Nasce la barriera “amica degli squali”

Pianeta scienza
MARTEDÌ 25 GIUGNO 2013 IL PICCOLO
La Sissa apre “Mappe” e discute di giustizia e divulgazione
Si chiama “Mappe”, edè un
evento dedicato alla comunicazione della scienza che si terrà
da domani a venerdì alla Sissa di
Trieste. La manifestazione intende contribuire a innovare i processi di circolazione, diffusione,
produzione e appropriazione
della conoscenza medica, scientifica e tecnologica.
“Mappe”, che quest’anno
giunge alla terza edizione, nasce
dalla collaborazione di tre istituzioni: la Scuola Internazionale
Superiore di Studi Avanzati di
Trieste (con il Laboratorio Interdisciplinare), l’Università di Ferrara (con il Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzio-
nale della Scienza) e Fondazione Idis - Città della Scienza di
Napoli.
La manifestazione si aprirà
domani con il workshop su
“Science writing”, con Tim Radford, redattore e giornalista
scientifico del quotidiano britannico The Guardian. Il workshop
è un’occasione unica per imparare i trucchi del mestiere da un
grande professionista.
Nel corso di “Mappe” si terrà
anche l’XI Convegno Nazionale
sulla Comunicazione della
Scienza, con un calendario fitto
di appuntamenti. Durante il
convegno verranno affrontati
molti temi “caldi”.
Si parlerà del complesso rapporto fra scienza e giustizia, un
tema di grande attualità, viste
anche le recenti sentenze che
hanno visto coinvolti i sismologi
della Commissione Grandi Rischi per il terremoto de L’Aquila,
o quelle che hanno riguardato il
“caso Stamina”.
Un altro tema affrontato sarà
quello della “cittadinanza scientifica” e del coinvolgimento del
pubblico sui temi della ricerca:
casi come la Tav, gli studi sulle
cellule staminali o le politiche
sanitarie in materia di vaccini ci
mostrano quanto sia importante la partecipazione e la corretta
informazione pubblica. Tra i va-
ri appuntamenti, il convegno
ospiterà anche un intervento di
Luigi Amodio direttore di Città
della Scienza, il science centre di
Napoli recentemente distrutto
da un incendio doloso. Sarà
un’occasione per parlare di
quanto è accaduto e, prendendo
spunto dal grave danno subito
dall’istituzione, per riflettere sulla comunicazione della scienza
in Italia. Molti altri sono gli appuntamenti in programma:
sull’educazione informale, sul
rapporto della scienza con i nuovi media digitali, sull’open science, solo per citarne alcuni. Il programma dettagliato del convegno è consultabile online alla pa-
gina www.mappetrieste.it.
Ancora,
nell’ambito
di
“mappe” sono previste due tavole rotonde divulgative per il pubblico: “La lezione di Stephen Jay
Gould”, dedicata al celebre biologo e al tema dell’evoluzione –
che si terrà domani dalle 17.30
alle 19.30 - e “Psichiatria e psicofarmaci”, dedicata alla comunicazione della medicina – prevista per giovedì dalle 18.30 alle
20.30.
La manifestazione culminerà
venerdì con i festeggiamenti dedicati ai vent’anni dalla fondazione dello storico Master in Comunicazione della Scienza della
Sissa e il conferimento del titolo
di Master honoris causa a Ferruccio De Bortoli, giornalista e
direttore da più di quindici anni
del quotidiano Il Corriere della
Sera.
Nasce la barriera “amica degli squali”
Sperimentata una tecnica innovativa a protezione delle spiagge che non danneggia la fauna marina
di Pietro Spirito
In linea di principio dovrebbero
tenere gli squali lontani dalle
spiagge affollate, ma il loro unico risultato certo è quello di causare una strage colossale di animali marini, senza per altro garantire la tutela dei bagnanti. Sono le reti antisqualo, trappole
galleggianti lunghe dai duecento ai trecento metri, che dall’Australia al Sudafrica vengono tese
i mare nel tentativo di proteggere i bagnanti delle località turistiche. Ormai è provato che queste
reti servono a poco, tranne che a
uccidere migliaia e migliaia di
animali marini che ci restano
impigliati, dai delfini alle tartarughe agli stessi squali di varie specie, già decimati dal “finning”, la
pesca indiscriminata per procacciarsi le pinne che ogni anno uccide ben cento milioni di squali.
