che avevano completato con successo la
terapia antibiotica standard per l’EI [29 su 53 (55%) stavano
ancora assumendo antibiotici, 7 su 15 (47%) non li assumevano da meno di un mese e 4 su 18 (22%) non li assumevano
da 1 a 6 mesi] la valvola o la vegetazione asportata chirurgicamente conteneva batteri visibili con la colorazione di Gram o
all’esame istologico. La colture di queste valvole o delle vegetazioni sviluppavano batteri in 5, 0 e un caso, rispettivamente.91
Se le colture della valvola sono negative, il riscontro di batteri
non indica un fallimento della terapia antibiotica né la necessità di un ciclo completo di terapia antibiotica dopo l’intervento. La durata della terapia antibiotica dopo l’intervento
dipende dalla durata del trattamento preoperatorio, dalla sensibilità dell’agente eziologico all’antibiotico, dalla presenza di
infezione paravalvolare invasiva e dall’esito delle colture delle
vegetazioni. Come regola generale, nell’endocardite causata da
un microrganismo relativamente sensibile agli antibiotici con
colture dei reperti operatori negative, la durata globale della
terapia, preoperatoria e postoperatoria, deve essere uguale
almeno a un ciclo completo della terapia raccomandata. Per i
pazienti con protesi poste in una cavità ascessuale residua o
con colture intraoperatorie positive, deve essere somministrato
un ciclo completo di terapia nel postoperatorio. I pazienti con
PVE devono assumere un ciclo completo di terapia antibiotica
nel postoperatorio, se nel materiale resecato si osservano
microrganismi.18
Endocardite infettiva
embolie sistemiche.46 Infine, i rischi di morbilità e mortalità legati a embolia
cerebrale o coronarica, le principali complicanze da prevenire, devono
venire confrontati ai rischi immediati e a lungo termine di una sostituzione
valvolare o, se realizzabile, alla resezione della vegetazione e alla riparazione valvolare. Questi rischi comprendono la mortalità perioperatoria, la
recrudescenza dell’endocardite sulla protesi, le complicanze tromboemboliche, la disfunzione valvolare precoce e tardiva che richiede una nuova
sostituzione valvolare, i pericoli della terapia anticoagulante con il warfarin
(compresa la sua controindicazione durante la gravidanza) e il rischio e la
morbilità di una PVE a insorgenza tardiva.85 Le sole dimensioni delle vegetazioni rappresentano raramente un’indicazione alla chirurgia. Quando si
suggerisce una terapia, è bene che i rilievi clinici ed ecocardiografici di
altre complicanze intracardiache siano soppesati con i rischi immediati
e remoti di un intervento cardiochirurgico, considerando anche la possibilità di conservare la valvola effettuando contestualmente la resezione
della vegetazione e la riparazione della valvola stessa.61 Pertanto, il rischio
di embolia sistemica correlato alle dimensioni delle vegetazioni o a una
pregressa embolia sistemica non è un’indicazione indipendente all’intervento chirurgico, ma è solo uno dei molti fattori da considerare quando si
programma una terapia.55,61,97
Trattamento delle complicanze extracardiache
ASCESSI SPLENICI. Il 3-5% dei pazienti con EI sviluppa un ascesso
splenico.50 Benché le lesioni spleniche possano essere identificate con
l’ecografia e la TC, queste indagini in genere non riescono a differenziare
in modo affidabile un ascesso da un infarto. La febbre persistente e l’espansione progressiva della lesione in corso di terapia antibiotica suggeriscono
che si tratta di un ascesso, il che può essere confermato tramite agoaspirato
percutaneo. Il trattamento efficace di un ascesso splenico generalmente
richiede il drenaggio, talvolta con il posizionamento percutaneo di un
catetere. Nei pazienti con numerosi ascessi splenici o in quelli in cui il
drenaggio non è stato efficace, si rende necessaria la splenectomia.61 Gli
ascessi splenici devono essere trattati efficacemente prima della sostituzione valvolare chirurgica. Se non vengono trattati efficacemente prima
dell’intervento cardiochirurgico, è necessario procedere alla splenectomia
non appena il rischio chirurgico lo consenta.61
ANEURISMI MICOTICI E ARTERITE SETTICA. Il 2-10% dei pazienti
con endocardite presenta aneurismi micotici; nell’1-5% dei casi, gli aneurismi interessano i vasi del cervello. Gli aneurismi cerebrali micotici si
verificano nei punti di diramazione dei vasi cerebrali, sono generalmente
localizzati distalmente sopra la corteccia cerebrale e si riscontrano più frequentemente sui rami dell’arteria cerebrale media. Gli aneurismi insorgono
per occlusione dei vasi da parte di emboli settici con un’arterite secondaria
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1652
Capitolo 58
e la conseguente distruzione della parete vascolare o per disseminazione
batteriemica sulla parete vascolare attraverso i vasa vasorum. Lo S. aureus è
implicato frequentemente nella prima modalità e gli streptococchi viridans
nella seconda.58 Molti pazienti con aneurismi micotici o arterite settica si
presentano con un’emorragia intracranica devastante. Segni premonitori
possono essere la presenza di deficit neurologici focali dovuti a episodi
embolici, cefalea persistente focale, deterioramento neurologico inspiegabile o alterazioni neurologiche focali o di meningismo a liquor sterile (ma
con pleiocitosi). L’angiografia cerebrale è necessaria per valutare i pazienti
con emorragia subaracnoidea, e questa procedura o l’angio-RM o l’angioTC spirale sono state raccomandate nei pazienti che presentano sintomi
premonitori, soprattutto se è in programma un intervento cardiochirurgico
o una terapia anticoagulante.61 Sebbene la rottura dell’aneurisma possa
verificarsi in qualunque momento prima o durante la terapia antibiotica,
la maggior parte degli aneurismi presenta delle perdite o si rompe più
spesso prima o durante il trattamento iniziale.
