CAPIToLo 4 Comunione e condominio

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Capitolo 4
Comunione e condominio
Sommario: § 1. Nozione e caratteri della comunione. – § 2. Disciplina della comunione. – § 3. Il
condominio degli edifici. – §3.1. Profili generali. – § 3.2. Fonti regolatrici del condominio. –
§ 3.3. Gli organi. – § 3.4. Il supercondominio. – § 3.5. La legge 11 dicembre 2012, n. 220 di
riforma della disciplina del condominio negli edifici. – § 4. La multiproprietà.
1. Nozione e caratteri della comunione
La nozione di comunione è fondata sul concetto di contitolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale. Ai sensi dell’art. 1100 c.c., infatti, si ha comunione
quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone.
Secondo alcuni autori, la comunione sarebbe una forma di organizzazione col- Natura
lettiva priva di personalità giuridica e di autonomia patrimoniale; in base a questa giuridica
ricostruzione, il vincolo rappresentato per i partecipanti, ancorché dissenzienti, dalle decisioni collettive (art. 1105 c.c.), può essere giustificato solo se si riconosce
una qualche autonomia alla comunione, distinta dalle persone dei comunisti.
Per la dottrina e la giurisprudenza dominanti, invece, ciascun partecipante è
titolare di una quota ideale di proprietà sull’intero bene, non riferita cioè ad una
parte del bene materialmente e separatamente considerata; il diritto di ciascun comunista risulta pertanto limitato nel suo esercizio da quello degli altri e li limita a
sua volta.
La quota di partecipazione di ciascun membro, in questa prospettiva, indica il
quantum del potere sulla cosa, ossia rappresenta la misura della singola partecipazione e, dunque, delle facoltà e degli obblighi del singolo partecipante. Quanto
maggiore è la quota, tanto superiori saranno questi ultimi.
La quota, in definitiva, non è oggetto di un diritto di proprietà, ma rappresenta
la misura della singola partecipazione. Essa è definita ideale perché non è riferita
ad una specifica porzione materiale del bene.
Conseguentemente, il frazionamento del godimento richiede il consenso unanime, configurandosi come rinuncia di ciascuno al godimento della parte assegnata
agli altri e, quindi, come obbligo (propter rem) di non impedire tale godimento.
Secondo un’autorevole dottrina il concetto di quota sopra delineato costituisce
il compromesso tra i due dati antitetici dell’unicità del diritto di proprietà e della
molteplicità dei titolari (Messineo). L’intero diritto, dunque, spetta per quote astratte a ciascun titolare; questi, inoltre, è il titolare esclusivo della propria quota e la
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quota, sotto questo aspetto, fa parte del suo patrimonio, come entità autonoma e
separata dalle quote degli altri comunisti.
Occorre, peraltro, tenere ben presente che “la quota non è un diritto con un
contenuto a sé; è un’entità tecnico-giuridica; è la misura aritmetica, cioè il simbolo
della partecipazione ad un diritto”. In buona sostanza, esemplificando, “chi è comproprietario di un fondo per la metà, non è proprietario della metà del fondo, bensì
proprietario di tutto il fondo, in ragione della metà del diritto totale sul fondo e delle
utilità corrispondenti” (dunque, come si suol dire, è proprietario non pars quanta,
ma pars quota).
In mancanza di una determinazione convenzionale dell’entità delle quote, esse
si presumono attribuite ai comunisti in parti uguali (art. 1101 c.c.).
Altra caratteristica della quota è la c.d. elasticità, ossia il fenomeno per il quale
ciascuna quota si espande ogni volta che l’altra o le altre quote vengano meno; in
tali casi (si pensi alla rinunzia espressa, o tacita alla comunione, fatta genericamente, senza indicare a favore di chi è fatta e salvo che altri abbia diritto di subentrare
al rinunziante) si verifica l’accrescimento del valore della quota dei restanti comunisti.
La quota, infine, è di regola trasferibile (arg. ex art. 1103 c.c.), con la precisazione che con il trasferimento della quota non si trasferiscono singoli diritti, bensì
la complessiva situazione configurante il diritto di quota; in buona sostanza, in
caso di trasferimento della quota, si verifica la sostituzione di un partecipante alla
comunione con un altro.
Comunione La ricostruzione sopra prospettata della comunione la riconduce a quella a mani di tipo
romanistica e romano, con quote ideali di appartenenza individuale.
germanistica
Tuttavia, secondo alcuni autori nell’impianto codicistico sarebbero rinvenibili tracce
di comunione di tipo germanico o a mani riunite (caratterizzata dalla mancanza di quota e
dalla più accentuata forma collettiva della proprietà) in quelle disposizioni volte a fornire
una sia pur rudimentale organizzazione alla comunione e a tutelare la comunione in quanto
tale, preservando la destinazione del bene e la sua integrità e consentendo, entro certi limiti,
la fissazione convenzionale di un patto di indivisibilità. Qualche appiglio inoltre potrebbe
trovarsi nella disciplina del maso chiuso, del fondo patrimoniale e della comunione legale
tra coniugi. È, invece, certamente da escludere che rientri in tale tipologia l’associazione
non riconosciuta, che è ormai considerata autonomo soggetto di diritto e titolare del fondo
comune (art. 37 c.c.).
Comunione
speciale e
comunione
atipica
Comunione
volontaria,
incidentale e
forzosa
Accanto alla comunione ordinaria, vengono in rilievo le comunioni speciali, disciplinate specificamente dalla legge (condominio e comunione ereditaria), cui si
applica la disciplina della comunione ordinaria nei limiti della compatibilità e le
comunioni atipiche che non rientrano nei modelli normativi. Quest’ultima categoria è discussa in dottrina e secondo alcuni autori in essa rientrerebbe la contitolarità
dei diritti di credito e dei diritti personali di godimento.