Ora proprio dal Sudafrica arriva una soluzione innovativa al
problema, una barriera a impatto zero che tiene lontani gli squali dai tratti di costa senza creare
alcun danno né a loro né ad altre
creature marine che non vengono né trattenute né disturbate
dall’impianto. Si tratta di una
finta barriera di kelp, l’alga gi-
gante che cresce lungo le coste
oceaniche, dotata di magneti
permanenti capaci di disturbare
gli squali mandando impulsi
che agiscono sulle Ampolle di
Lorenzini, gli speciali organi di
senso con cui gli Elasmobranchi
(squali e razze) riescono ad individuare i campi elettro-magnetici prodotti da eventuali prede.
La nuova e rivoluzionaria
“Sharksafe Barrier” è stata messa a punto e sperimentata in particolare nelle acque di Gansbaai,
in Sudafrica, uno dei posti con la
maggiore concentrazione di
squali bianchi, da una pattuglia
di studiosi composta da Conrad
A. Matthee e dalla biologa triestina Sara Andreotti dell’ Universita' di Stellenbosch, da Craig O'
Connell dell’Unversità' del Massachusetts, e da Michael Rutzen
dello Shark Diving Unlimited.
«Questa tecnologia - spiega
Sara Andreotti, che da anni ha lasciato Trieste per studiare i grandi squali bianchi nel loro habitat
naturale - è il frutto di anni di osservazioni da parte Michael Rutzen durante il “free diving” (l’immersione con gli squali senza
protezione, ndr), e delle ricerche
di Craig O'Connell, biologo marino americano con il quale stia-
Leoni marini passano attraverso la barriera artificiale (Foto M. Rutzen)
mo collaborando dal 2011 per
studi sul magnetismo».
Nel corso delle sue innumerevoli immersioni a tu per tu con
gli squali bianchi, Mike Rutzen
aveva notato come i grandi pe-
sci predatori girassero alla larga
dalle intricate foreste di kelp, dove andavano invece a rintanarsi
potenziali prede come i leoni
marini. Dal canto suo Craig
O’Connell ha condotto sin dal
2005 una lunga serie di studi ed
esperimenti intorno agli effetti
dei magneti permanenti sugli
squali, scoprendo come vengono disturbati da campi magnetici artificiali. Unendo le conoscenze Rutzen e O’Connel hanno sperimentato sul campo,
cioè sott’acqua, la barriera artificiale con ottimi risultati: la doppia dissuasione - visiva e magnetica - allontana gli squali senza
alcun danno, non disturba le altre specie marine e in più i blocchi di ancoraggio costituiscono
un reef artificiale ideale per la
crescita di una grande varietà di
organismi bentonici. «Vogliamo
dimostrare - aggiunge Sara Andreotti -che la barriera può modificare la direzione di nuoto degli squali anche in presenza di
una sorgente di cibo; visti gli ottimi risultati finora raggiunti stiamo raccogliendo fondi per collocare la Sharksafe Barrier lungo
un tratto di spiaggia per testarne
l’efficienza su larga scala».
p_spirito
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I Tarocchi tra psicanalisi, tasselli e favole
Oggi alla Libreria Ubik la presentazione dell’ultimo libro del fisico Giancarlo Ghirardi
Come non stupirsi se un fisico
di fama – autore di una delle
proposte più significative per
superare i problemi della meccanica quantistica – scrive un libro sui tarocchi, includendovi
teorie psicanalitiche folklore popolare, miti e favole. Sarà uscito
di senno, qualcuno dirà. E invece no. Giancarlo Ghirardi, è più
che mai in sé. Ghirardi, professore emerito di fisica all’università di Trieste, e uno dei tre proponenti della Teoria Grw, che
prende il nome dai tre fisici Ghirardi-Rimini-Weber, ha appena
dato alle stampe la sua ultima
fatica artistico-letteraria: “I ta-
rocchi periodici” (edizioni
Aracne, 113 pp, Euro 14,00), in
cui percorre un itinerario psicoanalitico arricchendolo con i disegni di 31 carte da lui stesso
eseguiti. «A mano – tiene a precisare – non con il computer, dacché questo libro è rimasto imbozzolato in un cassetto per anni, finché l’ho rivisto e pubblicato».
Il libro, spiega lo stesso Ghirardi, è stato stimolato dalla lettura de “Il castello dei destini incrociati”, di Italo Calvino, in cui
i protagonisti, avendo perso
l’uso della parola, narrano la
propria vita servendosi di un
mazzo di tarocchi, che dispongono e spostano per descrivere
vicende vissute. «Quella lettura
mi ha travolto – dice Ghirardi – e
mi ha spinto a cercare informazioni su origine, evoluzione e
diffusione di queste carte. L’interesse si è poi intrecciato con la
psicoanalisi, antica passione, e
mi ha suggerito nuovi percorsi e
intuizioni: i tarocchi, nati come
gioco di corte, hanno acquisito
per me via via nuovi significati
che io ho cercato di cogliere».