Gli aneurismi micotici possono regredire durante la terapia antibiotica;61 tuttavia, se dal punto di vista anatomico è possibile, gli aneurismi che
si sono rotti devono essere trattati chirurgicamente.101 Gli aneurismi che
non sono in fase di rottura devono essere monitorati angiograficamente
durante la terapia antibiotica. La terapia chirurgica deve essere presa in
considerazione in caso di lesione singola che si ingrandisce durante o dopo
la terapia antibiotica. La terapia anticoagulante deve essere evitata nei
pazienti con un aneurisma micotico persistente. In rare occasioni, aneurismi stabili e persistenti possono rompersi dopo il completamento di una
terapia antibiotica standard; tuttavia, non vi è alcuna valutazione accurata
del rischio di rottura tardiva e le indicazioni per l’intervento chirurgico
sono arbitrarie. Ciononostante, l’opinione comune è favorevole alla resezione di un singolo aneurisma che persiste dopo la terapia ogni qualvolta
sia possibile senza provocare una lesione neurologica grave.101 L’esistenza
potenziale di aneurismi occulti in pazienti senza sintomi neurologici o in
quelli che hanno avuto una valutazione angiografica non diagnostica non
viene considerata una controindicazione alla terapia anticoagulante dopo
il termine della terapia antibiotica.
Gli aneurismi micotici extracranici devono essere gestiti secondo
quanto si è detto per gli aneurismi cerebrali. Quelli fissurati, che si accrescono o che persistono dopo la terapia, devono essere trattati chirurgicamente. Bisogna considerare con particolare attenzione gli aneurismi che
coinvolgono le arterie intra-addominali, la cui rottura potrebbe determinare
un’emorragia potenzialmente letale.61
TERAPIA ANTICOAGULANTE. I pazienti con PVE a carico di materiali
che richiedono solitamente la continuazione dell’anticoagulazione continuano la terapia anticoagulante.18 La terapia anticoagulante non viene adottata come profilassi del tromboembolismo legato all’EI né in pazienti con
PVE a carico di materiali protesici che solitamente non richiedono questa
terapia né in pazienti con NVE. Né l’aspirina né la terapia anticoagulante
si sono dimostrate in grado di prevenire l’embolizzazione, ed entrambe
potrebbero contribuire al verificarsi di un’emorragia intracranica, soprattutto in presenza di un infarto cerebrale recente o di un aneurisma micotico. La terapia anticoagulante nei pazienti con NVE è limitata ai pazienti
per i quali vi sia una chiara indicazione a effettuare questa terapia e in
assenza di fattori che aumentino il rischio di emorragia intracranica. Se si
verificano complicanze a carico del sistema nervoso centrale nei pazienti
con EI sottoposti a terapia anticoagulante, quest’ultima deve essere sospesa
immediatamente.18
Risposta alla terapia
Quasi il 75% dei pazienti con EI, compresi quelli con PVE,
diviene apirettico entro una settimana dall’inizio di una terapia
antibiotica efficace e il 90% presenta una defervescenza entro
la fine della seconda settimana di terapia.18,46,97,102 La durata
della febbre in corso di terapia è maggiore nei pazienti con EI
da S. aureus o P. aeruginosa e con EI con emocoltura negativa,
come pure nei pazienti con EI con fenomeni microvascolari
e con complicanze emboliche maggiori.46,102 La persistenza o
la ricomparsa di febbre a più di 7-10 giorni dall’inizio della
terapia antibiotica identifica i pazienti con un’aumentata incidenza di mortalità e con complicanze dell’infezione o della
terapia.18,102 I pazienti con febbre prolungata o ricorrente
devono essere valutati per quanto riguarda le complicanze
intracardiache, le complicanze settiche focali extracardiache,
le infezioni nosocomiali intercorrenti, la recidiva di embolia
polmonare (pazienti con EI delle sezioni destre), la febbre
associata a farmaci, altre patologie sottostanti e, se è il caso,
riguardo all’abuso intraospedaliero di sostanze.
Le emocolture devono essere ripetute per ricercare una batteriemia persistente o la presenza di altri patogeni, per esem-
Braun Cap 58ok.indd 1652
pio, in un’EI polimicrobica non identificata in precedenza.
Devono essere rivalutate la sensibilità del microrganismo
responsabile agli antibiotici e l’adeguatezza della terapia antibiotica. Le reazioni a farmaci sono responsabili della febbre in
una percentuale dal 17 al 28% di questi pazienti. Se è disponibile un trattamento alternativo affidabile, la febbre da farmaci
attribuita alla terapia antibiotica è sufficiente di per sé a richiedere la revisione della terapia. In assenza di una terapia alternativa efficace, il trattamento può essere continuato malgrado
la febbre da farmaci, se l’antibiotico non provoca una significativa tossicità d’organo. In una percentuale di pazienti dal 33
al 45%, la febbre persistente era associata a complicanze intracardiache significative, molte delle quali hanno richiesto l’intervento chirurgico.102
Molte caratteristiche cliniche e laboratoristiche dell’EI si
normalizzano lentamente nonostante una terapia antibiotica
efficace. Gli emboli sistemici compaiono durante le prime settimane di terapia, sia pure con una frequenza decrescente.55
L’incremento della VES e l’anemia possono rimanere alterate
fino al completamento della terapia.
