CAMMINIAMO ALLA LUCE DELLA TUA PRESENZA CONCLUSIONE ACQUISIZIONI E PROSPETTIVE Premessa È difficile proporre una sintesi o una conclusione. Il seminario ha avviato un processo di riflessione e di consapevolezza che si traduce nell’impegno di rinnovarci e rinnovare la nostra missione, di offrire il nostro apporto specifico nelle vie della nuova evangelizzazione. Abbiamo respirato un’atmosfera spirituale illuminata dalla presenza del Signore e di Maria. Ripartiamo dopo questa sosta, sapendo che siamo sempre tra il già e non ancora. Si aprono nuovi percorsi che da una parte proseguono in modo rinnovato quelli già in atto, dall’altra siamo interpellate ad aprire nuovi sentieri con coraggio e audacia, non confidando nelle nostre forze ma nel Signore e nella Madre sua e nostra. Una memoria profetica Il card Martini, citato dalla prof.ssa Stevani, ha segnalato la pericolosità del vuoto di memoria nella crescita umana. Infatti il far memoria degli antefatti non serve agli avvenimenti ricordati, ma a chi li ricorda, perché da essi trae ispirazione e ammaestramento. La storia è maestra di vita. Il seminario si è aperto presentando tre testimoni di filialità mariana che ci hanno coinvolte nella loro vita caratterizzata da una singolare mistica apostolica, esplosa nella fantasia della carità alla scuola di Maria, sulla scia di don Bosco e madre Mazzarello. L’humus vitale della loro esistenza è stata la fede. Nella fede profonda, fatta di realismo e sobrietà nelle espressioni religiose, hanno percepito in modo singolare la presenza materna di Maria e a Lei si sono rivolte con una specialissima, paradossale relazione filiale, incarnando in contesti differenti l’ideale di FMA. La percezione della presenza di Maria nel cammino della vita è un’esperienza ecclesiale antichissima: fin dall’antichità Ella è invocata come Odigitria, colei che istruisce, mostra la direzione. Don Bosco l’ha vista passeggiare nella casa di Nizza. Madre Laura Meozzi l’ha vista varie volte, alcune volte l’ha segnalata alle sue figlie. Nell’Istituto vi sono tantissime sorelle che vivono e operano nella fede con un affidamento filiale a Maria. Di tante, quindi, si potrebbe e si dovrebbe far memoria. È un vissuto ricco che tematizzato e ricordato perché ci illumina. Anzi a livello scientifico è in atto una riflessione interessante sul valore argomentativo della testimonianza nel cammino di ricerca della verità. Interessante al riguardo è la considerazione di Giovanni Paolo II nella Lettera alle donne del 1995 al n. 3 ove dice: «è l'ora di guardare con il coraggio della memoria e il franco riconoscimento delle responsabilità alla lunga storia dell'umanità, a cui le donne hanno dato un contributo non inferiore a quello degli uomini, e il più delle volte in condizioni ben più disagiate […]. Della molteplice opera delle donne nella storia, purtroppo, molto poco è rimasto di rilevabile con gli strumenti della storiografia scientifica. Per fortuna, se il tempo ne ha sepolto le tracce documentarie, non si può non avvertirne i flussi benefici nella linfa vitale che impasta l'essere delle generazioni che si sono avvicendate fino a noi. Rispetto a questa grande, immensa “tradizione” femminile, l'umanità ha un debito incalcolabile». Nel dialogo in assemblea sono emerse alcune domande in particolare circa il rapporto con la comunità e il contesto socio-culturale in cui le tre sorelle sono vissute. Tutte e tre hanno incontrato difficoltà nella comunità. Ed è ovvio. Le difficoltà attraversano ogni cammino umano e costituiscono il luogo in cui le motivazioni si purificano, si precisano, diventano più luminose evangelicamente e risultano luogo di testimonianza. Importante è proseguire nel cammino e imparare a gestire evangelicamente i rapporti anche conflittuali tra sorelle e comunità. Un altro elemento richiamato in assemblea è l’irradiazione della loro opera sul territorio con l’esplosione del dinamismo della carità. Oggi va curato di più questo esserci come cittadine secondo lo spirito di don Bosco e di madre Mazzarello. Dovremmo avere più coraggio nel pronunciarci come comunità pubblicamente su ciò che è giusto e ciò che non lo è, uscendo dall’invisibilità con un volto pubblico riconoscibile, condividendo le buone pratiche per il bene