economia civile

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L’ U O M O E I L S U O M O N D O
L’ U O M O E I L S U O M O NDO
ECONOMIA
CIVILE
DANI ELE HOSMER
Z AMBELLI*
To r i n o
Oggi la famiglia non è al centro delle politiche familiari
È possibile recuperare il ruolo marginale di consumatore
in cui è stata relegata?
L’economia civile può essere una via per ridare alla famiglia una
dignità negata
Le attuali vicende economiche ci
mostrano in modo evidente come la
famiglia non sia al centro delle politiche
che cercano di farci uscire dalla crisi che
ci attanaglia. Anzi, la famiglia si trova
spesso, da un lato, a compiere uno sforzo sempre maggiore per tamponare le
voragini che si aprono nei vari contesti
di sostegno ai soggetti più deboli della
società (bambini, anziani, disoccupati,
portatori di handicap), dall’altro ad essere
spesso bistrattata dalle politiche fiscali, o
ignorata in questo suo ruolo di supporto
delle innumerevoli situazioni di disagio
presenti nella nostra società.
D’altra parte, in una visione economica
in cui il motore di ogni azione è il soddisfacimento dell’interesse personale (nella
convinzione, che oggi appare sempre
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più discutibile, di ottenere in questo
modo anche un maggior benessere per
tutta la società), la famiglia, che ha nella
gratuità e nella reciprocità il proprio
modus operandi, non può che avere un
ruolo marginale tra gli attori presenti
sulla scena, importante al massimo come
soggetto acquirente e/o consumatore di
beni e servizi.
◆
Non c’è solo l’economia di
mercato
Eppure non esiste solo questo tipo di
economia nel panorama storico dell’umanità. Senza andare troppo indietro nel
tempo (basti pensare ai francescani che,
intorno al 1450, fondarono i monti di
pietà, le prime banche create per togliere i poveri dal cappio dell’usura), si
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nell’Evangelii Gaudium, evidenzia come
l’attuale sistema economico sia ingiusto
alla radice e come questa economia
uccida, facendo prevalere la legge del
più forte, secondo la quale il potente
mangia il più debole.
◆
L’economia civile, oltre i
limiti dell’economia di mercato
Adam Smith affermava che “non è
dalla benevolenza del macellaio, o da
quella del birraio o del fornaio, che noi
ci attendiamo il nostro pranzo, ma dal
loro interesse personale. Ci rivolgiamo
non al loro senso di umanità ma al loro
interesse e non parliamo mai loro delle
nostre necessità, ma dei loro vantaggi”.
Il messaggio sotteso a questo brano è che
l’indipendenza dalla “benevolenza dei
nostri concittadini” è una virtù positiva,
associata alla nuova forma di socialità
introdotta dall’economia di mercato.
Questa visione oggi sta dimostrando
tutti i suoi limiti e proprio la famiglia
può essere contemporaneamente attrice e
beneficiaria di un cambio del paradigma
economico di riferimento: un’economia
che sappia superare la dicotomia non
profit-for profit, a favore di una idea
di “economia civile”, cioè a favore di
quella tradizione di pensiero e di prassi
che vede l’intero mercato e ogni forma
di impresa come realtà umane a tutto
tondo, chiamate per questo ad aprirsi
al loro interno al dono-gratuità, dove il
contratto e il dono possono essere forme
di reciprocità alleate per una società più
civile, e non in conflitto tra di loro.
Come in famiglia si vive e si agisce
non per interesse personale, ma per
amore, ed è questa una cosa ovvia e
connaturata all’uomo, così deve po-
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potrebbe scoprire che nel 1754 a Napoli
fu creata, dall’economista e sacerdote
Antonio Genovesi, una scuola di economia civile che, dimenticata dalla storia
a favore delle teorie sul libero mercato
di Adam Smith (suo contemporaneo),
sta ora riemergendo di fronte all’evidente fallimento di queste ultime nel
garantire il benessere collettivo che si
ripromettevano di raggiungere.