Le percentuali di mortalità in ampie casistiche di pazienti
con NVE trattate fra il 1975 e il 1993 vanno dal 16 al 27%.1,91
La morte per EI è stata associata all’età avanzata (>65-70 anni),
alla presenza di malattie sottostanti, all’infezione della valvola
aortica, allo sviluppo di CHF, all’insufficienza renale e alle
complicanze del sistema nervoso centrale.1,102a Il trattamento
dello scompenso cardiaco legato a una disfunzione valvolare
mediante intervento chirurgico precoce ha ridotto la mortalità
associata a CHF, ma i successivi eventi neurologici e complicanze settiche, p.es., infezione non controllata e ascessi miocardici, hanno causato una più ampia percentuale di decessi
e sono associati a tassi di mortalità elevati.50
L’incidenza di mortalità fra i pazienti con EI causata dagli streptococchi
viridans e dallo S. bovis è risultata variare dal 4 al 16%.1 Tassi di mortalità
più elevati sono stati segnalati in associazione alla NVE delle sezioni sinistre causata da altri microrganismi: enterococchi, dal 15 al 25%;1 S. aureus,
dal 25 al 47%;1,30 streptococchi nonviridans (gruppi B, C e G), dal 13 al
50%;26,27 C. burnetii, dal 5 al 37%;20,76,82 P. aeruginosa, Enterobacteriaceae
e miceti, maggiore del 50%.33
In uno studio retrospettivo su pazienti con NVE con insufficienza cardiaca di classe NYHA III o IV o con infezione invasiva non controllata, solo
il 9% dei pazienti trattati chirurgicamente è deceduto, rispetto al 51% di
quelli trattati con i soli antibiotici.46 L’incidenza di mortalità fra i pazienti
con NVE attiva trattati chirurgicamente varia dal 5 al 26%.103-107 La gravità
dell’insufficienza cardiaca, la presenza di un ascesso, di infezione da S.
aureus e la riduzione della funzionalità renale (possibilmente correlata
allo scompenso cardiaco) sono state associate a un’aumentata mortalità
postoperatoria.105 Ciononostante, si possono raggiungere tassi di sopravvivenza dell’85% quando i pazienti con ascessi paravalvolari sono sottoposti
a toilette chirurgica e a cardiochirurgia ricostruttiva.108
In un ampio studio retrospettivo su pazienti con NVE complicata delle
sezioni sinistre, il tasso di mortalità era del 25% e, in un’analisi multivariata,
le seguenti variabili erano fattori predittivi indipendenti di mortalità cui
poteva essere assegnato un punteggio ponderato del rischio di mortalità
(punteggio discreto): stato mentale alterato (4), punteggio di comorbilità
di Charlson = 2 (3), CHF moderata o grave (3), eziologia batterica oltre
che agli streptococchi viridans (S. aureus = 6, altro = 8), e terapia medica
senza sostituzione valvolare (5). Il modello era stato verificato in una coorte
indipendente e il tasso di mortalità a 6 mesi poteva essere predetto dal
punteggio totale: inferiore o uguale a 6 punti, 6%; da 7 a 11 punti, 17%; da
12 a 15 punti, 31%; più di 15 punti, 63%.102a,109
La prognosi dei pazienti con PVE, diversamente da quelli
con NVE, è stata meno positiva. Prima del 1980 il tasso di
mortalità fra i pazienti con PVE insorta a meno di 60 giorni
dall’intervento o con PVE più tardiva era rispettivamente del
70 e del 45%. Con il riconoscimento che la PVE era frequentemente complicata da un’infezione invasiva e che i pazienti
traevano beneficio dall’intervento chirurgico, l’incidenza di
mortalità è scesa al 33-45%, con tassi più bassi nelle forme a
insorgenza tardiva.18,108 La sopravvivenza a lungo termine era
influenzata sfavorevolmente dalla presenza di insufficienza
cardiaca moderata o grave al momento della dimissione. I tassi
di sopravvivenza dopo intervento chirurgico aggressivo per
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Prevenzione
Gli streptococchi viridans, una causa frequente di NVE e di
PVE a insorgenza tardiva, sono l’obiettivo primario della profilassi utilizzata in occasione di procedure riguardanti la cavità
orale, le vie respiratorie o l’esofago. Lo sviluppo di endocardite
enterococcica è in genere preceduto da procedure che interessano il tratto genitourinario o gastrointestinale. Pertanto, la
profilassi dell’endocardite utilizzata in occasione di procedure
che interessano queste superfici mucose è indirizzata contro gli
enterococchi. Se si effettuano l’incisione e il drenaggio di cute 1653
infetta o di infezioni dei tessuti molli, la profilassi è indirizzata
contro lo S. aureus.