dell’umanità. In questo senso dovremmo valorizzare di più le tante opportunità dell’Istituto ha in sedi istituzionali internazionali, nazionali e locali. I percorsi I termini “percorsi”, “cammini”, “processi”, “itinerari” sono ritornati una certa frequenza nel seminario, segnalando la consapevolezza di essere sempre in cammino di conversione come persone e come Istituto. Lo stesso seminario è celebrato nel “frattempo” tra due Capitoli generali, due celebrazioni commemorative, Conclusione 1 nei sentieri tracciati dai convegni e seminari di studi precedenti. L’essere in cammino è tipico della creatura umana che è homo viator in tutte le dimensioni del suo esistere. Il tema del viaggio è particolarmente eloquente nella cultura contemporanea anche a livello scientifico. Nei sentieri di Israele Il nostro camminare non è un andare a zonzo, è un pellegrinare verso una meta accompagniati di una Guida, in compagnia di Angeli. Ci sono viaggi il cui fine è nell'altrove, in quella meta da cercare costantemente. Lévinas a proposito di Israele parla di un avventuroso viaggio dentro le parole della Torah, all'interno di quel luogo sempre altro, "al di là del versetto", in quanto le coordinate spazio-temporali, costituite dalle Parole antiche, disegnano il non luogo, poiché la ricerca del vero può avere fine solo nel mondo messianico dove la parola e la cosa torneranno a coincidere. 1 Giacoma Limentani commenta il cammino del popolo ebraico alla luce della Torah, richiamando il trattato talmudico di Bava Batra a p. 14/b nel quale si annota che le tavole della Legge da Dio, consegnate a Mosè sul monte Sinai e da lui spezzate alla vista del vitello d'oro, furono conservate in frantumi nell'Arca dell'Alleanza insieme alle seconde tavole incise da Mosè. La sorpresa è che «ognuno di quei frantumi conservava intatte le caratteristiche delle tavole infrante, e cioè l'azzurra trasparenza dello zaffiro del cielo e l'onniveggente e onnicomprensiva scrittura divina. Da qualunque punto se ne guardasse il più microscopico particolare […] era possibile avere una visione globale dell'intero Decalogo […]. Non solo. Se risalendo all'indietro era possibile contemplarvi il miracolo della creazione […], proseguendo oltre l'ultima riga dell'ultimo libro biblico, era possibile prevedere tutti i commenti che una inesausta tradizione vi avrebbe tessuto intorno come un amoroso bozzolo, e grazie ad essi intuire l'amore che partendo da ogni lettera di zaffiro nello zaffiro incisa, sarebbe stato il sostegno di quanti in passato, oggi e nel tempo a venire vi hanno cercato, vi cercano e vi cercheranno gioia, conforto e spinta all'azione, in un mondo che continuamente tende a cristallizzare i propri errori».2 Limentani prosegue citando Geremia 23,29: La Mia parola non è forse come il fuoco... come il martello che frantuma la roccia? Il testo è ripresto dal talmud Sanhedrin che a p. 34/a riporta l'interpretazione di Rabbi Ismaèl secondo cui i frantumi sono i molteplici significati che sgorgano da ogni singolo versetto della Torah. «Questi significati richiamandosi poi a loro volta ad altri versetti variamente significanti, intessono fra un versetto e l'altro, fra una parola, fra una lettera e l'altra, fra testo e interpreti, fra maestri e discepoli, fra scuole e scuole in diverse località e in differenti epoche, un dialogo continuo. Nel corso dei millenni questo specialissimo dialogo è venuto riempiendo gli spazi bianchi delle pagine scritte che, così costantemente palpitando, hanno impedito a un popolo sparpagliato ai quattro venti di disintegrarsi e lasciarsi assimilare dai luoghi della sua dispersione, rendendolo costantemente partecipe di una tradizione o Torah orale, che integra la Torah scritta».3 È il senso del cammino nel raccordo di memoria, presente e futuro, grazie alla Parola, non qualunque parola, ma quella che viene da Oltre, da Dio. È struttura della persona umana messa in luce dalla rivelazione biblico-cristiana, presente in ogni vocazione come un frammento microscopico delle Tavole. E dal frammento si va oltre. È la dimensione profetica della vita. Nella fede in Cristo Il cristiano è in cammino, sempre oltre, alla presenza di Gesù e di Maria. Attinge continuamente, come a una sorgente, alla luce della Parola e del