La comunione può nascere da un atto di volontà dei soggetti interessati (comunione volontaria) o indipendentemente da una manifestazione di volontà degli
stessi (comunione incidentale). La prima si costituisce appunto per effetto di un
atto di autonomia negoziale [ad es. con l’acquisto di un bene in comune da parte di
più soggetti, ovvero con l’estensione di un diritto proprio ad altri soggetti (arg. ex
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artt. 2643 n. 3 e 2684 n. 1 c.c.)], la seconda, invece, può aver origine da un semplice fatto materiale, dalla volontà di un terzo o anche da una disposizione di legge,
automaticamente e indipendentemente dalla volontà dei comunisti. Essa però può
essere liberamente sciolta.
Tipico esempio di comunione incidentale è la comunione ereditaria, disciplinata
dagli artt. 713 ss. c.c.
È infine comunione forzosa quella comunione non suscettibile, proprio in quanto tale, di scioglimento. Essa trova la sua fonte in una disposizione di legge e può
costituirsi ab origine (si pensi al condominio degli edifici, art. 1117 ss. c.c.) ovvero
a seguito dell’esercizio di un diritto potestativo (si pensi alla comunione forzosa del
muro, ex art. 874 c.c.).
La comunione è tendenzialmente una situazione interinale e quindi la sua natu- Cessazione
rale evoluzione è costituita dalla divisione materiale dell’oggetto del diritto. Con la della comunione
divisione alla quota astratta subentra un diritto solitario su una parte concreta della
cosa (pars quanta e non più pars quota).
La disciplina più ampia e compiuta della divisione è stabilita a proposito della
comunione ereditaria, che può essere assunta a prototipo di tutte le specie di divisione (arg. ex art. 1116 c.c.; per l’analisi della disciplina dello scioglimento della
comunione in generale v. par. seguente; con specifico riferimento alla divisione
ereditaria cfr., invece infra parte IX, cap. VI).
Oltre che per mezzo della divisione lo stato di comunione può cessare a seguito della c.d. consolidazione, che si verifica quando tutte le quote, per effetto
dell’acquisto di un comunista o della rinunzia degli altri (a titolo gratuito o verso
corrispettivo) ovvero per effetto dell’usucapione delle quote altrui, si concentrano
in capo ad uno solo dei comproprietari.
Può aversi, inoltre, uno scioglimento parziale della comunione, cioè rispetto ad
un solo o a taluni soltanto dei comunisti: ciò può avvenire mediante successione
di un comunista nella quota di un altro, ovvero mediante la cessione (gratuita od
onerosa) della quota ad altro comunista.
La comunione, infine, cessa a seguito del perimento totale della cosa comune.
2. Disciplina della comunione
La disciplina della comunione è innanzitutto quella espressa dalla volontà delle
parti, ossia quella contenuta nel titolo. In mancanza, si farà riferimento alle norme,
generali e speciali, dettate dalla legge (art. 1100 c.c.).
Occorre tuttavia avvertire che non tutte le previsioni contenute nel Codice in materia di Norme cogenti
comunione hanno natura dispositiva. Si ritiene, ad es., che abbiano natura inderogabile in
ragione degli interessi coinvolti, le previsioni che consentono il ricorso all’autorità giudiziaria (art. 1105, co. 1 e 1109, co. 1, c.c.), così come la regola che stabilisce in dieci anni il
limite massimo di durata del patto di non scioglimento della comunione.
Le norme codicistiche in materia di comunione affrontano fondamentalmente tre Disciplina
aspetti: l’attività di utilizzazione del bene comune, l’attività di gestione e, infine, legale
l’attività di disposizione dello stesso.
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Diritti e
obblighi dei
partecipanti
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Con riguardo al primo aspetto, l’articolo 1102 c.c. consente, in linea di principio, a ciascun comunista di servirsi della cosa comune nella sua interezza.
Le iniziative individuali, tuttavia, incontrano un duplice limite, essendo espressamente previsto che ciascun partecipante abbia diritto di servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne parimenti
uso secondo il loro diritto.
Riguardo alla prima limitazione evidenziata, la dottrina ritiene comunemente
che la destinazione della cosa comune non coincida necessariamente con la funzione naturale della stessa quanto piuttosto con quella impressale dalla volontà
dei comunisti che può risultare o tacitamente da una pratica costante osservata da
questi ultimi o da apposita deliberazione adottata a maggioranza.
La previsione del secondo limite, invece, induce a qualificare come modo normale di uso della cosa comune il cosiddetto uso promiscuo caratterizzato dalla
compartecipazione di tutti i comunisti al godimento della res.
Tuttavia, si ritiene che siano legittimi, ai sensi dell’art. 1102 c.c., sia l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo comunista con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purché nel rispetto delle
concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comunisti, sia l’uso più
intenso della cosa purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari.
Nulla esclude che vengano stipulati degli accordi tra i partecipanti alla comunione volti a regolamentare le concrete modalità di utilizzo del bene, stabilendo ad
es. una fruizione turnaria del bene, ovvero prevedendo che ciascun titolare possa
liberamente valersi soltanto di una parte del bene stesso.
Laddove, poi, ricorrendo a simili modalità d’uso non sia possibile un utilizzo
diretto della cosa, si potrà disporre la costituzione di un diritto reale di godimento o
la locazione della cosa comune quali forme indirette di godimento.
Ciascun partecipante ha anche diritto di disporre del suo diritto e cedere ad altri
il godimento della cosa nei limiti della sua quota (art. 1103, co. 1, c.c.).
Ovviamente, qualora uno dei partecipanti disponga non soltanto della propria
quota, ma del bene nella sua interezza, senza aver preventivamente ottenuto il consenso dagli altri comunisti, si applicheranno le disposizioni in tema di vendita di
cosa parzialmente altrui (art. 1480 c.c.).