L’American Heart Association e altri hanno identificato le
procedure per le quali è raccomandata la profilassi dell’EI e
quelle per cui essa non è raccomandata (Tab. 58L-1).109,110 Benché la profilassi sia raccomandabile per tutti i pazienti ad alto
rischio che vengono sottoposti a procedure che possono causare sanguinamento gengivale, le estrazioni dentarie sono
quelle più fortemente associate a un’EI successiva. Poiché solo
di rado è stata descritta un’endocardite in associazione ad altre
procedure endoscopiche gastrointestinali con o senza biopsia,
la profilassi non viene raccomandata di routine in queste situazioni. La profilassi non viene raccomandata di routine per il
cateterismo cardiaco o per la ETE.109,110
Le lesioni sono state distinte in categorie a rischio alto, intermedio, basso e trascurabile, sulla base della loro frequenza tra
i pazienti con endocardite rispetto alla popolazione generale
(Tab. 58-14).110-113 Nella maggior parte dei paesi sviluppati, la
cardite reumatica è attualmente un fattore di rischio per l’EI
poco comune; tuttavia, l’incidenza di EI fra i pazienti con valvulopatia reumatica si avvicina a quella dei soggetti con valvole protesiche e indica che anche tali lesioni comportano un
rischio elevato. Il rischio di EI nei pazienti con MVP e il ruolo
della profilassi in questi pazienti sono controversi. Il MVP è
stato riscontrato frequentemente fra i pazienti con EI. Tuttavia,
il rischio di endocardite fra i pazienti con MVP e soffio da
rigurgito valvolare è ancora relativamente basso. Esso è da 5 a
10 volte più alto di quello della popolazione generale, ma 100
volte inferiore a quello dei pazienti con valvulopatia reumatica. Pertanto, il MVP con un soffio da rigurgito mitralico o
l’ispessimento e il prolasso della valvola mitrale sono caratteristici di un paziente a rischio medio di EI e per il quale è
indicata la profilassi dell’endocardite.
MISURE GENERALI. L’incidenza di EI può essere significativamente ridotta dalla correzione chirurgica completa delle
lesioni congenite che predisporrebbero i pazienti all’EI, p.es.,
la pervietà del dotto arterioso, il difetto del setto interventricolare, la stenosi delle arterie polmonari.6,112 L’incidenza di EI
rimane elevata tra i pazienti sottoposti a correzione chirurgica
di altri difetti congeniti maggiori, specialmente quelli che coinvolgono una valvola aortica stenotica.6 Si dovrebbe fornire una
Endocardite infettiva
PVE variavano fra il 75 e l’85% e non erano correlati al tempo
di insorgenza dopo l’intervento chirurgico.19,106,107
Fra i pazienti con NVE (non tossicodipendenti) dimessi dopo
terapia medica o medico-chirurgica, la sopravvivenza a lungo
termine era dell’88% a 5 anni e dell’81% a 10 anni.91 Fra i
pazienti trattati chirurgicamente per NVE, la sopravvivenza a
5 anni variava dal 70 all’80%.104,107 Tra i pazienti con PVE trattati chirurgicamente, il tasso di sopravvivenza da 4 a 6 anni
variava dal 50 all’82%.19,107
RECIDIVA E RICORRENZA DI MALATTIA. La recidiva di
EI si verifica solitamente entro 2 mesi dalla fine della terapia
antibiotica. Meno del 2% dei pazienti con NVE causata da
streptococchi viridans sensibili alla penicillina che effettua un
ciclo adeguato di terapia va incontro a recidive. L’8-20% dei
pazienti con EI da enterococchi ha una recidiva dopo terapia
standard. Pazienti con EI da S. aureus, Enterobacteriaceae o
da miceti vanno più facilmente incontro a un fallimento conclamato della terapia piuttosto che a una recidiva; ciononostante, il 4% dei pazienti con EI da S. aureus è soggetto a
recidiva. È stata descritta la possibilità di recidiva dell’endocardite micotica molto tempo dopo la terapia. Una recidiva si
verifica nel 10% di tutti i pazienti con PVE e nel 6-15% di
quelli trattati chirurgicamente.
Fra i non tossicodipendenti con un episodio iniziale di NVE
o di PVE, il 4,5-7% presenterà uno o più episodi ulteriori.91
Fra questi pazienti, l’EI ricorrente presenta le stesse caratteristiche cliniche e microbiologiche e di risposta alla terapia
osservate nell’episodio primario. L’abuso di droghe per via
endovenosa è attualmente la più comune causa predisponente
per l’EI ricorrente (43% dei pazienti).
Tabella 58–14 Rischio relativo di endocardite infettiva associato ad anomalie cardiache preesistenti
Rischio relativamente alto
Protesi valvolari†
Precedente endocardite infettiva†
Cardiopatia congenita cianogena†
Pervietà del dotto arterioso
Insufficienza aortica
Stenosi aortica
Insufficienza mitrale
Stenosi e insufficienza mitralica
Difetto del setto interventricolare
Coartazione aortica
Lesioni intracardiache riparate
chirurgicamente con anomalie
emodinamiche residue o dispositivi
protesici
Shunt sistemico-polmonare costruito
chirurgicamente†
Rischio medio
Prolasso della valvola mitrale con
insufficienza (soffio) o ispessimento
dei lembi valvolari
Stenosi mitralica pura
Valvulopatia tricuspidale
Stenosi polmonare
Ipertrofia settale asimmetrica
Valvola aortica bicuspide o sclerosi
calcifica dell’aorta con alterazioni
emodinamiche minime
Malattia valvolare degenerativa nei
pazienti anziani
Lesioni intracardiache riparate
chirurgicamente con alterazioni
emodinamiche minime o assenti meno
di 6 mesi dopo l’intervento
Rischio molto basso o trascurabile*
Prolasso della valvola mitrale senza rigurgito (soffio)
o ispessimento dei lembi valvolari
Insufficienza valvolare trascurabile all’ecocardiografia
senza anomalie strutturali
Difetto isolato del setto interatriale (secundum)
Placche aterosclerotiche
Coronaropatia
Pacemaker cardiaco, defibrillatori impiantati
Lesioni intracardiache riparate chirurgicamente,
con alterazioni emodinamiche minime o assenti,
più di 6 mesi dopo l’intervento (difetti del setto
interatriale, difetto del setto interventricolare,
pervietà del dotto arterioso, stenosi polmonare)
Precedente intervento chirurgico di bypass coronarico
Precedente malattia di Kawasaki o febbre reumatica
senza disfunzione valvolare
Adattato da Durack DT: Prevention of infective endocarditis. N Engl J Med 332:38, 1995; and Dajani AS, Taubert KA, Wilson W, et al: Prevention of bacterial
endocarditis: Recommendations of the American Heart Association from the Committee on Rheumatic Fever, Endocarditis, and Kawasaki Disease, Council
on Cardiovascular Disease in the Young. JAMA 277:1794, 1997. Copyright 1997 American Medical Association.