Pane di Vita, proseguendo l’itinerario di Abramo. Papa Francesco nella lettera enciclica Lumen Fidei sottolinea sovente la caratteristica della fede quale luce che illumina la creatura umana nel suo procedere nella storia. Essa ha «un carattere singolare, essendo capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo» (n. 4); quando manca «tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla mèta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione»; si gira a vuoto, non si comprende il mistero umano. Questa luce «procede dal passato, è la luce di una memoria fondante, quella della vita di Gesù, dove si è manifestato il suo amore pienamente affidabile, capace di vincere la morte. Allo stesso tempo, però, poiché Cristo è risorto e ci attira oltre la morte, la fede è luce che viene dal futuro, che schiude davanti a noi orizzonti grandi, e ci porta al di là del nostro "io" isolato verso l’ampiezza della comunione. Comprendiamo allora che la fede non abita nel buio; che essa è una luce per le nostre tenebre» (n. 4). Al n. 8 il Papa annota: «La fede ci apre il cammino e accompagna i nostri passi nella storia […]. Abramo è nostro padre nella fede. Nella sua vita accade un fatto sconvolgente: Dio gli rivolge la Parola, si rivela come un Dio che parla e che lo chiama per nome». È un Dio personale che chiama e promette. Cf Ricci Sindone P., Viaggi intorno al Nome. Percorsi e figure dell’ebraismo contemporaneo, Le Lettere, Firenze 2012, 7-10. 2 Limentani G., Regina perché metà, in Valerio A. (a cura di), Donna, potere e profezia, d'Auria, Napoli 1995 9-10. 3 Ivi 10-11. 1 Conclusione 2 In questo cammino Abramo è nostro padre. Egli è raggiunto dal fatto sconvolgente della chiamata da Dio persona che chiama e promette. Chiama «ad uscire dalla propria terra... ad aprirsi a una vita nuova, inizio di un esodo che lo incammina verso un futuro inatteso» (n 9). Questa Parola, novità e sorpresa, non è affatto estranea all’esperienza di Abramo che, invece «riconosce un appello profondo, inscritto da sempre nel cuore del suo essere. Dio associa la sua promessa a quel "luogo" in cui l’esistenza dell’uomo si mostra da sempre promettente: la paternità, il generarsi di una nuova vita». Dio «si rivela come la fonte da cui proviene ogni vita. In questo modo la fede si collega con la Paternità di Dio, dalla quale scaturisce la creazione: il Dio che chiama Abramo è il Dio creatore, Colui che “chiama all’esistenza le cose che non esistono” (Rm 4,17), Colui che “ci ha scelti prima della creazione del mondo… predestinandoci a essere suoi figli adottivi” (Ef 1,4-5). Per Abramo la fede in Dio illumina le più profonde radici del suo essere, gli permette di riconoscere la sorgente di bontà che è all’origine di tutte le cose, e di confermare che la sua vita non procede dal nulla o dal caso, ma da una chiamata e un amore personali […]. La grande prova della fede di Abramo […] mostrerà fino a che punto […] è capace di garantire la vita anche al di là della morte» (n. 11). Chi crede «è trasformato in una creatura nuova, riceve un nuovo essere, un essere filiale, diventa figlio nel Figlio. "Abbà, Padre" è la parola più caratteristica dell’esperienza di Gesù, che diventa centro dell’esperienza cristiana (cfr Rm 8,15). La vita nella fede, in quanto esistenza filiale, è riconoscere il dono originario e radicale che sta alla base dell’esistenza dell’uomo» (n 19). La luce della fede scaturisce dal Dio Amore ed è capace di «illuminare gli interrogativi del nostro tempo sulla verità […]; allarga gli orizzonti della ragione per illuminare meglio il mondo che si schiude agli studi della scienza» (n 34). Quindi è Verità e Amore. Il credente sa che egli non possiede la verità, ma è alla sua ricerca, perciò non è arrogante, ma è umile testimone, in cammino e in dialogo con tutti. La fede risveglia il senso critico. La fede ci giunge «attraverso una catena ininterrotta di testimonianze» (n 38) Essa non è solo un cammino, «ma anche l’edificazione, la preparazione di un luogo nel quale l’uomo possa abitare insieme con gli altri» (n 50). Nascendo dall’incontro con l’amore originario di Dio, essa dilata il cuore verso la pienezza dell’amore. Pertanto «è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili, di arricchire la vita