Noi viviamo in una società in cui business is business e gift is gift (gli affari
sono affari e il dono è dono… e guai a
mescolarli!) e dove l’economia è una sorta
di morally free zone, una zona franca dal
punto di vista della morale, in cui le parole
come etica e gratuità non hanno, anzi
non devono avere, spazio: l’unico riferimento è il rispetto della legalità, inteso
come l’insieme di norme che dovrebbero,
sottolineo il condizionale, regolare il
mercato dai suoi eccessi. Eppure non è
vero che valori come reciprocità e gratuità
non possano e non debbano trovar casa
nella teoria economica. Oggi la Chiesa
lancia richiami forti e decisi per andare
verso un ripensamento di questa visione
economica priva di prospettive verso il
prossimo. Nella Caritas in veritate, viene
spiegato chiaramente come il principio
di gratuità e la logica del dono debbano
entrare nell’attività economica. Papa
Francesco, poi, nel difendersi dall’accusa
di una parte del mondo cattolico nord
americano di essere un “Papa marxista”,
ha recentemente affermato che, sebbene le
teorie liberiste affermino come, una volta
che il bicchiere sia pieno, il contenuto
trabocchi verso l’esterno e sia disponibile
anche per i più bisognosi, in realtà nella
nostra società del benessere il bicchiere riempito fino all’orlo magicamente
s’ingrandisce e per i poveri resta sempre
ben poco a disposizione. Sempre il Papa,
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ter esistere un’economia per la quale il
bene comune sia un obiettivo di fondo
dell’agire economico, molto più efficiente del tornaconto personale al fine
di garantire un miglioramento reale del
benessere della nostra società. E non si
tratta di un ragionamento fuori dalla
realtà: basta ricordare un imprenditore
come Adriano Olivetti, che oggi viene
apprezzato proprio per le sue idee innovative e per la sua vision di imprenditore.
Il suo successo è legato proprio al modo
con cui da lui venivano intesi il lavoro
ed il benessere dei dipendenti, nonché
all’attenzione posta alle ricadute dell’attività imprenditoriale nei confronti del
territorio circostante. Si è trattato di un
esempio che è restato a lungo isolato nel
panorama imprenditoriale italiano, ma
ora ideali simili riprendono forma in
esperienze concrete, come l’Economia di
Comunione ideata da Chiara Lubich o la
Scuola di Economia Civile di Loppiano
(FI), così come, in campo finanziario, la
scommessa di Banca Popolare Etica che,
proprio quest’anno, celebra i suoi primi
15 anni di vita. Dietro a queste realtà ci
sono economisti e docenti universitari
come Stefano Zamagni e Luigino Bruni,
che stanno tracciando una nuova strada
su cui si possa incamminare una società
guidata da paradigmi economici alternativi a quelli liberisti e individualisti
odierni.
◆
Un’alternativa per la crescita… Ma che fare?
C’è quindi una speranza per chi cerca
un modo alternativo di crescere, sganciato dai freddi e molto spesso iniqui
meccanismi di un’economia fondamentalmente egoista. Resta da chiedersi che
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cosa ognuno di noi può concretamente
fare. Innanzi tutto informarsi, cercare
di capire che cosa succede intorno a
noi con spirito critico e andando alla
ricerca di analisi e opinioni che vadano
oltre la superficie delle notizie, spesso
gridate e quasi mai spiegate, avendo il
coraggio di porsi quelle domande che
il pensiero dominante continua a considerare folli o fuori dalla realtà. Avere
delle idee diverse da quelle veicolate
dai TG della sera è il primo passo per
avviare un cambiamento in noi e in chi ci
circonda e poi cercare, nel piccolo, senza
fretta e senza voli pindarici, se esiste la
possibilità di appoggiare qualche realtà
che si sta sforzando di proporre nuovi
modelli e buone pratiche per migliorare
la nostra società. Ad esempio acquistare
frutta e verdura, magari attraverso un
GAS (Gruppo di Azione solidale), da
chi ti garantisce di non sfruttare in modo
irresponsabile l’ambiente e le persone,
cercare un fornitore (ne esistono!) che
ti garantisca l’origine rinnovabile della
corrente elettrica che ti vende, chiedersi
come la tua banca impiega i soldi dello
stipendio che tu gli consegni ogni mese e
magari aprire il conto e diventare socio di
Banca Popolare Etica, o ancora sforzarti
di mettere in regola con i contributi chi
viene a fare le pulizie a casa tua …
I semi di una società e di un’economia
diversa ci sono, vanno sostenuti perché
crescano e possano diventare la testimonianza credibile che certi principi etici
non sono validi solo nel campo della
filantropia o del volontariato, ma possono
diventare il punto di riferimento per una
società nella quale il termine benessere
possa avere un significato reale per tutti
i suoi componenti.
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