*La profilassi per l’endocardite non viene raccomandata.
†
Lesioni considerate a più alto rischio di endocardite.
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1654 Tabella 58–15 Schemi terapeutici per la profilassi dell’endocardite: impiego nelle procedure odontoiatriche, a carico
del cavo orale, delle vie respiratorie superiori
Contesto
Terapia standard
Schema terapeutico*
†
Amoxicillina 3,0 g PO 1 ora prima della procedura, quindi 1,5 g 6 ore dopo
la dose iniziale
Capitolo 58
Pazienti allergici all’amoxicillina/penicillina
Eritromicina etilsuccinato 800 mg, o eritromicina stearato 1,0 g PO 2 ore
prima della procedura, quindi metà della dose 6 ore dopo la dose iniziale
Oppure
Clindamicina 300 mg PO 1 ora prima della procedura e 150 mg 6 ore dopo
la dose iniziale
Pazienti impossibilitati ad assumere farmaci
per via orale
Ampicillina 2,0 g IM o EV 30 min prima della procedura, quindi o ampicillina
1,0 g IM o EV, o amoxicillina 1,5 g PO, 6 ore dopo la dose iniziale
Pazienti allergici all’ampicillina/amoxicillina/penicillina
incapaci di assumere farmaci per via orale
Clindamicina 300 mg EV 30 min prima della procedura, quindi 150 mg 6 ore
dopo la iniziale dose
Pazienti considerati ad alto rischio e non
candidati per il regime standard
Utilizzare lo schema standard per le procedure genitourinarie e gastrointestinali
Pazienti allergici all’ampicillina/amoxicillina/penicillina
considerati a rischio più alto
Utilizzare il protocollo per i pazienti allergici che si sottopongono a procedure
del tratto genitourinario e gastrointestinale
*Dosaggi per gli adulti. I dosaggi pediatrici iniziali sono i seguenti: ampicillina o amoxicillina, 50 mg/kg; clindamicina, 10 mg/kg; eritromicina etilsuccinato o
eritromicina stearato, 20 mg/kg; gentamicina, 2,0 mg/kg; e vancomicina, 20 mg/kg. le dosi di follow-up devono essere la metà di quella iniziale. La dose totale
nel bambino non deve superare la dose totale dell’adulto.
†
In genere consigliata per i pazienti a più alto rischio includendo quelli con protesi valvolari; il medico può scegliere schemi terapeutici più aggressivi.
Adattato da Dajani AS, Bisno AL, Chung KJ, et al: Prevention of bacterial endocarditis: Recommendations of the American Heart Association. JAMA 264:2919,
1990. Copyright 1990 American Medical Association.
Tabella 58–16 Schemi terapeutici per la profilassi dell’endocardite: impiego nelle procedure urogenitali
e gastrointestinali (tranne quelle esofagee)
Contesto
Antibiotico
Schema terapeutico*
Pazienti ad alto rischio
Ampicillina più gentamicina
Ampicillina 2,0 g EV/IM più gentamicina 1,5 mg/kg entro
30 min dalla procedura, ripetere l’ampicillina 1,0 g EV/IM
o somministrare amoxicillina 1,0 g PO 6 ore dopo
Pazienti ad alto rischio,
allergici alla penicillina
Vancomicina più gentamicina
Vancomicina n 1,0 g EV in 1-2 ore più gentamicina 1,5 mg/kg
IM/EV infusa o iniettata 30 min prima della procedura. Non
è raccomandata una seconda dose
Pazienti a medio rischio
Amoxicillina o ampicillina
Amoxicillina 2,0 g PO 1 ora prima della procedura o
ampicillina 2,0 g IM/EV 30 min prima della procedura
Pazienti a medio rischio
allergici alla penicillina
Vancomicina
Vancomicina 1,0 g EV infusa in 1-2-ore e completata
entro 30 min dalla procedura
*Dosaggi pediatrici: ampicillina 50 mg/kg EV/IM, vancomicina 20 mg/kg EV, gentamicina 1,5 mg/kg EV/IM (le dosi dei bambini non devono superare le dosi
dell’adulto).
Adattato da Dajani AS, Taubert KA, Wilson W, et al: Prevention of bacterial endocarditis: Recommendations by the American Heart Association from the Committee
on Rheumatic Fever, Endocarditis, and Kawasaki Disease, Council on Cardiovascular Disease in the Young. JAMA 277:1794-1801, 1997.
documentazione scritta circa la lesione predisponente, il
rischio di endocardite e gli schemi di profilassi antibiotica
raccomandati a tutti i pazienti con lesioni persistenti, con molti
difetti congeniti corretti o con valvulopatie acquisite che
rimangono a rischio di EI.
Mantenere una buona igiene orale per ridurre la frequenza
della batteriemia che accompagna le attività quotidiane (masticare, spazzolare i denti), può essere più importante di una
chemioprofilassi focalizzata sulle procedure.111 L’igiene orale
e la cura dei denti devono essere ottimizzate prima di un intervento elettivo di impianto di protesi valvolari.