comune […]. Senza un amore affidabile nulla potrebbe tenere veramente uniti gli uomini […]. La fede fa comprendere l’architettura dei rapporti umani, perché ne coglie il fondamento ultimo e il destino definitivo in Dio, nel suo amore, e così illumina l’arte dell’edificazione, diventando un servizio al bene comune. Sì, la fede è un bene per tutti, è un bene comune, la sua luce non illumina solo l’interno della Chiesa, né serve unicamente a costruire una città eterna nell’aldilà; essa ci aiuta a edificare le nostre società, in modo che camminino verso un futuro di speranza» (n. 51). La fede ci fa scorgere in ogni persona umana «una benedizione […], la luce del volto di Dio mi illumina attraverso il volto del fratello […]. Grazie alla fede abbiamo capito la dignità unica della singola persona, che non era così evidente nel mondo antico […]. Al centro della fede biblica, c’è l’amore di Dio, la sua cura concreta per ogni persona, il suo disegno di salvezza che abbraccia tutta l’umanità e l’intera creazione e che raggiunge il vertice nell’Incarnazione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Quando questa realtà viene oscurata, viene a mancare il criterio per distinguere ciò che rende preziosa e unica la vita dell’uomo. Egli perde il suo posto nell’universo, si smarrisce nella natura, rinunciando alla propria responsabilità morale, oppure pretende di essere arbitro assoluto, attribuendosi un potere di manipolazione senza limiti» (n 54) La fede «ci fa rispettare maggiormente la natura, facendoci riconoscere in essa una grammatica da Lui scritta e una dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita […]. Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata» (n. 55). Maria è paradigma della persona credente. In Lei giunge a compimento il cammino di fede di Israele che si traduce nel discepolato di Gesù, nella camminare alla sua sequela (n 58). Nel cammino della vita Cristo è la luce, una luce che si rifrange in tanti altre luci di testimoni, in particolare in Maria Stella del mare: «La vita umana è un cammino […], un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza […]. Gesù Cristo è la luce per antonomasia […]. Per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine […] che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza – lei che con il suo “sì” aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo?» (Benedetto XVI, Lettera enciclica Spe Salvi 49) Dal convegno del 2004 è emersa costante la domanda di crescere nella fede, di essere più coraggiose nella testimonianza e nell’annuncio di Gesù. Sovente si è parlato della difficoltà in questo cammino, segnalando il bisogno formativo di alimentare la fede e di approfondire la conoscenza di Maria. In questo procedere nella luce della fede e nell’ardire della speranza diveniamo sempre più consapevoli che Conclusione 3 il non ancora del carisma è ancora più bello del già. Quindi siamo interpellate a procedere con fiducia Le Costituzioni all’art 5 ci incoraggiano a «vivere per la gloria di Dio in un servizio di evangelizzazione delle giovani camminando con loro nella via della santità». Papa Francesco nell’Udienza del 18 settembre 2013 sottolinea che in questo procedere siamo accompagnate dalla Chiesa che come madre insegna a camminare, indica la strada giusta. Alle radici della filialità in un tempo di crisi di identità Nel processo-cammino verso l’identità siamo illuminate da Gesù che proclama: “Voi valete di più!” (Mt 6,26; Lc 12,7): di più di ciò che conosciamo, di ciò che facciamo, di ciò di cui abbiamo consapevolezza. Nella ratio del seminario è stata richiamata la questione antropologica che sta alla base della crisi di identità e della fragilità delle relazioni, a partire da quella fondamentale che è la filialità. La prospettiva è quella dell’essere generati e del generare in una reciprocità di accoglienza e dono. La seconda sessione con gli apporti filosofico e biblico teologico ha tematizzato alcuni aspetti di tale questione. Il prof. Mancini ha scelto di svolgere la sua riflessione filosofica, assumendo come criterio ermeneutico il messaggio evangelico. È un processo legittimo a livello scientifico ed è interpellante in un contesto in cui è in atto un processo di rimozione delle radici cristiane