Verso la visione comune del progetto: riflettere sulla

Programma regionale
per la prevenzione e il contrasto delle mutilazioni genitali femminili,
finanziato nell’ambito dell’Intesa Stato-Regioni ai sensi della legge 09.01.2006 n. 7 recante
“disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale
femminile”
Resoconto del Seminario
"Verso la visione comune del progetto: riflettere sulla complessità delle MGF"
27 febbraio 2014
Relatrice: Cristiana Natali, Antropologa dell'Università di Bologna
Abstract
 La produzione culturale del corpo nelle diverse società
 La costruzione culturale dei generi alla luce dei modelli locali
 Il concetto di “tradizione culturale”: problemi e prospettive
Trattare il tema delle MGF significa affrontare una questione estremamente delicata, che coinvolge
aspetti identitari e di genere, e che emerge come particolarmente problematica quando le MGF diventano
una realtà dei paesi interessati da flussi migratori.
Lo stesso acronimo MGF è oggetto di un intenso dibattito: molti preferiscono scioglierlo come
Mutilazioni Genitali Femminili, altri sottolineano l’opportunità di intenderlo come Modificazioni Genitali
Femminili (v. infra).
Per potere affrontare il tema delle MGF occorre preliminarmente riflettere sui processi culturali che
portano alla costruzione dei corpi degli uomini e delle donne nelle diverse società (Remotti 2000). L’essere
umano è un animale carente, che ha bisogno della cultura – o meglio delle singole, specifiche culture - per
essere in grado di affrontare il mondo. Gli esseri umani sono “foggiati” dalla cultura in vari ambiti:
intellettuale, emotivo, morale, estetico. Ciò non significa che siamo “schiavi” della cultura e completamente
determinati da essa perché ognuno di noi interviene sempre con le proprie scelte individuali.
Mentre però siamo normalmente disposti ad accettare l’idea che l’individuo sia culturalmente
determinato nelle sue idee, nei suoi valori, nei suoi modelli di comportamento, più difficile risulta
ammettere che anche i corpi umani siano culturalmente determinati. Il corpo umano sembra infatti essere
il “naturale” per eccellenza. Eppure proprio sui corpi si esercita, fin dalla nascita, il lavoro di plasmazione da
parte delle culture; anche l’asceta indiano che decide di non toccare il proprio corpo, non tagliare i capelli e
la barba per esempio, sembra darci un’idea di “naturalità” ma, in realtà, sta operando una precisa scelta
rispetto al proprio corpo.
E’ possibile proporre un elenco di differenti categorie di interventi estetici sul corpo,
considerandone il progressivo grado di invasività, reversibilità e irreversibilità: dagli interventi più esteriori
e reversibili, a quelli irreversibili che comportano anche un alto livello di sofferenza:
Come le culture plasmano i corpi umani?
Di solito il corpo viene forgiato per motivi di estetica.
Ci sono vari gradi di trasformazione del corpo (da quello reversibile a quello
indelebile):
Ceto
Stato civile
Genere
Età
Religione
Gruppo
professionale
-Abbigliamento
-Gioielli; Trucco;
-Pratiche igieniche
-Abbronzatura
-Capelli , unghie;
-Depilazione
-Tatuaggi (fissi)
-Piercing
-Scarificazioni rituali (cicatrici)
Indicatori di
status, cioè di:
comportano sofferenza
-Chirurgia plastica
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Il corpo umano viene plasmato dalla cultura, dalla nascita alla morte, infatti il trattamento del
cadavere è elemento significativo di tutte le società che si preoccupano di intervenire con pratiche culturali
sul corpo morto.
Gli interventi menzionati sono soggetti a cambiamenti nel tempo (all’interno della stessa società) e
nello spazio, e quindi sono relativi: spesso le pratiche degli altri vengono considerate con un senso di
disgusto - si pensi all’atteggiamento nei confronti delle pratiche igieniche e alimentari di altre popolazioni fino a che non le si considera con meno superficialità.