Alcune attività o procedure potenzialmente in grado di provocare batteriemia devono essere evitate nei pazienti a rischio
di EI. Non sono consigliabili gli strumenti di irrigazione orale,
che possono determinare una batteriemia anche in pazienti
con gengive normali. Allo stesso modo, deve essere ridotto al
minimo l’impiego di cateteri venosi centrali e di cateteri urinari. Le infezioni associate a batteriemia devono essere trattate
prontamente e, se possibile, eradicate prima che i tessuti coinvolti siano incisi o manipolati.
CHEMIOPROFILASSI. Le raccomandazioni largamente diffuse sugli antibiotici per la profilassi dell’endocardite sono
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basate sulla prova circostanziale sorretta da studi della profilassi in modelli animali. Gli studi suggeriscono che la profilassi
antibiotica previene l’endocardite inibendo la crescita dei batteri che aderiscono alla NBTE in misura sufficiente da permettere la loro successiva eliminazione da parte delle difese
dell’ospite.110,114 Studi sperimentali che riproducono negli
umani la profilassi con singola dose di amoxicillina mostrano
che livelli adeguati di efficacia si ottengono dopo una singola
dose profilattica. Ciononostante, poiché una seconda dose di
antibiotici, somministrata dopo la procedura, permette di ottenere un maggior effetto inibitorio, tale pratica è raccomandata
nei soggetti ad alto rischio.109,115
Gli studi clinici che sostengono l’efficacia della profilassi
antibiotica dell’endocardite sono limitati. Uno studio retrospettivo su pazienti portatori di protesi valvolari sottoposti a
procedure dentali e chirurgiche ha suggerito che la profilassi
antibiotica preveniva la PVE. Tuttavia, un ampio studio casocontrollo non ha dimostrato che le procedure odontoiatriche
sono un rischio per l’EI in persone con anomalie valvolari e
ha posto in discussione il beneficio della profilassi antibiotica
per tali procedure.116 Sono stati segnalati fallimenti della profilassi antibiotica non attribuibili a resistenza batterica.110
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1655
Endocardite infettiva
Le analisi rischio-beneficio e costo-beneficio hanno sollevato
notevoli interrogativi circa la profilassi antibiotica nei pazienti
con MVP. A meno che sia il costo sia il rischio della profilassi
non siano molto bassi, il costo per caso di EI prevenuta è alto
ed è possibile che la mortalità e la morbilità non vengano
ridotte. Da un punto di vista di popolazione, la profilassi in
condizioni di rischio medio o basso potrebbe avere un rapporto
costo-beneficio e rischio-beneficio sfavorevole e andrebbe pertanto riservata a pazienti con lesioni cardiache ad alto rischio
e sottoposti a procedure ad alto rischio.116 Comitati esperti
stanno attualmente rivalutando le linee guida per la profilassi
dell’endocardite.
Anche se la profilassi antibiotica fosse efficace, oltre che
sicura e a basso costo, solo una piccola percentuale di casi
sarebbe prevenibile. Ad esempio, solo il 55-75% dei pazienti
con una NVE ha una valvulopatia preesistente a rischio di EI
e molti non ne sono consapevoli prima dell’insorgenza della
NVE.110,111 Inoltre, fra i pazienti con EI, solo una piccola quota
(5%) presentava sia una lesione valvolare nota sia una procedura a rischio entro 30 giorni dall’insorgenza dell’EI, che
avrebbe richiesto una profilassi.111 Ciononostante, la morbilità
e la mortalità associate all’EI sono usate per giustificare la profilassi (Tabella 58-15, protocolli per le procedure odontoiatriche e delle vie respiratorie superiori; Tabella 58-16, protocolli
per le procedure genitourinarie e gastrointestinali) nei pazienti
con lesioni cardiache (Tab. 58-14) a rischio medio e alto che
stanno per sottoporsi a procedure in grado di indurre una batteriemia. Fra i pazienti che assumono continuamente penicillina per la profilassi della febbre reumatica o che effettuano
cicli ripetuti di antibiotici per procedure odontoiatriche seriate
possono emergere ceppi resistenti alla penicillina. Di conseguenza, per questi pazienti è preferibile una profilassi non
penicillinica. Iniziare la profilassi diversi giorni prima di una
procedura favorisce la comparsa di microrganismi resistenti
agli antibiotici a livello della mucosa e, pertanto, non è raccomandabile.
Patogenesi e fisiopatologia
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Thomas H. Lee
Endocardite infettiva
Nel 1997 l’American Heart Association ha emanato delle linee guida
per la profilassi antibiotica per prevenire l’endocardite1 e nel 1998
ha emanato una relazione scientifica con le raccomandazioni per la
diagnosi e la terapia di questa malattia.2 Altre linee guida con raccomandazioni importanti per questa malattia sono quelle dell’American
College of Cardiology e dell’American Heart Association (ACC/AHA) per
il trattamento della valvulopatia cardiaca pubblicate nel 19983 e le linee
guida per l’utilizzo dell’ecocardiografia pubblicate nel 1997.4
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PREVENZIONE
Le linee guida dell’AHA del 1997 per la profilassi antibiotica per la
prevenzione dell’endocardite rappresentano una significativa presa di
posizione rispetto alle raccomandazioni precedenti, sottolineando che
la maggior parte dei casi di endocardite non è attribuibile a una procedura invasiva. Secondo queste linee guida, i pazienti con cardiopatia
preesistente dovrebbero essere suddivisi in categorie a rischio alto,
19-02-2007 19:05:32
Tabella 58L–1 Procedure odontoiatriche e profilassi
dell’endocardite
Profilassi dell’endocardite non raccomandata
Odontoiatria ricostruttiva* (chirurgica e prostodontica)
con o senza corda di retrazione†
Iniezioni di anestetico locale (non intraligamentose)
Trattamento endodontico canalare; riposizionamento
e consolidamento
Posizionamento di una diga di gomma
Rimozione postoperatoria delle suture
Posizionamento di apparecchi prostodontici od ortodontici mobili
Realizzazione di impronte orali
Trattamenti al fluoruro
Esecuzione di radiografie orali
Adattamenti dell’apparecchio ortodontico
Caduta dei denti decidui
Da Dajani AS, Taubert KA, Wilson W, et al: Prevention of bacterial endocarditis: Recommendations by the American Heart Association. Circulation
96:358, 1997.