dell’Europa. La sua proposta si spinge ad uscire dall’invisibilità per annunciare in modo coraggioso la fede come sorgente di umanesimo universale. Vorrei, perciò, richiamare l’attenzione sul rischio di cadere nell’ovvio, nella percezione di ascoltare cose già sapute, senza crescere nella consapevolezza che il principio evangelico va accolto, custodito, coltivato scientificamente oggi. Non basta l’intuizione e la sensibilità. Le esigenze esegetiche e teologiche vanno tenute presenti per interrogare con correttezza metodologica, i testi biblici al fine di cogliervi la Parola di Dio. Il principio evangelico, quindi, va fatto interloquire con la questione antropologica nell’attuale contesto culturale, perché l’inculturazione del vangelo va attuata nel realismo della storia. La Chiesa primitiva, come ha sottolineato il prof. Penna, ha raccordato le istanze evangeliche con contesti culturali molto più problematici dei nostri, molto più pluralisti anche a livello religioso: il mondo ellenistico e romano e il mondo giudaico. Il dono della filialità divina, massima e imprevedibile dignità della creatura umana, va comunicato, fatto conoscere, perché tutti hanno il diritto che venga loro riconosciuta tale identità e venga offerto un aiuto appropriato per viverla e testimoniarla. Dalla relazione del prof. Penna al riguardo emerge la centralità della vicenda e dell’opera salvifica compiuta in e da Cristo, come pure spiccano i tratti dell’universalità, della singolarità, della ecclesialità. La Prof.ssa Milena Stevani ci ha illuminate sui dinamismi evolutivi della relazione filiale, evidenziandone le fatiche, i limiti, le ambiguità, ma anche la complessità, la singolarità e unicità delle esperienze, l’incidenza dell’ambiente, specie le ideologie che attualmente circolano, come pure le possibilità di intervento educativo. I contesti problematici e ideologici ci interpellando a studiare l’ambito della sessualità in modo interdisciplinare, coinvolgendo anche quelle scienze che non coltivate in Facoltà per offrire un servizio effettivo soprattutto nel mondo giovanile. A livello educativo i giovani ci interpellano per essere aiutati nella loro crescita nella identità sessuale. Anche qui abbiamo bisogno di competenze. Esistono già in molti paesi centri gay di educazione sessuale, per aiutare coloro che sono in difficoltà. Come saranno aiutate queste persone? In questo luogo storico, ma anche salvifico occorre considerare la questione antropologica, prendendo coscienza della novità con cui si presenta. Le relazioni ne delineano alcuni aspetti e accennano ad alcune problematiche globalizzate. Ma non dobbiamo cadere in slogan. Abbiamo bisogno di acquisire delle competenze, essere istruite sulle problematiche attuali, per poter svolgere la nostra missione evangelizzatrice, per aiutare veramente i giovani, curare le famiglie, la società. Si è parlato del sub-umano, post-umano, trans-umano; delle teorie del gender multi, post, trans gender. Le lobby al riguardo, sconfitte a livello scientifico, stanno operando attualmente a livello giuridico, imponendo ai governi di redigere leggi a loro favore, sovente sconvolgendo l’evidenza dell’esperienza umana. Qui non dobbiamo essere latitanti. Siamo nelle possibilità di far sentire la nostra voce all’ONU e dobbiamo attrezzarci per far sentire la nostra voce nei nostri Paesi, nelle nostre Regioni e città, valorizzando il lavoro delle nostre sorelle che operano in quella sede, collaborando con loro sia offrendo il nostro apporto di informazioni, sia divulgando le informazioni che loro ci offrono. Oggi circolano molteplici umanesimi, molteplici antropologie, talvolta contrapposte. «Nessuna epoca - ha scritto Heidegger - è riuscita, come la nostra, a presentare il suo sapere intorno all'uomo in modo così efficace e affascinante». Si registra la presenza sia di grande passione per l'uomo sia del più drammatico disprezzo nei suoi riguardi. Sul piano socio-culturale, politico, ma anche religioso non si Conclusione 4 possono ignorare né le articolate riflessioni sull'uomo, né le aggressive prese di posizione contro l'attenzione rivolta ad esso.4 Anche sul linguaggio si vuole incidere per veicolare idee non compatibili con la dignità umana; esse spesso nascondono o ignorano