Anno 2010 - Giornale SIGENP

annuncio pubblicitario
4
organo ufficiale
della società italiana
news
Volume II - Dicembre 2010
di gastroenterologia
epatologia e Nutrizione
Pediatrica
aggiornamento in
gastroenterologia
epatologia
Con il contributo educazionale
Nutrizione
EDITORE - Area Qualità S.r.l.
Via Comelico 3 - 20135 MI
s
ommario
3
Editoriale
4
Topic High Light…
Claudio Romano
Intervista a Dominique Debray: le malattie metaboliche
con epatopatie
di Mariella Baldassarre
8
Meta-analysis Reviews
Patologie linfoproliferative e malattie infiammatorie
croniche intestinali
di Patrizia Alvisi e Paolo Lionetti
11
Pediatric Nutrition Outside Box
Aspetti nutrizionali del bambino con cerebropatia
di Antonino Tedeschi
14
Training and Educational Corner
Markers dell’insufficienza pancreatica: il punto della situazione
all’inizio di un nuovo decennio
di Marco Cipolli
18
Gastroenterology Clinical Research
La patologia anorettale nelle IBD: nuovi orizzonti
della chirurgia
di Maurizio Coscia, Lorenzo Gentilini, Mariangela Podda, Silvio Laureti e Gilberto Poggioli
FORUM
FORUM
23
News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
Esomeprazolo: approfondimento farmacologico e clinico
di Valentina Mancini e Costantino De Giacomo
26
Fellow’s Corner - L’angolo dello specializzando
Epatite celiaca: una diagnosi talvolta ingannevole
di Giulia Maria Tronconi, Martina Fomasi, Chiara Amoruso, Giovanna Weber,
Gabriella Nebbia e Graziano Barera
Con il contributo educazionale
s
ommario
VIDEO
29
Endoscopy Learning Library
Un caso di doppia membrana duodenale in lattante
di Serena Arrigo, Paolo Gandullia, Silvia Vignola e Arrigo Barabino
FORUM
31
Pediatric Gastroenterology Educational Article
Ipertransaminasemie
di Raffaele Iorio
34
Ped GI Snapshots
a cura del Comitato di Redazione
11
Con il contributo educazionale
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Vice-Presidente
Segretario
Tesoriere
Consiglieri
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ditoriale
Il consuntivo e le novità per 2001
Ci siamo, è già trascorso un anno di lavoro e completiamo con la pubblicazione del IV numero di SIGENP News.
Leggendo il sommario si conferma un “trend scientifico” in continua ascesa grazie al lavoro svolto dal Comitato di Redazione e dal
livello degli autori.
Completa e didatticamente molto utile la revisione di Dominique Debray sulle epatopatie metaboliche, così come quella di Paolo Lionetti
e Patrizia Alvisi sulle patologie linfoproliferative nelle IBD in età pediatrica. Una adeguata messa a punto sul rischio di malnutrizione ed
i disturbi della condotta alimentare nel bambino cerebroleso rappresenta sempre un topic di estremo interesse nella pratica clinica.
Abbiamo lasciato uno spazio alla valutazione delle tecniche di imaging in gastroenterologia pediatrica (ultrasonografia) così come al
contributo di esperienza di gastroenterologi e chirurghi dell’adulto
nella gestione di una patologia molto frequente anche in età pediatrica (malattia paranale nelle IBD).
L’angolo di farmacologia è dedicato alla conoscenza di una molecola con cui il pediatra si dovrà confrontare nel corso dei prossimi
anni (esomeprazolo) avendo ottenuto l’indicazione di prescrivibilità anche nel bambino.
Molto interessanti i Casi Clinici, il primo (epatite autoimmune in paziente con celiachia) per la metodica di approccio diagnostico che viene riportata ed il secondo (diaframma duodenale) che conferma come
l’endoscopia in mani esperte può rappresentare una efficace metodica
di trattamento e correzione di anomalie congenite.
Non poteva mancare uno spazio dedicato anche alla patologia pancreatica con una sistematica revisione della sensibilità, applicabilità e
specificità delle metodiche di valutazione della funzionalità pancreatica esocrina. L’Educational Article a cura di Lello Iorio propone una
semplice e completa flow-chart sull’ipertransaminasemia.
Buona lettura quindi ed un arrivederci al nuovo Anno nel corso
del quale SIGENP News ritornerà anche in versione cartacea e con
altre importanti novità.
Il supporto del nuovo CD e del nuovo Presidente, Annamaria Staiano, saranno determinanti per confermare l’importanza di questo
strumento nella vita della SIGENP e nel convulso panorama scientifico-editoriale italiano.
Claudio Romano
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S I G E NP NE WS
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Topic High light…
a cura di
Mariella Baldassarre
Intervista a Dominique Debray:
le malattie metaboliche
con epatopatie
Mariella Baldassarre
U.O. di Neonatologia e T.I.N., Policlinico Universitario di Bari
D
ominique Debray è attualmente professore associato
di epatologia pediatrica all’Ospedale Necker-Enfants
Malades a Parigi. Ha conseguito la specializzazione
in pediatria nel 1989 e dal 1989 sino al 1996 è stata assistente
in Epatologia Pediatrica. Dal 1991 al 1992 è stata “research
fellow” presso l”Health Sciences Center” a Denver, Università
del Colorado (USA). Professore associato di Pediatria dal 1996,
ha maturato un’estesa esperienza in epatologia e trapianto
epatico in età pediatrica lavorando dal 1996 al luglio 2010
a Parigi presso l’Ospedale Kremlin-Bicêtre, centro di riferimento
in Francia per le malattie colestatiche ed il trapianto epatico
nel bambino. Dal 1 agosto lavora all’Ospedale Necker-Enfants
Malades, centro di riferimento per le malattie metaboliche
con interessamento epatico.
Quali sono i più importanti
segni clinici di una malattia metabolica con interessamento epatico?
In quali condizioni cliniche dobbiamo soprattutto pensarci?
Le malattie metaboliche con interessamento epatico (Liver Based Metabolic Diseases, LBMD) costituiscono un
gruppo eterogeneo di malattie in cui gli
errori congeniti del metabolismo possono dar luogo a gravi sintomi epatici e/o
extraepatici. I sintomi specifici di ogni
malattia sono relativi al particolare difetto metabolico. La presentazione clinica
può essere pertanto caratterizzata da
sintomi a carico del fegato ma anche di
altri organi ed apparati. L’insufficienza
epatica acuta, la colestasi, l’epatomegalia, la splenomegalia, la cirrosi epatica,
gravi sintomi neurologici (encefalopatia
e coma), ritardo dello sviluppo neuromotorio, l’ipoglicemia, il ritardo dell’accrescimento, la miocardiopatia, disturbi
renali che si manifestino a qualunque età
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dall’infanzia all’età adulta devono sempre far indirizzare la diagnostica a considerare l’ipotesi di una LBMD.
Quali sono le più comuni malattie metaboliche con interessamento epatico?
Le malattie metaboliche con interessamento epatico possono essere suddivise in due gruppi:
a) malattie che provocano lesioni epatiche quali necrosi epatica, steatosi,
fibrosi o cirrosi, insufficienza epatica,
adenoma o epatocarcinoma;
b) malattie con normale parenchima
e funzionalità epatica. In ciascuno dei
due gruppi l’espressione del difetto metabolico può risiedere solo a livello epatico o coinvolgere altri organi e tessuti.
LBMD associate a lesioni epatiche
Sono le più comuni.
Il deficit di Alfa-1- antitripsina (AAT),
malattia autosomica recessiva (incidenza stimata in Europa: 1:2.500), è la
SIGENP NEWS
più comune causa genetica di malattia
epatica durante l’infanzia. La malattia
epatica si realizza circa nel 10-20% dei
bambini con la mutazione omozigote
PiZZ, che svilupperanno una cirrosi
epatica durante l’età infantile.
La Fibrosi Cistica (CF) è una malattia autosomica recessiva con una incidenza che va nella razza caucasica,
da 1:2.400 a 1:3.400 nati vivi. La CF
è causata dalla mutazione di un gene
che regola la sintesi di una grossa proteina di membrana chiamata “cystic
fibrosis transmembrane conductance
regulator (CFTR)” che ha funzione sia
di trasporto di ioni (soprattutto cloro
e bicarbonato) che di regolazione di altri transporters. La cirrosi epatica con
ipertensione portale si sviluppa nel 5 10% di pazienti con fibrosi cistica.
La malattia di Wilson (WD) è un disordine autosomico recessivo del metabolismo del rame con prevalenza
di 1/30.000 nella popolazione generale. La WD deriva da un difetto della
proteina ATP7B, responsabile del trasporto del rame nell’organo del Golgi.
Tale difetto determina un accumulo di
rame nel fegato ed in altri organi tra
cui l’encefalo, i reni, il cuore. L’accumulo di rame nel fegato è responsabile
dell’insorgere insidioso della cirrosi
epatica. I pazienti possono presentare
nella prima infanzia una citolisi epatica cronica ed in seguito manifestare i
segni di una cirrosi epatica scompensata o un’insufficienza epatica acuta
con encefalopatia porto-sistemica.
La Tirosinemia tipo 1 (TT1) è una
malattia autosomica recessiva con incidenza stimata in Europa da 1/100.000
ad 1/120.000, caratterizzata dal deficit dell’enzima fumarilacetoacetasi
(FAA), enzima finale nel processo
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Topic High light...
a cura di
Mariella Baldassarre
Intervista a Dominique Debray: le malattie metaboliche con epatopatie
Mariella Baldassarre
di degradazione della tiroxina, con
il conseguente sviluppo di numerosi
metaboliti intermedi tossici. La Tirosinemia ha due modalità di presentazione clinica: l’insufficienza epatica
acuta e la malattia epatica cronica
con cirrosi associata ad una sindrome
"porphyria like", ad una disfunzione
tubulare "Fanconi like", rachitismo ed
insufficienza renale. In questi pazienti è molto alto il rischio di sviluppare
un’epatocarcinoma.
La Galattosemia è un disordine autosomico recessivo causato da deficit di
galattosio-1-fosfato uridil-transferasi. La maggior parte dei pazienti con
galattosemia presentano un esordio
in epoca neonatale (dopo l’assunzione di galattosio) con insufficienza
epatica, sepsi e cataratta.
La Fruttosemia (intolleranza ereditaria al fruttosio) è un disordine autosomico recessivo causato dal deficit di
aldolasi. I pazienti con fruttosemia di
solito hanno un esordio clinico nella
prima infanzia, quando vengono introdotti nella dieta cibi contenenti fruttosio, caratterizzato da vomito, sudorazione, ipoglicemia e acidosi metabolica.
I disordini del metabolismo energetico dei mitocondri (Difetti della
catena respiratoria) costituiscono un
gruppo di malattie secondarie alla disfunzione della catena respiratoria (RC)
con conseguente deficit intracellulare di
ATP, incremento dei radicali liberi ed
altri metabolici tossici e morte cellulare. I disordini del metabolismo energetico dei mitocondri possono essere
il risultato di una mutazione del DNA
nucleare o mitocondriale e presentano differenti modalità di trasmissione
genetica (autosomica recessiva, autosomica dominante o X-linked, quindi
trasmessa dalla madre). I difetti della
catena respiratoria possono interessare qualsiasi organo o tessuto a qualunque età ma ovviamente gli organi e tessuti con alto metabolismo energetico
(encefalo, muscolo, fegato) sono più
comunemente affetti. La prevalenza
dei disordini del metabolismo energetico dei mitocondri è stimata essere
di 1/8.500 nella popolazione generale, nonostante sia difficile una stima
davvero precisa a causa dell’alta variabilità delle modalità di trasmissione
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genetica e di presentazione clinica.
Le malattie da accumulo di glicogeno
[Glycogen storage diseases (GSD)]
sono un gruppo di disordini metabolici autosomici recessivi, caratterizzati
dall’accumulo di un tipo di glicogeno
abnorme o in enormi quantità, con
un’incidenza di 1/50.000 nati vivi. La
GSD tipo I non determina insufficienza
epatica, ma i pazienti possono sviluppare adenomi epatici che evolvono in
displasia ed epatocarcinoma. La GSD
tipo Ia è dovuta al deficit di glucosio6-fosfatasi, la GSD tipo Ib al deficit del
carrier di glucosio-6-fosfatasi. La GSD
tipo III è dovuta al deficit di amilo-1-6glucosidasi con conseguente deposito
nel fegato e nei muscoli di un glicogeno
anomalo. Può verificarsi, pur se rara, la
progressione verso la cirrosi epatica; in
età adulta la miopatia e la cardiomiopatia sono cause frequenti di mortalità.
La GSD tipo IV è dovuta al deficit di
1,4-Glucano-6-glicosil transferasi con
deposito di un glicogeno abnorme, che
assomiglia all’amilopectina, nel fegato,
muscolo, cuore, encefalo, nervi periferici
e cute. La forma classica epatica dà luogo
ad una malattia epatica nella prima infanzia, con progressione verso la cirrosi
che porta all’exitus prima dei 5 anni.
La malattia di Gaucher (GD) è un disordine autosomico recessivo causato
dal deficit dell’enzima beta-glucosidasi,
risultante nell’accumulo del glicolipide
glicosilceramide nelle cellule del sistema reticoloendoteliale di tutto l’organismo. L’incidenza è 1/57.000 nella
popolazione generale e 1/855 nella
popolazione degli ebrei Ashkenazi.
Nella malattia di Gaucher tipo 1, il glicolipide si accumula nel fegato, nella
milza e nel midollo osseo provocando
epatosplenomegalia, pancitopenia, dolori ossei, osteoporosi, fratture patologiche, ritardo di crescita ed infiltrato
polmonare. Nella malattia di Gaucher
tipo 2 e 3 c’è in più il coinvolgimento
neurologico e l’exitus precoce, nei primi due anni di vita.
La malattia di Niemann-Pick (NPD)
(tipo A, B, C) rappresenta in realtà un
gruppo eterogeneo di malattie causate
da un accumulo lisosomiale di sfingomielina ed altri lipidi in varie cellule
dell’organismo, in particolare dei macrofagi/monociti. La NPD si trasmette
SIGENP NEWS
come tratto autosomico recessivo. Sia
il tipo A che B sono dovuti al deficit di
sfingomielinasi acida. Il tipo A (forma
infantile neuropatica) è più frequente e
severa del tipo B (forma giovanile non
neuropatica). Il tipo C è invece una malattia distinta dovuta ad un difetto nella
circolazione del colesterolo. La prevalenza del tipo C è circa 1/150.000.
La malattia di Wolman (WoD) e le
malattie da accumulo degli esteri del
colesterolo [cholesterol ester storage
disease (CESD)] risultano entrambe
dal deficit di lipasi acida lisosomiale,
che causa l’accumulo degli esteri del
colesterolo, dei trigliceridi e di altri lipidi nei lisosomi. Si tratta di disordini
autosomici recessivi. L’incidenza della
WoD è circa 1/500.000 e delle CESD di
1/300.000. La WoD è una variante severa ad esordio infantile in cui l’exitus di
solito interviene nel primo anno di vita.
Le malattie da accumulo lisosomiale
(LSD) sono dovute al deficit di vari enzimi lisosomiali con conseguente accumulo nei lisosomi di complessi macromolecolari. L’incidenza delle LSD è
stimata intorno a 1/7.500 nati vivi.
L’emocromatosi neonatale (NNH),
una severa malattia epatica neonatale
in associazione con la sierosi extraepatica è stata classificata in modo classico
come una malattia metabolica epatica,
ma recenti evidenze suggeriscono che
si tratti di un’epatite autoimmune.
LBMD non associate a lesioni epatiche
I disordini del ciclo dell’urea (UCDs) costituiscono un gruppo di difetti della sintesi dell’urea e delle sue
vie metaboliche. Sono le più comuni LBMD con un’incidenza di circa
1/30.000-46.000 nati vivi. Tra le UCDs, il deficit dell’enzima ornitinatranscarbamilasi (OTCD) è il più comune, con trasmissione X-linked, che
determina sintomi neurologici severi
conseguenti all’iperammonemia.
La sindrome di Crigler-Najjar (CNS),
un disordine autosomico recessivo familiare molto raro, è caratterizzato da
un’iperbilirubinemia indiretta molto
severa sin dalla nascita con normale
funzionalità epatica. La CNS è dovuta
al deficit totale (tipo 1) o parziale (tipo
2) dell’enzima Uridildifosfato Glicuronosil Transferasi a causa delle mutazio-
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Topic High light...
a cura di
Mariella Baldassarre
Intervista a Dominique Debray: le malattie metaboliche con epatopatie
Mariella Baldassarre
ni del gene UGT1A1. L’accumulo di
alti livelli di bilirubina non coniugata provoca un danno neurologico
severo.
L’Iperossaluria primaria tipo 1, è
un disordine autosomico recessivo
causato dal deficit dell’enzima epatico perossisomiale Alanina Glicosilato Aminotransferasi (AGT). Il
deficit di AGT determina iperproduzione a livello epatico di ossalati
con conseguente ipereliminazione
urinaria e depositi di ossalati di calcio insolubili sia nel rene e nelle vie
urinarie con progressione verso l’insufficienza renale, sia in altri tessuti
(ossa, cuore, arterie, retina, nervi periferici e pelle).
L’acidemia metilmalonica (MMA)
e l’acidemia propionica (PA) sono i
due più comuni errori congeniti autosomici recessivi del metabolismo
degli acidi organici. La MMA, che ha
un’incidenza stimata di 1/80.000 nati
vivi, è causata da un deficit completo
o parziale di metil-malonil-CoA mutasi o dai difetti nella sintesi del suo
cofattore adenosilcobalamina (cofattore derivato dalla vitamina B12).