*Include il ripristino dei denti rovinati (otturazione) e la sostituzione di denti
mancanti.
†
Il giudizio clinico può suggerire l’impiego dell’antibiotico in circostanze selezionate in cui potrebbe verificarsi un sanguinamento significativo.
Endocardite infettiva
Profilassi dell’endocardite raccomandata nei pazienti con
cardiopatia a rischio medio o alto (vedi Tabb. 58-14 e 58-15)
Estrazioni dentarie
Procedure periodontiche, comprese la chirurgia, la rimozione
del tartaro e l’abrasione della radice, la trapanazione e le terapie
di mantenimento
Impianto di denti e reimpianto dei denti avulsi
Endodontica (canale radicolare) strumentale o chirurgia solo
al di sotto dell’apice
Posizionamento sottogengivale di fibre o strisce antibiotiche
Posizionamento iniziale di bande ortodontiche ma non di bracket
Iniezione intraligamentosa di anestetico locale
Pulizia dei denti a scopo di profilassi o impianti ove è previsto
un sanguinamento
medio e trascurabile, in base ai potenziali esiti che potrebbero pre- 1657
sentare se sviluppassero un’endocardite (Tab. 58-14). Per le procedure
odontoiatriche, ad esempio, la profilassi antibiotica è raccomandata
solo per i pazienti con cardiopatia a rischio medio o alto sottoposti
a procedure particolarmente rischiose (Tab. 58L-1). Per le procedure
non odontoiatriche, la profilassi dell’endocardite è raccomandata solo
per i pazienti a rischio elevato sottoposti a procedure ad alto rischio
(Tab. 58-14); questa strategia preventiva è considerata facoltativa per
i pazienti a rischio medio. I regimi terapeutici con antibiotici sono
descritti nella Tabella 58-16.
Le linee guida dell’ACC/AHA del 1998 per i pazienti con valvulopatia
cardiaca3 sono in accordo con queste raccomandazioni, con alcune
precisazioni. Le linee guida dell’ACC/AHA raccomandano la profilassi
antibiotica nei pazienti con miocardiopatia ipertrofica solo quando è
presente un’ostruzione latente o a riposo. Inoltre, il comitato dell’ACC/
AHA ha espresso la preoccupazione che possa esserci un rischio
aumentato di endocardite nei pazienti con prolasso della valvola
mitrale senza rigurgito; questo gruppo non era pertanto disposto
a sottoscrivere che la profilassi antibiotica fosse inopportuna in tali
pazienti. Infine, le linee guida dell’ACC/AHA hanno specificato che nei
pazienti con insufficienza mitralica fisiologica, in assenza di un soffio,
non è necessaria la profilassi antibiotica.
INDICAZIONI PER L’ECOCARDIOGRAFIA
L’ecocardiografia è fortemente sostenuta in praticamente tutti i pazienti
con endocardite infettiva nota o sospetta, ma le linee guida dell’ACC/
AHA del 1997 sull’ecocardiografia4 non raccomandano l’ecocardiografia transesofagea (ETE) come esame di prima scelta per la diagnosi
di endocardite su valvola nativa (Tab. 58L-2). Le linee guida prevedono
l’uso della ETE quando un’ecocardiografia transtoracica iniziale (ETT)
non ha risolto quesiti specifici, cioè se la ETT è di bassa qualità, se la
ETT è negativa nonostante un elevato sospetto clinico di endocardite,
se è coinvolta una protesi valvolare e se vi è un forte sospetto come
in un paziente con batteriemia stafilococcica o in un paziente anziano
con anomalie valvolari che rendono difficile la diagnosi con ETT.