le sofferenze umane di coloro che percorrono le vie da loro proposte. Le ideologie al riguardo sono tante. Si pensi a quelle che puntano sui termini persona, natura, libertà, termini a più alto tasso di ambiguità in molti campi delle ricerche scientifiche o pseudoscientifiche. Benedetto XVI lo ha sottolineato a più riprese. Basti pensare al Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2007: La persona umana, cuore della pace. Egli segnala: «per alcuni, la persona umana è contraddistinta da dignità permanente e da diritti validi sempre, dovunque e per chiunque; per altri, una persona [è contraddistinta] dalla dignità cangiante e dai diritti sempre negoziabili: nei contenuti, nel tempo e nello spazio». Parla di «una visione "debole" della persona, che lascia spazio ad ogni anche eccentrica concezione [...] che impedisce il dialogo autentico ed apre la strada all'intervento di imposizioni autoritarie, finendo così per lasciare la persona stessa indifesa e, conseguentemente, facile preda dell'oppressione e della violenza» (Ivi n. 12.11). Ugualmente problematico è l’utilizzo del termine natura e legge naturale. «La natura non è più considerata immutabile in se stessa, perché in ogni suo aspetto è manipolabile e modificabile dall'intervento tecnico. La tecnica, a sua volta, non è più considerata in potere dell'uomo, perché i risultati che consegue non nascono da indicazioni umane, ma dagli esiti delle sue procedure, in cui è rintracciabile quella che può essere definita l'etica della tecnoscienza, che risponde all'imperativo: si deve conoscere tutto ciò che si può conoscere e, quindi, fare tutto ciò che si può fare. Così formulata, l'etica della tecnoscienza ha come obiettivo solo il suo autopotenziamento... E non collima con l'etica antropologica, che ha in vista il miglioramento delle condizioni umane. E questo non collimare non è solo un dato di fatto, ma è un contrasto di principio, perché la tecnica non è più uno strumento nelle mani dell'uomo, ma è diventata il vero soggetto della storia, e come tale esprime non più il potere dell'uomo sulla natura, ma il suo potere sull'uomo e sulla natura».5 Circa l’antropologia relazionale, basti ricordare la problematica sollevata da Bauman in Amore liquido.6 Nella prospettiva relazionale vanno vagliate criticamente le teorie di genere che intendono la sessualità come un continuum che va dal maschile al femminile attraversando tutti gli stadi anche nello stesso soggetto. La questione dell’identità presenta pure aspetti caratterizzati dai contesti socio-religiosi, socio-culturali, socio-politici ed economici, per cui va tematizzata con approcci non solo interdisciplinari. ma interculturali in dialogo con le proposte religiose. Alcuni studi mettono in rilievo che ove è debole l’appartenenza nazionale o culturale le appartenenze religiose tendono al fondamentalismo soprattutto nei luoghi in cui i simboli religiosi non vengono tematizzati, ma restano allo stato precritico. Inoltre, esiste una letteratura antieuropeista che ha varie matrici, ma è convergente nella tendenza a rinnegare le radici cristiane dell’Europa. È una operazione che intende mettere in crisi l’ambiente culturale in cui grazie al cristianesimo si è riconosciuta la dignità di membro della famiglia umana e, quindi, della famiglia di Dio, ad ogni persona umana, al di là delle appartenenze linguistica, etnica, religiosa.7 Nel preparare il seminario si pensava di riflettere sulla questione antropologica anche per contesti socioculturali e socio-religiosi, ma è stato difficile tradurre l’idea in azione. Inoltre, si nota un singolare fatto: vi sono vicini che sono lontani e lontani che sono vicini, ossia la globalizzazione genera nello stesso contesto delle lontananze ed estraneità, mentre avvicina omologando contesti lontani talvolta alternativi. La riflessione sulla filialità oggi deve articolarsi e coniugarsi dentro i contesti e dentro tali contesti vanno elaborati sia l’umanesimo sia l’azione educativa. La teologia nella sua struttura multidisciplinare dovrebbe intercettare questi contesti e offrire il criterio euristico della Rivelazione divina. Nel seminario abbiamo semplicemente avviato un percorso di consapevolezza che, però, deve proseguire per poter illuminare la nostra missione educativa. Non partiamo da zero. Già il Concilio nella costituzione Gaudium et Spes ci offre dei criteri, passando dall’antropologia dei costitutivi dell’essere all’antropologia biblica, non in termini oppositivi ma di dialogo, sottolineando che Gesù rivela pienamente l’uomo all’uomo. Attualmente si sta molto valorizzando il tema della creatura umana quale immagine di Dio, perché può costituire la base del dialogo tra umanesimi diversi e aprire a una pluralità di espressioni. 