L’acidemia propionica (PA) è determinata da un disordine autosomico
recessivo dell’enzima propionil-CoA
carbossilasi.
Quali sono la prognosi ed il
follow-up ?
La maggior parte delle LBMD hanno un pessimo outcome spontaneo.
È sempre auspicabile una diagnosi
precoce e poi l’invio ad un centro
specializzato. Quando disponibile, il
trattamento specifico va iniziato immediatamente dopo la diagnosi per
prevenire la progressione della malattia epatica o delle manifestazioni
extraepatiche. La prognosi è legata
al rischio dell’irreversibilità dell’insufficienza d’organo, soprattutto per
quanto riguarda il Sistema nervoso
centrale, che può controindicare il
trapianto epatico, cura elettiva in
molti casi di LBMD. Gli errori congeniti del metabolismo rappresentano il 10-15% per ciò che riguarda
l’indicazione primaria al trapianto
di fegato.
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Può parlarci in breve delle terapie tradizionali e delle più recenti
possibilità terapeutiche?
Alcune LBMD possono essere curate
con un precoce trattamento medico
e/o dietetico che è efficace nel bloccare
la malattia epatica. È il caso della galattosemia (che risponde rapidamente
all’esclusione del galattosio dalla dieta)
e della fruttosemia (che risponde ad
una dieta priva di fruttosio). In nessuna di queste due malattie vi è pertanto
indicazione al trapianto epatico.
La storia naturale della tirosinemia
tipo 1 è stata trasformata dall’introduzione nel 1993 del [2-(2-nitrotrifluorometilibenzoil)-1,3-ciclohexenedione] NTBC (Nitisinone), che
blocca la formazione dei metabolici
tossici. Con una dieta povera di fenilalanina e tiroxina e l’NBTC la lesione
epatica non progredisce, rendendo
quindi inutile il trapianto epatico.
Nella malattia di Wilson bisogna iniziare urgentemente i chelanti del rame
in modo da prevenire la progressione
del danno epatico e neurologico.
La terapia enzimatica sostitutiva per
la Malattia di Gaucher tipo 1 (GD
1) è possibile dal 1991, inizialmente grazie all’alglucerase, un composto derivato dalla placenta umana
(Ceredase®, Genzyme Corporation,
Cambridge, MA) e dal 1994 grazie
all’imiglucerase, formulazione ricombinante (Cerezyme®, Genzyme
Corporation).
Sono stati riportati effetti benefici
a carico dell’apparato emopoietico,
viscerale, scheletrico e polmonare.
La deprivazione del substrato con il
Miglustat (Zavesca®; Actelion Ltd,
Basilea, Svizzera) è un nuovo trattamento orale per i pazienti con GD 1,
recentemente approvato in Europa
e negli Stati Uniti in casi particolari
(pazienti impossibilitati ad assumere
l’ERT a causa di un cattivo accesso vascolare o di reazioni allergiche). Miglustat inibisce in modo reversibile la
glicosilceramide sintetasi, riducendo
così la produzione di glicosilceramide
(e altri glicolipidi) con conseguente
riduzione dell’accumulo tissutale.
L’acido ursodesossicolico può migliorare i test di funzionalità epatica
SIGENP NEWS
in alcuni bambini con deficit di Alfa-1- antitripsina e Fibrosi Cistica,
senza tuttavia effetti clinici dimostrati di efficacia sull’outcome.
Non esistono trattamenti medici efficaci per la Glycogen storage diseases
(GSD) tipo IV, la malattia di Wolman
(WoD), le malattie da accumulo degli
esteri del colesterolo (CESD), l’acidemia Metilmalonica (MMA), i difetti
della catena respiratoria e la malattia
di Niemann-Pick (NPD). Nelle CESD le statine e la colestiramina sono
utili a ridurre i livelli di colesterolo
sierico, ma non ci sono dati significativi che ne dimostrino l’efficacia a
lungo termine. Sono tuttora in corso
i trials terapeutici iniziati nel 2006 riguardanti l’uso della terapia enzimatica sostitutiva nella NPD.
Nei casi in cui non sia possibile ricorrere ad una terapia medica, il
trapianto epatico è a tutt’oggi il trattamento elettivo in grado di correggere completamente il difetto metabolico e di curare la malattia quando
il difetto metabolico è espresso unicamente nel fegato.
La sopravvivenza dei pazienti dieci
anni dopo il trapianto è > 80%. In
alcuni casi può essere presa in considerazione la donazione da vivente,
dopo la valutazione del fenotipo del
donatore, che ha il vantaggio di ottimizzare il timing della procedura.
Le indicazioni al trapianto di fegato sono la presenza di una malattia
epatica in stadio avanzato con insufficienza epatica (come in alcuni casi
di malattia di Wilson (WD), deficit
di Alfa-1- antitripsina (AAT), fibrosi
cistica), l’insufficienza epatica acuta
che non risponde alla terapia medica
(come in alcuni casi di tirosinemia
tipo I), la malattia epatica associata a
displasia o ad epatocarcinoma localizzato (come nella tirosinemia tipo
I o nella GSD tipo II, III). Vi è indicazione al trapianto epatico anche
nelle LBMD con normale parenchima epatico ma con coinvolgimento
extraepatico poco controllato dalla
terapia medica [come i difetti del ciclo dell’urea (UCD) o la sindrome di
Crigler Najjar tipo 1] al fine di prevenire il danno neurologico.
Nel caso di iperossaluria primitiva ti-
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Topic High light...
a cura di
Mariella Baldassarre
Intervista a Dominique Debray: le malattie metaboliche con epatopatie
Mariella Baldassarre
po I con insufficienza renale è indicato un trapianto sequenziale o simultaneo di fegato e reni.
Quando il difetto metabolico è
espresso in tessuti diversi dal fegato, il trapianto epatico corregge solo
parzialmente il difetto, e la malattia
extraepatica può pertanto ugualmente progredire. L’assenza di coinvolgimento extraepatico è di solito considerato un prerequisito per il trapianto
epatico. Tuttavia, nonostante prima
del trapianto non sia stata evidenziata
nessuna malattia extraepatica, il coinvolgimento di altri organi dopo il trapianto è sempre possibile e richiede un
attento follow-up, soprattutto a livello neurologico. Il trapianto epatico è
stato effettuato con successo in alcuni
pazienti con CESD, difetti della catena
respiratoria, GSD tipo IV.
Al momento il trapianto epatico è controindicato nella malattia di NiemannPick (NPD) poiché la progressione
della malattia si realizza comunque
dopo il trapianto. A causa del costante deterioramento neurologico, il trapianto epatico è formalmente controindicato nella sindrome di Alper e
nell’insufficienza epatica associata al
valproato (del gruppo delle malattie
da difetti della catena respiratoria).
Il trapianto di midollo osseo è stato effettuato con successo in alcuni
bambini con malattia di Wolman.
Nuove terapie
Una parziale correzione del difetto
metabolico è stato ottenuto dopo il
trapianto allogenico di epatociti nella UCD.
Gli epatociti derivati dalle cellule staminali potranno costituire in futuro
una fonte alternativa per l’approvvigionamento di cellule.
Le terapie geniche sono tecniche
promettenti.
Learning Points
¬¦ Le malattie metaboliche con interessamento epatico (LBMD) si suddividono in:
a) malattie che provocano lesioni epatiche (le più comuni)
b) malattie con normale parenchima e funzionalità epatica
¬¦ A qualunque età si manifestino, l’insufficienza epatica acuta, la colestasi, l’epatomegalia, la splenomegalia,
la cirrosi epatica, gravi sintomi neurologici (encefalopatia e coma), il ritardo dello sviluppo neuromotorio,
l’ipoglicemia, il ritardo dell’accrescimento, la miocardiopatia, i disturbi renali sono sintomi che possono
orientare verso una LBMD
¬¦ In alcune LBMD è possibile il trattamento dietetico (galattosemia e fruttosemia) e medico (tirosinemia, malattia
di Wilson, GD 1)
¬¦ Quando il difetto metabolico è espresso unicamente nel fegato, il trapianto epatico è a tutt’oggi il trattamento
elettivo in grado di correggere completamente il difetto metabolico e di curare la malattia. Quando il difetto
metabolico è espresso in tessuti diversi dal fegato, il trapianto epatico corregge solo parzialmente il difetto,
e la malattia extraepatica può pertanto ugualmente progredire
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SIGENP NEWS
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Meta-analysis Reviews
a cura di
Patologie linfoproliferative e malattie
infiammatorie croniche intestinali
Erasmo Miele
L'associazione fra malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI)
e patologie linfoproliferative, in particolare i linfomi, è stata oggetto
di nuove segnalazioni, anche controverse, in letteratura.
Viene riportato il ruolo della terapia immunosoppressiva e biologica
come fattori di rischio nell’insorgenza dei linfomi in pazienti con MICI
e quello della stessa malattia di base.
Patrizia Alvisi e Paolo Lionetti1
UOC Pediatria, Ospedale Maggiore di Bologna e Dipartimento per la Salute della Donna e del Bambino
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Università di Firenze - AOU Meyer
Le malattie infiammatorie croniche
intestinali (MICI) sono patologie caratterizzate da uno stato infiammatorio cronico della mucosa intestinale,
che necessitano l’impiego di terapie
più o meno aggressive per lunghi periodi di tempo.
Un numero sempre maggiore di farmaci sono stati via via impiegati nel
trattamento delle MICI, per raggiungere quella “remissione profonda”
che comporta non solo la remissione clinica, laboratoristica ed endoscopica ma, secondo il concetto più
recente, anche quella istologica.
Farmaci di largo impiego sono le
tiopurine ed il metotrexate (MTX),
immunosoppressori conosciuti da
tempo in quanto usati per patologie ematologiche ed autoimmuni, e
le molecole di nuova generazione,
inibitori di un mediatore dell’infiammazione, l’anti-tumor necrosis factor
(TNF-a), anche questi considerati
immunosoppressori. Il primo farmaco anti-TNF ad essere impiegato
nelle MICI è stato l’infliximab (IFX),
anticorpo monoclonale umanomurino chimerico IgG1, seguito poi
dall’adalimumab (ADA), di origine
completamente umana e da altre
molecole più recenti. È dal 2006
che l’uso dell’IFX è stato approvato in
USA e dal 2007 in Europa per i casi
di malattia di Crohn (MC) pediatrica
resistente alle terapie convenzionali.
In questi ultimi anni, diverse sono
state le segnalazioni in merito all’insorgenza di tumori in pazienti affetti
da MICI, con particolare riguardo per
i linfomi, poiché sono le neoplasie
più frequenti. Diversi sono i fattori
chiamati in causa nell’insorgenza di
tali patologie, fra cui lo stato infiammatorio cronico e/o le terapie immunosoppressive.
I linfomi sono neoplasie che origina-
8
no dai linfociti e vengono suddivisi,
semplificando molto la classificazione internazionale, secondo la loro
origine in:
• Linfomi non Hodgkin (LnH) (90% circa)
- a cellule B;
- a cellule T/NK;
- non B, non T
• Linfomi di Hodgkin (LH) (10%)
portante nell’insorgenza dei linfomi,
ancora più del trattamento (7).
Valutando quindi i dati emersi dalla
letteratura, oggi non siamo ancora in
grado di dare un giudizio definitivo sul
ruolo delle MICI nel favorire l’insorgenza dei linfomi. Probabilmente ancora
molti sono i fattori malattia-correlati,
di cui non conosciamo l’importanza.
Linfoma MICI-correlato
Lo sviluppo di linfomi intestinali ed
extraintestinali in corso di MICI è stato
oggetto di numerose segnalazioni fra
cui la prima, un caso di “linfosarcoma”, descritto in un gruppo di pazienti
che svilupparono carcinomi del colon
in corso di colite ulcerosa (CU) (1).
Sono seguiti quindi altri report che segnalavano l’insorgenza di linfomi intestinali su aree di infiammazione attiva,
suggerendo che proprio l’infiammazione poteva aumentare il rischio di
trasformazione in senso neoplastico
della mucosa. Per ciò che riguarda i
linfomi extraintestinali, nel corso degli
anni, diversi lavori non hanno dimostrato un aumentato rischio statisticamente significativo di sviluppare linfomi in corso di MICI rispetto a quanto
atteso nella popolazione generale
(2-5), ad eccezione di qualche rara
segnalazione (6).
Queste pubblicazioni presentano però alcuni limiti: sono studi retrospettivi, alcuni con follow-up troppo breve
e con scarse notizie sul trattamento
a cui sono stati sottoposti i pazienti.
Per chiarire meglio il ruolo dell’infiammazione, un contributo importante è
stato fornito da lavori che riguardano
l’associazione di altre patologie croniche con l’insorgenza di linfomi, fra cui
l’artrite reumatoide (AR). In particolare un recente studio svedese dimostra che la severità dell’infiammazione
nell’AR rappresenta il fattore più im-
Linfoma terapia-correlato
La terapia immusoppressiva (IM) impiegata nelle MICI, comprende le tiopurine (Azatioprina e 6-mercaptopurina), il MTX e la ciclosporina. Di questi
farmaci sono ben conosciuti gli effetti
collaterali “a breve termine”, mentre
meno sono quelli “a lungo termine”, fra
cui l’insorgenza di neoplasie riportate
in più lavori. Due studi importanti, uno
pubblicato nel 2005 di Kandiel ed uno
del 2009 di Beaugerie, hanno correlato in maniera abbastanza precisa il rischio linfomi con l’uso delle tiopurine,
riportando che l’aumento rispetto alla
popolazione generale era di circa 4-5
volte (8,9). Gli stessi autori ribadiscono ancora una volta come nelle forme
moderate-severe che necessitano di
terapia IM, l’infiammazione cronica
può avere un ruolo nell’insorgenza del
linfoma. Inoltre non è ben chiaro se il
rischio si riduca con la sospensione del
farmaco e se sia dose-correlato. Non
esistono dati in letteratura in merito
a linfomi indotti dal MTX nelle MICI,
in quanto impiegato solo se c’è intolleranza o non risposta alle tiopurine.
Segnalazioni invece esistono di linfomi in pazienti affetti da AR trattate con
MTX, spesso in associazione all’inibitore del TNF-a (10). Nessun dato invece
è emerso riguardo al rischio correlato
all’uso della ciclosporina.
Interessante è poi la segnalazione, in
pazienti affetti da MICI in terapia IM, di
LnH B, a localizzazione intestinale, dove
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Volume II - n. 4 dicembre 2010
Meta-analysis Reviews
a cura di
Erasmo Miele
Patologie linfoproliferative e malattie infiammatorie croniche intestinali
Patrizia Alvisi et al
sono state trovate numerose copie di
DNA appartenenti al virus Epstein Barr
(EBV). Le tiopurine avrebbero un ruolo
ben definito: svolgono infatti un’azione
citotossica sui linfociti T ed NK e per
questo inibiscono il controllo sulla proliferazione delle cellule B, EBV infettate,
rese “immortali” dalla replicazione virale.
In questi pazienti sarebbe utile monitorare il numero delle copie di Dna virale,
nel tentativo, qualora queste aumentassero, di identificare i soggetti “a rischio”
di neoplasia, anche perché la pronta
sospensione della terapia IM, può far
regredire il linfoma EBV correlato.
Dall’introduzione dei farmaci anti-TNF,
è stata segnalata una possibile associazione con il rischio di LnH. Diversi
studi hanno cercato di precisare questo
rischio con dati non sempre univoci,
stimandolo come inesistente ad esempio nel registro TREAT dell’FDA (11) o
aumentato in altri, come in una recente
metanalisi di Siegel (12).
Nell’agosto 2008 un report dell’FDA,
ha segnalato 48 casi di neoplasie insorti in pazienti trattati con farmaci antiTNF in età < 22 anni (tabella 1).
I dati più importanti che emergono
sono:
• i linfomi sono le neoplasie più frequenti;
• 31 pazienti sono stati trattati con IFX,
2 con ADA e 15 con etanercept;
• 88% dei pazienti sono stati trattati
anche con IM;
• 25 pazienti hanno MICI e sono stati
tutti trattati anche con tiopurine;
• non ci sono correlazione con la dose
anti-TNF;
• l’incidenza di neoplasia è 4 volte superiore all’atteso nella popolazione pediatrica americana, mentre quella dei
linfomi (escluso HSCTL) è di 9 volte.
I ricercatori concludono che esiste un
più alto rischio di neoplasia, soprattutto di linfoma, nei pazienti pediatrici
trattati con farmaci anti-TNF, senza però riuscire a dimostrare una relazione
causale certa.
Particolare attenzione è stata rivolta
all’associazione fra linfoma epatosplenico (HSTCL) e MICI, la cui insorgenza
è stata messa in relazione al trattamento (13).
Si tratta di un raro LnH a cellule T, che
origina nella polpa rossa della milza,
da cellule effettrici dell’immunità innata.