Tali interventi sul corpo sono inoltre produttori di significato: abiti, gioielli, modificazioni del corpo,
ecc. sono indicatori di status, di genere, di appartenenza a determinati gruppi religiosi, a movimenti politici
e a ordini professionali. Ad esempio, la fede nuziale denuncia la condizione di individuo sposato; i
dreadlocks sono simbolo di riconoscimento per i rasta; tra i tamil due trecce sono per le bambine e una
treccia lunga per donne adulte; la saree (abito indiano) viene indossato dalla donna adulta e non dalla
bambina; ancora in India, il puntino rosso sulla fronte segnala la donna hindu sposata; il piercing, anche
nella cultura euroamericana, denota il legame con un determinato gruppo; i piedi ridotti della tradizione
han in Cina indicavano l’appartenenza a una famiglia ricca (che non aveva necessità di far lavorare la donna
nei campi), la circoncisione maschile può segnalare l’adesione a un gruppo religioso o l’ingresso nell’età
adulta, e così via.
Negli studi antropologici spesso la categoria della chirurgia genitale è stata analizzata nel contesto
dei riti di passaggio che segnano, per bambine e bambini, l’abbandono della condizione infantile.
(N.d.r.) Nel corso del seminario, il pubblico è stato interrogato sulla principale differenza tra la chirurgia
estetica e le scarificazioni rituali, come passaggio per comprendere meglio le mgf in una prospettiva
antropologica. La tabella espone la sintesi del dibattito che ne ha fatto seguito e che ha poi individuato la
differenza fondamentale nell’invisibilità dell’una e nella visibilità dell’altra.
Chirurgia estetica
Scelta: ma solo in parte, perché può
assecondare uno stereotipo
Scarificazioni rituali
Imposizione – può essere però anche una scelta
Bellezza- si vuole anche appartenere ad una
categoria (di donne desiderabili)
Dimostrare appartenenza – c’è anche valenza
estetica
atto individuale
atto collettivo
fissazione – nel modello euro-americano ora c’è Processo: il corpo è manipolato e trasformato
l’idea di un corpo che non deve invecchiare
spesso
fatta da professionisti
Da esperti tradizionali
molto costosa/non per tutti
Poco costosa – non sempre vero. Ci sono spese
legate ai rituali
anestesia, ma sofferenza al risveglio
Sofferenza; si pratica anche in ospedale
moda
Rituale – anche moda, che cambia nel tempo
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Chirurgia estetica
Scarificazioni rituali
materiale
accettato- c’è senso di incompletezza e
inadeguatezza per chi non si attiene ai modelli,
specie per chi svolge certe attività, come attrici,
ecc.
per accettarsi
Spirituale
Incompletezza (senza)
Per essere accettato
Invisibilità: c’è finzione (come se non ci fosse
l’intervento, come se il corpo fosse naturale)
Visibilità: è mostrato, deve essere visto.
Riti di passaggio (autore di riferimento: Van Gennep)
Esistono in tutte le culture. Si passa da uno status sociale ad un altro, per es. attraverso il
matrimonio, dalla condizione di celibe o nubile a quella di persona sposata.
I riti di passaggio riguardano spesso la nascita, il raggiungimento della maggiore età, il matrimonio e
la morte: si tratta di momenti topici, importantissimi in quasi tutte le culture.
Nella nostra società il passaggio all’età adulta ormai ha perso d’importanza, mentre fino a 50 fa
esisteva ancora qualche forma (per es. i pantaloni corti del bambino e quelli lunghi dell’adulto).
Il passaggio dalla condizione di bambina a quella di donna è, in tutte le società, culturalmente
determinato, e benché spesso il menarca costituisca un momento particolarmente significativo nell’ambito
delle cerimonie di pubertà – in quanto ne determina l’inizio, o ne sancisce una tappa saliente -, in realtà
l’evento fisiologicamente eclatante della raggiunta maturità sessuale non è sufficiente, da solo, a
determinare l’ingresso della bambina nel mondo delle donne adulte. E’ la società, attraverso riti iniziatici o
cerimonie pubbliche, ad assumersi il compito dell’attribuzione del nuovo status, al punto che una donna
anziana può essere considerata socialmente una bambina – con tutto ciò che ne consegue sul piano delle
sue potenzialità rispetto al matrimonio e alla discendenza – nel caso in cui non abbia superato le tappe
considerate imprescindibili per la fissazione della condizione di adulta.
La costruzione culturale e sociale degli individui adulti di una comunità riguarda anche i soggetti
maschili, ed è anzi in un certo senso, da questo punto di vista, ancora più indispensabile. Negli uomini
infatti il passaggio fisiologico della pubertà non presenta la stessa nettezza, e dunque la sua elaborazione
simbolica può venire avvertita con un carattere di maggiore necessità (cfr. Gilmore 1990). Ciò non significa
però che le cerimonie iniziatiche maschili siano più diffuse o più importanti di quelle femminili (cfr. Lincoln
1981). Ciononostante esse hanno ricevuto nella letteratura etnografica degli inizi un’attenzione
decisamente superiore.