4 Cf Galantino Nunzio, Questione antropologica e nuove emergenze umanistiche, in Sanna Ignazio (ed.), Emergenze umanistiche e fondamentalismi religiosi. Con quale dialogo?, Roma, Studium 2008, 198. 5 Sanna Ignazio, Presentazione, in Id. (ed.), Emergenze umanistiche 12. 6 Bauman Zygmunt, Amore liquido, Bari – Roma, Laterza 2004 7 Indicativamente rimando allo studio Sanna (ed.) Emergenze umanistiche; Id. (ed.), I fondamentalismi nell’era della globalizzazione, Roma, Studium 2011. Conclusione 5 I racconti di Genesi sono di grande interesse, perché includono dei processi di inculturazione della fede che possono essere per noi paradigmatici, offrendoci dei criteri di discernimento per la valorizzazione di quanto è coerente con la dignità umana e di vaglio critico di quanto non lo è. La creatura umana è un mistero, non un enigma, un mistero custodito gelosamente da Dio, pertanto nessuna forza ostile può eliminare il suo progetto d’amore. Su nessuna creatura si può scrivere fine, ma su tutte e ciascuna “amore”. L’appello è ad elaborare una antropologia cristiana interdisciplinare e interculturale. Anche qui non partiamo da zero, se consideriamo i convegni del 1988, 1997, 2004 e i seminari di studi del 2001 e 2003. Infatti, in questi convegni e seminari la riflessione biblico-teologica sull’antropologia è stata costantemente presente.8 E in chiave mariana sono stati offerti non pochi input che possono costituire come la piattaforma sulla quale collocare le proposte di questo seminario di studi. La relazione del prof. Penna circa la filialità assume una forza profetica singolare al riguardo, perché sottolinea la centralità dell’Unico e la sua prossimità-solidarietà, rivelazione dell’amore senza limiti della Trinità. Molto eloquente è il rilievo dato alla preghiera di Gesù, quindi alla sua prassi e alla sua predicazione. Le sue brevi annotazioni sulla vicenda di Maria di Nazaret hanno introdotto, per così dire, la proposta del prof. Langella. Egli ha messo in luce la complessa e ricca trama di relazioni e di reciprocità intessuta tra la Vergine di Nazaret e i suoi genitori nel contesto religioso giudaico; tra lei e il Dio d’Israele, il figlio Gesù che è il figlio di Dio, la comunità credente e la genealogia dei discepoli lungo i secoli. Il bilancio circa la riflessione mariologica post-conciliare amplifica ulteriormente la tematizzazione della questione antropologica, mentre avvicina la figura di Maria all’umanità attuale, specie al mondo femminile. Le relazioni di reciprocità esplicitate dal Prof. Langella portano alla coniugazione tra Maria Madre, sorella e figlia, figlia anche nostra, in modo paradossale, per l’attenzione che a Lei dedichiamo nella preghiera e nello studio, ma anche per le provocazioni che le si rivolgono. Il confronto in assemblea sulla sua proposta ha avuto come punto di riferimento la categoria “Maria nostra figlia”. In questo modo il relatore si è posto sulla lunghezza d’onda della Vergine del Magnificat che proclama: “L’anima mia magnifica il Signore!”. Per Dio non è indifferente che noi lo amiamo o no. Quindi, giustamente Maria esclama: “L’anima mia magnifica, rende grande, il Signore!” Così, per Maria non è indifferente il nostro amore, la cura con cui cerchiamo di conoscerla, farla conoscere, imitarla. Pertanto, in certo senso, Maria è nostra figlia proprio per la nostra relazione filiale con Lei. La sottolineatura della relazione filiale di Maria porta a ripensare tutta la teologia, in particolare l’ecclesiologia: una chiesa di figlie e di figli nell’uguaglianza battesimale. Su questa ricca rete relazionale andrebbe riconsiderata la nostra missione e il nostro essere nel mondo, nella chiesa, nella famiglia salesiana, costruendo quel clima di famiglia che è tipico della nostra