Clinicamente l’HSTCL si presenta in
pazienti giovani, spesso maschi ed è
caratterizzato da segni quali spleno-
9
Tab. 1 Neoplasie pediatriche riportate
dall’FDA
HSTCL
10
LnH
7
MH
6
Leucemia/
Mielodisplasia
7/1
Melanoma
3
Neoplasie solide
14
megalia, epatomegalia, piastrinopenia
da infiltrazione midollare e sintomi tipici dei linfomi B, quali febbre, perdita
di peso e sudorazioni notturne; non vi
è interessamento linfonodale (tabella
2). La diagnosi si basa sulla biopsia
Conclusioni
La relazione causale fra linfomi, attività di malattia e terapia è complesso e
piuttosto controverso. I dati sembrano non supportare un ruolo autonomo della malattia nell’insorgenza dei
linfomi e probabilmente va associata
a più fattori, fra cui il trattamento. È
oramai assodato che pazienti trattati con IM hanno un rischio di linfomi
maggiore di quello riscontrato nella
popolazione generale, mentre ancora
non si è riusciti a quantificare quello
relativo all’uso degli anti-TNF, anche
se oramai documentato. Fermo restando il ruolo terapeutico irrinunciabile svolto attualmente da tali farmaci,
riteniamo che i pazienti specie in età
pediatrica, debbano essere sottoposti
a questi trattamenti con estrema cau-
Tab. 2 Sintomi e dati di laboratorio dell’HSTCL
Sintomi/segni
%
Dati di laboratorio
%
Splenomegalia
100
Infiltrazione midollare
100
Epatomegalia
77
Trombocitopenia
89
Sintomi "B correlati"
70
Anemia
80
Ittero
29
Leucopenia
50
Infezioni
24
Ipertransaminasemia
40
da Burger D. (12) modificata
osteomidollare, richiede valutazioni in
citofluorimetria, immunoistochimiche
e citogenetiche. Ha un andamento
clinico molto aggressivo, con una sopravvivenza nel 15% dei casi.
In letteratura sono circa 200 casi descritti di HSTCL, fra cui uno insorto in
un paziente con AR trattato solo con
ADA. Circa il 10% sono pazienti affetti
da MICI (18 MC, 5 CU), tutti trattati
con tiopurine ed il 70% anche con IFX
(14). Per i pazienti in età pediatrica,
nel report dell’FDA già citato l’HSTCL
rappresenta la neoplasia più frequente (10 casi) (15). Le caratteristiche
rilevabili sono:
• 10/10 pazienti sono affetti da MICI;
• 100% sono stati trattati con IFX in associazione a tiopurine;
• 2 pazienti hanno anche ricevuto ADA;
• non c’è correlazione con la dose assunta di anti-TNF;
• 9/10 sono deceduti entro 1 anno.
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tela, impiegando la minor dose possibile per il periodo di tempo più breve
ed evitando l’associazione anti-TNF e
tiopurine. Inoltre i nostri sforzi devono
essere anche rivolti ad identificare i
pazienti con malattia più severa, per
i quali il rapporto rischio-beneficio del
trattamento sia più accettabile.
E per concludere alcune domande
sorgono spontanee... ”È la malattia
un fattore di rischio per lo sviluppo del
linfoma, con la possibilità che alcune
terapie riducendo l’infiammazione, riducano il rischio neoplastico? Oppure
questi pazienti in terapia immunosoppressiva stanno pagando il prezzo per
un più efficace controllo dell’infiammazione, però riducendo la sorveglianza
anti-neoplastica? E forse un intervento
terapeutico che riesca stabilmente a
modificare alcuni fattori, come la flora
intestinale, potrebbe controllare meglio la malattia nei nostri bambini?”
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Meta-analysis Reviews
a cura di
Erasmo Miele
Patologie linfoproliferative e malattie infiammatorie croniche intestinali
Patrizia Alvisi et al
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Key Points
¬¦ nuova è l’associazione fra MICI e patologie linfoproliferative
¬¦ i fattori correlati alla malattia intestinale (come l’infiammazione cronica) non hanno ancora un ruolo
oncogenetico definito
¬¦ documentato è invece il rischio correlato all’uso delle tiopurine nell’insorgenza di linfomi
¬¦ i farmaci anti-TNF secondo diversi studi, aumenterebbero il rischio di insorgenza di linfomi,
con particolare riguardo al linfoma epato-splenico
¬¦ per l’importante ruolo terapeutico svolto dai farmaci biologici ed immusoppressori, malgrado il rischio
correlato all’insorgenza delle neoplasie, riteniamo che al momento il bilancio costo-beneficio
sia comunque a favore dell’utilizzo di tali terapie. Andrà posta particolare attenzione nella selezione
dei pazienti da trattare con tali farmaci
10
SIGENP NEWS
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Pediatric
Nutrition
Outside Box
Testatina
apertura
rubrica
a cura di
Graziano Barera
Aspetti nutrizionali del bambino
con cerebropatia
Il 90% dei bambini con cerebropatia ha problemi
nutrizionali. L’intervento nutrizionale deve tener conto
della funzione orofaringea, della presenza di reflusso
gastroesofageo (GER) e dei fabbisogni energetici
Antonino Tedeschi
Centro di Riabilitazione "Tripepi-Mariotti" di Reggio Calabria
Il 90% dei bambini con cerebropatia ha problemi di alimentazione (1).
Circa il 75% ha GER che aumenta il
rischio di polmonite “ab ingestis” e
di malnutrizione (2). Normalmente
sia l’anatomia che la fisiologia della
deglutizione evolvono con la crescita. Il pasto richiede inoltre un insieme di capacità motorie che si sviluppano parallelamente allo sviluppo
della deglutizione, come la capacità
di sostenere il capo, di mantenere la
posizione seduta con il tronco dritto, di afferrare oggetti e portarli alla
bocca. Nei bambini cerebropatici la
capacità di alimentarsi in modo indipendente, che si acquisisce all’età di
24-30 mesi, spesso manca.
Anamnesi
Le difficoltà di alimentazione variano
con differenti consistenze del cibo? I
bambini con incoordinazione oro-faringea sono a maggior rischio di aspirazione con i liquidi e non riescono a
masticare i solidi.
Qual è la posizione durante il pasto?
Il rischio di aspirazione aumenta con
l’estensione del collo e del tronco;
l’eccessiva flessione restringe le vie
aeree e può indurre ipossia.
Ha vomito? È irritabile? Rifiuta il cibo?
Può essere un segno di disfunzione
motoria orale, di dolore gastrointestinale, e/o di un disturbo relazionale
con i genitori.
Ha, quando mangia, tosse, crisi di
soffocamento, apnea, respiro rumoroso, ha fuoruscita di alimento dal
naso? Ha eccessiva perdita di saliva
dalla bocca? Ha una storia di malattie respiratorie (polmoniti, asma)?
Tutti questi sintomi potrebbero essere causati da problemi di coordinazione tra la suzione, deglutizione e la
11
respirazione. Quanto dura il pasto?
In generale la durata del pasto non
dovrebbe superare i trenta minuti.
Quali farmaci sono adoperati: le benzodiazepine possono indurre una
ridotta coordinazione dei muscoli faringei e un eccesso di salivazione (3);
fenitoina e barbiturici possono determinare una carenza di folati e vitamina
D (4). L’uso di olio minerale per il trattamento della stipsi cronica può indurre deficit di vitamine liposolubili (4).
Esame Obiettivo
Il pasto andrebbe osservato per almeno 15-20 minuti. Il drammatico aumento della frequenza cardiaca può
indicare che la fatica è eccessiva. La
bradicardia può essere un segnale di
rischio imminente di vita. Bassi valori
di saturazione durante i pasti indicano
mancanza di coordinazione tra deglutizione e respiro. I segnali del deficit
motorio orale sono indicate dalla presenza dei seguenti segni:
protrusione della lingua, perdita dalla bocca
di liquidi o cibo durante il pasto, tosse, crisi di
soffocamento, lunga durata, difficoltà nell’assumere cibi che richiedono masticazione, rigurgiti nasali.
L’associazione di più sintomi indica
un danno maggiore.
Stato nutrizionale
La maggior parte dei bambini con
cerebropatia sono malnutriti. Circa il
10-15% è sovrappeso (5). A causa
delle deformità fisiche può essere
difficile persino pesare un bambino costretto a posture obbligate e
non deambulante. Lo spessore della plica tricipitale non è influenzato
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dall’handicap neurocognitivo per sé
ed è considerato l’indice antropometrico migliore per valutare lo stato nutrizionale (6). I dati biochimici
più utili nella valutazione dello stato
nutrizionale sono i valori di ferro e
di emoglobina (4,8). La ridotta mobilità, la ridotta esposizione al sole,
l’assunzione di farmaci induttori
della metabolizzazione epatica della
Vit D quali carbamazepina e barbiturici e la terapia con olio minerale
predispongono all’osteoporosi e
a dolorose fratture patologiche
che affliggono un bambino su 4 con
cerebropatia. La supplementazione di vitamina D raccomandata nei
pazienti trattati con carbamazepina
o barbiturici è di 1200-2000 UI al
giorno (4,7).
Valutazione Strumentale
Il pasto baritato consente di identificare eventuale dismotilità gastroesofagea, possibili anomalie come
la sindrome dell’arteria mesenterica
superiore, frequente nei bambini
con scoliosi o che hanno avuto una
rapida perdita di peso e, nei pazienti
con scoliosi, un’eventuale posizione
dello stomaco in torace. Lo studio videofluoroscopico della deglutizione
è finalizzato a studiare la fase faringea e consente di valutare la risposta
alle tecniche di trattamento. Tuttavia
la riproducibilità del test, che studia
pochi atti deglutitivi, è discutibile,
per cui è opportuno non basare la
valutazione in merito ad eventuale
aspirazione solo sul risultato dello
studio (8). La scintigrafia con tecnezio, utile per valutare il tempo di
svuotamento gastrico, può evidenziare eventuale aspirazione polmo-
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Pediatric Nutrition Outside Box
a cura di
Graziano Barera
Aspetti nutrizionali del bambino con cerebropatia
Testatina apertura rubrica
Antonino Tedeschi
nare da GER. La specificità è elevata
ma la sensibilità è bassa. La pH-metria
esofagea può non essere attendibile
nei bambini con scoliosi nei quali è
più difficile il posizionamento accurato dello strumento e può essere
normale in alcuni bambini che hanno complicanze respiratorie associate
con GER per cui la diagnosi di reflusso
è spesso basata sui sintomi (9).
Le strategie compensatorie riguardano la posizione della testa e del corpo, il volume del bolo
di alimento, la velocità con cui è dato il cibo e la
sua consistenza.
Non c’è una posizione ideale utile
per tutti i bambini. La flessione della
testa in avanti restringe le vie aeree; il
piegarla all’indietro può determinare
il passaggio in faringe del bolo prima
che sia scattato il riflesso di deglutizione ed aumentare il rischio di aspirazione. Il collo deve essere tenuto
allineato in una posizione neutrale.
I liquidi si spostano rapidamente per
gravità e hanno un alto rischio di andare a finire nelle vie aeree se c’è un
ritardo nell’attivazione dei sistemi di
protezione della deglutizione faringea. Sono consigliati alimenti di consistenza cremosa. Può causare aspirazione il cibo dato più velocemente
di quanto il bambino possa gestirlo.
È consigliabile avere a casa un aspiratore da usare in caso di abbondanti
secrezioni che non sono rimosse dalla tosse. Sono inoltre suggerite delle
strategie terapeutiche indirette in cui
la bocca del bambino è in vario modo
stimolata, sia all’esterno che all’interno, per mantenere il tono muscolare
e la sensibilità, senza deglutizione di
alimenti. L’alimentazione enterale
è indicata per la deglutizione non sicura con rischio significativo di aspirazione dell’alimento, per una durata eccessiva dei pasti e l’inadeguato
incremento ponderale. È indicata la
gastrostomia per l’alimentazione
enterale prolungata oltre 3 mesi
(8). Il fabbisogno energetico di
un bambino con cerebropatia è di
solito molto ridotto e può diventare
un problema dargli tutti i nutrienti in
quantità adeguata. Può essere utile
l’uso di una formula ad alto rapporto
nutrienti-energia. I bambini con iper-
12
Tali formule sono pertanto indicate
nei bambini cerebropatici con ritardato svuotamento dello stomaco. Le
formule elementari a base di aminoacidi liberi possono essere utili nel
reflusso gastro-esofageo resistente alla
terapia farmacologica (10). Nell’alimentazione a boli la somministrazione troppo rapida comporta il rischio
di causare rigonfiamento dello stomaco, crampi dolorosi, nausea, diarrea e
aspirazione. La velocità di somministrazione va aggiustata in base alla tolleranza del paziente. L’alimentazione
continua può essere il solo modo di
alimentare pazienti con ritardato svuotamento gastrico e/o anomalie del
transito intestinale e va sempre adoperata nell’alimentazione digiunale.
cinesie, invece, possono avere richieste energetiche straordinariamente
elevate. Per la stima dei fabbisogni
energetici è raccomandato il calcolo
del valore del metabolismo basale
moltiplicato per l’indice di attività (tabella 1). Gli alimenti liquidi preparati in casa comportano un maggior
rischio di contaminazione batterica
ed il contenuto in nutrienti è difficile
da calcolare. Le formule polimeriche sono di solito ben tollerate, tuttavia l’alta densità può determinare
un più lento svuotamento dello stomaco. È stata osservata una riduzione del tempo di svuotamento dello
stomaco e una più bassa incidenza
di GER in bambini con grave deficit
neurologico alimentati con formule
a base di idrolizzato di lattoalbumina.
Tab. 1 Stima dei fabbisogni energetici
Metabolismo Basale
Età (anni)
(K cal/kg/d) Femmine
(K cal/kg/d) Maschi
1
56.4
57
2
54.3
53.65
3
53.0
53.60
4
51.0
50.80
5
50.9
48.43
6
47.4
46.72
7
44.7
44.80
8
42.0
41.5
9
39.1
40.30
10
37.1
38.3
11
35.2
36.6
12
32.0
35.1
13
30.0
33.4
14
27.0
30.9
15
26.0
29.5
16
25.5
28.4
17
24.8
27.6
18
24.5
27
19
24.3
26.5
20
24.2
26.4
Calcolo dei fabbisogni energetici giornalieri
MB x 1.2
Paziente confinato a letto
MB x 1.5
Paziente sedentario
MB x 1.7
Normale attività
MB x 2.0
Atleta
A. Tedeschi. L’handicap neurologico in A. Rubino ed. Gastroenterologia Pediatrica.
Pisa: Pacini Editore, 2008
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Volume II - n. 4 dicembre 2010
Pediatric Nutrition Outside Box
a cura di
Graziano Barera
Aspetti
nutrizionali del bambino con cerebropatia
Testatina apertura
rubrica
Antonino Tedeschi
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Key Points
¬¦ Un'anamnesi accurata dei vari aspetti legati all'alimentazione è indispensabile per inquadrare bene
ogni singolo caso
¬¦ È importante condurre un'osservazione attenta delle modalità con cui avviene il pasto e delle reazioni
fisiche e comportamentali del bambino
¬¦ La posizione della testa e del collo durante il pasto è sempre un punto critico
¬¦ Il corretto posizionamento del capo e del collo e la consistenza del pasto adeguata alle capacità
di masticazione e deglutizione del bambino sono valide strategie compensatorie
¬¦ Nei soggetti con grave cerebropatia l'alimentazione enterale si rende necessaria e ne può migliorare
la qualità di vita
13
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Training and Educational Corner
a cura di
Markers dell’insufficienza pancreatica:
il punto della situazione
all’inizio di un nuovo decennio
Barbara Bizzarri
Francesca Vincenzi
I test di funzione pancreatica vengono utilizzati per definire
principalmente la capacità da parte del pancreas di produrre
enzimi digestivi ed elettroliti e di svolgere quindi correttamente
il suo lavoro nel processo di assorbimento intestinale dei nutrienti.
Marco Cipolli
Centro Fibrosi Cistica, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona
La pancreatite cronica e la fibrosi cistica
sono le più comuni malattie caratterizzate da una insufficienza pancreatica
e che, in presenza di una riduzione al
di sotto del 5% della funzione della
ghiandola, sono caratterizzate da una
steatorrea (1).
Vi sono a disposizione molti test per
definire una diagnosi di insufficienza
pancreatica ma possono venir utilizzati
anche per determinare la severità della
patologia considerata, questo in particolare nel caso di una pancreatite cronica.
Abbiamo a disposizione test in grado
di documentare l’insufficienza esocrina
della ghiandola e test in grado anche di
quantificare l’entità di questa diminuita
capacità secretoria. Nel primo caso i test
risultano patologici in presenza di uno
stadio avanzato di malattia ad esempio
della pancreatite cronica, nel secondo
caso invece i test sono in grado di definire il danno pancreatico ad un livello più
precoce di coinvolgimento rispetto ai
test precedenti. Tuttavia questo vantaggio di sensibilità viene in parte limitato
dal fatto che i test che misurano la capacità secretoria del pancreas vengono effettuati solo in pochi centri specialistici.
Di seguito cercheremo di descrivere
i molteplici test a disposizione, il loro
razionale d’uso, l’accuratezza, i costi e
la loro utilità clinica.
I test di funzione pancreatica sono basati
sulla capacità di misurare direttamente
la secrezione pancreatica (bicarbonati
e/o enzimi digestivi) o di misurare gli
effetti secondari risultanti dal deficit di
produzione degli enzimi digestivi.
I test di misurazione della funzionalità
pancreatica esocrina vengono definiti
come diretti o indiretti. Possiamo considerare i test diretti come quelli che vanno a misurare la concentrazione (livelli)
degli enzimi pancreatici nel siero o nelle
feci e come test indiretti quelli che determinano la funzione pancreatica at-
14
traverso la misura di effetti determinati
da una secrezione inadeguata di enzimi
digestivi o di bicarbonato (1-4).
In tabella 1 sono elencati i principali test
diretti ed indiretti di funzione pancreatica.