Alienazione L’alienazione che il comproprietario faccia del suo diritto, ai sensi dell’art. 1103 c.c.,
della quota e del determina l’ingresso dell’acquirente nella comunione soltanto nel caso in cui l’alienasingolo bene
zione riguardi la quota o una frazione di questa, mentre se il comproprietario disponga
di un singolo bene, avendo l’alienazione efficacia obbligatoria, della comunione continua a far parte il disponente, che, pertanto, resta titolare dell’azione di cui all’art. 1111
c.c. e deve essere chiamato ad integrare il contraddittorio nel relativo giudizio da altri
promosso.
Spese
Infine, è previsto che ogni comunista concorra nei vantaggi e nei pesi in proporzione alla propria quota (art. 1101, co. 2, c.c.). Ciascuno di essi, pertanto, è anche
tenuto alle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune e a quelle deliberate dalla maggioranza: tali spese, una volta deliberate, sono
vincolanti, anche per i dissenzienti (art. 1104, co. 1, c.c.).
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È tuttavia salva la possibilità per il comunista di liberarsene (si tratta di obbli- Rinuncia
gazioni propter rem) rinunciando alla propria quota, a meno che non abbia anche abdicativa
solo tacitamente approvato la spesa (art. 1104, co. 2, c.c.): si parla in tale ipotesi di
rinuncia liberatoria o abdicativa, che produce un automatico effetto acquisitivo a
favore degli altri partecipanti alla comunione (dunque, efficace a prescindere dalla
comunicazione agli stessi), per il meccanismo dell’espansione della quota, tipico
nell’ambito della contitolarità di un diritto reale.
Il cessionario del partecipante è tenuto in solido con il cedente al pagamento dei
contributi da questi dovuti e non versati (art. 1104).
La gestione della cosa comune è tendenzialmente un’attività di carattere collet- Gestione
tivo. È previsto, infatti, che tutti i partecipanti abbiano diritto di concorrere nell’amministrazione della cosa comune.
Viene così enunciata una regola di amministrazione congiuntiva, espressione
del carattere tendenzialmente statico dell’attività di godimento della comunione e
contrapponentesi a quello dinamico proprio della società di persone, in cui è vigente un regime di amministrazione disgiuntiva.
Il regime di amministrazione congiuntiva, poi, si combina con il principio
maggioritario che fa sì che le delibere assunte dalla maggioranza dei partecipanti
siano vincolanti anche per i dissenzienti (art. 1105 c.c.). Ciò, fermo restando che
la maggioranza verrà calcolata non in relazione al numero dei partecipanti (c.d.
“maggioranza per teste”) quanto piuttosto secondo il valore delle rispettive quote,
ad ulteriore conferma della natura patrimoniale e dello scopo di mero godimento
caratterizzante la comunione ordinaria.
Nello specifico, la maggioranza dei partecipanti è richiesta per gli atti di ordinaria amministrazione, nonché per la formazione del regolamento preordinato al
compimento degli stessi e per il miglior godimento della cosa comune, nonché al
fine di delegare l’amministrazione ad uno o più partecipanti o ad un terzo estraneo
alla comunione (art. 1106 c.c.).
Per il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione e le innovazioni dirette a migliorare la cosa o a renderne più comodo e redditizio il godimento
occorre invece una maggioranza qualificata, ossia il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti, calcolata per teste e non per quote, che rappresenti almeno i
2/3 del valore complessivo della cosa comune (art. 1108, co. 1 e 2, c.c.).
Per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul bene comune e per
le locazioni ultranovennali è infine necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti (art. 1108, co. 3, c.c.).
In materia si segnala una importante decisione delle Sezioni Unite della Cassazione del 4 luglio 2012, n. 11135, su cui si veda amplius parte V, sez. IV, cap. 3,
par. 6.
Le attività collettive che caratterizzano la gestione della cosa comune non tolgono ogni spazio alle iniziative individuali dei comunisti. Ciascun componente la minoranza dissenziente, difatti, può impugnare le decisioni assunte dalla maggioranza
dei partecipanti davanti all’autorità giudiziaria entro trenta giorni, che decorrono
per gli assenti dal momento della comunicazione della deliberazione (artt. 1107 e
1109 c.c.), ricorrendo i presupposti di legge (mancata comunicazione a tutti i partecipanti dell’oggetto della delibera, delibera gravemente pregiudizievole alla cosa
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comune, deliberazione relativa a innovazioni o ad altri atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione in contrasto con le norme in materia di maggioranza qualificata o
di unanimità dei consensi di cui ai co. 1 e 2 dell’art. 1108 c.c.).
L’autorità giudiziaria è chiamata, dunque, su iniziativa del singolo a un tipo di
intervento che, pur potendosi formalmente qualificare come controllo di legittimità, finisce talvolta per coinvolgere una valutazione di opportunità e convenienza
della deliberazione avvicinandosi alla categoria dei controlli di merito.
Si tratta di un controllo penetrante che non sembra trovare riscontro alcuno
nella disciplina delle impugnative previste per le deliberazioni di una associazione
o società e che trova giustificazione nella circostanza che la comunione non costituisce un centro unitario rispetto ai soggetti che la compongono, ma è piuttosto
espressione di un intreccio di interessi, individuali e collettivi, per il quale esso,
dunque, si rende indispensabile.
Scioglimento
Ciascun partecipante ha, inoltre, il diritto potestativo di chiedere in ogni modella comunione mento lo scioglimento della comunione, a meno che all’atto della costituzione non
fosse stato deciso di rimanere in comunione per un dato periodo di tempo, che, per
espressa previsione normativa, non potrà superare i dieci anni (art. 1111 c.c.). La
regola generale fissata dall’articolo 1111 c.c., manifesto del chiaro sfavor romanistico per il regime di comunione, espresso nel noto brocardo in communione nemo
compellitur invitus detineri, è espressione della istituzionale transitorietà della comunione ordinaria. Un importante temperamento a siffatta regola è stato, tuttavia,
introdotto nella seconda parte del 1° comma dell’articolo 1111 c.c. in cui si attribuisce all’autorità giudiziaria il potere di sospendere lo scioglimento della comunione per un periodo non eccedente i cinque anni qualora l’immediato scioglimento
chiesto da uno dei comunisti possa pregiudicare l’interesse degli altri.