Il simbolismo che queste carte raccontano, avverte il fisico,
non si rifà a codici elaborati da
sette segrete, o all’arte divinato-
Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming...
Precursori dell’odierna schiera di ricercatori
che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro)
profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica
imprimendo svolte decisive al vivere civile.
Incoraggiare la ricerca significa
optare in concreto per il progresso del benessere sociale.
La Fondazione lo crede da sempre.
ria, come qualcuno suggerisce.
Secondo Ghirardi, ciascuna figura va piuttosto interpretata
come emblema dei momenti
cruciali che ogni uomo vive e affronta nella sua vita: corrisponde alle tappe della maturazione
psicologica. Così il Carro, con il
Re che sovrasta due cavalli non
domi, suggerisce l’immagine
del padre che – agli occhi del figlio – domina gli istinti, ma allo
stesso tempo – da uomo qual è –
talvolta non li padroneggia.
Dai tarocchi alle fiabe, Ghirardi prosegue nel suo cammino richiamandosi a Vladimir Propp,
sottolineando come le fiabe ab-
biano una struttura simile, in
cui cambiano individui, situazioni e nomi, ma non l’impianto
del racconto. L’anima del fisico
emerge però solo alla fine, quando Ghirardi ci regala i suoi Tarocchi Periodici costruiti con il
metodo delle tassellature, in cui
la stessa figura si incastra e si
combina con se stessa, secondo
molteplici orientamenti. Come
definire, dunque, questo libro?
Sicuramente un libro a tassellature. Sarà lo stesso autore a illustrarlo, oggi, alle 18, in un incontro col pubblico alla libreria
Ubik di Piazza della Borsa 15.
Cristina Serra
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AL MICROSCOPIO
Il meccanismo
che rigenera
gli arti amputati
di MAURO GIACCA
I
mmaginate uno stagno
d’estate, popolato da centinaia di salamandre. A causa dell’evaporazione, l’acqua
si ritira e gli animali sono costretti a restringere il proprio
territorio. Per difenderlo, diventano
progressivamente
più aggressivi: si mutilano l’un
l’altro, amputandosi reciprocamente zampe e code. Un
universo così competitivo non
consentirebbe la sopravvivenza di animali incapaci di muoversi e difendersi, e così l’evoluzione ha sviluppato per questi animali la straordinaria capacità di consentire la completa rigenerazione degli arti mutilati. Questo è il caso di Ambystoma mexicanum, l’Axolotl
degli Aztechi, un anfibio che vive nel lago di Xochimilco, in
Messico. Quando una sua
zampa viene amputata, questa ricresce completamente,
perfetta. Medesima situazione
anche per alcuni pesci. Amputati di coda e pinne, queste
vengono completamente riformate.
Nel corso dell’evoluzione,
noi mammiferi abbiamo invece perso la capacità di riformare gli arti nella vita adulta.
L’unica vestigia di questa antica capacità rigenerativa rimane nell’estremità delle dita: sono diversi decenni ormai che
sappiamo che la falange distale danneggiata può rigenerare
completamente, a patto che rimanga una porzione di unghia. Esperimenti di qualche
anno fa avevano anche dimostrato che la regione dell’unghia, quando trapiantata sulla
falange media, è sufficiente
per indurre la formazione di
nuovo osso in questa regione.
L’osservazione è rimasta senza basi molecolari fino ad oggi,
quando un gruppo di ricercatori della New York University
ha riportato, in una lettera
pubblicata on line da Nature,
che alla base dell’unghia esiste
una popolazione di cellule staminali che può dirigere la rigenerazione completa della falange amputata. Il processo è
molto più limitato quando
comparato agli anfibi, ma le
molecole coinvolte sono le
stesse. Dopo il danno, nelle
cellule dell’unghia si attiva il
gene Wnt, un essenziale regolatore dello sviluppo embrionale degli arti, responsabile anche della continua crescita
normale dell’unghia stessa.
Grazie a questa attivazione,
nella regione vengono richiamati i nervi dal tessuto circostante. Si attiva quindi la produzione di FGF2, un fattore di
crescita che induce la proliferazione delle cellule che poi
formeranno il nuovo osso e gli
altri tessuti. Se e quando questa informazione potrà essere
utilizzata per indurre la rigenerazione degli arti amputati
nell’uomo è ovviamente troppo presto per essere detto, ma
l’obiettivo sembra oggi almeno perseguibile.
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