I riti iniziatici femminili sono stati infatti un oggetto di ricerca a lungo trascurato nell’ambito degli
studi etno-antropologici. La causa di tale lacuna è da addebitare soprattutto al fatto che i primi viaggiatori,
missionari e antropologi erano uomini, e dunque, al di là dell’interesse che avrebbero potuto o meno
manifestare per l’osservazione di tali riti (un interesse presumibilmente modesto, cfr. Myerhoff, Camino e
Turner 1987), la loro presenza alle cerimonie femminili non sarebbe comunque stata consentita.
Dobbiamo soprattutto alle antropologhe il mutamento di prospettiva sopravvenuto in questo
settore della ricerca. Le ricerche degli ultimi due decenni rivalutano infatti il ruolo dell’iniziazione femminile
e la sua correlazione con lo status della donna nella società. Un’analisi comparativa (Rahman e Toubia
2000) rileva come in Australia ma soprattutto in Africa il diventare donna passi molto spesso attraverso un
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processo rituale il cui momento focale è costituito da un’azione più o meno invasiva sugli organi genitali
femminili.
Interrogare le protagoniste
L’antropologia interroga i protagonisti; non è banale questa passaggio perché spesso
giudichiamo senza chiedere agli interessati.
Le motivazioni addotte per spiegare come mai si interviene sui genitali femminili:
- Motivi sociali: la necessità di fissare il passaggio all’età adulta
- Per sposarsi
- Controllo della sessualità femminile (esplicitato: la sessualità femminile è troppo
esuberante e dunque è necessario contenerla).
- Motivi estetici ( i genitali escissi sono considerati belli, l’infibulazione è quasi sempre un
intervento estetico). Nella società euroamericana oggi sono tantissimi gli interventi di
chirurgia estetica (non c’era fino a un decennio fa) sui genitali (sostanzialmente per
contrastarne l’invecchiamento).
- Motivi igienici: si crede che i genitali più lisci siano più igienici.
- Fertilità: si crede che l’assenza di infibulazione ecc. determini l’infertilità delle donne. Noi
sappiamo bene invece che è proprio l’infibulazione che provoca l’infertilità. Oggi in Africa le
campagna contro l’infibulazione battono su questo punto.
- Eliminazione delle parti che sono considerate una componente maschile dell’altro genere
nella donna
- Motivi religiosi. Sappiamo che non c’è alcuna sovrapposizione tra mgf e religioni,
tantomeno con l’islam, anche se questa idea è molto radicata. Degli imam si sono espressi
in modo completamente diverso.
Tutte queste motivazioni rientrano nel contenitore generale di tradizione culturale. Sia chi lo fa, sia
chi vede la pratica può giudicare che si faccia per tradizione culturale. E qui ci areniamo. Quale argomento
posso sviluppare contro questo argomento della difesa della tradizione culturale ? L’antropologia una
risposta la dà.
Il concetto di tradizione culturale è un concetto fuorviante perché la tradizione culturale è un modo
di dire nostro per parlare della fissità delle culture degli altri, cristallizzando un qualcosa che è
profondamente dinamico. Quando parliamo di tradizione culturale veniamo meno a due contenuti
fondamentali della cultura:
1) La cultura è stratificata , nessuna cultura è omogenea (es. uomo ricco, anziano e sposato è collocato in
alto alla società, mentre una donna povera e sterile è in fondo alla società). Quindi non si possono
omogeneizzare tipi così diversi. Non esiste un rappresentante “tipico” di una cultura. Quindi,
dovremmo sempre chiederci “tradizione di chi”?
2) Le culture sono dinamiche cioè cambiano in continuazione. I cambiamenti sono determinati da
dinamiche interne (anche personali) o esterne (la rivoluzione maoista e la fine della pratica della
deformazione dei piedi). La tradizione è di solito invocata per giustificare una pratica, dà un’immagine
conservativa delle culture, mentre tutte le osservazioni ci portano ad affermare che le culture (tutte!)
cambiano continuamente: ci sono antropologi che vengono in Italia a studiare la Lega Nord come
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esempio di fondazione di una tradizione. Quando le culture altre si modificano, a noi dispiace, perché
non corrispondono più all’immagine che ci siamo fatti e alla quale ci siamo aggrappati. Lo stesso vale
per le mgf: non pensiamo che la donna infibulata sia la donna “tipica” di un certo Paese, di una certa
cultura. Bisogna capire che ovunque le cose cambiano e ci sono, anche in Somalia, donne che
contrastano questa pratica.