Ciò fermo restando che gli interessi presi in considerazione dalla norma de qua
non possono essere interessi personali dei singoli comunisti dovendosi piuttosto
trattare di interessi di rilevanza collettiva, oggettivamente valutabili e in primo luogo volti ad evitare un notevole pregiudizio al patrimonio comune.
Allo scioglimento si procede mediante divisione, la quale ha luogo o in via negoziale (se tutti i partecipanti concordano sia sullo scioglimento che sulle modalità
di divisione), oppure per ordine del Tribunale, su domanda di uno dei partecipanti.
In tal caso alla divisione si procede con sentenza, che potrà anche porre a carico dei
condividenti obblighi reciproci tra loro connessi da un vincolo di corrispettività che
legittima, se del caso, l’applicazione dell’art. 1460 c.c.
In generale la divisione deve essere effettuata in natura, nei limiti della comoda
divisibilità dei beni (art. 1114 c.c.). Se la cosa non può essere comodamente divisa
si procederà alla divisione tramite altri atti, quali ad es. la vendita ad un terzo con
ripartizione del ricavato tra i comunisti o l’attribuzione del bene ad un singolo partecipante, con addebito dell’eccedenza, secondo le regole della divisione ereditaria
(art. 720 c.c.).
Ai sensi dell’art. 1112 c.c., infine, lo scioglimento non può essere chiesto nel
caso in cui il bene, una volta diviso, cesserebbe di servire all’uso cui è destinato. Al
riguardo, è stato chiarito che tale disposizione trova applicazione esclusivamente
nell’ipotesi di scioglimento per via giudiziale, in quanto, nel caso di scioglimento
convenzionale, il potere dei comproprietari di disporre dei beni implica anche il po-
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tere di mutarne l’uso e la destinazione originaria; pertanto la possibilità di divisione
del bene non trova altri impedimenti se non quelli derivanti da ragioni fisiche o da
vincoli posti da leggi speciali.
A conferma della natura transitoria del regime di comunione si pone, inoltre, la regola det- Efficacia
tata dall’articolo 757 c.c. per la comunione ereditaria ma applicabile in via generale in forza retroattiva della
divisione
del richiamo operato dall’articolo 1116 c.c.
La disposizione in esame, difatti, prevede che, al momento dello scioglimento della
comunione, ciascun comunista venga reputato, fin dalla nascita di quest’ultima, proprietario
dei beni che gli sono assegnati successivamente in sede di divisione ed in ragione della propria quota, mentre riguardo agli altri beni ne verrà esclusa la titolarità ab origine.
Il legislatore ha dunque previsto una fictio iuris al fine di attribuire artificiosamente
carattere meramente dichiarativo ed efficacia retroattiva all’atto di divisione che per sua
natura ha invece forza costitutiva, essendo diretto al trasferimento ad un solo soggetto del
diritto di proprietà su un bene che prima dello scioglimento della comunione si trovava nella
contitolarità di più comunisti.
La reale natura costitutiva dell’atto de quo emerge, tuttavia, dalla stessa disciplina cui il
medesimo è sottoposto ed in primis dalla sua assoggettabilità all’azione revocatoria prevista
solo per gli atti di disposizione (art. 1113 c.c.).
Dalla finzione della cosiddetta dichiaratività dell’atto di scioglimento, infine, derivano
alcune peculiari conseguenze pratiche sulle quali ha avuto modo di pronunciarsi la giurisprudenza.
In particolar modo, quest’ultima ha espressamente considerato l’alienazione da parte di
uno dei comunisti di una porzione materiale del bene comune alla stregua di una vendita
sottoposta alla condizione sospensiva che la porzione venduta sia attribuita, nella divisione,
alla quota del venditore. Ed ancora per quanto concerne, l’ipoteca costituita su una porzione
di bene comune da uno dei partecipanti alla comunione l’orientamento prevalente è quello
che ritiene che essa produca effetti anche se a costui siano attribuite in sede di divisione porzioni diverse da quelle da lui ipotecata. In tale caso, difatti, troverà applicazione il disposto
dell’articolo 2825 c.c. che contempla espressamente il trasferimento dell’ipoteca sui beni
assegnati in sede di divisione qualora siano diversi da quello ipotecato.
3. Il condominio negli edifici
Negli edifici composti da più unità immobiliari coesiste una proprietà individuale,
di cui sono titolari in modo esclusivo i singoli condomini, relativa ai piani o porzioni di piano, e una comproprietà degli stessi sui beni comuni, tra loro strutturalmente
e funzionalmente collegate.
3.1. Profili generali
Tale situazione configura il condominio negli edifici (artt. 1117-1139 c.c.), figura a
cui si applicano, per quanto non espressamente previsto dalla disciplina speciale, le
norme in materia di comunione in generale (art. 1139 c.c.).
Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale la disciplina dettata dal codice civile Condominio
per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè minimo ….
di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che
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regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l’impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell’assemblea, il principio maggioritario,
atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso,
nella specie all’unanimità, quanto, “ a fortiori “, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto
al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni (Cass. Sez. Un.
2046/06).
... e condominio
Del pari, deve ritenersi legittimamente configurabile la fattispecie del c.d. condomiparziale nio parziale tutte le volte in cui un bene risulti, per obbiettive caratteristiche strutturali e
funzionali, destinato al servizio e/o al godimento in modo esclusivo di una parte soltanto
dell’edificio in condominio, parte oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in
tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i
condomini su quel bene.
Natura
giuridica
Il condominio
è un soggetto
giuridico
distinto
dai singoli
condomini?