Tab. 1 Test di funzionalità pancreatica
Diretti
Invasivi
Test con secretina
Test secretina-colecistochinina
Test secretina-ceruleina
Test secretina-bombesina
Lundh test
Non-invasivi (tubeless)
Tripsina sierica
Chimotripsina fecale
Elastasi-1 fecale
Indiretti (tubeless)
Pancreolauril test
Test alla bentiromide
Test di Schilling
Misurazione quantitativa
dell’escrezione dei grassi fecali
Breath test con trigliceridi
Test diretti di funzione
pancreatica
Test diretti di stimolazione pancreatica
Questi test sono considerati i “gold
standard” nella misurazione della funzionalità pancreatica. Sono dei test di
tipo invasivo e si basano sulla capacità
di raccogliere e misurare le secrezioni
pancreatiche e quindi di determinare
la capacità secretoria della ghiandola.
Per l’esecuzione è necessario stimolare
l’attività pancreatica con l’infusione di
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secretina (stimolazione dei bicarbonati) e colecistochinina o uno dei suoi
analoghi (stimolazione enzimatica),
posizionare una sonda in duodeno
e mantenerlo in aspirazione per raccogliere il secreto. Questo tipo di test
ha subito nel tempo numerosi adattamenti, si è tentata una standardizzazione ma spesso ogni centro utilizza un
proprio protocollo. Non è poi secondaria la metodica per la raccolta e la misurazione del succo pancreatico e dei
bicarbonati. I due problemi maggiori
da considerare sono la possibile contaminazione dell’aspirato duodenale da
parte dei succhi gastrici e la perdita di
secreto duodenale in digiuno o nello
stomaco, per reflusso. Nel primo caso
una sonda posizionata nello stomaco,
in grado di aspirare il contenuto gastrico, riduce il rischio di contaminazione
dell’aspirato duodenale. Nel secondo
caso si sono esplorate alcune possibilità, la più utilizzata è quella di infondere
un marker non assorbibile in duodeno
per misurare l’adeguatezza della raccolta di succo nel duodeno steso. Un
recupero ≥ 85% del marker infuso viene considerato come una raccolta soddisfacente rassicurando quindi che la
perdita eventuale di succo duodenale
è minima. La discussione poi è rimasta
sempre aperta se la misurazione di tre
o più enzimi (tripsina, amilasi, lipasi)
fornisce più informazioni rispetto alla
misurazione di un solo enzima (generalmente la tripsina).
A questo punto occorre prendere in
considerazione i possibili potenziali
vantaggi di questo tipo di esame. Alcuni lavori mostrano come questo tipo di
test sia in grado di identificare pazienti
con pancreatite cronica che hanno un
danno funzionale di stimolo secretorio
ma non ancora un danno strutturale
evidenziabile ad una colangiopancreatografia retrograda (ERCP). Tuttavia si è
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a cura di
Barbara Bizzarri e Francesca Vincenzi
Markers dell’insufficienza pancreatica: il punto della situazione all’inizio di un nuovo decennio
Marco Cipolli
anche visto in alcuni casi esattamente
il contrario, anche se poi solo in una
bassa percentuale si è sviluppata nel
tempo una pancreatite cronica. I test di
funzione pancreatica appaiono essere
più sensibili della ultrasonografia nella
diagnosi di pancreatite cronica.
Nonostante il test da stimolo pancreatico sia particolarmente sensibile per valutare la funzione pancreatica, presenta
sicuramente numerose limitazioni:
1
2
3
4
5
non esiste una standardizzazione comune
del test che renda confrontabili i risultati
dei vari centri che eseguono questo esame;
il test è eseguito solo in un numero limitato
di centri di riferimento;
esistono delle difficoltà nell’approvvigionamento
della secretina di origine porcina necessaria
per il test;
il test è invasivo e generalmente mal tollerato
dai pazienti, in particolare se di età pediatrica;
possibili falsi positivi, ad esempio in presenza
di diabete, celiachia, cirrosi.
Test di Lundh
Anche questo test prevede l’intubazione del duodeno, seguita da 300 ml di
pasto standardizzato contenente il 6%
di grassi, il 5% di proteine ed il 15%
di carboidrati. Viene successivamente
aspirato il contenuto duodenale; la tripsina è l’enzima più utile da misurare in
quanto meno sensibile ai cambiamenti
di pH ma è comunque raccomandabile
la misurazione di almeno due enzimi. La
sensibilità del test è inferiore a quello del
test con secretina, inoltre il test dipende
dal rilascio endogeno di CCK e secretina
e può quindi essere inaffidabile in pazienti con alterazioni della mucosa intestinale (ad esempio nei celiaci).
Test non invasivi (tubeless)
Tripsinogeno sierico
Il pancreas è l’unico organo che produce
questo enzima, quindi livelli bassi possono indicare o una riduzione del contenuto tissutale o della secrezione duttale
o entrambe le cose. I limiti di questo
test sono legati ad una estrema oscillazione nel siero della immunoreattività
tripsino-simile. Il test è poi estremamente inaffidabile nei pazienti senza steatorrea. Tuttavia delle misurazioni ripetute
potrebbero essere utili per evidenziare
un calo dei livelli sierici ad indicare una
progressione di una pancreatite cronica.
Da ricordare che valori bassi di tripsina si
ritrovano anche nei tumori del pancreas.
Chimotripsina fecale
Per molti anni questo è stato il test di
riferimento per la funzione pancreatica.
15
Un basso valore di chimotripsina fecale
può quindi essere un indice di insufficienza pancreatica. Per quanto riguarda
la sensibilità, la maggior parte degli studi mostra valori tra il 70 e il 90% circa,
la specificità oscilla tra il 50 e il 90%.
Si è visto che i valori di chimotripsina
fecale possono essere legati ad un pH
basso, quindi utile sarebbe una determinazione di un pH fecale in presenza
di valori bassi dell’enzima nelle feci. Il
test risulta al di sotto della normalità
nei pazienti con steatorrea pancreatica e mostra una correlazione negativa
significativa con l’escrezione dei grassi
fecali. La determinazione della chimotripsina fecale è un test affidabile in
presenza di una compromissione funzionale pancreatica avanzata ma non è
affidabile nelle fasi precoci di compromissione della ghiandola.
Questo test presenta alcuni indubbi
vantaggi rispetto alla misurazione di
altre proteasi nelle feci:
1
2
3
4
è un test semplice e poco costoso;
usa una misurazione automatica;
il campione è stabile per parecchi giorni
a temperatura ambiente e può essere
spedito a centri diagnostici;
per i pazienti con insufficienza pancreatica
e supplementazione terapeutica enzimatica
il test può indicare se la terapia è adeguata
o meno documentando i livelli esogeni
di chimotripsina (5).
Da ricordare che questo test viene utilizzato in Europa ma non è disponibile
negli Stati Uniti.
Elastasi-1 fecale
È una proteasi specifica pancreatica
umana e che subisce solo una minima degradazione durante il transito
intestinale ed è all’incirca sei volte più
concentrata nelle feci rispetto al succo
duodenale. Vi è poi una buona correlazione tra i livelli di elastasi-1 fecale e i
livelli di amilasi, lipasi e tripsina nel succo duodenale sia in soggetti sani che in
soggetti con pancreatite cronica.
Sono stati pubblicati numerosi studi di
comparazione tra l’elastasi-1 fecale e la
chimotripsina fecale come indicatori di
compromissione pancreatica. La sensibilità dell’elastasi nelle forme “mild” di
pancreatite cronica è tra 0-65%, in quelle
tra il moderato e il severo risulta essere
tra il 33 e il 100%. La specificità varia tra il
29 ed il 95%. Importante ricordare come
una steatorrea di origine non-pancreatica
può mostrare una concentrazione artificialmente più bassa molto probabilmente dovuti ad una diluizione per la diarrea.
SIGENP NEWS
A questo punto risulta importante capire gli eventuali vantaggi e/o svantaggi di
questo test rispetto alla determinazione
della chimotripsina fecale. Purtroppo vi
sono sia studi che evidenziano una miglior sensibilità dell’elastasi nel determinare una insufficienza pancreatica moderato-severa, sia studi che non hanno
messo in evidenza questa superiorità
dell’elastasi rispetto alla chimotripsina. Gli svantaggi della determinazione
dell’elastasi-1 fecale rispetto alla chimotripsina fecale sono il costo più elevato
e l’incapacità di valutare la risposta alla
terapia enzimatica supplementare.
Entrambi i test sono affidabili nel determinare una condizione severa di insufficienza pancreatica, ma poco accurati
per evidenziarne una forma precoce.
Test indiretti
di funzione pancreatica
Il principio su cui si basano questi test
è il misurare gli effetti degli enzimi pancreatici nell’intestino. Questo include
la misura di parti di cibi indigeriti nelle
feci (grassi) o di prodotti di digestione
degli enzimi pancreatici nel sangue o
nelle urine. Quindi questi test risultano
positivi solo quando si è sviluppata una
maldigestione, pertanto sono precisi in
presenza di uno stato avanzato di compromissione, e poco sensibili nelle fasi
precoci di coinvolgimento pancreatico.
Grassi fecali
La misurazione dei grassi fecali è il modo più semplice di valutare l’azione degli enzimi pancreatici. Occorre sempre
ricordare che si ha una maldigestione
dei grassi solo quando si arriva ad una
perdita di capacità secretoria di lipasi
pancreatica ≥ 90%.
La raccolta delle feci delle 72 ore mentre il paziente assume una dieta con
100 g/giorno di grassi è il test che meglio evidenzia la maldigestione dei grassi. Una perdita ≥ di 7 gr/giorno di grassi
con le feci è da considerarsi patologico.
L’analisi quantitativa dei grassi fecali non
è né specifica né sensibile per determinare la funzione pancreatica esocrina.
In ogni caso questo test è di difficile
esecuzione al di fuori di centri specializzati e non è un test particolarmente
popolare tra i tecnici di laboratorio.
Test alla Bentiromide
La bentiromide è un peptide sintetico
legato all’acido paraminobenzoico (PABA), che viene scisso selettivamente
dalla chimotripsina.Questo test consi-
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Barbara Bizzarri e Francesca Vincenzi
Markers dell’insufficienza pancreatica: il punto della situazione all’inizio di un nuovo decennio
Marco Cipolli
ste nella raccolta di urine o di siero
1 ora dopo l’ingestione orale di bentiromide e nel dosaggio del PABA. La
sensibilità è probabilmente massima
con un periodo di raccolta di 6 ore. Il
riscontro nelle urine di meno di 50%
della dose orale suggerisce fortemente una malattia pancreatica. La maggior parte degli studi mostra una sensibilità del 60-90% ed una specificità
del 60-100%, tuttavia questi valori
dipendono dalla gravità della malattia
al momento del test. Anche questo
test non è molto affidabile in una fase
iniziale di pancreatite cronica.
Pancreolauril test
Il principio che sottende a questo test è
il medesimo del test alla bentiromide.
Si somministra fluorescina dilaureato insieme ad una colazione standardizzata.
Una colesterolesteridrolasi specifica del
pancreas agisce su questo composto
per rilasciare fluorescina idro-solubile,
che viene assorbita dall’intestino, coniugata nel fegato ed escreta nelle urine. Le
urine devono essere raccolte per10 ore
e su questo campione viene misurata la
fluorescina libera. La specificità e sensibilità è simile al test alla bentiromide.
Test di Schilling
Un malassorbimento della vitamina B12 è
stato osservato in un 30-50% di soggetti
adulti con insufficienza pancreatica esocrina. Questo è determinato dal fatto che
la proteina R salivare, che ha maggiore
affinità per la cobalamina rispetto al fattore intrinseco (FI), in presenza di un deficit
delle proteasi esocrine del pancreas non
può essere scissa. Per il test di Schilling
con doppio isotopo, vengono somministrati 57CO-Cobalamina-FI; 58Cocobalamina-proteina R. L’insufficienza
pancreatica dovrebbe essere indicata
da un basso rapporto 58CO/57CO in
circolo e nelle urine.
La sensibilità di questo test è controversa e al momento il suo utilizzo è estremamente limitato.
Breath test con trigliceridi
Il breath test viene utilizzato in molte patologie gastrointestinali. Sono stati messi
a punto diversi test con trigliceridi marcati con il carbonio per misurare la digestione intraluminale dei grassi da parte
delle lipasi pancreatiche. L’esalazione di
14CO2 viene misurata dopo l’ingestione
di 14C-trigliceridi che vengono generalmente dati con una colazione standard.
Sono stati messi a punto test con diffe-
16
renti substrati (acido trioctanoico, tripalmitico, triolenico, etc). Sembrerebbero
avere una buona sensibilità e specificità
nell’insufficienza pancreatica severa, ma
scarsa nelle forme mild.
Occorre poi ricordare come il metabolismo dei trigliceridi a CO2 dipende non
solo dall’idrolisi da parte delle esterasi
pancreatiche ma anche dall’assorbimento intestinale, dal metabolismo
epatico e dalla ventilazione. Quindi,
malattie del piccolo intestino, del fegato e del polmone possono interferire
con l’accuratezza dei breath test e al
momento attuale non trovano molto
spazio nell’uso clinico.
Risonanza magnetica
e valutazione pancreatica
Un capitolo a parte merita in questo
momento l’utilizzo della risonanza magnetica nucleare (MRI), della colangiopancreatografia (MRCP) e della MRCP
con stimolo secretinico (sMRCP) per
determinare il danno pancreatico. In
particolare la sMRCP, scarsamente invasiva e sufficientemente sicura, è in
grado di fornire sia risposte sul danno
parenchimale sia sull’impegno funzionale della ghiandola. Lo stimolo secretinico aumenta il flusso ed il volume del
dotto pancreatico e la sMRCP può fornire una stima della funzione esocrina
pancreatica attraverso la valutazione del
grado di riempimento duodenale (6).
Un problema è sicuramente il fatto che
questa tecnica misura il volume del flusso pancreatico e non la concentrazione
di bicarbonato. Quindi, alterazioni di tipo
ostruttivo o uno spasmo dello sfintere
di Oddi potrebbero fornire un risultato
positivo in assenza di una reale pancreatite cronica. È poi da considerare il tempo durante il quale vengono acquisite
le immagini, generalmente 30’, e che
potrebbe essere insufficiente durante la
stimolazione con secretina e che quindi
potrebbe ridurre la sensibilità del test.
Funzione pancreatica
ed uso clinico dei test
Sono quindi molti i test a disposizione
dei clinici per valutare la funzione pancreatica. Molti di questi potrebbero essere utilizzati non solo per la diagnosi
di insufficienza pancreatica, ma anche
per definire il grado di severità dell’insufficienza pancreatica o per seguire
nel tempo i pazienti nel determinare
ad esempio la progressione di una
pancreatite cronica. Tuttavia il maggior
uso che viene fatto dai clinici è per
eseguire una diagnosi (7). Non dobbiamo dimenticare che una diagnosi di
una patologia pancreatica può essere
eseguita anche con l’utilizzo di test di
immagine, quali ad esempio la ecografia addominale, la tomografia assiale
computerizzata, la risonanza magnetica, l’endoscopia ultrasonografica e
la ERCP. La scelta del test o dei test
dovrebbe essere fatta considerando
la situazione clinica che si ha di fronte,
nel senso del grado di severità della situazione pancreatica e quindi del test
più utile da utilizzare. Tuttavia la scelta
del test non dovrebbe solo basarsi sulla sensibilità e specificità del test ma
anche sulla disponibilità, sul costo e sul
rischio del test stesso.
Un approccio ragionevole (figura 1)
in grado di evidenziare un impegno
Fig. 1 Algoritmo diagnostico per insufficienza pancreatica/pancreatite cronica
Sospetto di insufficienza pancreatica/pancreatite cronica
- Tripstina sierica,
o chimotripsina fecale,
o elastasi fecale
Negativo
- Ecografia addominale
(da considerare)
- Test alla secretina (o altri
test di funzione pancreatica
se disponibili)
- TAC con protocollo per il
pancreas
- sMRCP
Positivo
Negativo
Positivo
Stop
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Considerare altre diagnosi
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Training and Educational Corner
a cura di
Barbara Bizzarri e Francesca Vincenzi
Markers dell’insufficienza pancreatica: il punto della situazione all’inizio di un nuovo decennio
Marco Cipolli
avanzato della funzione pancreatica
può essere quello di eseguire una
valutazione della tripsina sierica, della
chimotripsina fecale (o dell’elastasi-1
fecale) ed una ecografia addominale.
Questa è una valutazione poco costosa
e priva di rischi per il paziente e se i test
risultano patologici la diagnosi è sicura. Se i test non risultassero patologici
occorre procedere con test diretti di
funzione pancreatica. In assenza della
disponibilità di questi test, una possibilità è quella di eseguire una TAC ad
alta definizione secondo un protocollo
specifico per il pancreas, oppure una
RMI o una sMRCP. Solo successivamente si potrebbero prendere in considerazione test più costosi e rischiosi
(ecografia endoscopica, ERCP).
In conclusione, in presenza di una
compromissione avanzata della funzione pancreatica (pancreatite cronica in stadio avanzato, fibrosi cistica),
praticamente tutti i test di funzione pancreatica sono accurati, così
come la diagnostica per immagini
risulta in grado di definire una situazione di malattia avanzata. Nelle forme più sfumate di compromissione
pancreatica, la diagnosi può essere
sicuramente più complicata e i test
17
di funzione pancreatica con stimolo
ormonale sono quelli che hanno una
più alta possibilità di fornire una risposta adeguata. Purtroppo, come già
accennato, questi test sono effettuati
solo in pochi centri e quindi in genere
poco disponibili alla maggior parte dei
clinici. Appare quindi necessario promuovere l’impegno che ci permetta di
sviluppare un test sensibile, semplice
e di facile disponibilità per la definizione della funzione pancreatica e che ci
permetta di seguire questa condizione in
tutti i gradi della sua severità.