spiritualità. Educarci ed educare alla filialità La riflessione psicologica, filosofica, biblico-teologica e mariologica sull’antropologia della filialità ci interpella nel cammino di crescita personale e comunitaria e nella missione educativa. La terza sessione: Educarci ed educare alla filialità nella duplice direzione della prospettiva della filosofia e teologia dell’educazione e della prospettiva pedagogico-carismatica segnala l’intento di mediare i contenuti nella proposta formativa ed educativa. Le relazioni di filosofia e teologia dell’educazione hanno delineato dei percorsi da praticare seguendo i principi e i criteri di discernimento che favoriscono una genuina formazione ed educazione alla e nella filialità. Tutte le partecipanti hanno percepito la complessità e l’urgenza del compito che ci attende in quanto fma, un compito che dovrà declinarsi nei diversi contesti e nelle molteplici situazioni di vita. In questa direzione la prospettiva pedagogico-carismatica ha messo in rilievo il tessuto umano, ecclesiale, carismatico della filialità nella vicenda di don Bosco, di madre Mazzarello e nell’Istituto delle fma. La filialità mariana si delinea con i tratti della mistica apostolica e della sobrietà nelle espressioni esteriori. Questo approccio, collegato alla prima sessione, ha ulteriormente alimentato l’affetto filiale concreto per Maria e l’impegno a lavorare nel campo educativo seguendo Lei, nostra Maestra e Guida. La quarta sessione, Educarci ed educare alla filialità. Linee operative ha inteso avviare un processo per l’individuazione di linee operative negli ambiti della formazione e della pastorale giovanile nelle sue varie articolazioni. La finalità non era elaborare linee operative, ma avviare un processo che dovrà proseguire nei vari contesti in cui operano le fma. Non solo. I relatori avevano pure formulato delle domande per favorire l’individuazione dei nuclei contenutistici fondamentali delle loro proposte, ma si è preferito impostare i laboratori non su tali domande, ma sulla individuazione di idee forza, generatrici di un’azione formativa e pastorale qualificata, da tradurre poi in orientamenti formativi ed educativi specifici. Il guadagno di questa scelta è stata una riflessione più intensa e personale espressa in uno scambio di esperienze più diretto che 8 Sulla questione antropologica credo sia molto utile prendere in considerazione il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa e La Lettera enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate. In questa enciclica il Papa esorta a studiare in modo interdisciplinare, fondandola metafisicamente, l’antropologia relazionale. Ha sottolineato che oggi la questione antropologica è questione sociale. Quindi va affrontata anche su questo fronte. Conclusione 6 ha favorito il senso di appartenenza all’unico Istituto delle fma e ha alimentato in ciascuna la passione evangelizzatrice. Questi giorni sono stati giorni di grazia. Abbiamo percepito la presenza materna incoraggiante di Maria Ausiliatrice e con Lei torniamo nelle nostre comunità, consapevoli della nota spiccatamente mariana della nostra vocazione, come ci ha detto Paolo VI nell’udienza del 15 luglio 1972, in occasione del centenario dell’Istituto: «O come vorremmo che fosse conservato fra voi in tutta la sua primitiva freschezza questo carattere spiccatamente mariano, che dovunque costituisce la nota inconfondibile della spiritualità delle figlie di Maria Ausiliatrice. Voi avete il privilegio di appartenere ad una famiglia religiosa che è tutta di Maria e tutto deve a Maria. Non è forse il vostro Istituto il monumento vivo che Don Bosco ha voluto erigere alla Madonna, come segno di imperitura riconoscenza per i benefici da Lei ricevuti? Sì, figliole, finché alla scuola di Maria saprete imparare a tutto dirigere a Cristo suo divin Figlio, finché terrete fisso lo sguardo su di Lei - che è il capolavoro di Dio, il modello e l’ideale di ogni vita consacrata, il sostegno di ogni eroismo apostolico - non si inaridirà mai nel vostro Istituto quella sorgente di generosità e di dedizione, di interiorità e di fervore, di santità e di grazia, che ha fatto di voi così preziose collaboratrici di Nostro Signore Gesù Cristo per la salvezza delle anime». Conclusione 7