In relazione al condominio, la dottrina sottolinea il carattere di comunione forzosa che lo contraddistingue dalla comunione ordinaria; l’articolo 1119 c.c., difatti,
sancendo la regola opposta a quella della normale divisibilità, prevede che le parti
comuni dell’edificio non possano essere divise a meno che la divisione possa farsi
senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino.
Nel condominio, dunque, la sussistenza della contitolarità dei diritti sui beni
comuni prescinde dalla volontà dei singoli comproprietari, riguardando beni strettamente funzionali al godimento e all’utilizzazione delle proprietà esclusive.
A conferma di siffatti rilievi, si pone, inoltre, il disposto di cui all’articolo 1118
c .c. a tenore del quale i singoli condomini non possono, rinunciando alla comproprietà, liberarsi dalle spese volte a garantire la gestione delle cose comuni (tale
disposizione, peraltro, stante la sua dubbia formulazione, ha posto non poche perplessità agli interpreti che hanno inteso il disposto normativo talvolta in senso letterale, riconoscendo a ciascun condomino la facoltà di rinunciare alle parti comuni
senza tuttavia liberarsi dalle spese, e talvolta ritenendo in ogni caso preclusa la
dismissione delle parti comuni).
Alcune recenti ricostruzioni dottrinali inquadrano l’istituto condominiale all’interno della disciplina degli enti privilegiandone gli aspetti di tipo gestionale.
In particolare, secondo dette impostazioni, il condominio non sarebbe un soggetto di diritto distinto e contrapposto ai singoli partecipanti, quanto piuttosto un
ente di fatto capace di assumere obblighi ed essere titolare di diritti e dunque dotato
di una certa autonomia e capacità.
Siffatta ricostruzione, tuttavia, non è andata esente da critiche scaturenti dalla
difficoltà di ricondurre il condominio all’interno della categoria degli enti negandogli al contempo qualsivoglia forma di soggettività giuridica.
Il non riconoscimento al condominio di quella soggettività propria di altri enti
come ad esempio i comitati e le associazioni non riconosciute troverebbe, peraltro,
conferma nel fatto che l’amministratore agisce in qualità di mandatario dei singoli
condomini e non già quale organo di una entità autonoma e distinta rispetto ai
medesimi.
Né a diverse considerazioni sembrerebbe potersi giungere prendendo le mosse
dall’avvenuto riconoscimento di una soggettività tributaria al condominio in qualità di sostituto d’imposta in quanto la soggettività specifica non sarebbe idonea a
ricomprendere al suo interno una soggettività più generale.
Parte IV – Sezione II – Capitolo 4
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A rafforzamento di tali rilievi, infine, sembrerebbe operare il disposto dell’articolo 2248 c.c. che, escludendo espressamente che al solo scopo di godimento di
una o più cose si possa costituire una società e rinviando al contempo alla disciplina
della comunione, verrebbe a negare al condominio, in quanto costituito con funzione di godimento, la natura di ente societario (nella forma della società semplice).
Secondo una tralaticia impostazione giurisprudenziale il condominio non sarebbe un sog- Il condominio
getto giuridico dotato di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, è un ente di
bensì un semplice “ente di gestione”, il quale opererebbe in rappresentanza e nell’interesse gestione?
comune dei partecipanti, limitatamente all’amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condomino.
Il ricorso alla figura dell’ “ente di gestione” consentirebbe in particolare di giustificare
il fatto che la legittimazione dell’amministratore non priva i singoli partecipanti della loro
legittimazione ad agire in giudizio in difesa dei diritti relativi alle parti comuni o di avvalersi
autonomamente dei mezzi di impugnazione od ancora di intervenire nei giudizi intrapresi
dall’amministratore, etc.
Tuttavia, come hanno recentemente osservato le Sezioni Unite della Cassazione
(9148/08), la figura dell’ente, ancorché di mera gestione, [gli enti di gestione in senso tecnico raffigurano una categoria definita ancorché non unitaria, ai quali dalle leggi sono assegnati compiti e responsabilità differenti e la disciplina eterogenea si adegua alle disparate
finalità perseguite (cfr. L. 22 dicembre 1956, n. 1589, art. 3); gli enti di gestione operano
in concreto attraverso le società per azioni di diritto comune, delle quali detengono le partecipazioni azionarie e che organizzano nei modi più opportuni: in attuazione delle direttive governative, razionalizzano le attività controllate, coordinano i programmi e assicurano
l’assistenza finanziaria mediante i fondi di dotazione. Per la struttura, gli enti di gestione
si contrassegnano in ragione della soggettività (personalità giuridica pubblica) e dell’autonomia patrimoniale (la titolarità delle partecipazioni azionarie e del fondo di dotazione)]
presuppone che coloro i quali ne hanno la rappresentanza non vengano surrogati dai partecipanti.
A differenza dell’ente di gestione- osserva la Corte - “il condominio non è titolare di
un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose,
gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condomini; agli stessi
condomini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la
relativa responsabilità; le obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio
non si contraggono in favore di un ente, ma nell’interesse dei singoli partecipanti. Secondo la giurisprudenza consolidata, poi, l’amministratore del condominio raffigura un
ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente
applicazione, nei rapporti tra l’amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato. Orbene, la rappresentanza, non soltanto processuale, dell’amministratore
del condominio è circoscritta alle attribuzioni - ai compiti ed ai poteri - stabilite dall’art.