<<<<Bibliografia >>>>
1. Goldberg DM, Durie PR. Biochemical tests in
the diagnosis of chronic pancreatitis and in
the evaluation of pancreatic insufficiency. Clin
Biochem 1993;26:253-275.
2. Lankisch PG, Schmidt I, Konig H, et al. Faecal elastase
1: not helpful in diagnosing chronic pancreatitis
associated with mild to moderate exocrine pancreatic
insufficiency. Gut 1998;42:551-554.
3. Dominici R, Franzini C. Fecal Elastase-1 as a test
for pancreatic function: a review. Clin Chem Lab
Med 2002;40:325-332.
4. Chowdhury RS, Forsmark CE. Review article:
panceatic function testing. Aliment Pharmacol
Ther 2003;17:733-750.
5. Littlewood JM, Wolfe SP, Conway SP. Diagnosis
and treatment of intestinal malabsorption in cystic
fibrosis. Pediatric Pulmonology 2006;41:35-49.
SIGENP NEWS
6. Balci C. MRI assessment of chronic pancreatitis. Diagn
Interv Radiol published online 14 October 2010.
7. Lieb II JG, Draganov PV. Pancreatic function
testing: here to stay for the 21st century. World J
Gastroenterol 2008;14:3149-3158.
KeyPoints
¬¦ i test per definire l'insufficienza
pancreatica e la pancreatite cronica
possono venir usati sia per la diagnosi
che per il follow-up.
¬¦ la diagnosi di insufficienza
pancreatica e pancreatite cronica
può richiedere l'interpretazione
clinica di più esami (sia di laboratorio
che strumentali).
¬¦ i test diretti non invasivi
(chimotripsina fecale, elastasi-1
fecale) non sono molto sensibili
per evidenziare un coinvolgimento
precoce della funzione pancreatica.
¬¦ spesso vi è necessità di rivolgersi
a centri specialistici
per una valutazione approfondita
del quadro funzionale pancreatico.
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Gastroenterology
Clinical
Research
Asking
Questions in Immunologia,
Microbiologia
e Genetica
a cura di
La patologia anorettale nelle IBD:
nuovi orizzonti della chirurgia
Silvia Salvatore
Maurizio Coscia, Lorenzo Gentilini, Mariangela Podda, Silvio Laureti e Gilberto Poggioli
Unità di Chirurgia Generale, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna
Ha un’incidenza elevata nei pazienti affetti da Malattia di Crohn
ed in molti casi si assiste a quadri clinici complessi e altamente
invalidanti. L'approccio chirurgico è radicalmente modificato e,
con il supporto della terapia con immunomodulatori, è aumentata
la percentuale di remissione.
La complicanza perianale nella Malattia
di Crohn (MC) pediatrica rappresenta
una condizione frequente, spesso
manifestazione d’esordio ma con una
variabile incidenza in relazione al tipo di
lesione (8-15% per fistole ed ascessi,
49% per fissurazioni e ragadi).
Nell’ambito della storia naturale
della malattia, un fenotipo ad esordio
tipicamente infiammatorio secondo i
dati provenienti dall’Olmstead County
(Schwarz et al, Gastroenterology 2000)
sviluppa fistole nel 12% dei casi ad 1
anno e nel 20% dei casi a 2 anni. Nel
bambino, il coinvolgimento rettale ed il
rischio di stenosi appare più elevato con
indicazione ad un aggressivo approccio
terapeutico anche se appare limitata
l’evidenza di efficacia di steroidi,
immunosoppressori e biologici.
I corticosteroidi sistemici aumentano
il rischio di sepsi, gli antibiotici hanno
una efficacia immediata ma limitata
nel mantenimento della remissione
e non vi sono trials riguardo l’utilizzo
dei salicilati. gli immunomodulatori
appaiono utili nel mantenimento della
remissione dopo bonifica chirurgica in
caso di fistola . Un approccio integrato
medico-chirurgico per le lesioni
complesse (fistole ed ascessi) anche in
età pediatrica sembra migliorare
la prognosi nel breve e lungo termine
dopo avere definito con certezza la
tipologia e l’estensione delle lesioni
(entero-RMN ed ecografia trans anale)
ed il fenotipo di malattia (stenosante,
fistolizzante). Ospitiamo in questo
numero il contributo di Gilberto Poggioli
e del suo Gruppo da sempre impegnati
nella chirurgia delle IBD con particolare
riferimento al trattamento della malattia
perianale complessa.
Claudio Romano
18
INTRODUZIONE
L’incidenza delle patologie anorettali
benigne nella popolazione generale è
di circa 10 casi su 100.000 individui
per anno. Tale incidenza aumenta notevolmente in presenza di una malattia
infiammatoria cronica intestinale come
la malattia di Crohn.
Lesioni anali e perianali complicano la
malattia di Crohn con una prevalenza
variabile compresa fra il 13-38% dei
pazienti; nell’ambito della localizzazione paranale sono comprese lesioni
come marische cutanee, ragadi, ulcere del canale anale, emorroidi, stenosi
anali, fistole paranali, ascessi perianali e
fistole retto-vaginali (tabella 1).
mento è diverso ed è spesso necessario l’approccio chirurgico.
La malattia paranale di Crohn frequentemente si presenta con quadri complessi e altamente invalidanti associandosi a
sintomatologia dolorosa, perdita di materiale purulento e fecale che peggiorano significativamente la qualità di vita di
pazienti nella maggior parte giovani.
L’incidenza media della fistole paranali
varia dal 17% nelle localizzazioni ileali
della malattia al 43% nelle localizzazioni coliche, con picchi che superano
il 95% nelle proctiti di Crohn. L’eziopatogenesi di questa espressione di
malattia non è ancora perfettamente
definita anche se si ritiene maggiormente imputato nello sviluppo
delle fistole l’approfondirsi di ulTab. 1 Malattia di Crohn a sede perianale
cere del retto o del canale anale
e relativa incidenza
responsabili del passaggio di
Patologia
Incidenza
materiale fecale nello spazio
marische cutanee
5%
perirettale con conseguente
formazione di ascessi.
ragadi
27%
Nei casi più gravi, la malattia paranaulcere del canale anale
2-5%
le assume un andamento, per così
emorroidi
1%
dire, "maligno" ed è stata giustenosi anali
2%
stamente definita "malignant
perianal Crohn's disease" da
fistole paranali
17-43%
Alexander-Williams (1).
ascessi perianali
29%
Rientrano nell’ambito della mafistole retto-vaginali
5%
lattia paranale “maligna” quei
pazienti con fistole alte e complesse, fistole retto-vaginali, forNella maggior parte di queste manime progressive, non responsive alla
festazioni viene consigliato un attegterapia medica e chirurgica, spesso non
giamento conservativo. Il trattamento
correlate allo stato di attività della malatchirurgico di marische cutanee (skin
tia intestinale e con ampia distruzione
tags), ragadi, ulcere ed emorroidi in
tissutale. Il rischio di evoluzione in tal
pazienti con IBD deve essere evitasenso della malattia è stimato in una
to se non fortemente sintomatico.
percentuale variabile fra il 3-7% dei paIl rischio è un peggioramento della
zienti con una storia di malattia di Crohn
malattia paranale con comparsa di
a localizzazione addominale di vecchia
ascessi e fistole.
data e fra lo 0-7% dei pazienti con interessamento paranale da molti anni.
Nella malattia fistolizzante l’atteggia-
SIGENP NEWS
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Testatina
Gastroenterology Clinical Research
a cura di
Silvia Salvatore
La patologia
anorettale nelle IBD: nuovi orizzonti della chirurgia
apertura
rubrica
Maurizio Coscia et al
Storicamente il ruolo della chirurgia,
oltre al miglioramento della qualità
della vita, è sempre stato quello di
evitare o almeno differire la proctectomia per i pazienti affetti da forme
maligne di malattia (2).
L’introduzione nell’ultimo decennio
dei farmaci biologici ha radicalmente
modificato l’algoritmo del trattamento di questa patologia. Attualmente,
infatti, dati sempre più convincenti in
letteratura dimostrano come grazie
ad un trattamento integrato medicochirurgico si sia potuti passare dal solo controllo della sepsi ad una vera e
propria prospettiva di guarigione.
TERAPIA CHIRURGICA
La fistulotomia, che rappresenta il trattamento di scelta per le fistole semplici idiopatiche, raramente è indicata in
pazienti con localizzazione perianale
di Crohn dato che nella maggior parte dei casi sono presenti fistole complesse o plurirecidivanti in cui essa
comporterebbe un rischio di danno
sfinteriale grave. In queste situazioni il
primo obiettivo della chirurgia è il controllo e la cura della sepsi.
Le raccolte ascessuali ed i tramiti fistolosi devono essere trattati mediante
un ampio drenaggio, anche se questo
comporta una consistente apertura degli spazi perianali procedendo ad una
fistulectomia. Tale manovra consiste
nell’escissione del tessuto circostante
la fistola, con partenza dalla cute circostante l’orifizio esterno ed il tessuto
adiposo che circonda il tramite, fino
all’emergenza del tramite dalla parete
del retto o del canale anale. La forma
di tale escissione deve essere conica
(cone-like technique), con ampia
base a livello della cute ed apice a livello dell’origine della fistola, allo scopo di
garantire una progressiva chiusura della
ferita chirurgica per seconda intenzione
dall’apice verso la base; in tale modo
si riduce significativamente il rischio di
chiusura precoce della porzione più
esterna della fistulectomia a cui conseguirebbe inevitabilmente la recidiva
ascessuale (figura 1).
Per fistole alte o complesse il tramite fistoloso residuo deve essere trattato con
il posizionamento di un setone di drenaggio, manovra che consente un’accurata identificazione del tragitto fistoloso per evitare di creare “false strade”.
Tale metodo ha la funzione non solo di
19
Fig. 1 Fistulectomia a cono
risolvere la sepsi ma anche di rendere
cronica la fistola in modo da eliminare,
nel limite del possibile, la formazione
di altri tragitti fistolosi. Questo tipo di
approccio chirurgico permette di ottenere la soluzione del problema acuto
della sepsi restituendo al paziente una
qualità di vita accettabile, vista la buona
tollerabilità di questi setoni, anche per
anni. Il setone è un drenaggio quindi
deve essere un “loose seton”, non va
messo in tensione (figura 2).
Fig. 2 Drenaggio paranale
con “Loose seton"
TERAPIA CHIRURGICA:
APPORTO DEI NUOVI FARMACI
L’introduzione delle terapie biologiche, primo fra tutti l’infliximab, ha radicalmente modificato l’approccio al
paziente affetto da malattia di Crohn
sia nelle sua espressione addominale sia nella gestione della localizzazione paranale.
L’infliximab, prima molecola biologica
impiegata nella malattia di Crohn, è
un anticorpo monoclonale chimerico
A2 che consiste nel 75% di IgG umane (nella regione costante) unite ad
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un 25% di origine murina (nella regione variabile) in grado di legarsi sia
al TNF libero sia a quello legato alle
membrane esercitando una potente
azione antiinfiammatoria.
Diversi studi clinici effettuati nell’ultimo decennio hanno evidenziato come la terapia con infliximab sia efficace nell’induzione e nel mantenimento
della remissione clinica, nella chiusura
delle fistole enterocutanee, perianali e
rettovaginali e nel mantenimento della chiusura di queste.
I primi impieghi dell’infliximab nel trattamento della malattia paranale di Crohn sono descritti dagli studi di Rutgeerts
(3) e di Present (4) nel 1999-2000. I
dati riportati da questi lavori evidenziano una percentuale di guarigione
del 50-55% in pazienti con malattia
paranale fistolizzante se trattati con
terapia biologica e.v. Da queste prime
esperienze è quindi emerso come
l’infliximab possa essere considerato
un potente strumento terapeutico,
ma che se usato non correttamente
può esporre il paziente al rischio di
complicanze settiche. Un’analisi critica dello studio di Present ha infatti
evidenziato come le fistole perianali
venivano considerate chiuse se, dopo
valutazione clinica mediante la semplice compressione dell’orifizio cutaneo esterno, non si verificava gemizio
di materiale purulento. Il persistere
in molti casi della pervietà dei tramiti
fistolosi e dell’orifizio interno sarebbe
alla base di complicanze ascessuali o
della ripresa della malattia peri-anale
al termine del trattamento.
Alla luce di questa considerazione è
quindi strettamente indicato organizzare uno stretto follow-up continuo
medico e chirurgico per tutti i pazienti
con malattia paranale fistolizzante e in
trattamento con infliximab sistemico
al fine di ridurre il rischio di complicanze ascessuali o di ripresa di malattia.
Diversi studi inoltre sottolineano come l’efficacia del trattamento sistemico con infliximab sia decisamente
migliore se associato alla bonifica
chirurgica (fistulectomia più posizionamento di setone di drenaggio) sia
in termini di effettiva chiusura del tramite fistoloso sia nel mantenimento
a lungo termine di tale risultato (5,6).
Una grossa limitazione all’uso di questo
farmaco è la presenza di stenosi serrate
a livello soprattutto ileale; vanno però
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Gastroenterology Clinical Research
a cura di
Silvia Salvatore
La patologia anorettale nelle IBD: nuovi orizzonti della chirurgia
Maurizio Coscia et al
esclusi tutti i pazienti che presentano
una stenosi severa a livello dell’ultima
ansa o una recidiva anastomotica.
Iniezione locale di infliximab
Un tentativo di by-passare l’impedimento determinato dalla stenosi è stato proposto da Lichtiger (7) del Mount
Sinai di New York attraverso l’infusione
locale di infliximab. Questa procedura, oltre a permettere di selezionare
pazienti altrimenti non candidabili al
trattamento, permette di impiegare
una più alta dose del farmaco a livello
del tramite fistoloso, riducendo inoltre
i costi per singolo paziente.
I pazienti ideali per questo trattamento
sono quindi tutti quei pazienti che, in
presenza di malattia paranale, presentano controindicazione all’infusione sistemica del farmaco, cioè stenosi addominali. Devono comunque essere
rispettati i criteri di esclusione comuni
al trattamento con farmaci biologici come la presenza di positività alla TBC o
markers virali positivi con viremia alta.
La procedura prevede l’infusione sottomucosa del farmaco all’interno del
canale anale attorno all’orifizio fistoloso
interno, al fine di evitare una chiusura
precoce dell’orifizio esterno che potrebbe causare una recidiva ascessuale.
Il nostro gruppo ha fortemente sviluppato questa idea con un protocollo di trattamento integrato che prevede l’iniezione locale di infliximab
dopo opportuna bonifica chirurgica.
Dopo aver ottenuto un buon controllo della sepsi, i pazienti vengono
sottoposti ad iniezione locale di infliximab. La procedura viene eseguita
in regime di day surgery con paziente in anestesia generale o spinale
e somministrazione di una dose di
farmaco compresa fra 15-20 mg per
paziente per seduta. Il protocollo prevede l’iniezione a zero settimane ed
infusioni successive ogni 4 settimane
fino alla risoluzione della clinica o al
riscontro di mancata risposta.
Globalmente sono stati trattati fino
ad oggi 81 pazienti di cui 77 per malattia di Crohn fistolizzante e 4 per
fistole associate ad anastomosi ileo
anale per rettocolite ulcerosa. La percentuale di successo complessivo, in
termini di chiusura dei tramiti fistolosi, è del 64.1% (53.2% terapia biologica isolata, 11.1% terapia biologica
associata a stomia derivativa) con
20
Fig. 3 Risultati dopo terapia con infliximab locale
Chiusura con IFX
Chiusura con IFX e stomia
In trattamento
Proctectomia
Rescue therapy
con adalimumab
Persi al follow-up
un mantenimento della guarigione,
ad un follow-up medio di 48 mesi,
nell’84% dei casi (8) (figura 3).
Iniezione locale di adalimumab
L’introduzione nella pratica medica di
nuove molecole biologiche per il trattamento della malattia di Crohn, come l’adalimumab (immunoglobulina
di classe IgG1 completamente umanizzata), ha arricchito ulteriormente
le possibilità terapeutiche della malattia paranale.
Sulla scia dei risultati incoraggianti
ottenuti con le iniezioni locali di infliximab infatti, presso il nostro gruppo
è iniziata una sperimentazione che ha
lo scopo di valutare l’efficacia di terapia con adalimumab locale. Questa
terapia, inizialmente proposta come
“rescue therapy” in pazienti non più
responsivi all’infliximab locale, è attualmente impiegata anche in pazienti
naive: essa ha dato risultati preliminari
soddisfacenti. I vantaggi dell'adalimumab possono essere ricercati nella
formulazione del farmaco che lo rende particolarmente funzionale ad un
trattamento locale e nell’assenza della componente murina che ne riduce l’immunogenicità e ne migliora la
tolleranza e l’efficacia. Pertanto risulta
essere una valida alternativa terapeutica per i pazienti non-responder o che
sono intolleranti all’infliximab.
Il protocollo terapeutico con adalimumab locale prevede l’iniezione di 40
mg di farmaco in regime ambulatoriale senza assistenza anestesiologica
con cadenza bisettimanale (figura 4).
I risultati preliminari della terapia locale
con adalimumab, su 29 pazienti trattati
(8 rescue therapy e 21 naive therapy)
hanno evidenziato una chiusura completa dei tramiti fistolosi nel 27% dei
casi dopo una media di 10 infusioni
con un 59% dei pazienti ancora in trattamento ad un follow-up relativamente
breve medio di 8 mesi (9) (figura 5).
