Tra gli olivi, come una volta I• 1• riftWIBE P1¥ETT1 [email protected] Nulla come l'olivaia caratterizza il paesaggio altogardesano. Da Laghel a Cecie, nella valletta di Nago, sui terrazzamenti di Cologna, sul Brione è la pianta argentata a regalarci scorci sempre verdi e profili mediterranei. Il paesaggio, almeno quello antropizzato, diventa testimone della storia dell'uomo. E quella locale racconta di secoli trascorsi sotto quegli olivi, sopra quei rami, sotto quelle foglie a raccogliere i suoi frutti, per farne poi l'olio e magari anche il pam de molche, che quasi non si trova più. La raccolta una volta coinvolgeva un numero importanti di agricoltori, olivocoltori, quasi sempre accompagnati dai familiari. Oggi è lavoro per pochi, sia perché la tecnologia ha semplificato e velocizzato la raccolta (durava mesi, oggi pochi giorni) sia perché è sempre più difficile trovare gente disposta a stare giornate intere al freddo per ricavarne qualche bottiglia di olio. • La raccolta è oggi un rito. Produttivo ma anche culturale. Che racconta meglio di molte altre cose il nostro passato. Ne abbiamo voluto far parte, anche se per poche ore, partecipando alla raccolta nell'olivaia sopra Varignano, tra le piante di una famiglia locale che volentieri ci ha ospitato. La prima cosa che colpisce è lo spirito di gruppo. C'è qualcosa di sentimentale in questo lavoro, ancora faticoso nonostante le macchine e la tecnologia. C'è molto della nostra umanità trentina nell'arrampicarsi tra quei rami, sopra le scale metalliche a pioli, agevolando la caduta delle olive. Questa parte del lavoro, la prima, si fa sempre più di rado a mano. Meglio utilizzare una macchina progettata appositamente: in cima ad un lungo palo metallico due grandi pettini si aprono e chiudono rapidamente per "abbattere" le olive senza danneggiare la pianta. Viene controllata attraverso un "grilletto" e permette all'operatore di restare a terra, quindi di lavorare in tutta sicurezza. Le olive cadono come se piovesse. E finiscono sopra i grandi teli verdi, in li nylon, posizionati con attenzione ed esperienza sotto le piante. La parte difficile è muoversi su questo tappetto plastico senza schiacciare olive sane. Ci vuole attenzione ed occhio, bisogna "pescare" i dossi evitando le cavità, dove invece rotolano le olive. I teli poi vengono raccolti come si fa con una tovaglia piena di briciole e compare una cariola. Con le mani giunte si raccoglie il frutto di quegli alberi, facendolo cadere nella cariola. Mentre gli uomini proseguono con un'altra pianta, le donne - almeno stavolta - portano la cariola poco più a valle, dove ad attendere i frutti è un altro marchingegno. Sembra un grande frullatore, in realtà "divora" le olive con foglie e rametti, e le restituisce quasi pulite, "sputando" le foglie a mezz'aria. Le olive finiscono in una cassetta, le foglie diventano un soffice tappeto verde che fa giocare il cane. La raccolta è quasi finita. Le cassette - pesanti diversi chili - vengono caricate su un furgone che le porterà subito al frantoio. Così nasce il nostro extravergine. Da secoli.