1130 cod. civ.. In giudizio l’amministratore rappresenta i singoli condomini, i quali sono
parti in causa nei limiti della loro quota (art. 1118 e 1123 cod. civ.). L’amministratore
agisce in giudizio per la tutela dei diritti di ciascuno dei condomini, nei limiti della loro
quota, e solo in questa misura ognuno dei condomini rappresentati deve rispondere delle
conseguenze negative. Del resto, l’amministratore non ha certo il potere di impegnare i
condomini al di là del diritto, che ciascuno di essi ha nella comunione, in virtù della legge,
degli atti d’acquisto e delle convenzioni. In proporzione a tale diritto ogni partecipante
concorre alla nomina dell’amministratore e in proporzione a tale diritto deve ritenersi
che gli conferisca la rappresentanza in giudizio. Basti pensare che, nel caso in cui l’am-
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Comunione e condominio
ministratore agisca o sia convenuto in giudizio per la tutela di un diritto, il quale fa capo
solo a determinati condomini, soltanto i condomini interessati partecipano al giudizio
ed essi soltanto rispondono delle conseguenze della lite. Pertanto, l’amministratore - in
quanto non può obbligare i singoli condomini se non nei limiti dei suoi poteri, che non
contemplano la modifica dei criteri di imputazione e di ripartizione delle spese stabiliti
dall’art. 1123 c.c. - non può obbligare i singoli condomini se non nei limiti della rispettiva
quota”.
Per le ragioni esposte, in conclusione, il richiamo spesso acritico operato dalla giurisprudenza della figura dell’ente di gestione con riferimento al condominio non può essere
condiviso.
Sono oggetto di proprietà comune, se il contrario non risulta dal titolo, il suolo, le
fondazioni, i muri maestri, i tetti, i lastrici solari, le scale, il portone di ingresso, i
cortili e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso e al godimento comune (art. 1117 c.c.). Naturalmente, un bene non rientrante in tale elencazione potrebbe essere “attratto” fra i beni comuni oggetto di condominio, in base alla comune
volontà dei condomini (si pensi, ad es., all’autorimessa collocata nel seminterrato
dell’immobile).
È evidente, sotto altro profilo, che per quanto il titolo possa escludere la natura
condominiale di uno dei beni di cui all’art. 1117 c.c., ciò non potrà interferire con la
naturale funzione del bene, il quale necessariamente non cesserà di servire all’uso
comune cui è destinata (si pensi alla facciata dell’edificio).
Uso dei beni
L’uso dei beni condominiali dovrà svolgersi sempre nel rispetto della destinacondominiali zione dei beni stessi e della possibilità di loro godimento anche da parte degli altri
condomini.
Il regolamento di condominio, peraltro, può stabilire alcune particolari modalità
di godimento dei beni condominiali (o di alcuni di essi), in modo da renderne più
agevole la fruizione (ad es., consentendo il godimento turnario degli stessi) in base
ad un criterio diverso da quello indicato all’art. 1118 c.c. (attribuendo, ad es., solo
a determinati fini, uguale rilevanza a tutti i condomini, indipendentemente dalla
misura della quota di proprietà esclusiva imputabile a ciascuno di essi).
È inoltre espressamente vietato al condomino di eseguire, sui beni di proprietà
esclusiva, opere o lavori che possano recare danno a parti comuni dell’edificio (art.
1122 c.c.) o alle proprietà di altri condomini.
Innovazioni
Per converso, i condomini possono disporre di tutte le innovazioni dirette al
miglioramento o all’uso più comodo o al maggiore godimento della cosa comune.
Qualora, tuttavia, queste ultime dovessero comportare una spesa eccessivamente
gravosa o dovessero avere carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni
dell’edificio, i condomini che non ne intendano trarre vantaggio saranno esonerati
da qualsiasi contributo nelle spese.
Se l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata non intenda sopportarne
integralmente le spese.
Parti comuni
dell’edificio
Sopraelevazione Ai proprietari dell’ultimo piano o del lastrico solare la legge attribuisce il diritto di costru-
ire in sopraelevazione, sempre che ciò non comporti pregiudizio alle condizioni statiche
dell’edificio o ne comprometta l’aspetto architettonico o, infine, provochi la riduzione note-
Parte IV – Sezione II – Capitolo 4
459
vole di aria e luce per i piani sottostanti. Chi costruisce in sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un’indennità (art. 1127, co. 4, c.c); essa è dovuta non solo in caso
di realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche per la trasformazione dei locali
preesistenti mediante l’incremento delle superfici e delle volumetrie indipendentemente
dall’aumento dell’altezza del fabbricato. (Cass. Sez. Un. 16794/07).
Particolarmente controversa in dottrina è la natura giuridica del diritto di sopraelevazione: secondo alcuni esso costituirebbe espressione della facoltà di edificare spettante in generale al proprietario, corrispondendo l’ultimo appartamento a suolo sul quale il proprietario
potrebbe costruire. Secondo altri, invece, il diritto di sopraelevazione dovrebbe considerarsi
un diritto di superficie costituito per legge a carico del condominio, con obbligo di pagamento dell’indennizzo differito al momento dell’esercizio (Bianca).
3.2. Fonti regolatrici del condominio
Il condominio è regolato dalle norme di legge (che, a seconda dei casi, possono
essere imperative o dispositive), dal titolo costitutivo del diritto (ad es. l’atto originario di acquisto dell’immobile) e, infine, dal regolamento condominiale, ove
esistente.
Circa il regolamento di condominio, è previsto che esso debba essere obbligatoriamente formato e trascritto, qualora non sia stato predisposto dall’originario unico proprietario, se il numero dei condomini sia superiore a dieci (art.
1138 c.c.).
In caso di inerzia, ciascun condomino può adire l’autorità giudiziaria affinché
emani un regolamento con sentenza, avente natura costitutiva.
Lo stesso art. 1138 c.c., poi, al suo ultimo comma, specifica le disposizioni del
Codice che non sono suscettibili di deroga da parte del regolamento, in tal modo
tracciando il confine fra disposizioni imperative e norme dispositive in materia. In
particolare, le norme del regolamento di condominio non possono derogare a una
serie di disposizioni volte a enunciare i caratteri distintivi del condominio e della
sua organizzazione (artt. 1118, co. 2; 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137
c.c.); inoltre, le norme regolamentari non possono in alcun modo menomare i diritti
di ciascun condomino quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni (art.