TERAPIA CHIRURGICA:
OLTRE IL BIOLOGICO
L’associazione di terapia chirurgica e
biologica ha permesso di arrivare ad
una completa risoluzione del quadro
clinico in circa il 65% dei pazienti.
Tuttavia in oltre un terzo dei casi non
si ottiene una chiusura dei tramiti fistolosi; pertanto nuove procedure
terapeutiche devono essere prese in
Fig. 4 Iniezione sottomucosa di adalimumab
Fig. 5 Risultati dopo terapia con adalimumab locale
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Guariti con ADA
In trattamento
Fallimento terapeutico
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Gastroenterology Clinical Research
a cura di
Silvia Salvatore
La patologia anorettale nelle IBD: nuovi orizzonti della chirurgia
Maurizio Coscia et al
considerazione come: flap mucoso
endorettale, protesi biologiche, colle
di fibrina e l’iniezione di cellule staminali. Tutte queste metodiche possono
giovare di un preliminare trattamento
dei pazienti con farmaci biologici pur
in mancanza di una completa chiusura del tramite fistoloso. Con la terapia
biologica si ottiene infatti un controllo
della sepsi ed un netto miglioramento
della mucosa endorettale, condizioni
che favoriscono il successo delle metodiche successive.
Il flap di avanzamento endorettale è un trattamento storico particolarmente indicato per fistole transfinteriche che consiste nella trasposizione
di un lembo di mucosa e muscolatura
circolare del retto detto “flap” posto
a chiudere l’orifizio fistoloso interno
senza intervenire sull’apparato sfinteriale esterno e quindi senza provocare
difetti di continenza. Dati in letteratura dimostrano come questa tecnica
assicuri una percentuale di successo
compresa tra il 50 e 60% (10).
Nella nostra esperienza, dopo fallimento della terapia biologica, sono
stati sottoposti al confezionamento
di un flap endorettale 18 pazienti con
malattia paranale di Crohn o fistole
pouch-anali con un successo complessivo della procedura, in termini di
chiusura della fistola, nel 78% dei casi
(61% di successo al primo tentativo e
17% al tentativo successivo).
Per migliorare i risultati, in accordo
con quanto sostenuto da diversi Autori, riteniamo indicato accompagnare
o far precedere a questa procedura la
costruzione di una loop ileostomy,
condizione indispensabile per il miglioramento dei risultati.
Protesi biologiche. Il trapianto di
fibroblasti umani autologhi e lo xenotrapianto di sottomucosa intestinale porcina liofilizzata sono ulteriori opzioni terapeutiche indicate nelle fistole semplici.
Solo recentemente è stato introdotto
nel trattamento della malattia perianale
in pazienti affetti da Crohn l’uso dei biomateriali quali il Surgisis®.
Il Surgisis® è un biomateriale acellulare
per la riparazione tissutale attraverso una
matrice (ECM) simile ad una impalcatura tridimensionale e biodegradabile con
struttura e composizione del tutto naturali. Il prodotto, materiale non “cross-linked”, non dà allergie crociate, non viene
incapsulato dopo l’impianto chirurgico,
21
ma gradualmente rimodellato, ottenendo così tessuto neoformato dall’ospite
(o tessuto nativo). La matrice extracellulare (ECM) deriva dalla sottomucosa
di intestino di maiale (Small Intestinal
Submucosa). Il prodotto finale è una
matrice tridimensionale (ECM) formata
per il 90% da vari tipi di collagene, e per
il 10% da proteine non-collageniche ed
altre biomolecole che comprendono
glicosamminoglicani, proteoglicani, glicoproteine, elastina, laminina.
Al contrario dei trattamenti con biologici
locali, che richiedono più sedute terapeutiche per paziente, l’applicazione
del Surgisis® si propone l’obiettivo della
chiusura dei tramiti fistolosi più semplici
già dopo la prima applicazione del prodotto.
Il trattamento viene eseguito in regime
di day surgery e consiste nell’applicazione del biomateriale all’interno del tramite fistoloso (figura 6).
Il plug posizionato attraverso l’orifizio
esterno della fistola e quindi trascinato all’interno della stessa viene fissato
mediante punti riassorbibili alla sottomucosa e ricoperto sul versante rettale
da un flap mucoso. Una volta in sede il
biomateriale promuove un progressivo
Fig. 6 Applicazione di Surgisis®
rimodellamento tissutale favorendo la
crescita di tessuto nativo che garantisce
la chiusura del tramite fistoloso.
Studi preliminari condotti su questo preFig. 7 Risultati dopo applicazione di Surgisis®
SIGENP NEWS
sidio hanno evidenziato la sua sicurezza
ed efficacia.
Armstrong e collaboratori (11) hanno
riportato una casistica di 36 pazienti trattati con Surgisis® affetti da malattia paranale di Crohn riportando un 80% di
risultati terapeutici positivi al primo trattamento. Sempre dallo stesso autore è
stata sottolineata la superiorità terapeutica in termini di efficacia del Surgisis®
rispetto ad altri presidi biologici come
l’applicazione nel tramite fistoloso di
colla di fibrina.
La nostra esperienza di 14 pazienti, da
noi adottata dopo il fallimento della
terapia chirurgica associata a farmaco
biologico, ha dato risultati sovrapponibili
a quelli pubblicati in letteratura. Si è ottenuto una chiusura completa del tramite
nel 71% delle fistole a ferro di cavallo e
nel 100% delle fistole sovra sfinteriche.
Risultati decisamente peggiori si sono
ottenuti nel trattamento delle fistole
pouch-anali e retto-vaginali (figura 7).
Le colle di fibrina, introdotte in ambito
chirurgico come emostatici sugli organi
parenchimatosi, da molti anni vengono
impiegate nel trattamento delle fistole
perianali come terapia di risparmio dello sfintere.
I dati in letteratura sulla loro efficacia sono contrastanti con percentuali di successo riportate variabili dallo 0 al 100 %
dei casi. Recentemente si è assistito ad
un’evoluzione di tali presidi con lo sviluppo di colle biologiche.
L’azione di questi presidi è duplice: da
un lato creano un coagulo di fibrina che
sigilla il tramite fistoloso e dall’altro hanno azione chemio tattica con richiamo
e promozione della proliferazione fibroblastica lungo il tramite stesso.
Un’ulteriore evoluzione delle colle è
rappresentata dalle schiume biologiche dove alla colla viene associata una
matrice schiumosa espansibile capace
di organizzarsi in uno scaffold poroso
che rappresenta un ottimale supporto
per la rigenerazione cellulare del tessuto.
La nostra
esperienza
in tale ambito è prevaFistola ferro di cavallo
lentemente
Fistola sovrasfinterica
orientata
Fistola retto-vaginale
Fistola pouch-vaginale
ad un’associazione tra
colle/schiume biologi-
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Gastroenterology Clinical Research
a cura di
Silvia Salvatore
La patologia
anorettale nelle IBD:
nuovi orizzonti della chirurgia
Asking Questions in Immunologia,
Microbiologia
e Genetica
Maurizio Coscia et al
che e confezionamento di flap di avanzamento endorettale. Infatti i risultati
preliminari su un numero ristretto di
pazienti mostrano una percentuale di
successo dell’80%.
LA MALATTIA PARANALE:
RISCHIO DI CANCERIZZAZIONE?
La modificazione dell’algoritmo terapeutico fin qui descritta ha portato ad
un netto miglioramento della gestione
dei malati affetti da localizzazione paranale di Crohn. Se da un lato ciò ha
nettamente migliorato la qualità di vita
dei pazienti e ridotto significativamente la necessità di stomia e/o proctectomia per molti pazienti, dall’altro ha
portato alla cronicizzazione di situazioni anche clinicamente complesse.
Diversi studi in letteratura riportano la
possibilità, in pazienti con malattia paranale di vecchia data di una seppur
rara degenerazione neoplastica.
Dati ottenuti da una revisione della
letteratura eseguita da Thomas e
pubblicata nel 2009 su Gastrointestinal Surgery, hanno evidenziato una
maggior incidenza di sviluppo di neoplasie su malattia paranale di Crohn,
prevalentemente adenocarcinomi, nel
sesso femminile e in pazienti con oltre 20 anni di malattia (12).
Alla luce di queste considerazione va
quindi indagato il ruolo che può assumere il prolungarsi delle terapie nello
sviluppo di neoplasie e l’eventuale
influenza della terapia biologica nella
cancerogenesi.
Dalla nostra personale casistica, su
oltre 220 pazienti trattati con chirurgia associata a biologici sistemici
o locali per la malattia paranale, è
emerso una rilevante associazione
fra prolungamento della cure, terapia
22
Fig. 8 Adenocarcinoma mucinoso insorto su malattia paranale
biologica e sviluppo di adenocarcinomi di tipo mucinoso, con un’incidenza bassa seppur non irrilevante
dell’1,8% (figura 8).
Da ciò emerge la necessità di uno stretto follow-up medico-chiururgico con
esecuzione di macro biopsie lungo i
tramiti fistolosi cronici da attuare in tutti
i casi di malattia paranale fistolizzante in
assenza di recidive ascessuali.
<<<<Bibliografia >>>>>
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Crohn’s disease. World J Surg 1980;4:203-8.
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SIGENP NEWS
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J Gastrointest Surg 2010 Jan;14(1):66-73.
Key Words
¬¦ malattia paranale fistolizzante
¬¦ fistulectomia a cono
¬¦ farmaci biologici
¬¦ flap endoanali
¬¦ protesi e colle biologiche
Volume II - n. 4 dicembre 2010
News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
a cura di
Graziano Barera
Esomeprazolo: approfondimento
farmacologico e clinico
L’esomeprazolo è un farmaco che svolge un’azione
antisecrezione acida mediante il suo effetto inibitore della
pompa protonica a livello delle cellule parietali gastriche
Valentina Mancini e Costantino De Giacomo
S.C. Pediatria, Dipartimento Materno Infantile, A.O. Ospedale Niguarda Cà Granda di Milano
PROFILO FARMACOLOGICO
Farmacocinetica
e Farmacodinamica
L’esomeprazolo è l’isomero S (5-metossi-2-[(4-metossi-3,5-dimetil-2-piridinil) metil]sulfinil]-1H-benzimidazolo
dell’omeprazolo (IPP) (figura 1).
Fig. 1 Formula dell’esomeprazolo
II metabolismo dell’omeprazolo ha la
caratteristica di essere stereo selettivo
per cui dopo la somministrazione di
una stessa dose di farmaco, l’isomero
S (la cui conformazione rimane stabile nel tempo), è metabolizzato in
quantità minore rispetto all’isomero
R, raggiungendo una concentrazione
plasmatica maggiore. L’area sotto la
curva di concentrazione plasmatica
(AUC) è il parametro che più di ogni
altro risulta strettamente correlato al
tempo di ph>4 nelle 24 ore e quindi
all’effetto di soppressione acida. Studi
condotti su adulti sani hanno dimostrato che somministrazioni ripetute
di esomeprazolo 20mg e 40mg determinano un incremento progressivo
della AUC del 90% e 159%, con una
riduzione della clearance totale del
29% e 46% e con un incremento
della biodisponibilità al 5° giorno di
somministrazione dal 50% al 68% e
all’89% rispettivamente (1).
Studi successivi condotti su adolescenti
(12-17 anni) hanno mostrato un profi-
23
lo di farmacocinetica dell’esomeprazolo simile a quello degli adulti (2).
Nel bambino tra 6 e 11 anni di età la
Cmax è risultata di 1.77 o 3.73 µmol/L
a 1.79 e 1.75 ore dopo 10 o 20mg/
die per 5 giorni di esomeprazolo, con
valori di AUC∞ di 3.70 e 6.28 µmol ·
h/L, mentre in bambini tra 1 e 5 anni la Cmax è risultata di 0.62 e 2.98
µmol/L a 1.33 o 1.44 ore dopo 5mg
o 10mg/die di esomeprazolo e una
AUC∞ di 0.74 e 4.83 µmol · h/L (3).
Nel bambino di età tra 1 e 24 mesi
studi di farmacodinamica hanno evidenziato che l’esomeprazolo 0,25
mg/kg/die e 1mg/kg/die determinava, dopo 7 giorni di trattamento,
un aumento del tempo di ph>4 nelle 24 ore (da 7.3 a 11.5 e da 6.9
a 16.6) con una differenza tra i due
gruppi statisticamente significativa
(P<0.001 vs valore basale) che si
traduceva in una ridotta esposizione
acida dell’esofago (da 2.8 a 1.3 ore e
da 3.0 a 2 ore, P <0.001 e P< 0.05
rispettivamente). Come negli altri
studi i risultati esprimevano un effetto
dose dipendente, con una importante
variabilità della AUC nei bambini di età
inferiore ai 12 mesi. Quest’ultimo dato
veniva attribuito dagli autori alla diversa
maturazione degli enzimi del citocromo P450 nel corso della crescita (4).
Tutte queste caratteristiche sarebbero
legate ad una combinazione di ridotta
eliminazione al passaggio intraepatico
e di ridotta clearance sistemica (1).
Infine, nei neonati a termine e pretermine l’esposizione sistemica ad esomeprazolo alla dose di 0.5mg/kg/die
ha mostrato una AUCτ di 2.45 µmol
· h/L e una Cmax di 0.74 µmol/L con
valori, proporzionali alla dose, più
elevati rispetto a quelli riscontrati nei
bambini più grandi (1-24 mesi) con
dosi di 0.25 e 1mg/kg (AUCτ 0.65
e 3.51 µmol · h/L). Anche in questo caso i dati sarebbero da correlare
all’immaturità enzimatica (5).
È evidente quindi come la biodisponi-
Fig. 2 Rappresentazione schematica dell'asse cellula Enterocromaffine-gastrina-cellula
parietale e della secrezione acida dello stomaco e i siti di azione degli H2RA e dei PPI
SIGENP NE WS
Volume II - n. 4 dicembre 2010
News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
a cura di
Graziano Barera
Esomeprazolo: approfondimento farmacologico e clinico
Valentina Mancini et al
bilità, la clearance sistemica e l’efficacia
dell’esomeprazolo sembrano essere sia
dose-dipendente che età-dipendente.
Meccanismo d’azione
Come tutti gli IPP, l’esomeprazolo
è un pro farmaco che deve essere
convertito all’interno delle cellule
parietali gastriche in molecola attiva
(achiral sulfenamide). Quest’ultima agisce inibendo la H+, K+ ATPasi
(pompa protonica) in maniera irreversibile, bloccando in questo modo
la fase finale di produzione acida a
livello gastrico (figura 2) (6). Ad essere inibite sono sia la secrezione
acida basale che quella secondaria
a stimolazione (7).
Metabolismo ed eliminazione
Assorbito a livello dell’intestino tenue,
si lega per il 97% alle proteine circolanti e viene metabolizzato a livello
epatico dagli isoenzimi del citocromo
P450 (CYP), CYP2C19 e CYP3A4.
L’80% viene escreto a livello urinario sottoforma di metaboliti inattivi,
il resto viene eliminato sottoforma
di metaboliti fecali, mentre meno
dell’1% del farmaco viene rinvenuto
nelle urine.
Studi condotti in vitro hanno mostrato che la clearance dei metaboliti
dell’esomeprazolo è 1/3 rispetto a
quella dell’R-omeprazolo, suggerendo che anche in vivo possa essere
ridotta e quindi la concentrazione
ematica del farmaco più elevata nel
tempo (1). Il minor metabolismo a
livello epatico rispetto all’omeprazolo deriverebbe dall’inibizione competitiva del CYP2C19 sia da parte
dell’esomeprazolo stesso, sia più
probabilmente, dal suo metabolita
sulfone (8).
Nei bambini di età 1-5 anni la clearance media per kg di peso corporeo
dopo somministrazione di 10mg/die
di esomeprazolo è risultata maggiore
del 50% rispetto a quella di bambini di età compresa tra 6 e 11 anni
(5.99 e 7.84 L/h; 0.39 e 0.25 L/h/
kg) con un tempo di dimezzamento
medio (t1/2½β) dopo 10mg/die di
esomeprazolo di 0.74 ore in quelli di
età compresa tra 1 e 5 anni e di 0.88
ore nei più grandi (6-11 anni) dimostrando un metabolismo più rapido
nella prima fascia di età (3).
24
GENETICA
La mutazione o il difetto degli isoenzimi CYP2C19 e CYP3A4 porta il soggetto ad essere un debole o un forte
metabolizzatore sebbene il polimorfismo del CYP2C19 abbia un minor
effetto se comparato all’omeprazolo
(9). Infatti l’esomeprazolo viene trasformato prevalentemente in sulfone
e 5-O dismetil metabolita per mezzo
dell’isoenzima CYP3A4, mentre la
trasformazione in idrossi metabolita
è inferiore rispetto a quello dell’isomero R dell’omeprazolo. Risultato di
ciò è che la AUC dell’esomeprazolo
è comunque superiore a quella per
l’omeprazolo sia nei forti (60%) che
nei deboli (20%) metabolizzatori
dopo somministrazione di una stessa
dose di farmaco (1). La maturazione
degli enzimi CYP2C19 e CYP3A4 che
notoriamente inizia subito dopo la
nascita completandosi nel corso della
vita, potrebbe determinare nel bambino una variabilità interindividuale
maggiore rispetto a quella riscontrata
nell’adulto (10). Questo dato è da
tenere presente anche per quanto riguarda l’assunzione contemporanea
di altri farmaci.
INDICAZIONI CLINICHE
La malattia da reflusso gastroesofageo
(MRGE) e l’esofagite erosiva sono le
principali indicazioni alla terapia con
esomeprazolo.