Dal punto di vista antropologico è quindi necessario sottolineare che, poiché le culture - lungi
dall’essere statiche e immutabili - sono realtà in continua trasformazione, sarebbe profondamente errato
decidere, sulla base ad es. della sua nazionalità, quale sia la posizione di una donna migrante sulle MGF.
Molte donne somale, ad esempio, sono strenue oppositrici dell’infibulazione, e in molti Paesi africani
associazioni di donne conducono da anni campagne di informazione che hanno lo scopo di abolire la pratica
- sottolineandone le conseguenze negative per la salute e la fertilità. Tali campagne sono affiancate talvolta
dalla promozione di rituali alternativi incruenti (cfr. per il caso gambiano Busoni e Laurenzi 2005)1. Nel film
Mooladé (n.d.r. i cui un brano è stato mostrato in chiusura dell’incontro), del regista senegalese Ousmane
Sembène, viene mostrata la fiera battaglia di una donna che riesce a contrastare la pratica delle MGF nei
confronti delle bambine del suo villaggio (tale battaglia viene peraltro condotta senza alcuna pressione da
parte di Ong o organizzazioni di donne: si tratta di un’iniziativa assunta in assoluta autonomia).
Nondimeno occorre ricordare che molte donne migranti ritengono invece che le MGF siano
legittime e pensano che le figlie debbano essere sottoposte alla pratica. In tal senso il problema del termine
“mutilazioni” per definire le MGF2 permane: da un lato utilizzare il termine “mutilazioni” può risultare
compromissorio quando si desidera stabilire una relazione efficace con una donna infibulata o escissa3 che
accetta la pratica; dall’altro una donna che invece avversa profondamente la pratica e si percepisce come
mutilata troverà inaccettabile l’uso del termine “modificazione” per indicare la sua condizione.
Bibliografia citata
Busoni, Mila e Laurenzi, Elena, 2005, Il corpo dei simboli: nodi teorici e politici di un dibattito sulle
mutilazioni genitali femminili, SEID
Catania, Lucrezia e Hussen, Abdulcadir Omar, 2005, Ferite per sempre. Le mutilazioni e la proposta del rito
simbolico alternativo, Derive Approdi
Gilmore, David, 1990, Manhood in the Making. Cultural Concepts of Masculinity, Yale University Press, New
Haven and London, (tr. it. 1993, La genesi del maschile. Modelli culturali della virilità, La Nuova Italia,
Firenze
James, Stanlie M. e Robertson, Claire C. (ed.), 2002, Genital Cutting and Transnational Sisterhood. Disputing
U.S. Polemics, Urbana and Chicago, University of Illinois Press
1
Anche in Italia vi è stata la proposta, poi naufragata, di un rito alternativo: cfr. Catania e Hussen 2005 e, per le critiche
alla proposta, Busoni e Laurenzi 2005.
2
Per una disamina del problema terminologico cfr. James e Robertson 2002, 7.
3
Le donne intervistate da Carla Pasquinelli (2006), ad es., rifiutano il termine e anche coloro che nelle culture d’origine
hanno preso le distanze dalla pratica non lo accettano.
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Lincoln, Bruce, 1981, Emerging from the Chrysalis. Studies in Rituals of Women’s Initiation, President and
Fellow of Harvard College, Harvard (tr. it. 1983, Diventare dea. I riti di iniziazione femminile, Edizioni di
Comunità, Milano)
Myerhoff, Barbara G., Camino, Linda e Turner, Edith 1987, “Rites of Passage”, in M. Eliade (ed.)
Encyclopedia of Religion
Pasquinelli, Carla , 2006, “L’esperienza della migrazione e le mutilazioni dei genitali femminili. Una ricerca
sul campo”, in Colombo, Daniela, e Scoppa, Cristiana, a cura di, 2006, Mooladè. La forza delle donne,
Milano, Feltrinelli, con film allegato in dvd, pp. 62- 113
Rahman, Anika e Toubia, Nahid, 2000, Female Genital Mutilation, Zed Books, London
Remotti, Francesco, 2000, Prima lezione di antropologia, Roma-Bari, Laterza
Van Gennep, Arnold, 1909, Les rites de passage, Nourry, Paris (tr. it. 1981, I riti di passaggio, Boringhieri,
Torino)
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