1138, co. 4, c.c.).
Il regolamento può essere oggetto di un accordo intervenuto tra tutti i condomini (contestualmente oppure mediante adesione di ciascuno, con il proprio atto di
acquisto, ad un testo di regolamento predisposto dall’originale unico proprietario:
c.d. “regolamento contrattuale”) oppure può essere deliberato in assemblea, con le
maggioranze previste dal secondo co. dell’art. 1136 c.c.
Quanto alla natura giuridica delle clausole del regolamento condominiale, si è
precisato che la distinzione tra natura contrattuale o meramente regolamentare vada
effettuata avendo riguardo al contenuto delle singole clausole e non alla circostanza
accidentale che esse siano state o meno approvate all’unanimità; e che, pertanto,
devono ritenersi avere natura contrattuale (e dunque essere approvate o modificate
all’unanimità) solo quelle clausole che incidono, costituendo oneri reali o servitù,
sui diritti immobiliari dei condomini, sulle loro proprietà esclusive o sulle parti
comuni oppure attribuiscono a taluni condomini diritti di quella natura maggiori di
quelli degli altri condomini.
464
Comunione e condominio
da nessuna disposizione di legge; rilevato, infine, che – in conformità con il
difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide
sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità – l’amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del
mandato conferitogli in ragione delle quote: tutto ciò premesso, le obbligazioni
e la susseguente responsabilità dei condomini sarebbero governate dal criterio
dalla parziarietà.
La soluzione della Corte, tuttavia, dettata più da ragioni di giustizia sostanziale (il criterio della parziarietà non costringe i debitori ad anticipare somme a volte
rilevantissime in seguito alla scelta operata unilateralmente dal creditore) che da
un’attenta analisi dei principi giuridici che reggono il diritto delle obbligazioni,
lascia francamente perplessi. In particolare non sembra che le argomentazioni
suesposte possano scalfire il principio di cui all’art. 1294 c.c., in base al quale
“i condebitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non risulti diversamente”.
3.4. Il supercondominio
Nel caso di complessi immobiliari che comprendono più edifici ed hanno beni, servizi e aree comuni (quali, ad es., viali, piscine, recinzione, giardino comune, cortile
impianto di riscaldamento) è rimesso all’autonomia privata decidere se dare luogo
alla formazione di un unico condominio (c.d. orizzontale), oppure affiancare ai singoli condomini distinti per ciascun edificio, per i beni o servizi comuni, il c.d. “supercondominio”, con un proprio regolamento che ne disciplina uso e gestione.
Il supercondominio è una figura di creazione giurisprudenziale, che ha suscitato
notevoli difficoltà di inquadramento nell’ambito della disciplina vigente. Secondo la tesi prevalente al supercondominio sono applicabili le norme in materia di
condominio in relazione a quelle parti comuni, strutturalmente e funzionalmente
connesse con le singole proprietà individuali e caratterizzate da un rapporto di accessorietà necessaria con queste ultime, rendendone possibile l’esistenza stessa o
l’uso (come per esempio le portinerie, le reti viarie interne, gli impianti dei servizi
idraulici o energetici dei complessi residenziali); mentre, si deve ricorrere alle diverse disposizioni dettate in materia di comunione ordinaria, con riferimento a quei
beni relativamente ai quali un tale legame strutturale e funzionale non è ravvisabile
o è più tenue, in quanto beni non essenziali o addirittura “voluttuari” (ad es., la
piscina).
3.5. La legge 11 dicembre 2012, n. 220 di riforma della disciplina del condominio negli edifici
Occorre dare brevemente conto della legge definitivamente approvata dal Senato della
Repubblica in data 20 novembre 2012, recante “Modifiche alla disciplina del condominio
negli edifici”.
La riforma, da tempo auspicata, contiene importanti innovazioni che consentono di adeguare la disciplina del condominio al mutamento dei modelli abitativi, recependo per via
legislativa alcune nozioni ed istituti già da tempo elaborati dalla giurisprudenza (primo fra
tutti il c.d. condominio orizzontale).
Parte IV – Sezione II – Capitolo 4
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In linea generale devesi peraltro osservare che il legislatore della novella, nonostante
le sollecitazioni di parte della dottrina, ha ritenuto di non dover riconoscere autonoma
capacità giuridica al condominio, preferendo salvaguardare l’assoluta prevalenza dell’autonomia funzionale ed economica delle singole unità abitative rispetto alla funzione meramente strumentale al miglior godimento del bene di proprietà individuale che caratterizza
le parti comuni oggetto del condominio (così la Relazione di accompagnamento al testo
normativo in discussione alla Camera dei Deputati, nella quale può testualmente leggersi
che “l’estensione ai condominii di un regime gestionale analogo a quello previsto per le
società potrebbe determinare il pericolo di una gravissima compressione del diritto di
proprietà per i condomini in minoranza, cosa tanto più grave laddove, ad esempio, un solo
soggetto sia proprietario di più della metà di un complesso edilizio con una pluralità di
condomini”).
Venendo ad esaminare le singole disposizioni, di particolare interesse appare l’art. 2 che
inserisce nel corpo del codice civile i tre nuovi artt. 1117 bis, ter e quater.
A tenore del nuovo art. 1117 bis “le disposizioni in materia di condominio negli edifici si
applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’art.
1117”, così chiarendo definitivamente che la disciplina in materia condominiale non si applica esclusivamente al c.d. “condominio verticale”, bensì ogniqualvolta un complesso abitativo – magari composto di villette unifamiliari – sia realizzato in modo che l’utilizzazione
delle unità abitative richieda la fruizione di parti comuni come definite dall’art. 1117 c.c.
(anch’esso novellato).