In bambini e adolescenti di età compresa tra 12 e 17 anni l’esomeprazolo 20
e 40mg/die per 8 settimane ha determinato una significativa riduzione dello
score sintomatico rispetto al valore basale per entrambi i dosaggi (P<0.0001),
con una completa risoluzione della sintomatologia in un numero di pazienti
progressivamente maggiore dopo 1 e
8 settimane (30% e 65% pirosi, 36%
e 52% epigastralgia, 43% e 65% rigurgito con 20mg/die; 41% e 56% pirosi,
30% e 56% epigastralgia, 45% e 67%
rigurgito con 40 mg/die) (11).
In bambini più piccoli (1-24 mesi) è
risultato invece efficace nel controllare
la secrezione acida e quindi l’esposizione acida esofagea alla dose di 0.25mg
e 1mg/kg, sebbene questo miglioramento non si sia tradotto sempre in un
contemporaneo miglioramento della
sintomatologia (4).
In uno studio condotto su neonati
SIGENP NEWS
pretermine e a termine (23-41 settimane), l’esomeprazolo alla dose di
0,5mg/kg/die ha determinato una riduzione degli episodi di reflusso (30
vs 8, P< .001), dell’indice di reflusso
(15.7% vs 7.1%, P< .001) e del tempo di clearance acida (206 vs 96 sec P
= .004) associati ad una riduzione dei
sintomi (P < .05) (4).
Infine, in uno studio multicentrico randomizzato controllato condotto in doppio cieco su 109 bambini con esofagite
(1 - 11 anni), stratificati in base al peso
a ricevere 5 o 10 mg/die (< 20kg) e
10 o 20mg/die (>20 kg) per 8 settimane, ha portato ad un miglioramento
dello score sintomatico e in 40 dei 45
pazienti con evidenza di esofagite erosiva all’endoscopia basale, sottoposti a
controllo endoscopico, ha determinato
la scomparsa delle lesioni e la guarigione completa dell’esofagite (12).
Eradicazione dell'Helicobacter pylori
L’esomeprazolo è stato utilizzato con
successo nella terapia eradicante l’H.
pylori. In uno studio condotto su 58
bambini di età compresa tra 2 e 18 anni
trattati per 7 giorni con esomeprazolo (0.8-1.3mg/kg/die), amoxicillina
(42-67mg/kg/die) e claritromicina
(21-33mg/kg/die) o metronidazolo (17-27mg/kg/die), a seconda del
risultato del test di suscettibilità precedentemente eseguito, l’eradicazione è
avvenuta con successo in 40 (92%)
dei 53 bambini trattati con esomeprazolo, amoxicillina e claritromicina e nei
5 trattati con metronidazolo in sostituzione della claritromicina, con un rate
di eradicazione del 93% (intervallo di
confidenza 95%, 83%-98% analisi intention- to-treat) (13).
TOLLERABILITÀ
L’esomeprazolo è risultato ben tollerato sia in bambini di età 1-11 anni
con MRGE(3,14) che in adolescenti
di 12-17 anni (2,11). Gli effetti collaterali più frequentemente riscontrati
sono stati la diarrea (2.7%) nei bambini di 1-11 anni mentre negli adolescenti oltre alla diarrea (1-3%), sono
stati riscontrati cefalea (8%), dolore
addominale (1-4%), nausea (1-3%)
e vomito (0-3%). L’esomeprazolo
non è mai stato associato ad eventi
avversi seri in tutti gli studi in cui è
stato somministrato (2,3,11,14).
Volume II - n. 4 dicembre 2010
News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
a cura di
Graziano Barera
Esomeprazolo: approfondimento farmacologico e clinico
Valentina Mancini et al
POSOLOGIA
La dose giornaliera raccomandata è
di 10mg per bambini di 1-11 anni
di peso <20 kg e di 10 o 20mg per
quelli di peso >20 kg per 8 settimane
in caso di esofagite erosiva, mentre è
di 10mg/die in caso di MRGE ed esofagite non erosiva. Negli adolescenti
(12-17 anni) la dose raccomandata è
di 20 o 40mg/die in caso di esofagite
erosiva e di 20mg/die nel trattamento
della MRGE ed esofagite non erosiva
per 4-8 settimane. La biodisponibilità
e l’efficacia non sembrano essere influenzati dalla via e dalla modalità di
somministrazione (14).
CONTROINDICAZIONI
L’esomeprazolo somministrato in soggetti adulti con epatopatia anche di
grado severo ha mostrato un Tmax di
2 ore, indicando un tempo di assorbimento simile a quello di soggetti sani,
così come la AUC e la Cmax. Già a 24
ore l’esomeprazolo e il suo metabolita
idrossilato non sono stati più riscontrati,
mentre era ancora presente il metabolita
sulfone con una concentrazione simile
alla somministrazione basale del farmaco al giorno 5 e dopo 24 ore, ad indicare
che non vi è pericolo di accumulo dopo
somministrazioni ripetute (1). È comunque raccomandato di non superare il do8.
saggio di 20mg/die in pazienti adulti con
severa compromissione della funzionalità epatica mentre non sono attualmente
9.
disponibili dati su pazienti pediatrici.
<<<<Bibliografia >>>>>
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Croxtall JD, Perry CM, Keating GM. Esomeprazole
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adolescents. Pediatr Drugs 2008:10(3):199-205 (1aA).
Key Points
¬¦ L’esomeprazolo è sicuro e ben tollerato nel bambino dall’anno di vita
¬¦ La farmacocinetica e la farmacodinamica sono dose-dipendente ed età dipendente (influenza genetica?)
¬¦ Dose raccomandata:
bambini 1-11 anni con esofagite erosiva 10 mg/die (peso< 20 kg)
10 o 20 mg/die (peso ≥20kg)
bambini 1-11 anni con MRGE sintomatica ed esofagite non erosiva: 10 mg/die
adolescenti (12-17 anni) con esofagite erosiva 20 o 40 mg/die
adolescenti (12-17 anni) con MRGE sintomatica ed esofagite non erosiva 20 mg/die
¬¦ Durata del trattamento: 8 settimane
25
SIGENP NEWS
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Asking
Questions
in Immunologia,
Microbiologia
e Genetica
Fellow’s
Corner
- L’angolo
dello Specializzando
a cura di
L’attività di formazione di uno specializzando è correlata alla gestione
condivisa di casi clinici che spesso rimangono impressi per la loro peculiarità,
per l’impegno assistenziale e perché hanno rappresentato l’occasione per un
adeguato approfondimento dell’argomento. Questa rubrica concede uno spazio
che consente di definire il percorso diagnostico che ha portato alla risoluzione di
un complesso caso clinico e relativa revisione critica della letteratura.
Claudio Romano
Claudio Romano
Epatite celiaca: una diagnosi talvolta ingannevole
Giulia Maria Tronconi1, Martina Fomasi1, Chiara Amoruso2, Giovanna Weber1,
Gabriella Nebbia2 e Graziano Barera1
1
U.O. Pediatria e Neonatologia - IRCCS Ospedale San Raffaele - Università Vita-Salute San Raffaele di Milano
2
U.O. Pediatria II - Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano
Spesso alcune semplici diagnosi possono invece accompagnarsi all’identificazione di condizioni cliniche associate
o complicanze in cui solo un adeguato
ed attento follow-up può consentire una
precoce identificazione. Sapere impostare una corretta diagnostica differenziale
appare necessario per un approccio sistemico e guidato specie nell’ambito di
una condizione come l’ipertransaminasemia “orfana”. I Colleghi ci offrono un
didattico esempio di approccio ragionato al Caso Clinico.
C.R.
Presentazione Clinica
Riportiamo il caso di una bambina di 5
anni con un’importante familiarità per
patologie autoimmuni (madre e zia materna affette da tiroidite di Hashimoto;
padre affetto da diabete mellito insulino dipendente). L’anamnesi patologica
remota risultava muta. Nell’anamnesi
patologica prossima riferiti iperattività
con sbalzi d’umore nell’ultimo anno.
Durante un ricovero ospedaliero c/o
altro Centro per pleuropolmonite in
corso di varicella, venivano effettuati
accertamenti diagnostici per il riscontro
di tachicardia persistente associata a recente comparsa di esoftalmo bilaterale
e gozzo tiroideo. Veniva quindi posta
diagnosi di Morbo di Graves (MG) (TSH
0,004 mU/L, v.n. 0,25-5; anticorpi anti
tireoglobulina 136 U/mL, v.n. 0-100;
anti tireoperossidasi 368 U/mL, v.n.
0-100, anti recettore TSH >40 UI/mL,
v.n. 0-1; esame ecografico compatibile
con tiroidite). Si impostava terapia con
metimazolo (0.5 mg/kg/die) e propanolo (0.47 mg/kg/die), sospeso dopo
circa un mese per la normalizzazione
della frequenza cardiaca. Dopo circa 8
settimane dall’inizio della terapia con
metimazolo si documentava ipertransaminasemia persistente (AST 293 U/L,
26
prattutto del propiltiouracile. Un quadro di epatite è infatti documentabile
in più del 25% dei bambini trattati con
propiltiouracile con un rischio di evoluzione verso l’insufficienza epatica in
Esame obiettivo
All’esame obiettivo la bambina pre- 1:2000-1:4000 pazienti (1). Per tale
sentava buone condizioni generali, motivo la Endocrine Society e la Food
con una frequenza cardiaca di 130 and Drug Administration raccomanbattiti per minuto, un gozzo tiroideo dano di non utilizzare il propiltiouravisibile e palpabile a collo esteso (lo- cile come farmaco di prima linea nel
bo tiroideo destro di 4 cm, sinistro di trattamento del MG in età pediatrica.
5 cm, circonferenza collo di 26 cm) Il metimazolo risulta infatti associato
(figura 1) ed esoftalmo bilaterale; re- ad un danno epatico più lieve e non
sono stati documentati casi di insuffistante obiettività nella norma.
cienza epatica durante il
suo utilizzo (2).
Fig. 1 Gozzo tiroideo alla presentazione clinica
2) Patologia infettiva o
metabolica concomitante: processi infettivi
indotti dai virus epatotropi
maggiori (A,B,C) o minori
(Epstein-Barr, Citomegalovirus, Herpes Simplex 1-2,
Parvovirus); malattie metaboliche (es. Malattia di
Wilson, deficit di alfa 1 anti
tripsina), seppur più rare.
3) Malattia celiaca (MC):
è noto che la prevalenza
di MC in soggetti affetti
La funzionalità tiroidea evidenziava la
da patologia autoimmune tiroidea è
persistenza di uno stato ipertiroideo,
superiore rispetto alla popolazione
con un TSH inibito (0,02 mU/L) ed generale, variando dal 2 al 5% (3):
elevazione degli ormoni tiroidei liberi infatti tali patologie possono con(FT4 5,11 ng/dl, n.v. 0,7-1,7; FT3 17,3 dividere lo stesso aplotipo HLA. Il
pg/ml, v.n. 1,6-5,2) in associazione a danno epatico, espresso soprattutto
persistente ipertransaminasemia (AST come ipertransaminasemia cripto87 U/L; ALT 177 U/L).
genica, rappresenta una delle principali manifestazioni extraintestinali
Ipotesi diagnostiche
della MC (4) riscontrabile all’esordio
1) Tossicità epatica indotta da in circa la metà dei pazienti. La fortionamidi: la comparsa di ipertran- ma più frequente di danno epatico
saminasemia in corso di terapia con MC-correlato è caratterizzato da un
tionamidi va infatti sempre indagata modesto aumento delle transaminain quanto rappresenta un temuto ef- si associato ad un quadro istologico
fetto collaterale di questi farmaci, so- non specifico di epatite reattiva (epav.n. 5-35; ALT 155 U/L, v.n. 6-50) per cui
la paziente veniva inviata presso nostro
Centro per ulteriori approfondimenti.
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Volume II - n. 4 dicembre 2010
Fellow’s Corner
a cura di
Claudio Romano
Epatite celiaca: una diagnosi talvolta ingannevole
Giulia Maria Tronconi et al
tite celiaca): tale condizione risulta
reversibile nell’arco di 6-12 mesi di
rigorosa dieta priva di glutine (DPG)
(5) (tabella 1).
4) Epatite autoimmune (EA): si tratta di forme con una spiccata prevalenza
nel sesso femminile (75-80%), una aumentata associazione con patologie autoimmuni concomitanti (circa nel 20%)
e familiari (40%), tra cui tiroiditi come
nel presente caso (6). È inoltre nota l’associazione con la MC: è stato infatti dimostrato da un recente lavoro multicentrico italiano che più del 16% dei pazienti
pediatrici affetti da EA sono celiaci (7): si
tratta prevalentemente di forme di EA di
tipo 1 anche se sono state documentate
possibili associazione con il tipo 2 e con
colangiti autoimmuni. La diagnosi di EA
è definita dai criteri dell’International AIH
Group (8) e si basa sulla presenza di un
quadro istologico caratteristico in associazione alla positività di autoanticorpi epatici, di autoanticorpi non organo specifici,
elevazione della transaminasemia e del
livello sierico delle IgG/gammaglobuline,
in assenza di altre cause note (tabella 1).
Sviluppo del caso clinico
Poiché l’aumento delle transaminasi
poteva essere conseguente sia ad un
inadeguato controllo dell’ipertiroidismo, sia ad un effetto collaterale da me-
timazolo, si sospendeva tale farmaco e
si impostava terapia con propiltiouracile,
con il raggiungimento di eutiroidismo.
La funzionalità epatica valutata nei giorni seguenti dimostrava una costante
ipertransaminasemia associata ad ipergammaglobulinemia. Gli accertamenti effettuati escludevano le principali
cause infettive e metaboliche. L’ecografia addominale risultava nei limiti.
La sierologia per MC mostrava invece
positività della classe IgG degli anticorpi
anti transglutaminasi (>100 U.A., v.n.
0-8) in paziente con deficit selettivo
di IgA. La diagnosi di MC veniva quindi
confermata dall’esecuzione di esofagogastroduodenoscopia che documentava la presenza di atrofia villare
completa (tipo 3c secondo Marsh/
Oberhuber). Veniva quindi posta indicazione ad intraprendere DPG e si
poneva iniziale sospetto diagnostico
di “epatite celiaca”. Tuttavia, nei mesi
successivi, nonostante una rigorosa
compliance dietetica, si documentava persistenza dell’ipertransaminasemia (4-5 volte i livelli di norma),
associata a elevati livelli di gammaglobuline (2,36 g/dl), di IgG (2157
mg/dl vn <1300), presenza di autoanticorpi anti nucleo 1:280 (vn <
1: 20 ) ed HLA DRB1*03: si poneva
quindi indicazione dopo circa 8 mesi
Fig. 2 Biopsia epatica
di DPG, ad effettuare biopsia epatica
nel sospetto di EA.
L’esame istologico mostrava parenchima epatico con architettura conservata,
sede di lieve fibrosi portale e di infiltrato flogistico cronico portale (prevalentemente linfocitario ma con presenza
di alcune plasmacellule), con moderata necrosi della lamina limitante (interface hepatitis) e focale diffusione nei
lobuli (lobular hepatitis) (figura 2).
In considerazione di tale dato istologico, dei dati clinici ed ematochimici,
veniva posta diagnosi di EA di tipo I ed
iniziato trattamento immunosoppressivo con prednisone ed azatioprina,
associati a gastroprotettore, a supplementazione di calcio e di vitamina D.
La bambina mostrava completa normalizzazione delle transaminasi dopo 5 settimane di terapia.
Tab. 1 Principali differenze tra l’epatite celiaca e l’epatite autoimmune (5,6)
Epatite celiaca
Epatite autoimmune
- 40% casi: sintomi non specifici (malessere, nauseavomito, anoressia, dolore addominale)
- Asintomatica
Manifestazioni cliniche
- Sintomi gastrointestinali ed extra-intestinali
associati alla MC
- 25-40% casi: esordio insidioso (astenia ingravescente,
ittero intermittente, cefalea, anoressia, perdita
di peso)
- 10% casi: segni da ipertensione portale (splenomegalia,
varici esofagee, diatesi emorragica, diarrea cronica,
perdita di peso).
Elevazione transaminasi
Modesta, soprattutto delle ALT
Anche significativa, associata ad aumento
di IgG/gammaglobuline
Presenza di anticorpi
MC correlati
- EA tipo 1: Anti muscolo liscio (SMA)
+/- anti nucleo (ANA)
- EA tipo 2: Anti microsomi epatici
e renali (LKM-1, LC1)
Quadro istologico
Non specifico, come da epatite reattiva: modesta
infiammazione periportale, iperplasia delle cellule
del Kupffer, infiltrazione di cellule mononucleate.
Raro e modesto il riscontro di steatosi e fibrosi
Tipico: infiltrato di cellule mononucleate e plasmacellule nelle aree portali con estensione nei lobuli
epatici; distruzione degli epatociti alla periferia dei
lobuli epatici con erosione della lamina limitante
(epatite d’interfaccia); collasso del tessuto connettivo;
rigenerazione epatica con formazione di rosette
Terapia
Dieta priva di glutine
Immunosoppressiva
Effetto DPG
Risoluzione in 6-12 mesi
Nessuno
27
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Volume II - n. 4 dicembre 2010
Fellow’s Corner
a cura di
Claudio Romano
Epatite celiaca: una diagnosi talvolta ingannevole
Giulia Maria Tronconi et al
PUNTI CRITICI DELLA DIAGNOSI
DIFFERENZIALE
Come nel presente caso, spesso si registra un ritardo nella diagnosi di EA in
pazienti affetti da MC: questo si verifica
per la asintomaticità di tale condizione
clinica e per la diagnosi spesso ingannevole di epatite celiaca. Di solito la
diagnosi di MC può precedere anche di
anni l’esordio dell’EA che si manifesta
solitamente in forma di epatite acuta
(7). La comparsa di una ipertransaminasemia in corso di MC merita sempre
grande attenzione, in particolar modo
se l’anomalia persiste dopo l’esclusione del glutine dalla dieta. In presenza
inoltre di MG è fondamentale escludere anche una tossicità epatica indotta
da tionamidi, soprattutto in corso di
terapia con propiltiouracile.