Tabella 58L–2 Linee guida dell’ACC/AHA per la prevenzione, la valutazione e la terapia dell’endocardite
Indicazione
Classe I
Classe IIa
Profilassi antibiotica
dell’endocardite
nei pazienti
con prolasso
della valvola
mitrale sottoposti
a procedure
associate a
batteriemia
1. Pazienti con il caratteristico click
sistolico complesso
2. Pazienti con click sistolico isolato
ed evidenza ecocardiografica di MVP
e di MR
1. Pazienti con click
sistolico isolato, evidenza
ecocardiografica di MVP
a elevato rischio
Ecocardiografia
nell’endocardite
infettiva: valvole
native
1. Individuazione e caratterizzazione
delle lesioni valvolari, della loro
gravità emodinamica e/o del
compenso ventricolare*
2. Individuazione delle vegetazioni
e caratterizzazione delle lesioni
nei pazienti con cardiopatie
congenite nei quali vi è il sospetto
di endocardite infettiva
3. Scoperta di anomalie associate
(p.es., ascessi, shunt)*
4. Studi di rivalutazione di endocardite
complicata (p.es., da microrganismi
virulenti, grave lesione
emodinamica, con interessamento
della valvola aortica, persistente
febbre o setticemia, modificazione
dei segni clinici o peggioramento
dei sintomi)
5. Valutazione dei pazienti con sospetto
clinico elevato di endocardite con
emocoltura negativa*
1. Valutazione della
batteriemia senza
una fonte nota*
2. Stratificazione del
rischio nell’endocardite
conclamata*
Classe IIb
Classe III
1. Pazienti con click
sistolico isolato e
evidenza dubbia
o assente di MVP
1. Valutazione della
1. Rivalutazione
febbre e soffio
di routine
non patologico
dell’endocardite non
senza evidenza
complicata durante
di batteriemia
terapia antibiotica
Continua
Braun Cap 58ok.indd 1657
21-03-2007 15:54:46
1658 Tabella 5 8G–2 Linee guida dell’ACC/AHA per la prevenzione, la valutazione e la terapia dell’endocardite - continuazione
Classe I
Classe IIa
Classe IIb
Classe III
Ecocardiografia
nell’endocardite
infettiva: protesi
valvolari
1. Identificazione e caratterizzazione
delle lesioni valvolari, della loro
gravità emodinamica e/o del
compenso ventricolare*
2. Identificazione di anomalie associate
(p.es., ascessi, shunt)*
3. Rivalutazione di endocarditi
complesse (p.es., da microrganismi
virulenti, con lesioni
emodinamicamente gravi, con
interessamento della valvola aortica,
con febbre persistente o batteriemia,
modificazione dei dati clinici o
peggioramento dei sintomi)
4. Valutazione di una sospetta
endocardite con emocoltura negativa*
5. Valutazione della batteriemia senza
una fonte nota*
1. Valutazione della
febbre persistente
senza prova di
batteriemia o di un
nuovo soffio*
1. Rivalutazione
di routine
dell’endocardite non
complicata durante
terapia antibiotica
1. Valutazione della
febbre transitoria
senza segni di
batteriemia o di
un nuovo soffio
Intervento
chirurgico per
endocardite su
valvola nativa
(criteri anche
applicati per
l’alloinnesto o
l’autoinnesto
delle valvole
mitrale e aortica)
1. Insufficienza aortica o MR acuta con
insufficienza cardiaca
2. Insufficienza aortica acuta con
tachicardia e chiusura precoce della
valvola mitrale
3. Endocardite micotica
4. Evidenza di un ascesso aortico o
dell’anello o aneurisma aortico vero o
falso o del seno
5. Evidenza di una disfunzione valvolare
e di infezione persistente dopo un
periodo prolungato (7-10 gg) di terapia
antibiotica appropriata, come indicato
dalla presenza di febbre, leucocitosi
e batteriemia, posto che non ci siano
cause extracardiache dell’infezione
1. Emboli ricorrenti
1. Vegetazioni mobili
dopo terapia
>10 mm
antibiotica appropriata
2. Infezione da
microrganismi
Gram-negativi o
da microrganismi
scarsamente sensibili
agli antibiotici in
pazienti con evidenza
di disfunzione
valvolare
Intervento
chirurgico per
endocardite su
valvola protesica
(i criteri escludono
l’alloinnesto o
l’autoinnesto delle
valvole mitrale
e aortica già
riparate)
1. Endocardite precoce su valvola
protesica (primi 2 mesi o meno dopo
l’intervento)
2. Scompenso cardiaco con disfunzione
di una valvola protesica
3. Endocardite micotica
4. Endocardite da stafilococco che non
risponde alla terapia antibiotica
5. Evidenza di leak paravalvolare,
ascesso aortico o dell’anulus,
aneurisma vero o falso aortico o del
seno, formazione di fistole, disturbi
della conduzione di nuova insorgenza
6. Infezione da microrganismi Gram
negativi o da microrganismi
scarsamente sensibili agli antibiotici
1. Batteriemia
1. Vegetazione di
persistente dopo un
qualsiasi grandezza
prolungato periodo
in prossimità della
(7-10 gg) di terapia
protesi
antibiotica appropriata
in assenza di cause
non cardiache di
batteriemia
2. Embolie periferiche
ricorrenti nonostante
la terapia
Capitolo 58
Indicazione
1. Infezioni
precoci della
valvola mitrale
che possono
verosimilmente
essere riparate
2. Persistente
piressia e
leucocitosi con
emocolture
negative
ACC/AHA = American College of Cardiology/American Heart Association; MR = rigurgito mitralico; MVP = prolasso della valvola mitrale.
Da Bonow RO, Carabello B, de Leon AC Jr, et al: ACC/AHA guidelines for the management of patients with valvular heart disease: Executive summary. A report
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*L’ecocardiografia transesofagea può fornire un valore incrementale in aggiunta all’informazione ottenuta con l’imaging transtoracico.
Con la ETT, la diagnosi di endocardite su protesi è più difficile
della diagnosi di endocardite su valvole native. Pertanto, le linee guida
dell’ACC/AHA suggeriscono una soglia più bassa per l’esecuzione
della ETE nei pazienti portatori di protesi valvolari e con sospetta
endocardite (Tab. 58L-2).
INTERVENTO CHIRURGICO PER ENDOCARDITE
ACUTA
Le linee guida dell’ACC/AHA per le valvulopatie sostengono la funzione dell’intervento chirurgico nei pazienti in pericolo di vita per
insufficienza cardiaca congestizia o shock cardiogeno dovuti a endocardite acuta. Sono da considerarsi meno certe le indicazioni all’intervento chirurgico per i pazienti con endocardite stabile (Tab. 58L-2).
Braun Cap 58ok.indd 1658
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