L’art. 1117 ter disciplina invece le modifiche della destinazione d’uso delle parti comuni, che potranno essere disposte dall’assemblea con una maggioranza qualificata particolarmente ampia, esclusivamente per soddisfare esigenze di interesse condominiale; sono in
ogni caso vietate le modificazioni delle destinazioni d’uso che possano recare pregiudizio
alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato e che ne alterino il decoro architettonico.
Infine l’art. 1117 quater detta una specifica procedura per la tutela delle destinazioni
d’uso.
L’art. 3 della legge in commento novella l’art. 1118 del codice civile disciplinando in
particolare l’ipotesi, fonte di innumerevoli contenziosi, del condomino che intenda distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o condizionamento (in particolare secondo
la nuova disposizione “il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato
di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri
di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta
tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”).
L’art. 4 modifica l’art. 1119 c.c. ribadendo il principio di indivisibilità delle parti comuni
e stabilendo che, nelle ipotesi eccezionali in cui la divisione è consentita, essa debba avvenire “con il consenso di tutti i partecipanti al condominio”.
L’art. 5 novellando l’art. 1120 c.c,. disciplina una particolare procedura per l’approvazione di alcune innovazioni dirette a valorizzare l’immobile sotto il profilo della
sicurezza e salubrità degli edifici e degli impianti, dell’abbattimento delle barriere architettoniche, del contenimento del consumo energetico e della produzione di energia
attraverso il ricorso a fonti di energia alternativa (eolica, solare o comunque rinnovabili),
della realizzazione di parcheggi e della installazione degli impianti per l’accesso ai flussi
informativi.
L’art. 6 sostituisce l’art. 1122 c.c. sancendo che “nell’unità immobiliare di sua proprietà
ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che
Non viene
riconosciuta
capacità
giuridica al
condominio
Art. 1117-bis:
applicabilità
dell’art. 1117
anche al
condominio
orizzontale
Art. 1117-ter:
modifiche
della
destinazione
d’uso delle
parti comuni
Art. 1117quater:
procedura per
la tutela delle
destinazioni
d’uso
466
Le nuove
disposizioni
in tema di
amministrazione
Comunione e condominio
rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza
o al decoro architettonico dell’edificio”.
L’art. 7 inserisce nel corpo del codice civile i due nuovi artt. 1122 bis e ter che disciplinano rispettivamente l’installazione di impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva
e produzione di energia da fonti rinnovabili, nonché l’installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni.
Significative ed incisive sono inoltre le novità apportate dagli artt. 9, 10 e 11 in materia
di amministrazione.
L’art. 9, novellando l’art. 1129 c.c., dispone innanzitutto l’innalzamento del numero
minimo di condomini oltre il quale è obbligatoria la nomina dell’amministratore (da quattro
a otto), attribuendo all’autorità giudiziaria, anche su ricorso dell’amministratore dimissionario, il compito di provvedervi in caso di inerzia dell’assemblea.
La norma prevede inoltre l’obbligo per l’amministratore, a fini di trasparenza amministrativa, di comunicare e rendere prontamente accessibili ai condomini una serie di dati
anagrafici e di gestione, oltre all’obbligo - esteso anche al singolo condomino incaricato di
attività di gestione nel caso di mancanza di un formale amministratore – di affissione sul
fabbricato amministrato (in posizione visibile) della c.d. “targa” dell’amministratore che
garantisca la sua individuazione immediata, con l’implicita finalità di renderlo prontamente
contattabile in caso di necessità.
È altresì previsto che l’assemblea possa subordinare la nomina dell’amministratore del
condominio alla presentazione di una polizza individuale di assicurazione per la responsabilità civile, con massimali adeguati qualora vi siano attività di gestione di rilevante importo (per esempio, lavori di manutenzione straordinaria dell’edificio), nonché l’obbligo di
attivazione di un conto corrente su cui far transitare necessariamente tutti i movimenti di
denaro riferibili al condominio (sia le somme corrisposte dai condomini per gli oneri dovuti,
sia quelle erogate ai fornitori). All’atto dell’accettazione della nomina o del suo rinnovo,
inoltre, l’amministratore deve specificare analiticamente, a pena di nullità, l’importo dovuto
a titolo di compenso per l’attività svolta. Alla cessazione dell’incarico l’amministratore è
tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e
ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi ad interessi
comuni senza diritto ad ulteriori compensi. La nuova disposizione impone altresì all’amministratore – salvo dispensa assembleare – di agire per la riscossione forzosa delle somme
dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio in cui è compreso il credito esigibile (l’introduzione di detto termine suscita peraltro evidenti perplessità in ragione
del fatto che nella pratica accade di frequente che i bilanci consuntivi non siano approvati
in tempi brevi).
Il novellato art. 1129 c.c. contiene infine una serie di importanti novità in punto di
revoca dell’amministratore condominiale tanto da parte dell’assemblea (che può avvenire
in ogni tempo con la maggioranza prescritta per la nomina ovvero con le modalità previste
dal regolamento di condominio), quanto da parte dell’autorità giudiziaria che interviene su
ricorso di ciascun condomino in caso di omesso rendiconto ovvero nelle ipotesi di gravi
irregolarità (dettagliatamente tipizzate dal nuovo dodicesimo comma dell’art. 1129 c.c.).
In tale ultima ipotesi, tuttavia, la revoca da parte dell’autorità giudiziaria viene subordinata ad un preventivo passaggio assembleare (l’assemblea deve essere convocata anche su
richiesta di un solo condomino), con conseguente inammissibilità del ricorso proposto in
difetto dell’espletamento del prescritto iter procedurale. L’amministratore revocato dall’autorità giudiziaria, infine, non può essere nuovamente nominato dall’assemblea. Significativo ed opportuno pare inoltre il rinvio della nuova disposizione (comma 15) alle norme sul
mandato, con chiarimento da parte del legislatore della natura giuridica del rapporto che
lega l’amministratore alla collettività dei condomini. L’ultimo comma della disposizione in
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