CONCLUSIONI
In letteratura sono riportati pochi casi
(9) in età pediatrica di diagnosi contemporanea di MC, MG e EA.
Il ruolo della DPG nella prevenzione
dell’insorgenza delle patologie autoim-
muni è un argomento molto dibattuto,
anche se esistono dati a favore (10) di
una relazione fra la prevalenza di disordini autoimmuni in pazienti con MC e
la durata di esposizione al glutine: l’aumento della permeabilità intestinale verso antigeni intraluminali potrebbe infatti
innescare un processo autoimmune. La
seconda teoria postulata per spiegare la
comorbidità tra MC e patologie autoimmuni ipotizza invece la presenza di un
linkage disequilibrium tra i geni responsabili di tali malattie (11).
Il presente caso riconferma l’importanza
di effettuare uno screening per la MC
nei pazienti con malattia tiroidea autoimmune, così come con altre patologie autoimmuni: una precoce diagnosi
e l’inizio di una rigorosa DPG, potrebbe
avere un ruolo preventivo nell’insorgenza di ulteriori patologie autoimmuni.
<<<<Bibliografia >>>>
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11. Fasano A. Systemic autoimmune disorders
in celiac disease. Curr Opin Gastroenterol
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Key Points
¬¦ La terapia medica del MG con tionamidi, soprattutto mediante propiltiouracile, può associarsi a danno
epatico anche severo
¬¦ La prevalenza di MC nei pazienti pediatrici affetti da MG varia dal 2 al 5%
¬¦ Un difficile controllo della funzionalità tiroidea nel MG può derivare da un quadro di malassorbimento
MC-correlato
¬¦ Un’ipertransaminasemia modesta è di frequente riscontro alla diagnosi di MC
¬¦ L’epatite celiaca si associa a normalizzazione del livello di transaminasi entro 6-12 mesi dall’inizio
della DPG
¬¦ La presenza di ipertransaminasemia persistente, in presenza di patologie autoimmuni multiple, deve
sempre far sospettare la presenza di EA
28
SIGENP NEWS
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Endoscopy Learning Library
a cura di
Giovanni Di Nardo
Filippo Torroni
Un caso di doppia membrana duodenale
in lattante
Vi presentiamo il caso di una paziente di 11 mesi valutata per vomito
persistente, con diagnosi di doppia membrana duodenale trattata
endoscopicamente con successo.
Serena Arrigo, Paolo Gandullia, Silvia Vignola e Arrigo Barabino
UO Pediatria III-Gastroenterologia, Istituto G. Gaslini di Genova
caso clinico
Una lattante di 11 mesi, nata a termine da gravidanza normodecorsa,
viene ricoverata per vomito ricorrente, spesso biliare, ad andamento
ingravescente. L’esame obiettivo è
normale, con peso di 8,180 kg (10°
percentile) e lunghezza di 70.5 cm
(10-25° percentile). Non alterazioni
significative agli esami di laboratorio. La radiografia del primo tratto
digerente evidenzia dilatazione del
duodeno con immagine curvilinea
di stop nella seconda porzione, compatibile con diaframma duodenale.
Si decide di procedere a gastroscopia operativa, in collaborazione con i
Colleghi Chirurghi, pronti ad intervenire in caso di insorgenza di complicanze o di fallimento. Viene utilizzato
un videogastroscopio standard (8.6
mm ∅, GIF 160, Olympus) che conferma la presenza di un diaframma
duodenale con un piccolo foro centrale di circa 2 mm di diametro. La
papilla di Vater non viene identificata.
L’intervento endoscopico è eseguito
usando un ago diatermico con punta
protetta da pallina elettricamente isolata (ITDK, M.G. Lorenzatto, Torino),
connesso ad elettrobisturi (ICC 200
E, ERBE, GA, USA) settato in modalità ENDO-CUT® (80 W taglio/40 W
coagulo). Il device viene portato a
livello del foro della membrana duodenale attraverso il canale operativo
del gastroscopio e si avvia resezione
“step by step” del diaframma. Al fine
di evitare un potenziale trauma della
papilla di Vater, idealmente posizionata sulla parete sinistra e dietro alla
membrana, si procede radialmente
verso ore 3. Raggiunta un’adeguata
apertura, al tentativo di oltrepassarre la membrana con il gastroscopio,
si riscontra un secondo diaframma
translucido fibrotico, con vasi visibi-
29
Fig. 1 immagine radiologica prima
del trattamento endoscopico
Fig. 4 immagine radiologica dopo 1 mese
dal trattamento endoscopico
Fig. 2 ITDK e membrana prossimale
con il piccolo foro centrale
Fig. 3 seconda membrana duodenale
con foro eccentrico e più ampio
li nel suo spessore. Tale membrana
presenta un foro eccentrico più ampio, per cui si rende necessaria solo
una minima incisione alle ore 3 con
successivo agevole passaggio dello
SIGENP NEWS
strumento nella terza porzione duodenale. Nel periodo post-procedura,
a circa sei ore di distanza, si assiste
ad isolato rialzo di amilasi (7,5xN) e
lipasi (32xN), senza alcuna sintomatologia associata. La bambina viene
mantenuta a digiuno fino a normalizzazione del profilo pancreatico,
osservato entro 24 ore. Successivamente si riavvia l’alimentazione per
os con dimissione in terza giornata. A
distanza di un mese: buon accrescimento ponderale (peso 8,7 kg, 1025° percentile) e miglioramento dei
reperti radiologici, che dimostrano notevole riduzione della dilatazione duodenale e risoluzione dello stop prima
evidenziato. La bambina rimane ad
oggi asintomatica.
conclusioni
I diaframmi duodenali sono molto
rari (1/10000-1/40000) e si manifestano soprattutto in lattanti e bambini. Ancor più raro è il riscontro di
un doppio diaframma duodenale.
Prima degli anni ’80 il trattamento
era esclusivamente chirurgico. I progressi dell’endoscopia operativa hanno rivoluzionato tale approccio diven-
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Endoscopy Learning Library
a cura di
Giovanni Di Nardo e Filippo Torroni
Un caso di doppia membrana duodenale in lattante
Serena Arrigo et al
tando la prima scelta nell’adulto ed
affacciandosi anche nel bambino. In
questo caso è stato utilizzato l’ITDK,
device normalmente usato per la
mucosectomia nell’adulto. L’ITDK è
a nostro avviso prezioso strumento
per la membranotomia per prevenire
il trauma dei tessuti circostanti ed in
particolare di una possibile seconda
membrana retroposta. Nel periodo
post-procedura suggeriamo di porre
attenzione al possibile rialzo asintomatico degli enzimi pancreatici a rapida risoluzione. Tale riscontro è molto probabilmente correlato al danno
30
termico (transmural burn syndrome)
ed all’edema del parenchima pancreatico contiguo. La decisione di un approccio endoscopico nel trattamento
delle membrane duodenali in età pediatrica dovrebbe tenere conto delle abilità dell’endoscopista e di una
stretta collaborazione con i Chirurghi
nel caso si rendesse necessario un
pronto intervento.
<<Letture
3.
4.
consigliate >>
1. Kay GA, Lobe TE, Custer MD, Hollabaugh
RS. Endoscopic laser ablation of obstructing
congenital duodenal webs in the newborn: a
SIGENP NEWS
2.
5.
case report of limited success with criteria for
patient selection. J Pediatr Surg 1992;27:279-81.
Torroni F, De Angelis P, Caldaro T, di Abriola GF,
Ponticelli A, Bergami G, Dall'Oglio L. Endoscopic
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snare/cutter for membranous stenosis in the
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Endoscopic dilatation and partial resection
of a duodenal wed in an infant. J Pediatr
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Double duodenal diaphragm: report of a case.
Aust N Z J Surg 1978;48:310-3.
Volume II - n. 4 dicembre 2010
Pediatric Gastroenterology Educational Article
a cura di
Salvatore Accomando
Ipertransaminasemie
Raffaele Iorio
Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi “Federico II” di Napoli
Vista la molteplicità delle cause di ipertransaminasemia (Box 1), è auspicabile valorizzare al massimo l’anamnesi e l’esame
obiettivo (Box 2 e 3) per favorire il più possibile una ricerca mirata” dell’etiologia ed evitare approfondimenti “eccessivi”.
Punti chiave:
- Un aumento transitorio delle transaminasi si può verificare in corso di episodi infettivi intercorrenti.
- Un’ipertransaminasemia che dura più di 6 mesi riflette solitamente una patologia cronica.
- La diagnosi di alcune epatopatie croniche, quali m. di Wilson, intolleranza al fruttosio, epatite autoimmune, deve essere
tempestiva perché, in assenza della specifica terapia, il decorso clinico può essere molto severo.
Flow chart Ipertransaminasemia: algoritmo diagnostico
Testare CK
Aumentato
Se aumento isolato dell’AST con ALT normale,
considerare macro-AST (BOX1)
Normale
Miopatie:
• miositi virali
• distrofie muscolari
• miopatie dismetaboliche
Considerare cause di ipertransaminasemia prevalentemente epatiche
GGT elevata
Epatopatia
colestatica
Testare GGT
GGT normale
Effettuare ecografia epatobiliare
Negativa per patologia
biliari diagnosticabili
all’ecografia
Calcolosi
Cisti coledoco
Malattia di Caroli
Considerare epatopatie
colestatiche quali ipoplasia duttulare, sindrome di Alagille, PFIC 3,
colangite sclerosante.
Oltre ad escludere tali
entità, procedere come
per ipertransaminasemia
con GGT normale
Ricercare segni anamnestici e
clinici suggestivi di specifiche
epatopatie (BOX 1 e 2)
In particolare:
• Ricercare eccesso ponderale
e steatosi all’ecografia
• Effettuare anamnesi alimentare
per individuare avversione
al fruttosio o a cibi proteici
(deficit OTC)
• Effettuare anamnesi
farmacologica per farmaci
convenzionali e non
• Ricercare segni
di malassorbimento (celiachia,
fibrosi cistica)
• Sierologia per virus epatotropi
maggiori e minori
• Sierologia celiachia (AGA,
EMA, tTGasi)
• Test sudore
• Test autoimmunità (Ig sieriche
e autoanticorpi)
• Test per malattie metaboliche,
quali Wilson, deficit
di α1-antitripsina
• Ricercare segni clinici
endocrinopatia (Addison,
ipotiroidismo)
Nei casi di ipertransaminasemia moderata-severa e comunque ogni qualvolta si
sospetti un danno epatico significativo,
testare: INR, albuminemia, bilirubinemia,
glicemia, ammoniemia
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Salvatore Accomando
Ipertransaminasemie
Testatina apertura
rubrica
Raffaele Iorio
Box 1 Principali cause di ipertransaminasemia in età pediatrica
HAV, HBV ± HDV, HCV, HEV, EBV, CMV, HIV,
brucellosi, salmonellosi, TBC, leishmaniosi, toxoplasmosi, sepsi
Infezioni
Tipo 1 (positività degli anti-nucleo, ANA, e/o degli anti-muscolo liscio, SMA)
Epatite autoimmune
Tipo 2 (positività degli anti-microsomi di fegato e rene, LKM-1, e/o degli anti-liver citosol tipo 1, LC1)
Malattie metaboliche (*)
Intolleranza ereditaria al fruttosio
Tirosinemia
Glicogenosi
Deficit di α1-antitripsina
Malattia di Wilson
Deficit di ornitina carbamiltransferasi (OCT)
Patologie biliari (**)
Calcolosi
Cisti del coledoco
Sindrome di Alagille (ipoplasia duttulare)
Malattia di Caroli
Colangite sclerosante primitiva
Epatopatie di diversa natura
Obesità
Farmaci
Celiachia
Fibrosi cistica
Sindrome di Turner
Cause extraepatiche
Miopatie
Miocardiopatie
Disordini emolitici
Pancreatopatie
Nefropatie
Macro-AST(***)
(*) Sono citate solo quelle che possono presentare ipertransaminasemia come unica o prevalente espressione clinica
(**) Di solito è presente anche iper-GGT
(***) La macro-AST è caratterizzata da un aumento isolato dell’AST con livelli normali di ALT. E’ dovuta alla presenza in circolo
di macrocomplessi tra AST e altre molecole (di solito Ig), non dipende pertanto da un’aumentata dimissione in circolo di AST
da danno tissutale. Si tratta in età pediatrica di una condizione a decorso favorevole
Box 2 Dati anamnestici utili per l’orientamento diagnostico nel bambino con ipertransaminasemia
Dato anamnestico
Orientamento Diagnostico
Trasfusioni di sangue ed emoderivati, interventi chirurgici,
cure odontoiatriche e otorinolaringoiatriche, assunzione
di cibi potenzialmente contaminati, contatto con pazienti
affetti da epatite virale, presenza di madre con epatite virale
Epatiti infettive
Casi analoghi in famiglia, decessi di fratelli in età pediatrica non
spiegati, consanguineità dei genitori, provenienza di entrambi
i genitori da un piccolo centro
Ricorrenza di vomito o di crisi di torpore o di altri segni
di squilibrio metabolico, correlazione della sintomatologia
con l’assunzione di particolari elementi o sostanze
Epatopatie dismetaboliche
Assunzione di farmaci convenzionali e non
Epatotossicità da farmaci
Eccessivo incremento ponderale
Epatopatia steatosica da obesità
Alvo diarroico, crescita stentata, bassa statura
Celiachia, malattie infiammatorie croniche intestinali
Ritardo nell’acquisizione delle tappe dello sviluppo motorio
Distrofie muscolari
Storia di dolori addominali ricorrenti, episodi ricorrenti
di feci ipoacoliche e/o ipercromia delle urine
Patologie primitive delle vie biliari
Storia di infezioni respiratorie e/o di steatorrea
Fibrosi cistica
Familiarità per malattie autoimmuni. Presenza
nell’anamnesi personale di altre malattie autoimmuni
Epatite autoimmune
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Ipertransaminasemie
Raffaele Iorio
Box 3 Dati clinici utili per l’orientamento diagnostico nel bambino con ipertransaminasemia
Segni clinici
Orientamento diagnostico
Facies da bambola
Glicogenosi (le forme VI e IX possono manifestarsi
con ipertransaminasemia ed epatomegalia,
in assenza di ipoglicemia)
Facies triangolare, fronte bombata, occhi infossati,
ipertelorismo, mento appuntito
Sindrome di Alagille. Poiché l’ittero può mancare,
i pazienti possono venire all’osservazione per
ipertransaminasemia. Dal punto di vista
laboratoristico è sempre presente iper GGT
Rapporto peso/statura < 2DS oppure BMI < 2DS
Celiachia, epatopatie colestatiche croniche
Obesità, acanthosis nigricans
Epatopatia steatosica da obesità
Bassa statura
Celiachia, Sindrome di Turner
Vitiligine
Epatite autoimmune
Ippocratismo digitale
Fibrosi cistica, epatopatie colestatiche croniche
Enfisema polmonare
Fibrosi cistica
Tremori, distonia, disartria, ipersalivazione,
ridotto rendimento scolastico, disturbi comportamentali,
anello di Kayser-Fleischer
“Tenere presente che la sintomatologia neurologica da m.
di Wilson non è frequente in età pediatrica. è molto più
comune invece che i bambini Wilson abbiano all’esordio
ipertransaminasemia ed epatomegalia con segni di steatosi
all’ecografia”.
Malattia di Wilson
Cataratta
Galattosemia, infezioni connatali
Linfoadenomegalia
Infezioni da CMV, EBV, toxoplasma, leucemie, linfomi
Pseudoipertrofia dei gastrocnemi,
manovra di Gowers positiva
Miopatie
Epatomegalia severa “isolata”
Epatopatie dismetaboliche (glicogenosi, fruttosemia,
Wilson ecc.) tumori epatici
Lesioni da grattamento
Tutte le epatopatie a impronta colestatica
Nevi stellari, eritema palmare
Cirrosi di qualsiasi eziologia
<<<<Bibliografia >>>>
1. Pratt DS, Kaplan MM. Evaluation of abnormal
liver-enzyme results in asymptomatic patients. N
Engl J Med 2000;342:1266-71.
2. Iorio R, Sepe A, Giannattasio A, Cirillo F,
Vegnente A. Hypertransaminasemia in childhood
as a marker of genetic liver disorders. J
Gastroenterol 2005;40:820-6.
33
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Ricercatori 2011
Roma
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Centro Congressi "La Marcigliana"
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Epatologia Pediatrica
Coordinatore Forum SIGENP
dei Giovani Ricercatori
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Sorrento
25 - 28 maggio 2011
Roma
24 gennaio - 12 ottobre 2011
Hilton Sorrento Palace Hotel
Unità di Gastroenterologia e Epatologia
Policlinico Umberto I
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SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
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Pediatrica, Medica e Chirurgica
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XVIII Congresso
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croniche intestinali 2011
6° Congresso europeo del Crohn e della Colite
Padova
13 - 15 ottobre 2011
Padova
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ECON S.r.l.
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Dublino, Ireland
24 - 26 febbraio 2011
Convention Centre
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ECCO
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Fax + 43 (0)1 212 74 17-49
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